Giustizia: domani mobilitazione nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2012 Firenze: a fianco del presidente Napolitano Mercoledi 10 ottobre alle ore 11,00 in Palazzo Canacci, Piazzetta della Parte Guelfa n. 3, Sandro Margara e Franco Corleone terranno una conferenza stampa, nell’ambito dell’iniziativa nazionale del Coordinamento dei Garanti di mobilitazione per chiedere interventi urgenti al Governo, al Parlamento e all’Amministrazione Penitenziaria per interrompere lo stato di illegalità delle carceri. Sarà illustrata la piattaforma delle richieste che corrispondono alla sollecitazione del Presidente della Repubblica Napolitano che ha ribadito in più occasioni la prepotente urgenza di intervenire. Finora il Governo e il Parlamento non hanno dato risposte adeguate. In Toscana la mobilitazione avrà come momento conclusivo il Convegno Internazionale sul carcere che si terrà il 6 dicembre a Firenze, nell’Auditorium di Sant’Apollonia. Confidiamo che la presenza del nuovo Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria dr. Carmelo Cantone consenta di risolvere i problemi degli Istituti toscani a cominciare da quelli di Firenze, Sollicciano e Gozzini. Sono stati invitati l’avvocato Michele Passione dell’Osservatorio Carceri delle Camere Penali, i consiglieri comunali Eros Cruccolini, Stefano Di Puccio e Maurizio Sguanci, i consiglieri provinciali Andrea Calò e Massimo Lensi, il consigliere regionale Enzo Brogi, le Associazioni di volontariato delle quali hanno dato la propria disponibilità Carla Cappelli di AVP, Beppe Battaglia di Liberarsi, Daniele Bertusi della Coop. CAT, Giancarlo Parissi del Ciao. Garanti dei diritti dei detenuti: mobilitazione anche a Verona Mercoledì 10 ottobre i Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale promuovono l’avvio di una mobilitazione nazionale per richiamare l’attenzione dei cittadini sulla questione carceri. “Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha richiesto insistentemente provvedimenti per affrontare la situazione delle carceri spiega Margherita Forestan, Garante dei detenuti per il Comune di Verona - a partire dal 10 ottobre e per i prossimi 30 giorni, i Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale intendono sostenere, attraverso l’informazione, le proposte già presentate al Parlamento, al Governo e all’Amministrazione Penitenziaria”. “In particolare - aggiunge Forestan - al Parlamento chiediamo la modifica della legge Giovanardi sulle droghe e l’approvazione della legge che introduce il reato di tortura nel Codice Penale; all’Amministrazione Penitenziaria un piano per l’applicazione integrale del regolamento del 2000, garanzie per la territorialità dell’esecuzione della pena, trasparenza sull’utilizzo dei fondi della Cassa delle ammende, la copertura degli organici, il finanziamento della legge Smuraglia, l’applicazione della previsione del rimpatrio come misura alternativa per le persone straniere detenute”. “Siamo inoltre assolutamente contrari al piano per la costruzione di nuove carceri, che va fermato, soprattutto alla luce della cronica mancanza di personale e della mancata apertura di istituti di nuova costruzione, per non parlare della mancata manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture esistenti. La tanto invocata spending review potrebbe dare sorprendenti risultati, per quanto riguarda il mondo delle carceri, se solo la si potesse collegare al termine justice e se le leggi disponibili già oggi non venissero disattese. Ricordiamoci che non ci sono diritti esigibili per nessuno, dentro e fuori dal carcere, senza una giustizia in grado di funzionare per tutti” conclude Margherita Forestan. Vicenza: interventi urgenti contro sovraffollamento “Auspichiamo - dichiara Federica Berti, Garante dei detenuti di Vicenza - una sessione straordinaria di Camera e Senato per affrontare i provvedimenti che dimostrino un’attenzione non di circostanza”. “Una realtà che non fa onore al nostro paese, ma anzi ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni europee”. Così si è espresso a fine settembre il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sullo stato delle carceri italiane. I garanti italiani dei diritti delle persone private della libertà personale rilanciano l’ultimo allarme del Capo dello Stato per sollecitare interventi urgenti e indilazionabili. Lo scorso 2 ottobre a Roma, nel corso dell’ultimo degli incontri del tavolo di lavoro concordato tra Franco Corleone, coordinatore di tutti i garanti dei detenuti degli enti territoriali, e il capo dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, per un confronto sulla situazione nazionale e locale degli istituti penitenziari, si sono incontrati i garanti nazionali e il vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), Luigi Pagano. Leggi anche “Auspichiamo - dichiara Federica Berti, garante dei detenuti di Vicenza - una sessione straordinaria di Camera e Senato per affrontare i provvedimenti che dimostrino un’attenzione non di circostanza da parte del Parlamento, perché l’annunciata approvazione e la messa alla prova del provvedimento sulla detenzione domiciliare annunciata dal Ministro Severino non sono in grado di risolvere appieno la situazione. Il numero dei tossicodipendenti ristretti nelle carceri rappresenta un problema gravissimo per gli istituti di pena. Chiediamo pertanto al Governo l’emanazione di un decreto legge per il cambiamento della legge sulle droghe e della legge Cirielli, per garantire misure alternative ai tossicodipendenti e per eliminare l’ingresso in carcere per i fatti di lieve entità previsti dalla legge sulle droghe”. I garanti chiedono altresì l’approvazione dell’istituzione del garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, la ratifica del protocollo addizionale dell’Onu sulla tortura, l’approvazione della legge sull’introduzione del reato di tortura nel codice penale. “Molte sono infine - conclude Berti - le questioni che i garanti chiedono all’Amministrazione penitenziaria di affrontare al più presto. Si va dall’applicazione integrale del regolamento emanato nel 2000, ma di fatto poco o per niente applicato, alle garanzie per la territorialità dell’esecuzione della pena. C’è bisogno di maggior trasparenza sull’utilizzo dei fondi della cassa ammende e del finanziamento della legge Smuraglia, che consente ai detenuti di lavorare. Infine, bisogna seriamente considerare la previsione del rimpatrio come misura alternativa dei detenuti stranieri”. Morte nel carcere di Pistoia, per non dimenticare Simone L., detenuto di 35 anni della Casa Circondariale di Pistoia, muore il 14 ottobre del 2010, dopo essersi impiccato con le lenzuola legate alla terza branda del letto a castello. Non conoscevo personalmente Simone, ma credo che quel suo senso di smarrimento, di paura, di disperazione, che lo hanno spinto a questo terribile gesto, lo possiamo ritrovare anche oggi, dietro i tanti volti dei detenuti più o meno giovani, che io, come altri volontari, incontriamo ogni settimana in carcere. A distanza di 2 anni dalla sua morte la situazione carceraria a Pistoia, come in altre parti d’Italia, non è cambiata e la crisi economica ha forse ancora di più acutizzato i problemi cronici che affliggono da troppi anni il pianeta carcere: sovraffollamento, mancanza di attività rieducative e di risocializzazione. Ultimamente registriamo da parte dei mezzi d’informazione una maggiore attenzione a questo tipo di problematica, ed anche dibattiti e tavole rotonde sul carcere sono sempre più frequenti, ma se è vero che tali iniziative di sensibilizzazione possono essere utili in una fase iniziale, il loro protrarsi senza riscontri concreti di cambiamento, assume a mio avviso un sapore stucchevole, perché arrivati a questo punto, come giustamente ci ricordava in questi giorni Don Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, non servono più le parole, ma occorre passare ai fatti. Unendomi alle richieste avanzate dal coordinamento nazionale dei garanti affinché la Politica ed in particolar modo il Parlamento nazionale adottino dei provvedimenti urgenti per migliorare la situazione di degrado cui sono costretti a vivere gran parte dei detenuti, rivolgo l’invito a muovere delle azioni concrete anche da parte degli organi locali e territoriali, che sono: la Direzione del carcere, l’Ufficio esecuzione penale esterna, la Magistratura di Sorveglianza, il Comune, la Provincia, la Asl, l’ordine degli avvocati. Tutti i soggetti menzionati, tra cui la figura