Giustizia: al via progetto sulla salute nelle carceri, dove in 12 anni sono morte oltre 2mila persone Redattore Sociale, 8 ottobre 2012 I dati del Dap aggiornati al 30 settembre 2012. Sono 23.838 i detenuti stranieri (36%) e 2.801 le donne. 38.388 sono le persone che hanno avuto una condanna definitiva, 13.487 sono in attesa di primo giudizio. Maggior numero di detenuti in Lombardia. Sono 66.568 i detenuti presenti nei 206 istituti penitenziari italiani. Di questi 23.838 sono stranieri (36%) e 2.801 sono donne. La capienza regolamentare è invece di 45.849 detenuti. I dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 30 settembre 2012, sono stati resi noti oggi a Roma nel corso della presentazione del progetto “Salute senza barriere: integrazione sanitaria dei cittadini stranieri detenuti”. Per quanto riguarda la posizione giuridica 38.388 sono le persone che hanno avuto una condanna definitiva, mentre 13.487 sono in attesa di primo giudizio, 7.220 gli appellanti e 4.494 i ricorrenti, mentre 1.579 si trovano in una situazione mista. “Il 42% delle persone in carcere aspetta un giudizio definitivo, il 30% sono immigrati e un altro 30% è composto da persone che hanno avuto problemi di dipendenza - sottolinea Roberto di Giovan Paolo, presidente del Forum nazionale della salute in carcere. Questo dimostra che la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi e la Bossi- Fini sono tre leggi che hanno fallito. L’impostazione securitaria non aiuta, funzionano meglio le misure alternative. Lo dimostra il fatto che il 70% delle persone che hanno avuto l’indulto non è più tornato in carcere”. Tra le regioni con il maggior numero di detenuti spicca la Lombardia (9.402) seguita dalla Campania (8.072), la Sicilia (7.291 e il Lazio (7.171). Anche per quanto riguarda la presenza di stranieri in carcere la Lombardia è al primo posto (4.120) con una media che supera quella nazionale, seguita dal Lazio (2.890) , la Toscana (2.271) e l’Emilia Romagna (1754). Per quanto riguarda le nazionalità dei detenuti stranieri, la maggior parte sono originari del Marocco (4.633), seguono i romeni (3.647), i tunisini ( 3.037) e gli albanesi (2.839). Nelle carceri 2.056 morti nel periodo 2000-2012, 736 i suicidi (Ansa) Sono 2.056 i detenuti morti nelle carceri italiane nel periodo 2000-2012 e, tra questi, 736 sono i casi di suicidio in cella. Fenomeno significativo è l’abbassamento dell’età media di chi muore dietro le sbarre, che oggi si colloca introno ai 38 anni. Questi i dati aggiornati al 6 ottobre 2012 del dossier “Morire di carcere” realizzato dall’associazione Ristretti Orizzonti. Sul totale dei decessi, spiega il responsabile del dossier Francesco Morelli, “il 35% riguarda detenuti stranieri”. Inoltre, denuncia, in dieci anni registriamo oltre 30 casi “sospetti” di morti in carcere. In particolare, il numero dei suicidi varia dai 61 registrati nel 2000 (su un totale di 165 morti nelle carceri) a 72 nel 2009, 66 nel 2010, 66 nel 2011 e 44 nel 2012 (su un totale di 123 morti al 6 ottobre 2012). Dal 2000 al 2012, 12 sono i morti in cella per omicidio e una trentina quelli per overdose. Rispetto alla collocazione geografica, spiega Morelli, “la situazione è a macchia di leopardo, poiché molto è legato alle condizioni detentive che si registrano nei diversi istituti carcerari”. Così, denuncia, “ci sono carceri dove si muore significativamente di più: al primo posto è il carcere di Cagliari, dove si sono registrati più di 20 morti in dieci anni. Altri istituti dove la frequenza delle morti è più alta sono quelli di Sulmona e di Teramo. Basti pensare che queste ultime sono carceri che accolgono circa 400 detenuti, ma che hanno lo stesso numero assoluto di morti che si registra ad esempio a Rebibbia o San Vittore, che accolgono invece migliaia di detenuti”. Altro fenomeno da segnalare, rileva Morelli, “è l’abbassamento dell’età media nei casi di morte o suicidio: se nel 2002 si attestava infatti intorno ai 45 anni, oggi si colloca intorno ai 38 anni. Questo - spiega - perché il complesso della popolazione detenuta è sempre più giovane, soprattutto tra gli stranieri, ma anche perché le condizioni di detenzione continuano a peggiorare, con carceri sempre più degradate e sovraffollate, tanto da stipare 3 detenuti in 8 metri quadri”. In percentuale, inoltre, “aumentano i suicidi tra le detenute, pari al 4% dell’intera popolazione carceraria: nel 2012 sono pari al 10% del totale dei suicidi, ovvero 4 casi su 44 al 6 ottobre 2012”. Altro dato inquietante: “Sono oltre 30, dal 2002 ad oggi - afferma Morelli - i casi di morti sospette in cella. Caso eclatante è quello recente di Stefano Cucchi, ma ve ne sono molti altri spesso passati sotto silenzio”. “Salute senza barriere” per detenuti di 9 istituti italiani Per garantire l’universalità delle cure, seminari e percorsi di formazione per gli operatori sanitari, monitoraggio della situazione, opuscoli informativi multilingue. Progetto del ministero dell’Interno e attuato con ministero della Salute e Inmp. Seminari informativi e percorsi di formazione a distanza per gli operatori sanitari; monitoraggio della situazione delle carceri italiani a partire dall’applicazione della riforma del 2008; opuscoli informativi multilingue per i detenuti e un convegno finale per fare il punto sulla situazione della detenzione in Italia. Si chiama “Salute senza barriere”, il progetto finanziato dal Fei (Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini dei Paesi terzi), proposto dal ministero dell’Interno e attuato da un partenariato composto dal ministero della Salute e dall’Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti). Nell’ambito delle attività di sensibilizzazione sulla riforma della medicina penitenziaria, l’Inmp ha inoltre firmato un protocollo d’intesa per la collaborazione con il Forum nazionale per la salute in carcere. In tutto sono 9 gli istituti penitenziari che verranno coinvolti (3 al Nord, 3 al Centro e 3 al Sud). “Il progetto ha l’obiettivo di preparare i soggetti della pubblica amministrazione che hanno a che fare con la popolazione straniera - sottolinea Maria Corsaro del Dipartimento Politiche immigrazione e asilo del ministero dell’Interno - . L’investimento è di oltre 300 mila euro”. L’iniziativa si rivolge ai cittadini stranieri che costituiscono oltre il 30% della popolazione carceraria “con picchi che arrivano anche al 60% in alcuni istituti di pena della Lombardia. Questo crea diverse problematiche, come il diffondersi di alcune patologie come la Tbc - aggiunge Luigi Pagano vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Sono quindi importanti iniziative legate al diritto alla salute perché gli interventi e le funzionalità sono ancora a macchia di leopardo”. Regioni come la Sicilia, infatti, non hanno ancora attuato il passaggio di competenze previsto dalla riforma carceraria. “Garantire l’universalità delle cure è un obiettivo rafforzabile, ma questo progetto non si limiterà solo a fotografare la situazione delle regioni rispetto al passaggio delle competenze ma punterà anche al trasferimento delle conoscenze - aggiunge Francesco Bevere direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute. Il rischio di contrarre malattie infettive per la popolazione carceraria è fino a venti volte superiore rispetto ai cittadini liberi, soprattutto per patologie come l’Hiv o l’epatite C, ricorda Concetta Mirisola, direttore generale dell’Inmp. “Alcune malattie come la tubercolosi, per esempio, sono in aumento - continua Mirisola - perché si contraggono per via aerea. Per i cittadini dell’Est invece vediamo un aumento dei casi di sifilide, ma anche di malattie sessualmente trasmissibili o legate all’abitudine di tatuarsi in carcere”. A questo tipo di malattie infettive “si aggiungono i casi di disagio psichico o mentale legati allo stress dell’ambiente carcerario- sottolinea Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum salute in carcere - ma anche patologie legate all’alimentazione e alla digestione. La salute in carcere è un tema importante in cui c’è una