Giustizia: Amnistia… perché No? di Valeria Centorame Notizie Radicali, 4 ottobre 2012 È pericolosamente arrivata ad essere un’abitudine sentir parlare del nostro Stato Illegale, del disastro della nostra Giustizia, delle condanne che continuamente riceviamo dalla Corte Europea per i diritti dell’Uomo, del disastro del nostro sistema penale, della mancanza dei diritti umani fondamentali e dei continui suicidi sia dei detenuti che del personale penitenziario all’interno delle nostre carceri lager...una pericolosa, abitudine... proporzionale alla sua assurdità! Ho scritto molte volte del perché fosse necessario, impellente ed urgente un indulto seguito da amnistia in questa situazione vergognosamente fuori dalla legalità e dal dettato costituzionale della giustizia e delle nostre carceri, ma credo che per rendere chiaro l’argomento agli indecisi.. alle molte persone contrarie solo per errate informazioni e disinformazione sistematica e di sistema sia il caso di dare risposte a chi la osteggia e di vagliare quindi il “perché no”, partendo proprio dall’opposto del discorso. PAURA: Come ben sappiamo parte della politica fa dell’osteggiare proposte di amnistia una mera propaganda elettorale basata sulla paura e sul sentimento di insicurezza inflitto al cittadino, sentimento indotto e passato attraverso i mass media serializzando fatti di criminalità, come si evince da ricerche sociologiche, proprio mentre invece nel nostro paese scendeva il tasso di criminalità, attestandoci tra i paesi più sicuri ed agli ultimi posti tra i paesi occidentali per criminalità comune. Ci sono dati scientifici ad esempio elaborati dal Centro di Ascolto per l’Informazione radio televisiva e confermati poi dall’Istat che attestano che tra il 2003 ed il 2007 nei telegiornali nazionali è più che raddoppiato il tempo dedicato alle notizie di cronaca nera, cronaca giudiziaria e criminalità organizzata, passando mediamente dal 10% del 2003 al 24% del 2007”. “In particolare - sottolineano Gianni Betto e Ria Bernardini il maggior incremento si è registrato dopo il 2005, nel biennio 2006 - 2007 e grazie all’opera fatta dai telegiornali durante il governo Prodi, con il governo Berlusconi avremo tg più moderati e calerà il senso di “insicurezza”; così si avrà l’idea che Berlusconi abbia risolto il “problema sicurezza”, quando invece sarà mutata solo la sua percezione”. Questa premessa, basta da sola a spiegare il senso di insicurezza che i cittadini soffrono sulla propria pelle e la paura di una possibile amnistia, che viene spesso propagandata da chi la osteggia come la rimessa in libertà di tanti criminali. Sicurezza: Allora a chi nel “perché no” argomenta con la mancanza di sicurezza, possiamo rispondere senza becero populismo e dati alla mano che uno studio proprio del Dap. rileva che il detenuto a cui viene concessa una misura alternativa ha una recidività minore rispetto a chi sconta la pena in carcere. Nello specifico, la recidiva, trascorsi sette anni dalla conclusione della pena, si colloca intorno al 19% in caso di pena alternativa, mentre raggiunge il 68,4% quando la stessa viene eseguita in carcere. La recidiva attesta quanto si torni a delinquere una volta finita la pena, come sappiamo e come una prossima ricerca ci confermerà, avere le carceri piene, non rappresenta sicurezza per il cittadino, semmai in queste condizioni l’esatto contrario. Nuove carceri: a chi risponde, “non serve l’amnistia, basta costruire nuove carceri!”. Allora cominciamo con il dire che non sono poche le carceri esistenti, ma troppi i detenuti grazie a leggi criminogene e carcerocentriche, e grazie ad un uso spropositato della custodia cautelare. essendoci oggi sempre dati alla mano almeno 14.000 persone detenute che saranno dichiarate innocenti ed oltre 28.000 in attesa di giudizio. Si sta in carcere per reati bagattellari, per errori giudiziari, in attesa di giudizio...perché si è malati o tossicodipendenti. Ed oltretutto ricordo che non siamo lontani dai tempi dello scandalo “carceri d’oro” forse la prima vera tangentopoli italiana, per chi volesse una bella ricerca sulla rete può rendere l’idea. Non vanno quindi costruite nuove carceri (con sperpero di soldi pubblici) per ospitare più detenuti per il semplice fatto che non ci sono più criminali di un tempo. Vanno altresì messe a norma e rese agevoli la maggior parte delle carceri italiane, dove manca l’acqua in estate, non funzionano i riscaldamenti in inverno, girano malattie debellate da anni come la scabbia, la tbc e si muore per mancanza di assistenza medica. Resa dello Stato: Ho sentito molti dire e scrivere che si tratterebbe di una “resa dello Stato” concedere un amnistia, agli stessi chiedo invece se la resa di uno Stato non si insedi proprio nella illegalità con cui esso ormai ha abitudine a coabitare essendone per primo l’artefice? Quando uno stesso Stato non rispetta il dettato costituzionale, le proprie leggi nazionali, sovranazionali da anni, nella piena consapevolezza politica dell’agire...tecnicamente e giuridicamente come si può chiamare se non Criminale in flagranza di reato? E come chiamare le migliaia di prescrizioni che ci sono ogni anno se non un amnistia mascherata per chi può pagare bravi avvocati? sarà per questo che le carceri sono abitate dagli ultimi? Solo una considerazione a margine, è difficile trovare dei ricchi in galera! Certezza della pena: sento e leggo che in Italia mancherebbe la certezza della pena, potrei soffermarmi sul fatto che magari non esiste neanche la “certezza del reato” per varcare le soglie delle nostre carceri, dove si sta anche per anni senza una condanna, e senza un rinvio a giudizio...magari prima di potersi vedere riconosciuti innocenti ma vorrei invece lasciare questi dati: l’Italia è tra i paesi europei quello dove si espiano le pene quasi per intero e dove le evasioni sono in numero più basso ed è invece il Paese che ha ricevuto la “maglia nera” per la carcerazione preventiva inflitta, collocandosi al primo posto con oltre il 42% di detenuti in attesa di giudizio(di cui la metà sarà statisticamente dichiarata innocente). In Italia esiste la pena all’ ergastolo e “l’ergastolo ostativo”, che di fatto è una condanna a morte entro le mura da cui non si potrà mai uscire e che non ha senso proprio partendo dal dettato costituzionale che vorrebbe il carcere come rieducativo. Oggi grazie alla lunga lotta nonviolenta radicale fatta di tante visite, interrogazioni parlamentari, vicinanza all’intera comunità penitenziaria (che ha iniziato ad usare la nonviolenza) convegni, articoli, manifestazioni... sono molte le voci che si pronunciano favorevoli ad un amnistia necessaria, impellente urgente e non più rinviabile. Il nostro Presidente è tornato nuovamente sull’argomento con un appello mediatico alla politica dopo l’incontro con alcuni dei firmatari della lettera di Puggiotto promossa e sostenuta dallo stesso partito radicale. Si è espressa a favore la Cei con il Mons. Crociata, il Ministro Riccardi, la stessa Severino e come sappiamo tanti giuristi ed ancora a mio avviso pochi politici. Sappiamo che non ci sono i tempi per discuterne a lungo e mentre scrivo purtroppo vengo a conoscenza dell’ennesimo suicidio in carcere, salgono così a 122 le persone morte dall’inizio del 2012, in carcere e direi proprio “di carcere”; chi accuseremo un giorno di questa mattanza? Quando i nostri figli studieranno sui libri di storia la nostra “democrazia” malata e la nostra negazione dei diritti umani… basterà rifugiarsi dietro un “perché no?”. Giustizia: Severino; non ci sono condizioni per l’amnistia, lavorare su soluzioni strutturali Tm News, 4 ottobre 2012 Attualmente non esistono le “condizioni per un’amnistia”. A sottolinearlo è il ministro della Giustizia, Paola Severino, al termine di una visita al carcere minorile di Nisida. Il Guardasigilli ha, comunque, sottolineato che è necessario lavorare affinché esistano delle misure alternative alla detenzione nei penitenziari. Severino ha ricordato che l’approvazione del provvedimento dell’amnistia dipende “dal Parlamento e richiede una maggioranza qualificata di due terzi e - ha aggiunto - non mi sembra che ci siano le condizioni per raggiungerla. Forse le condizioni potrebbero esserci in una prossima legislatura, ma nell’attesa - ha ammonito - non si può rimanere con le mani in mano senza intervenire. Occorre mantenere il numero dei detenuti a livelli decorosi e insistere sulle misure alternative di detenzione alle quali stiamo già lavorando in Commissione Giustizia”, come “la messa alla prova, la detenzione ai domiciliari e il lavoro carcerario”. Per il Guardasigilli bisogna anche “puntare sul reinserimento sociale dei detenuti e sul lavoro che sono le soluzioni strutturali”. Serve, dunque, “un mix tra gli interventi straordinari e quelli strutturali che consentano, anche dopo un’eventuale amnistia, che il numero dei detenuti sia compatibile a quello sostenibile dalle strutture”. “Se si fa un’amnistia - ha concluso - senza combattere la recidiva, prima o dopo i numeri si riformano”. Giustizia: amnistia; se si lavora contro, non ci saranno mai le condizioni ministro Severino di Michele Minorita Notizie Radicali, 4 ottobre 2012 In visita al carcere minorile di Nisida il ministro della Giustizia Paola Severino, secondo quanto riferiscono le agenzie avrebbe detto che non ci sono le condizioni per un provvedimento di amnistia, e, comunque, oltre a questa misura eccezionale, è bene comunque lavorare su quelle strutturali di alternativa al carcere. Il provvedimento “dipende dal Parlamento e richiede una maggioranza qualificata dei due terzi - ricorda il Guardasigilli - e non mi sembra ci siano le condizioni per raggiungerla. Nell’attesa, non si può rimanere con le mani in mano”. Prima il presidente Napolitano, ora il ministro Severino. Sempre a Nisida, vanno a dire che “non esistono le condizioni”. È senz’altro una coincidenza, ma a questo punto, scaramanticamente, vien da consigliare di visitare pure le carceri, ma evitare quello di Nisida, se l’effetto che sortisce quella visita è un tromboneggiamento fatto di luoghi comuni e amene fesserie. Ma certo che è il Parlamento che deve varare l’amnistia. Avevamo bisogno del ministro della Giustizia per saperlo? Ma certo che il provvedimento di amnistia di per sé non è risolutivo, e va accompagnato ad altre, sostanziali misure che riformino radicalmente l’intero comparto della giustizia. È quello che Marco Pannella e i radicali dicono da sempre. Dal ministro della Giustizia è altro quello che ci si attende: un “fare” e un rendiconto del “fare” e del “fatto”. Da questo punto di vista il bilancio è a dir poco fallimentare. Questa estate il ministro si è fatto vanto e gloria di provvedimenti che avrebbero decongestionato la situazione all’interno delle carceri. Abbiamo visto poi le cifre: poche decine di scarcerazioni. Continuano i suicidi tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria; continuano le morti in carcere; continuano a migliaia le prescrizioni dei processi, anche per reati gravi… tanto fumo, da via Arenula, nessun arrosto. In compenso, il ministro non perde occasione per ricordare che “non ci sono le condizioni per…”. Le condizioni non ci saranno mai, fino a quando non si lavorerà per crearle, fino a quando - come nei fatti fa il ministro - si opera perché queste condizioni non ci siano mai. Altro si sperava e ci si attendeva da un ministro “tecnico” e donna. Ma l’ulteriore delusione non è comunque motivo per deflettere; anzi, l’impegno sarà raddoppiato. Con buona pace del ministro