Giustizia: tra silenzi e indifferenza, ancora suicidi in carcere… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 12 settembre 2012 Si chiamava Daniele, aveva 26 anni. Era detenuto nel carcere milanese di Opera. Sarebbe dovuto uscire il 26 dicembre prossimo. La sua storia si è conosciuta ieri. Il 2 settembre scorso, verso la mezzanotte ha scelto di farla finita impiccandosi con una tenda che aveva attaccato alla finestra. Hanno cercato di salvarlo, lo hanno portato in ospedale. Cinque giorni di agonia, poi il 7 settembre è morto. Salgono così a 112 i detenuti morti nei primi mesi di quest’anno in carcere, e 40 sono stati i suicidi. E ora a Napoli. Di lui conosciamo le iniziali, A.L; dicono fosse da tempo preda di mania di persecuzione e stress da lavoro. Aveva 46 anni. Prestava servizio come assistente di polizia penitenziaria; è morto dopo aver ingerito un mix di farmaci. Negli ultimi sette mesi sono saliti a sette i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita. Un centinaio, dal 2000. I sindacati della polizia penitenziaria denunciano che, a fronte di questa drammatica situazione, le uniche soluzioni proposte e offerte dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria sono state la realizzazione di una brochure da diffondere tra il personale e la previsione di un numero verde di ascolto. Ancora da Napoli, dal carcere di Poggioreale: “Chiediamo a tutti di dare voce a questa nostra infinita, quanto inascoltata manifestazione di protesta, che ponga fine a questo stillicidio e calvario, di noi sepolti vivi”. Così comincia la lettera firmata dai detenuti del padiglione Avellino di Poggioreale, pubblicata dal “Mattino”. Il messaggio sarà spedito poi al presidente della Camera Gianfranco Fini, al direttore del carcere, al Garante del detenuto, a diversi parlamentari, gruppi politici e giornali locali. I detenuti annunciano, attraverso questa lettera, tre giorni di protesta, “pacifica, silenziosa, civile e non violenta”. “Ci asterranno dal 20 al 23 settembre dal ricevere il vitto dell’amministrazione e rifiuteremo di partecipare alle due ore d’aria che ci vengono concesse, e rifiuteremo di andare in chiesa”. Uno sciopero della fame e l’auto-consegna nelle proprie celle. Un atto dimostrativo forte, che non ha precedenti nel padiglione Avellino, dove i detenuti vengono soprannominati i “gandhiani” dagli altri occupanti di Poggioreale. La data non è stata scelta a caso, infatti in quei giorni verrà presentato dal Ministro della Giustizia, Paola Severino, il “pacchetto giustizia”. I detenuti non ne fanno una questione di protesta contro qualcuno, ma cercano attraverso azioni pacifiche di riuscire a fare alzare dalle loro celle un grido di protesta che possa arrivare in alto, a chi, come dicono nella lettera “abbia il coraggio di approvare provvedimenti concreti”. I detenuti spiegano nel situazioni disumane nelle quali sono costretti a vivere: “La situazione nelle carceri italiane è drammatiche, sono polveriere, specie questi casermoni di Poggioreale. Quasi tremila detenuti - precisamente duemila settecento circa - ammassati in 15, anche 18 per cella. C’è totale carenza di igiene e il 60% dei detenuti è colpito dall’epatite C, mentre il restante 40% è colpito da altre malattie veneree in continua proliferazione” sottolineano ancora i detenuti del padiglione Avellino. Quello che si chiede è che i loro diritti non vengano calpestati o addirittura “negati”. Il degrado di Poggioreale, come di molte altre carceri sovraffollate non è certo la scoperta dell’acqua calda, ma in questo momento è quanto mai attuale, visto che in queste ore si sta decidendo come portare avanti, tra le stanze del Parlamento, il pacchetto giustizia e come poter risolvere la problematica delle carceri. Nei giorni scorsi hanno protestato, sempre a Napoli, anche le detenute della casa circondariale femminile di Pozzuoli per sollecitare l’approvazione di una legge di amnistia. E proprio con questa richiesta i “gandhiani” chiudono il loro messaggio: “Chiediamo si arrivi ad un amnistia, indulto e pene alternative e che queste ultime diventino legge”. Giustizia: l’obliata prerogativa presidenziale di commutare la pena di Cristiano Lorenzo Kustermann (Docente in diritto pubblico, Università di Roma Tor Vergata) Notizie Radicali, 12 settembre 2012 L’art. 87, undicesimo comma della Costituzione repubblicana, recita ancora “(Il Presidente della Repubblica…) può concedere grazia e commutare le pene”. Questa disposizione riprende l’art. 8 dello Statuto albertino del 4 marzo 1848 (che a sua volta confermava l’art. 5 del proclama albertino dell’8 febbraio 1848) secondo cui “Il Re può fare grazia e commutare le pene”. Generalmente si tende a confondere l’istituto della grazia con quella della commutazione della pena, il che avviene anche nel sito del Quirinale www.quirinale.it dove il dato dell’unica domanda di commutazione della pena accolta dal Presidente Napolitano è inserito all’interno delle statistiche concernenti la concessione della grazia. Dall’insediamento sul più alto colle (15 maggio 2006), il Presidente Napolitano risulta aver licenziato 18 provvedimenti di grazia e 1 di commutazione (da pena detentiva a pecuniaria), per un totale di 19 provvedimenti di clemenza individuale su 2139 pratiche trattate e definite. In 2117 casi su 2120 la contrarietà presidenziale al provvedimento ha coinciso con l’avviso del Ministro. Il totale dei provvedimenti di clemenza individuale firmati dai Presidenti della Repubblica italiana ammonta a 42.312. La confusione tra grazia e commutazione in effetti risale all’art. 174 del codice penale del 1930, intitolato “Indulto e grazia”, secondo cui “L’indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge”, e ancor prima all’art. 87 del Codice penale del 1889. Secondo il Professor Giuseppe Ugo Rescigno (Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Art. 83-87, Il Presidente della Repubblica, Ed. Zanichelli Bologna 1978, pag. 278) “È curioso che la Costituzione dica “concedere grazia o commutare le pene”. Evidentemente i costituenti non hanno ripreso il linguaggio legislativo, per cui la grazia che commuta la pena comprende sia la remissione intera o parziale della pena sia la commutazione di una pena in un’altra (vedi art. 174 cod. pen.), ma hanno ripreso il linguaggio comune nel quale, spentosi ormai il ricordo della grazia che commuta la pena di morte in quella del carcere, la parola grazia indica soltanto la remissione della rimanente pena detentiva”. In sostanza si è affermato che l’art. 87.11 della Costituzione ha novellato la legislazione fascista della grazia, escludendo da essa l’istituto - pur sempre parallelo - della commutazione della pena, ripristinandone quindi l’autonomia concettuale. L’attualità del possibile utilizzo dell’istituto della commutazione della pena in modo autonomo rispetto al potere di grazia deriva ahinoi dalla trasformazione di fatto avvenuta in Italia della pena detentiva carceraria in vera e propria tortura, in privazione dei più elementari diritti dell’uomo, e secondo dati inconfutabili, sempre più spesso in pena di morte, tutto ciò in spregio all’art. 27, commi terzo e quarto della Costituzione repubblicana. Quindi la commutazione di una residua pena detentiva in carcere in detenzione domiciliare oggi in Italia, nell’anno di grazia 2012, applicata alle migliaia di singoli casi umani - in quanto trattasi di istituto non suscettibile di applicazione generale coercibile da parte del legislatore (si menomerebbe la prerogativa presidenziale) bensì di misura eccezionale volta ad umanizzare nel caso concreto e singolo il rigore, talvolta disumano ed anticostituzionale, delle sanzioni irrogate in esito ai fallibilissimi