grande responsabilità della politica - continua - i numeri della ex Cirielli, dell’inasprimento delle pene e della regolamentazione dell’immigrazione si vedono in questi istituti. Le misure securitarie non pagano, funzionano meglio le misure alternative”. Giustizia: Severino; per l’amnistia non ci sono numeri in Parlamento, puntare su pene alternative Agi, 8 ottobre 2012 “Qualunque sia la nostra volontà e il nostro desiderio, adesso la composizione del Parlamento non consente di raggiungere la maggioranza dei due terzi per varare l’amnistia”. Lo ha detto il guardasigilli Paola Severino, intervenuta stasera ad un convegno sulle carceri organizzato dalla Uil-Pa Penitenziari. “Il tema dell’amnistia - ha aggiunto il ministro - è tipicamente parlamentare e con ciò non voglio scaricare su altri le responsabilità. È un tema di carattere giuridico istituzionale, ho letto le dichiarazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale richiamava l’articolo della Costituzione che prevede per un provvedimento del genere la maggioranza dei due terzi del Parlamento e va constatato che tale maggioranza ora non è ipotizzabile”. Il guardasigilli, inoltre, ha voluto ricordare che sono necessari “soluzioni strutturali per il carcere, che consentano, anche dopo un’eventuale amnistia, di mantenere il numero di detenuti a livelli sopportabili. Amnistia e provvedimenti strutturali - ha concluso Severino - possono camminare insieme, sono due modi non contrastanti per affrontare il problema carcerario”. Essenziale concentrarsi su messa alla prova “Sto cercando i fondi” per il rifinanziamento della legge Smuraglia. È l’impegno del ministro della Giustizia, Paola Severino, a rifinanziare il fondo che consente sgravi fiscali a chi da lavoro ai detenuti: “tutto è pronto per il varo della legge, che richiede la ricerca dei fondi. E ci stiamo lavorando con il ministero dell’Economia”. Parlando ad un convegno della Uil P.A. Penitenziari la Guardasigilli ha ribadito la sua intenzione “nei pochi mesi che ci separano dalla fine della legislatura” a concentrarsi su alcune scelte quali “la messa alla prova e l’estinzione del processo per i fatti di lieve identità. Su questa strada dobbiamo andare avanti, convergendo verso il risultato di vedere permanentemente il numero dei detenuti abbassarsi”. Sto cercando fondi per lavoro detenuti “Sto cercando i fondi, tutto è pronto per il varo della norma, ma servono finanziamenti”. È quanto ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino, in merito al rifinanziamento della legge Smuraglia, inerente gli sgravi fiscali per il lavoro in carcere. “Il lavoro carcerario - ha ribadito il guardasigilli, a margine di un convegno organizzato dalla Uil-Pa Penitenziari - è una delle chiavi per risolvere il problema, anche perché con esso si abbassa enormemente la recidiva”. Il “forte impegno del governo”, ha ricordato Severino, riguarda le misure alternative al carcere, quale la messa alla prova, le sanzioni alternative “che lo stesso giudice può direttamente irrogare” e l’estinzione del processo per il fatto di lieve entità. Il guardasigilli ha infine voluto sottolineare come stia andando avanti anche il piano di edilizia carceraria: “con il piano ordinario sono già stati realizzati 3.500 posti in più - ha detto Severino - per quello straordinario ci sono state le assegnazioni e bandite le gare”. Giustizia: cancelliamo il carcere per il reato di “diffamazione a mezzo stampa” di Vannino Chiti (Vicepresidente del Senato) L’Unità, 8 ottobre 2012 Il carcere per punire la diffamazione a mezzo stampa è una norma antiliberale, residuo del “Codice Rocco”, voluto dal fascismo. Il tema è tornato d’attualità negli ultimi giorni, a seguito della condanna definitiva a 14 mesi di detenzione inflitta ad Alessandro Sallusti, per un articolo pubblicato nel 2007 su Libero, di cui, allora, era direttore. Il caso ha suscitato attenzione mediatica e un vivace dibattito. È bene sottolineare che la vicenda Sallusti non è isolata. Abolire il carcere per la diffamazione a mezzo stampa è una questione che si trascina da decenni: è stato oggetto di molti disegni di legge, mai approvati, e ha riguardato decine di altri giornalisti. Per citare un esempio tra i più recenti e significativi, voglio richiamare il caso di due giornalisti del quotidiano Alto Adige. Nel luglio scorso, il redattore del quotidiano Alto Adige Orfeo Donatini e il direttore all’epoca dei fatti -era il 2008 - Tiziano Marson sono stati condannati, in primo grado, a quattro mesi di reclusione. Motivo della condanna la pubblicazione della notizia di un raduno neonazista in vai Passiria, al quale - sulla base d’informazioni raccolte dai giornalisti in ambienti delle forze dell’ordine - aveva partecipato anche il consigliere provinciale Sven Knoll, della formazione politica Sudtirol Freiheit. L’esponente politico, senza aver chiesto alcuna rettifica della notizia, ha sostenuto in udienza di non essere stato al raduno. Questo è stato sufficiente a far condannare i due giornalisti. In discussione, dunque, non sono le simpatie o antipatie verso questo o quel giornalista: le idee e i modi di comunicare di Sallusti sono anni luce lontani dalle mie convinzioni. Come ha scritto Claudio Sardo “continueremo a batterci contro le idee di Sallusti. Ma vogliamo che la battaglia sia tra uomini liberi”. In discussione è la libertà, quella di noi tutti, che ha bisogno di essere resa più forte, tanto più in anni difficili come i nostri. Un giornalista non deve andare in carcere per un articolo, che ne sia l’autore o il responsabile della pubblicazione come direttore della testata. Andare in carcere per un’idea o un articolo incrina la tenuta della democrazia. L’Alta Corte di Strasburgo ha più volte dichiarato che norme come la nostra condizionano e limitano la libertà del giornalista. Questa legge inoltre è senza dubbio in contrasto con l’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Non possiamo permettere che più a lungo risultino ferite la nostra libertà di opinione e di espressione. È invece non solo giusto ma doveroso che chi commette una diffamazione a mezzo stampa venga punito con una sanzione pecuniaria, anche forte se la responsabilità è grave, dopo che sia stato disatteso l’obbligo di rettifica documentata, pubblicata con lo stesso rilievo dell’articolo diffamatorio. Il Senato ha all’ordine del giorno l’esame di un disegno di legge bipartisan, che affronta queste tematiche. È importante che il Parlamento approvi quanto prima una legge che, cancellando il carcere per la diffamazione a mezzo stampa, sostituendolo con altre sanzioni - pecuniarie e amministrative -, non rinunciando a tutelare le vittime della diffamazione, rafforzi la libertà e la democrazia, in coerenza con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sarebbe sbagliato confermare nell’opinione pubblica l’impressione che tutti i problemi più seri - dall’emergenza economica ai costi della politica, dai compiti delle Regioni alle norme sulla diffamazione - per essere risolti debbano essere affrontati dal governo tecnico. Il governo può svolgere un ruolo importante, non certo esclusivo: altrimenti si certifica l’impotenza della politica. Guai a smarrire un principio fondamentale e sempre valido: la libertà non consiste nella possibilità di esprimersi di quelli che hanno le nostre stesse convinzioni, ma di quanti hanno idee diverse e opposte. La prima situazione caratterizza i regimi autoritari; la seconda le democrazie. Giustizia: Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti denuncia la situazione delle carceri Ristretti Orizzonti, 8 ottobre 2012 Il Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, ha indetto una iniziativa collettiva per denunciare la situazione del carcere. