Giustizia: anche la Corte dei Conti denuncia “nelle carceri situazione intollerabile” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 5 ottobre 2012 Definirla impietosa è un eufemismo. La radiografia della Corte dei Conti contenuta nella delibera sulle “Situazioni di criticità” nella “gestione delle opere di edilizia carceraria” e di inusuale durezza. Nero su bianco, si scrive di carceri finite e mai utilizzate, e di altre abbandonate dopo costosissime spese di ammodernamento; si sottolinea come il 10 per cento degli agenti penitenziari non sia utilizzato negli istituti detentivi; si denuncia l’enorme spesa per i “braccialetti elettronici”: circa 10 milioni l’anno dal 2001 al 2011, per appena 15 (quindici!) applicati a detenuti “domiciliari”. Fece scalpore, il 4 gennaio scorso, il vice-capo della polizia Francesco Cirillo quando disse, davanti alla Commissione Giustizia del Senato che “se fossimo andati da Bulgari avremmo speso di meno”. Scalpore e ironia; però fate cento milioni, divideteli per 15, e con quello che ottenete andate da Bulgari o in una gioielleria di vostro gradimento. La battuta diventa un qualcosa che si trasforma in una smorfia, altro che le risatine che provocò allora! Prendiamo il capitolo dalle carceri non ancora utilizzate. Quello di Rieti, è stato finalmente aperto a maggio; per poterlo fare (e un “braccio” è comunque ancora chiuso!) si sono dovuti sottrarre agenti di polizia penitenziaria da altri istituti. “Un evento positivo, che pone fine ad un evidente spreco di risorse considerato che la costruzione è costata complessivamente 48,5 milioni, è iniziata nel dicembre 2004 ed è stata terminata nel 2008-inizio 2009, restando quindi inutilizzata per tre-quattro anni”, annota la Corte dei Conti. Ancora bloccato, invece, il carcere di Reggio Calabria-Arghillà: “dopo le costose progettazioni e realizzazioni effettuate, malgrado la consapevolezza di non poter aprire tale struttura stante la mancanza, ben nota di indispensabili, adeguati collegamenti stradali”. È stato necessario un nuovo finanziamento: “non certo modesto”, chiosa la Corte, di 21,5 milioni, ridotto a 10,7, che dovrebbe permettere la realizzazione della strada. Ci sono poi le Case mandamentali, una decina, alcune nuove, altre rinnovate con costosi lavori di adeguamento, che dopo aver realizzato, si voleva abbandonare, dimettere. Progetto a quanto pare rientrato; tuttavia, avverte la Corte, “i costi di questi interventi non appaiono invero sempre contenuti…ma almeno le spese della trasformazione e del completamento servirà comunque a far recuperare le risorse che erano state impiegate per la loro realizzazione”. Grave la situazione del personale: “In un quadro di forti difficoltà gestionali delle carceri derivanti anche dalle carenze quantitative degli appartenenti alla polizia penitenziaria desta sorpresa e perplessità l’aver appurato che un numero elevato di unità (3.870), pari a più del 10% della forza complessiva (38.543), non sia stato utilizzato negli istituti detentivi per attività di sorveglianza o per attività connesse, anche grazie a istituti giuridici definiti dall’Amministrazione come distacchi e comandi, tra i quali una sessantina a favore della Presidenza del Consiglio o di alti organi, anche costituzionali o di rilevanza costituzionale”. E questo a fronte di grave carenze di organico che dovrebbe essere di 45mila agenti, e del sovraffollamento degli istituti. In questa situazione, il personale già in sottorganico, rischia di non essere sufficiente per far fronte all’apertura delle nuove e costose carceri o padiglioni che così “risulterebbero inutili, quanto meno parzialmente o provvisoriamente”. Il problema è sempre lo stesso: sovraffollamento. “Nelle carceri, a causa dell’impressionante sovraffollamento (21.285 detenuti in più rispetto ai 45.688 posti disponibili), non solo non si garantisce il principio costituzionale del fine rieducativi della pena, ma nemmeno il diritto alla salute, visto che non sono assicurate le più elementari norme igieniche e sanitarie”, denunciano gli avvocati penalisti in un documento approvato all’unanimità al termine del loro congresso a Trieste. Si registra un decesso ogni due giorni, un suicidio ogni cinque; una situazione che i sindacati di polizia penitenziaria definiscono, testualmente, “strage di stato”. Dall’inizio dell’anno sono oltre 140 i detenuti morti, una cinquantina i suicidi; e anche tra gli agenti di polizia penitenziaria: in sei, quest’anno si sono tolti la vita; 89 tra il 2001 e il 2011. “Un carcere invivibile”, racconta un agente, “è invivibile per i detenuti che ci sono costretti, ma anche per chi ci lavora dentro in condizioni sempre più difficili”. Fra le cause di un simile disagio la cronica carenza di mezzi, ma soprattutto di personale: l’organico previsto è fissato in 45mila unità, ma gli agenti impiegati sono circa 37.500 per uno “scoperto” che si avvicina alle 8mila unità. Non solo: l’organico previsto dal ministero è stato fissato dieci anni fa, ma da allora sono stati aperti nuovi istituti e nuovi padiglioni in strutture già esistenti; e ogni giorno qualche migliaio di agenti è impegnato in attività fuori dal carcere. Se possibile, la situazione è destinata a peggiorare, a causa dei tagli e del blocco del turnover: “Si può affermare legittimamente”, sillaba il segretario generale del Sappe Donato Capece, “che a decorrere dal 2013 le assenze in servizio si avvicineranno alle 10mila unità, vale a dire oltre il 20% dell’organico generale. Se le carceri sono ora al collasso, entro i prossimi otto-dieci mesi non sarà più materialmente possibile gestirle”. Si dice: costruire nuove strutture e nuovi spazi per ospitare i detenuti in eccesso; con quale denaro, visto che i soldi non ci sono? Alla fine, degli oltre diecimila posti previsti in un primo momento non si andrà oltre i 3.800: 17 padiglioni da costruire in istituti già esistenti in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Perché vedano la luce, però, ci vorrà ancora almeno un anno. Sembrano tramontati i progetti, almeno per il prossimo biennio, per quel che riguarda i nuovi istituti a Torino, Camerino e Pordenone. Così si fa più nutrito il “partito” dell’amnistia. L’altro giorno a favore si è pronunciato il ministro Andrea Riccardi: “Bisogna avere il coraggio di compiere alcuni gesti per uscire dalla durissima situazione delle carceri italiane, una situazione insopportabile. Mi chiedo perché dobbiamo sempre lasciare al presidente della Repubblica la responsabilità di dover fare questi interventi, e non siamo noi stessi a proporli”. Ora è venuto il Sì del finiano deputato di “Futuro e libertà” Fabio Granata: “La civiltà di una nazione ha tra i suoi indicatori il funzionamento del sistema carcerario e la tutela della dignità umana al suo interno, dignità che riguarda sia coloro che scontano una pena che il personale della polizia penitenziaria, chiamato a un ruolo delicatissimo… In questa fase finale della legislatura, nonostante il tetto parlamentare altissimo occorrente per approvare il provvedimento, ci batteremo con il gruppo parlamentare di Fli per approvare indulto e amnistia escludendo ovviamente dalla misura i reati di sangue e di mafia, di corruzione e di pedofilia”. Per l’amnistia si dice Salvo Fleres, senatore di Grande Sud e garante dei detenuti della Sicilia: “Le condizioni di invivibilità delle carceri italiane sono di molto al di sotto delle regole minime europee e questo, oltre che costituire un elemento di grave inciviltà giuridica e umana, fa correre al nostro Paese il rischio di clamorose e costose condanne da parte del Tribunale europeo per i diritti dell’uomo. L’amnistia insieme al varo della più volte annunciata legge sulle pene alternative, migliorerebbe la situazione evitando che il carcere diventi l’unica pena”. Il ministro della Giustizia Paola Severino, in visita al carcere minorile di Nisida, dice che “non ci sono le condizioni per un provvedimento di amnistia, che comunque dipende dal Parlamento e richiede una maggioranza qualificata dei due terzi e non mi sembra ci siano le condizioni per raggiungerla”. Già: ma le condizioni non ci saranno mai fino a quando non si lavora per crearle e si opera anzi per il contrario. Giustizia: perché diciamo sì all’amnistia di Fabio Granata (Fli) Notizie Radicali, 5 ottobre 2012 Fabio Granata è parlamentare di Futuro e Libertà. Per il numero “Zero” di “Italiani”, il nuovo quotidiano di Luciano Lanna e Filippo Rossi, ha