del garante non è esente, rispettivamente per il ruolo che ciascuno di questi ricoprono, potrebbero già da ora, lavorando insieme, contribuire a migliorare le gravi condizioni della detenzione carceraria. In particolar modo per quanto riguarda la Magistratura di Sorveglianza occorre a mio avviso che abbia uno sguardo più attento nell’applicazione delle misure alternative (semilibertà e affidamento in prova ai servizi sociali), previste dall’ordinamento penitenziario, nonché risponda con una maggiore celerità alle istanze presentate dai detenuti relative alle richieste di concessione dei permessi premio, che rappresentano il primo passo in direzione di un reinserimento sociale. Agli Enti locali, Comune e Provincia, ed in particolar modo al primo, spettano sopratutto il compito di sostenere i detenuti nella fase finale della pena detentiva, prima di un loro ritorno in libertà, prevedendo in particolar modo per i più bisognosi, l’attivazione di adeguate misure di orientamento e accompagnamento d’inclusione sociale. Come è comprensibile la percentuale di rischio di recidiva del reato è molto più alta nei casi in cui i detenuti si ritrovano, dopo il fine pena, privi di reti parentali e di qualsiasi altro tipo di supporto. Un ultimo appello, facendo sempre riferimento al rispetto dei diritti, lo rivolgo alla categoria degli avvocati difensori, alla loro attenzione e sensibilità verso il mondo carcerario come dimostrata in questi ultimi periodi, affinché possano sempre garantire una piena assistenza legale anche a quei detenuti, forse i più, che per motivi di povertà economica non hanno la possibilità di sostenere autonomamente le spese legali e devono ricorrere al patrocinio gratuito a carico dello Stato. Possiamo pertanto oggi ricordare degnamente la morte di Simone, a due anni di distanza dal suo terribile gesto, come quello purtroppo di tanti altri, solo se ciascuno degli attori coinvolti sopracitati svolgerà fino in fondo il proprio compito, cercando così di dare una risposta concreta al problema del carcere, che è bene ricordare dall’inizio dell’anno conta già tra i detenuti 123 morti (di cui 44 per suicidio), mentre nella Polizia penitenziaria si registrano 9 suicidi, tra cui quello di un ispettore capo. Giustizia: lavoro e carcere, i luoghi “sicuri” dove si muore di Sirio Valenti www.dirittodicritica.com, 9 ottobre 2012 Sul lavoro e sulle carceri la sicurezza è legge, più volte rielaborata e votata. Eppure si muore molto, molto facilmente. Dall’Osservatorio indipendente di Bologna e da Ristretti Orizzonti, una panoramica statistica sulle morti sconosciute del nostro Paese. Ricordando però che non sono numeri, ma persone: e che non serve commozione e fiori, ma consapevolezza e senso umano per fronteggiarle. Lavoro. Non si muore solo all’Ilva di Taranto per polveri sottili. L’Osservatorio di Bologna, da gennaio 2012 ha contato 93o lavoratori deceduti per l’impiego: sul luogo di lavoro, in viaggio per raggiungerlo, su strada. Sono storie diverse eppure comuni: la morte di un’autista di ambulanza coinvolto in un incidente, le vittime del terremoto in Emilia sotto le macerie dei capannoni, gli operai precipitati da tetti e tralicci, gli agricoltori anziani schiacciati dai trattori. Il filo comune è che vengono dimenticate, troppo velocemente e troppo facilmente. E le regole sulla sicurezza restano ferme, e spesso cancellate dalle necessità del subappalto. Carcere. Qui, i numeri diventano ancor più scottanti, la retorica offusca i nomi. Come scrive Ristretti Orizzonti nel suo Dossier “Morire di Carcere”, sono 2.056 i detenuti morti nelle carceri italiane nel periodo 2000-2012. Solo quest’anno, ne sono morti 123. 736, un terzo del totale, sono i suicidi. Che a volte nascondono casi sospetti (30 misteri irrisolti in dieci anni). La situazione penitenziaria italiana è gravata da una sovrappopolazione massiccia, che porta alcuni istituti a concentrare 6 detenuti in celle da 6 metri quadrati, a ridurre l’ora d’aria ad una uscita settimanale o a cancellare i programmi rieducativi/occupazionali. L’indulto ha solo attenuato il problema, svuotando qualche cella: è l’intera società, sottolinea il rapporto di Ristretti Orizzonti, a chiedere il carcere per ogni reato. Un senso comune distorto finisce per trasformare le pene detentive in marchi dell’infamia senza possibilità di redenzione - condizione percepita dai detenuti, e sfogata a volte nella rabbia della reiterazione e a volte nel suicidio. Eppure sarebbe semplice da capire: per il carcerato, la guerra è terminata e bisogna ricostruire una qualche occasione di riscatto per chi era un nemico ed ha smesso di esserlo. Ma anche l’informazione, e i giornalisti come chi scrive, hanno le loro colpe. Calcola il dossier che su due detenuti morti, uno passa inosservato, mentre l’altro viene ridotto a numero da statistiche. O chi è colpevole non ha diritto nemmeno al nome (perché resta per sempre un nemico), oppure è più facile trattarlo come oggetto contabile per non doversi interrogare su noi stessi. Giustizia: Concetta Mirisola (Inmp); l’integrazione sanitaria dei cittadini stranieri detenuti Radio Vaticana, 9 ottobre 2012 Promuovere l’integrazione sanitaria degli stranieri detenuti attraverso il pieno e consapevole accesso al servizio sanitario nazionale, anche durante il periodo di detenzione. Questo l’obiettivo del progetto “salute senza bandiere”, presentato ieri al carcere romano di Regina Coeli e frutto della collaborazione tra i Ministeri dell’Interno, della Salute e della Giustizia, insieme all’Istituto nazionale per la promozione dalla salute delle popolazioni migranti (Inmp) e al forum nazionale “salute in carcere”. C’era per noi Michele Raviart. Su oltre 66mila detenuti in Italia, quasi 24mila sono stranieri. Si tratta del 36% della popolazione carceraria totale, che proviene per la maggior parte da Marocco, Romania, Tunisia e Albania. Un numero ingente, in carceri che contengono un terzo di persone in più della capienza consentita. In questo contesto nasce quindi il progetto “salute senza barriere”, per promuovere il diritto alla salute dei cittadini stranieri detenuti in Italia. Un programma che riguarda principalmente la formazione del personale sanitario, degli operatori penitenziari e dei detenuti. Concetta Mirisola, direttore dell’Inmp: “Le linee sulle quali ci siamo orientati, per la formazione, sono quelle in cui c’è una problematica maggiore di salute: salute mentale, dermatologia, infettivologia, ma anche medicina delle migrazioni. Riuscire a parlare con pazienti che hanno altre culture e provengono da altri Paesi, è importante. E, di fatto, l’attività del nostro istituto vede al centro la presenza del mediatore culturale, che è proprio l’interfaccia tra medicina e aspetti di tipo sociale e culturale”. In carcere è maggiore il rischio di diffusione di malattie che sono sostanzialmente debellate tra la popolazione “libera”, come la tubercolosi, mentre il tasso di contagio dell’Hiv e dell’epatite C è tra le dieci e le venti volte superiore alla media. “Salute senza barriere” si pone anche l’obiettivo di monitorare a riforma della sanità penitenziaria del 2008, che prevede il trasferimento di competenze in materia dal Ministero della Giustizia a quello della Salute. Una riforma poco conosciuta dagli stessi operatori del servizio sanitario nazionale, come ci spiega il senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum nazionale “salute in carcere”. “Non si conosce la riforma della salute in carcere. È evidente, quindi, che la prima criticità è farla conoscere agli operatori e ai direttori delle Asl, i quali devono sapere che hanno tanti detenuti in più e che tante sono le persone che dovranno curare in più per le visite specialistiche, per i medicinali. Quindi, quantomeno dovranno fare una programmazione, sia economica che organizzativa. Far uscire persone sane dal carcere, significa fare uscire persone sane nella società”. Il progetto conta su un finanziamento di 300mila euro dal Fondo Europeo per l’integrazione dei Paesi Terzi, gestito dal Ministero degli Interni, e promuove anche la conoscenza e la consapevolezza del diritto alla salute dei detenuti. Ancora Concetta Mirisola. “Molto spesso i detenuti non sanno di potersi rivolgere ad una struttura del servizio sanitario nazionale. È importante saperlo. La prevenzione si basa sulla capacità di poter andare a trovare assistenza presso le strutture. Molti pazienti non hanno mai avuto un approccio con il servizio sanitario nazionale”. L’iniziativa