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha richiesto insistentemente provvedimenti per affrontare la situazione delle carceri italiane, definita di prepotente urgenza, e ha richiesto interventi solleciti per l’introduzione di pene alternative alla prigione. Queste parole così autorevoli sono cadute in un sostanziale silenzio. I Garanti italiani, il 10 ottobre, presenteranno in molte città una piattaforma di richieste precise e puntuali al Parlamento, al Governo e all’Amministrazione Penitenziaria (modifica della legge sulle droghe e della legge Cirielli, approvazione della legge per l’introduzione del reato di tortura, approvazione della legge per l’istituzione del Garante nazionale, approvazione di un piano per l’applicazione integrale del Regolamento del 2000, in modo da garantire condizioni di vita accettabili dentro il carcere). Questa piattaforma costituirà la base di una mobilitazione di un mese, con l’organizzazione di eventi e confronti per raggiungere gli obiettivi fissati. Il giorno 10 la conferenza stampa si terrà in 12 città, organizzata da 4 Garanti regionali e da 8 Garanti comunali. Firenze - Franco Corleone e Alessandro Margara, Massa Carrara - Umberto Moisè, Livorno - Marco Solimano, Pisa - Andrea Callaioli, Bari - Piero Rossi, Verona - Margherita Forestan, Napoli - Adriana Tocco, Sondrio - Francesco Racchetti, Rovigo - Livio Ferrari, Reggio Calabria - Giuseppe Tuccio, Ancona - Italo Tanoni, Bologna - Elisabetta Laganà. Sarà invece lanciato, sempre il giorno 10 ottobre, un comunicato stampa dal Garante del Comune di Pistoia, dal Garante del Comune di Brescia, dal Garante del Comune di Vicenza e congiuntamente dai Garanti del Comune di Nuoro e del Comune di Sassari. A Milano il Consiglio Comunale nella seduta del 5 ottobre, tenutasi nel carcere di San Vittore, ha approvato l’istituzione della figura del Garante. È un importante momento per rafforzare la presenza sul territorio delle figure che difendono i diritti, la Costituzione e le leggi. Franco Corleone Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti Giustizia: Prison Fellowship Italia; il carcere produce solo altro carcere, meglio pene riparative di Stefania Parrone Avvenire, 8 ottobre 2012 Nel dibattito scaturito dall’appello rivolto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alle Camere affinché si valuti il ricorso alle pene alternative quali amnistia ed indulto, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri in Italia, interviene con una nota il notaio di Palmi, Marcella Reni presidente di “Prison Fellowship Italia”, sodalizio nato dall’omonima organizzazione statunitense che opera attraverso il recupero e la riqualificazione dei detenuti, oltre che con l’evangelizzazione all’interno delle carceri. “Bene ha fatto Giorgio Napolitano a richiamare nuovamente l’attenzione sul tema carceri - evidenzia Reni - ma occorre arrivare ad una nuova amnistia o indulto solo dopo un efficace lavoro di preparazione e riconciliazione del detenuto in carcere per evitare il fallimento annunciato del 2008”. Secondo il presidente di “Prison Fellowship Italia” sono necessari anzitutto “innovazione, coraggio e volontà politica” per affrontare efficacemente il tema carceri. Oltre a provvedere “all’armonizzazione di leggi, decreti, disposizioni e regolamenti che spesso sono in sovrapposizione tra loro” bisogna attivarsi per “restituire umanità e dignità alle carceri attraverso la semplice applicazione delle norme dell’ordinamento penitenziario già esistente, che oggi è impossibile applicare correttamente per la crisi generale che ha colpito lo Stato. “Non è possibile - lamenta Marcella Reni - fare una battaglia per la legalità, se è lo Stato stesso che, per primo, non può rispettare la legalità del trattamento detentivo”. “Compito dello Stato - ricorda il notaio calabrese- è innanzitutto quello di dare piena attuazione all’art. 3 della Costituzione per poi passare a garantire quella dell’art. 27 della Costituzione stessa secondo cui “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. “Ormai è assodato in tutto il mondo che il carcere produce nuovo carcere”, osserva ancora la presidente di Prison Fellowship Italia, indicando il carcere solo come “estrema ratio” e proponendo al contrario “un efficace lavoro di preparazione e di sperimentazione dei principi della Restorative Justice, riparazione, restituzione e riconciliazione in carcere tra detenuti e vittime seguite da pene alternative e reinserimento lavorativo”. “Noi ci crediamo fermamente, ci stiamo lavorando e siamo pronti a fare la nostra parte” afferma Marcella Reni, suggerendo il ricorso ai principi della giustizia ripartiva alla restituzione e a pene alternative, senza ricorrere alla detenzione anche in merito all’emendamento “Anti-Batman” presentato al ddl anticorruzione dal gruppo del Pdl. “Meglio lavorare sulla consapevolezza, sulla ammissione di responsabilità - rimarca infine la presidente di Prison Fellowship Italia - sul pentimento, sulla restituzione o riparazione, poi su una riconciliazione con la società civile danneggiata dal comportamento criminoso”. Giustizia: Comunità Papa Giovanni XXIII; con il progetto “Buon vento”... si cancella il carcere di Pino Ciociola Avvenire, 8 ottobre 2012 La linea dell’orizzonte è sfrangiata da cielo, pioggia e mare mischiati insieme. Il brigantino è in banchina, a La Spezia, perché fuori l’onda cresce fino a tre metri. Le vele ripiegate. Ma non importa troppo: anche l’attesa è passaggio importante per crescere. Per ricostruirsi. Per imparare a sanare gli errori commessi. E se questi uomini hanno spesso maschere e modi da duri senza cuore, pian piano su questa barca e in questi giorni i travestimenti svaniscono, a volte cedendo il posto a una lacrima che magari si sarebbe voluta nascondere. “Nave Italia” è il brigantino a vela più grande al mondo, sessantuno metri di legni, ottone e buona tecnologia: una suggestione d’altri tempi a pelo d’acqua. Oltre all’equipaggio di venti militari, la “Comunità Papa Giovanni XXIII” vi ha portato a bordo per cinque giorni l’esperienza di una comunità educante per i carcerati. Cioè una ventina di detenuti da diversi istituti di pena, con gli operatori e il cappellano del carcere di Frosinone. “Buon vento” ci si augura, fra uomini di mare, prima d’imbarcarsi. “Le mie sensazioni sono un pò strane - dice Marco -. Io sono una persona un pochino chiusa e faccio fatica a espormi troppo con gli altri, però in questa occasione mi sto un po’ aprendo”. Poi socchiude gli occhi, in coperta, guardando il porto: “Forse sto togliendo un po’ di rabbia che avevo in me per le mie caz… fatte”. È dura essere costretti all’ormeggio quattro giorni, ma in qualche modo è una specie di burrasca anche questa. “All’inizio di questa esperienza ero timoroso - spiega Franco - perché non conoscevo le persone e per l’incognita della vita su una nave”. Il desiderio di salpare è forte, sempre più, tuttavia “è come se quest’attesa mi abbia permesso di entrare di più in relazione con le persone. Stare su una nave e i suoi spazi limitati mi ha permesso di mettermi in gioco e non imboscarmi”. È impossibile su un’imbarcazione. Tutti sono coinvolti in tutte le attività, dalle pulizie agli impegni marinari (come issare e ammainare le vele, salire in testa d’albero, imparare a fare e sciogliere i nodi). E poi ci sono momenti di confronto, di animazione spirituale e il progetto artistico legato al teatro. “Trovo pesante il fatto di avere l’intera giornata programmata senza avere il tempo di stare solo a pensare alle mie cose”, si lamentava il primo giorno Carlo. Ed Enrico aggiungeva: “Con il passare delle ore ho deciso che non potevo lasciarmi scoraggiare e mi sono detto che dovevo approfittare di questa occasione per stare insieme alle persone che condividono questa esperienza con me”. Il mare entra dentro. Scava, tormenta, parla. Rasserena. Le cuccette di una barca sono piccole, anguste e, insieme, accoglienti e avvolgenti. “Non riesco a capire perché il passato non ha il coperchio - sussurra Davide, una sera, seduti sotto il grande boma -. Forse perché quando si chiude una porta e se ne apre una nuova, di solito guardiamo tanto quella chiusa da non accorgerci di quella che si è appena aperta”. Fabio Gallo è della “Papa Giovanni” ed è pragmatico: “Chi è detenuto - racconta - prima o poi esce dal carcere e nel 75 per cento dei casi vi