procedimenti penali regolati e gestiti da umani - potrebbe salvare centinaia, migliaia di singole vite appunto umane. Esaminando le statistiche riportate sul sito del Quirinale è pertanto sorprendente apprendere che la commutazione presidenziale della pena risulti istituto di fatto disapplicato (in totale i casi di commutazione concessa sono stati …, mentre le grazie …), se solo si considera che la grazia, qualora correttamente circoscritta alla cancellazione o riduzione quantitativa della pena di regola detentiva, è istituto più problematico rispetto ad esempio alla commutazione della residua pena detentiva in carcere in detenzione domiciliare o in pena pecuniaria al di là di quanto già previsto in tema di irrogazione/adozione giurisdizionale di misure alternative alla detenzione (legge 663/1986) e di insufficienti provvedimenti legislativi ‘svuota-carcerì. Ciò deriva anche dal fatto che le domande di commutazione sono sparute, a fronte invece di un massivo ricorso alle domande di grazia. A sua volta questo dato non può non risentire della sopravvivenza testuale del citato art. 174 del codice penale fascista. Circa la spettanza del potere di commutazione e la procedura del suo esercizio non si può eludere l’art. 89, primo comma, della Costituzione, secondo cui “Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. Con la sentenza costituzionale 200/2006 della Corte Costituzionale sulla grazia a Bompressi la Consulta ha sancito la natura sostanzialmente presidenziale dell’atto di concessione della grazia, nel senso che il Ministro controfirmante ha un mero dovere di svolgere l’istruttoria e di collaborare col Capo dello Stato, e di controfirmare notarilmente l’atto presidenziale in veste di controllo meramente di regolarità formale, ma non può inibire al Presidente della Repubblica di concedere la grazia anche se il Ministro stesso o il Governo sia di diverso avviso. Significativi i passaggi della sentenza dove si ammette la natura equitativa, e dunque “politica” della concessione della grazia (si veda la voce “Grazia”, Volume 7, pagg. 198 e seguenti, nell’Enciclopedia giuridica de Il Sole 24 ore, edita nel 2007, a cura del Prof. Salvatore Patti e commentata da Vincenzo Maiello), che quindi non si configura dal punto di vista materiale come atto legislativo, né amministrativo, né giurisdizionale benché sia un atto che a ben vedere sostanzialmente consente di far valere una deroga all’eguale applicazione delle sanzioni penali, di soddisfare un interesse concreto ed immediato rapportato alla situazione espiativa del graziato e modifica gli effetti di decisioni prese in via definitiva dall’autorità giurisdizionale. È proprio una valutazione politica sulle esigenze di credibilità ed umanità delle istituzioni che spinge il Capo dello Stato, quale garante dell’unità nazionale, a correggere per casi singoli distorsioni disumane dell’applicazione formale della legge. È insomma una sorta di ‘prepotente urgenzà (ma a differenza che per amnistia e indulto, valutata caso per caso) nei confronti dei condannati che facessero, ma anche che non facessero, domanda di grazia (o di commutazione della pena), che spinge il Presidente della Repubblica ad imporsi - se del caso - sul Parlamento, sul Governo e sui giudici per riportare la concreta applicazione del diritto vicina al sentimento di giustizia, umanità e solidarietà che lo Stato non può in nessun momento negare ai cittadini che col patto sociale lo costituiscono. In assenza di una disciplina legislativa autonoma dell’istituto della commutazione presidenziale, che superi la norma di epoca fascista e sia finalmente in linea con l’art. 87.11 della Costituzione, per analogia può ritenersi ancora applicabile quella prevista per la grazia (di cui all’art. 681 del codice di procedura penale), sebbene il minore impatto della commutazione rispetto alla grazia (che cancella in tutto o in parte la pena) imporrebbe per la prima una procedura differenziata e più snella. Nelle prassi ministeriali, giudiziarie e quirinalizie invece, come detto, pare non si faccia distinzione nemmeno formale tra procedura di grazia e procedura di commutazione. In attesa che il Capo dello Stato voglia ritenere giunto il momento di un messaggio formale alle Camere sulla prepotente urgenza costituzionale ed umanitaria di superare l’attuale catastrofe delle carceri italiane, e che le Camere votino a maggioranza qualificata - come imposto dall’art. 79 della Costituzione - l’ormai improcrastinabile amnistia o indulto come misura “salvavita” e salva-Repubblica - è possibile per il Parlamento incoraggiare, mediante un ordine del giorno votato a maggioranza semplice - il Presidente della Repubblica Napolitano, prestandogli all’uopo un opportuno e preventivo conforto politico ed istituzionale, all’esercizio umanitario, e per una massa di casi singoli di persone oggi detenute che sono quotidianamente a rischio della vita nelle attuali condizioni carcerarie italiane, della sua esclusiva prerogativa (in alternativa alla grazia) di commutazione della pena detentiva in detenzione domiciliare o (a seconda dei casi) in sanzioni pecuniarie anche in assenza di richiesta degli interessati come previsto analogicamente dall’ordinamento, anche in casi per i quali non è stata disposta o non è attualmente ammessa la detenzione domiciliare o in comunità, con esclusione dei condannati in via definitiva per soli reati gravissimi e di massima pericolosità sociale. Giustizia: Bernardini; l’affidamento al servizio sociale tra le pene detentive non carcerarie Public Policy, 12 settembre 2012 Introdurre l’affidamento al servizio sociale tra le pene detentive non carcerarie previste nel disegno di legge del Governo sulla depenalizzazione. Lo ha chiesto la deputata radicale Rita Bernardini (eletta nelle fila del Pd) in commissione Giustizia alla Camera. Bernardini ha chiesto ai relatori di abbinare la sua proposta di legge al testo base che verrà successivamente adottato: “Una proposta - ha detto - del tutto conforme alla finalità del disegno di legge del Governo nelle parti relative alle pene detentive non carcerarie e alla messa alla prova”. Il provvedimento presentato dalla deputata radicale modificherebbe il codice penale introducendo la nuova pena dell’affidamento al servizio sociale, che affiancherebbe le tradizionali pene principali, “da irrogare direttamente dal giudice con la sentenza di condanna per reati puniti con la reclusione non superiore a 3 anni”. D’accordo con la ratio della proposta si è detta uno dei due relatori, Donatella Ferranti (Pd), ma c’è un problema legato alla carenza di personale: “Occorrerebbe invertire - ha sottolineato Bernardini in commissione - la tendenza in atto che vede un continuo depotenziamento, fino ad arrivare a un sostanziale smantellamento, degli Uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe). Inoltre non si può non tenere conto dei continui gridi di allarme degli assistenti sociali il cui numero è così ridotto da essere stato quasi azzerato”. Ad agosto lo stesso Governo aveva accolto un ordine del giorno della deputata radicale durante l’approvazione della spending review. Impegnava l’Esecutivo a “escludere dalla riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni il personale della carriera dirigenziale penitenziaria, oltre che il restante personale amministrativo, educatori, psicologi, assistenti sociali”. “A che punto è - ha chiesto ancora Bernardini - la sua attuazione?”