durerà un anno e coinvolgerà nove carceri, scelti tra quelli in cui il numero dei detenuti stranieri è maggiore, come il carcere di Opera a Milano, dove i cittadini non italiani raggiungono il 60% del totale. Giustizia: il ministro Riccardi; un inferno vita tossicodipendenti detenuti Ansa, 9 ottobre 2012 “La vita dei tossicodipendenti in carcere è un inferno ed è difficile avviarli verso un percorso di guarigione”: lo ha detto il ministro per l’Integrazione e la Cooperazione, Andrea Riccardi, che ha sollecitato a “fare di più per trovare percorsi alternativi ai tossicodipendenti detenuti per reati legati alla droga” e ha invitato a “una riflessione più coraggiosa sull’intera questione” carceraria, incluso il problema del sovraffollamento. Nel suo intervento a un incontro internazionale sulla prevenzione dell’uso di droga - organizzato a Roma dall’Unodc (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine) e dal Dipartimento nazionale antidroga - il ministro ha sottolineato che “occorre investire si più sulla formazione e sulla prevenzione” e che “occorre formare alla prevenzione”. “La formazione - ha spiegato - può essere il nodo attorno a cui sviluppare una cultura della prevenzione, quella prevenzione che costituisce uno dei pilastri, il principale forse, del Piano d’azione antidroga nazionale”. Riccardi ha anche evidenziato che “sul fronte della lotta alle tossicodipendenze andare da soli è perdente” e che “occorre creare sinergie a livello internazionale, dove ognuno possa contribuire con le proprie esperienze e fare tesoro delle esperienze altrui”. “Ho diretta esperienza della situazione in Africa, dove la tossicodipendenza è un vero flagello, e noto che gli sforzi dei singoli Stati non sono sufficienti a fronteggiare la sfida” ha concluso. Giustizia: situazione carceraria, impossibile continuare a chiudere gli occhi di Daniela De Blasio www.strill.it, 9 ottobre 2012 La disastrosa situazione delle carceri italiane e le polemiche e proteste levatesi da più parti, a cominciare dai detenuti fino all’autorevole voce di denuncia del Capo dello Stato che invita all’adeguamento del sistema carcerario in maniera tale da poter garantire il rispetto e la garanzia dei diritti umani in favore dei reclusi, impongono ormai un’adeguata riflessione sull’apparato penitenziario, sia in ordine alle strutture che in materia di legislazione. Se da una parte infatti si ribadisce e afferma lo spirito del principio sancito dalla Costituzione in ordine alla finalità rieducativa e non afflittiva della pena, tesa al recupero del reo, e quindi ad offrire condizioni di detenzione che non cancellino il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo e che favoriscano il suo più completo reinserimento nella vita sociale civile dopo aver scontato la condanna, dall’altra la realtà sembra tutt’altra cosa. E appare triste come in un momento di effettivo fallimento del sistema detentivo, si assiste ad azioni come quella che ha riguardato l’immediata chiusura del Carcere di Laureana di Borrello, reale ed isolato modello di attuazione del principio di rieducazione e non di soggezione del condannato. Nello spirito dell’Ordinamento penitenziario, regolato con una legge del 1975, integrata con una serie di correttivi ed aggiunta di norme di più recente emanazione, viene trattato il rapporto del detenuto con la famiglia ritenuto un elemento importante del trattamento detentivo, riconoscendo l’assoluta rilevanza delle relazioni affettive, che incidono oltre che sulla vita del detenuto dentro le mura carcerarie, anche in ordine alla sua aspettativa di vita futura. Senza contare che il mantenimento delle relazioni familiari serve ad attenuare i disagi e le sofferenze dei figli, soprattutto minori, malati e disabili a cui nessuna colpa può essere attribuita e che vengono così ingiustamente ed eccessivamente penalizzati per l’assenza totale del genitore carcerato, anche nei momenti di maggiore difficoltà della loro vita mancando di un punto di riferimento necessario alla crescita ed al superamento delle continue difficoltà collegate alla crescita o a situazioni di gravi patologie. Indubbiamente la legge prevede e disciplina tali ipotesi, in quanto l’art. 21 bis del sopra richiamato regolamento penitenziario prevede la possibilità per la madre detenuta (o per il padre nei casi previsti) di essere ammessa alla cura ed all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ai dieci anni. Il successivo art. 21 ter disciplina le visite al minore infermo, da concedersi sia al padre che alla madre detenuta, in caso di “imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore, anche non convivente”, previa autorizzazione del magistrato di sorveglianza o, in caso d’urgenza, del direttore dell’istituto tendendo conto della durata del ricovero e del decorso della patologia. Nulla purtroppo la legge dice in relazione ai figli affetti da grave ed accertata disabilità, a volte tali da compromettere la visita in carcere al genitore detenuto, non prevedendo quindi la possibilità in tali casi di poter fruire dei contatti col genitore, la cui assenza viene percepita come abbandono tale da influire negativamente a livello psico-fisico sul disabile, nonché crea ulteriore sofferenza e malessere al detenuto. La disabilità inoltre costituisce una sorta di situazione eccezionale e permanente nel soggetto, indipendente dalla sua età anagrafica, per cui l’esigenza di favorire anche saltuariamente il rapporto genitore figlio non può ritenersi limitata alla minore età del disabile, ma assicurata anche a situazione di figli di età avanzata ma le cui condizioni mentali o fisiche non corrispondono alle aspettative di vita di un normale soggetto maggiorenne. Sarebbe auspicabile, quindi, l’intervento del legislatore che possa prevedere un compiuto aggiornamento della legge attuale, prevedendo esplicitamente una previsione in tal senso, senza che caso per caso le eventuali autorizzazioni debbano essere rimesse al buon senso o alla valutazione discrezionale del magistrato, Si faccia parte attiva in tal senso la politica, le istituzioni, chi è competente a proporre una modifica di legge adeguata alle istanze dei detenuti, soprattutto di quelli che vivono particolari situazioni di vita familiare che vanno ad aggiungersi al dramma della carcerazione. Cominciamo con questi piccoli interventi a rendere più tangibili e riconosciuti i diritti dei carcerati, concedendo loro qualcosa di quello che la vita ogni giorno gli toglie, a prescindere dalle loro accertate responsabilità e per rendere più concreta la possibilità di un loro recupero e ritorno alla vita normale. Giustizia: Anm; no a giornalisti in carcere per diffamazione, ma servono sanzioni efficaci Agi, 9 ottobre 2012 No al carcere per i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa, ma le sanzioni per questo “gravissimo reato” devono essere “efficaci”. Lo ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, in audizione in Commissione Giustizia del Senato. “Sanzioni pecuniarie modeste non sono dissuasive - rileva Sabelli - la rettifica tardiva o in forma non equivalente all’articolo non è una soluzione efficace. Piuttosto, si potrebbe pensare a sanzioni pecuniarie elevate, e anche a misure interdittive, soprattutto se si è di fronte alla reiterazione o a campagne di stampa fatte di attacchi contro qualcuno”. Le buone leggi però, ha ricordato il leader del sindacato delle toghe, “non si fanno con la fretta: di recente è stata approvata in tempi brevi una legge sulle misure cautelari - ha detto Sabelli - sulla quale poi si è dovuto fare marcia indietro, perché bocciata dalla Corte Costituzionale”. Lazio: protocollo per “Corso di guida sicura” rivolto agli operatori di Polizia penitenziaria Adnkronos, 9 ottobre 2012 “Con l’intento di favorire il miglioramento delle condizioni lavorative degli operatori di polizia penitenziaria della nostra regione, ho firmato, col dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e il Garante dei detenuti del Lazio, un protocollo d’intesa per organizzare un corso di guida sicura destinato agli stessi operatori di polizia penitenziaria”. Lo ha dichiarato l’assessore agli enti locali e sicurezza, ambiente e sviluppo sostenibile, politiche dei rifiuti della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, dopo la firma del protocollo d’intesa col Dap e il Garante dei detenuti del Lazio per l’attuazione del progetto “Corso di Guida sicura 2012”, finalizzato alla preparazione e formazione degli operatori di