Severino e le sue “non ci sono le condizioni”. Giustizia: amnistia; “non dipende dal governo”…. la Severino non dà sponda a Napolitano Libero, 4 ottobre 2012 Ci vuol poco a raffreddare l’entusiasmo governativo per l’amnistia. Fino al 28 settembre scorso, il ministro della Giustizia Paola Severino era allineata al Quirinale: “Il mio pensiero sulle misure contro il sovraffollamento delle carceri non mi pare molto lontano da quello del Presidente Napolitano”, diceva meno di una settimana fa. Ieri, all’uscita del carcere minorile di Nisida, la Guardasigilli ha fatto un passetto indietro: “L’amnistia non è legata alla volontà governativa di concederla o meno, dipende dal Parlamento e richiede una maggioranza qualificata. Attualmente non mi sembra ci siano le condizioni per raggiungerla”. Passare le patate bollenti alla politica è la sua via d’uscita più consueta, ormai. Del resto, in Parlamento non si trova un fronte così ampio di posizioni favorevoli. Tanto che si riesce a sentire perfino l’opinione espressa dal vice - coordinatore di Futuro e Libertà, Fabio Granata, su Italiani quotidiano, il giornale dei Mille per l’Italia. È lui l’unico a condividere, con il Presidente della Repubblica, quell’idea di “patriottismo repubblicano”, da cui nasce la denuncia del “buco nero dell’attuale sistema carcerario, che ci relega, nelle graduatorie di tutto il mondo, a livelli mortificanti, feri - sce la credibilità internazionale e soprattutto la nostra coscienza”. Al parlamentare finiano perciò sembra urgente “una risposta politica immediata all’ipocrisia di chi teorizza forza e rigore solo verso i derelitti e i non garantiti, i tossicodipendenti e gli immigrati clandestini, per poi difendere senza se e senza ma mafiosi e corrotti, colletti bianchi e affaristi”. Ma, come osserva il ministro Severino, “devono ricorrere requisiti di maggioranza elevata, che al momento non mi pare ci siano”. Così, anche all’interno del governo, rimane praticamente isolata la posizione del ministro Andrea Riccardi, sostenuto appena dalla senatrice del Partito democratico Albertina Soliani. Nel resto del panorama parlamentare, nessuno a parte i Radicali Italiani pare disposto ad assumersi la responsabilità di uno svuota carceri simile al provvedimento del 2006. In quel caso si rivelò “un provvedimento tampone inefficace”, a causa della mancanza di “riforme strutturali sull’esecuzione della pena” ricorda Donato Capece, segretario generale Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe. Due anni più tardi, uno studio del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria indicava che l’11,9% degli indultati erano tornati in carcere dopo appena cinque mesi. Più in generale, da una popolazione carceraria di 60mila persone, alleggerita di circa 26mila unità grazie all’indulto nel luglio 2006, si era già risaliti a 43mila detenuti nel giugno 2007. All’Associazione bancaria italiana, invece, risultavano improvvisamente raddoppiate, dopo un mese dall’indulto, le rapine in banca. Più delinquenti in libertà equivale automaticamente a un maggior numero di reati contro il patrimonio, spiegava uno studio dell’Abi. Se i costi sociali superano i benefici, i partiti ritengono più saggio non assumere iniziative affrettate, soprattutto a ridosso di scadenze elettorali particolarmente cruciali. Tanto più che lo stesso ministro Severino è pronta a fornire numerosi argomenti contrari alle misure eccezionali. Ieri l’ha spiegato persino al riformatorio campano: “La stessa domanda sull’amnistia mi è stata rivolta da due ragazzi che ho incontrato. Ho detto loro che non bisogna restare con le mani in mano attendendo che ci siano le condizioni per l’amnistia”. Semmai, sostiene che “si devono fare interventi strutturali che consentano di mantenere il numero detenuti compatibile con il decoro, e insistere perché le misure alternative alla detenzione diventino realtà operativa. Se si fa l’amnistia ma non c’è il mezzo per combattere la recidiva i numeri si raggiungeranno di nuovo”. Giustizia: Granata (Fli) e Soliani (Pd) favorevoli all’amnistia e all’indulto Tm News, 4 ottobre 2012 “Nella nostra idea di patriottismo repubblicano il buco nero dell’attuale sistema carcerario, che ci relega, nelle graduatorie di tutto il mondo, a livelli mortificanti, ferisce la credibilità internazionale e soprattutto la nostra coscienza. Oltre ventimila detenuti in più dei posti letto, centoventi suicidi dall’inizio dell’anno, atti quotidiani di autolesionismo e di gesti disperati, gestione inesistente degli spazi per l’infanzia disegnano un quadro drammatico e non più tollerabile”. Lo scrive il vice coordinatore nazionale di Futuro e Libertà, Fabio Granata, in un articolo su Italiani quotidiano, il giornale dei Mille per l’Italia. “Per questo - prosegue - nonostante la nostra rigorosa cultura della legalità e del rigore, diciamo sì alla amnistia o all’indulto per dare una risposta politica immediata all’ipocrisia di chi teorizza forza e rigore solo verso i derelitti e i non garantiti, i tossicodipendenti e gli immigrati clandestini, per poi difendere senza se e senza ma mafiosi e corrotti, colletti bianchi e affaristi”. “In questa fase finale della legislatura, nonostante il tetto parlamentare altissimo occorrente per approvare il provvedimento - sottolinea Granata - ci batteremo con il gruppo parlamentare di Fli per approvare indulto e amnistia (escludendo ovviamente dalla misura i reati di sangue e di mafia, di corruzione e di pedofilia) arricchendo la misura con proposte di depenalizzazione per alcuni reati, a iniziare da quello di clandestinità, e con misure di manutenzione straordinaria delle carceri per garantire gli spazi e i servizi basilari (aria, acqua, luce) all’altezza di una nazione civile”. “Anche questa battaglia - aggiunge il vice coordinatore nazionale di Futuro e Libertà - declinerà il profilo nuovo della nostra proposta politica legata a una certa idea dell’Italia, della giustizia e dei diritti civili. Consapevoli, per dirla con De Gregori, della parte dalla quale abbiamo deciso di stare tra chi ruba per fame nei supermercati e chi li ha costruiti rubando”, conclude Granata. Soliani (Pd): ha ragione Riccardi, serve l’amnistia “Sono d’accordo con il ministro Andrea Riccardi sulla necessità di affrontare l’emergenza carceri anche con urgenti misure di clemenza come l’amnistia e l’indulto”. È quanto afferma la senatrice del Partito democratico Albertina Soliani. “Il disagio è forte - sottolinea la Soliani - per la vergogna e il dolore che non siamo riusciti in questi anni, come Parlamento, a compiere scelte che si sarebbero dovute compiere. Credo che sia assolutamente urgente, sulla questione carceri, trovare gli strumenti necessari ad affrontare l’emergenza carceraria: depenalizzazione, pene alternative, ma anche amnistia. Servirebbe, insomma, un pacchetto di misure che comprenda l’amnistia su alcuni reati”. “Il problema del sovraffollamento carcerario - conclude l’esponente Pd - va affrontato, perché si tratta di una condizione disumana, inaccettabile per una democrazia”. Giustizia: dall’Arcivescovo Bregantini (Cei) appello per amnistia e indulto Ansa, 4 ottobre 2012 Appello di Monsignor Giancarlo Bregantini, Presidente della Commissione Cei per i problemi sociali, il lavoro e la giustizia, per sollecitare amnistia e indulto. “Il problema del sovraffollamento delle carceri del nostro Paese - afferma - non ci lasci indifferenti o legati ancora a forme di burocrazia lenta e disumana, in particolare per quanto riguarda i processi”. “Condivido pienamente - continua l’arcivescovo di Campobasso - quanto ha espresso ultimamente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riguardo all’allarme per le carceri affollate e per le condizioni di grande disagio e degrado al loro interno, specie al Sud”. Per Bregantini occorrono quindi misure alternative alle pene detentive, progetti di accompagnamento nella rieducazione dei detenuti, forme di recupero non solo psicologico e umano, ma anche sociale per aiutarli a reintegrarsi nelle comunità. L’arcivescovo sottolinea inoltre che la Commissione Episcopale per i Problemi sociali, lavoro, giustizia e pace avvierà nel prossimo mese di gennaio un percorso formativo proprio sul tema giustizia: “Il primo passo - spiega - è quello di creare più coesione come istituzioni e un lavoro a rete capillare”. Infine, Bregantini auspica l’apertura “di un dialogo costruttivo e più diretto su questa questione proprio con il Presidente Napolitano, anche in un incontro ufficiale da programmare insieme”. Giustizia: Camera; Radicali sollecitano Odg che evita tagli a personale penitenziario Agenparl, 4 ottobre 2012 La deputata radicale Rita Bernardini interviene in Aula alla Camera per sapere a che punto si trova l’attuazione dell’ordine del giorno accolto dal governo il 7 agosto scorso, nell’ambito della provvedimento sulla spending review, e che chiedeva l’esclusione dai tagli per i dirigenti penitenziari e tutto il personale amministrativo, quello civile, educatori e psicologi, nonché il Corpo della polizia penitenziaria. “Chiedo di sapere - dice la Bernardini - a che punto si trovi l’attuazione di questo ordine del giorno, anche perché credo che tutti conosciamo la situazione drammatica delle carceri. Tutti sappiamo che ci sono istituti penitenziari che, addirittura, sono privi di direttore, così come gli uffici dell’esecuzione penale non hanno dirigenza; la carenza degli agenti di polizia penitenziaria ammonta a ben 7 mila unità, per non parlare di tutto il resto del personale, educatori, psicologi e personale amministrativo”. Giustizia: accolto solo 1/3 dei risarcimenti per ingiusta detenzione… magistrati infallibili? di Paolo Persichetti Gli Altri, 4 ottobre 2012 Il dogma dell’infallibilità della magistratura, dalla filosofia del diritto alla teologia giudiziaria. L’istituto del risarcimento per ingiusta detenzione è disatteso nella gran parte dei casi da una magistratura aggrappata al dogma della propria infallibilità. Soltanto un terzo delle richieste di risarcimento per ingiusta detenzione trovano soddisfazione. È quanto emerge dagli ultimi dati forniti dall’Eurispes e dall’Unione delle camere penali italiane. Su una media di 2.500 domande annuali (nel 2011 ne sono state presentate 2.369) appena 800 vengono accolte. Il motivo è semplice e al tempo stesso sconcertante: l’Italia è l’unico paese in Europa dove l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione è regolato da una clausola, inserita nel comma 1 dell’articolo 314 cpp, che esclude il risarcimento nei casi in cui il ricorrente “abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”. Secondo la norma per avere diritto al risarcimento non è sufficiente avere dalla propria parte una sentenza d’assoluzione irrevocabile, secondo una delle formule previste dal codice: il fatto non sussiste, oppure non è stato commesso o non costituisce reato o non è previsto dalla legge come tale. Non basta nemmeno che la giustizia abbia riconosciuto l’illegittimità della misura cautelare. Chi ha ingiustamente subito il carcere deve dimostrare di non aver tenuto un comportamento tale da aver tratto in inganno i magistrati con atteggiamenti omissivi o perché non si è avvalso delle funzioni difensive, che pure restano un diritto fondamentale della persona sottoposta a indagini o imputata, ma anche sotto il profilo delle proprie frequentazioni. Ciò vuol dire che le sentenze assolutorie non sono valutate come tali ma sottoposte ad un nuovo processo che conduce ad esaminare e giudicare sotto il profilo morale la