Giustizia: da inizio anno "morti di carcere" 123 detenuti (44 suicidi) e 9 poliziotti penitenziari Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2012 Belluno: detenuto s’impicca nel bagno della cella, la notizia trapela dopo 4 giorni. Da inizio anno sono “morti di carcere” 123 detenuti (44 suicidi) e 9 poliziotti penitenziari. Il tragico bilancio del 2012: 44 suicidi, 29 morti per “cause da accertare”, 1 per sciopero della fame, 1 ucciso dal compagno di cella, 2 stroncati da overdose di farmaci e droghe, altri 46 deceduti per “cause naturali”: in totale 123 detenuti hanno perso la vita nelle carceri italiane da inizio anno. Età media, 38 anni. 5 le donne (di cui 4 suicide), 38 in totale gli stranieri. Ma le vittime si contano anche tra le fila del Polizia Penitenziaria: 8 poliziotti si sono uccisi e un altro è morto mercoledì scorso asfissiato dal fumo nella caserma del carcere di Biella. Una cortina di silenzio... soprattutto quando muoiono detenuti stranieri. È successo martedì scorso, ma ci sono voluti quattro giorni perché qualcosa trapelasse dalla cortina di silenzio che purtroppo a volte cela ciò che accade all’interno delle carceri italiane. La vittima è un giovane tunisino (di cui ancora non sappiamo il nome), trasferito di recente a Belluno da un altro carcere. Il detenuto avrebbe approfittato dell’assenza dei compagni per compiere il gesto estremo. L’hanno trovato nel primo pomeriggio, al rientro in cella: per togliersi la vita ha usato la cintura dell’accappatoio fissata ad una grata del bagno. Quando è scattato l’allarme, oramai, non c’era più nulla da fare. Il medico del carcere, intervenuto tempestivamente, non ha potuto far altro che constatare il decesso. Nella notte successiva al suicidio, un altro maghrebino ha cercato di farla finita, sempre nella stessa cella e con le stesse modalità del tunisino. In questo caso, però, gli agenti di polizia penitenziaria si sono accorti delle intenzioni suicide del detenuto e sono riusciti ad intervenire, sventando il gesto estremo. Il 12 anni oltre 2000 vittime. Dal gennaio 2000 ad oggi sono 2.056 i “morti di carcere”, di cui 736 per suicidio, 12 vittime di omicidi, 30 per overdose. In oltre 1.500 casi la magistratura ha aperto fascicoli per accertare la realtà dei fatti e le indagini nella stragrande maggioranza dei casi attribuiscono le morti a “cause naturali”, oppure a “suicidio”. Ma alcuni procedimenti sono ancora in corso, come quello sulla morte di Marco Erittu, nel carcere di Sassari (2007). Dapprima fu archiviata come “suicidio”, finché altro detenuto si autoaccusò di averlo ucciso “su commissione”, con la complicità di alcuni agenti di polizia penitenziaria, perché non svelasse segreti della “anonima sequestri sarda”. Giustizia: un progetto per l’accesso dei detenuti stranieri al Servizio sanitario nazionale Dire, 7 ottobre 2012 Integrazione sanitaria dei cittadini stranieri detenuti negli istituti di pena italiani, attraverso il “pieno e consapevole accesso” al Servizio sanitario nazionale, anche durante il periodo di detenzione. È il progetto “Salute senza barriere”, che verrà presentato lunedì alle 11 in un appuntamento organizzato dal ministero della Salute presso la casa circondariale di Regina Coeli a Roma (sala Conferenza, via della Lungara 29). “Salute senza barriere” è un progetto finanziato dal Fei (Fondo europeo per l’Integrazione dei cittadini dei Paesi terzi), proposto dal ministero dell’Interno (Autorità responsabile del Fei) e attuato da un partenariato composto dal ministero della Salute e dall’Inmp, l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà. Nell’ambito delle attività di sensibilizzazione sullo stato di attuazione della riforma della medicina penitenziaria, l’Inmp ha inoltre firmato un protocollo d’intesa per la collaborazione con il Forum nazionale per la salute in carcere. Tre gli obiettivi specifici del progetto: crescita della consapevolezza di detenuti e operatori sul diritto all’assistenza sanitaria in carcere, sul funzionamento del Ssn e sulla conoscenza della riforma della medicina penitenziaria; miglioramento della capacità di presa in carico dei bisogni di salute della popolazione straniera detenuta; mappatura dello stato di attuazione del trasferimento delle competenze della salute in carcere dal Dap al Ssn. Interverranno il capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (ministero della Giustizia) Giovanni Tamburino, il direttore della casa circondariale di Regina Coeli, Mauro Mariani, il viceprefetto Maria Corsaro (direzione generale Politiche immigrazione e asilo - Dipartimento Libertà civili e Immigrazione del ministero dell’Interno), il direttore generale della Programmazione sanitaria (ministero della Salute), Francesco Bevere, il direttore generale dell’Inmp, Concetta Mirisola, il presidente del Forum nazionale Salute in carcere, Roberto Di Giovan Paolo. Giustizia: Fleres; carceri italiane al di sotto di qualsiasi parametro di civiltà e di legalità Comunicato stampa, 7 ottobre 2012 Con riferimento alla drammatica situazione delle carceri del nostro Paese, il Sen. Salvo Fleres, coordinatore nazionale dei Garanti regionali dei detenuti, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Le carceri italiane sono ormai al di sotto di qualsiasi parametro di civiltà e di legalità, i continui suicidi che si registrano tra la popolazione detenuta e tra gli agenti di Polizia Penitenziaria costituiscono il drammatico indice di una condizione che non tollera più alcun ritardo ed alcuna ipocrisia e che, ormai, è all’attenzione dell’Unione Europea e dell’Onu. Le dichiarazioni delle più alte cariche istituzionali, in questo quadro, appaiono come il tentativo di determinare da una parte messianiche attese, non corroborate da alcun provvedimento concreto, dall’altra il modo per costruire una intollerabile deresponsabilizzazione del Governo e del Parlamento, che invece tardano a formulare proposte formali riguardanti le pene alternative ed un, ormai improcrastinabile, atto di clemenza. Insomma, ha proseguito il Sen. Fleres, nulla si continua a fare per reintegrare l’organico della Polizia Penitenziaria, degli educatori, del personale in genere, né per l’avvio della realizzazione di nuovi e più idonei istituti di pena al fine di applicare concretamente l’art. 27 della Costituzione. In questo contesto, ha aggiunto il Sen. Fleres, l’avvio di una fase di mobilitazione pansindacalistica, come quella promossa da alcuni Garanti comunali, non sembra sufficiente e comunque non appare come la scelta più consona alla funzione stessa dei Garanti, che non é certamente quella di limitarsi a protestare, sia pure per motivazioni nobili e sulla base di una piattaforma rivendicativa, bensì quella di assistere i reclusi nell’affermazione dei loro diritti, anche davanti alla legge. Sono solidale con l’iniziativa dei colleghi ma penso ad altro. Per quanto mi riguarda, ha concluso il Sen. Fleres, continuerò, infatti, a sostenere le azioni legali che i detenuti vorranno avviare ai danni dell’amministrazione della giustizia, come ho già fatto per oltre 1000 carcerati siciliani, ed a battermi in Parlamento contro l’insopportabile silenzio del governo dei tecnici e della politica. “ Il Garante dei detenuti della Sicilia Sen. Dott. Salvo Fleres) Giustizia: Sappe; in soli due giorni aggrediti in vari istituti 11 poliziotti penitenziari Ansa, 7 ottobre 2012 Siracusa, Lucca, Firenze Sollicciano, Sanremo, Ancona: sono le carceri nelle quali, negli ultimi giorni, 11 poliziotti penitenziari sono stati aggrediti da detenuti. Una situazione di alta tensione, l’ennesima, rispetto alla quale forti sono le proteste