rientra negli anni successivi. Chi invece ha scontato la carcerazione usufruendo di pene alternative, costruendo legami affettivi, relazioni positive e confrontandosi con il mondo del lavoro, solo nel 19 per cento dei casi torna a delinquere”. E allora, secondo Gallo, “la società può e deve coinvolgersi nel recupero dell’uomo che sbaglia, che non vuol dire “liberi tutti”. Fermo restando che “chi ha sbagliato deve saldare il suo conto con la società. Però si devono creare strutture dove la persona possa riappropriarsi di se stessa e destinarsi secondo verità, intelligenza, amore”. Alle diciannove, ogni sera, c’è la Messa. Celebra don Guido, quarantasette anni e modi affabili. i ragazzi si occupano di preparare l’altare prima e delle letture poi. È il momento nel quale “sull’altare - usando le sue parole - mettiamo quanto abbiamo fatto nella nostra giornata, ma anche i nostri sbagli e le nostre sofferenze”. I vetri del saloncino, quasi sotto la plancia, si arrossano di sole che va a tramontare. Scaramanzia e superstizione sono parte degli uomini di mare. Così, alcuni ragazzi dell’equipaggio quando hanno saputo delle Messe a bordo, per poco non... svenivano: “No! Soltanto se è morto qualcuno si celebra sulla nave!”, avevano tuonato. Poi invece hanno finito per parteciparvi loro stessi. E fatto in realtà molto di più: non c’era un Crocifisso da tavolo e la prima sera sull’altare erano stati sistemati due listelli di legno incrociati alla bell’e meglio. Il giorno dopo è saltata fuori una Croce costruita in mattinata e benedetta da don Guido. Ancora Fabio Gallo: “Recuperare i ragazzi che passano nelle carceri italiane penso sia una sfida possibile”. Ci vuole uno “sforzo enorme e un enorme lavoro da parte di tutti noi”, ma è sfida “da raccogliere” e “su questa nave mi pare abbiamo dimostrato quanto sia possibile, accorgendoci come in pochi giorni si possano tirar fuori cose belle da persone che per la società sono scarti”. L’immagine più bella? “Vedere ragazzi che hanno infanzie e vite ferite capaci di rimettersi in gioco come dei bambini”. Pioggia leggerissima. Maurizio allarga il cuore: “Non avevo mai fatto un’esperienza come questa. Provo una sensazione di libertà interiore, nella quale i pensieri, i brutti ricordi sembrano svaniti nel nulla, ma che in un attimo come ti trovi da solo ecco che riaffiorano”. Ali spiegate di gabbiani che cavalcano il vento, scivolano per un istante sull’acqua e si rialzano in volo. Va avanti, Maurizio: “Ho vissuto molto tempo in solitudine, chiuso in me stesso. Faccio molta fatica ad aprirmi con chi mi sta vicino”. Ancora avanti: “Forse ho paura di arrivare a capire chi sono veramente”. Questi cattivi forse non sono tali, forse lo erano solamente diventati. “Ancora oggi non sono libero dai miei giudizi e pregiudizi - spiega Renzo a bassa voce -. È che non sono capace di una vera, profonda accoglienza” e questo “non mi permette di lasciarmi andare con tutti”. C’è poi il tempo dei sorrisi su Nave Italia. Finanche quello di mettere la musica e, sul ponte, fare tutti insieme lo step (ginnastica aerobica a tempo di musica con uno scalino) guidati dal... nostromo. Mentre il comandante, Paolo Saccenti, fuma il suo sigaro e osserva divertito. E a tavola, per pranzo e cena, niente posti fissi o tavoli “riservati”: membri dell’equipaggio e ragazzi si mischiano gli uni con gli altri, i dialetti di mezza Italia si fondono insieme, le battute si sprecano, chiacchiere e sfottò sul calcio la fanno da padroni. Così è strano. Così sembra che l’equipaggio sia unico e che - come accade soltanto in barca - ci sia soltanto una squadra: un gruppo di uomini, ognuno coi suoi compiti, senza differenze, né passati, che si muovono all’unisono per navigare verso un porto. Nel giorno dei saluti don Guido è il primo a sbarcare, ha il treno per tornare a Frosinone molto presto, prima degli altri, e un sorriso contento sul volto. Finite le (ultime) pulizie, i borsoni di ciascuno vengono sistemati sul ponte. Brutto tempo e pioggia anche oggi. Ci si scambiano numeri di telefono, indirizzi e-mail, abbracci. “A volte basta poco”, dice il cappellano. Sempre, forse. Giustizia: un appello per salvare l’Istituto penale di Laureana di Borrello e i suoi giovani Agenparl, 8 ottobre 2012 Anche i vescovi si sono espressi per il mantenimento del carcere “Luigi Daga” di Laureana Borrello di Reggio Calabria. Una struttura rieducativa considerata un modello in Italia e in Europa. All’interno dell’istituto sono ospitati 25 ragazzi, spesso alla prima condanna, che seguono percorsi di riabilitazione e educazione. Il Dap ha deciso però di interrompere questa esperienza per dislocare altrove i 15 agenti penitenziari. Si sa che il sistema carcerario italiano vive di carenze e la Calabria non fa eccezioni. Nella regione manca da anni anche il Provveditore alle carceri e il numero di suicidi tra i poliziotti penitenziari e quello delle aggressioni dei detenuti è in costante aumento. In questo quadro la decisione di chiudere una struttura modello ha fatto saltare molti sulla sedia anche in Parlamento. Le carenze non possono giustificare azioni di spending review sulle vite delle persone, soprattutto dei giovani che sono sempre sulla bocca dei politici. E quando c’è da intervenire sono i primi a essere tagliati, abbandonati nei percorsi di recupero. Chiudere Laureana Borrello significa ancora una volta andare contro i giovani e cedere le vite di questi giovani alla mattanza della criminalità organizzata. Ma in questo caso sarà lo Stato ad averli uccisi. Doris Lo Moro, Angela Napoli e tanti altri esponenti della politica calabrese si sono espressi contro la chiusura facendo appello al Ministro della Giustizia, Paola Severino, chiedendole di aprire gli occhi e smettere di usare il pallottoliere dei tagli. Dello stesso avviso l’arcivescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari che al ministro ha rivolto questo appello: […] “perché’ come per tutti i calabresi quella casa costituiva un segnale di grande speranza nell’opera educativa di tanti giovani che dopo efferati delitti, trovavano l’ambiente più consono a un nuovo cammino di redenzione. Ho avuto la gioia di seguire personalmente qualcuno di loro e ho riscontrato la serietà’ e l’impegno con cui venivano seguiti e preparati professionalmente ad affrontare la vita del non sempre facile rientro nella società”. Ora una decisione avventata e una scusa poco credibile, mancanza del personale di custodia in altre case, ha interrotto questo percorso educativo e in modo traumatico con un blitz che ha offeso la dignità’ dell’uomo”. “Chi è quotidianamente impegnato a sconfiggere le organizzazioni malavitose, come si evidenzia anche dalla riflessione pastorale inviata agli uomini della mafia e che qui le accludo - scrive l’Arcivescovo -, avverte questo episodio come una vera sconfitta. Signor Ministro, ascolti il grido della società’ civile, di tante famiglie e di tanti educatori che nutrivano tanta fiducia in un’opera finalmente positiva ed esemplare per il riscatto della nostra terra calabra. Come cittadino di questo Stato e come Vescovo - conclude mons. Nunnari - fortemente confido in un Suo immediato e saggio intervento”. Lazio: 49.000 € al progetto “Ragazzi fuori”, per favorire il reinserimento dei giovani detenuti Dire, 8 ottobre 2012 “Conformemente alle linee di indirizzo sempre adottate e seguite dall’assessorato che dirigo, abbiamo avviato, d’intesa col ministero della Giustizia - Centro per la giustizia minorile per il Lazio del Dipartimento giustizia minorile - il progetto “Ragazzi fuori”, per favorire il reinserimento sociale dei minori, grazie ad attività finalizzate all’accompagnamento per i minori e giovani adulti, autori di reati e in carico ai servizi minorili della giustizia della nostra regione”. È quanto dichiara l’assessore agli Enti locali e Sicurezza, Ambiente e Sviluppo sostenibile, Politiche dei rifiuti della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, dopo la firma del protocollo d’intesa con il Centro della giustizia minorile del Lazio del ministero della