scritto l’articolo che segue. La civiltà di una nazione ha tra i suoi indicatori il funzionamento del sistema carcerario e la tutela della dignità umana al suo interno, dignità che riguarda sia coloro che scontano una pena che il personale della polizia penitenziaria, chiamato a un ruolo delicatissimo. Nella nostra idea di “patriottismo repubblicano” il buco nero dell’attuale sistema carcerario, che ci relega, nelle graduatorie di tutto il mondo, a livelli mortificanti, ferisce la credibilità internazionale e soprattutto la nostra coscienza. Oltre ventimila detenuti in più dei posti letto, centoventi suicidi dall’inizio dell’anno, atti quotidiani di autolesionismo e di gesti disperati, gestione inesistente degli spazi per l’infanzia disegnano un quadro drammatico e non più tollerabile. Per questo, nonostante la nostra rigorosa cultura della legalità e del rigore, diciamo sì alla amnistia o all’indulto per dare una risposta politica immediata all’ipocrisia di chi teorizza forza e rigore solo verso i derelitti e i non garantiti, i tossicodipendenti e gli immigrati clandestini, per poi difendere senza se e senza ma mafiosi e corrotti, colletti bianchi e affaristi. In questa fase finale della legislatura, nonostante il tetto parlamentare altissimo occorrente per approvare il provvedimento, ci batteremo con il gruppo parlamentare di Fli per approvare indulto e amnistia (escludendo ovviamente dalla misura i reati di sangue e di mafia, di corruzione e di pedofilia) arricchendo la misura con proposte di depenalizzazione per alcuni reati, a iniziare da quello di clandestinità, e con misure di manutenzione straordinaria delle carceri per garantire gli spazi e i servizi basilari (aria, acqua, luce) all’altezza di una nazione civile. Anche questa battaglia declinerà il profilo nuovo della nostra proposta politica legata a una certa idea dell’Italia, della giustizia e dei diritti civili. Consapevoli, per dirla con De Gregori, della “parte” dalla quale abbiamo deciso di stare “tra chi ruba per fame nei supermercati e chi li ha costruiti rubando”. Giustizia: emergenza carceraria, ascoltare il monito di Napolitano La Nuova Sardegna, 5 ottobre 2012 Molte volte, ultimamente, si è parlato, in sedi istituzionali e non, dell’emergenza carceraria, ma raramente il Capo dello Stato ha preso una posizione così ferma, intendendo richiamare le istituzioni e i cittadini su cosa debbano essere le carceri e le conseguenti misure alternative alla detenzione, previste dalle nostre leggi e con fatica applicate. È un duro monito al parlamento affinché consideri l’eventualità di misure clemenziali effettive e ben presidiate, il complesso sistema della espiazione della pena in Italia, dove un ruolo cruciale possono giocare proprio le misure alternative: queste, però, hanno bisogno, per attecchire nel loro completo significato, di un solido supporto culturale, da diffondere come concetto e conseguente efficacia tra noi cittadini, aiutandoci a vedere il carcerato come una persona che può avere una alternativa alla sola carcerazione, per misurarsi nel contesto sociale, tra attori e azioni sociali che possono mettere in crisi la sua coscienza più di quanto possa accadere nella sola istituzione carceraria. Per esperienza personale posso comunicare lo strazio personale nel vedere il sovraffollamento di San Sebastiano unito alla degradazione della dignità umana: una “cosa” diventi, infatti, nonostante gli sforzi titanici degli operatori ed educatori del carcere, le tue giornate passano una identica all’altra senza possibilità di volare con la mente in una progettualità effettiva. Sei in carcere e le varie leggi restano inapplicate, quelle sulle pene alternative in particolare, forse perché riguardano tutti noi e il nostro modo di porci fino in fondo davanti alla pena carceraria e alla sua mera esecuzione formale, lasciandoci alle spalle, gli sviluppi ed esiti sostanziali delle pene alternative e la loro fertilità per la personalità del detenuto e per il suo contesto di riferimento. Non c’è cambio di progetto carcerario se in tutti noi non c’è la consapevolezza che, come componenti di una società, siamo chiamati a dare il nostro contributo di armonizzazione e riconoscimento del ruolo di quanti operano già in questo senso nell’istituzione carceraria, nella magistratura e altre sedi istituzionali. Non c’è rispetto del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena senza che questo implichi una porzione di libertà e quindi responsabilità del detenuto che coinvolga tutti noi come società. Sul significato della pena in rapporto non solo al reato, ma anche alla vittima dobbiamo infatti cominciare a interrogarci in numero sempre maggiore, facendo uscire la vittima dal cono d’ombra in cui è stata nascosta finora e mettendola al centro del nostri ragionamenti sulla pena e sulle misure alternative o “riparative” in senso proprio. Siamo davvero convinti che la pena possa essere espiata senza un riferimento preciso alla vittima o vittime, come tentativo di restituzione del danno prodotto? Siamo sicuri che le parole di Napolitano non intendessero provocarci anche da questo punto di vista? Mi conforta pensare che anche a Sassari una solida corrente di pensiero che va da importanti settori della magistratura, a segmenti importanti del mondo accademico, passando per le figure professionali/educative operanti nel carcere, si stiano mobilitando intorno a questo nuovo, ma fondamentale aspetto del rapporto reato/danno-vittima/pena, dove la vittima reclama la sua centralità. Lettera firmata Giustizia: il ministro Severino approva l’idea di un “Osservatorio sulla pena” Il Velino, 5 ottobre 2012 Una delle priorità dei ministri più apprezzati del governo Monti è Paola Severino. Il Guardasigilli che fin dal suo insediamento ha posto particolare attenzione al caos delle carceri archiviata la possibilità di un’amnistia perché “in Parlamento non ci sono le condizioni” si dice comunque convinta che la necessità è “abbattere la recidiva”. Del resto questa ha un costo per lo stato e per la collettività. Incidere sulla recidiva significa di fatto dare un respiro alle carceri, alle casse dello stato al senso di fiducia dei cittadini. Il ministero ha dato la sua piena collaborazione alla ricerca condotta dall’Einaudi Institute for Economics Finance (Eief), dal Crime Research Economic Group (Creg) e dal Sole 24 Ore per valutare l’incidenza delle misure alternative e del lavoro in carcere sulla recidiva. In realtà tutto questo richiama alla proposta di Angelica Di Giovanni che più volte ha rilanciato la possibilità, proprio per abbattere la recidiva, di “un osservatorio sulla pena istituito d’intesa tra Ministero della Giustizia e Ministero dell’Istruzione”. Secondo l’ex presidente del tribunale di Sorveglianza di Napoli, questo “servirebbe ad avere maggiore contezza del reato grazie ad un censimento e monitoraggio costante, dico costante e aggiungo attento, dei flussi di reato. Come dico sempre occorre conoscere il male per prevenirlo”. In realtà le due proposte sono simili e si basano entrambi su ricerche numeriche, su approcci empirici al problema. In un’intervista al Velino infatti Angelica Di Giovanni, sosteneva come “la legge Simeone Saraceni prevede la sospensione dell’esecuzione della pena e tutti gli interventi legislativi che hanno spostato la pena sul territorio. Ecco perché i numeri dei detenuti non rappresentano la realtà nè sono indicativi della qualità della pena in Italia”. Infatti i dati che forniti non tengono conto dei liberi in sospensione né di parte della pena sul territorio: sono da chiarire e finché non arriveranno numeri certi, chiari e qualitativamente validi, non si potrà mai ragionare sulla condizione penitenziaria in Italia”. Giustizia: il ddl Severino perde un pezzo, depenalizzazione stralciata dalla legge delega Public Policy, 5 ottobre 2012 Stralciata la depenalizzazione dalla delega al Governo in materia di misure alternative al carcere. Lo ha deciso la commissione Giustizia alla Camera su proposta dei due relatori Donatella Ferranti (Pd) ed Enrico Costa (Pdl). I relatori hanno presentato un nuovo testo base, senza appunto inserire la parte relativa alla depenalizzazione. Una scelta - ha spiegato Ferranti - “motivata dalla esigenza di procedere a ulteriori approfondimenti per individuare principi e criteri direttivi che consentano di procedere ad una depenalizzazione di portata ben più ampia di quella che si avrebbe nel caso in cui