del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe. “Quanto avvenuto nelle ultime ore ad Ancona, Sanremo, Firenze, Lucca e Siracusa è di una gravità assoluta ed inaccettabile” commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo dei Baschi Azzurri. “Per prima cosa voglio esprimere la solidarietà mia personale e del Sappe a tutti i Colleghi proditoriamente colpiti con violenza dai detenuti, Baschi Azzurri e che nonostante tutto sono riusciti a contenere l’aggressività dei medesimi ristretti. Questi gravi fatti sono l’ennesimo campanello d’allarme delle criticità delle carceri italiane. Rivolte, risse, aggressioni, suicidi, tentati suicidi, atti di autolesionismo: questo accade ogni giorno nelle oltre 200 carceri italiane: è davvero troppo. Dove sono le istituzioni? Cosa pensano di fare per tutelare gli agenti di Polizia? La drammatica situazione penitenziaria oggi è contenuta principalmente dal senso di responsabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria; ma queste sono condizioni di sfiancamento e logoramento che durano ormai da molti mesi. Ma quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della Polizia Penitenziaria? Quanto stress psicofisico si pensa possa sopportare una persona in divisa costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo Mondo, esposta a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare ma spesso anche a subire La situazione delle carceri toscane e nazionali è ben oltre il limite della tolleranza: lo dimostra chiaramente la sistematicità quasi quotidiana con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nei penitenziari di tutta Italia. E nonostante tutto ciò l’Amministrazione Penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino è del tutto incapace di gestire questi eventi drammatici, tanto che già da tempo abbiamo chiesto il suo avvicendamento.” Capece, in relazione alle recenti censure della Corte dei Conti per i troppi poliziotti comandati in altri Ministeri e la replica del Dap, dice che “l’Amministrazione Penitenziaria predica bene ma razzola male: dopo il richiamo della Corte dei Conti sui molti poliziotti penitenziari in posizione di comando presso altri Ministeri, il Dap sostiene che ha già da tempo si è attivata una politica dei rientri del personale distaccato e comandato presso altre sedi o impiegato in compiti. Chiacchiere: in realtà continua a distaccare direttori, educatori, assistenti sociali e funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria dalla periferia - dove invece, come nel caso dei Commissari Comandanti di Reparto, dovrebbero servire per gestire le criticità legate al sovraffollamento penitenziario e ai numerosi episodi ed eventi critici che si verificano ogni giorno - per andare a rimpolpare le più comode poltrone degli uffici ministeriali. Basta! Le bugie del DAP hanno le gambe corte! È per questo che si siamo appellati alla Ministro della Giustizia Paola Severino perché riporti al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria trasparenza, legalità e democrazia.” Ancora aggressioni nel carcere di Lucca “A poche giorni dalle violenze di ieri nel carcere di Luca, resta altissima la tensione nel penitenziario toscano. Ieri sera, infatti, uno dei 2 detenuti marocchini che ha aggredito i poliziotti impadronendosi di un badile, al rientro in cella (perché a Lucca non esiste isolamento…) ha picchiato il detenuto italiano suo compagno di cella, pare con una forchetta. Entrambi sono finiti all’ ospedale e non si descrivono i sacrifici che hanno dovuto fare i pochi poliziotti in servizio per trasportarli al pronto soccorso di Lucca. Stamattina l’altro detenuto marocchino coinvolto nei fatti di ieri è stato picchiato da un gruppo di detenuti albanesi e nel pomeriggio, verso le 15.30, alcuni detenuti si sono rifiutati di entrare nelle rispettive celle. È stata dura per i pochi agenti in servizio tenere la situazione sotto controllo. Cosa aspettano il direttore e comandante di Lucca, d’intesa con il provveditore regionale, ad assumere urgenti provvedimenti? Spesso, come a Lucca, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono non più di giorno in giorno, ma di ora in ora: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture ed impedire l’implosione del sistema”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione ai nuovi fatti violenti accaduti oggi nel carcere di Lucca. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza” prosegue Capece. “Lo dimostra chiaramente l’inquietante regolarità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nelle sovraffollate prigioni italiane, a tutto discapito dell’operatività e della sicurezza dei Baschi Azzurri. Sono da encomiare gli Agenti intervenuti a Lucca, che hanno impedito che la situazione potesse ulteriormente degenerare.” Il Sappe, che auspica urgenti interventi dell’Amministrazione Penitenziaria per sfollare il carcere di Lucca e potenziare il Reparto di Polizia, rinnova l’invito alle Istituzioni di “arrivare a definire, come sosteniamo da tempo, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale e l’espulsione dei detenuti stranieri in Italia. Quello che invece non serve è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto da una recente nota del Capo Dap Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Giustizia: caso Laureana Borrello; Comune e Arcivescovo Cosenza per riapertura carcere Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2012 Diverse interrogazioni parlamentari, un Consiglio Provinciale in seduta straordinaria nella prossima settimana, fermenti anche a palazzo Campanella sede del Consiglio Regionale della Calabria, e ieri anche un civico consesso aperto a Laureana di Borrello. Cresce la protesta avverso il provvedimento del ministero con cui è stato temporaneamente chiusa la casa di reclusione “Luigi Daga” e che da più parti, a tutti i livelli istituzionali, viene ritenuto contraddittorio e ingiustificabile. Il dolore e la speranza di mamma Angela non cadono nel silenzio delle bandiere tirate giù perché lo Stato e ciò che rappresentava qui hanno temporaneamente chiuso battenti. Desolazione sì ma non rassegnazione come alcuni cartelloni attestano. Ad un paio di centinaia di metri, infatti un Consiglio Comunale aperto a Laureana di Borrello in provincia di Reggio Calabria a seguito della chiusura della casa di reclusione “Luigi Daga”, istituto penitenziario sperimentale a custodia attenuata, annuncia una fervida e viva contestazione avverso questa decisione che ancora appare contraddittoria ed ingiustificabile. Più politici, parlamentari, rappresentanti della Regione e della Provincia, amministratori dei comuni limitrofi, che cittadini, ma anche la Chiesa e dal mondo sindacale la Cgil ed il Sappe, presenti all’Assise aperta presso il cine teatro Aurora in cui 9 consiglieri su 11 hanno votato la mozione con cui si intende proseguire nella richiesta di riapertura di un istituto da definita, a ragion veduta, dal comitato per la sua pronta riapertura un’eccellenza che tutta Europa ci invidia. Una struttura neppure sovraffollata, in un frangente non breve in cui il sovraffollamento delle carceri italiane costituisce imbarazzo al cospetto della comunità internazionale, emblema della forza e della lungimiranza del processo di umanizzazione della pena che il compianto Provveditore regionale delle carceri calabresi Paolo Quattrone, ad oggi non ancora pienamente sostituito, aveva avviato con grande capacità e saggezza. Il suo ricordo ha attraversato molti interventi. Monsignor Nunnari scrive al ministro L’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, in seguito alla vicenda della chiusura