Giustizia, per l’attuazione del progetto “Ragazzi fuori”. Il progetto prevede l’accompagnamento educativo ed il supporto all’inserimento in attività di formazione-lavoro per minori e giovani adulti dell’area penale esterna nel territorio regionale. L’assessore Cangemi ha poi aggiunto che “il presente protocollo d’intesa conferma la ormai consueta volontà di collaborazione istituzionale”. L’iniziativa si fa carico di accompagnare, da un minimo di 10 ad un massimo di 15 ragazzi italiani e stranieri, maschi e femmine, tra i 14 e i 21 anni sottoposti a procedimento penale.In più verranno corrisposte 10 borse lavoro di durata trimestrale per i giovani tra i 17 e 21 anni di età. ‘Ragazzi fuorì si propone, in particolare, di favorire il reinserimento socio-lavorativo, l’affiancamento in contesti di socializzazione ludico e ricreativi, per un numero complessivo di 20-25 ragazzi. Cangemi ha inoltre chiarito che “la Regione Lazio e il Centro della giustizia minorile del Lazio si propongono, con tale progetto, di prevenire le devianze sociali e i rischi di recidiva. Di promuovere l’autonomia attraverso l’esperienza delle borse lavoro, la cultura dell’accessibilità al lavoro e il principio delle pari opportunità non in un’ottica meramente assistenzialistica. Di favorire il raggiungimento del benessere individuale, familiare e sociale dei giovani coinvolti”. La Regione Lazio finanzierà il progetto con uno stanziamento di 49mila euro. Il ministero della Giustizia - Dipartimento giustizia minorile - individuerà i soggetti partecipanti, curerà il coordinamento del progetto e provvederà al relativo monitoraggio. Lombardia: nell’Opg di Castiglione Stiviere 310 ricoverati, “struttura modello e irrinunciabile” Tm News, 8 ottobre 2012 Sono 310, di cui il 30% sono extracomunitari e 80 le donne, le persone ricoverate nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Castiglione delle Stiviere (Mantova), punto di riferimento di tutto il Nord Italia e “modello riconosciuto a livello nazionale e internazionale”. È quanto si legge in una nota diffusa da Regione Lombardia in seguito alla visita alla struttura fatta questa mattina dai consiglieri Stefano Carugo e Chiara Cremonesi, rispettivamente presidente e vicepresidente della Commissione speciale carceri, e del consigliere regionale del Pd Franco Mirabelli. “La visita, che segue di qualche mese l’incontro della Commissione speciale col direttore Antonino Calogero, è stata fortemente voluta anche per la necessità di una decisione urgente sul futuro della struttura” spiega la Regione, dato che il proseguo dell’istituto, uno dei sei ex manicomi criminali attivi in Italia, è a rischio secondo quanto prevede la Legge numero 9 del 17 febbraio 2012, che fissa entro l’1 febbraio 2013 la sua definitiva chiusura e “riconversione” in microstrutture territoriali di 20 unità entro il marzo successivo. “L’Opg di Castiglione è un vero punto di riferimento per la nostra Regione e non solo” ha dichiarato Carugo, sottolineando che “si tratta di una struttura ben funzionante che si avvale di operatori capaci, professionali e competenti: professionalità e competenza a cui non si può rinunciare”. “Abbiamo dunque il dovere di fare un’attenta riflessione sul futuro dell’Opg, anche alla luce della normativa ministeriale che ne prevede la chiusura l’anno prossimo” ha proseguito Carugo, precisando che “Castiglione viene preso a modello dal tutto il mondo per la sua organizzazione fondata su attività di reparto ma anche sportive e di formazione”. Ricordando che “la Regione, insieme all’azienda ospedaliera di Mantova, ha investito un milione di euro”, il presidente della Commissione speciale ha affermato che “la chiusura è inaccettabile, semmai dobbiamo lavorare per una soluzione che vada esclusivamente verso il miglioramento di queste realtà senza rinunciare all’esperienza e alla professionalità degli operatori, la cui perdita porterebbe a una dispersione di un valido e importante patrimonio”. Liguria: Sappe, in 6 mesi 21 tentati suicidi, 218 autolesionismi e 660 detenuti coinvolti in proteste Adnkronos, 8 ottobre 2012 “Nei primi sei mesi del 2012 nelle carceri liguri si sono verificati 21 tentati suicidi, 218 gli atti di autolesionismo. Oltre 660 i detenuti coinvolti in manifestazioni di protesta contro sovraffollamento, condizioni di vita intramurarie e a favore dell’amnistia”. È quanto afferma Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria). “Il grave episodio dello scorso fine settimana a Sanremo - spiega Martinelli - dove due poliziotti penitenziari sono stati aggrediti da un detenuto nel Reparto Z del carcere di Valle Armea, sono l’ennesimo evento critico che conferma la tensione penitenziaria ligure”. Il Sappe torna a proporre con urgenza un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda ad esempio circuiti penitenziari differenziati per i tossicodipendenti, il lavoro obbligatorio in carcere, l’espulsione dei detenuti stranieri ed un maggiore ricorso alle misure alternative. “L’organico della Polizia Penitenziaria nei 7 penitenziari della Liguria - rimarca Martinelli - dovrebbe contare 1.264 unità: in realtà, ne abbiamo in forza 943: ben 321 in meno. I detenuti, invece, sono ben oltre la tolleranza: 1.907 le presenze nonostante i 1.088 posti letto regolamentare dei 7 sette penitenziari liguri. Nonostante queste gravi carenze e l’insostenibile sovraffollamento - conclude il Sappe - i baschi azzurri della Penitenziaria in servizio in Liguria credono nel proprio lavoro e fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti”. Milano: Forte (Pdl); c’è un’emergenza carceri… ecco che fare www.ilsussidiario.net, 8 ottobre 2012 In tema di “carceri” ci si divide solitamente tra “buonisti” e “intransigenti” più che in destra e sinistra. Prima dell’ideologia, però, guardiamo alla realtà del sistema milanese e italiano. Colpisce che nella sola prima metà dell’anno, il totale delle morti tra i detenuti è di 94, 34 per suicidi. Colpisce anche che nello stesso periodo sono 7 gli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Segno che dietro le sbarre custodi e custoditi condividono, come ha detto qualcuno, “il medesimo destino di frustrazione e prostrazione”. I problemi li conosciamo bene tutti: primo fra tutti quello del sovraffollamento. Tuttavia c’è anche il problema del lavoro. E qui già ci si potrebbe dividere in buonisti e intransigenti. E allora è giusto uscire dall’angusto schema dell’alternativa unica e rifarsi al nostro ordinamento ricordando a tutti l’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il lavoro, quindi, è un trattamento conforme al senso di umanità e tende a rieducare il condannato. In una dichiarazione riportata il 15 luglio scorso su il Sole24ore il Ministro Severino affermava a proposito del ddl del governo su depenalizzazione, messa alla prova, ricorso a misure alternative al carcere: “Tutte le statistiche ci dicono che se i detenuti lavorano c’è un calo di 2/3 della recidiva e che chi usufruisce delle misure alternative torna molto meno a delinquere. Le misure all’esame del Parlamento, quindi, aumentano la sicurezza collettiva”. A Milano noi ne abbiamo l’esempio. Nel carcere di Bollate, per esempio, il lavoro dimezza il tasso della recidiva: se quello nazionale è di circa il 60%, lì è del 30%. Se si effettua qualche calcolo grossolano ci si fa un’idea approssimativa di cosa potrebbe accadere se in Italia tutti i livelli responsabili ragionassero nei termini in cui lo stiamo facendo noi oggi: su una popolazione carceraria di circa 66mila detenuti, quelli recuperati alla società potrebbero aggirarsi intorno ai 46mila. Se si considera che, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero, il costo giornaliero per detenuto è di 132 euro, risparmieremmo all’anno circa 2.216.280.000. Così, in tempi di spending review, otterremmo il doppio risultato di tagliare la spesa improduttiva e al tempo stesso recuperare uomini. Questo è un investimento nella sicurezza della collettività che, forse, vale la pena fare per davvero. Per questo posso dire con orgoglio