si dovesse approvare il testo del Governo”. Cambia così anche il nome del disegno di legge delega: da “Delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” vanno infatti tolte le parole “in materia di depenalizzazione”. Giustizia: Alfonso Papa (Pdl); il carcere com’è oggi rappresenta sconfitta dello Stato di Claudia Sparavigna Giornale di Napoli, 5 ottobre 2012 In un momento in cui il tema della Giustizia a Napoli è all’ordine del giorno e ritorna prepotente per i più diversi motivi, dalla faida che insanguina Scampia allo sciopero della fame dei detenuti della Casa Circondariale di Poggioreale, terminata appena dieci giorni fa, l’Onorevole Alfonso Papa dà la sua visione del tema. Onorevole Papa, nel giugno 2011 lei è stato coinvolto nell’inchiesta sulle presunte attività illecite condotte dalla cosiddetta associazione P4, che hanno poi portato alle misure cautelari nei suoi confronti, revocate solo dopo 101 giorni di carcere. Vuole raccontare qual è la realtà delle carceri italiane? “Le condizioni di Poggioreale sono comuni a molte carceri italiane. Il sovraffollamento della struttura è evidente e dovuto anche al fatto che meno del 30% della popolazione carceraria sconta una pena definitiva. Ci sono solo due ore di passeggio, mentre le restanti ventidue si resta chiusi in cella, non ci sono altre attività, non c’è rieducazione. Sicuramente, in queste condizioni, non si può uscire di lì come persone migliori. Questa è una seria sconfitta per le istituzioni, una vera bruttura”. Dal 16 maggio 2012 il Csm ha archiviato la pratica disciplinare che la riguardava e Lei è tornato ad essere un uomo libero, ma non ha abbandonato la battaglia per la riforma della giustizia e contro il sovraffollamento carcerario. Quali sono le iniziative che sta portando avanti? “Quest’estate abbiamo costituito, con associazioni laiche e cattoliche, un comitato per la “prepotente urgenza”, come l’ha definita, un anno e mezzo fa, il Presidente della Repubblica, per gli interventi nelle carceri. Stiamo dando vita a proposte per il lavoro in carcere e stiamo portando avanti numerose visite nelle carceri italiane. Il ventiquattro ottobre saranno presentate alla Camera alcune proposte, ad esempio quella della vendita dei lavori dei detenuti all’interno delle grandi catene di distribuzione o l’incoraggiamento ad usare gli orti, di cui sono forniti alcuni carceri, per coltivazioni biologiche e l’implementazione della raccolta differenziata all’interno delle strutture”. Lei si è schierato a favore di un provvedimento di amnistia perché “chi oggi si oppone all’amnistia non si oppone solo a questo ma anche a qualunque speranza di poter riformare la giustizia”. In che modo l’amnistia può aiutare il corso della Giustizia? “Oggi in Italia la popolazione carceraria supera la capienza delle strutture. Più del 40% di queste persone è in attesa di giudizio e più del 50% viene assolta già in Primo Grado. La carcerazione preventiva può arrivare fino a sei anni di detenzione, il che è una grave mancanza di civiltà. Perciò, un’amnistia è l’unica soluzione. Non deve essere un colpo di spugna, ma un modo per risolvere il problema del sovraffollamento”. Lei ha presentato una proposta di legge per limitare il ricorso alla carcerazione preventiva, quali sono i contenuti? “Più di duecento deputati hanno firmato questa proposta di legge che al momento è ferma in Commissione Giustizia. La carcerazione preventiva è uno strumento di forzatura e violenza per spingere le persone a confessare. È una condizione disumana che spinge molti al suicidio, ce n ‘è uno ogni due giorni. La proposta è quella di limitare la carcerazione preventiva ai soli reati di sangue e di grave allarme sociale, fissando una serie di garanzie per i detenuti in attesa di giudizio, inclusa la separazione degli spazi destinati a condannati definitivi e non, la durata massima di sei mesi e la presenza obbligatoria del giudice nel corso degli interrogatori”. Giustizia: Maisto; in Opg si continua a entrare, rischio che internamento continui nel 2013 Redattore Sociale, 5 ottobre 2012 Il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna: “Il rischio è che si continuino anche dopo il 31 marzo 2013”, la data prevista per la chiusura. “La responsabilità è di tutto l’apparato giudiziario”. Mancano meno di 6 mesi alla scadenza prevista dalla Legge 9/2012 per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. E intanto negli Opg si continua a entrare. “E continueranno gli internamenti”, dice Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Il rischio, però, è che continuino anche dopo il 31 marzo 2013. “Io non me lo auguro - continua Maisto - ma se ministero della Giustizia e della Salute, Magistrati (inquirenti e giudicanti) e Regioni non si assumono le proprie responsabilità, è probabile che sarà così”. Spettano, infatti, a pubblici ministeri e giudici, rispettivamente, le richieste e le applicazioni delle misure di sicurezza, anche in via provvisoria, o la decisione di sottoporre “il folle reo e il reo folle” a perizia psichiatrica. Perizia che andrebbe espletata in carcere, ma che, in genere, viene svolta mandando il reo in Opg. Il motivo? La mancanza di reparti psichiatrici negli istituti penitenziari. “Nella casa circondariale di Piacenza ne è stato aperto uno da poco - spiega Maisto. Serve tutto il bacino regionale ma ha pochi posti letto e un sistema di accoglienza farraginoso a causa della ripartizione delle competenze sanitarie”. E qual è il ruolo della Magistratura di Sorveglianza? “Noi interveniamo prevalentemente in caso di riesame della pericolosità sociale del soggetto - continua Maisto. Ma basta sapere che dei 251 internati di Reggio Emilia quelli presenti sono 181 per capire che la magistratura di sorveglianza si assume le sue responsabilità, eccome”. Gli altri 70 sono in licenza di esperimento, “totalmente a nostro rischio”. Quali soluzioni per il dopo Opg? “Le megastrutture, pubbliche o private, replicanti gli Opg, anche se le chiamano mini Opg, sono distruttive - afferma Maisto - meglio le piccole realtà inserite nel tessuto sociale che tendono a reinserire e non a trattenere”. Quando parla di megastrutture il pensiero corre all’Opg di Castiglione delle Stiviere (Mantova), un istituto da 200 posti in cui il rapporto internato-operatore è di 1 a 1. “Mi impensierisco quando sento che le persone ricoverate in una struttura come questa non hanno più la voglia di tornare nei territori, di instaurare relazioni quotidiane normali, ordinarie - dice Maisto - quando, cioè, il manicomio giudiziario diventa più appetibile della vita normale. È una distorsione del processo riabilitativo”. Se c’è qualcosa che non va, la si cura e poi si torna alla normalità, insomma. “Questo vale per i pazienti psichiatrici, come per i tossicodipendenti - continua. Ma fenomeni distortivi come quelli a cui ho accennato, fanno sì che un contributo alla istituzionalizzazione permanente arrivi dalla stessa istituzione, che, evidentemente, ha un qualche interesse a trattenere e a non far sperimentare la libertà”. Il reinserimento però, sottolinea Maisto, “non si fa sempre e solo attraverso strutture”. In questo senso, ci sono analogie tra psichiatria e tossicodipendenza. “Sembra che la conditio sine qua non per uscire dal carcere sia la struttura protetta, ma non è sempre così - dice - Può anche essere un progetto terapeutico a bassa soglia, attività ricreative o lavorative che consentono alla persona di crescere e di reinserirsi”. La legge però parla di strutture sostitutive degli Opg. L’Emilia-Romagna, sotto questo aspetto, si è portata avanti pensando a 1 o 2 strutture a Reggio Emilia. “Una parte del mondo abolizionista radicale vorrebbe che non se ne creassero altre - specifica Maisto - ma è la legge stessa a prevederle, si tratta però di stabilire che cosa devono essere”. L’obiettivo è creare piccole comunità con un numero ridotto di posti letto, con una funzione di custodia, oltre che di cura. “Strutture che accolgono i casi in cui, oltre a tutelare la persona, è necessario proteggere anche il “prossimo” - continua Maisto - Non sto pensando alla sorveglianza armata, ma anche di tipo elettronico se è sufficiente. È ovvio che chi, invece, pensa di sostituire gli Opg con cliniche psichiatriche o mini Opg non rispetta ciò che è previsto dalla legge”. Sappiamo però che l’Emilia-Romagna è un mondo a sé, “con una rete diversificata di risposte, prima ancora che di strutture”. È una questione