del Carcere della casa di reclusione “Luigi Daga” di Laurena di Borrello ha scritto al Ministro della Giustizia Paola Severino la seguente missiva: “On. Signor Ministro, Le scrivo dopo avere appreso la sconvolgente notizia della chiusura della Casa di Reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello. Ho il cuore ferito perché come per tutti i calabresi quella casa costituiva un segnale di grande speranza nell’opera educativa di tanti giovani che dopo efferati delitti, trovavano l’ambiente più consono a un nuovo cammino di redenzione. Ho avuto la gioia di seguire personalmente qualcuno di loro e ho riscontrato la serietà e l’impegno con cui venivano seguiti e preparati professionalmente ad affrontare la vita del non sempre facile rientro nella società. Ora una decisione avventata e una scusa poco credibile, mancanza del personale di custodia in altre case, ha interrotto questo percorso educativo e in modo traumatico con un blitz che ha offeso la dignità dell’uomo. Chi è quotidianamente impegnato a sconfiggere le organizzazioni malavitose, come si evidenzia anche dalla riflessione pastorale inviata agli uomini della mafia e che qui le accludo, avverte questo episodio come una vera sconfitta. Signor Ministro, ascolti il grido della società civile, di tante famiglie e di tanti educatori che nutrivano tanta fiducia in un’opera finalmente positiva ed esemplare per il riscatto della nostra terra calabra. Come cittadino di questo Stato e come Vescovo fortemente confido in un Suo immediato e saggio, Salvatore Nunnari, Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano Giustizia: appello di Lucia Uva: “Una firma per la verità su mio fratello Giuseppe” di Lucia Uva Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2012 Morte Giuseppe Uva. Appello per chiedere al Pm di aprire un fascicolo su quanto successo in caserma la notte del 14 giugno 2008. Clicca qui per firmare l’appello. http://users2.smartgb.com/g/g.php?a=s&i=g26-22804-42 Il 14 giugno 2008, mio fratello Giuseppe Uva, alle 3 del mattino insieme al suo amico Alberto Biggioggero, sono fermati dai Carabinieri di Varese. Dai verbali della magistratura risulta che Giuseppe è stato intercettato in stato di ebbrezza in una stradina di Varese. Dai verbali della magistratura si legge che, dopo essere stato portato in caserma: “all’interno della caserma di via Saffi, Giuseppe per tre ore abbia subito violenze, sistematiche e ininterrotte: dimostrate dalle numerose ecchimosi al volto e in varie parti del corpo, macchie di sangue in diverse zone”. Nella caserma dei Carabinieri mio fratello Giuseppe, insieme al suo amico, arrivano scortati anche da due volanti della Polizia e vengono divisi. L’amico Alberto dal suo posto sente le urla di Giuseppe, e con il cellulare che ancora teneva addosso chiama il 118 per chiedere un’ambulanza. I sanitari del 118 a seguito della chiamata di Alberto, per accertarsi dell’esigenza di un loro intervento chiamano in caserma per capire se ci sia bisogno di un’autombulanza, ma i Carabinieri rispondono ai sanitari che non c’è alcun motivo e nessuna necessità di un’ambulanza. Più tardi sono i Carabinieri stessi a richiederla, perché uno dei fermati necessita di un trattamento sanitario obbligatorio. Così, mio fratello Giuseppe, viene portato all’ospedale di circolo di Varese e ricoverato nel reparto di psichiatria per essere sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio, ma lì Giuseppe muore. Nel corso di questi quattro anni si è cercato di dare la colpa della morte ai farmaci, ma noi non abbiamo mai creduto a questa versione. Anche nella ricostruzione dei pm, la causa della morte di Giuseppe non è imputabile ai farmaci, ma alle percosse ricevute. Vengono indagati due medici, ma per quanto riguarda la responsabilità di coloro che hanno trattenuto Giuseppe e lo hanno sottoposto a violenze si procede ancora contro ignoti. Nel frattempo il Giudice dottor Moscato ha assolto il medico che sottopose Giuseppe a TSO, sottolineando che invece è proprio nella caserma che si deve indagare, e disponendo che il Procuratore della Repubblica di Varese apra una formale inchiesta. Nella perizia medico-legale dei professori Davide Ferrara, Angelo Demoni e Gaetano Thiene, ordinata dal Tribunale per far luce sulla vicenda, è indicato che la morte di Giuseppe si deve a “stress emotivo” dovuto all’alcool insieme alle “misure di contenzione fisica” e alle “lesioni traumatiche auto ed etero prodotte”. Sulle lesioni che hanno portato all’infarto “non è possibile fare ulteriori osservazioni” perché c’è “assoluta mancanza di documentazione inerente il periodo tra il fermo delle 3 e la relazione medica che prescrive il Tso”, fino “all’accesso in pronto soccorso alle 5.48”. I periti hanno trovato “escoriazioni prodotte dall’urto contro un corpo contundente, espressione di una forza di lieve entità, con l’eccezione dei tessuti molli pericranici, ove l’intensità appare fotograficamente di maggiore rilevanza”. “La valutazione - si precisa - delle lesioni è esclusivamente fondata sulla documentazione clinico - ospedaliera e fotografica dei consulenti del pm”. Oggi, nonostante il Giudice Moscato abbia espressamente riconosciuto a noi familiari di Giuseppe il diritto di sapere cosa è accaduto in quella caserma quella notte del 14 giugno 2008, il Pm dopo 4 anni non ha ancora aperto un fascicolo su quanto avvenuto. Per conoscere la verità su quanto sia accaduto quella notte a mio fratello Giuseppe, ti chiedo di sostenere la mia, la nostra causa. È anche un modo per rivendicare dignità e giustizia per i tanti Giuseppe Uva che sono morti in circostanze poco chiare nel nostro Paese. Aiutami anche tu a chiedere, firmando questo appello indirizzato al Pubblico Ministero di Varese Agostino Abate, affinché apra al più presto il fascicolo n. 5509/09 contro ignoti, per far luce su quanto accaduto quella notte a mio fratello Giuseppe. Campania: chiudono gli Opg, è allarme “degenti senza assistenza” di Maria Pirro Il Mattino, 7 ottobre 2012 È scattato il conto alla rovescia per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, ma nella regione che ospita il maggior numero di istituti in Italia (due, a Secondigliano e Aversa), a distanza di quattro mesi dalla data fissata per l’applicazione della nuova legge, ancora nessuna struttura residenziale sanitaria pubblica è pronta per accogliere gli internati. A segnalare il caso, e quindi possibili ritardi nell’attuazione delle norme, è Antigone, l’associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” che, attraverso due visite ispettive, ha anche completato un monitoraggio negli Opg della Campania. Ma anche Palazzo Santa Lucia in questi giorni ha fatto il punto della situazione. “Oggettivamente è impossibile rispettare i termini di legge, come già evidenziato da molte altre Regioni. Sono inevitabilmente più lunghi i tempi per realizzare i lavori di adeguamento delle strutture indicate dalle Asl”, afferma Giuseppe Nese, coordinatore del gruppo di lavoro campano per il superamento degli Opg istituito già dal 2010. Tramite decreto commissariale, la Regione il 19 giugno 2012 ha indicato il programma degli interventi. “È un atto importante - dice Nese - perché prevede servizi territoriali affidati a ciascuna Asl ed esclude che possa essere affidata ai privati la responsabilità e la gestione delle strutture e servizi. L’obiettivo è quello di evitare il rischio di riprorre in queste nuove strutture vecchie forme manicomiali. Quindi, alle singole aziende nelle scorse settimane è stato richiesto di completare il proprio cronoprogramma per l’attivazione dei vari interventi”. Per Napoli, prende corpo