polizia penitenziaria addetti alle traduzioni dei detenuti e ai piantonamenti nell’ambito del territorio regionale. “Verranno formati 140 autisti di polizia penitenziaria. Durante il corso che si svolgerà presso la struttura del centro di guida sicura Aci-Sara, inserita nel centro di Vallelunga - continua - verranno simulate le condizioni di pericolo riscontrabili sia nella guida di tutti i giorni che in condizioni di particolare pericolo o in condizioni meteorologiche particolarmente avverse”. “L’obiettivo - ha concluso Cangemi - è di far prendere coscienza agli operatori di polizia penitenziaria dei propri limiti e delle proprie reazioni al presentarsi di un pericolo durante la guida su strada, a verificare i comportamenti e i limiti del veicolo impegnato in manovre di emergenza e a far apprendere le corrette tecniche di guida necessarie a fronteggiare le più svariate situazioni di pericolo”. Belluno: domani dalle 21:00 alle 6:00 veglia per commemorare i “morti di carcere” Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2012 Una veglia per un ragazzo che muore in carcere, uno dei tanti che si suicidano nei nostri istituti di pena, come quello di Belluno, in cui sabato scorso Mounir Bachtragga, tunisino di 23 anni, si è tolto la vita ed un altro è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. Una veglia per ricordare una vita spezzata in uno dei tantissimi istituti di reclusione italiani sovraffollati da 67mila detenuti in una capienza di 45mila. Una veglia laica e religiosa per il diritto alla vita e la vita del diritto. Il diritto che viene calpestato ogni giorno dallo Stato che costringe a vivere in condizioni disumane i suoi detenuti, e gli agenti di polizia penitenziaria a non essere in grado di svolgere il loro lavoro arrivando essi stessi al suicidio. L’Osservatorio Permanente sulle morti in carcere rileva che da inizio anno sono morti in carcere 123 detenuti di cui 44 suicidi, 29 morti per “cause da accertare”, 1 per sciopero della fame, 1 ucciso dal compagno di cella, 2 stroncati da overdose di farmaci e droghe, altri 46 deceduti per “cause naturali”. Età media, 38 anni. 5 le donne (di cui 4 suicide), 38 in totale gli stranieri. Ma le vittime si contano anche tra le fila della Polizia Penitenziaria: 8 poliziotti si sono uccisi e un altro, Stefano Paba, 41 anni, è morto mercoledì scorso asfissiato dal fumo nella caserma del carcere di Biella. Il Presidente della Repubblica ha denunciato lo stato di crisi della giustizia italiana, parlando di “punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata […] e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia”. Il Presidente del Senato, ha scritto pubblicamente di una “tragedia senza fine delle carceri italiane” che “rappresentano anche un atto di accusa, inquietante e insopprimibile, per tutta la classe dirigente e per tutte le istituzioni democratiche”. Questo è lo sfascio della giustizia italiana per il quale il Partito Radicale chiede un provvedimento di amnistia urgente, non più prorogabile, per uscire immediatamente dalla condizione di illegalità rispetto alla nostra Costituzione. Amnistia come misura urgente di una riforma complessiva della giustizia civile e penale: 9 milioni di processi penali e 5 milioni di civili pendenti, attesa media per una sentenza definitiva di 9 anni. Ciò comporta 170 mila processi prescritti all’anno e una perdita per l’Italia stimata intorno ad un punto percentuale del Pil a causa dei mancati investimenti degli imprenditori. Ma per il Ministro della Giustizia Severino non è ancora tempo. Chiediamo e continueremo a chiedere, anche con una veglia laica e religiosa, l’Amnistia per il rispetto della nostra Costituzione, della giurisdizione europea, del diritto internazionale. Per il rispetto della coscienza civile del nostro Paese. Alla manifestazione ha aderito Ristretti Orizzonti, Associazione Estramenia. Venezia: la direttrice del carcere della Giudecca “Il nodo è lo stallo delle leggi” di Giorgio Malavasi Gente Veneta, 9 ottobre 2012 Lo stallo delle leggi è inutile e dannoso. I veti incrociati, con cui destra e sinistra si contrappongono in Parlamento, fanno male non solo alle persone in carcere ma all’intera società, perché la zavorrano di costi ma soprattutto di uomini e donne che con più difficoltà riescono a rientrare in un contesto di normale convivenza. Lo sottolinea Gabriella Straffi, direttrice del carcere femminile della Giudecca, a margine della Festa dell’Orto di sabato 29 settembre: La Festa dell’Orto è il ritrovo che ogni anno la cooperativa Rio Terà dei Pensieri organizza per mostrare alla città le iniziative di lavoro l’orto, appunto, ma anche il laboratorio di cosmetica avviate nel carcere femminile veneziano. Garantismo o sicurezza? Partiti cristallizzati. “Sul tema carcerario rimarca Gabriella Straffi nessuna forza politica vuole fare un passo indietro per non perdere consenso. Così, in sostanza, l’ultima importante novità normativa è la legge Gozzini, che risale al 1986”. I partiti sono cristallizzati sulle loro posizioni: da un lato il garantismo a tutti i costi, dall’altro la rincorsa della sicurezza dai delinquenti. Così le carceri si riempiono, le strutture faticano a contenere decorosamente tante persone, i percorsi i rieducazione non partono, il lavoro in carcere non c’è e si arriva anche ad esiti tragici, come i suicidi, di cui le cronache riportano i tristi e cospicui numeri. Nuove carceri non siano tabù. “Anche lo stop alla costruzione di nuove carceri è criticabile”, nota la direttrice: “Strutture vecchie e inadeguate non aiutano il recupero dei reclusi e aumentano i costi per lo Stato, anziché contenerli”. Il carcere femminile della Giudecca fa abbastanza eccezione, per parecchi versi, anche se risente pure esso della situazione generale. Le detenute, oggi, sono 63, grazie all’ampliamento riconosce la direttrice del ricorso alla detenzione domiciliare. Si è perciò lontani da quei numeri 100 o anche 110 donne che anche il penitenziario giudecchino ha conosciuto negli anni scorsi. Lavoro o studio, diritto ma anche dovere. E la gran parte delle donne recluse lavorano: chi nell’orto, chi nel laboratorio di cosmesi, chi nella lavanderia gestita dall’altra cooperative veneziana che si occupa di lavoro per i detenuti, il Cerchio. E ci sono anche recluse che studiano o che collaborano nella manutenzione e per le migliorie dell’istituto di cui sono forzatamente ospiti: “Il lavoro o lo studio rimarca la Straffi sono un diritto, ma anche un dovere. E sono comunque un passaggio obbligato per un proficuo percorso di rieducazione”. Al tempo stesso il lavoro è anche un modo per dare senso al tempo che si trascorre dentro. Anche dando un tocco di se stesse all’ambiente in cui si è costrette a vivere. Succede proprio in questi giorni alla Giudecca, dove sono le detenute a scegliere i colori con cui sei di loro ridipingeranno le pareti delle stanze e di alcuni ambienti dell’edificio. Pareti color salmone? “Siano le donne a decidere”. Hanno scelto colori intensi, vivaci, come il giallo o il rosso salmone: “Forse commenta la direttrice io avrei optato per tinte più tenui, ma mi pare giusto che siano loro a decidere il colore preferito: un tocco di creatività e di intimità è necessario”. Così, sia pure tra lentezze e difficoltà, la qualità della vita e dei percorsi di recupero in carcere migliora, anche grazie alla passione e all’impegno della società civile che, nella forma delle cooperative o del volontariato, a Venezia continua a essere molto attiva. Ma resta la necessità di unire la passione e le iniziative dal basso con riforme dall’alto: “Concordo afferma Gabriella Straffi con quanto si sta dicendo nel Paese sull’opportunità di introdurre misure alternative al carcere. Soprattutto con la necessità che queste misure vengano prese subito, al momento della condanna, e non dopo, quando tutto si fa più lento e difficile. Questa è una esigenza forte”. Reggio Calabria: Sappe; avviate procedure per riqualificazione del carcere di Arghillà Asca, 9 ottobre 2012 Nel corso di una riunione svoltasi, a Roma, presso la segreteria nazionale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, cui hanno partecipato, il segretario nazionale del sindacato, Donato Capace, il suo vice Giovambattista Durante, e l’on. Giovanni Nucera, Segretario Questore del Consiglio regionale della Calabria, sono state affrontate le questioni relative alle procedure di avvio della nuova Casa di reclusione di Arghillà di Reggio Calabria. Promotore dell’incontro il