personalità di chi è stato assolto, introducendo un criterio discriminatorio che inanella una serie impressionante di violazioni: dal ne bis in idem, all’invenzione di una sorta di quarto grado di giudizio capace di resuscitare la colpa al di là di ogni assoluzione fino all’inversione dell’onere della prova. Nel giugno scorso, la quinta sezione penale della corte d’appello di Milano ha rigettato l’istanza di risarcimento per ingiusta detenzione di una persona assolta in via definitiva dopo aver trascorso 6 anni nelle carceri speciali, sostenendo che “nessun diritto alla riparazione spetta a chi, frequentando terroristi, o comunque soggetti appartenenti all’antagonismo politico illegale, abbia colposamente creato l’apparenza di una situazione che non poteva procurare l’intervento dell’Autorità giudiziaria. Poco importa, ai fini che qui interessano, l’esito del giudizio penale. Occorre distinguere - prosegue il collegio - l’operazione logica compiuta dal giudice del processo penale da quella, diversa, del giudice della riparazione. La reciproca autonomia dei due giudizi comporta che una medesima condotta possa essere considerata, dal giudice della riparazione come contributo idoneo ad integrare la causa ostativa del riconoscimento del diritto alla riparazione e, dal giudice del processo penale, elemento non sufficiente ad affermare la responsabilità penale”. I magistrati hanno teorizzato un doppio criterio di giudizio: il primo sottoposto alle vigenti leggi processuali; il secondo che riabilita la colpa tipologica è non si cura degli effetti legali dell’assoluzione, che seppure elimina la colpa mantiene il sospetto e soprattutto conserva la responsabilità. Siamo di fronte ad un perenne “diritto del nemico” che trasforma in un accessorio a geometria variabile la presunzione d’innocenza recepita dall’art. 27 della costituzione. Chi viene assolto per reati avvenuti in luoghi dove è presente la criminalità organizzata, diventa responsabile del fatto di aver frequentato contesti che brulicano di pregiudicati; chi è assolto da reati di eversione, se ha frequentato luoghi di conflitto, recepito culture antagoniste, anticonformiste e irregolari secondo la norma politico - morale dominante, è ritenuto responsabile di una corrività ambientale che ha indotto la coscienza del giudice a sbagliare. È una colpa di natura etico - morale quella che qui viene scovata e sanzionata con il mancato risarcimento. Non sfugge che attraverso questo dogma dell’infallibilità assoluta del giudice, come fu per il concilio Vaticano I° che nel 1870 introdusse l’infallibilità ex cathedra del pontefice, si opera il passaggio dalla filosofia del diritto alla teologia giudiziaria. Un’arrogante pretesa che spiega l’errore ricorrendo all’alibi della “colpa apparente”, giustificata non da una cattiva valutazione degli elementi probatori a carico o discarico ma dalla doppiezza e dall’ambiguità della persona sottoposta a indagine o giudizio, alla stregua del maligno che con le sue arti malefiche confonde e trae il mondo in inganno. Sarebbe tempo di riportare la giustizia dalle sfere della santità celeste ad una più terrestre dimensione profana. Giustizia: Dap risponde a delibera della Corte dei conti; sì a rientro personale distaccato Il Velino, 4 ottobre 2012 “Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria rende noto, in riferimento alla delibera della Corte dei Conti (11/2012/G) sull’eccessivo utilizzo di personale di polizia penitenziaria fuori dagli istituti detentivi, dovuto anche ad istituti giuridici quali i distacchi e i comandi, taluno dei quali peraltro obbligatorio a favore di alti organi, anche costituzionali o di rilevanza costituzionale, che il Dap ha già da tempo attivato una politica dei rientri del personale distaccato e comandato presso altre sedi o impiegato in compiti amministrativi”. È quanto si legge in una nota del Dap. “La stessa Corte dei Conti, nella citata delibera rileva infatti che “va condiviso ed incentivato l’intendimento comunicato dal Dap di ridurre il numero delle unità del personale della Polizia penitenziaria impiegate in uffici e compiti amministrativi, con la progressiva restituzione delle stesse agli istituti detentivi, e di predisporre piante organiche, finora inesistenti, degli uffici centrali del Dap, delle scuole e dei provveditorati regionali”. Va pure segnalato il proposito dell’amministrazione del Dap di ridefinire l’assetto organizzativo degli istituti e dei servizi penitenziari sviluppando specifici progetti regionali “ispirati ad un sistema integrato di istituto differenziato per le varie tipologie detentive” che dovrebbe consentire una più razionale distribuzione delle risorse disponibili. Il Dap - conclude la nota - intende dunque proseguire con determinazione sulla linea già intrapresa per la definizione delle piante organiche e per la razionalizzazione dell’assetto organizzativo degli istituti e dei servizi penitenziari ispirati ad un sistema integrato di istituto differenziato per le varie tipologie detentive”. Giustizia: Sappe; ripensare il sistema dell’esecuzione penale in Italia Il Velino, 4 ottobre 2012 “Oggi la ministro della Giustizia Severino, in visita al carcere minorile di Nisida, ha ribadito quel che già disse il Capo dello Stato Giorgio Napolitano qualche giorno fa; non ci sono le condizioni per un provvedimento di amnistia. L’emergenza carceri è però sotto gli occhi di tutti e servono quindi strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, intende fornire il proprio costruttivo contributo. Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverò un provvedimento tampone inefficace”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. Che aggiunge: “Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro. I poliziotti e le poliziotte penitenziarie, ad esempio, nel solo 2011 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita ai 1.003 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i 5.639 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Hanno fronteggiato oltre 730 episodi di aggressione e circa 3.500 colluttazioni. Facciamo nostri i reiterati autorevoli richiami dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha sollecitato attenzione alle questioni penitenziaria. Il Capo dello Stato ha anche sottolineato con forza come le criticità penitenziarie siano dovute al peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, tra tendenziali depenalizzazione e depenitenziarizzazione e ciclica ripenalizzazione, con un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione della carcerazione preventiva”. Capece sottolinea come sia giunto il tempo “che la classe politica rifletta seriamente sulle parole del Capo dello Stato ed intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Torniamo a sollecitare l’adozione di riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. A cominciare dalla calendarizzazione del provvedimento della ministro sulle depenalizzazioni”. Sul tema, il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, “è in piena sintonia con la Ministro sulla necessità di ricorrere maggiormente alle misure alternative alla detenzione per quei reati di minore allarme sociale”, conclude la nota. Giustizia: Moretti (Ugl); su assetto organizzativo del Dap serve confronto Agenparl, 4 ottobre 2012 “In merito ai rientri del personale distaccato e comandato presso altre sedi o impiegato in compiti amministrativi, e al progetto di un nuovo modello detentivo, sarebbe necessario un confronto con le parti sociali”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, aggiungendo inoltre che “lo sviluppo di specifici progetti regionali ispirati all’attuazione di un sistema integrato di istituto differenziato per le varie tipologie detentive va nella direzione opposta rispetto ai principi che regolano l’ordine e la disciplina interna nelle carceri e non è supportato da idonei supporti trattamentali”. “In realtà - conclude - quello su cui bisogna puntare l’attenzione è il grave problema che deriverà dal taglio degli organici a causa del blocco del turnover e l’evidente carenza di personale che si accentuerà ancora di più con l’apertura di nuovi istituti. È necessaria dunque un’accelerazione sui progetti di deflazionamento delle carceri e implementare misure alternative alla detenzione”. Giustizia: “Salute senza barriere” progetto per integrazione sanitaria dei detenuti stranieri Asca, 4 ottobre 2012 Verrà presentato lunedì 8 ottobre il Progetto “Salute senza barriere” in una conferenza stampa, organizzata dal Ministero della Salute presso la Casa Circondariale di Regina Coeli di Roma. “Salute senza barriere” è un Progetto finanziato dal Fei (Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini dei Paesi Terzi), proposto dal Ministero dell’Interno (Autorità responsabile del Fei) e attuato da un partenariato composto dal Ministero della Salute e dall’Inmp, Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle Malattie della Povertà. Nell’ambito delle attività di sensibilizzazione sullo stato di attuazione della Riforma della medicina penitenziaria, l’Inmp ha inoltre firmato un protocollo d’intesa per la collaborazione con il Forum Nazionale per la salute in carcere. Il Progetto mira a promuovere l’integrazione sanitaria dei cittadini stranieri detenuti negli Istituti di pena italiani, attraverso il pieno e consapevole accesso al Servizio Sanitario Nazionale, anche durante il periodo di detenzione. Tre gli obiettivi specifici degli interventi: la crescita della consapevolezza di detenuti e operatori sul diritto all’assistenza sanitaria in carcere, sul funzionamento del Ssn e sulla conoscenza della riforma della medicina penitenziaria; il miglioramento della capacità di presa in carico dei bisogni di salute della popolazione straniera detenuta; la mappatura dello stato di attuazione del trasferimento delle competenze della salute in carcere dal Dap al Ssn. Il Progetto, avviato lo scorso 30 maggio, ha durata annuale e coinvolge 9 Istituti di pena e relative Asl, in altrettante Regioni del Nord, del Centro e del Sud Italia. Le azioni previste vanno dai seminari informativi residenziali ai percorsi di formazione in modalità Fad per il personale sanitario, fino a uno studio quali - quantitativo per il monitoraggio dell’applicazione della Riforma nei contesti selezionati che partecipano al Progetto. Interverranno il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Ministero della Giustizia) Giovanni Tamburino, il Direttore della Casa Circondariale di Regina Coeli Mauro Mariani, il vice - prefetto Maria Corsaro (Direzione generale Politiche immigrazione e asilo - Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione - del Ministero dell’Interno), il Direttore Generale della Programmazione Sanitaria (Ministero della Salute) Francesco Bevere, il Direttore Generale dell’Inmp, Concetta Mirisola, il Presidente del Forum Nazionale Salute in Carcere, Roberto Di Giovan Paolo. Giustizia: caso Cucchi; superperizia conferma il pestaggio, 3 fratture compatibili con calci di Carlo Picozza La Repubblica, 4 ottobre 2012 Dall’esame spunta una nuova frattura. La sorella: basta ipocrisie, ora la verità. Ci sono quattro fratture, delle quali tre recenti e compatibili con dei calci, sul corpo di Stefano Cucchi, il trentunenne arrestato sano il 15 ottobre 2009 e trovato morto sei giorni dopo, con lesioni alla schiena e altri traumi, in un letto del padiglione carcerario dell’ospedale romano Sandro Pertini. È quanto emerge dalla tac e da altri accertamenti diagnostici fatti rifare dai periti incaricati dalla Corte d’assise, dopo le indagini eseguite, ma sulla sola frattura di sei anni prima, dai consulenti del pm. “Sono molto triste”, si sfoga Ilaria Cucchi, “i nuovi esami ci dicono quanto possa aver sofferto Stefano: i pm riflettano o forse diranno che quelle fratture mio fratello se l’è procurate dopo la morte?”