l’ipotesi di dare risposte assistenziali nel presidio Gesù e Maria di piazza Mazzini. In provincia, “nell’area Sud è stata individuata l’ex Casa Mandamentale di Cicciano, di proprietà comunale, da riconvertire”, spiega il direttore del dipartimento di salute mentale, Manlio Grimaldi. A Francolise e Calvi Risorta per l’area Casertana sono previste due strutture di accoglienza, di cui una dedicata alle donne in considerazione del numero esiguo dell’utenza: 7 in tutta la regione. Nel Beneventano la soluzione indicata è ad Arpaise. “Per portare a termine il progetto, e quindi la realizzazione delle strutture - aggiunge Grimaldi - è indispensabile però la pubblicazione del decreto attuativo interministeriale che deve indicare ulteriori requisiti, come le modalità di vigilanza esterna”. Atteso da mesi, l’atto è stato approvato il 26 settembre scorso dalla conferenza Stato - Regioni. Perché a tutti i livelli è una corsa contro il tempo. “In base a quanto disposto dalla legge 9/2012, il cosiddetto svuota carceri, il termine ultimo per realizzare le strutture residenziali sanitarie è il 1° febbraio 2013”, sottolinea il presidente di Antigone in Campania, Mario Barone. La delegazione dell’associazione l’altra settimana è stata nell’Opg di Secondigliano. “Dove vivono, al momento, 120 internati”. Ad Aversa risultano presenti in 174, secondo i dati raccolti da Antigone. “Sono decisamente di meno dei 268 individuati nel 2011”, spiega il presidente emerito dell’associazione in Campania, Stefano Dell’Aquila. Il 29 settembre è stata anche la giornata nazionale di mobilitazione promossa dal comitato StopOpg che in una lettera aperta avvisa: “Sappiamo che “evitare l’Opg” è possibile, se la presa in carico dei servizi di salute mentale è precoce e globale, se c’è un progetto terapeutico - riabilitativo individuale che coinvolge la comunità locale, se esiste un coordinamento con la magistratura, se si applicano le sentenze della Corte Costituzionale del 2003 e 2004”. Di modo che, come scriveva Basaglia, a proposito di persone normali e non, ciascuno “possa sentirsi libero e nessuno sentirsi solo”. L’orrore di Aversa in un video choc Una bottiglia d’acqua infilata nel buco del bagno alla turca, nella cella angusta che mostra tracce di urina e cumuli di sporcizia. Non è la sola immagine di quella che è la realtà negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Trenta minuti di orrore, “degni delle prigioni irachene di Abu Ghraib”: così gli stessi componenti della commissione di inchiesta sul sistema sanitario hanno definito il video girato nel corso dei blitz fatti nei sei Opg italiani. “È semplicemente un inferno dei dimenticati”, accusa il presidente della commissione Ignazio Marino. L’acqua da bere nel bagno alla turca succede ad Aversa: “Mettono nel bagno la bottiglia - spiega qualcuno - per mantenerla più fresca e perché così impediscono ai topi di risalire dalle fogne”. Nel video - che la Commissione parlamentare d’inchiesta nel 2011 ha presentato anche al presidente della Repubblica Napolitano - scorrono altre inquadrature dell’orrore degli Opg. Qui sono finiti in tanti, spesso è bastata un’ingiuria e il disgraziato che ha dato un ceffone a un agente è entrato e, di proroga in proroga, mai più uscito. Di fatto “il territorio li rifiuta”, annota la commissione. Dal precedente governo era stato strappato l’impegno per un finanziamento di dieci milioni di euro, di cui una metà a carico del ministero della Salute e l’altra metà a carico di quello della Giustizia, proprio per agevolare l’assistenza dei malati in uscita, ma i fondi sono rimasti ancora sulla carta. Qualcosa, nel frattempo, è cambiato ad Aversa come negli altri istituti ma il dramma resta uguale a un anno fa. “Dimenticato” a Secondigliano È tra coloro che son sospesi. “Sepolto vivo in un limbo giuridico, un ragazzo siciliano, A.L.P., da cinque anni è internato nell’ospedale giudiziario psichiatrico con una misura di sicurezza provvisoria, in attesa che la sua posizione venga chiarita. Il giovane si trova nell’istituto di Secondigliano. Per aver estorto la somma di 20 euro a un familiare”. Con il presidente campano Mario Barone, l’associazione Antigone annuncia che porterà questa vicenda all’attenzione degli organismi europei per la tutela dei diritti dell’uomo, con l’obiettivo di sollecitare un intervento incisivo su questa problematica. Secondo i dati diffusi da Antigone, nell’opg di Secondigliano sono venticinque, e ad Aversa settantuno, in totale, gli internati sottoposti a una misura di sicurezza provvisoria, “una condizione giuridica che impedisce loro di sapere quando cesserà il loro internamento e quando verranno presi in carico dai servizi di salute mentale”. Incalza Barone: “La misura di sicurezza provvisoria infatti si applica ai portatori di un disagio psichico ed è equiparabile alla custodia cautelare per i detenuti. Introdotta dal codice Rocco del1930,con l’articolo 206, prevede che durante il giudizio possa essere disposto che l’infermo di mente sia provvisoriamente ricoverato in un ospedale psichiatrico giudiziario ma, in pratica, l’internato può rimanere in questa condizione di “limbo giuridico” anche per anni a causa delle croniche inefficienze del sistema - giustizia. Da questa condizione però dipendono pesanti disagi nella vita quotidiana di persone già sofferenti che non possono accedere nemmeno alle licenze - premio, e restano nei fatti sepolti vivi in strutture oggi in via di dismissione”. Lombardia: progetto “Sport in carcere, liberare energie buone” ha coinvolto 500 detenuti Adnkronos, 7 ottobre 2012 “Offrire alle persone recluse la prospettiva di una possibile e completa integrazione dando loro la possibilità di realizzare le proprie capacità atletiche, di fare squadra e condividere una tattica di gioco, è uno dei temi da sempre molto cari alla Regione Lombardia che, negli anni passati, grazie ad una maggiore disponibilità di fondi, ha potuto organizzare in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, federazioni ed enti di promozione sportiva, attività di diverso tipo con il coinvolgimento di 500 detenuti adulti e minori, in oltre mille ore di attività sportiva”. Lo ha detto l’assessore allo Sport e Giovani della Regione Lombardia, Luciana Ruffinelli, intervenuta al convegno “Sport in carcere, liberare energie buone”. L’assessore ha spiegato come al momento “le difficoltà legate ai trasferimenti statali ci costringano a temporeggiare. La nostra attenzione comunque - ha detto Ruffinelli - non viene meno tanto che, nella nuova legge di riordino dello sport, in fase di approvazione, si prevede esplicitamente, per la prima volta, il sostegno all’attività sportiva come fattore di recupero e integrazione sociale all’interno di luoghi di particolare fragilità, disagio e disadattamento, tra cui le carceri”. “L’ipotesi di lavoro proposta dall’Uisp, l’Unione Italiana Sport per Tutti, - ha sottolineato l’assessore - che prevede il coinvolgimento di 13 istituti lombardi, attraverso una programmazione mirata e rivolta alle singole strutture, offrirà opportunità più adeguate alle singole realtà carcerarie”. I finanziamenti, continua, “potrebbero essere reperiti attraverso il bando della Regione da 800 mila euro, rivolto alla valorizzazione della pratica sportiva, di imminente apertura”. “Lo sport, soprattutto quando incontra le fasce più deboli - ha sostenuto Ruffinelli - rappresenta, per la persona, un valido strumento di promozione, valorizzazione delle competenze, di formazione e aggregazione. In carcere l’attività sportiva ha un ruolo importante poiché insegna valori come condivisione, rispetto di regole e spazi e stimola