che l’opposizione ha fatto recepire al Comune di Milano, con un apposito emendamento al Piano del welfare, il Protocollo d’intesa firmato il 20 giugno scorso tra Dap e Anci. In particolare abbiamo riaffermato la necessità che l’Amministrazione si faccia promotrice presso altri enti pubblici (come Asl e Camera di Commercio), ed eventuali associazioni di categoria, di un Accordo quadro che faccia una ricognizione ed un monitoraggio di tutti i lavori che possono essere svolti da detenuti, nell’ottica poi anche di “agevolare le deliberazioni della Magistratura di Sorveglianza in relazione all’ammissione” dei condannati in via definitiva a misure alternative alla detenzione, “quando in costanza di progettazioni e programmazioni delineati nell’ambito del protocollo” del 20 giugno. Nell’ambito di questo eventuale Accordo quadro l’Amministrazione potrebbe, poi, ipotizzare anche la possibilità di creare una sorta di “banca dati” di alloggi di proprietà degli enti sottoscrittori e immediatamente disponibili per i giorni seguenti l’uscita dalla galera. Dico ciò perché è risaputo che, spesso, una persona che esce dal carcere - specie se straniera - non ha neppure un luogo fisso dove recarsi, e ciò nella maggior parte dei casi vuol dire essere costretti a vivere d’espedienti e, quindi, tornare a delinquere. L’eventuale “banca dati” dovrebbe altresì tenere in considerazione la domanda abitativa degli agenti della polizia penitenziaria, spesso costretti a vivere nelle stesse condizioni dei detenuti, o a pagare affitti sproporzionati rispetto al loro stipendio mensile. L’Amministrazione comunale in questi anni ha fatto e può ancora fare molto. Tuttavia non si può nascondere, soprattutto entrando in una casa circondariale come S. Vittore, dove sono presenti per lo più detenuti in attesa di giudizio, che c’è un problema legato alle decisioni non più rinviabili da parte di altre sfere istituzionali. E mi riferisco in particolare a Parlamento e Governo. E non lo dico per fare una polemica di parte, ma perché - anche qui - ce lo dicono dati di realtà. Nella sola Lombardia, per esempio, su una popolazione carceraria di 9.488 detenuti, 3.847 sono ancora imputati, di cui 1.880 nel processo di primo grado. Si evidenziano allora per lo meno due problemi strutturali che chiedono un ripensamento: l’uso della custodia cautelare e i tempi processuali. Si noti che, a tal proposito, nel solo 2011 ben 8 sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) hanno condannato il nostro Paese per la violazione del diritto ad un equo processo. Rispetto ai due problemi elencati - specie per quanto riguarda la custodia cautelare - va anche ricordato, a onor del vero, quello che scrisse Manzoni nella sua celebre Storia della colonna infame: credere agli untori non giustificava credere che Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora lo fossero, “come dell’esser la tortura in vigore non era effetto necessario che fosse fatta soffrire a tutti gli accusati, né che tutti quelli a cui si faceva soffrire, fossero sentenziati colpevoli. Verità che può parere sciocca per troppa evidenza; ma non di rado le verità troppo evidenti, e che dovrebbero esser sottintese, sono in vece dimenticate; e dal non dimenticar questa dipende il giudicar rettamente quell’atroce giudizio”. Quanto scrisse Manzoni, prima ancora che ad un processo di nuova codificazione e di riforma di sistema, attiene alla capacità di discernimento e di giudizio propria di ciascuno. E di questo deve averne cura soprattutto chi commina pene e chi ha il compito di farle eseguire. I suggerimenti sin qui accennati a mo’ di provocazione vogliono offrire solo lo spunto per comprendere bene che i temi della sicurezza, della giustizia e dell’esecuzione della pena stanno tutti e tre insieme, direi quasi: simul stabunt, simul cadent. Non si può parlare dell’uno senza considerare insieme anche gli altri due. La politica, dunque, deve saper approcciarsi con uno sguardo di insieme ad ognuno di questi tre temi, senza isterismi, né partigianerie. Ed essere consapevole che dal modo di affrontarne anche solo uno si verificano conseguenze e ripercussioni sugli altri. Bologna: progetto dell’Ass. Papillon; una cooperativa di detenuti per aiutare anziani e disabili di Giulia Gentile L’Unità, 8 ottobre 2012 All’inizio fu la cooperativa sociale Croce servizi, fondata alla Croce di Casalecchio nel febbraio 2007 al termine di un progetto sperimentale dell’associazione culturale Papillon Rebibbia di Bologna, in collaborazione con il Comune di Casalecchio (Bo). Quattordici persone, di cui nove detenuti ammessi al lavoro esterno o ex detenuti, impegnate nell’accompagnamento delle persone anziane e portatrici di handicap, o nella consegna dei pasti per conto dei servizi sociali. Ora, l’obiettivo di Papillon è quello di estendere il “modello Casalecchio” ad ogni circondario emiliano-romagnolo sede di un carcere (13 in tutta la regione), con l’idea di incrociare domanda di servizi ed offerta di mano d’opera, unendo a questo il reinserimento dei detenuti. E così, al progetto “Oltre il carcere: l’auto impresa come risorsa per tutti” stanno già lavorando insieme il presidente di Croce servizi e responsabile di Papillon, Valerio Guizzardi, e la garante regionale dei detenuti, Desi Bruno. Fino alla fine dell’anno, il lavoro sarà quello di “pubbliche relazioni”: creare una rete di conoscenze in ogni Comune sede di carcere (oltre a Bologna, Ferrara, Forlì, Castelfranco, Saliceta San Giuliano, Modena, Piacenza, Parma, Ravenna, Reggio Emilia e Rimini), per comprendere i bisogni di servizi sul territorio e la richiesta di lavoro dalle case circondariali. Dopo di che, si passerà a stabilire dove ed in che modo si possano creare altre cooperative sociali di tipo “B” sul modello di quella bolognese. L’idea originaria era quella di “realizzare un efficace mix di strumenti di lotta contro l’esclusione sociale di due categorie con necessità apparentemente inconciliabili - racconta Guizzardi -, detenuti da una parte, disabili e anziani dall’altra, nel paradigma della giustizia riparativa”. Per quanto riguarda i detenuti, quindi, il progetto persegue la finalità di sollecitare l’applicazione delle misure alternative alla detenzione. E quella di reinserire chi ha avuto guai con la giustizia, attraverso un nuovo lavoro. Se è vero che, si legge nel progetto, “per la “Relazione sulla situazione penitenziaria in Emilia-Romagna”, su una popolazione carceraria - al 31 dicembre 2011 - di 4000 detenuti, solo 108 risultano occupati in progetti lavorativi”: un “danno sociale rilevante, perché in caso di attivazione di percorsi lavorativi si abbassa il numero delle recidive. Chi sconta la pena in carcere ha una recidiva del 68.4%, chi ha avuto le pene alternative del 19%, chi ha seguito un intervento lavorativo dell’1%”. Senza considerare che un detenuto “dentro” “costa 190 euro al giorno, 70mila euro all’anno”. L’esperienza di Casalecchio, sottolinea Bruno, “dimostra come detenuti ed ex detenuti siano assolutamente in grado di comprendere le fasce deboli della società. Inoltre è indubbio che il reinserimento sociale passi innanzitutto attraverso il ritrovamento di un lavoro, che diventa anche identità sociale”. Per l’Ufficio della garante e Papillon, solo alla Dozza sarebbero 360 i detenuti “titolari” dei requisiti per accedere alle misure alternative. In questi giorni, alla coop “Croce” alcune persone si sono licenziate dopo aver trovato lavoro altrove, ma l’Ufficio di esecuzione penale esterna non ha segnalato nessun detenuto che possa prendere quei posti rimasti scoperti. A fronte di una capienza massima di 483 persone, al 31 luglio in via del Gomito c’erano 870 fra uomini e donne. E per il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al 30 giugno solo 41 detenuti in tutta la regione erano in semilibertà. Roma: Sappe; detenuti in rivolta causano incendio nel carcere minorile di Casal del Marmo Comunicato stampa, 8 ottobre 2012 “L’incendio di venerdì sera nel carcere minorile Casal del Marmo di Roma, provocato da un gruppetto di detenuti