culturale. “Segno che il cosiddetto modello Emilia-Romagna oltre che politico, economico e sociale, è anche giudiziario, inteso come rete di relazioni che si sono create tra le istituzioni e i servizi - precisa. Una rete che forse non esiste altrove”. Sono molte, infatti, le Regioni in cui il superamento degli Opg ancora non è passato. “È il caso delle Regioni a Statuto Speciale, come la Sicilia dove ancora non c’è stato il passaggio dal Servizio sanitario nazionale a quello regionale, ed è come se il problema non esistesse - precisa Maisto - o di Regioni fortemente latitanti, come Lombardia, Piemonte e Veneto che non hanno ancora ritirato i loro residenti dall’Opg di Reggio Emilia”. Sono circa 1.500 gli internati a livello nazionale. A Reggio Emilia gli emiliano-romagnoli si sono attestati negli anni sui 20-30. Attualmente sono 50 di cui 28 dentro e 22 in licenza di esperimento (dati Comitato Stop Opg al 31 agosto 2012). “Se fosse solo per i residenti in Emilia-Romagna - conclude Maisto - l’Emilia-Romagna non avrebbe bisogno di un Opg”. Borghi: Opg chiuso a marzo? forse no In Emilia-Romagna è cominciato un percorso “marziano” rispetto a ciò che si sta facendo in altre regioni. Lo ha detto Gianluca Borghi del Comitato Stop Opg riferendo dell’incontro tra il comitato stesso e la Magistratura di Sorveglianza a Bologna. “C’è un concreto rischio che a marzo ci si ritrovi con l’Opg aperto senza emiliano-romagnoli ma solo con gli internati di altre regioni che non li hanno ritirati”, ha detto Borghi. Il motivo? Il fatto che molte Regioni siano ancora latitanti sul tema Opg e il “rischio” che l’Opg sia sostituito da mini-Opg, più piccoli ma identici alle attuali strutture. La legge d’altra parte parla di strutture sostitutive degli Ospedali psichiatrici giudiziari ma non dà indicazioni e non ci sono standard e, sottolinea Borghi, “ogni Regione ha un margine di decisione, trattandosi di servizio sanitario”. Obiettivo del Comitato Stop Opg è quindi un’ulteriore riflessione, chiesta al rappresentante della Regione presente all’incontro, su questo tema. “La nostra esperienza è nata su piccole comunità- ha detto Borghi - non diamo per scontato che al posto dell’Opg serva una struttura, ma cerchiamo di privilegiare il più possibile soluzioni residenziali tendenti al reinserimento in comunità, anche attraverso relazioni con il privato sociale”. Giustizia: caso Sallusti; non solo diffamazione, va abrogato l’oltraggio a pubblico ufficiale di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 5 ottobre 2012 Il “caso Sallustì” ha suscitato una diffusa indignazione tra i suoi colleghi giornalisti e tra i politici tutti. Non c’è dubbio che mandare in galera un giornalista, o ancor di più, un direttore di giornale per un articolo scritto da altri sul suo quotidiano non è proprio da stato liberale. Detto questo, alcune osservazioni a margine sono comunque essenziali per non essere tutti vittime della doppia morale. Nel caso dell’articolo scritto da Renato Farina con lo pseudonimo di Dreyfus più che diffamare è stato detto palesemente il falso contro un magistrato, figura a cui la norma penale assegna speciale protezione. Renato Farina, che per sua stessa ammissione in passato è stato collaboratore del Sismi, ha tenuto segreta la sua identità di Dreyfus. Così per quell’articolo ne ha risposto il suo direttore di allora Sallusti. Non c’è dubbio che la questione, anche così raccontata, dovesse essere di pertinenza del giudice civile in funzione di un risarcimento piuttosto che di quello penale. Veniamo alla doppia morale. La diffamazione giornalistica non è l’unica norma presente nel codice penale del 1930 che andrebbe abrogata. Vi è un intera sezione del codice che è dedicata ai delitti contro l’onore, che comprende anche il delitto di ingiuria. Qualche centinaio di articoli prima vi è un’altra norma, recentemente reintrodotta nel codice penale, dopo un ridicolo andirivieni. È una norma che in galera le persone ce le manda veramente e non solo sulla carta, ossia il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale. Anche nell’oltraggio come nella diffamazione, aldilà della sua collocazione sistematica tra i delitti contro la pubblica amministrazione, il bene protetto è quello della onorabilità della persona offesa. Anche nell’oltraggio si usano le parole per offendere. Anche nell’oltraggio un giudice o un poliziotto hanno una speciale protezione. Nel 2009 il reato fu reintrodotto nel codice penale a seguito di otto proposte di legge presentate, di cui sei del Popolo della libertà e le restanti due del Partito democratico. L’oltraggio a pubblico ufficiale era stato depenalizzato nel 1999, col primo governo di centrosinistra della “seconda repubblica”. A meno di dieci anni dalla sua cancellazione, è stato reinserito nel codice Rocco. Nessuno ha fiatato a destra come in buona parte della sinistra. Eppure l’oltraggio è finanche meno grave della diffamazione a mezzo stampa in quanto l’offesa è rivolta direttamente alla persona interessata e non va in edicola. L’oltraggio a pubblico ufficiale è ridiventato un crimine nel silenzio di tutti. Non è avvenuto nel 1930 in piena era fascista, ma nel 2009 in piena era berlusconiana, era di cui Sallusti è stato cantore. L’oltraggio è un delitto che i detenuti sanno bene cos’è e cosa significa. La sola denuncia di oltraggio da parte di un agente di polizia penitenziaria al detenuto che lo avrebbe offeso fa perdere a quest’ultimo tutti i benefici, gli allunga le pena, lo mette sotto processo. Le parole dell’oltraggiante sono solo parole, non diversamente da quelle per cui è stato condannato Sallusti. Non è questo il solo caso di doppia morale. Così scriveva Maria Giovanna Maglie sul quotidiano Libero, diretto da Sallusti al tempo in cui uscì l’articolo firmato Dreyfus. “Indignatevi, insultatemi, accusatemi delle peggiori nequizie antidemocratiche ma non riuscirete a farmi dire che ieri a Mosca con la condanna a due anni delle ragazze di Pussy Riot sì è consumata la tragedia, si è scritta l’ingiustizia, che sono state violate le libertà civili e il diritto di opinione, che Vladimir Putin, ma anche Cirillo I, si sono confermati per i due tiranni sanguinari che sono”. Per Maria Giovanna Maglie, firma di punta di Libero, era quindi giusto mandare in galera le Pussy Riot per un delitto di opinione. Sgomberato il campo dalla doppia morale, ribadisco che è giusto depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa purché si cancellino dal codice fascista del 1930 anche il delitto di oltraggio, di ingiuria, di vilipendio alla religione e alle istituzioni. Ma anche quelli di disfattismo politico ed economico in tempo di guerra, e, purché si riscriva il delitto di associazione sovversiva la cui estrema genericità si scontra con i principi di tipicità e di legalità che ogni codice penale di ispirazione democratica dovrebbe avere. Giustizia: “nei secoli fedele”… ma a chi? di Ilaria Cucchi Notizie Radicali, 5 ottobre 2012 “Nei secoli fedele”. Nei secoli fedele… a chi? Questo è il vero problema da risolvere per dare le sacrosante risposte che da 4 anni Lucia Uva sollecita alla procura di Varese sulla morte di suo fratello Giuseppe, avvenuta dopo una terribile notte trascorsa all’interno della caserma dei carabinieri di Varese il 14 giugno 2008. Il noto giuramento dell’arma dei Carabinieri è il provocatorio titolo del film presentato da Adriano Chiarelli sulla inquietante vicenda, lo scorso giovedì sera a Roma. Giuseppe Uva è uscito da quella caserma in condizioni terribili, dopo esserci stato portato a forza senza ragione, senza un verbale di arresto, senza un verbale di fermo, senza un verbale che desse atto di alcuna legale esigenza della privazione della sua libertà personale. Un testimone (che in quattro anni non è stato mai ascoltato dalla Procura) riferirà di un feroce pestaggio, di urla disumane. Chiamerà invano il 118 che però verrà respinto dagli stessi carabinieri mentre Giuseppe continua ad urlare di dolore. Quei Carabinieri che, ore più tardi, faranno intervenire la guardia medica e verrà disposto un Tso che non convince nessuno. Si è tenuto a Varese, per ora, soltanto un processo contro un medico che gli ha somministrato alcuni farmaci sedativi dopo il suo ricovero all’ospedale Circolo di Varese, dove è morto. La procura di Varese lo ha portato a giudizio, negando ostinatamente la natura violenta della sua morte e sostenendo che la stessa fosse ascrivibile esclusivamente ad un’errata