la fiducia in se stessi, offrendo nuove modalità di relazione”. Ruffinelli, sottolineando il ruolo svolto dalle associazioni nelle carceri, ha ricordato infine come “è necessario dare forma a un progetto concreto, articolato e continuativo: definire e proporre opportunità commisurate alle esigenze e alle diversità delle persone. Me ne faccio carico e assicuro il mio impegno”. Belluno: un detenuto si impicca in cella, un altro ci prova ma viene salvato dagli agenti Corriere delle Alpi, 7 ottobre 2012 Un suicidio ed un tentato suicidio nel giro di poche ore all’interno del carcere di Baldenich a Belluno. È successo tre giorni fa, ma soltanto ieri è filtrata la notizia dei due delicati fatti di cronaca dei quali è stata informata anche la procura della Repubblica. Il primo, quello più grave, purtroppo terminato in tragedia, è avvenuto martedì, nel bagno di una cella. La vittima è un giovane tunisino, trasferito di recente a Belluno da un altro carcere. Il detenuto maghrebino avrebbe approfittato dell’assenza dei compagni per compiere il gesto estremo. L’hanno trovato nel primo pomeriggio, al rientro in cella: per togliersi la vita ha usato la cintura dell’accappatoio fissata ad una grata del bagno. Quando è scattato l’allarme, oramai, non c’era più nulla da fare. Il medico del carcere di Baldenich, intervenuto tempestivamente in cella, non ha potuto far altro che constatare il decesso. Pare che a turbare il detenuto sia stato un recente avviso di garanzia ricevuto proprio in carcere. A denunciarlo sarebbe stato un suo stretto parente. Forse la preoccupazione di doversi difendere in un processo con accuse pesanti o la disperazione per un futuro incerto potrebbe aver influito sul suo stato psicofisico tanto da indurlo al gesto estremo. La direttrice della casa circondariale di Baldenich, da giugno alla guida del carcere, la dottoressa Tiziana Paolini, si limita a confermare il suicidio, senza però entrare nel merito della vicenda, sulla quale la procura della Repubblica di Belluno ha disposto gli accertamenti di rito. Stando a fonti attendibili, però, nella notte successiva al suicidio, un altro detenuto maghrebino avrebbe cercato di farla finita, sempre in cella, con le stesse modalità del tunisino. In questo caso, però, le guardie carcerarie si sono subito accorte delle intenzioni suicide del detenuto e sono riuscite ad intervenire prontamente, sventando il gesto estremo. Anche in questo caso, sul tavolo del sostituto procuratore di turno è arrivato un dettagliato verbale dalla direzione del carcere. Nel 2011, nelle carceri italiane sono stati 66 i detenuti che si sono tolti la vita e 924 sono stati i tentativi di farla finita in cella. Nel 2011 quasi in 70 l’hanno fatta finita nelle carceri italiane Nel 2010 nel carcere di Belluno si sono registrati un suicidio, tre tentati suicidi, 13 atti autolesionistici e quattro scioperi della fame. Un anno difficile con 55 detenuti in più del limite consentito. Nel 2011 non si hanno dati relativi al carcere di Belluno ma a livello nazionale ecco quelli più interessanti: 66 detenuti si sono tolti la vita e 924 sono stati i tentativi di farla finita in cella. Il totale dei morti in carcere è invece di 186. Secondo i dati delle associazioni per i diritti dei carcerati, in tutti gli istituti nei quali si è registrato più di un suicidio nel 2011 il tasso di sovraffollamento è stato superiore alla media nazionale pari al 150 per cento. Lecce: emergenza carceri, anche per la Asl “condizioni disumane” a Borgo San Nicola www.lecceprima.it, 7 ottobre 2012 L’azienda sanitaria ha certificato le carenze strutturali e igieniche dell’istituto penitenziario Borgo San Nicola. Nel gruppo docce “presenti carenze funzionali” mentre, in cella, sono insufficienti i metri a disposizione Il sovraffollamento delle carceri pugliesi, e in particolare di Borgo San Nicola, dove sono reclusi oltre 1300 detenuti, quando non dovrebbe contenerne più di 650, è da tempo un dato di fatto, riconosciuto anche da alcune sentenze. I carcerati sono rinchiusi in tre dentro celle da circa 10 metri quadrati; dormono in letti a castello (il materasso più in alto è a 50 centimetri dal soffitto); in cella c’è una sola finestra ed un bagno cieco senza acqua calda; il riscaldamento funziona d’inverno un’ora al giorno; le grate sono chiuse per 18 ore al giorno; carta igienica, shampoo, bagno schiuma, detersivi solo per chi può comprarli nello spaccio interno. Nei mesi scorsi il Tribunale di sorveglianza, con alcune sentenze definite epocali, aveva condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire alcuni detenuti, assistititi dall’avvocato Alessandro Stomeo. Ora è la stessa Asl di Lecce a certificare le carenze strutturali e igienico - sanitarie dell’istituto di pena alla periferia del capoluogo salentino. Nella relazione, a firma del direttore Alberto Fedele, di evidenzia come il gruppo docce “presenti carenze funzionali”. “In relazione al numero dei detenuti occupanti la cella”, si legge ancora nella relazione indirizzata al magistrato di sorveglianza, “dovrebbe essere necessari 42 metri quadri, a fronte dei 9 disponibili”. Una referto (nato come richiesta istruttoria presentata dall’avvocato Stomeo), che sottolinea ancora una volta la situazione di invivibilità all’interno del carcere. Tutto ciò in violazione della normativa italiana che regola il sistema penitenziario, della Costituzione (secondo la quale la limitazione della libertà dovrebbe avere come obiettivo la riabilitazione dell’uomo e il suo reinserimento in società) e gli orientamenti giuridici comunitari. Osapp: carenze certificate dall’Asl, ora si abbia il coraggio di chiudere il carcere La provocazione arriva dall’Osapp, sindacato di polizia penitenziaria. “A Borgo San Nicola anche a mille e 500 detenuti, contro i 659 posti disponibili. Ma le colpe sono del governo, non certo dell’amministrazione penitenziaria”. “E ora si abbia il coraggio e il buon senso di disporre la chiusura del carcere di Lecce”. La provocazione (ma neanche tanto) arriva da Domenico Mastrulli, vicesegretario nazionale dell’Osapp, una delle sigle sindacali della polizia penitenziaria, e giunge a margine della notizia sulle certificazioni delle carenze igieniche e strutturali del complesso di Borgo San Nicola da parte dell’Asl. Una vecchia battaglia di tutti i sindacati di polizia penitenziaria, che oggi fa insorgere in particolare proprio l’Osapp. “Di fronte alla pubblica dichiarazione dell’azienda sanitaria che ha certificato le carenze strutturali e igieniche dell’istituto penitenziario Borgo San Nicola di Lecce, affermando che nel gruppo docce sono presenti carenze funzionali, mentre, in cella, sono insufficienti i metri a disposizione - dice Mastrulli, si abbia finalmente il coraggio istituzionale di disporne la chiusura con un’apposita ordinanza sanitaria sindacale o prefettizia”. L’Osapp individua, comunque, nel governo, la responsabilità principale, per “l’assenza di profonde e mirate iniziative finalizzate al contrasto del fenomeno sovraffollamento”. E ricorda che nella sola Puglia, a fronte di 2mila e 459 posti, le presenze superano le 4mila e 400 unità. “Proprio a Lecce i posti da occupare sarebbero 659 mentre a volte vengono stipate fra le mille e 300 e le mille e 500 persone. “Se ora è la stessa Asl di Lecce a certificare le carenze strutturali e igienico - sanitarie dell’istituto di pena di Lecce, potrebbe apparire anche da irresponsabili non agire di conseguenza”, dice Mastrulli. Che rincara la dose sostenendo che situazioni simili di potrebbero ravvisare a Bari, Turi, Foggia, Taranto, Trani, solo per restare in Puglia, e che si chiede: “Cosa