minorenni che hanno dato fuoco alla cella, è stato un drammatico evento che poteva avere ben più gravi conseguenza. Per fortuna, e grazie alla professionalità, al sangue freddo ed al senso del dovere delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere minorile, peraltro minacciati con bastoni dai rivoltosi, le pur significative conseguenze dell’incendio sono state contenute. Il fumo tossico sprigionato dalle masserizie ha messo a rischio l’incolumità di tutti i detenuti i quali sono stati immediatamente evacuati in altri spazi dell’edificio. Tale spregevole azione ha causato l’inagibilità di un intero braccio detentivo e l’intossicazione degli agenti, i quali a rischio della loro incolumità si sono adoperati per mettere in salvo tutti i detenuti presenti; quest’ultimi non hanno riportato nessun danno fisico. Va quindi a tutto il Reparto di Polizia Penitenziaria dell’Istituto penale per minorenni Casal del Marmo di Roma il nostro plauso ed il nostro più vivo apprezzamento per come è stato gestito il grave e pericoloso evento critico. Ma è evidente che c’è più di qualcosa che non va nella Giustizia minorile”. È quanto dichiara Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), commentando l’incendio provocato venerdì sera da un gruppo di detenuti minorenni in rivolta nel carcere minorile di Roma. Capece, che ricorda come nello scorso mese di aprile 2012 sempre nel carcere minorile di Roma si era registrata una sommossa di alcuni detenuti con devastazioni di celle, sottolinea come “questi accadimenti avvalorano quanto più volte è stato rappresentato dal Sappe, e cioè che essi altro non sono che il sintomo di una mala amministrazione degli Istituti penali per Minorenni da parte della Direzione Generale del Dipartimento Giustizia Minorile deputata ai detenuti ed al trattamento, la cui politica gestionale risulta inadeguata all’attuale strutturazione delinquenziale dei detenuti minorenni e scoordinata nella risoluzione delle criticità sul piano nazionale. Il personale di Polizia Penitenziaria lamenta la mancanza di appositi circuiti che permettano la differenziazione dei minorenni dai maggiorenni, quest’ultimi a volte più strutturati e provenienti da carceri per adulti, e dai detenuti con problematiche psichiatriche. In particolare all’Istituto penale romano la predetta Direzione Generale continua ad assegnare tutti i detenuti problematici provenienti da altre regioni rendendo difficile il lavoro di coloro che sono incaricati della tutela dell’ordine e della sicurezza e a discapito del regolare svolgimento del trattamento rieducativo intramurario. In occasione della prossima visita del ministro della Giustizia presso l’Istituto Penale per Minorenni di Roma che si terrà questo mese, il Sappe manifesterà il proprio dissenso nei confronti dei Dirigenti del Dipartimento Giustizia Minorile”. Roma: a Tivoli manifestazione di protesta contro l’abuso della carcerazione preventiva 9Colonne, 8 ottobre 2012 Questa mattina di fronte al Tribunale di Tivoli l’associazione radicale Il Detenuto Ignoto manifesta insieme all’associazione Scienza per l’Amore per portare all’attenzione dell’opinione pubblica “l’iniquità della carcerazione preventiva e le disumane condizioni di vita nelle carceri italiane”. La manifestazione coincide con la ripresa del processo nei confronti di Danilo Speranza, ex presidente di Re Maya, il quale - accusato di abusi sessuali e truffa. “È rimasto in custodia cautelare per quasi due anni ed è stato giudicato colpevole ancor prima di essere processato - si legge in una nota dell’associazione radicale -. Ed invero fin dai giorni successivi all’arresto, Danilo Speranza è stato sottoposto, insieme all’associazione Re Maya, a una pesante gogna mediatica che ne ha gravemente danneggiato l’immagine. Dopo essere stati definiti dai media e dagli inquirenti adepti di una “setta”, gli associati sono stati oggetto di atti di teppismo e vandalici, nonché di discriminazioni in famiglia e sul lavoro. In un evidente tentativo di intimidazione, ignoti hanno persino fatto esplodere due ordigni presso la ex sede dell’associazione provocando gravi danni. Senza considerare il sequestro degli impianti Hyst, e il conseguente blocco del progetto umanitario per l’Africa a esso collegato unito ai tempi incomprensibilmente lunghi del procedimento giudiziario per truffa. Tutto ciò sta creando un notevole danno a tutti gli associati di Scienza per l’Amore. C’è da chiedersi se sia un paese normale quello nel quale succede tutto questo prima ancora che i fatti vengano accertati in un’aula giudiziaria”. Bergamo: “Creattiva”, quando le carceri mettono in mostra il vero valore del lavoro di Francesca Valenzi www.ilsussidiario.net, 8 ottobre 2012 Si è da poco conclusa la nona edizione di Bergamo Creattiva, manifestazione dedicata al mondo delle arti manuali, dell’hobbistica e del bricolage organizzata da Ente Fiera Promoberg (con il sostegno di Credito Bergamasco Gruppo Banco Popolare, L’Eco di Bergamo, Ubi Banca Popolare di Bergamo, Camera di Commercio, Ascom e Bergamo Fiera Nuova). Bergamo Creattiva, che per tre giorni (dal 4 al 7 ottobre) ha animato il polo fieristico di Bergamo, non può essere considerata una semplice vetrina dove esporre, vendere e comprare prodotti, manufatti e creazioni, ma anche una vera e propria rassegna culturale composta da mostre e concorsi che ogni anno attirano decine di migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’estero. In questa nuova edizione, per la prima volta, Creattiva ha avviato un progetto in collaborazione con il Provveditorato Penitenziario Regionale per dare visibilità ai laboratori creativi e di manualità attivi nelle case circondariali. la manifestazione ha infatti deciso di destinare un ampio spazio del padiglione C alle creazioni realizzate dai detenuti nei laboratori delle carceri di Milano, Bergamo, Monza, Bollate, Brescia Verziano e Mantova. A parlarne a IlSussidiario.net è Carlo Conte, responsabile del progetto Creattiva: “Sono ormai anni che promuoviamo iniziative parallele alla Fiera che si rivolgono al sociale e alla cultura. In questa edizione, grazie anche all’opportunità creatasi con il Provveditorato Penitenziario della Regione Lombardia, abbiamo avviato una nuova iniziativa che permette di dare visibilità ai lavori svolti all’interno delle diverse strutture carcerarie lombarde, in cui stili e materiali diversi compongono creazioni di altissimo livello”. Un’iniziativa, spiega Conte, che “senza dubbio aiuta a ridurre quella distanza con la realtà carceraria e che offre la possibilità a tutti i detenuti coinvolti di farsi notare e avere rapporti non solo con i visitatori, ma anche con gli stessi espositori che in più di un’occasione hanno mostrato un evidente interesse nei confronti di questi importanti laboratori”. Al di là della semplice esposizione, dunque, “si crea una vera e propria opportunità per i detenuti, mentre anche le varie realtà che partecipano al progetto hanno la possibilità di fare rete, comunicare e confrontarsi all’interno di un’iniziativa quanto mai importante”. Conclusa l’esperienza di Bergamo, Creattiva non si ferma: “Per la prima volta -conclude Carlo Conte - esportiamo la manifestazione in un’altra location: dal 28 ottobre, infatti, ci sposteremo a Napoli dove un progetto simile coinvolgerà il carcere minorile di Nisida, i suoi laboratori e i tanti lavori creati dai ragazzi”. Anche Francesca Valenzi, dirigente del Provveditorato regionale lombardo dell’amministrazione penitenziaria, spiega a IlSussidiario.net che l’importanza di una manifestazione come “Creattiva” “risiede innanzitutto nel poter dare visibilità di una parte del carcere che per ovvi motivi normalmente non è possibile conoscere. Il lavoro svolto dai detenuti all’interno dell’istituto penitenziario è per noi uno degli elementi più importanti di rieducazione e di intervento, quindi è quanto mai fondamentale dare un certo tipo di visibilità a questo percorso affinché possa essere conosciuto, valorizzato e incentivato”. La creazione di una rete tra le strutture