segretario provinciale del Sappe, Massimo Musarella. Lo si legge in una nota del Sappe di Reggio Calabria. Nel confronto è stato preso atto che l’impegno a suo tempo assunto dall’allora Ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, su sollecitazione dell’on. Giovanni Nucera, è stato pienamente soddisfatto con l’espletamento delle gare di appalto e l’assegnazione dei lavori per la realizzazione degli interventi previsti. Procedura cui ha dato un importante impulso anche l’attuale Ministro Guardasigilli, Paola Severino. Su una disponibilità finanziaria di 21 e ottocentomila euro, 7 mln di euro saranno destinati alla bonifica dell’intera struttura, che era da anni abbandonata a se stessa. Con il secondo blocco di finanziamenti, pari a 14 milioni di euro, saranno realizzati, un secondo padiglione, una caserma agenti, con un campo di calcio e due campi da tennis, riservati al personale della Polizia Penitenziaria, oltre alla nuova strada di collegamento tra il carcere e il quartiere di Arghillà Nord. Le imprese aggiudicatarie dei vari appalti per l’adeguamento e verifica degli impianti elettrici, idraulici, del gas, delle caldaie, delle condotte fognarie e di quelle delle acque reflue lavoreranno h 24, proprio per l’urgenza che si è determinata in Calabria di disporre di una nuova struttura carceraria capiente e moderna, con la quale fronteggiare l’emergenza affollamento delle altre carceri calabresi. Il carcere di Arghillà dispone di 341 posti detentivi. Un padiglione detentivo ordinario sviluppato su tre livelli e 98 posti per piano. Un padiglione sanitario su due livelli con 27 posti di degenza detentiva. Il reparto isolamento, con 16 posti detentivi e l’area ingresso nuovi giunti con 4 posti detentivi. Prevista anche la costruzione di un campo sportivo per i reclusi, e la realizzazione di una grande area lavorazioni con laboratori per attività artigianali riservati alla formazione professionale dei detenuti. “L’apertura del carcere di Arghillà, pur non rappresentando la soluzione definitiva all’emergenza carceri della Calabria - sostiene il Sappe - contribuirà ad alleggerire di molto la pressione affollamento che come Sappe abbiamo denunciato da tempo. Tuttavia, crediamo che accanto agli interventi riguardanti la casa a lunga reclusione di Arghillà, sia necessaria, da parte del Ministero e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria una politica del personale che consenta di colmare le carenze che ancora gravano sul sistema carcerario calabrese, che non possono essere risolte, come si è tentato inutilmente di fare, con l’improvvisa chiusura di una casa di reclusione, come l’istituto ‘Luigi Dagà di Laureana di Borrello”. Modena: una fattoria in carcere che dà lavoro ai detenuti di Marco Amendola Gazzetta di Modena, 9 ottobre 2012 Frutta e ortaggi. Tutto biologico, e la formula sta riscuotendo un successo crescente. Sono i prodotti coltivati all’interno della Casa Circondariale di Modena dove alcuni detenuti, coordinati da tecnici agronomi, sono impiegati nella lavorazione dei 2 ettari di terreno agricolo a disposizione all’interno della struttura. Un progetto che va avanti da oltre 20 anni, e che nel corso del tempo ha dato l’opportunità a tante persone detenute al Sant’Anna di imparare un nuovo lavoro nel settore dell’agricoltura, e di mettersi alla prova. E i risultati non mancano. Le coltivazioni hanno ottenuto di recente la certificazione biologica, mentre i prodotti vengono venduti a realtà commerciali della grande distribuzione, generando così un circolo virtuoso di promozione, reddito e lavoro per i detenuti in semi libertà impegnati direttamente nelle attività. “Tutto il progetto è a capo della casa circondariale di Modena”, spiega Roberto Ferri, tecnico agronomo, che prosegue: “La finalità principale è il reinserimento dei detenuti alla vita sociale attraverso la pratica del lavoro agricolo. Infatti tutte i detenuti impiegati non sono volontari, ma sono a tutti gli effetti dei braccianti agricoli che ottengono una qualifica professionale, una paga oraria in regola e un contratto”. Dalla terra nascono i frutti. Ma anche nuove opportunità lavorative da spendere in tanti settori, dall’agricoltura al verde urbano. Una bella possibilità per i detenuti. “In Italia poche altre strutture detentive fanno questo tipo di attività come la nostra -prosegue Ferri. Per entrare nel progetto i detenuti vengono seguiti da un gruppo di educatori, e c’è un processo di selezione. Si acquisisce una professionalità all’interno della struttura, e poi al termine della pena si può trovare lavoro in tanti settori come la manutenzione del verde, in aziende agricole o cooperative sociali. Abbiamo collaborato con il consorzio della Bonifica del Burana, poi con il comune di Spilamberto abbiamo pulito i fossi e sistemato il percorso Natura”. Un progetto che attualmente vede impegnati 8 detenuti in tutte le fasi di semina, coltivazione, raccolta e confezionamento. Dal S. Anna infatti escono i prodotti già confezionati e pronti per la vendita, sia nello spaccio interno che per quelli destinati alla grande distribuzione. Pomodori, peperoni, zucchine e cipollotti sono solo alcuni ortaggi a coltivazione biologica. Da aggiungere anche il miele millefiori. “Quest’ultimo è l’unico prodotto che non è stato certificato, anche se tutto il procedimento segue comunque la conduzione biologica. Ne produciamo più di 8 quintali e le api hanno un raggio di azione di 800 metri”, osserva Ferri. Le attività agricole all’interno del San Anna possono ora contare sulla nuova struttura inaugurata a giugno, e utilizzata come rimessa, confezionamento e uffici. “Ci piace fare un passo alla volta, ma la struttura è sicuramente un grande aiuto per tutta l’attività”, conclude Ferri. Soddisfazione anche da parte dei detenuti impegnati nelle coltivazioni. “Ho imparato un lavoro che non sapevo neanche fare”, spiega Michele, mentre Davide aggiunge: “Possiamo ritenerci fortunati, e in questo modo prendiamo qualcosa per non pesare sulle nostre famiglie e fare così piccoli acquisti”. Per acquistare i prodotti coltivati al San Anna è attivo, tutti i sabati mattina fino alla conclusione di ottobre, il mercatino con alcuni ortaggi biologici. Per Paola Cigarini, dell’associazione Carcere Città “il mercatino è un modo per ristabilire un legame tra San Anna e Modena. I cittadini stanno rispondendo bene a questa iniziativa”. Reggio Calabria: continuano appelli per scongiurare chiusura carcere Laureana Borrello Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2012 Mercoledì 10 ottobre 2012 alle ore 16,30 Assemblea Pubblica dei sindacati Cgil-Cisl-Uil per scongiurare la chiusura della casa circondariale di Laureana di Borrello, nella Piana di Gioia Tauro, intitolato a “Luigi Daga”, un magistrato esempio di impegno civile al servizio dello Stato, ucciso nel novembre del 1993. Lo slogan sarà “No alla chiusura del carcere rieducativo” dove il campo di calcio, serre, laboratori artigianali, palestre e teatro sono protagonisti indiscussi di una struttura dove il volontariato ha rivestito un ruolo fondamentale di legame con la società. Saranno presenti dirigenti sindacali territoriali e regionali, i lavoratori, i giovani, i pensionati, i cittadini, le istituzioni, le associazioni, le autorità religiose, i partiti e i movimenti politici e culturali. Già nelle scorse settimane numerose personalità del mondo politico, associativo, dei sindacati, ex detenuti si sono scagliati contro la chiusura di un Istituto penitenziario che ha come cardine principale il reinserimento dei detenuti nella società. Lo Moro (Pd): ministro sospenda chiusura Laureana “È importante che in Aula oggi si parli di quello che sta succedendo nella lontana Calabria, ma che riguarda non soltanto la Calabria, ma tutto il sistema penitenziario italiano. È da anni, dal 2004, che in Calabria, a Laureana di Borrello è stata istituita una casa circondariale per giovani tra i 18 e i 34 anni alla prima pena. In questo momento, fino a qualche giorno fa, a Laureana di Borrello erano ospitate ventinove persone, nonostante ci fosse posto e disponibilità per sessantotto persone e fosse tollerabile addirittura la presenza di cento ospiti. Gli ospiti avevano la particolarità che erano alla prima pena, ma hanno sottoscritto un contratto con l’amministrazione, assumendo tutta una serie di obblighi anche se poi ovviamente, a fronte di questi obblighi, vi erano dei vantaggi, tra i quali quello di poter lavorare nelle serre, nei laboratori di ceramica e nelle