. Il disegno di legge “Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili” è stato presentato dal Guardasigilli Paola Severino il 29 febbraio 2012 e ha iniziato il suo iter in commissione Giustizia alla Camera il 29 marzo. Il testo è stato abbinato con altre sei proposte di legge in materia. Giustizia: Bagnasco (Cei); sovraffollamento inaccettabile, necessario intervento urgente Tm News, 12 settembre 2012 La Chiesa italiana torna a chiedere con urgenza un intervento per porre fine alla emergenza carceri del nostro Paese che ha raggiunto un livello di sovraffollamento dei penitenziari “inaccettabile” con condizioni di vita “inumane sotto il profilo etico e sociale”. “Come pastori - ha ammonito in una intervista alla rivista “Tempi” il Presidente della Cei Angelo Bagnasco - da tempo abbiamo sottolineato la necessità di approntare un piano-carceri che sia degno della nostra tradizione giuridica e umanistica. Anche un solo suicidio che avvenga per le condizioni disumane cui sono soggetti i carcerati è di troppo. Non è vero, e non si può pensare che quelle dei carcerati siano vite a perdere. Le cifre del sovraffollamento sono inaccettabili sotto il profilo sociale ed etico”. Giustizia: sit-in Ugl Polizia Penitenziaria; condizione organizzativa del Corpo è vergognosa Agenparl, 12 settembre 2012 “Oggi siamo in presidio a Piazza Montecitorio per sensibilizzare il Governo, il Parlamento e l’opinione pubblica sulla vergognosa condizione organizzativa del Corpo di Polizia Penitenziaria e sul mancato riconoscimento dei ruoli ai Funzionari che ne rappresentano i vertici”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, a margine della manifestazione in corso dalle 10 di questa mattina davanti alla Camera dei Deputati, spiegando che “il ruolo dei Commissari di Polizia Penitenziaria, a dodici anni dalla sua istituzione, è disallineato rispetto alle altre Forze di Polizia. È una condizione avvilente, perché al termine del corso formativo, al personale della Polizia di Stato e del Corpo Forestale dello Stato viene attribuito direttamente il ruolo di Commissario, mentre al personale della Polizia Penitenziaria viene riconosciuto il ruolo di vice Commissario ed occorre attendere due anni per ottenere il passaggio. Ma - specifica il sindacalista - anche con l’ottenimento del ruolo di Commissario, non è definita in alcun modo la specificità delle funzioni. Addirittura, il Regolamento di servizio del Corpo non ne contempla l’esistenza, pur essendoci leggi dello Stato che equiparano le qualifiche dei Corpi delle Forze dell’Ordine. E questa situazione, naturalmente, si riverbera su tutti i passaggi in carriera del personale di Polizia Penitenziaria”. “Non siamo qui a chiedere riconoscimenti economici - continua Moretti - ma solo il riconoscimento delle legittime funzioni e della dignità professionale di donne e uomini che quotidianamente profondono il proprio impegno in condizioni del tutto inaccettabili, a causa dell’eccessivo sovraffollamento degli istituti di pena e della cronica carenza di organico, che dovrebbe essere ampliato per far fronte alle reali esigenze della condizione detentiva”. “Abbiamo chiesto un intervento per la risoluzione di questo problema al ministro della Giustizia e al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, senza mai avere risposte. Ora ci rivolgiamo anche ai politici - conclude il sindacalista - con la speranza che come rappresentanti dei diritti democratici ci aiutino ad affermare i legittimi diritti di circa 38 mila donne e uomini in uniforme che prestano servizio nelle carceri italiane”. Giustizia: carcere obbligatorio per i mafiosi; Cassazione solleva illegittimità costituzionale Ansa, 12 settembre 2012 Perché anche per l’associazione mafiosa il Codice di procedura penale non prevede ipotesi di esigenze cautelari alternative al carcere? Con questo dubbio le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 34473/2012, spediscono in Corte costituzionale l’articolo 275 c.p.p. nella parte in cui anche per l’associazione mafiosa non fa salva l’ipotesi che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con misure alternative al carcere. La questione di legittimità costituzionale è incentrata in particolar modo sul secondo periodo del comma 3 dell’articolo 275, come modificato dall’articolo 2 del Dl 23 febbraio 2009 n. 11 (il c.d. “Pacchetto Sicurezza“, ovvero Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito con modificazioni nella legge 23 aprile 2009 n. 38, che prevede che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari. Le Sezioni Unite reputano illegittima la disposizione nella parte in cui non fa salva anche l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Per gli Ermellini “analoghe considerazioni ben possono valere anche con riferimento alla forma aggravatrice del c.d. metodo mafioso”. Giustizia: reato di “omicidio stradale”, via la patente per 15 anni Corriere della Sera, 12 settembre 2012 Quindici anni di revoca della patente in caso di omicidio colposo compiuto da automobilisti sotto l’effetto di alcol e droghe e da pirati della strada. E il giro di vite introdotto dalla mini riforma del codice della strada approvata, in sede referente e a grandissima maggioranza, dalla Commissione Trasporti della Camera. La mini riforma prevede, poi, sul fronte delle multe, una riduzione del 20% dell’importo se il pagamento avviene entro 5 giorni dalla contestazione o dalla notifica. La “ratio” è quella di introdurre (dopo l’inasprimento dei massimi avvenuto a più riprese negli ultimi anni) anche meccanismi virtuosi che possano assicurare non solo l’effetto dissuasivo, ma soprattutto la certezza della pena. Secondo il presidente della Commissione, Mario Valducci (Pdl) firmatario della proposta, “si tratta di un testo snello e molto avanzato che costituisce un altro tassello importante per consolidare la “nuova cultura della guida responsabile”. Il provvedimento passa ora all’esame dell’aula di Montecitorio. Giustizia: caso Cucchi; per perito della famiglia “trauma diretto e recente alla vertebra” di Adelaide Pierucci Il Messaggero, 12 settembre 2012 Un trauma diretto e recente alla vertebra. I superperiti nominati dalla III Corte di Assise di Roma, che stanno valutando le cause della morte di Stefano Cucchi, si sono trovati davanti alla nuova “diagnosi”. La versione è quella del professor Gaetano Thiene, il luminare che ha dato una svolta al processo per la morte di Federico Aldrovandi e adesso è stato chiamato dalla famiglia Cucchi a pronunciarsi sui reperti. Nell’ultima riunione con i consulenti degli imputati e delle parti civili nessuno avrebbe contestato la teoria di Thiene, che potrebbe concretamente avere un ruolo nella relazione finale degli esperti, chiamati a stabilire cosa abbia ucciso Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre del 2009 e morto misteriosamente sei giorni dopo. Secondo il professore, la lesione di fibre muscolari della zona lombare, all’altezza della vertebra L3, “con infiltrato emorragico” proverebbe un trauma da colpo diretto (non da caduta) e soprattutto recente. Non si chiude, così, la battaglia su uno dei nodi della vicenda Cucchi. Per la morte del trentunenne romano, arrestato per droga e deceduto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Fortini, sono dodici gli imputati tra guardie penitenziarie, medici e infermieri. Se davvero i periti accogliessero la lettura dei reperti di Thiene, ossia l’ipotesi dell’urto diretto alla vertebra, verrebbero ribaltati gli ultimi esami consegnati dalla procura ai giudici, che fanno riferimento a una lesione del 2003, come testimoniato dalla cartella clinica di un precedente ricovero del detenuto. “Purtroppo tra i documenti presentati dalla procura, manca proprio la lastra”, ha tagliato corto Fabio Anselmo, uno degli avvocati della famiglia Cucchi. “E comunque che senso ha parlare di una lesione su una vertebra integra o che era già stata lesionata in passato? Ci sono