. “Quanto sta emergendo”, continua, “rende sempre più chiaro che, come ripetiamo da sempre, il pestaggio sul corpo minuto di Stefano è stato determinante per la sua morte, un’evidenza che si tenta di negare con energia e ogni mezzo, tanto che siamo costretti a divulgare via via le notizie sul procedimento giudiziario anche per evitare che si continui a gettare fango fino ad adombrare la nostra onestà”. Ilaria Cucchi punta il dito sui consulenti della Procura: “Si erano prodigati a sostenere che mio fratello sarebbe morto anche a casa sua e non certo in seguito a un’aggressione, ma alla fine si è scoperto che la lesione sulla quale avevano eseguito i loro esami era quella sbagliata perché vecchia di sei anni; non riesco a crederci”. I nuovi accertamenti del collegio dei periti nominati dalla Corte d’assise ed eseguiti nell’istituto di Medicina legale dell’Università degli studi di Milano, si sono concentrati sulla vertebra L3, sede di due fratture (una “giovane”, una pregressa); sulla L4, lesionata da un’altra frattura recente e mai emersa prima d’ora, e sul coccige, dove è stata riscontrata la quarta rottura. Con i periti nominati dal giudice, alla riunione hanno partecipato i consulenti di parte e i legali della famiglia Cucchi. Sono le immagini dell’asse lombare (visibili anche su Huffington Post) a evidenziare l’errore degli esami della prima perizia, eseguiti su una frattura vecchia nella parte anteriore della vertebra L3 e non nella parte posteriore dov’è la lesione ignorata dai consulenti dei pm. Tanto che ieri, il collegio dei periti e i consulenti di parte, nel verbale dell’incontro hanno concordato di eseguire nuovi accertamenti istologici sulla rimanente porzione della vertebra L3 “non sottoposta precedentemente”, scrivono, “a sezione né a indagini istologiche”. I fotogrammi mostrano un’altra lesione vicina alla L3 e sullo stesso versante, la presenza di sangue nel muscolo e la lacerazione delle fibre muscolari: circostanze che accreditano l’ipotesi di una lesione recente. Scrivono i periti: “Si visionano le aree vertebrali rappresentate nei fotogrammi in sezione trasversa di L4, in corrispondenza alla lamina sinistra, dove si visualizza una linea di discontinuità (una frattura; ndr) dei tessuti calcificati”. “Su questa sede”, continua il verbale, “si stabilisce di eseguire sezioni coronali finalizzate all’esame istologico e immunoistochimico, a distanze superiori al millimetro, e di eseguire gli stessi esami sui tessuti molli periferici”. Cucchi, coperta nuova lesione. “Provocata da un calcio” (Corriere della Sera) La morte di Stefano Cucchi è un mistero ancora insoluto, ma anche l’indagine “scientifica” per stabilirne le cause lo sta diventando. A quasi tre anni dall’arresto e dal decesso del trentunenne geometra romano - restituito cadavere alla famiglia dopo una settimana di detenzione per il possesso qualche grammo di hashish e di cocaina - salta fuori un frammento di radiografia da cui emerge una nuova frattura alla colonna vertebrale della vittima. Mai evidenziata prima. È accaduto ieri, nella riunione tra i consulenti nominati dalla Corte d’assise (davanti alla quale sono imputati una dozzina tra agenti penitenziari, medici e personale dell’ospedale Sandro Pertini, nel cui reparto carcerario Cucchi è morto) e quelli del pubblico ministero e della famiglia Cucchi. Al termine dell’incontro tutti i periti presenti hanno stabilito che in quattro immagini della “sezione traversa di L4”, cioè della parte inferiore della colonna vertebrale di Stefano Cucchi, “si visualizza una linea di discontinuità dei tessuti calcificati”. Tradotto dal linguaggio medico, significa una frattura, attaccata all’altra già rilevata in passato sulla vertebra lombare L3. Si tratta di una novità che secondo i consulenti della famiglia Cucchi rende ancora più evidente quello che sarebbe accaduto, nonché la causa di quelle due lesioni: una percossa, probabilmente un calcio, che si evince non solo dalle due incrinature, ma anche dal sangue trovato sui muscoli intorno alle vertebre L3 ed 14. Il mistero di una frattura mai individuata prima d’ora, svelata da una sorta di filmato più sofisticato deEa Tac chiamato “cone beam”, fa sorgere nei familiari di Stefano nuovi interrogativi sugli accertamenti svolti finora per conto del pubblico ministero. E si aggiunge a quello delle conclusioni a proposito della lesione sul frammento di vertebra L3. I periti della Procura avevano concluso che si trattava di un vecchio trauma, forse risalente addirittura al 2003, sei anni prima dell’arresto e delle violenze subite da Cucchi nelle camere di sicurezza del tribunale (per le quali gli agenti penitenziari sono finiti alla sbarra). Secondo i consulenti e i legali dei Cucchi, invece, quel giudizio è frutto di un errore: il prelievo dei tessuti da sottoporre a esame istologico per stabilire la natura e l’epoca della frattura sarebbe stato effettuato sulla parte sbagliata dell’osso, dove probabilmente c’era stato un precedente trauma. I tecnici di parte civile avevano già raggiunto questa certezza, che ieri è stata in qualche misura ufficializzata nel verbale dell’incontro peritale collegiale. Nel documento finale, infatti, tutti i presenti hanno concordato di procedere a nuovi esami “relativamente alla vertebra L3 si concorda di effettuare”; in particolare “sulla rimanente porzione decalcificata, non precedentemente sottoposta a sezione e ad indagini istologiche, previa asportazione dei rimanenti tessuti molli endocanalari e perivertebrali esterni”. Con la firma anche del consulente del pubblico ministero che aveva già esaminato quei frammenti, si ammette che sulla parte di vertebra L3 in cui si può rilevare una recente frattura, ci sono ancora accertamenti da svolgere. Su quel pezzetto di osso nessuno ha mai effettuato prelievi. Ne consegue che la conclusione secondo cui sul corpo di Cucchi si evidenziava una sola e antica incrinatura era quantomeno affrettata. Basata su un prelievo sbagliato. Ora i nuovi esami potranno dare risposte più precise. Se tutto ciò venisse confermato, sarebbe un punto a favore della tesi sostenuta dai familiari di Cucchi, per i quali il “pestaggio” subito da Stefano prima e dopo l’udienza di convalida dell’arresto, nei sotterranei del tribunale, è strettamente connesso alla morte arrivata sette giorni dopo, a causa delle mancate cure. Giustizia: Francesco Mastrogiovanni è morto un’altra volta… di Massimiliano Amato L’Unità, 4 ottobre 2012 L’associazione “Avvocati senza frontiere” denuncia ii processo contro gli aguzzini dell’insegnante morto tre anni fa per agonia. È come se Franco fosse morto una seconda volta”. Peppino Galzerano è un vecchio libertario cilentano che ha ricostruito, impegnando buona parte dei magri stipendi da insegnante in una piccola ma combattiva casa editrice, decine di storie di anarchici vissuti a cavallo tra gli ultimi due secoli. Ma talvolta non è necessario setacciare gli archivi per far rivivere certe maledizioni di cui i libertari di ogni epoca sono incolpevoli portatori sani. Perché la storia di Franco Mastrogiovanni, come Galzerano insegnante e anarchico ritentano, cominciata con un Tso (trattamento sanitario obbligatorio) “illegale” e conclusasi tragicamente su un letto di contenzione del centro di igiene mentale dell’Ospedale civile di Vallo della Lucania, sembra sputata da un qualche pamphlet incendiario di fine Ottocento, o da uno dei volumi pubblicati dal suo amico editore. E invece questo calvario laico, che ha già scosso migliaia di coscienze, si è sviluppato tra la mattinata del 30 luglio 2009 e la notte tra il 3 e il 4 agosto successivi. Tre anni fa. Franco Mastrogiovanni effettivamente è morto un’altra volta, lo scorso 2 ottobre, nel giorno in cui avrebbe compiuto 61 anni, in un’aula del Tribunale di Vallo. Ucciso dal pregiudizio che accompagna da sempre quelli come lui, ribelli ad ogni tentativo di costrizione, ingenui sognatori di un mondo senza schiavi né padroni, nemici giurati del principio di autorità. Le immagini della sua agonia, pubblicate sul sito de l’Espresso, hanno fatto il giro del web. Per quattro giorni le telecamere fisse del reparto ripresero un uomo che, dopo essere stato ricoverato con la forza, fu completamente abbandonato al proprio destino, con i polsi e le caviglie legate da lacci che gli penetrarono nella carne per due centimetri e mezzo lacerandogli i tendini, impossibilitato a muoversi, lasciato senza cibo né acqua, fino a quando un edema polmonare non gli fece scoppiare il cuore. Lo dice il referto autoptico stilato dai medici legali Adamo Maiese e Giuseppe Ortano. Un atto d’accusa circostanziato per 6 medici e 12 infermieri, alla sbarra con le accuse di omicidio colposo, sequestro di persona e falso in atto pubblico e parzialmente graziati (per ora) dalla requisitoria del pm d’udienza Renato Martuscelli. “A un certo punto - racconta Galzerano - è sembrato che il processato fosse Franco e non chi è accusato di averne provocato la morte per imperizia, negligenza o, Dio non voglia, chissà cos’altro ancora”. In effetti, a parte le richieste molto miti, che vanno dai quattro anni (complessivi) per il primario del reparto ai due per gli infermieri e i medici coinvolti nella vicenda (l’accusa di sequestro di persona è stata ritenuta “insussistente”), nelle due ore e 15 minuti di ricostruzione dei fatti, il rappresentante dell’accusa ha parlato più della supposta “devianza” della vittima che delle responsabilità dei suoi presunti aguzzini. In aula al povero Mastrogiovanni non è stato risparmiato niente: dalla sottolineatura della sua fede politica alla lettura integrale del rapporto stilato dai vigili urbani che lo bloccarono, con uno spiegamento di forze degno della cattura di un superlatitante della camorra, nella mattinata del 30 luglio nel mare cilentano dopo una nottata di scorribande in auto sull’isola pedonale di Acciaroli. In un passaggio, sottolineato dal pm, si legge perfino che si era reso necessario bloccare Mastrogiovanni “perché intonava canti contro il governo”. La requisitoria di Martuscelli ha provocato una durissima reazione di “Avvocati senza frontiere”, che ha inviato un esposto al Csm e alla Procura Generale di Salerno, censurando “l’intollerabile assenza del pm che in spregio alle sue funzioni istituzionali ha assunto in maniera sfacciata, senza mezzi termini, la difesa degli imputati, cercando di minimizzare le gravi responsabilità degli stessi, rivolgendo, viceversa, le proprie attività d’accusa nei confronti della vittima, nel precipuo scopo di alleggerire le condotte dei medici e del personale ospedaliero, nonché delle stesse forze dell’ordine che hanno eseguito con modalità illegittime il brutale fermo di una persona assolutamente sana di mente e pacifica che implorava di non venire portato presso il lager psichiatrico del San Luca di Vallo della Lucania, preavvertendo con grande lucidità che sarebbe stato ucciso”. Nella denuncia l’associazione ricorda anche che nel ‘99 Martuscelli fece incarcerare per 9 mesi l’insegnante, colpevole solo di aver contestato una multa per divieto di sosta. Condannato a due anni e 9 mesi in primo grado per oltraggio, Mastrogiovanni fu poi assolto nei successivi gradi di giudizio e risarcito