falegnamerie. Si tratta di un istituto sperimentale, di cui sono andati orgogliosi nel tempo i vari Ministri, che io stessa ho visitato con il presidente della Commissione errori sanitari, oltre che come assessore alla sanità della regione Calabria. Quello che succede, signor Presidente, è che è stata data disposizione al Provveditore - perché la Calabria non ha un Provveditore - di chiudere questo istituto e dal 29 settembre sono iniziati i lavori di chiusura, che dovrebbero essere completati per il 15 ottobre. Abbiamo presentato, come Partito Democratico, più di un atto di sindacato ispettivo, e ci sembra giusto che il Ministro non si attardi in riflessioni, ma che provveda immediatamente alla sospensione”. È intervenuta così Doris Lo Moro nel corso del dibattito in Aula alla Camera dei Deputati sulla chiusura del carcere di Laureana di Borrello. Tassone (Udc): ora chiarezza su istituto Laureana “Si faccia chiarezza sulla decisione per l’Istituto di Laureana di Borrello, ritenuto all’avanguardia per il recupero dei detenuti nell’ottica di un processo di civiltà e di umanizzazione della pena”. Lo ha affermato nell’Aula di Montecitorio il vice presidente dei deputati Udc, Mario Tassone. “Vorremmo capire qual è la situazione delle carceri calabresi. C’è stata una presa di posizione molto chiara anche da parte dell’arcivescovo di Cosenza, Monsignor Salvatore Nunnari - afferma Tassone - che conosce molto bene quella realtà da vicino”. Frosinone: Sappe; detenuti in stato di alterazione alcoolica danno in escandescenza Comunicato stampa, 9 ottobre 2012 Una ispezione ministeriale per accertare responsabilità e colpe di ciò che è successo sabato pomeriggio nel carcere di Frosinone. A chiederlo è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, che si rivolge al Vice Capo del Dap Simonetta Matone. Spiega Donato Capece, segretario generale Sappe: “Siamo stati informati che sabato, in occasione di una manifestazione sportiva presso il campo sportivo del carcere di Frosinone, è stato autorizzato dal Direttore l’ingresso di un numero imprecisato e sicuramente sproporzionato di bevande alcoliche a disposizione dei detenuti coinvolti nella manifestazione stessa, che hanno abusato dell’alcool. La conseguenza è stata che, nel pomeriggio, alcuni detenuti ristretti nel Reparto detentivo ad Alta Sicurezza, coinvolti nella manifestazione, hanno compromesso l’ordine e la sicurezza dell’istituto, tanto che è stato necessario intervenire per ripristinare l’ordine e la sicurezza all’interno del reparto detentivo, successivamente accertato che i detenuti erano tutti in stato di ebrezza alcolica. La conta dei danni, contusioni riportate, isolamento disciplinare almeno per tre detenuti. L’assurda concessione di permettere ai detenuti di assumere bevande alcooliche ha messo in serio pericolo l’incolumità degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria che hanno operato nel ripristino della sicurezza e che poteva essere evitato se si fossero rispettate le più elementari regole che vigono all’interno delle strutture penitenziarie che vieta appunti l’accumulo di sostanze alcoliche nocive per la salute. Per questo abbiamo chiesto ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria una urgente ispezione ministeriale”. Lucca: la Polizia penitenziaria sventa il tentativo di suicidio di un detenuto straniero Comunicato stampa, 9 ottobre 2012 Torna al centro dell’attenzione il carcere di Lucca, dove nei giorni scorsi alcuni agenti sono stati aggrediti da diversi detenuti. “Esprimo il sincero e convinto apprezzamento del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai colleghi del Reparto di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Lucca che con il loro tempestivo intervento hanno salvato la vita, alle 12 circa di oggi, a un detenuto straniero che ha tentato il suicidio in cella mediante impiccamento. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio. Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza, tanto che il Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. Un gesto eroico e da valorizzare che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel solo 2011 la Polizia Penitenziaria ben 1.003 tentativi di suicidio di detenuti ed impedendo che i 5.639 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. E solamente nei primi mesi del 2012, in Toscana, ci sono stati 4 suicidi, 110 ne ha sventati la Polizia Penitenziaria e 551 sono stati gli atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provati da lamette”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione all’ennesimo evento critico accaduto nel carcere di Lucca. “I nostri Agenti, a Lucca, pagano ancora una volta in prima persona le tensioni che si registrano nelle carceri. Parliamo di una realtà caratterizzata da un pesante e costante sovraffollamento penitenziario, che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. A fronte di 113 posti regolamentari, sono infatti sistematicamente presenti oltre 150 detenuti (erano 159 il 30 settembre scorso, più del 55% stranieri), mentre il Reparto di Polizia Penitenziaria conta la carenza di ben 45 agenti. Il suicidio sventato oggi dai nostri colleghi non deve passare inosservato perché è la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione di Baschi Azzurri è rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità.” Siracusa: un solo pullman per i detenuti di diverse carceri, ma i processi saltano lo stesso www.siracusanews.it, 9 ottobre 2012 Dichiarazione di Mimmo Nicotra, Vice Segretario Generale di Osapp in merito alle traduzioni collettive dalle carceri di Catania e Siracusa: “Che il sistema fosse quanto prima prossimo al collasso era stato già previsto, ma sicuramente non in tempi così celeri - e aggiunge - come sia impensabile cercare di assicurare tutte le traduzioni in partenza dagli istituti del catanese e del siracusano con un solo pullman. Già in precedenza si era rischiato di far saltare importanti processi perché si dovevano aspettare mezzi e uomini da altre provincie, ma addirittura prevedere traduzioni collettive da più provincie e con destinazioni in diversi palazzi di giustizia è segno evidente che il sistema penitenziario siciliano è prossimo all’implosione. Addirittura, continua il sindacalista, sembrerebbe che siano saltati alcuni processi perché non si è riusciti con le ormai esigue risorse a disposizione - un solo pullman per due provincie - a tradurre tutti i detenuti che avrebbero dovute partecipare a processi penali. Se a questo - conclude Nicotra - si aggiunge che vi sono problemi per il reperimento delle risorse economiche per effettuare i rifornimenti e che anche il numero delle autovetture del corpo sono ridotte ai minimi termine è evidente che in Sicilia se non arriveranno quanto prima il minimo indispensabile di risorse economiche i processi saranno destinati a non essere celebrati”. Giustizia: Sdr; detenuto Buoncammino chiede aggravamento, Inps gli sospende pensione Comunicato stampa, 9 ottobre 2012 “Percepiva la pensione di invalidità di 270 euro mensili dal 2006. I problemi cardiopatici e di circolazione che lo costringono a muoversi con le stampelle si sono aggravati. Ha inoltrato quindi apposita domanda e l’Inps gli ha sospeso l’erogazione del sussidio”. È l’amara vicenda che ha per vittima-protagonista Angelo Dentis 55 anni, cagliaritano, ricoverato nel Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino, disperato perché senza alcun sostegno economico. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che con il segretario Gianni Massa ha avuto un colloquio con l’interessato. “È assurdo afferma Caligaris che l’Inps neghi la pensione di invalidità civile dinnanzi a un quadro sanitario definito e le cui peculiarità sono tali da non poter regredire. Una persona affetta da disturbi così gravi da comprometterne la funzionalità motoria non può improvvisamente aver riacquistato la salute. La sospensione di un diritto acquisito, in particolare per i cittadini privati della libertà, genera uno stato di marcata depressione. Si aggiunge a una condizione di forte disagio e provoca reazioni talvolta irrazionali”. “La condizione psicologica di chi sconta una pena sottolinea la presidente di Sdr è quasi sempre di afflizione per l’errore commesso a cui si intende rimediare ma spesso è accentuata da condizioni economiche di totale indigenza. La pensione per un’invalidità riconosciuta e incontrovertibile evita alla persona detenuta di sentirsi un peso per i compagni di cella e permette di disporre di una piccola somma per quando sarà riacquistata la libertà”. “Nel mio caso ha spiegato Angelo Dentis mi è stato riferito che per riottenere la pensione dovrò rifare completamente la trafila come se non avessi avuto alcun riconoscimento precedente. Sono certo che non mi potrà essere negato un diritto in quanto le mie condizioni di salute sono effettivamente peggiorate non riesco però a comprendere perché nel frattempo dovrò vivere di beneficenza. Si tratta di un’ingiustizia”. “La sospensione della pensione di invalidità in casi come questo si configura conclude Caligaris come un abuso da parte dell’Istituto Nazionale di Previdenza con conseguenze non sempre prevedibili. Pur con il rigore necessario, l’Inps dovrebbe sempre tenere nella dovuta considerazione la condizione oggettiva in cui si trovano le persone coinvolte spesso senza nessuno che le accudisca e soggette a profonde crisi depressive”. San Gimignano: Evangelisti (Idv); situazione del carcere al limite della vivibilità Il Tirreno, 9 ottobre 2012 “Il carcere di San Gimignano potrebbe rappresentare un fiore all’occhiello per la detenzione in Toscana. Purtroppo, però, la mancanza di una direzione stabile e di una progettualità di lungo periodo hanno evidentemente logorato le condizioni della struttura e inasprito i rapporti tra il personale di guardia e la popolazione detenuta, al punto da sfociare spesso in situazioni di criticità”. Lo dichiara, in una nota, l’on. Fabio Evangelisti, Segretario Idv Toscana, che ha effettuato ieri pomeriggio un sopralluogo a sorpresa dopo i disordini verificatisi al carcere di San Gimignano lo scorso 2 di ottobre, quando un detenuto, oggi trasferito a Sollicciano, si è arrampicato su un pilone della luce, mentre un secondo ha aggredito due agenti, finiti all’ospedale, riportando anch’egli lesioni ed escoriazioni. A proposito di questi gravi episodi, Evangelisti ha già preso contatto con il Garante regionale per i diritti dei Detenuti, Alessandro Margara, e con il Provveditorato toscano dell’Amministrazione penitenziaria, riservandosi anche la possibilità di un atto di sindacato ispettivo a livello parlamentare nei confronti dei Ministri degli Interni e della Giustizia. “Da due anni, ogni due mesi, arriva a San Gimignano un direttore diverso - spiega Evangelisti - e questa instabilità non può che aggravare la precarietà delle condizioni per i detenuti e per chi lavora nel carcere. Eppure la struttura avrebbe tutte le potenzialità per essere un modello: la mancanza del continuo viavai di una sezione giudiziaria potrebbe infatti consentire di pianificare attività di recupero di lungo periodo, professionali e scolastiche, impensabili in altre carceri della nostra regione”. “Da un punto di vista strutturale, infatti, il carcere di San Gimignano è senza dubbio la struttura che ho trovato in condizioni migliori di tutta la Toscana”, continua Evangelisti. “Ma anche qui, certo, si registrano le peculiari criticità dei penitenziari italiani, sovraffollamento e carenza di personale, aggravate, se possibile, proprio dalla mancanza di una direzione stabile dell’istituto capace di garantire stabilità e una certa pianificazione alla vita all’interno del carcere. I numeri della casa di reclusione, del resto, parlano chiaro, confermando le solite carenze di personale, con 130 agenti in servizio a fronte dei 250 previsti, e registrano un forte sovraffollamento, con 408 detenuti ospitati nella struttura, circa il 60% dei quali stranieri, rispetto ai 230 circa previsti dal Ministero”. “Se, da un lato, sono rimasto positivamente colpito dalle condizioni igieniche e strutturali dell’edificio - continua Evangelisti - ho constatato una gestione difficile di alcuni fra i detenuti, la mancanza di sufficienti attività di formazione e di recupero, e un equilibrio molto delicato tra il personale e la popolazione carceraria. Una situazione potenzialmente esplosiva questa, che, raccogliendo anche le preoccupazioni degli Agenti di Polizia penitenziaria, sarebbe possibile risolvere con un radicale cambiamento del sistema di gestione, garantendo innanzi tutto una continuità certa alla direzione dell’amministrazione penitenziaria”. “Il nostro auspicio, dunque - conclude Evangelisti - è che il nuovo direttore, di freschissima nomina, possa finalmente imprimere alla gestione del carcere una progettualità di lungo corso capace di offrire percorsi di recupero e studio ai detenuti e favorire la distensione dei rapporti tra il personale di guardia e i detenuti, valorizzando al meglio le potenzialità della struttura”. Prato: in classe alla Dogaia… i corsi di studio piacciono ai detenuti Il Tirreno, 9 ottobre 2012 Gite culturali e “uscite” per compiere lavori socialmente utili per chi frequenta i corsi di apprendimento e di formazione. Lo scorso anno scolastico alcuni studenti-detenuti hanno usufruito di alcuni permessi per andare fuori dal carcere e prendere parte ad iniziative culturali. Tra le principali si ricordano la partecipazione di un gruppo di circa venti detenuti all’evento letterario “All’improvviso Dante Cento Canti per Firenze”, che si è tenuto nel mese di maggio in diversi luoghi del centro storico gigliato. Altri, anche grazie al supporto di esperti dell’università e di volontari, sono andati a visitare la Galleria dell’Accademia e il giardino di Boboli a Firenze e il Museo Pecci a Prato. Tra le attività pratiche che il carcere è riuscito a sviluppare sul territorio, si ricordano la presenza di alcuni detenuti a Montale, dove si sono occupati della manutenzione del verde nel parco dell’Aringhese e della verniciatura delle aule della scuola media. Motivati, attenti e desiderosi di entrare presto in aula ogni mattina per seguire le lezioni. Sono così gli studenti del carcere La Dogaia, detenuti con pena di media e lunga durata che hanno scelto di impegnare il proprio tempo di reclusione in un modo diverso rispetto a restare chiusi per tutto il giorno nei dodici metri quadri della cella. Nella casa circondariale di Maliseti ci sono duecento alunni, suddivisi tra le scuole elementari e medie, le superiori e il percorso universitario. Il numero maggiore frequenta il primo e il secondo ciclo di studi coordinato dal Centro Territoriale Permanente di Prato. Per la maggior parte, si tratta di cittadini non italiani, che si avvicinano allo studio della lingua e delle altre materie fondamentali, le loro aule sono gremite di banchi e sedie e, ogni mattina, si mettono alla prova cercando di familiarizzare sempre di più con il vocabolario italiano. Una cinquantina invece sono coloro che, dopo la licenza media o diplomi conseguiti all’esterno, si sono ritrovati oggi a studiare per aggiungere un titolo al proprio percorso: i detenuti dell’alta, della media sicurezza e della sezione dei collaboratori di giustizia frequentano invece l’istituto a indirizzo economico coordinato dalle scuole Datini e Dagomari. Tra loro, italiani e albanesi, romeni e magrebini, tutti intenzionati a far fruttare al meglio le ore di studio. In ottava sezione invece lavora l’Università di Firenze che, ogni anno, riesce sempre a laureare ragazzi e adulti che hanno intrapreso i corsi delle varie facoltà. Proprio negli ultimi mesi due detenuti si sono laureati dottori e nella media sicurezza tre ragazzi hanno ottenuto la qualifica triennale ad indirizzo economico-aziendale. Numeri importanti, ma limitati se si pensa alla condizione di sovraffollamento in cui versa La Dogaia. Come tanti altri istituti penitenziari nazionali, quotidianamente si trova a fare i conti con celle gremite e pochi strumenti da mettere a disposizione dei reclusi. “Oggi ci sono qui 718 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 476 persone e di 713 di capienza tollerabile ha ricordato il direttore del carcere Vincenzo Tedeschi . La scuola e altre misure alternative, come i corsi di formazione, sono elementi importanti per la rieducazione, per favorire l’uscita dei carcerati e il loro reinserimento nella società”. L’istruzione nel carcere di Prato riguarda meno di un terzo dei presenti, ma ancora meno sono coloro che possono beneficiare della frequenza di percorsi formativi di qualifica. Nell’ultimo anno la Provincia ha attivato due indirizzi, per addetto alla salvaguardia ambientale e per idraulico, una valida opportunità pratica, ma purtroppo riservata a solo 45 persone. E per gli altri 400 detenuti, quali opportunità? Qualcuno può optare saltuariamente per la manutenzione degli spazi agricoli dell’istituto, una quarantina sono