tutte le altre ecchimosi, al torace, alla schiena, alla mandibola. Quante volte Cucchi sarebbe caduto? Credo che l’ultima produzione del pm risolverà definitivamente il problema”. Intanto il processo slitterà ancora. I tempi della superperizia si allungano. E il 19 settembre il collegio peritale - formato da sei docenti universitari milanesi, i professori di medicina legale Marco Grandi e Cristina Cattaneo, dal cardiologo Giancarlo Marenzi, dal neurochirurgo Erik Sganzerla, dall’anestesista Gaetano Iapichino e dall’ urologo Luigi Barana - non potrà consegnare alla Corte la relazione. Solo nei giorni scorsi sono cominciate le tac dei frammenti lombari, seguite in prima persona dall’anatomopatologa forense Cristina Cattaneo, la scienziata delle ossa. Soltanto il primo di una serie di test, secondo indiscrezioni, che dimostrerebbe l’intenzione dei periti di ripartire da zero con l’esame dei reperti e della documentazione. Per l’avvocato Gaetano Scalise, legale del professore Aldo Fierro, primario del reparto di medicina protetta dell’ospedale Patini di Roma, uno dei medici sotto processo per il caso Cucchi, non ci sono dubbi. “La nuova documentazione consegnata dalla procura riaprirà la discussione in aula. Anche se noi restiamo convinti delle nostre conclusioni: la morte è stata causata da un problema cardiaco improvviso”. Ma, per l’avvocato Anselmo, la questione centrale resta quella della lesione sacrale, “mai messa in discussione”, dice, “e non della vertebra L3. Quel trauma, più grave degli altri, causato da un colpo diretto ha provocato la bradicardia e quindi la morte. La bradicardia di Stefano - sottolinea il legale - è un riflesso del ritmo giunzionale che ha mandato in tilt la centralina del cuore. Perché, in questi casi, il ritmo cardiaco rallenta sempre più e se non sopraggiunge, tempestivo, un intervento medico, il battito diminuisce fino a fermare il cuore”. Il processo vede imputati i medici Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti e Flaminia Bruno, gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, e gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. A vario titolo, e a seconda delle posizioni, sono accusati di favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità. Per Ilaria Cucchi, la predisposizione della superperizia chiesta dalla Corte di Assise, e in quanto cruciale ancora in una fase delicata, proverebbe il fallimento dei consulenti della procura: “Quello che sta emergendo noi lo avevamo già detto un anno fa in udienza preliminare”. Lettere: in ricordo di Otello Conisti, l’ironia contro le carceri e le leggi speciali di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2012 Martedì 11 settembre 2012. A Roma un sole caldo illumina il Verano e le sue mura costeggianti un bel tratto della via Tiburtina. Degli amici raggiungono il cuore del cimitero senza prendere il bus elettrico. Li sento col cellulare. Non mi posso muovere dal posto di lavoro. Le regole sono regole. E un semilibero non può andare ad un funerale senza averne l’autorizzazione. Ho saputo qualcosa nel tardo pomeriggio di ieri. Una telefonata, parole rapide a zig zag, carceri come Rebibbia Nuovo Complesso e Bellizzi Irpino, il solito cancro, aveva lavorato con “Sensibili alle foglie” e rivedo l’immagine sorridente del roscio Otello Conisti, un mio coimputato. Quando potevo chiedere di partecipare alla commemorazione? Stamattina? Nel migliore dei casi mi avrebbero risposto dopo questa giornata. E così, pur essendo lontano dalla Sala del Tempietto egizio, laddove stamattina si svolge la cerimonia in modo laico, immagino la scena. Molte persone attorno alla bara, poltroncine foderate di velluto, qualcuno proferisce parole semplici ma sentite, alcuni si riabbracciano per la prima volta dopo gli anni 80 trascorsi nelle patrie galere, altri portano delle corone di fiori. Una piccola comunità reale, frantumata dai mille travagli della vita e della storia, sembra ricomporsi col ritmo solenne di un classico brano jazz. Risorge dopo lunghi tempi di frenetica monotonia. Usa linguaggi verbali e non verbali come strumenti dei ricordi. Chi era Otello? Sfoglio un vecchio decreto di citazione per il processo Moro bis: Conisti Otello, nato a Poggio Fidoni 11.3.1958, detenuto Casa Circondariale Rebibbia N.C.. Arrestato nel maggio del 1980 a Roma, città in cui viveva da tempo, era accusato di far parte del Movimento Proletario di Resistenza Offensivo, cioè di un’area di simpatizzanti delle Br. Il 21 giugno 1982, nel corso del processo Moro bis in Corte d’assise, fa prima “sapere che chi lo ha inserito nel nuovo gruppo di “dissociati” ha preso un abbaglio” e poi dice “al presidente Santiapichi di revocare il mandato al difensore e di non voler rispondere ad alcuna domanda” (La Stampa, 22.06.1982). Dopo il mio arresto, avvenuto nel novembre 1982, lo conobbi. C’era la fase finale del processo Moro bis e Otello lo ricordo con la faccia simpatica, un paio di jeans, un maglione color arancio e uno zuccotto di lana in testa quasi per anticipare di un ventennio l’estetica del cantante Manu Chao. Non aveva reati di sangue o per specifiche azioni armate ma il Pubblico Ministero Nicolò Amato propose di donargli 18 anni di galera, una condanna quasi uguale a quella prospettata per i “pentiti” pluriomicidi. Due pesi e due misure. In seguito la pena gli fu ridotta ma trascorse in carcere il decennio successivo all’arresto. Superò quell’esperienza con la forza dell’ironia, del ragionamento e della volontà di costruire una nuova e dignitosa prospettiva di vita. Com’era di carattere? È semplice dirlo: gioviale, scanzonato, arguto in stile romanesco. Gli piaceva giocare col dialetto pur non essendo romano de Roma. Mai aggressivo verso gli altri, sempre disposto al dialogo ma fermo nei valori della solidarietà contro le oppressioni, nella critica alle leggi premiali, nell’assunzione delle proprie responsabilità e quindi nel rifiutare una rapida libertà mandando in galera altre persone o facendosi attrarre dalla logica dell’abiura denominata “dissociazione”. In un quadro di mestizia aveva la capacità di fare battute ironiche e produrre il buon umore anche ai più depressi. Nel carcere di Bellizzi Irpino, dove fu catapultato a metà degli anni 80, diceva ad esempio e in modo salomonico: “Qui non si soffre come cani ma come cinque canili”. I gradi di sofferenza nelle carceri erano da lui paragonati al numero dei canili. Aveva ragione. Ogni carcere è simile ad una specifica quantità di canili. Di vario grado e affollamento. Mentre scrivo queste cose a mo’ di diario, tanto per mantenere per sempre il ricordo di Otello, un amico mi telefona: “c’erano molte persone. Ho rivisto alcuni che lavoravano e altri che ancora lavorano con “Sensibili alle foglie”. Parecchi ex compagni di carcere. La moglie Mara, colleghi di lavoro di quest’ultima, e la figlia Egle di 21 anni. Sembrava che il sole di oggi volesse asciugare le lacrime e donare un sorriso a tutti”. Livorno: Marini (Fed. Sinistra - Verdi); il carcere di Porto Azzurro va chiuso Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2012 Mozione al consiglio regionale. “All’interno condizioni di vita non umane, poco personale di sorveglianza e una struttura che cade a pezzi”. “L’Istituto penale Forte San Giacomo di Porto Azzurro versa in condizioni che hanno dell’incredibile - la denuncia parte dal consigliere regionale Paolo Marini (Federazione della Sinistra - Verdi) che ha visitato la struttura carceraria nelle scorse settimane, insieme a una delegazione sindacale - tutte le sedi penitenziarie della Toscana sono in stato pessimo : strutture che cadono a pezzi, sovraffollate, con poco personale di sorveglianza. A Porto Azzurro accade che i