con 25 milioni di lire per ingiusta detenzione. Il processo sulla sua morte arriverà a sentenza il 30 ottobre. Il collegio giudicante dovrà chiarire se era legittimo il Tso disposto da Angelo Vassallo, il “sindaco pescatore” di Pollica ucciso un anno dopo in circostanze tuttora misteriose, considerato che, all’atto della “cattura”, Mastrogiovanni non si trovava più nel territorio del suo comune. E cosa abbiano veramente rappresentato quelle 83 ore su un letto di contenzione, se non una tortura deliberatamente inferta ad un uomo mite, incapace di fare del male ad una mosca, definito dai suoi alunni “un gigante buono dalle mille risorse”. Ma dalla pronuncia dei giudici di Vallo della Lucania si capirà anche se gli anarchici sono riusciti finalmente ad aver ragione di un pregiudizio che dura da quasi duecento anni. Lettere: Piazza pulita di Massimo Gramellini La Stampa, 4 ottobre 2012 Quando ho saputo che Antonio Piazza, presidente in quota Pdl dell’Azienda lombarda per l’edilizia residenziale, da tre anni parcheggia la sua Jaguar nello spazio riservato ai disabili, ho borbottato: ohibò. Quando ho saputo che il presidente Antonio Piazza, dopo aver parcheggiato per tre anni la sua Jaguar nello spazio riservato ai disabili, è stato finalmente multato dai vigili su segnalazione di un disabile che non trovava mai posto per parcheggiare, ho gridato: urrà. Quando ho saputo che il presidente multato Antonio Piazza, pervaso dalla rabbia, ha tagliato le gomme dell’auto del disabile che lo aveva segnalato ai vigili, mi sono chiesto: ma dove siamo? Quando ho saputo che il presidente multato e taglia - gomme Antonio Piazza ha tentato di rimediare chiamando precipitosamente un gommista, mi sono risposto da solo: siamo in Italia. Quando ho letto le dichiarazioni del presidente multato taglia-gomme e chiama-gommista Antonio Piazza - “Perché dovrei dimettermi dal mio incarico politico per un errore tecnico?” - mi sono detto: con un corso accelerato di educazione civica, alternato a pesanti corvée nei servizi sociali, forse lo recuperiamo ancora. Ma quando ho ascoltato in tv le successive dichiarazioni del presidente multato taglia-gomme chiama-gommista ed errante-tecnico Antonio Piazza - “Solo un pezzo della mia Jaguar sporgeva nel posto riservato ai disabili, in realtà da tre anni io parcheggio nel posto accanto, in divieto di sosta: qual è il problema?” - ho capito di essere sostanzialmente un illuso. Questa è gente che non si recupera più. Lettere: Il caso Sallusti docet... di Roberta Bartolini La Padania, 4 ottobre 2012 “Egregio direttore, il caso Sallusti ora rimasto in stand-by è in attesa del verdetto finale del Presidente della Repubblica che, studiando il caso stesso e la sentenza della Cassazione, dovrebbe decidere se concedere la grazia ad un giornalista nonché Direttore de Il Giornale - preso di mira e condannato a 14 mesi di carcere solo per reato di opinione - o se confermare tale infame sentenza. Bella responsabilità. Ma vorrei sottolineare che oltre il danno arriva la beffa. Infatti, oltre che studiare la sentenza, Napolitano e il Ministro Severino sarebbero d’accordo sulla necessità di rivedere le norme sulla diffamazione risalenti al 1948. In Italia quando scoppia una bugna si scoprono gli altarini e improvvisamente si ritiene di porre rimedio velocemente come nel caso della rivisitazione della Costituzione che andrebbe riveduta e corretta al contrario di quanto ha sempre pensato Fini che la ritiene una “pietra miliare” intoccabile. Se nel tempo si fosse modificata qualche legge forse oggi non saremmo a piangerci addosso se le norme sulla diffamazione sono obsolete e soprattutto richiedono tempi biblici per essere messe in atto. Infatti - e questa è la beffa - pare che Napolitano abbia a disposizione al massimo 30 giorni per rivedere il tutto e pare altresì che 30 giorni non siano sufficienti per cambiare tali norme e quindi per fare evitare il carcere a Sallusti. Ciò che mi fa rimanere ancora più perplessa è che il Presidente Napolitano sfrutti tale increscioso evento per invitare finalmente il Parlamento ad approvare al più presto il ddl sulle misure alternative alla detenzione e a decidere su amnistia e indulto a causa della “degenerazione delle carceri italiane, indegna per un Paese come l’Italia” come sostiene lo stesso Presidente. È una vita che si discute sulla necessità di modificare le condizioni delle carceri, tutti i governi che si sono finora succeduti in Italia si sono sempre prefissati di agire in tal senso ma non l’hanno mai fatto per svariati motivi. Scoppia un caso eclatante e pericoloso per la democrazia e la libertà di opinione e se ne parla. Ma si sa già che una volta risolto il caso Sallusti le carceri lager rimarranno sempre le stesse, sovraffollate con tutte le conseguenze del caso a causa di processi infiniti che si succedono, a causa del fatto che sovente sono detenuti innocenti per far restare fuori i delinquenti veri. Caso Sallusti docet. Calabria: Dap; la chiusura del carcere di Laureana di Borrello è di carattere temporaneo Agenparl, 4 ottobre 2012 “La chiusura del carcere a custodia attenuata “Luigi Daga” di Laureana di Borrello è di carattere temporaneo”. Lo rende noto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rispondendo a diverse dichiarazioni di esponenti politici e sindacali. La decisone di chiudere temporaneamente l’istituto di Laureana di Borrello dove erano presenti solo 29 detenuti - afferma il Dap - è stata una scelta necessaria, per far fronte alla carenza di personale addetto al servizio delle traduzioni. Ben nove udienze dei processi di ‘ndrangheta su dieci, infatti, sono state rinviate per l’impossibilità di tradurre i detenuti nelle aule giudiziarie. Il carcere di Laureana, aperto nel 2004 e destinato a detenuti a basso indice di pericolosità, attualmente non era in grado di assicurare il trattamento avanzato basato specificatamente sulle attività lavorative. La crisi economica ha imposto la chiusura delle lavorazioni e di conseguenza ha fatto venir meno la potenzialità trattamentali che lo hanno caratterizzato fin dalla sua apertura. La chiusura temporanea del carcere calabrese ha consentito di recuperare 25 unità di Polizia Penitenziaria che sono già state destinate ai nuclei traduzioni di Palmi e Locri per assicurare lo svolgimento delle udienze. Il Dap precisa che sarà fatto il massimo sforzo per reperire i fondi necessari per la riapertura del carcere e per rafforzare e potenziare gli aspetti trattamentali propri della struttura. Calabria: contro chiusura Laureana il Presidente Scoppelliti, l’On. Minniti, Sappe e Osapp Ansa, 4 ottobre 2012 Il Presidente Giuseppe Scopelliti - informa una nota dell’ufficio stampa della Giunta regionale - in riferimento alla chiusura dell’istituto detentivo di Laureana di Borrello evidenzia che “seppur temporanea, secondo quanto fa sapere il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la chiusura della struttura carceraria attenuata “Luigi Daga” di Laureana di Borrello non può che destare allarmismo per il rischio che si disperda un’esperienza dall’altissimo valore umano e sociale, unica nel suo genere in tutta Italia. Pur comprendendo la situazione di emergenza che attraversa il sistema penitenziario nazionale - prosegue Scopelliti - non possiamo consentire che il territorio sia privato di quello che si è proposto su scala nazionale come incubatore di un modello detentivo positivo, tanto da ricevere l’encomio dei Guardasigilli Castelli ed Alfano. A Laureana di Borrello è stata scritta una pagina di buona amministrazione penitenziaria che non merita di essere interrotta, semmai incentivata a proseguire e ad ampliare la propria portata. In un contesto sociale come il nostro, lo Stato deve, con sempre maggiore fermezza, far sentire la propria presenza non solo in termini repressivi ma anche perché capace di stimolare e promuovere un concreto percorso di recupero e riabilitazione tra coloro che hanno sbagliato. Manterremo alta l’attenzione sulla vicenda - conclude il Presidente della Regione - e ci attiveremo presso le autorità preposte affinché i tempi di chiusura della casa di reclusione “Luigi Daga” siano brevi perché crediamo in quello che rappresenta un patrimonio per l’intera Calabria per la capacità dimostrata di restituire umanità e speranza ai detenuti e alle loro famiglie”. Interrogazione dell’On. Marco Minniti su chiusura carcere Laureana Al Ministro dell’Interno, al Ministro della Giustizia. Premesso che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), nei giorni scorsi, ha deciso di chiudere a Casa di reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello (Rc), una struttura sperimentale di eccellenza, costruita di recente, in grado di ospitare 68 detenuti tra i 18 ed i 34 anni, ai quali veniva assicurata una straordinaria esperienza di recupero e di inclusione sociale, anche attraverso una intensa attività di laboratorio (con lavori di falegnameria, di ceramica, ecc.); l’Istituto “Luigi Daga”, in passato, era stato definito da vari ministri della Giustizia che si sono succeduti negli anni, come la punta più avanzata in tema di trattamento penitenziario italiano, un esemplare modello d’intervento che ha raccolto ovunque attestati di stima ed unanimi apprezzamenti, sia a livello nazionale che internazionale; attraverso il “Luigi Daga” per la prima volta si è data l’opportunità ai giovani detenuti nelle carceri calabresi di abbandonare i circuiti della devianza e della ‘ndrangheta, attraverso un contratto trattamentale ed un progetto pedagogico basato sulla assunzione di impegni personali e di elaborazione di un programma esistenziale alternativo alla delinquenza; per giustificare la chiusura dell’Istituto “Luigi Daga” sono state fornite ragioni di carenza di personale penitenziario nelle altre strutture detentive della Calabria, ragioni che non giustificano in alcun modo l’interruzione di questa importante esperienza voluta da tanti calabresi e soprattutto dal compianto provveditore Paolo Quattrone, come segno di riscatto della Calabria dalla ‘ndrangheta, un fenomeno criminale che condiziona la vita di intere comunità’ ed il futuro dei giovani calabresi; nonostante il Dap, attraverso una sua nota ufficiale del 3 ottobre 2012, abbia minimizzato la decisione della chiusura del “Luigi Daga” parlando di chiusura temporanea della struttura, nella realtà si sta già procedendo alla cessione degli arredi dell’istituto ad altre carceri, un fatto che denota una evidente volontà di abbandonare il progetto; l’amministrazione penitenziaria, chiudendo questa esperienza, non solo ha interrotto in modo traumatico il processo di risocializzazione iniziato da 29 detenuti, improvvisamente trasferiti in altre carceri, ma ha prodotto un segnale preoccupante circa la volontà’ effettiva di investire sul recupero e l’inclusione lavorativa e sociale dei giovani detenuti, contribuendo di fatto all’aumento del sovraffollamento in strutture detentive; il personale di Polizia penitenziaria presente a Laureana rientrerà nelle sedi di provenienza mentre quello afferente al comparto Ministeri, in precedenza dislocato al “Luigi Daga”, è stato assegnato, senza alcun preventivo confronto, ad altri Istituti di pena della Regione. Per sapere se i Ministri in indirizzo sono a conoscenza del provvedimento adottato dal DAP di chiusura dell’Istituto “Luigi Daga”, un’esperienza fondamentale nel percorso di reinserimento nel circuito sociale e produttivo di tanti detenuti; se non ritengano opportuno, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, procedere