somministrazione di farmaci sedativi. Le proteste della sorella Lucia, che ha visto il povero corpo del fratello in condizioni terribili, con numerosi segni di traumi cosparsi in ogni sua parte, testicoli tumefatti, abbondante fuoriuscita di sangue dall’ano, sono state fino ad oggi ignorate. I periti nominati dal Giudice hanno dato piena ragione a Lucia ed al suo avvocato Fabio Anselmo, riconoscendo che le cause del decesso di Giuseppe Uva andavano ricercate esclusivamente in ciò che egli ha dovuto subire in quelle ore trascorse nella caserma dei Cc di Varese. Il Giudice dottor Moscato, ha deciso, assolvendo il medico (unico imputato) che proprio lì si dovesse indagare, disponendo che il procuratore della repubblica di Varese aprisse una formale inchiesta. Il Giudice ha espressamente riconosciuto ai familiari di Giuseppe Uva il diritto sacrosanto di sapere cosa è accaduto in quella caserma, la notte del 14 giugno 2008, al loro caro. Il film descrive il clima allucinante in cui Lucia ed il suo legale sono stati costretti a lavorare durante il processo e l’inspiegabile atteggiamento tenuto dal dott. Agostino Abate, pm titolare dell’inchiesta dichiarata dallo stesso “personalizzata”. Calabria: a Laureana c’era un carcere modello… lo hanno chiuso per carenza d’organico di Francesca Chirico www.linkiesta.it, 5 ottobre 2012 Il carcere calabrese “Luigi Daga” ha chiuso i battenti per carenza d’organico. Ancora non si sa se e quando i detenuti potranno tornare all’interno di questo strano istituto di pena, con due detenuti per cella, scuola e falegnameria, dove solo 1 su 40 torna a delinquere e che pure i giapponesi erano venuti a studiare. Aperte le celle, fatta la conta e accolti a bordo i detenuti, la mattina del 29 settembre un cellulare della Polizia penitenziaria ha lasciato lo spiazzo del carcere “Luigi Daga”, ha percorso in uscita il viale “Paolo Quattrone” e si è messo alle spalle le case di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria. Trasferimento di sola andata. Se e quando i detenuti potranno tornare nel comune calabrese della piana di Gioia Tauro e, soprattutto, all’interno di quello strano istituto di pena che pure i giapponesi sono venuti a studiare, a Roma lo devono ancora decidere. Nella sede del Dap si sono limitati, al momento, a operazioni di addizione e sottrazione, decretando la temporanea sacrificabilità del carcere di Laureana che agli uffici ministeriali della Capitale, in largo Luigi Daga numero 2, è legato anche da faccende di toponomastica. Faccende significative. “Bisogna certo rifondare la certezza della pena, ma sullo sfondo della persistenza del principio costituzionale italiano di cui all’articolo 27, comma 3°, che dice che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. Al congresso dell’associazione egiziana di Diritto criminale, nel 1993 a Il Cairo, Luigi Daga pronunciò il suo ultimo discorso pubblico. La sera del 26 ottobre un terrorista si mise a sparare tra gli stranieri seduti nella caffetteria dell’hotel Semiramis, dove Daga alloggiava. L’italiano si prese più pallottole in testa, fu operato d’urgenza ma morì qualche giorno dopo a Roma. Aveva 46 anni e il carcere lo conosceva bene. Da magistrato per averci spedito le persone, da direttore dell’ufficio Studi e Ricerche del Dap per averlo studiato approfonditamente. Fino ad arrivare ad una certezza: la detenzione slegata da un concreto progetto di rieducazione e reinserimento è il fallimento del sistema; il carcere può e deve trasformarsi in un’occasione di trasformazione per il detenuto. Nel 2004 nessuno dubita che la nuova casa circondariale di Laureana di Borrello, inaugurata dopo vent’anni di lavori, vada intitolata a lui: istituto sperimentale a custodia attenuata “Luigi Daga”. “Non so a cosa pensasse colui che scrisse l’art. 27 della Costituzione, ma posso dire che sicuramente è vicino a questa struttura che lo realizza compiutamente”, dichiara, tagliando il nastro, il ministro della Giustizia Roberto Castelli. Non sarà meno entusiasta, cinque anni dopo, il nuovo Guardasigilli Angelino Alfano: “L’esperimento dell’istituto penitenziario a custodia attenuata di Laureana di Borrello dovrà essere esteso e ripetuto in altre regioni. Apprezzo l’idea e la metodologia rieducativa che si basa sul lavoro”. Nel 2004 e nel 2009, quindi, Laureana viene salutato come un prototipo da esportare in tutta Italia. Destinato a detenuti calabresi tra i 18 e i 34 anni, al primo reato e senza legami con la ‘ndrangheta, il modello è stato trasformato in progetto dal provveditore dell’Amministrazione penitenziaria calabrese Paolo Quattrone, suicida nel luglio 2010, coinvolgendo pezzi del terzo settore, ma anche del sistema imprenditoriale e scolastico calabrese. Una rivoluzione: due “ospiti” per cella, la scuola, la falegnameria, il laboratorio di ceramica, le serre dove lavorare tutto il giorno. E un patto da firmare con lo Stato prima di entrare, e dopo una serie di accurate selezioni, nella certezza che al primo sgarro, al primo segnale di mancanza di impegno e serietà, si verrà rispediti dritti dritti all’indirizzo di provenienza. Ovvero nel quotidiano inferno degli altri undici istituti di pena calabresi, con 3.046 detenuti su una capienza di 1.875 posti (dati Dap al gennaio 2012) e situazioni drammatiche come quella dell’istituto di Castrovillari: due suicidi nel 2011 su “soli” 285 detenuti presenti e una media del 217% di affollamento. Dati in linea con uno scenario nazionale che vede il carcere di Laureana affermarsi ben presto nelle statistiche, nei dossier di “Antigone” e nei racconti degli ex detenuti come un’oasi di dignità umana e civiltà nel deserto dei più elementari diritti. Ma l’esperimento, buono da usare come gagliardetto nelle occasioni ufficiali, è diverso, troppo diverso per non essere trattato, nei fatti, con diffidenza e scetticismo. E infatti l’istituto “Luigi Daga” non ha vita facile. Il direttore Angela Marcello fatica non poco tra fondi tagliati anno dopo anno, giorni lavorativi ridotti a poche ore e sempre meno ospiti rispetto alla capienza di 68 detenuti. Nonostante i dati sulla recidiva raccontino una cosa chiara e incontrovertibile: tra gli ex “residenti” del Luigi Daga, solo uno su 40 torna a delinquere. Braccia rubate al crimine, insomma. Nello specifico, braccia sottratte alla ‘ndrangheta che proprio nelle celle, lungo i corridoi e nei cortili delle case circondariali promuove le sue campagne acquisti più proficue e il carcere di Laureana non l’ha mai troppo amato: roba da “infami”. Fino all’involontaria ma simbolica vendetta trasversale. A chiudere il carcere di Laureana il 29 settembre sono stati, infatti, i maxi-processi contro la ‘ndrangheta in corso a Reggio e Palmi. Complici le decine di imputati dei clan da trasferire dalle case circondariali ai Tribunali e la drammatica carenza d’organico della polizia penitenziaria, procedimenti importanti come “All inside” e “Meta” hanno infatti subito negli ultimi mesi numerosi rinvii. Pensa che ti pensa, aggiungi e sottrai, la soluzione è apparsa normale: chiudere il “modello da esportare” per racimolare i 29 agenti di Laureana e applicarli ai trasferimenti dei detenuti. Il male minore, devono aver pensato al Dap, ché per l’utopia c’è sempre tempo. Come per chiudere il concorso per 271 posti di allievo vice ispettore in piedi da 10 anni. Ma questa, forse, è un’altra storia. Dal Dipartimento, dopo il coro di proteste levato dal territorio, hanno comunque rassicurato: chiusura temporanea. Nel frattempo gli ospiti che avevano scommesso sul proprio cammino di recupero sono stati rispediti senza spiegazioni e senza data di rientro nella normalità dell’inferno. Ma ad avere infranto il patto con lo Stato, questa volta, non sono stati loro. Calabria: Uil; altro che chiusura temporanea, carcere Laureana verrà presto abbandonato Agenparl, 5 ottobre 2012 “Sorprende e sconcerta il comunicato diffuso dall’Ufficio stampa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in merito alla chiusura, asseritamente temporanea, della Casa di Reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello. A prescindere dalla circostanza che l’Italia è un Paese in cui nulla è più definitivo di ciò che nasce come temporaneo, alle parole non corrispondo no i fatti. Risulta, in realtà, che è in corso un vero e proprio smantellamento della struttura, con cessione ad altri penitenziari calabresi di beni e suppellettili che vanno dagli automezzi ai frigoriferi dei