reclusi vivano stipati nelle celle; in alcune sezioni del carcere a controllare alcune centinaia di detenuti ci sono non più di due unità di polizia penitenziaria, durante il giorno; l’approvvigionamento di acqua è difficile e questo crea problemi sul fronte sanitario e igienico”. “C’è bisogno che la struttura venga sottoposta a interventi urgenti e non rinviabili - spiega il consigliere regionale - per questo è necessario che venga chiusa e svuotata. Oggi pomeriggio, in apertura di seduta, presenterò una mozione al consiglio regionale per chiedere al presidente Rossi e alla giunta di attivarsi con misure concrete per migliorare le condizioni di vita dei detenuti di Porto Azzurro e garantire al personale in servizio, amministrativo e di polizia penitenziaria, condizioni di lavoro adeguate”. Catanzaro: Ugl; al carcere minorile serve un aumento di personale Agi, 12 settembre 2012 “A pochi mesi dal completamento dei lavori del nuovo complesso minorile di Catanzaro, oggetto di un’imponente attività di manutenzione straordinaria ed ampliamento, nessun riscontro si è registrato in termini di incremento di personale”. Lo ha detto, nel corso di una riunione tenutasi nel Dipartimento per la Giustizia minorile del Ministero della Giustizia, il coordinatore nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Walter Campagna. “Alla luce di ciò - ha aggiunto Campagna, secondo quanto riferisce un comunicato - è impensabile programmare una data di inaugurazione della stessa struttura se il superiore dipartimento non provvederà a colmare tale problematica, oggi aggravata dalla chiusura del Centro di prima accoglienza di Reggio Calabria. All’incontro, indetto dal neo capo del Dipartimento per la Giustizia minorile, Caterina Chinnici, ha preso parte anche il Direttore generale per l’Attuazione dei provvedimenti giudiziari del Ministero della Giustizia, Serenella Pesarin, che ha inteso sostenere la mia richiesta illustrando al nuovo capo del Dipartimento la complessità dei servizi dell’Ipm e in generale del Centro minorile di Catanzaro”. “L’incontro - ha detto Campagna - è stato anche l’occasione per rivolgere al nuovo capo del Dipartimento l’invito a visitare al più presto i servizi minorili di Catanzaro”. Voghera (Pv): protocollo di intesa tra carcere e Comune per avviare detenuti al lavoro La Provincia Pavese, 12 settembre 2012 Il Comune di Voghera lancia una ciambella di salvataggio ai detenuti del carcere di Medassino, o almeno a quelli che dimostrano di volersi reinserire nella società in modo attivo. Nei giorni scorsi, il sindaco di Voghera Carlo Barbieri e la direttrice dell’istituto di pena, Maria Gabriella Lusi, hanno firmato un protocollo d’intesa per offrire occasioni di lavoro per i detenuti. Si tratta di un’iniziativa alla quale ha lavorato l’assessore alla Cultura Marina Azzaretti. È stata lei a insistere - c’erano resistenze da parte della Lega nord - per la conclusione dell’accordo, che avrà la durata di un anno. Il Comune si impegna a offrire opportunità di lavoro per lo svolgimento di servizi per la comunità. Saranno soprattutto lavori di pulizia e manutenzione del verde (e il promo servizio sarà in vista di “Porte aperte al castello”). Ovviamente non si tratterà di chiamate individuali:: “Stipuleremo ogni volta convenzioni a titolo oneroso con cooperative sociali di tipo b - spiega Marina Azzaretti. La cooperativa sociale individuata dal Comune dovrà obbligarsi a impiegare le persone che, all’interno della casa circondariale di Voghera, avranno dimostrato di puntare a un pieno reinserimento sociale”. Il carcere definisce in modo esplicito quali sono i soggetti per i quali esistono le condizioni per l’ammissione al lavoro all’esterno. Quasi in contemporanea, in particolare da sabato 22 settembre, parte il corso di formazione rivolto ai volontari o aspiranti volontari per il carcere di Voghera. In un’ottica di avvicinamento carcere-territorio la Consulta per i problemi sociali del Comune di Voghera in collaborazione con diverse associazioni, ha promosso questa iniziativa. Genova: a Palazzo di Giustizia basta sfilate di detenuti in manette di Giuseppe Filetto La Repubblica, 12 settembre 2012 Il Pg Vito Monetti impone ingressi separati e protetti per difendere la dignità degli imputati ma anche per garantire maggiore sicurezza a Palazzo di Giustizia. “Oltre a garantire la sicurezza, si tratta di rispettare la dignità delle persone”, precisa il procuratore generale. L’iniziativa ha lo scopo di evitare che gli arrestati passino davanti ai visitatori di Palazzo di Giustizia. Le auto di polizia, carabinieri, vigili urbani e delle altre forze dell’ordine si fermano in via 5 Dicembre e da queste scendono i malviventi appena arrestati. Un fatto che si espone a un duplice inconveniente: da una parte l’assenza di sicurezza per gli stessi fermati, che vengono a contatto con chiunque, ed anche per i visitatori e gli impiegati del Palazzo; dall’altra, il triste spettacolo di veder sfilare gente in catene. Nel piano di sicurezza relativo a tutto l’edificio, sul quale da qualche mese lavora un pool di agenti di polizia giudiziaria, sono stati individuati percorsi alternativi all’ingresso principale del tribunale: per condurre gli arrestati nelle aule dove si svolgono i processi, al nono piano della Procura della Repubblica (sede dei pm) e al decimo dei gip. Le scorte ed i detenuti dovranno passare dalle carraie laterali, dagli stessi varchi finora utilizzati dai carcerati tradotti dalla Polizia Penitenziaria, che peraltro si avvalgono di ascensori riservati per l’occasione. Nel piano di sicurezza che la Procura Generale si appresta a mettere in atto, è previsto anche un giro di vite sugli accessi, tanto è vero che proprio in questi giorni è stato rinforzato il servizio di vigilanza e di controllo ai varchi attrezzati con metal detector. Santa Maria Capua Vetere (Ce): ieri mattina sit-in dei Radicali davanti al carcere www.casertanews.it, 12 settembre 2012 Dalle cinque del mattino fino a tarda mattina si è svolto, davanti alla casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere (Ce), il sit-in Non-violento, organizzato dall’Associazione Radicale “Legalità & Trasparenza” di Caserta. Alla manifestazione erano presenti Luca Bove, del Comitato Nazionale dei Radicali Italiani, Domenico Letizia e Gianroberto Zampella, militanti dei Radicali Caserta, che hanno raccolto più di 90 firme, dei parenti dei detenuti, in fila da molte ore per ottenere il prima possibile il colloquio con i loro familiari detenuti nella casa circondariale della città del Foro casertano. I militanti Radicali dichiarano: “Siamo molto soddisfatti dell’esito della nostra iniziativa, abbiamo ottenuto un ottimo sostegno da parte delle persone, che già dalle prime luci dell’alba affollavano il parcheggio antistante il penitenziario e siamo felici che alle firme dei parenti dei detenuti si sono aggiunte anche quelle di alcuni legali che insieme a noi Radicali chiedono l’amnistia allo scopo di una vera e concreta riforma strutturale del sistema giustizia del nostro paese. Purtroppo siamo meno gratificati dalle testimonianza che abbiamo raccolto, infatti i parenti dei detenuti ci hanno raccontato che il carcere versa in condizioni davvero critiche e la nota più negativa che ci siamo trovati a registrare è che a molti detenuti manca una adeguata assistenza sanitaria e gli unici farmaci disponibili per i detenuti sono psicofarmaci i quali vengono utilizzati per qualsiasi tipo di patologia”. Milano: apre il locale con i mobili riciclati dai detenuti di Bollate Redattore Sociale, 12 settembre 2012 Otto detenuti del carcere di Bollate, guidati dall’architetto Filippo Bartolini, hanno dato nuova vita a sedie e tavolini