ne pensano le Asl territoriali delle condizioni di permanenza dei bambini e delle madri nelle carceri? È costante la presenza di medici, specialisti e personale qualificato per neonati e bimbi minori nelle carceri?” “Nella relazione, a firma del direttore Alberto Fedele - dice Mastrulli, si evidenzia come il gruppo docce presenti carenze funzionali. In relazione al numero dei detenuti occupanti la cella, si legge ancora nella relazione indirizzata al magistrato di sorveglianza, dovrebbero essere necessari 42 metri quadri, a fronte dei 9 disponibili”. E dunque, “come sindacato gradiremmo conoscere cos’abbia suggerito la direzione Sanitaria al termine dell’ispezione e se abbia anche visitato i luoghi dove vivono, soggiornano e dormono e lavorano gli 800 poliziotti di Lecce”. Mastrulli conclude sostenendo che “la vera tortura è non comprendere che il problema del sovraffollamento detentivo è responsabilità dello Stato italiano e non dell’amministrazione penitenziaria o dei dipendenti, o ancora peggio, dei poliziotti. Eppure, puntualmente, a finire sul banco degli imputati, è solo l’amministrazione penitenziaria”. Mantova: ammanco di un milione dalle casse del carcere, spariti anche i soldi dei detenuti di Giancarlo Oliani La Gazzetta di Mantova, 7 ottobre 2012 Si allarga l’inchiesta sull’ammanco di un milione di euro al carcere di Mantova. Tra gli indagati c’è l’ex direttore della struttura di via Poma, Enrico Baraniello. Gli ispettori hanno scoperto la sparizione dei soldi depositati dai detenuti sul conto corrente gestito dalla direzione del carcere S’allarga a macchia d’olio l’inchiesta sul buco di bilancio del carcere di via Poma. A partire dal numero di indagati. Oltre all’ex direttore della casa circondariale, al ragioniere capo e all’economa si sono aggiunti, negli ultimi mesi, anche alcuni fornitori di merci e servizi. L’ammanco, secondo le ultime stime, sfiorerebbe il milione di euro. Non solo. Dall’esame della contabilità dell’amministrazione penitenziaria di via Poma risulterebbe svuotato il conto corrente riservato ai detenuti, gestito dalla direzione del carcere. È passato più di un anno dall’inizio dell’inchiesta, affidata al nucleo investigativo dei carabinieri di via Chiassi, ma a breve ci potrebbe essere una svolta. Il sostituto procuratore Silvia Bertuzzi ha incaricato nei giorni scorsi alcuni esperti dell’amministrazione penitenziaria per controllare, nel dettaglio, i conti di via Poma. La falla è comunque molto significativa. L’indagine prende in considerazione i movimenti di bilancio degli ultimi anni. Forniture di materiali e servizi, regolarmente pagati dalle casse del carcere di cui non ci sarebbe traccia. Insomma, nel flusso di finanziamenti che l’amministrazione penitenziaria destinava a Mantova c’è una voragine. Per i reati di concorso in peculato e abuso d’ufficio sono indagati Gaetano Malaspina, ex ragioniere capo del carcere, in pensione dopo trent’anni in via Poma; la sua assistente Anna Santoro e l’ex direttore Enrico Baraniello, frettolosamente destituito dall’incarico un anno fa , a pochi mesi dalla pensione. Nell’inchiesta parallela, quella sul rogo nell’ufficio contabilità che - secondo una delle ipotesi ventilate dalla procura - potrebbe essere stato provocato per distruggere i documenti contabili e far sparire almeno in parte le prove sugli ammanchi di bilancio, non vi sarebbero indagati. Anche se quell’area del penitenziario poteva essere frequentata solo dalle guardie carcerarie e dal personale amministrativo. A originare l’inchiesta giudiziaria è stata un’ispezione avviata nel febbraio dello scorso anno dai funzionari inviati dal provveditore regionale alle carceri lombarde Luigi Pagano, già direttore di San Vittore a Milano e al Canton Mombello di Brescia. Gli ispettori milanesi avrebbero accertato alcune irregolarità contabili, tanto da consigliare due successivi sopralluoghi. La conclusione delle ispezioni è pesante: nei libri contabili conservati al primo piano dell’istituto di via Poma ci sono tracce della sparizione di quasi un milione. Dai controlli sarebbe emerso anche un buco nelle forniture. Sarebbero spariti per anni derrate alimentari, impianti elettronici e strumenti destinati alla gestione del carcere. Pavia: 537 i detenuti presenti, con la cosiddetta “svuota-carceri” usciti solo in 36 La Provincia Pavese, 7 ottobre 2012 Nel carcere di Torre del Gallo ieri erano presenti 537 detenuti, di cui 312 italiani e 225 stranieri: la capienza massima sarebbe di 247 detenuti, quella tollerabile di 456. Di questi 537, solo 317 hanno una condanna definitiva, 220 sono in attesa della sentenza e, spiega Federico Rano dell’associazione Radicali Pavia, “Potrebbero scontare la pena a casa agli arresti oppure in strutture sociali. Inoltre solo 36 persone dall’ottobre 2011 hanno potuto godere degli arresti domiciliari previsti a 18 mesi dal termine della pena”. Sul divieto di condurre in carcere le persone arrestate per reati di non particolare gravità prima della presentazione dinanzi al giudice invece, non ci sono dati disponibili. “Il decreto non ha funzionato, la riforma necessaria - spiega il senatore radicale Marco Perduca - è l’amnistia come risposta strutturale per chi sconta fino a sei anni, in modo da alleggerire i magistrati e svuotare le carceri di un terzo dei detenuti finiti dentro per la Giovanardi/Fini sulle droghe leggere”. La nuova ala intanto è pronta, ma inagibile perché manca il corridoio che unisce le due strutture. E non sono ancora stati assegnati nuovi agenti di polizia penitenziaria - già sotto organico ad oggi, costretti a 40 ore di straordinario al mese ciascuno - per gestire la struttura che porterà al raddoppio del carcere pavese. “Non si risolverà il problema del sovraffollamento - spiega Perduca, - perché ospiterà i detenuti protetti della sezione pavese e di altre carceri vicine”. Infermeria insufficiente “Undici mesi per un appuntamento al Serd e detenuti rimbalzati tra gli ospedali”. Ieri la visita al carcere: “Quasi tutti i detenuti hanno bisogno di ansiolitici”. Dovrebbero essere 20 i posti per i detenuti nella sezione sanitaria del carcere, invece sono meno della metà. E nonostante un’organizzazione al millimetro da parte del personale medico, con turni di visite pianificati a lungo termine, il braccio che ospita l’infermeria non è ancora a norma e servirebbero più infermieri. “In un carcere in cui ci sono un centinaio di tossicodipendenti e la maggior parte dei detenuti sono diabetici, malati di fegato, cardiopatici, il servizio sanitario è ancora inadeguato benché meglio organizzato che altrove - spiega Marco Perduca, senatore dei Radicali che con Federico Rano, Alessia Minieri e Andrea Enrici dell’associazione Radicali Pavia ieri ha visitato il carcere pavese sulla Vigentina - Mancano infermieri per assistere chi viene dimesso dopo un intervento. E poi c’è il grave problema del rimbalzo di responsabilità tra San Paolo e San Matteo in merito alla competenza sui detenuti, che quest’anno ha contribuito alla morte di un detenuto già grave, ricoverato troppo tardi”. Infatti è il San Paolo di Milano l’ospedale penitenziario, ma spesso non c’è concordia sulla competenza in materia di urgenze, e i tempi d’attesa si allungano. I Radicali hanno parlato coi detenuti, raccogliendo testimonianze di tempi d’attesa biblici: undici mesi per un appuntamento al Serd, il servizio per le tossicodipendenze, per esempio. E poi dati che fanno pensare a una “pena sedata”: “La quasi totalità della popolazione carceraria - aggiunge Alessia Minieri - è sottoposta a trattamenti antidepressivi. Se i malati psichiatrici sono solo quattro, quasi tutti