reparti detentivi, passando per i computer in uso agli uffici della struttura. Per di più, si ha notizia che è stata disposta la vigilanza dell’edificio, ad opera della polizia penitenziaria, sino alla metà di ottobre, dopodiché verrà di fatto abbandonato a se stesso”. A dichiararlo è Gennarino De Fazio, della Direzione Nazionale della Uil-Pa Penitenziari, che aggiunge: “non si comprende, poi, quali fondi sarebbero necessari per la riapertura del carcere, atteso che la chiusura, secondo lo stesso Dap, è da imputarsi alla necessità di impiegare in carceri limitrofi i circa 20 agenti di polizia penitenziaria di Laureana. In realtà la Casa di Reclusione era in pieno esercizio, tanto che il blitz con cui è stata chiusa e che ha visto l’impiego di uomini del Gruppo Operativo Mobile appositamente arrivati da Roma è caduto inaspettato come un fulmine al ciel sereno. Dunque, o a Roma non sanno cosa sta avvenendo realmente in Calabria o mentono sapendo di mentire. Che logica ha, per di più - chiosa ancora il sindacalista - prevedere lo stanziamento di 21,5 milioni di euro per rendere utilizzabile un lotto del costruendo carcere di Arghillà (Reggio Calabria) per 150 posti detentivi da ottenere, verosimilmente, nel 2014 (organici di polizia penitenziaria permettendo) e chiudere una struttura, efficiente ed efficace, che può comunque garantire circa 100 posti? Il problema vero della Calabria, che si aggiunge a quelli connessi al sovrappopolamento detentivo ed all’insufficienza di organici e risorse che attanaglia tutto il Paese, è che da molto più di due anni non vi è una guida certa e costante e le sorti del Provveditorato regionale sono affidate ai vari dirigenti “part-time” che si avvicendano periodicamente nonostante i ripetuti, quanto nei fatti non veritieri, annunci di nomina imminente. Tanto che, con sarcastica provocazione, De Fazio propone: “se la logica è quella di chiudere Laureana di Borrello perché mancano gli Agenti, allora si chiuda pure il Provveditorato perché manca il provveditore titolare!” Sindaco Gioia Tauro: tenere in vita il carcere di Laureana L’amministrazione comunale di Gioia Tauro, che ho l’onore di guidare, condivide in pieno e sostiene le azioni promosse dal Sindaco prof. Paolo Alvaro, dall’Amministrazione comunale e dal Comitato spontaneo sorto in difesa dell’Istituto a custodia attenuata di Laureana di Borrello. È inconcepibile che una struttura di eccellenza, un fiore all’occhiello dell’intero sistema carcerario nazionale, smetta di funzionare a causa del trasferimento di alcuni agenti di custodia. Il carcere di Laureana ha permesso a tantissimi giovani calabresi di abbandonare il circuito della criminalità organizzata e dell’illegalità e di avviare un percorso di cambiamento che nella maggior parte dei casi ha portato al recupero del detenuto, alla sua formazione e al normale reinserimento in società. I numeri non possono essere smentiti e i numeri dicono che il tasso di recidiva per i detenuti del “Daga” si è abbattuto in maniera imponente. È doveroso profondere tutti gli sforzi necessari per tenere in vita una così bella realtà, che ha centrato tutti gli obiettivi prefissati e che è una tra le poche in Italia a rispettare l’articolo 27 della Costituzione che dispone che le pene tendano alla rieducazione del condannato. Renato Bellofiore, Sindaco di Gioia Tauro Lombardia: da Regione e Cariplo 300mila euro per progetti di reinserimento detenuti Adnkronos, 5 ottobre 2012 Stanziati 300mila euro dalla giunta di Regione Lombardia per poter realizzare, insieme con la Fondazione Cariplo, tre progetti dedicati al reinserimento dei detenuti nelle province di Milano, Brescia e Como, giunti al secondo anno. "Grazie a questo rifinanziamento - spiega Giulio Boscagli, assessore regionale alla Famiglia, conciliazione, integrazione e solidarietà sociale - potranno proseguire i progetti di reinserimento già avviati per le persone sottoposte a provvedimenti dell'autorita' giudiziaria. Un ulteriore sforzo economico messo in campo per garantire un riscatto a chi ha pagato il proprio debito con la giustizia e a chi è soggetto situazioni di particolare fragilità sociale". I tre progetti che si occuperanno dell'accoglienza e del reinserimento sociale sono: "Aria" della società cooperativa onlus A&I a Milano, "L'alternativa su misura", ideato dal consorzio sociale Sol.co di Como e "Trame" del consorzio sociale Tenda di Montichiari (Brescia). Puglia: Garante dei detenuti; mercoledì conferenza stampa sulla situazione delle carceri Asca, 5 ottobre 2012 Mercoledì 10 ottobre, alle ore 10,30, presso la sede del Consiglio regionale a Bari, si terrà la conferenza stampa del garante regionale dei detenuti, Pietro Rossi. Sarà tenuta in contemporanea sul territorio nazionale, su iniziativa del Coordinamento nazionale dei garanti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, per “denunciare nuovamente l’intollerabilità della situazione carceraria e sollecitare interventi urgenti e indilazionabili per mettere fine a questo stato di illegalita”‘. Lo comunica, in una nota, il Consiglio regionale della Puglia. In contemporanea, diverse iniziative verranno organizzate in ogni città dove operano i garanti e convergeranno verso una piattaforma comune per superare le criticità nei singoli istituti di pena. Quella promossa dall’Ufficio del garante della Regione Puglia ed autorizzata dal Ministero, è rivolta ai familiari, specie i più piccoli, in visita ai detenuti. Organizzazioni di volontariato porteranno i propri operatori nei penitenziari di Bari, Foggia, Lecce e Taranto, per animare l’attesa dei colloqui. Milano: il Consiglio comunale va in carcere… e istituisce il Garante dei diritti dei detenuti di Luigi Franco Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2012 Per la prima volta una seduta “dietro le sbarre” di San Vittore, per sollevare un tema sollecitato anche dal presidente della Repubblica. Sovraffollamento, carenze di personale, problemi su salute e diritti rendono non dignitosa la vita negli istituti di pena. Da qui la necessità di una figura di riferimento. Sarà una seduta speciale per il consiglio comunale di Milano, che questo pomeriggio si sposta dall’aula di Palazzo Marino al quarto raggio di San Vittore. Un’iniziativa senza precedenti in Italia, che vuole essere un segnale di attenzione per il mondo delle carceri. Non c’è solo il sovraffollamento a rendere difficile la vita dei detenuti, ma anche la carenza di medici, psicologi, agenti di polizia penitenziaria. E ci sono i problemi di omosessuali e transessuali. E poi le tante, troppe morti: quasi mille negli ultimi dieci anni, più della metà dovute a suicidi (guarda lo speciale interattivo “Patrie galere”). “Una realtà che non fa onore al nostro Paese”, ha denunciato pochi giorni fa il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Parole che Basilio Rizzo, presidente del consiglio comunale, riprende: “Migliorare questa situazione è un dovere delle nostre istituzioni. E la seduta di oggi va in questa direzione. Noi vogliamo considerare San Vittore come un luogo della città, ci preoccupiamo delle condizioni di vita dei nostri detenuti”. La seduta, a partire dalle 15.30, sarà dedicata all’approvazione della delibera che istituisce il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, una figura già presente in diverse città che ancora mancava nel capoluogo lombardo. L’organo di garanzia, terzo rispetto agli istituti penitenziari, si occuperà di vigilare sul rispetto dei diritti dei detenuti, favorire le loro opportunità di partecipazione alla vita civile, promuovere iniziative che contribuiscano a migliorare le condizioni nelle carceri della città. “Gli istituti di pena sul nostro territorio ospitano una popolazione carceraria che, a motivo del numero molto alto, corre sempre il rischio di non ricevere le adeguate garanzie previste dalla legge”, sostiene Lamberto Bertolè, presidente della Sottocommissione Carceri di Palazzo Marino, che ha licenziato il provvedimento con voto unanime. “Sarà compito del garante sorvegliare affinché questo non accada”. La nuova figura vigilerà sulle quattro carceri milanesi: oltre a San Vittore, Opera, Bollate e il minorile Beccaria. Strutture dove sono presenti gli stessi gravi problemi registrati in tutto il Paese. L’ultimo suicidio è di un detenuto di Opera, tre settimane fa: si è tolto la vita ad appena 26 anni, sarebbe uscito dal carcere a dicembre. Quindici giorni fa poi sulle pagine dei giornali