destinati alla discarica. All’interno si trovano anche vestiti, occhiali, borse. Inaugurazione il 14 settembre Il Riciclart temporary bar non è circondato dai soliti locali alla moda di via Tortona. Si trova in uno spiazzo che si apre una trentina di metri dopo il civico 31: un ambiente che di solito ospita le carrozzerie della zona. È riduttivo chiamarlo “locale”: al suo interno, infatti, c’è anche un negozio d’abbigliamento. Ma si trovano anche occhiali, borse, peluche. Impossibile definirlo: il Riciclart bar è una sintesi tra attenzione all’ambiente, moda e carcere. L’intera mobilia è stata realizzata da otto detenuti del carcere di Bollate con materiale di recupero. Le sedie e i tavolini a quest’ora dovevano marcire in qualche discarica del milanese. Invece i carcerati, sotto la guida dello scenografo e architetto Filippo Bartolini, hanno dato loro nuova vita trattandole con materiali speciali e rivestendole con carta di giornali. Il “bancone”, invece, è stato realizzato con quattro bancali di legno, lavorati in modo da costituire un unico piano d’appoggio. Il pezzo forte dell’arredamento è una parete composta da 1.500 “mattonelle di plastica”, retroilluminate a led. “La particolarità - spiega Bartolini - è che è tutto fluttuante: essendo un bar temporaneo, tutto può essere spostato e ricollocato in altri spazi”. Bartolini s’è ritagliato il tempo per realizzare questi pezzi a luglio, quando non stava lavorando alle scenografie di Servizio pubblico, il programma di Michele Santoro. “Il progetto sta avendo un buon successo - dice-: ho ricevuto moltissime domande perché i mobili hanno costi molto bassi”. Si parla di 30-40 euro per sedie e nessun pezzo supera i 150 euro. Inestimabile, invece, il valore dell’esperienza per i carcerati: “Per loro lavorare con materiale di riuso aveva quasi un valore metaforico. Era come se stessero riciclando le loro stesse vite”, conclude Bartolini. “È moderno e cosmopolita, informale e amichevole, un luogo dove ci si può fermare a prendere un caffè o un aperitivo e comprarsi un vestito, anche di seconda mano”. Fabrizio Filippini è entusiasta del Riciclart temporary bar. Agente della Consultami, società di consulenze per il mondo della moda che ha in gestione il locale fino alla fine del 2012, Filippini ha investito 25mila euro per dar vita al Riciclart bar. “Era un modo per far vivere l’esperienza del laboratorio anche fuori dal carcere di Bollate”, sottolinea. L’inaugurazione del locale sarà il 14 settembre, ma già i primi curiosi iniziano già a sbirciare dentro il locale. E cosa ci sarà tra tre mesi? Difficile a dirsi, confida Filippini: “Potrebbe tornare ad essere un garage, oppure potrebbe continuare ad essere un bar. Dipende da come andrà quest’esperienza ma la filosofia di fondo prevede che il progetto si chiuda, per lasciare spazio a qualcosa di nuovo”. Lanciano (Aq): porta hascisc al fratello in carcere, arrestata Il Centro, 12 settembre 2012 Una giovane donna di Napoli, A.S., è stata arrestata per aver tentato di introdurre nel carcere di Lanciano oltre 15 grammi di sostanza stupefacente, presumibilmente hascisc. La donna, in visita questa mattina al fratello detenuto nella struttura, nel corso del colloquio ha passato al fratello F.S. un involucro contenente la sostanza. Il passaggio non è sfuggito agli agenti addetti alla sorveglianza, che al termine della visita hanno sottoposto ad accurata perquisizione il detenuto, trovandolo in possesso di una stecca di sostanza stupefacente occultata sotto una fasciatura che da qualche giorno portava al polso sinistro. “L’autorità giudiziaria, immediatamente interpellata, ha disposto per l’arresto della donna che in serata è stata associata alla sezione femminile del carcere di Chieti. Per il detenuto, oltre al nuovo procedimento penale, si prevedono severi provvedimenti disciplinari. Palermo: carcere dell’Ucciardone, detenuto aggredisce agente penitenziario Ansa, 12 settembre 2012 Violenza nel carcere dell’Ucciardione dove un assistente capo della polizia penitenziaria è stato aggredito. È successo ieri nel pomeriggio quando un detenuto ha colpito l’agente G.G, di 44 anni, alla tempia con un oggetto tagliente. Il ferito è stato immediatamente trasportato in ospedale. Hanno riportato l’accaduto i sindacalisti Gioacchino Veneziano e francesco D’Antoni, rispettivamente di Uil-Pa e Ugl. Per i segretari regionali dell’organizzazione dei lavoratori è necessario “lavorare su molti fattori, tra cui quello che riguarda l’adeguamento degli organici di polizia: su 523 unità previsti dalle piante organiche ministeriali solo 350 sono gli effettivi, e se togliamo una media giornaliera di 50 assenti, significa che i numeri scendono ad appena 300 unità, di cui appena 150 uomini nell’arco delle 24 ore si occupano di vigilare sulla sicurezza della struttura che oggi contiene 550 detenuti”. Roma: a Rebibbia al via tre giorni musica e teatro Dire, 12 settembre 2012 Due giornate di studio e tre di spettacolo. Con musica, cultura e teatro dietro le sbarre del grande carcere romano di Rebibbia. Partirà venerdì il nuovo progetto etico-sociale, artistico e didattico Rebibbia da Ascoltare, una manifestazione dedicata alla “rieducazione” artistica dei detenuti romani attraverso “un racconto etico” capace di stimolare una dialettica stimolante per chi vive la reclusione. L’iniziativa, promossa dall’assessorato alla Cultura di Roma Capitale, è stata presentata questa mattina da Corrado Veneziano, ideatore della manifestazione e da Luca Morgante, funzionario del ministero di Giustizia. In calendario tre giorni dedicati alla musica e alla recitazione, incentrati su alcuni grandi personaggi che hanno segnato la storia d’Italia: venerdì l’attore Cosimo Cinieri, accompagnato dalla musica del gruppo Le Guerin & Les Italiens, reciterà “Giuseppe Garibaldi a Rebibbia”. Venerdì 21 Lunetta Savino, accompagnata dal gruppo Paolo Rainaldi Trio Blues, sarà “Maria Montessori a Rebibbia”. Lunedì 1 ottobre, infine, Emilio Solfrizzi, accompagnato dalla Rainaldi funky gang, sarà la voce recitante di “Karol Wojtyla a Rebibbia”. Tutte le rappresentazioni avranno luogo nella casa circondariale di Rebibbia. Milano: un Giornale Radio dal carcere di Bollate di Maria Itri Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2012 Un giornale radio realizzato interamente nel carcere di Bollate. Nell’ultimo numero di Carte Bollate, la rivista nata all’interno del carcere milanese, un dossier fa il punto sulla nuova esperienza, iniziata a gennaio di quest’anno. Diventati radiocronisti per caso i detenuti-redattori di Carte Bollate hanno condotto un Gr che è andato in onda tutte le domeniche sulle frequenze di Radio popolare e che è stato ripreso da Rai Uno. Maria Itri, giornalista radiofonica che ha coordinato questa attività, collaboratrice di Lsdi, spiega le emozioni di questa lunga avventura: “per raccontare un mondo come quello del carcere non c’è uno strumento migliore della radio”. Un giornale radio fatto per intero in carcere: quando lo scorso autunno ho ricevuto la proposta di aiutare, con William Beccaro, Susanna Ripamonti e Tilde Napoleone, la redazione di Carte Bollate e l’associazione Antigone in questa nuova avventura, ho avuto tanti dubbi e perplessità. Cinque o sei minuti di radio possono sembrare pochi per chi ascolta, ma in realtà sono uno spazio enorme. Riempirlo con argomenti interessanti, con un giusto ritmo e con una qualità buona per la messa in onda è un lavoro difficilissimo. Sapevo però che c’era un punto di forza in questo progetto: la radio è uno dei mezzi più entusiasmanti che esistano e creare da zero una puntata intera può essere davvero divertente. E poi, una trasmissione radio permette di fare arrivare