soffrono di psicosi legate a sovraffollamento e detenzione”. In celle grandi come un parcheggio c’è un letto a castello e quando viene posizionata la terza branda, resta solo lo spazio per andare in bagno. Così insonnia e attacchi di panico sono diffusi quasi quanto i sonniferi. Ci sono attività volontari, lavoro, ma non per tutti: “In cento lavorano a rotazione e in 4 sono iscritti all’università - aggiunge Perduca - Attività e formazione dovrebbero coinvolgere più detenuti, ma mancano gli spazi per attività con un numero elevato di partecipanti”. I lavoratori si occupano del forno, delle pulizie, della cucina, dell’orto e della falegnameria. C’è un giornalino, gruppi di lettura, ma si partecipa poche unità alla volta. E la scuola? “Di fatto è riservata solo ai detenuti dell’alta sicurezza che stanno in carcere oltre i 5 anni, - spiega Mineri - e la cassa per le ammende utilizzata per far lavorare i detenuti, più che finanziare attività realmente formative che li preparino a tornare nella società sono utilizzati per far loro tinteggiare e manutenere il carcere”. Coi tagli, poi, Torre del Gallo rischia di perdere personale amministrativo, dal vice direttore al vice comandante degli agenti, passando per gli educatori. “Sono figure fondamentali per mantenere in equilibrio una situazione difficile”, afferma Perduca. Un equilibrio aiutato dall’apertura ad associazioni e volontari dall’esterno e dall’esperienza di “sezioni aperte”, con celle spalancate 12 ore al giorno in quattro sezioni. “Torre del Gallo sconta problemi strutturali decennali - spiega Perduca - Le neonate commissioni che raggruppano detenuti italiani e stranieri di una sezione periodicamente sono ricevuti dall’amministrazione: segnalano infiltrazioni, luci rotte, perdite d’acqua. E la direzione è attenta, ma non basta”. I Radicali presenteranno un’interrogazione parlamentare sul futuro di Torre del Gallo. Novità anche per l’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti, promesso da destra e sinistra da anni: ora una bozza di regolamento è sulla scrivania dell’assessore Francesco Brendolise, la Provincia dovrà dimostrare se c’è o meno la volontà politica di istituire questa figura. Torino: Osapp; al carcere minorile anche turni di servizio di 24 ore consecutive Ansa, 7 ottobre 2012 “La giustizia minorile di Torino non finirà mai di stupirci, visto che oltre a quello che accade periodicamente nel carcere minorile, e adesso si riesce persino a programmare che il personale di polizia penitenziaria lavori 24 ore consecutivamente.” ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Alla giustizia minorile di Torino, infatti, è stata programmato di recente un servizio per la traduzione di un detenuto minore sul tragitto: Torino - Genova - Caserta andata e ritorno (circa 2mila Km). La partenza - prosegue il sindacalista - era prevista per le ore 7,00 dello stesso 3 ottobre e il rientro, senza possibilità di sosta, per le ore 7,00 del successivo 4 ottobre come poi realmente avvenuto”. “Tra eventi critici, aggressioni, incendi, tensioni interne ingiustificate e una carenza di organico legata anche alle discutibili scelte dei vertici - indica ancora il leader dell’Osapp - all’istituto penale per minorenni di Torino mancavano turni di servizio di 24 ore per completare un quadro disastroso dal punto organizzativo e gestionale del tutto a discapito del locale personale di polizia penitenziaria.” “Abbiamo già segnalato al Capo della Giustizia Minorile Caterina Chinnici e al Capo del Personale le condizioni insostenibili ed i rischi interni ed esterni legati al mantenimento di tale situazione, ma gli interventi necessari ed oramai indifferibili, ad oggi, sono mancati del tutto, forse anche per l’inesperienza dei vertici romani di recente nomina - conclude Beneduci - non resta, quindi, che augurarci che gli eventi non precipitino ulteriormente prima di vedere al Ferrante Aporti il ritorno dell’ordine e della legalità”. Cosenza: carcere di Castrovillari, finalmente liberata detenuta con figlio 10 mesi Gazzetta del Sud, 7 ottobre 2012 La ragazza, Marina Dordevic, di 23 anni, di origine croata, in Italia sin da bambina, è stata scarcerata ieri sera, intorno alle 20, dopo la sentenza emessa dal Tribunale di Potenza. È uscita dal carcere la donna che era detenuta a Castrovillari e che aveva con se il figlio di dieci mesi. La ragazza, Marina Dordevic, di 23 anni, di origine croata, in Italia sin da bambina, è stata scarcerata ieri sera, intorno alle 20, dopo la sentenza emessa dal Tribunale di Potenza. Lo rende noto, “con grande soddisfazione”, il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, che, è scritto in una nota, “ha ininterrottamente condotto per alcune settimane e vinto anche questa nuova importante battaglia civile, di giustizia giusta e iniziativa umanitaria”. Mercoledì scorso, dopo aver ottenuto l’autorizzazione del Ministero della Giustizia, del Dap e del giudice competente, Corbelli era andato a trovare in carcere la ragazza e il suo bambino. “Un incontro - ha detto - molto toccante e commovente, che mi ha profondamente colpito. Ho incontrato una ragazzina, esile, di appena 23 anni e madre già di altri tre bambini, di 2, 4 e 6 anni. Da quando è in carcere ha perso dieci chili. È venuta all’incontro con il suo bambino dentro il passeggino. Una scena che ti spezza il cuore. Qualcosa di aberrante, orribile. Ho promesso a questa ragazza che avrei tolto lei e il suo bambino dal carcere e che l’avrei aspettata davanti al carcere il giorno della liberazione. Così è stato. La giovane è stata scarcerata ieri sera. Davanti al carcere ad aspettarla c’eravamo io, il marito con gli altri tre suoi bambini dentro un piccolo camper. Non l’ho potuta abbracciare insieme al suo bambino e augurale buona fortuna perché purtroppo, dopo che ho atteso per cinque ore, dalle 15 sino a quasi le 19, davanti al penitenziario, sono andato via, perché si pensava che la scarcerazione avvenisse oggi, e dal carcere non mi hanno poi informato che la ragazza alle 19,50 veniva invece scarcerata”. PREGIUDICATO UCCISO IN CORTILE CONDOMINIO, DUE ARRESTI DELITTO DURANTE LITE TRA VICINI DI CASA (ANSA) - TORINO, 06 OTT - Due persone, di 32 e 46 anni, sono state arrestate dai Carabinieri quali presunti responsabili dell’ omicidio di Domenico Sorrenti, di 43 anni, detenuto agli arresti domiciliari, ucciso con quattro colpi di pistola ieri a Torino nel cortile del complesso in cui abitava. L’omicidio è avvenuto durante una lite tra due gruppi di persone alla quale avevano assistito molti testimoni, fuggiti quando erano partiti gli spari. I due sospettati erano stati subito individuati e interrogati. Trento: nel nuovo carcere si fa lezione di Pilates, teoria e pratica Ansa, 7 ottobre 2012 Il corso è iniziato il 2 ottobre ha 18 partecipanti. Posti esauriti in poco tempo e soglia massima a 18 stabilita per una corretta gestione. L’idea, come viene raccontato sul quotidiano locale “Corriere del Trentino” è di Fabio Memmo, diplomato Isef e esperto istruttore del metodo, che prima del diploma ha svolto il servizio militare come agente di custodia proprio nel carcere di Trento. Così spiega: “Un’esperienza particolare, che per certi versi mi ha segnato. Ho maturato dunque l’intenzione di mettere a disposizione, in maniera volontaria, la mia esperienza”. E sottolinea che Trento non è l’unico carcere dove si è deciso di provare questa esperienza. Ci sono anche Pistoia e Pesaro. “Ognuno dei miei istruttori-collaboratori - dice - ha scelto un settore e ci sono anche ospedali”. Ferrara: Giornata su “Teatro e Carcere oggi in Italia esperienze, metodologie, riflessioni” www.estense.com, 