all’immediata sospensione dell’efficacia del provvedimento adottato, convocando, nello stesso tempo, un Tavolo di confronto interistituzionale a Roma (un Tavolo che mantenga una positiva interlocuzione con le Istituzioni locali e con il Comitato spontaneo costituito localmente a difesa del “Luigi Daga”), al fine di individuare soluzioni amministrative urgenti in grado di coniugare un efficace e già sperimentato modello di rieducazione e reinserimento del condannato con le esigenze di razionalizzazione organizzativa espresse dall’amministrazione giudiziaria. Sappe, chiusura Laureana di Borrello vicenda surreale “La chiusura del carcere di Laureana di Borrello è diventata una vicenda surreale”. È quanto denuncia il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, a proposito della sorte dell’istituto in provincia di Vibo Valentia, in una nota a firma del segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, e di quello regionale, Damiano Bellucci, che annunciano l’intenzione di intervenire “valutando l’opportunità di citare l’Amministrazione penitenziaria per condotta antisindacale”. “La motivazione con la quale sarebbe stato chiuso è che necessiterebbe personale di polizia penitenziaria per la gestione dei processi a Reggio Calabria e provincia - spiegano. Però, nessuno degli agenti in servizio a Laureana è stato mandato a Reggio Calabria. L’Amministrazione penitenziaria, invece, per la gestione dei processi nella provincia di Reggio Calabria ha inviato il personale del Gom (gruppo operativo mobile). Una scelta sicuramente condivisibile, per alleviare le difficoltà del personale di Reggio Calabria e provincia, ma ci chiediamo, però, qual è il vero motivo per cui è stato chiuso un istituto che doveva essere il fiore all’occhiello in Calabria, per quanto riguarda il recupero di giovani detenuti?’, si chiedono Durante e Bellucci. I due dirigenti del Sappe sottolineano infine “che tutto è avvenuto in barba ad ogni regola contrattuale, per quanto riguarda le relazioni sindacali. Anche l’assegnazione del personale rientrato da Laureana nelle proprie sedi sta creando molto malumore, per il modo in cui sta avvenendo”. Osapp: chiudere carcere di Laureana di Borrello ultimo degli errori del Dap “L’Amministrazione Penitenziaria Centrale oltre ai fondi e al Personale sta perdendo anche colpi”. È questo il lapidario commento di Leo Beneduci, Segretario Generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria ) in merito alla chiusura - non chiusura dell’istituto penitenziario di Laureana di Borrello. Secondo l’Osapp infatti: “non ad altro, se non ad una concreta perdita di contatto con la realtà penitenziaria periferica, può attribuirsi la decisione di chiudere, poi specificando la provvisorietà del provvedimento, l’istituto penitenziario fiore all’occhiello del trattamento rieducativo dei detenuti in Calabria e non solo”. “Forse - prosegue il leader dell’Osapp - se esperienze analoghe a quelle di Laureana di Borrello si fossero attuate in un istituto del nord, al Dap si sarebbero ben guardati anche dall’immaginare la chiusura di tale struttura, ma Laureana è in Calabria”. “A nostro avviso - conclude Beneduci - anche la giustificazione data dal Dap riguardo all’esigenza di reperire Poliziotti Penitenziari per il servizio delle traduzioni in quella regione, nasconde la verità vera di una errata politica del personale che è andata a penalizzare nel tempo proprio le regioni in cui sono più drammatici i problemi legati alla criminalità organizzata. Auspichiamo, quindi, che il Ministro Severino, nel tempo che resta al Governo tecnico, sappia immaginare anche una diversa individuazione di qualche vertice dell’Amministrazione Penitenziaria”. Liguria: Sappe; sempre critica la situazione penitenziaria Ristretti Orizzonti, 4 ottobre 2012 Nuova lettera di sollecito del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe al Ministro della Giustizia Paola Severino e ai parlamentari eletti in Liguria sulla sempre più critica situazione penitenziaria regionale, caratterizzata da un pesante sovraffollamento nei sette carceri regionali e dalle considerevoli carenze di organico nei reparti di polizia penitenziaria e in quelli del personale amministrativo. Spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto: “Alla data del 30 settembre scorso, erano detenute 1.907 persone nelle 7 carceri liguri che hanno una capienza complessiva regolamentare di 1.088 posti letto. 1.101 sono gli stranieri, 33 i detenuti in semilibertà e ben 901 sono coloro che attendono un giudizio definitivo. 239 solo coloro che negli ultimi due anni sono usciti dai penitenziari liguri per scontare gli ultimi 18 mesi di pena in detenzione domiciliare. Abbiamo quindi ritenuto interessare nuovamente la Ministro Severino e tutti i parlamentari eletti in Regione (in particolare i paracadutati come Pier Ferdinando Casini, Fiamma Nirenstein e Giovanna Melandri che non si sono certo distinti per attenzione e sensibilità alla questioni penitenziarie liguri…) per denunciare una situazione ogni giorno sempre più allarmante, che ricade in primis sulle condizioni lavorative delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria (che sono ben 350 in meno rispetto agli organici previsti), e che non può restare in assenza di provvedimenti concreti”. Martinelli sottolinea ancora che “fino ad oggi la drammatica situazione penitenziaria ligure è stata contenuta grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Liguria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Servono provvedimenti concreti e nel tempo più breve come peraltro recentemente è tornato a sottolineare autorevolmente il Capo dello Stato Napolitano”. Opera (Mi): il tentato suicidio di Giancarlo Giusti diventa un giallo, spunta un secondo fax di Michele Inserra www.ilquotidianocalabria.it, 4 ottobre 2012 L’ex giudice di Palmi appena condannato per i suoi rapporti con la ‘ndrangheta si trova ancora in coma farmacologico. Ma dopo il testo inviato al suo avvocato spunta anche un secondo messaggio mandato alla donna con la quale era stato sposato: fissa un appuntamento. Entrambi sono partiti dopo il suo gesto. E la donna racconta: “Non gli ho mai negato i figli”. Il magistrato Giancarlo Giusti non avrebbe avuto la minima intenzione di togliersi la vita. Almeno questo è ciò che traspare dalle ultime ore di quel 28 settembre all’interno della sua cella al carcere milanese di “Opera”. Il giorno prima aveva incassato, in abbreviato, una condanna a quattro anni per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa nell’ambito dell’inchiesta “Infinito” della Dda di Milano, quella sulla famiglia Valle-Lampada. Alle ore 16.30 circa alla sezione K, dove è detenuto, i sindacati della polizia penitenziaria comunicano che un detenuto ha tentato di suicidarsi. Forse con i lacci del pantalone, forse con il cordone dell’accappatoio. Prima, erroneamente, vengono diffuse le generalità del magistrato Vincenzo Giglio (altro arrestato dell’inchiesta), poi successivamente quelle di Giancarlo Giusti. L’ex gip di Palmi viene trasferito all’ospedale San Paolo di Milano, dove tuttora si trova in coma farmacologico. È grave, ma non corre pericoli di vita. Un’ora dopo l’accaduto dal carcere partono due fax: uno indirizzato al suo difensore Paolo Carnuccio, l’altro alla sua ex moglie, Teresa Puntillo (in un primo momento era lei il suo legale). Alle 17.25 a Carnuccio scrive di vedersi al più presto per “strategie future”, quelle difensive, e poi: “Devo vedere i figli o posso morire”. Due minuti dopo quella comunicazione (alle ore 17.27) a Carnuccio dal carcere ne viene inviata una seconda. “Saranno mesi lunghi ma vincerò, mi serve il contatto con i figli per poter resistere” scrive tra l’altro all’ex moglie. E fissa l’appuntamento: 6 ottobre, sabato prossimo insomma. Anche in questo fax nessuna minaccia di farla finita. L’ex moglie di Giusti intanto in un lungo colloquio col Quotidiano racconta tra l’altro: “Non ho mai negato di fargli vedere i figli - racconta a cuore aperto Teresa Puntillo - anche quando aveva l’autorizzazione di chiamare ha parlato con i suoi figli nella casa estiva di Siderno. Non credo che quel gesto sia da collegare al fatto che non gli facevo vedere i figli. Questa è una grande assurdità”. E aggiunge: “Nonostante tutto sono legata affettivamente a lui”. Biella: poliziotto penitenziario muore a seguito dell’incendio di una coperta in caserma Tm News, 4 ottobre 2012 Tragedia a Biella, dove un poliziotto penitenziario è morto in caserma per esalazioni di fumo a seguito dell’incendio di una coperta. L’uomo, di 40 anni, da 12 in servizio sempre nell’istituto di pena piemontese, era appena smontato dal turno, alle 16, e si era ritirato nella sua stanza in caserma per riposare. Forse si è addormentato e la sigaretta che aveva acceso è caduta sulla coperta, incendiandola e facendolo morire probabilmente a causa delle terribili esalazioni. Lo rende noto il Sappe, il cui segretario Donato Capece commenta: “Una tragedia che ci colpisce profondamente, per le quali esprimo grande dolore e sentite nonché commosse espressioni di cordoglio ai familiari e a tutto il reparto di polizia penitenziaria di Biella”. Ferrara: un’occasione per i detenuti e la società di Don Domenico Bedin (Associazione Viale K) La Nuova Ferrara, 4 ottobre 2012 Come noi altre Comunità accolgono in provincia detenuti soprattutto per motivi terapeutici. Mi passano davanti agli occhi della memoria tanti giovani, anche del mio quartiere, che hanno usufruito di queste forme di ospitalità e per una parte i risultati sono stati assai positivi. Alcuni hanno famiglia e figli e quando ci incontriamo è festa. Anche con chi continua a delinquere spesso resta un legame positivo perché prima o poi si può rialzare e cambiare e allora è importante che si sappia che ci siamo. Non facciamo miracoli: si da una ospitalità in comunità coinvolgendo subito la persona nella responsabilità del quotidiano come le pulizie della casa e la manutenzione o la preparazione dei cibi. Negli anni poi abbiamo sviluppato alcune attività lavorative e di autofinanziamento come il riciclaggio della plastica, l’orticoltura, l’allevamento degli animali da cortile, la raccolta e la preparazione della legna da ardere. Con i vari servizi del territorio si istituiscono borse lavoro in cooperative sociali e veri e propri inserimenti lavorativi che continueranno anche dopo il fine pena. Alcuni ospiti sono diventati miei collaboratori e danno una mano competente in vari settori dell’ associazione. Un esempio per tutti: Marco ha aperto con la coop un laboratorio di saldatura specializzata dell’acciaio inox coinvolgendo altri giovani provenienti dal carcere. Tutto questo senza nessun finanziamento pubblico perché ad oggi non ho trovato bandi che dessero la possibilità di avere risorse per questo servizio. Ai detenuti non chiediamo una retta anche perché diamo la disponibilità solo ai più poveri e senza risorse familiari; anzi ho rifiutato quelli che proponevano denaro per non avere legami di dipendenza. Il controllo degli ospiti avviene attraverso la visita delle forze dell’ordine nelle case di accoglienza senza preavviso e se dovessero esserci delle evasioni i responsabili avvisano immediatamente. È chiaro dunque che mi meraviglio che in questi giorni in cui si parla della necessità di svuotare le carceri attraverso l’ indulto e l’ amnistia quasi nessuno ponga attenzione a queste misure alternative al carcere. Mi sembra invece necessario insistere per tre motivi su questa possibilità: sono