penitenziarie, continua Valenzi, “è un obiettivo che come Provveditorato di Milano perseguiamo già da tempo, valorizzando le esperienze migliori di ogni istituto e creando tra questi un circuito regionale che possa raccogliere e offrire opportunità a tutti i detenuti. Si tratta di un tema di estrema importanza che Creattiva ci ha permesso di attuare in maniera evidente: è stata per noi la prima volta, ma la speranza è che in futuro tali esperienze possano essere ulteriormente valorizzate e incentivate”. Treviso: in nome dell’articolo 27 della Costituzione… incontro sulla situazione carceraria www.agoravox.it, 8 ottobre 2012 Oltre ai dati e le statistiche sulla realtà carceraria italiana, ci sono i volti e le storie di chi è recluso e di chi vi lavora nelle prigioni. Enormi i problemi, una realtà di marginalità e povertà, in cui il sovraffollamento delle celle vede il nostro paese tra i peggiori in Europa. Cosa sappiamo veramente di quello che si cela dietro le alte mura e i portoni blindati delle carceri italiane? La maggioranza dell’opinione pubblica, me compreso, ne sa poco o niente. Conosciamo tanti dati, le statistiche, le notizie di suicidi e violenze dietro le sbarre che i mass media ci sottopongono; oltre a questo ho capito che esiste anche altro, ascoltando con vivo interesse il dibattito pubblico “La situazione carceraria italiana” tenutosi all’hotel Cà del Galletto, a Treviso il 5 ottobre, organizzato da Andrea Zanoni europarlamentare dell’Idv. Esistono anche fatti positivi come il volontariato impegnato ad aiutare i detenuti, le attività lavorative dei carcerati, il mondo delle cooperative che da lavoro e assistenza dopo le scarcerazioni, le piccole grandi storie quotidiane che riguardano “loro”, i carcerati e gli “altri”, gli agenti di polizia penitenziaria. Anche questa parte della realtà meriterebbe un po’ più di attenzione mediatica. Preciso il mio pensiero fin da subito: chi è in carcere è perché ha commesso dei reati, per cui stiamo parlando di delinquenti. Il dibattito che ruota intorno al tema dell’indulto, rilanciato di recente dal Presidente Napolitano, mi porta a pensare che lo Stato italiano dimostra la propria incapacità doppiamente. Primo perché il quadro legislativo permette che si arresti troppo facilmente e quindi prima si riempiono le carceri. Poi si constata il sovraffollamento e le condizioni spesso disumane in cui i carcerati e il personale della polizia penitenziaria devono vivere, per cui la politica che fino a prima in larga parte si è disinteressata del problema - non si crea consenso col tema carceri - approva indulti e amnistie. Con tutti costi sociali ed economici che questo porta. Presenti all’incontro oltre all’On. Zanoni, il Dott. Francesco Massimo, direttore del carcere di Treviso, Giovanni Borsato della Caritas, Don Marco di Benedetto cappellano del carcere di Rebibbia, Antonio Zamberlan responsabile della cooperativa L’Alternativa e Carlo Silvano scrittore che ha scritto diversi libri sul tema carceri oltre ad aver creato un blog sul carcere di Treviso. Il quadro che emerge da dati presentati pone l’Italia come maglia nera in Europa per il sovraffollamento delle sue carceri vedendoci con un tasso del 157% mentre la media UE è del 97%. Dai dati esposti da Giovanni Borsato, la popolazione carceraria è di 66271 detenuti a fronte di 45.568 posti disponibili. Di questi 23000 sono stranieri, 2000 le detenute di cui circa 1400 sono straniere; 70 bambini vivono nelle carceri italiane al seguito delle madri recluse. Come ha ricordato l’On. Zanoni l’Italia non ottempera al requisito minimo di almeno 8 mq per detenuto e i richiami della UE non mancano di certo; spesso le celle ospitano il doppio dei detenuti con tutte le conseguenze di promiscuità di problemi e casi umani. Spagna: malattia mentale in carcere, 4 detenuti su 10 soffrono di gravi disturbi psichici Ansa, 8 ottobre 2012 In Spagna, non solo 4 detenuti su 10 soffrono di gravi disturbi mentali, ma nella maggior parte dei casi ne erano affetti prima di varcare la soglia del carcere. In termini assoluti parliamo di oltre 28.000 persone su un totale di 70.472. Un esercito di pazienti-detenuti, che nella maggior parte dei casi era affetta da questa patologie prima ancora di varcare la soglia del carcere. È questa la scioccante realtà che emerge dal documentario “Fuori Luogo” realizzato dalla Fundación Manantial. Col duplice obiettivo di denunciare l’assenza di adeguate cure e assistenze per questi individui e spingere giudici e avvocati a fare ricorso ai mezzi che già esistono per la diagnosi di queste malattie in sede processuale. Mozambico: agricoltori in carcere, coltivati dai detenuti circa 80 ettari di campagna Progettomondo Mlal, 8 ottobre 2012 Detenuti al lavoro prima di tutto per se stessi. Nelle strutture carcerarie del Mozambico, Paese in cui si muore ancor prima di avere compiuto i 45 anni, e spesso per cause legate all’alimentazione, sono state introdotte delle attività produttive all’interno delle carceri che coinvolgono in prima persona i detenuti e garantiscono il sostentamento per tutti. Nella città di Nampula, nel Centro Aperto di Itocolo e nella sezione femminile della Rex, vengono oggi lavorati e coltivati dai detenuti circa 80 ettari di campagna. Il progetto Vita Dentro promuove in questo modo le colture locali, cercando di introdurre un sistema di produzione sostenibile nel medio-lungo periodo grazie a corsi di formazione nell’area vivai e produzione di sementi locali. In questo modo non è necessario ricorrere ogni anno all’acquisto di semi, che spesso e volentieri sono ibridi modificati, e nello stesso tempo viene maggiormente valorizzata la produzione locale. Così oggi si raccolgono con soddisfazione i primi frutti: soprattutto mais, base dell’alimentazione in tutto il Mozambico, mandioca, altra fonte di carboidrati molto usata in tutto il territorio nazionale e in maggior quantità al nord; arachidi, diverse varietà di fagioli, pomodori, insalata, cavolo verde e cavolo verza, peperoni, piri piri, cipolle, carote e cetrioli. Inoltre per la sostenibilità futura del Centro di Itocolo, si sta rivelando particolarmente preziosa la produzione di alberi da frutta: manghi, agrumi, avocadi e altre varietà locali coltivate dai detenuti che hanno iniziato questa attività spontaneamente. In 3 anni di lavoro la produzione è oggi di oltre 20 tonnellate di ortaggi vari e di oltre 100 tonnellate di mais. Ma il lavoro non si ferma qui. L’area agricola lavorata arriverà presto a superare i 100 ettari. Inoltre obiettivo del progetto è rendere sostenibile queste produzioni con una “banca del seme” da gestire localmente. Un ottimo risultato per la sicurezza e la sovranità alimentare della comunità carceraria, reso possibile grazie alla solidarietà internazionale e ai contributi del nostro Ministero degli Affari Esteri Italiano, prima, e dell’Unione Europea ora. Nell’arco dell’intero 2011, hanno beneficiato della campagna agricola circa 2.000 detenuti, risultato che ha “promosso” la Penitenciaria Industrial di Nampula modello per tutto il Mozambico. Danimarca: detenuto evade dalla prigione indossando un burqa La Presse, 8 ottobre 2012 Evadere da un carcere semplicemente indossando un burqa. C’è riuscito un detenuto della prigione di Nyborg, cittadina danese non lontana da Copenaghen. L’uomo aveva appena avuto un colloquio con una coppia di visitatori. La donna indossava il velo integrale. E così al detenuto, trentenne, sarebbe venuta l’idea. Si è fatto dare dalla donna il velo integrale nero, che copre anche il volto, ed è uscito come se niente fosse dalla prigione, in pieno giorno, insieme all’uomo che era venuto a trovarlo. La donna è uscita più tardi. L’evasione è stata scoperta solo ore dopo, al controllo delle celle. Subito sono scattate le ricerche, estese a tutti i Paesi dell’area Schengen. Anche se la polizia avverte che l’evaso non è pericoloso. Ma i sostenitori del divieto del burqa, e dei veli che nascono il volto, potrebbero prendere questa vicenda per dimostrare la pericolosità di questi indumenti in luoghi pubblici.