7 ottobre 2012 Balamòs Teatro in collaborazione con il Centro Teatro Universitario di Ferrara organizzano nell’ambito del festival della rivista Internazionale una giornata su Teatro e Carcere dal titolo “Teatro e Carcere oggi in Italia: esperienze, metodologie, riflessioni”. Una mostra fotografica, una conferenza incontro e confronto aperto a tutte le esperienze negli Istituti Penitenziari italiani e proiezioni di video documentari provenienti da alcuni Istituti Penitenziari. La manifestazione si è tenuta sabato 6 ottobre, presso il Centro Teatro Universitario di Ferrara (via Savonarola 19) con il seguente programma: ore 15: mostra fotografica di Andrea Casari dal progetto teatrale “Passi Sospesi” negli Istituti Penitenziari di Venezia (Casa Circondariale Maschile di Santa Maria Maggiore, Casa Circondariale Maschile Sat di Giudecca, Casa di Reclusione Femminile di Giudecca). La mostra fotografica sarà aperta anche Domenica 7 Ottobre dalle 10.00 alle 18.00. ore 16: incontro pubblico moderato da Valeria Ottolenghi (associazione nazionale critici di teatro) dal titolo: “Teatro e Carcere oggi in Italia: esperienze, metodologie, riflessioni”. Saranno presenti operatori teatrali da alcuni carceri italiane. Hanno aderito al momento, Vito Minoia (presidente coordinamento nazionale teatro e carcere, C.C. di Pesaro), Gianfranco Pedullà (C.C. di Arezzo e C.C. di Pisa), Livia Gionfrida (C.C. di Prato), Cinzia Zanellato (C.R. di Padova), Claudio Collovà (Istituto Penale Minorile di Palermo), Francesca Paiella e Lara Patrizio (C.C. di Rieti), Donatella Massimilla (C.C. Maschile e Femminile di San Vittore), Giulia Innocenti Malini (C.C. di Brescia), Anna Gesualdi e Giovanni Trono (Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa), Lisa Mazoni e Giuseppe Scutellà (Istituto Penale Minorile di Milano), Ivana Trettel (C.R. di Opera, Milano), Michalis Traitsis (C.C. di Venezia, C.R. Femminile di Giudecca). ore 18: proiezione video di alcune esperienze provenienti da un carcere maschile (Casa di Reclusione Maschile di Padova), da uno femminile (Casa di Reclusione Femminile di Giudecca e Casa Circondariale Maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia) e da uno minorile (Istituto Penale Minorile “Malaspina” di Palermo). Ferrara: performance teatrale per il ciclo “Nuovi libri dietro le sbarre” www.estense.com, 7 ottobre 2012 Il ciclo di incontri di “Nuovi libri dietro le sbarre”, promosso dal Dottorato di ricerca in Diritto costituzionale dell’Ateneo, ieri ha compiuto il suo giro di boa, attraverso una performance teatrale di grande suggestione: la rappresentazione di un testo - Il mio vicino - interpretato dal leader di Teatro Nucleo, Horacio Czertok, e dall’attore del Laboratorio teatrale della Casa circondariale di Ferrara, Moncef Aissa, sulle musiche di Andrea Amatucci. Tra storie, poesie arabe e battute di Totò, è stata messa in scena un’esperienza di condivisione tra diversi, perché solo nella condivisione si capisce di cosa siamo fatti per davvero. “Spesso mi chiedono perché faccio teatro in carcere - ha detto Czertok nell’introduzione allo spettacolo - . Perché queste persone, oggi detenute, prima o poi usciranno e verranno a vivere vicino a casa mia. La vera domanda allora è un’altra: come voglio che sia il mio vicino di casa? Per circa tre anni ho lavorato in carcere con Moncef Aissa, tunisino detenuto. Insieme abbiamo fatto un buon percorso. Un bel giorno esco da casa mia e chi ti trovo lì per strada in bicicletta? Moncef. Gli dico cosa ci fai qui? Sei scappato di prigione? No, risponde, sono libero ora. Ma cosa ci fai qui? Ah io qui ci vivo. Sulla mia strada. A trenta metri da casa mia. Così è nato questo spettacolo”. La centralità di esperienze teatrali all’interno delle carceri, ed il ruolo fondamentale che in ciò possono giocare le amministrazioni locali, sono stati illustrati dal vice sindaco Massimo Maisto, dall’assessore provinciale Caterina Ferri e dal garante dei detenuti Marcello Marighelli, in apertura dell’incontro, incluso nel calendario ufficiale di Festival Internazionale. È stata anche l’occasione per ricordare che al Teatro Comunale, giovedì 7 ottobre alle ore 21, sarà messa in scena la Sperimentazione sul Woyzeck di Georg Buchner, frutto del lavoro teatrale interno al carcere di Via Arginone. Prossimo appuntamento del ciclo Nuovi libri dietro le sbarre: lunedì 8 ottobre, ore 16. Tema: Tortura democratica? Il cd. carcere duro ex art. 41-bis. Francia: morte di Daniele Franceschi, la madre scrive al presidente Hollande Ansa, 7 ottobre 2012 Come già aveva fatto con il precedente presidente francese Nicolas Sarkozy, Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, il viareggino deceduto nel carcere di Grasse in Francia il 25 agosto 2010, ha scritto anche all’attuale presidente francese Francois Hollande per sollecitare la restituzione di parte degli organi del figlio che la donna richiede da tempo e che non ha mai avuto, nonostante le promesse ricevute da tempo dall’Eliseo. La donna non si arrende e, anche se deve ancora materialmente spedire la lettera, ha deciso di chiedere ufficialmente anche all’attuale numero uno francese assistita dall’avvocato, Aldo Lasagna, di rispettare gli impegni presi. “Ormai per me è l’unico scopo che mi resta - dice - e non mi darò per vinta, perché non è giusto che abbiano fatto morire mio figlio senza curarlo nel carcere francese: chiedo che venga fatta giustizia per quanto accaduto”. Cira Antignano, 63 anni, è assistita anche da parlamentari italiani radicali. Inoltre c’è stata recentemente una interrogazione parlamentare firmata dei deputati dell’Idv Fabio Evangelisti e Leoluca Orlando. Intanto, Cira Antignano rischia anche di essere sfrattata dall’appartamento dove abita a Viareggio, in quanto non essendoci più nel nucleo familiare il figlio Daniele sarebbero venuti meno i requisiti per avere un alloggio popolare. Il commissario straordinario prefettizio del Comune di Viareggio, Domenico Mannino ha promesso un suo interessamento sulla vicenda. India: italiani condannati, confermato in appello l’ergastolo di Lucia Marchiò La Repubblica, 7 ottobre 2012 Respinto l’appello contro l’ergastolo inflitto a Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due giovani italiani (lui di Albenga, lei di Torino) che da due anni e mezzo si trovano rinchiusi in carcere a Varanasi, in India, accusati di omicidio per la morte dell’amico e compagno di viaggio Francesco Montis avvenuta in una camera d’albergo della città. La difesa ha sostenuto l’assoluta estraneità di Tommy ed Eli (autopsia piena di contraddizioni ed errori, svolta da un oculista anziché un anatomopatologo; quadro accusatorio lacunoso; testimoni dell’accusa inattendibili). Invano. Il pronunciamento ha gettato nello sconforto parenti e amici dei due”. Non faremo commenti né rilasceremo dichiarazioni o interviste prima di aver incontrato l’ambasciatore Giacomo San Felice e gli avvocati a Delhi”, hanno dichiarato i genitori di Tomaso, Marina Maurizio e Luigi Bruno, che pure attraverso il movimento “Alziamo la voce” da anni cercano di sensibilizzare governo e istituzioni affinché prendano a cuore la vicenda e la sorte dei due ragazzi. “Domani andrò in carcere con l’avvocato: domenica arriverà mio marito a New Dehli e insieme decideremo il da farsi”, ribadisce Marina, la combattiva mamma di Tommy. “I ragazzi sono innocenti ed è loro intenzione iniziare uno sciopero della fame e della sete per protestare contro le nostre istituzioni per la mancata tutela di due cittadini italiani ingiustamente condannati senza prove e senza movente e da oltre due anni e mezzo detenuti in carcere”.