è finita la rivolta al Beccaria, con incendio di materassi e cuscini: in questo caso sotto accusa sono state messe le carenze di organico. “Sono certo che questo consiglio straordinario dietro le sbarre - sostiene il presidente della commissione Sicurezza di Palazzo Marino Mirko Mazzali - servirà per accendere la luce sui tanti problemi che, anche in Lombardia, affliggono la realtà dei penitenziari”. Il garante resterà in carica per tre anni e sarà nominata dal sindaco. Tra gli interventi oggi è previsto proprio quello di Giuliano Pisapia, che prenderà la parola insieme a Luigi Pagano, vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. Ad ascoltarli nel quarto raggio di San Vittore, oltre a consiglieri e giornalisti, anche una delegazione di detenuti. Modena: Pd; situazione drammatica carceri e superamento definitivo della Casa di lavoro La Gazzetta di Modena, 5 ottobre 2012 L’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna ha approvato ieri due risoluzioni che affrontano le gravi problematiche del sistema di detenzione e reinserimento sociale, denunciando la drammatica situazione carceraria italiana e modenese. I consiglieri regionali Pd, Palma Costi e Luciano Vecchi, ricordano che nelle due risoluzioni approvate si chiede al Governo di dare “certa, trasparente ed immediata attuazione del Piano carceri”, di accelerare i lavori per una “riforma complessiva, coerente e positiva sulla funzione di recupero della pena”, di “stanziare risorse per il mantenimento di condizioni di vita e di lavoro dignitose e sostenibili” e di “attivare programmi formativi e di recupero”. Una situazione che riguarda anche Modena, dove i due consiglieri stanno da tempo conducendo una dura battaglia per la chiusura della struttura di Saliceta. Nello stesso tempo si ribadisce la necessità di accelerare l’iter legislativo per l’abrogazione delle norme completamente anacronistiche che prevedono le Case di lavoro, “dove sono recluse persone che hanno finito di scontare la pena ma per le quali è prescritto un periodo di reinserimento lavorativo prima del ritorno in libertà - spiegano i consiglieri: l’attività lavorativa, però, non viene quasi mai svolta. Anche in questo caso la situazione è drammatica, in particolare nella struttura di Saliceta San Giuliano”. La Casa di lavoro di Saliceta “risale all’800 e aveva bisogno di interventi di ristrutturazione già finanziati ma mai partiti - continuano Costi e Vecchi. Con il terremoto è diventata inagibile e gli internati che hanno già scontato la pena sono stati trasferiti a Parma e Padova, e non possono svolgere alcuna attività. In questo modo viene negata la finalità stessa della struttura: favorire il reinserimento sociale e lavorativo”. “Crediamo quindi che la Casa di lavoro di Saliceta vada chiusa definitivamente, utilizzando i fondi stanziati per attivare progetti di effettivo recupero sociale e lavorativo per gli internati - concludono i consiglieri. Gli agenti assegnati a Saliceta potrebbero invece essere trasferiti al carcere di Sant’Anna, da sempre sotto organico, così da migliorare la situazione del carcere modenese”. Nuoro: Pili (Pdl); nel carcere di Macomer detenuti terroristi islamici, ma con pochi agenti Ansa, 5 ottobre 2012 Il carcere di Macomer ospita vari terroristi islamici ma è controllato da pochi agenti. La denuncia è del parlamentare Mauro Pili (Pdl) che questa mattina ha effettuato una visita ispettiva nell’istituto di pena nuorese. ‘Nel carcere durante il turno di ieri sera, dalle 18 alle 24, erano presenti tre agenti - ha affermato Pili - mentre questa mattina nel braccio di alta sicurezza per i terroristi solo un agente di polizia penitenziaria. La situazione è insostenibile. Per questo chiederò al Ministero della Giustizia una ispezione urgente per dare risposte immediate al sovraccarico di detenuti e alla scarsità di organico che raggiunge deficit del 40%’. “A Macomer nei giorni scorsi sono stati trasferiti altri terroristi islamici, arrestati anche per organizzazione di cellule in Italia e condannati a vari anni di carcere - ha sottolineato Pili - ma l’istituto di pena che dovrebbe avere 34 unità a turno ne ha solo 37 per quattro turni. La tensione si scarica sugli operatori, che lavorano in una situazione di insicurezza, e in generale su tutto il carcere nuorese che è la punta avanzata del caos e di una situazione che in Sardegna è senza precedenti”. “La realtà è che il Ministero - ha concluso il deputato - non manda unità di sostegno agli agenti che suppliscono alla carenza di personale con turni massacranti e con la loro professionalità. Sull’isola, e sulle nuove carceri, purtroppo vi è e vi sarà un sovraccarico di detenuti ed è necessario far fronte con organici adeguati”. Ragusa: in carcere grave mancanza di personale, sindacati sono divisi sulle soluzioni www.ilgiornalediragusa.it, 5 ottobre 2012 Una situazione “al limite” quella del carcere di Ragusa, che scuote le organizzazioni sindacali. Gli episodi sporadici del passato, non avevano acceso i fari dell’interesse sui deficit della struttura e dell’organico di Contrada Pendente, come invece succede adesso. C’è chi, tra le forze sindacali come l’Osapp, chiede che venga chiuso il carcere di Modica, lo si accorpi a Ragusa e si potenzi così l’organico dei a disposizione. C’è chi lancia l’allarme dopo che un detenuto ha aggredito e picchiato due guardie e dopo una serie di episodi oltre i limiti; c’è chi, come Cgil stamattina, scrive di “moltiplicarsi delle aggressioni a causa del sovraffollamento della popolazione detenuta” e parla di problema che “nasce dalle condizioni della struttura e soprattutto dall’inadeguatezza dell’organico della polizia penitenziaria, sottodimensionata di almeno 35 unità”. La ricetta comune è quella di impinguare immediatamente l’organico delle guardie carcerarie di almeno 20 unità “per evitare - scrive oggi Cgil - il ripetersi di atti di violenza contro la polizia penitenziaria e tra gli stessi detenuti, molti dei quali extracomunitari”. Ma Cgil non accetta l’idea di chiudere un carcere per potenziarne un altro. E così, il sindacato scrive che “la soluzione proposta nelle ultime ore, ovvero chiudere il carcere di Modica e spostare la relativa polizia penitenziaria a Ragusa, è inaccettabile perché essa aggraverebbe le condizioni del carcere di Ragusa le cui dimensioni, com’è noto, sono quelle che sono”. Insomma, se da un lato si andrebbe a potenziarne l’organico di controllo, dall’altro aumenterebbe a dismisura la popolazione carceraria di Contrada Pendente rispetto ad ambienti già sovraffollati. Ecco perché per Cgil, l’unica strada perseguibile è la assegnazione di “forze aggiuntive di polizia penitenziaria a Ragusa senza sfilacciare ulteriormente la coperta tra il carcere di Modica e di Ragusa ed evitare inutili contrapposizioni tra campanili anche nelle carceri”. Lucca: Sappe; scoppia una rissa tra detenuti “armati” di pietre ed attrezzi edili Comunicato stampa, 5 ottobre 2012 Verso le ore 13:40 circa, mentre una quarantina di detenuti effettuavano i passeggi, vi è stata una rissa fra detenuti di origine marocchina ed albanese. I pochi poliziotti penitenziari in servizio, per evitare che la rissa degenerasse, hanno cercato di far uscire due detenuti marocchini dai passeggi; i due reclusi, giunti al cancello passeggi, appena l’agente lo ha aperto, sono usciti correndo, si sono recati a pochi metri dai passeggi e si sono impossessati di un badile ed una sega in ferro, materiale che in quel momento era in uso ad una ditta esterna, che a pochi metri eseguiva lavori di rifacimento (vi erano anche un martello pneumatico e una mola da taglio per la pietra, più ponteggi già montati, pietre e calcinacci). I due sono tornati indietro armati di detto materiale, ed hanno tentato di entrare nei passeggi, forse per alimentare nuovamente la rissa; nel tentativo di entrare si sono scagliati contro tre poliziotti, il primo detenuto ha tentato con una sega di farsi strada ed ha ferito ad un braccio un agente, il secondo con il badile si è scagliato contro un altro collega, colpendolo ad un braccio, il terzo agente solo per miracolo è riuscito a schivare i colpi della sega che il detenuto infieriva. Dopo di che i poliziotti penitenziari, mettendo a rischio la propria incolumità, sono riusciti a disarmarli dagli oggetti sottratti alla ditta, inconsueti in un carcere, i due detenuti non contenti, si sono rivolti nuovamente verso il cantiere aperto a pochi metri dai passeggi e