all’ascoltatore una delle cose più intime che abbiamo, la nostra voce, con le sue incertezze, le emozioni, le paure e la forza. Per raccontare un mondo come quello del carcere non c’è uno strumento migliore. Ogni settimana decidevamo insieme l’argomento della puntata. Abbiamo parlato di tanti temi: l’affettività, il rapporto con i figli, il lavoro, la quotidianità. Abbiamo raccontato le iniziative che in questi mesi sono nate a Bollate. Tutto con l’obiettivo di aprire un canale con l’esterno, per far conoscere quello che realmente succede dietro le sbarre al mondo “fuori”, sfatando pregiudizi e leggende, e parlando dei problemi reali e profondi dei detenuti. La parte più complicata era quella della costruzione della puntata: i detenuti non possono usare gli strumenti che i giornalisti “fuori” hanno a disposizione, come il telefono e Internet. Tutti gli interlocutori dovevano essere avvicinabili in carcere, quindi le interviste andavano fatte ai detenuti o al personale che a vario titolo lavora o gravita su Bollate. La sorpresa più grande sono stati proprio i detenuti-redattori: sempre precisi, professionali, curiosi. Si sono ap­passionati alla radio immediatamente. Abbiamo cercato di dividere i compiti, creando delle professionalità diverse. Fondamentali sono stati i montatori: Fabio, Noureddin, Alessandro e Michele, che si sono alternati al montaggio, sono stati straordinari. Montare un GR è fondamentale: sbagliare in questa fase significa mettere a rischio tutto il lavoro dei compagni. Un buon montaggio non richiede solo precisione, ma anche creatività, fantasia e ritmo. E quante discussioni per stabilire se usare o no come tappeto sonoro la musica! Per fortuna sono stati velocissimi a imparare a usare i programmi di montaggio, e quando due di loro sono usciti dal carcere abbiamo subito trovato dei sostituti all’altezza. Ci sono stati poi i redattori: Francesco, Maurizio, Giancarlo, che si sono rivelati degli straordinari conduttori radiofonici, e con loro Stefano, Rosario, Enrico. Siamo riusciti a passare in pochi mesi e con qualche difficoltà da una conduzione in stile Radio Maria a una lettura più vivace e briosa. Tra i tanti momenti emozionanti ricordo la preparazione della puntata speciale per una trasmissione che ci è stata chiesta da Radio Uno Rai sui suicidi. Tutti hanno lavorato moltissimo, e il risultato è stato sorprendente. Quando l’abbiamo ascoltata tutti insieme, prima della messa in onda, ci siamo sentiti una vera redazione. Ma soprattutto abbiamo capito che eravamo riusciti a far passare un messaggio importante, che per la prima volta arrivava dal cuore del carcere. Ci sono stati anche momenti difficili: come ogni redazione che si rispetti abbiamo spesso lavorato sul filo dei minuti, con la chiusura che incombeva. Abbiamo gestito anche qualche incomprensione, sempre risolta con una discussione sincera. Abbiamo lavorato in una struttura aperta a queste esperienze come Bollate, ma pur sempre in carcere: con tempi stretti e possibilità di movimento limitata. Per me non è stata la prima esperienza in prigione: per lavoro avevo frequentato altri istituti, come Padova, San Vittore, Cremona. È stata però la prima volta in cui ho costruito un rapporto più du­raturo con i detenuti, e in cui mi sono confrontata con una realtà così dura. In questi mesi mi è venuta spesso in mente una frase sentita nel carcere di Padova: i detenuti sono persone, non reati che camminano. Qualche volta preparando le puntate del Gr mi è capitato di parlare con i miei colleghi detenuti dei loro problemi: il rapporto con i figli e la famiglia, lo smarrimento di chi aveva una vita “normale” e si è ritrovato dietro le sbarre, o al contrario il disagio di chi ha trascorso una vita continuamente dentro e fuori. Chi ha sbagliato e ha fatto un percorso importante dentro di sé, chi sta scontando la pena in un paese straniero, chi non vede l’ora di ricominciare e chi ha paura. Per questo è importante, credo, avere portato fuori dal carcere queste voci. Avere raccontato senza mediazioni, con la voce dei detenuti, una realtà - quella del carcere - che non è fatta solo di disperazione ma deve essere di speranza. Avere legato a doppio filo il mondo di dentro e quello di fuori, perché non si tratta di due realtà distanti e separate, come molti vogliono far credere, ma di una sola, la nostra. Musica: nel nuovo album di Marina Rei anche una canzone sul sovraffollamento Ansa, 12 settembre 2012 “La conseguenza naturale dell’errore”, è il titolo dell’album. All’interno anche Qui Dentro, la canzone sul sovraffollamento delle carceri, che aveva cantato al Primo Maggio quest’anno. L’annuncio del ritorno di Marina Rei sulla scena musicale italiana, dopo tre lunghi anni di assenza, arriva con “La conseguenza naturale dell’errore”. Sette inediti e uno speciale riarrangiato dal maestro Ennio Morricone. Il nuovo album sarà disponibile già a partire dal 18 settembre prossimo. All’interno del disco anche “Qui dentro”, una vera perla, un pezzo sul sovraffollamento delle carceri, che la cantante aveva già presentato durante il concerto del Primo Maggio di quest’anno. Il brano nasce dalle lettere arrivate a Radio Carcere e raccolte dal giornalista Riccardo Arena. “La cosa che mi ha colpito di più di queste parole”, dice la Rei, “è il fatto che i detenuti non chiedono uno sconto della pena, ma la grazia di vivere la loro condizione in maniera dignitosa”. Immigrazione: ricerca Università di Padova “I media incutono la paura dello straniero” Il Mattino di Padova, 12 settembre 2012 Lo studio dell’università di Padova sul linguaggio della cronaca: “La paura dello straniero è indotta dal racconto di tv e giornali”, secondo i ricercatori. I media usano un linguaggio che alimenta la paura dell’emigrazione? Secondo una ricerca dell’Università di Padova, se l’aggressore è un immigrato la cronaca nera utilizza nel 65% dei casi parole legate all’animalità, come “il selvaggio” o “la bestia”, mentre se è italiano il 66,7% delle volte le metafore sono legate all’esplosività della sua azione, come “la lite è scoppiata” o “è esplosa”. Il tema sarà affrontato venerdì 14 settembre nell’Archivio Antico di Palazzo del Bo nel corso del convegno “Immigrazione, paura del crimine e i media: ruoli e responsabilità”. La ricerca, sostenuta dalla Fondazione Cariparo e guidata da Jeroen Vaes del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, ha indagato le modalità con cui i media formano le percezioni delle persone sugli immigrati e sulla sicurezza delle città in cui vivono. Dagli studi effettuati emerge ad esempio come una larga fetta dell’opinione pubblica italiana sovrastimi - anche del 20% - la presenza di stranieri sul territorio, e associ automaticamente a questa presenza un pericolo per la sicurezza pubblica dovuto ad attività criminali e terroristiche da parte degli immigrati. Secondo i ricercatori questo allarme è ingiustificato dal punto di vista dei fatti, ed è correlato al modo con cui i media italiani “raccontano” l’immigrazione. Il linguaggio utilizzato nelle cronache da giornali e televisioni - spiegano i ricercatori - sarebbe caratterizzato da errori sistematici e rappresentazioni fuorvianti che creano pregiudizi e stereotipi nei confronti di chi arriva nel nostro Paese. Al progetto di ricerca hanno collaborato anche studiosi dello Iuav di Venezia e dell’Università degli Studi di Trieste. Francia: da Rita Bernardini interpellanza parlamentare sulla morte di Daniele Franceschi Asca, 12 settembre 2012 La morte di Daniele Franceschi resta ancora avvolta nel mistero. Il detenuto italiano di 36 anni, ristretto nel penitenziario francese di Grasse, aspetta ancora che giustizia venga fatta. Per evitare che la sua