coloro che partecipano ai due laboratori teatrali organizzati all’interno, qualcun altro si dedica invece allo sport, usufruendo degli attrezzi nelle palestre per alcune ore la settimana. Il direttore ha lamentato il fatto di come, negli ultimi tempi, si sia ridotto il numero delle commesse esterne, ovvero le attività lavorative a cui particolari reclusi potevano accedere, e come la mancanza di personale di polizia possa limitare tante attività. “Nel 2012 abbiamo registrato un taglio del 30 per cento sui fondi per le attività dei detenuti e sicuramente anche per il 2013 sarà lo stesso ha commentato Tedeschi . Siamo sotto organico di 60 operatori penitenziari, a cui si aggiunge anche l’assenza di tre educatori, tutti elementi che incidono nell’organizzazione interna. Purtroppo registriamo un livello di indigenza altissimo, creare occasioni di contatto con l’esterno, siano esse lavorative e culturali, aiuta sia la struttura che il detenuto stesso, perché con esse si vede realmente il percorso che egli sta compiendo”. E così la scuola, tanto odiata dagli studenti, dentro al carcere diventa il vero luogo di contatto con la realtà, che occupa la mente e i pensieri con lo studio e fa acquisire nuova coscienza di sé. Frosinone: rugby in carcere, liberi di fare meta di Paolo Ricci Bitti Il Messaggero, 9 ottobre 2012 “Allora mi raccomando, il primo che protesta lo caccio fuori” dice a muso duro l’arbitro alle squadre schierate. Sì, certo, ci mancherebbe, ma “fuori” da dove? Perché da un carcere di massima sicurezza non è mica facile uscire, men che meno da quello di Frosinone dove i detenuti si sono messi a giocare a rugby. Condannati per rapina, omicidio, associazione per delinquere (mafia e camorra, insomma) si sono messi a tirare placcaggi, a ingaggiare mischie, a tuffarsi in meta, a sfidare vecchie glorie romane. In modo che, anche sotto le muraglie di cemento armato, passare la palla all’indietro significa guardare avanti, molto avanti, quando tra 15 o 20 anni si potrà davvero uscire dal carcere. “In verità racconta il pilone romano Claudio Monacelli, 68 anni, barba bianca e infinite mischie, allenatore dei detenuti quando a maggio i carcerati ci hanno visto sistemare il campo da gioco assai malconcio della casa circondariale, pensavano al ritorno del calcio, proibito da tre anni dopo l’ultima colossale rissa. Poi hanno visto i palloni ovali e sono restati un momento interdetti: nessuno di loro li aveva mai maneggiati a parte un ventenne arrivato dalla casa minorile di Nisida. Poi ha vinto la curiosità e adesso si allenano due volte la settimana in più di cinquanta, dai 22 ai 35 anni. Sono piazzati bene fisicamente, il che, si sa, non guasta. Non si perdono una seduta, questi ragazzi, se non quando devono frequentare i corsi per raggiungere la licenza di terza media”. Monacelli insegna il rugby in carcere e impara a non fare domande: “È solo per non metterli in imbarazzo, perché in realtà loro sono disponibili al dialogo. Però non è facile parlare di tante cose della vita quando, come mi è capitato nei primi allenamenti, un ragazzo di 21 anni mi ha detto che uscirà di lì quando ne avrà 55”. Giocano a rugby da due anni anche i detenuti delle “Vallette” di Torino ma quella di Frosinone è la prima esperienza che coinvolge italiani condannati a lunghe pene o costretti al regime di massima sicurezza. Appunto tutti italiani, a parte un giovane dell’Est Europa e uno statunitense. “Oh, a parte che un paio di ali e una seconda linea potrebbero già giocare in serie B, ce ne fosse uno di questi detenuti che avesse mai perso la pazienza dopo aver subìto un placcaggio pesante dice ancora Monacelli, che con l’associazione Rugby col cuore ha portato il rugby non solo tra le celle ma anche in Mozambico. I reclusi mostrano sempre il massimo rispetto per noi allenatori e per gli avversari. Hanno capito come controllare l’aggressività, che nel rugby serve dal primo all’ultimo minuto, e a metterla al servizio del gioco e della squadra. Non vorrei farla troppo lunga, ma credo che queste persone abbiano ritrovato, con il rugby, sia la dignità sia quella parte di bambino che è in tutti noi: roba che in carcere troppo spesso viene presto a mancare”. Ne è convinta anche la neodirettrice del casa circondariale Luisa Pesante, una tipa tosta seduta su una polveriera con oltre 500 reclusi, ben oltre il numero di posti disponibili: “Per giocare a rugby bisogna affrontarsi con durezza, ma rispettando le regole, bisogna credere in valori come la lealtà: ora i detenuti hanno una possibilità in più per mettere in pratica questi insegnamenti e magari portarli, una volta scontata la pena, a Scampia o in altri ambienti degradati”. Intanto, duri e leali, sabato scorso i detenuti di Frosinone con la maglia dello Junio College Club-Rugby col Cuore e Gruppo Idee, non hanno fatto sconti alla selezione della Namau: 7 mete a 2. E nessuna protesta con l’arbitro. India: i due italiani condannati all’ergastolo hanno iniziato sciopero della fame e della sete Ansa, 9 ottobre 2012 Nel carcere indiano di Varanasi, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, condannati all’ergastolo per la morte di un loro compagno di viaggio, hanno iniziato lo sciopero della fame e della sete. La protesta è iniziata in contemporanea con gli incontri diplomatici avviati tra i genitori del ventinovenne albenganese e i rappresentanti dell’ambasciata italiana in India per concordare una strategia unitaria dopo la conferma della condanna all’ergastolo e il ricorso rigettato dalla Corte d’Appello. “Stiamo vivendo giorni di grande angoscia - ha detto la madre di Tom - sappiamo benissimo che i nostri ragazzi sono innocenti e ora il Governo deve fare sentire la sua voce”. Intanto tra gli amici del ventinovenne albenganese è allo studio una manifestazione pubblica per esprimere loro solidarietà. India: Alemanno; caso Marò, mille cartoline per riaverli in Italia Dire, 9 ottobre 2012 In attesa della decisione dell’Alta corte di Nuova Delhi sul destino dei due marò italiani detenuti in India, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, Roma Capitale e l’Unsi (Unione italiana sottoufficiali italiani) hanno lanciato l’iniziativa di solidarietà nei confronti dei due militari “1000 cartoline per i Marò”. Con l’iniziativa, presentata dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e dal vicepresidente Unsi, Salvatore Scalia, si chiede ai cittadini di donare e inviare una cartolina di sostegno ai due. La cartolina, che già è indirizzata correttamente al consolato italiano in India, riporta una foto del Campidoglio e la firma di Alemanno con la scritta “Vi aspettiamo”. Dietro c’è uno spazio bianco dove scrivere il proprio pensiero e lo spazio per il francobollo da un euro e sessanta. Le cartoline potranno essere spedite da chiunque e saranno donate dall’Unsi. “La decisione dell’Alta corte è stata spostata a fine mese - ha spiegato Alemanno. Abbiamo, quindi, venti giorni di attesa che non devono essere giorni silenziosi. Si deve far sentire l’Italia, con gli organi istituzionali, e si deve far sentire il popolo. Questo è il senso di questa iniziativa. Far vedere che gli italiani dimostrano solidarietà umana ai nostri due marò per una per detenzione ingiusta. In più ci sono altri due motivi per chiederne la liberazione: il primo è che non deve passare l’idea che chi svolge un ruolo simile in giro per il mondo, soprattutto in teatri difficili, non sia adeguatamente tutelato. E poi per il prestigio internazionale dell’Italia che in passato ha subito situazioni poco accettabili. Noi non abbiamo mai trattenuto militari di altri Paesi, anche di fronte a fatti drammatici. Non possiamo ammettere che non ci sia un principio di reciprocità”. Egitto: amnistia per tutti i detenuti delle primavera araba Ansa, 9 ottobre 2012 Il presidente Egiziano Mohamed Morsi ha annunciato ieri sera l’amnistia per tutte le persone arrestate per aver preso parte alle rivolte che hanno portato alla caduta di Hosni Mubarak. Il decreto è visibile sulla pagina Facebook della Presidenza dell’Egitto. L’indulto, emesso al compimento del centesimo giorno da presidente dell’Egitto, interessa tutti i detenuti dal primo giorno di rivoluzione, il 25 gennaio del 2011, fino alla fine di giugno di quest’anno, quando Morsi si è insediato. Tutti i reati commessi al fine di appoggiare la rivoluzione saranno perdonati, ad eccezione dei casi di omicidio. Il decreto porterà alla scarcerazione di migliaia di prigionieri. Diverse centinaia sono già stati rilasciati.