impadronendosi di alcune pietre hanno iniziato una vera sassaiola dall’esterno all’interno dei passeggi contro i detenuti che erano rimasti dentro, e da lì si è susseguita una vera sassaiola, fra i detenuti che erano dentro e quelli fuori. Alcuni detenuti hanno addirittura provato a scavalcare il cancello di ferro che divide i passeggi dal piazzale. Dopo un faticoso intervento i pochi colleghi rimasti sono riuscita a portare la calma e a far uscire i due detenuti marocchini definitivamente dal piazzale dei passeggi. Uno degli agenti è stato accompagnato al pronto soccorso per farsi medicare il braccio, l’altro si è recato in infermeria per farsi medicare. Ancora una volta i colleghi hanno dovuto mettere a rischio la propria vita. E ci chiediamo come mai la direzione di Lucca ha autorizzato lavori a pochi metri dai passeggi;, proprio stamani il comandante di reparto si è assicurato recandosi ai passeggi dei lavori che stavano eseguendo. Attualmente nell’Istituto di pena ci sono 150 detenuti, 50 sono stati trasferiti la settimana scorsa per eseguire i lavori in Prima Sezione, ma allora se i lavori dovevano essere effettuati in Prima Sezione, perché la ditta era ai passeggi del campo sportivo, dall’altra parte dell’istituto con tutta quella attrezzatura a pochi metri dai passeggi? Chi autorizza i lavori con i detenuti a due passi? Dicevamo che i detenuti attualmente sono 150, più del doppio della capienza regolamentare, l’organico di Polizia Penitenziaria è sotto di 45 unità, tre quarti del carcere è puntellato per pericolo crollo, i carichi di lavoro sono estenuanti, la Polizia Penitenziaria davvero non ce la fa più. Solo per la cronaca, a Lucca non esiste un isolamento, attualmente in un repartino adibito a detenuti con problemi fisici, con 5 celle vi sono 5 tipologie di detenuti diversi: semiliberi, art. 21, minorati fisici, condannati per violenza carnale e detenuti comuni. Firenze: il 10 ottobre Garanti detenuti presenteranno proposte a Governo e Parlamento Asca, 5 ottobre 2012 Una iniziativa collettiva per denunciare la situazione delle carceri italiane. È quella organizzata per il prossimo 10 ottobre dal coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, come annuncia il coordinatore nazionale Franco Corleone. I Garanti presenteranno in molte città italiane una piattaforma di richieste precise e puntuali al Parlamento, al Governo e all’Amministrazione Penitenziaria: modifica della legge sulle droghe e della legge Cirielli, approvazione della legge per l’introduzione del reato di tortura, approvazione della legge per l’istituzione del Garante nazionale, approvazione di un piano per l’applicazione integrale del Regolamento del 2000, in modo da garantire condizioni di vita accettabili dentro il carcere. Questa piattaforma costituirà la base di una mobilitazione di un mese, con l’organizzazione di eventi e confronti per raggiungere gli obiettivi fissati. Sarà invece lanciato, sempre il giorno 10 ottobre, un comunicato stampa dal Garante del Comune di Pistoia, dal Garante del Comune di Brescia, dal Garante del Comune di Vicenza e congiuntamente dai Garanti del Comune di Nuoro e del Comune di Sassari. Oggi a Milano il Consiglio Comunale si riunirà nel carcere di San Vittore per approvare l’istituzione della figura del Garante. Roma: Ass. “Il detenuto ignoto” aderisce a manifestazione contro abuso custodia cautelare , 5 ottobre 2012 Lunedì 8 ottobre dalle ore 8:30 a Tivoli (Roma) in viale N. Arnaldi (di fronte al Tribunale) l’associazione radicale Il Detenuto Ignoto manifesterà insieme all’associazione Scienza per l’Amore per portare nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica l’iniquità della carcerazione preventiva e le disumane condizioni di vita nelle carceri italiane. La manifestazione coinciderà con la ripresa del processo nei confronti di Danilo Speranza, ex presidente di R.E. Maya, il quale - accusato di abusi sessuali e truffa - è rimasto in custodia cautelare per quasi due anni ed è stato giudicato colpevole ancor prima di essere processato. Ed invero fin dai giorni successivi all’arresto, Danilo Speranza è stato sottoposto, insieme all’associazione R.E. Maya, a una pesante gogna mediatica che ne ha gravemente danneggiato l’immagine. Dopo essere stati definiti dai media e dagli inquirenti “adepti” di una “setta”, gli associati sono stati oggetto di atti di teppismo e vandalici, nonché di discriminazioni in famiglia e sul lavoro. In un evidente tentativo di intimidazione, ignoti hanno persino fatto esplodere due ordigni presso la ex sede dell’associazione provocando gravi danni. Senza considerare il sequestro degli impianti Hyst, e il conseguente blocco del progetto umanitario per l’Africa a esso collegato unito ai tempi incomprensibilmente lunghi del procedimento giudiziario per truffa. Tutto ciò sta creando un notevole danno a tutti gli associati di Scienza per l’Amore. C’è da chiedersi se sia un paese “normale” quello nel quale succede tutto questo prima ancora che i fatti vengano accertati in un’aula giudiziaria. Come Detenuto Ignoto abbiamo pertanto deciso di manifestare insieme agli amici di Scienza per l’Amore per far sentire la nostra voce contro l’inciviltà della custodia cautelare e l’incultura che caratterizza i processi fatti nelle piazze o, peggio ancora, sulla carta stampata e negli studi televisivi. Ancona: rissa tra detenuti, tre feriti nel carcere di Montacuto Ansa, 5 ottobre 2012 Una rissa tra detenuti in prevalenza extracomunitari è scoppiata oggi per cause da chiarire nel carcere di Ancona-Montacuto. Negli scontri, sono rimasti feriti tre uomini, prontamente curati dall’infermeria dell’istituto. La rissa è stata sedata dalla polizia penitenziaria locale. Il sindacato autonomo di polizia Sappe aveva più volte denunciato la situazione di insostenibilità della struttura di Montacuto, per l’eccessivo numero di reclusi presenti, anche a fronte di un numero ridotto di agenti carcerari in servizio nella stessa. A breve almeno 80 detenuti dovrebbero essere ospitati nella struttura sottoutilizzata di Barcaglione, sempre ad Ancona. Roma: il violinista Uto Ughi e i suoi filarmonici hanno suonato per i detenuti di Rebibbia Asca, 5 ottobre 2012 Il violinista Uto Ughi e i suoi filarmonici hanno suonato, per oltre un’ora, per i detenuti del carcere romano di Rebibbia. Ha introdotto il concerto il direttore della casa circondariale, Mauro Mariani, che ha poi passato la parola al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino per leggere un messaggio del ministro della Giustizia Paola Severino, impegnata nel Consiglio dei ministri: “Avrei veramente voluto essere qui con voi per partecipare a questa iniziativa che mi sta particolarmente a cuore perché rende la musica, in questo caso l’arte della musica, veicolo di messaggi e di speranza ha sottolineato il ministro nel messaggio. Mai come oggi, alla presenza di musicisti tanto illustri, di grande talento e , vorrei sottolinearlo, di immensa sensibilità, la musica regalerà momenti di sollievo e consentirà a tutti di condividere ideali di giustizia e uguaglianza”. Il maestro e la sua orchestra “I Filarmonici di Roma” hanno eseguito una selezione de “Le quattro stagioni” di Vivaldi e l’Habanera, anticipando l’esecuzione con una piccola lezione su ogni brano. Serbia: Governo approva proposta di legge su amnistia, liberazione per oltre mille detenuti Nova, 5 ottobre 2012 La proposta di legge sull’amnistia, approvata ieri dal governo serbo, prevede il rilascio di più di mille detenuti condannati ad un massimo tre mesi di carcere. Secondo quanto comunicato dal ministero della Giustizia, sono state dimezzate le pene per i condannati (circa 2.000 persone) fino a sei mesi di carcere. La proposta di legge stata inviata al parlamento con procedura d’urgenza. “L’obiettivo della legge risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Nelle carceri della Serbia ci sono 11 mila condannati, di tremila in più delle capacità attuali”, si legge nella nota. Egitto: il presidente Mursi per festa nazionale concederà la grazia a 569 detenuti Aki, 5 ottobre 2012 Il presidente egiziano Mohammed Mursi concederà la grazia a 569 detenuti durante la festività nazionale del 6 ottobre. Lo ha annunciato di Dipartimento delle carceri. I detenuti graziati sono stati scelti da una commissione guidata dal vice ministro degli Interni incaricato delle carceri. Ad agosto Mursi aveva perdonato altri carcerati durante la festività dell’Eid Al-Fitr.