triste vicenda cada nelle dimenticanze delle lungaggini burocratiche, la parlamentare Rita Bernardini ha presentato un’interpellanza parlamentare per chiedere risposte al Governo. Sul suo blog Bernardini ha pubblicato il testo e il video dell’interrogazione nella quale spiega: “Signor Presidente, intanto voglio dare atto al Ministro Terzi di Sant’Agata - almeno per quello che io ho potuto constatare - di una attenzione quasi senza precedenti per i casi che colpiscono i nostri connazionali all’estero. Almeno, a me è capitato per vicende che gli ho sottoposto. Per quanto riguarda le notizie che, invece, ci sono state fornite dalla sottosegretaria Dassù - dobbiamo sottolinearlo - si tratta di notizie importanti in quanto la storia non si è fermata né in Francia, né in Italia. Abbiamo avuto notizie che, in precedenza, non conoscevamo - anche perché sono piuttosto recenti - e questo deve sicuramente riempirci di speranza di fronte ad una madre che, come la sottosegretaria ha ricordato, è una madre disperata”. “Tuttavia, disperata fino a un certo punto - recita ancora l’interpellanza di Rita Bernardini - lo voglio sottolineare ad onore di questa donna perché, vedete, in tutti questi mesi e in tutti questi anni, potremmo dire a partire dalla morte di suo figlio, non si è limitata semplicemente - e sarebbe stato già molto importante e fondamentale - a ricercare la verità sulla morte di suo figlio. Cira Antignano ha un impegno costante, qui in Italia, nel suo Paese, per sottolineare come siano fuori da ogni legalità le condizioni di detenzione nel nostro Paese, ed è in contatto con detenuti che sono malati nelle nostre carceri e non sono curati, oppure che vivono a centinaia di chilometri di distanza dalle proprie famiglie, contravvenendo così, il nostro Stato, all’ordinamento penitenziario. È in contatto con loro per cercare soluzioni e per cercare di dare conforto concreto”. Gran Bretagna: “impunità per la tortura”, l’Onu contro la riforma sistema giudiziario Tm News, 12 settembre 2012 Il testo allo studio del governo britannico che dovrebbe riformare il sistema giudiziario del Paese rappresenta un grave rischio per la verità e la giustizia: lo sostiene Juan Mendez, referente speciale delle Nazioni Unite per la tortura, secondo il quale le proposte del governo britannico, contenute nel “Justice and Security bill”, potrebbero cancellare tutte le prove dell’implicazione dei servizi segreti britannici nei casi di maltrattamenti e torture dei detenuti. “Se un paese è in possesso di informazioni su violazioni di diritti umani - ha spiegato Mendez, lui stesso vittima di torture nell’Argentina degli anni Settanta - ma non è in grado di citarli pubblicamente, questo ostacola gravemente la possibilità di combattere la tortura”. Dopo aver attaccato gli Stati uniti per “un uso troppo estensivo del segreto di stato”, Mendez ha fatto riferimento al cosiddetto “principio del controllo”, che consente - come spiega il Guardian - ai governi di determinare come e quanto le proprie informazioni segrete possano essere rese note una volta condivise con altri stati. Il governo conservatore britannico sostiene che, per mantenere il proprio canale di scambio privilegiato con gli Stati Uniti e con altri governi, è necessaria l’introduzione di audizioni segrete anche nel corso di processi civili, una riforma contestata dall’opposizione. In passato, la decisione dell’alta corte britannica di rendere pubbliche alcune informazioni che la Cia aveva trasmesso all’MI5 e all’MI6 aveva scatenato la furiosa reazione di Washington e l’imbarazzo dell’allora ministro degli Esteri laburista David Miliband. Divenne allora chiaro che i servizi britannici erano a conoscenza dei trattamenti disumani e degradanti utilizzati dalla Cia nei confronti di alcuni detenuti, presunti terroristi, fra questi anche dei cittadini britannici. Honduras: testimonianza di Mons. Lenihan; intenso lavoro missionario anche nelle carceri Agenzia Fides, 12 settembre 2012 “Nella nuova diocesi di La Ceiba, nella costa nord del paese, di cui sono Vescovo, i principali problemi che deve affrontare la Chiesa sono di origine politica e sociale. Ultimamente si è aggiunta anche la violenza, in relazione con il narcotraffico e la corruzione, che fa aumentare la povertà della gente”. Sono le parole di Sua Ecc. Mons. Michael Lenihan, Vescovo di La Ceiba, in Honduras, che sta partecipando a Roma al Seminario promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli per i Vescovi ordinati negli ultimi 2 anni nei territori che dipendono dal Dicastero Missionario (vedi Fides 01/09/2012). L’Agenzia Fides ha chiesto a Mons. Lenihan di illustrare la situazione della Chiesa locale che gli è stata affidata. Di seguito la sua testimonianza. “Nella mia diocesi ci sono tanti cattolici, possiamo dire che quasi l’80% della gente si dichiara cattolico, tuttavia questo non esclude un aumento delle sette e di altri gruppi. La Chiesa cattolica però ha ancora un peso nella tradizione nazionale e una presenza nella vita del paese, anche a livello di Conferenza Episcopale. Un problema che pesa molto sulla popolazione è la mancanza di assistenza sanitaria per tutti: mancano infrastrutture e medici, e quelli che ci sono, sono quasi sempre in sciopero per gli stipendi bassi o per la mancanza di risorse. Anche nelle scuole gli insegnanti sono mal remunerati, e questo causa malessere e proteste. Un campo di impegno missionario dove si sta lavorando con grande entusiasmo è quello delle carceri. Sull’esempio di quanto fatto da Mons. Romulo Emiliani, Vescovo ausiliare della diocesi San Pedro Sula, la nostra diocesi madre, anche nella nostra diocesi esiste la Pastorale Penitenziaria che svolge un grande lavoro, dentro e fuori le prigioni. Io sono stato nel carcere principale, a La Ceiba, dove ci sono 40 persone che ricevono assistenza completa: formazione, catechesi, aiuti di diverso genere. Con il contributo del Movimento cattolico del Rinnovamento nello Spirito, si sta facendo un lavoro enorme. Anche a Tela, dove c’è un altro carcere, si lavora molto con le famiglie dei prigionieri e con gli stessi carcerati, perché ci sono situazioni che non sono molto chiare e casi di ingiustizia. I tribunali sono lenti, e c’è gente che rimane in carcere non avendo avuto una condanna definitiva, magari risultando alla fine addirittura innocente!” Mons. Michael Lenihan, O.F.M., Vescovo di La Ceiba, è nato ad Abbeyfeale, in Irlanda, nel 1951 e da 28 anni lavora in America centrale (El Salvador, Honduras e Guatemala). Il 30 dicembre 2011 è stato nominato primo Vescovo della nuova diocesi di La Ceiba, con giurisdizione sulle isole Roatan, Guanaja e Utila. India: libero il vignettista arrestato per disegni satirici contro la corruzione del governo Ansa, 12 settembre 2012 Il vignettista indiano Aseem Trivedi, arrestato per i suoi disegni satirici contro la corruzione del governo, è uscito dal carcere di Mumbai. Lo ha mostrato in diretta la televisione Ndtv. L’artista di 25 anni, salito alla ribalta delle cronache dopo le accuse, aveva ottenuto ieri dal tribunale la concessione della libertà provvisoria su cauzione. Era stato arrestato tre giorni fa con l’accusa di “sedizione”, un reato previsto da una legge risalente al periodo coloniale. In una delle sue vignette, pubblicate su un sito online, compare il Parlamento di New Delhi disegnato come un vaso da notte. L’arresto ha sollevato un coro di critiche sui media indiani che hanno denunciato la grave limitazione alla libertà di espressione e anche da parte dell’opposizione indu-nazionalista, che ha accusato il partito di maggioranza del Congresso di volere il ritorno alle leggi di emergenza imposte dal premier Indira Gandhi nel 1975-76.