misure già previste dalla legge - sono economicamente estremamente vantaggiose perché poco onerose - hanno buoni risultati dal punto di vista del recupero e dell’inserimento. Pavia: al carcere mancano i soldi per le bollette, 500mila euro di debiti per luce e gas di Maria Fiore La Provincia Pavese, 4 ottobre 2012 Non ci sono più soldi per le carceri. E a Torre del Gallo, come a Vigevano, è allarme bollette: ci sono circa 500mila euro di debiti per ciascuna struttura per le utenze di luce, acqua e gas. Ed è attesa, nelle prossime settimane, la mannaia dei gestori, che potranno imporre dei cali, o addirittura tagli, nell’erogazione dell’energia elettrica e del gas. I vertici dell’amministrazione penitenziaria cercano di correre ai ripari. Sono stati già installati, sia a Pavia che a Vigevano, pannelli fotovoltaici sui tetti delle carceri. Ma l’intervento rischia di essere un buco nell’acqua. Perché gli impianti di energia pulita vengono posizionati su tetti già vecchi e devastati dalle infiltrazioni d’acqua. Infiltrazioni che caratterizzano anche molte stanze e celle di Torre del Gallo. Alcuni locali sono stati dichiarati inagibili. Non ci sono i soldi per la manutenzione degli edifici, ma nemmeno per riparare i mezzi usati per lo spostamento dei detenuti, fermi nelle officine di riparazione. E a Vigevano è stata fatta perfino una colletta per comprare il carburante per il tagliaerba. “Tra un po’ non avremmo nemmeno la benzina da mettere nelle macchine di servizio”, spiega Salvatore Giaconia, delegato regionale del sindacato Osapp, che ieri pomeriggio ha accompagnato il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, Leo Beneduci, per un sopralluogo all’interno del carcere di Vigevano e Pavia. “La situazione è drammatica - spiega Beneduci -. Le carceri sono, in questo momento, strutture abbandonate dallo Stato”. Sul sovraffollamento Beneduci fornisce qualche numero: “Vigevano ha una capienza regolamentare di 180 uomini e 56 donne. Potrebbe arrivare fino 330 e 106 donne, invece ci sono attualmente 427 uomini e 76 donne. Pavia ha una capienza limite di 247 detenuti, mentre quella tollerabile è di 456, e invece ci sono 535 detenuti. In questo caso la capienza tollerabile, due detenuti per cella, è superata del 20 per cento. Sono carceri che continuano a funzionare solo grazie all’impegno del personale, peraltro sempre più ridotto e anziano. Abbiamo, a Pavia, una carenza del 20 per cento, destinata ad aumentare in vista della consegna del nuovo padiglione, che a partire da dicembre ospiterà altri 300 detenuti. A questo non corrisponderanno nuove assunzioni di personale”. Arborea (Or): la cooperativa “Il Samaritano riapre le porte agli ex detenuti La Nuova Sardegna, 4 ottobre 2012 La cooperativa sociale onlus “Il Samaritano”, dopo il lungo stop derivante dalle note vicende giudiziarie del suo fondatore, don Giovanni Usai, attualmente sotto processo per accuse legate a presunti abusi sessuali e a un giro di prostituzione che si sarebbe creato all’interno della struttura, dallo scorso agosto ha riattivato il servizio di accoglienza per condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione. L’azienda non si è mai fermata, con i suoi operatori e con i soci ex detenuti che la hanno mantenuta viva. Mantenendo vive anche le produzioni ortive e le altre attività che hanno sostenuto i progetti per i quali è nata la cooperativa sociale, di particolare attenzione nei confronti dei detenuti. Ora, “Il Samaritano” è in grado di ripartire, e tale è stato valutato, nell’interesse dei percorsi destinati all’inclusione sociale e riconciliazione civile di persone che hanno subito condanne. La cooperativa, preoccupata per lo stop che la politica sembra abbia destinato ai percorsi esterni al carcere, ma anche per raccontarsi e per presentare la sua iniziativa, ha convocato per questa mattina alle 11 un incontro che si terrà nella sala conferenze della comunità, in località strada mediana 2. Si parlerà di carceri che scoppiano, di provvedimenti svuota carceri e della loro effettiva efficacia, di misure alternative alla detenzione e di quanto è allo studio del Governo per affrontare un problema che ha a che fare con la capacità di rieducare e reinserire nella società chi ha commesso degli sbagli. Un dibattito sul quale è di recente intervenuto lo stesso presidente della Repubblica Napolitano. Ascoli Piceno: i detenuti hanno lavorato come decoratori per rinnovare la sala colloqui Comunicato stampa, 4 ottobre 2012 Due mesi di lavoro certosino, mescolando colori, pazienza e impegno per regalare ai più piccoli qualche momento di serenità. È una sala colloqui completamente rinnovata quella che un gruppo di detenuti del carcere di Ascoli ha riconsegnato all’Istituto dopo aver lavorato alla decorazione dei muri, al montaggio dei mobiletti e alla sistemazione delle tende. L’iniziativa rientra nel progetto “Coloriamo il carcere” ed è stata realizzata dai ragazzi della redazione del periodico “Io e Caino”. I detenuti hanno lavorato a rotazione, coordinati dal direttore del giornale, Teresa Valiani, e dal professore di Storia dell’Arte, Davide Cusani. Tutti, professionisti e detenuti, hanno collaborato a titolo di volontariato mentre i fondi per l’acquisto dei materiali, 500 euro, sono stati donati dall’Ente Sentina di San Benedetto del Tronto presso la cui Riserva i detenuti del Marino hanno svolto quattro giornate ecologiche nel corso della stagione estiva. Nelle pareti della sala colloqui sono state dipinte scene che rappresentano le quattro stagioni: per l’autunno parete viola con foglie e faccine sorridenti, ghiande e piccoli grappoli d’uva. Per l’inverno un paesaggio innevato con alberi, pupazzi di neve e colline imbiancate. All’estate è stata destinata la parete che campeggia all’ingresso della sala, con un paesaggio marino e una coloratissima Sirenetta che nuota tra conchiglie, cavallucci e bolle. In basso una cabina, una barca e bambini che giocano sulla spiaggia. La primavera è la stagione che caratterizza la parete più grande (circa 9 metri x 5) con colline e prati in fiore, castelli, casette e animali. In primo piano un girotondo di bambini di diversa nazionalità che ha già conquistato la simpatia dei piccoli visitatori. Il progetto grafico è stato realizzato dal professor Cusani che, su suggerimento dei detenuti, ha disegnato tutti i paesaggi riportandoli in scala a dimensioni reali. I bozzetti sono stati utilizzati dai ragazzi che li hanno ricalcati con la carta carbone e riprodotti sul muro per poi colorarli. Anche in quest’ultima fase il professore è stato molto presente dispensando consigli e tecniche su come ottenere le giuste tonalità e il chiaroscuro. Un angolo della stanza è stato destinato al gioco con tavolino e seggiole, una cassapanca piena di giocattoli, una piccola libreria con quaderni, libri e pastelli per colorare e un armadietto che ospita peluche e costruzioni. “Ci sono stati momenti faticosi - racconta Teresa Valiani - ore trascorse in ginocchio o seduti a terra a mescolare i colori e decorare le parti in basso. Altre ore passate in bilico su una scala per arrivare in alto. E il saliscendi continuo dall’impalcatura per verificare dalla giusta distanza l’effetto delle sfumature e delle proporzioni. Non è stato un lavoro facile, ma non sono mai mancati entusiasmo e allegria. I detenuti hanno partecipato con passione tanto da assentarsi solo mezz’ora per il pranzo e tornare subito a dipingere approfittando delle ore che il professor Cusani ci ha dedicato. Molti di loro hanno figli piccoli e di volta in volta raccontavano le impressioni e le espressioni di meraviglia dei bambini quando entravano nella nuova sala colloqui, settimana dopo settimana sempre più colorata”. “Poter dire a mio figlio “questo l’ha fatto papà!” - racconta Edmir - e sentire il suo abbraccio mi ha emozionato moltissimo. Mio figlio mi ha guardato con occhi riconoscenti e mi ha ricoperto di baci, quei momenti non li dimenticherò mai. Lavorare a questo progetto è stato faticoso ma ci ha dato una grande soddisfazione perché l’abbiamo fatto soprattutto per i nostri bambini”. Oltre alla Riserva Sentina, la redazione di “Io e Caino” ringrazia la direttrice del carcere, Lucia Di Feliciantonio, che ha appoggiato il progetto e ha visitato costantemente il “cantiere” sostenendo i ragazzi, il Comandante del Corpo di Polizia Penitenziaria, Pio Mancini, che per primo ha lanciato l’idea di “colorare il carcere” e tutti i suoi ufficiali che sono stati presenti in sala colloqui durante i lavori senza mai far mancare la propria collaborazione e disponibilità. Non ultimo il professor Davide Cusani per la sua grande professionalità e sensibilità. Ricordiamo che è fissato al 30 novembre prossimo il termine per la presentazione dei bozzetti del concorso “Coloriamo il carcere” indetto insieme alla Provincia. Il concorso è aperto ai writers. Tema: libertà. I vincitori delle due sezioni riceveranno buoni acquisto e potranno realizzare graffiti e murales nel corridoio del carcere e negli altri spazi comuni. Info nel sito della Provincia di Ascoli o attraverso la mail del giornale: ioecaino(et)gmail.com Bologna: ex direttrice Ipm Ziccone reintegrata dai giudici, ma il Dap le impedisce rientro Dire, 4 ottobre 2012 È “illegittima” la sanzione della sospensione per tre mesi dal servizio e dallo stipendio di Paola Ziccone, ex direttrice del carcere minorile del Pratello di Bologna, da parte del ministero della Giustizia. Lo affermano la Fp-Cgil e lo studio legale che difende Ziccone. Ziccone, dopo aver vinto (con la sentenza del Tribunale di Bologna del 29 maggio) la causa contro la rimozione dall’incarico di direttrice del Pratello, ricordano sindacato ed avvocati, “ha vinto pure la causa avverso il successivo provvedimento di sospensione dal servizio e dallo stipendio adottato dall’amministrazione”. Nel procedimento d’urgenza aperto da Ziccone, infatti, “le contestazioni poste alla base della sanzione disciplinare (omessa denuncia di fatti reato) sono ritenute dal Tribunale in composizione monocratica - si riferisce nella nota - del tutto generiche od infondate ed inoltre dal Tribunale in composizione collegiale, a seguito del reclamo presentato dal ministero, illegittime in quanto adottate senza consentirle di difendersi nei termini di legge”. La difesa, dunque, “non può non evidenziare la conseguente illegittimità del comportamento del dipartimento e del ministero - continua la nota - consistente nell’impedire il rientro di Ziccone nelle sue funzioni e mansioni, nonostante le precise disposizioni di reintegra contenute nei provvedimenti giudiziari che hanno visto l’amministrazione soccombente”. Inoltre, va rilevata la “particolare attenzione di cui è fatta oggetto Ziccone che, sempre per gli stessi fatti che erano stati posti a base della rimozione e della sospensione - si conclude la nota - ha dovuto subire anche le sanzioni del richiamo scritto e della multa, anche esse impugnate avanti alla autorità giudiziaria”. Alessandria: nel pacco per un detenuto c’era droga nascosta dentro un paio di scarpe La Stampa, 4 ottobre 2012 La conformazione della suola non ha convinto la polizia penitenziaria che ha scoperto la sostanza stupefacente. Quando quel pacco è arrivato nel carcere di San Michele qualcosa non ha convinto la polizia penitenziaria. Era indirizzato ad un maghrebino e dentro c’erano vari oggetti tra cui un paio di scarpe di gomma. La conformazione della suola non ha convinto la polizia penitenziaria diretta dal commissario Felice De Chiara. Così un poliziotto ha “scorticato” le scarpe scoprendo che dentro erano nascosti 22 grammi di hashish. La droga è stata sequestrata ed è stata informata la Procura che ha avviato una inchiesta. La polizia penitenziaria tra le sue competenze svolge anche indagini di polizia giudiziaria per garantire sicurezza dentro e fuori dal carcere. Maurizio Turati, segretario provinciale dell’Osapp, spiega: “Questo sequestro dimostra le capacità della polizia penitenziaria che non si limita a fare la “guardia” ai detenuti ma vigila sull’intero sistema carcerario e se avessimo maggiori risorse potremo dedicarci ad operazioni anche più imponenti con il beneficio di tutta la comunità”. Roma: lunedì prossimo Tavola rotonda sulle carceri con Angeletti, Bonino e Severino Il Velino, 4 ottobre 2012 Nell’ambito dei lavori della 3a Conferenza Nazionale di Organizzazione della Uil Penitenziari. Nell’ambito dei lavori della 3a Conferenza Nazionale di Organizzazione della Uil Penitenziari, convocata a Roma per i prossimi 8-9-10 ottobre, si terrà una tavola rotonda sul tema: “Le (S)torture dell’Esecuzione Penale in Italia e i loro costi sociali”. All’iniziativa, organizzata dalla segreteria generale della Uil Penitenziari, parteciperanno: Giovanni Tamburino, Capo del Dap; Valerio Spigarelli, Presidente Unione Camere Penali Italiane; Rodolfo M. Sabelli, Presidente Associazione Nazionale Magistrati; Emma Bonino, Vice Presidente del Senato; Luigi Angeletti, Segretario Generale Uil. L’introduzione ai lavori sarà curata da Eugenio Claudio Sarno, Segretario Generale Uil Penitenziari, mentre a moderare la Tavola Rotonda è stato chiamato Pierangelo Maurizio, Inviato Speciale del Tg5. Le conclusioni saranno affidate al Ministro della Giustizia, Avv. Prof. Paola Severino. La Tavola Rotonda avrà inizio alle ore 17.30 dell’8 ottobre 2012 presso il Centro Congressi dell’Ergife Palace Hotel di Roma (Via Aurelia 619 - Roma) Treviso: domani conferenza sul tema del sovraffollamento delle carceri La Tribuna, 4 ottobre 2012 Il sovraffollamento delle carceri è ormai cronico. Venerdì prossimo 5 ottobre, alle 20:45, l’europarlamentare Andrea Zanoni (Alleanza dei Liberali e Democratici Europei e delegazione IdV) terrà una conferenza all’Hotel Ca’ del Galletto a Treviso (via Santa Bona Vecchia, 30) per dibattere su un tema delicato quale quello delle carceri italiane. “Il problema del sovraffollamento delle celle, dei molti detenuti in attesa di giudizio, delle strutture carcerarie vecchie e fatiscenti che necessiterebbero di interventi urgenti, della convivenza interraziale e altro, sono difficoltà che quotidianamente migliaia di detenuti sono costretti a vivere”, dice Zanoni, “Per non parlare di chi sta dall’altra parte delle sbarre, il personale e gli agenti di custodia, costretti spesso a turni massacranti per sopperire alla sempre più crescente carenza di personale”. Una fotografia su una realtà di cui si parla molto e che forse pochi conoscono, ma che vede coinvolte centinaia di persone cui troppo spesso viene tolta non solo la libertà, ma anche la dignità ed il diritto alla salute, un diritto costituzionale che spetta ad ogni cittadino. Detenuto o libero che sia. E a Treviso, è diversa la situazione? Ne parleranno Francesco Massimo, direttore da oltre 25 anni dell’istituto penitenziario trevigiano, Giovanni Borsato, operatore della Caritas, don Marco di Benedetto, volontario al carcere di Rebibbia, Antonio Zamberlan, responsabile della cooperativa “Alternativa” che opera all’interno della struttura di Treviso, nonché Carlo Silvano, autore di alcuni testi sulla realtà carceraria. Seguirà un dibattito con il pubblico. India: come Hamas, vuol scambiare i nostri marò con 108 prigionieri? di Maria C. Maglie Libero, 4 ottobre 2012 Si può andare a New York in sobria missione di Stato eppure sprecare il denaro pubblico perché non si compie il proprio lavoro. Ci sono vicende come il sequestro di due militari italiani colpevoli solo di aver l’atto da eroi il proprio dovere nelle quali il capo di un governo alle Nazioni Unite deve farsi sentire con chiarezza e con durezza, se vuole essere degno del suo incarico, se addirittura c’è chi pensa che potrebbe continuare a guidare il Paese, se lui per primo ha di sé stesso un’opinione tanto alta e lusinghiera da dire pubblicamente che lascerà ad altri un Paese migliore. Non è corretto lasciare tutto alla diplomazia, al ministro degli Esteri, a un sottosegretario pur volenteroso; si devono cogliere le occasioni in cui lutti i responsabili mondiali della politica e dei “over ni si trovano insieme, e in quella sede si fanno richieste ferme con l’eco e se necessario lo scandalo che altrove non si otterrebbero. Si fa anche se dal Parlamento e dai partiti sono arrivate spinte flebili, segnali deboli, se la crisi economica ha reso tutti ciechi sordi e muli, perché un uomo di governo lo deve alle forze annate e alla nazione. Un premier che pur tecnico si sente personaggio da ribalta internazionale, com’è che si dice, che ci ha restituito prestigio, insieme a un presidente della Repubblica in tale stretto contatto con i big del mondo, dovrebbero aver ottenuto qualcosa, e mostrato di volerlo ottenere. Se stanno preparando uno scambio, se intendono pagare a prezzo altissimo la soluzione della vicenda, lo dovrebbero dire. Presidente Mario Monti, perché nel suo discorso alle Nazioni Unite qualche giorno fa ha fatto solo un riferimento ambiguo al caso dei nostri due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, senza mai nominarli, senza utilizzare quel luogo, quel pulpito, quell’occasione irripetibile per inchiodare l’India alle sue gravi responsabilità? Parlando della lotta alla pirateria all’Assemblea generale a New York lei ha ricordato che questa “può essere efficace solo se le nazioni cooperano in buona fede, secondo le regole fissate dai regolamenti internazionali e dalla convenzioni Onu, incluse quelle che difendono la giurisdizione dello Stato sulle navi battenti bandiera della propria nazione in acque internazionali”. Ha aggiunto che “Qualsiasi erosione dell’esclusiva giurisdizione di ogni singolo Stato sui militati in servizio minerà lo status dei nostri rappresentanti nelle missioni internazionali. Pertanto ciò danneggerebbe la stessa sostenibilità di tutte le missioni Onu di peacekeeping”. Troppo poco, mi creda, per scuotere l’ostinazione, i rinvii, la doppiezza del governo indiano, per ottenere almeno una data certa, dopo sette mesi e mezzo di attesa dalla Corte suprema di New Delhi che deve decidere della sorte dei due marò sequestrati illegalmente. Tanto più che a New York l’Assemblea continua e che in una pantomima beffarda il ministro degli Esteri indiano, SM Krishna, ha tenuto lunedì un discorso da maestrino della lotta alla pirateria. Ha dichiarato che l’India “attribuisce massima priorità alla lotta alla pirateria al largo delle coste della Somalia, e proseguendo le nostre operazioni antipirateria nel Golfo di Aden solleciteremo la comunità internazionale ad affrontare il problema serio dei marinai presi in ostaggio dai pirati”. Ma i due i fanti di marina del reggimento San Marco non sono ancora prigionieri in India proprio per aver difeso una nave italiana da un sospetto attacco dei pirati? Non basta, l’India “nel periodo settembre - dicembre 2012 presiede il Gruppo di contatto sulla pirateria al largo della Costa della Somalia (Cgpcs) e userà questa opportunità per cercare di ottenere progressi all’Onu nella lotta globale contro la pirateria”. Il sottosegretario italiano Staffan De Mistura ha fermato il ministro indiano dopo il discorso, gli ha consegnato l’intervento di Monti, e sicuramente fatto notare la contraddizione, ma non basta. Le Nazioni Unite, l’Europa di cui questo governo tanto si riempie la bocca, non dovrebbero discutere di pirateria né consentire all’India di occuparsene se l’ingiustizia non viene sanata. Perché la delegazione italiana non ha abbandonato l’assemblea, non ha lasciato l’Aula per protesta? Dalla sua l’Italia avrebbe il buon diritto. Dice il ministro Giulio Terzi che le argomentazioni italiane sono “solide” ed è davvero “difficile pensare a una sentenza avversa”. “Ricordiamo che questa vicenda è nata con un inganno”, ricorda Terzi, “a danno dei nostri due soldati, del comandante della nave e dell’armatore. Tutti erano convinti di dover dare spiegazioni su un incidente di cui non sapevano nulla. E così sono stati attirati nel porto di Kochi”. Pure, Salvatore Girone e Massimiliano La Torre sono da oltre sette mesi trattenuti in India, e la loro permanenza è destinala a prolungarsi ulteriormente, visto che la sentenza sulla giurisdizione dell’Alta corte del Kerala, attesa per fine settembre, è slittata un’altra volta. Terzi dice ancora che ci “sono molte cose che si possono fare”. “Noi stiamo attenti a quello che potremo e dovremo fare se le cose non dovessero andare come devono andare”. Si tratterebbe di una decisione collegiale del governo. Quale? Alle Nazioni Unite circola una lesi estrema che le autorità italiane non confermano. Sarebbe possibile uno scambio, i nostri due marò contro un congruo numero di detenuti indiani nelle nostre prigioni. Se fossero assassini di cittadini italiani si aprirebbe una polemica enorme sull’opportunità di un tale sacrificio. Staremo a vedere. Certo, l’Italia ha avuto una gran fretta di risarcire le famiglie dei pescatori uccisi e questa decisione, presa dal ministero della Difesa, è stato vista come un segno di cedimento. Certo, l’attuale ministro degli Esteri eredità molti anni di scarsa attenzione alle nazioni emergenti del Brics, e in specie all’India. Ma abbiamo le nostre truppe ad Herat, mollo vicine a quel Pakistan i cui equilibri fanno tremare il governo indiano. Usiamo queste forme di pressione se siamo capaci di farlo. Usa: lettere dal carcere, l’isolamento porta a follia e al suicidio di Alessandra Baldini Ansa, 4 ottobre 2012 Lettere dal carcere: decine e decine che denunciano la discesa nella follia della mente umana confinata in completo isolamento. I messaggi scritti a mano da cento detenuti del sistema penitenziario di New York sono stati diffusi dalla New York Civil Liberties Union. Frutto della corrispondenza intrattenuta per un anno tra carcerati e attivisti, le lettere documentano i drammatici effetti sul cervello quando una persona è costretta a guardare il soffitto di una cella per 23 ore ogni giorno. La vita nella “scatola”, come i prigionieri chiamano la cella di isolamento, porta al suicidio. L’antologia newyorchese è confermata da Amnesty International in un rapporto sul “solitary confinement” nelle prigioni di Los Angeles: secondo l’organizzazione internazionale l’isolamento dei detenuti “viola gli standard del diritto internazionale”. “Temo che io stia diventando schizofrenico. Sento voci prima di addormentarmi”, scrive un prigioniero di New York di cui, come negli altri casi, la Nyclu ha tenuto segreto il nome per timori di rappresaglie da parte delle autorità. Un altro descrive la sensazione della mente “che marcisce con pensieri che non sono né comuni né naturali, e ti chiedi da dove vengono”. I detenuti, condannati per ogni sorta di delitti, compreso l’omicidio e il narcotraffico, sono finiti nella “scatola” per ragioni spesso futili: aver fumato, una rissa, il test antidroga positivo, in un caso “aver accumulato troppi francobolli”. La “scatola” è una cella delle dimensioni di un ascensore in cui ogni contatto esterno è proibito. Prigionieri per settimane, mesi, anni della loro immaginazione gli uomini hanno trasferito nelle loro lettere paranoia, rabbia, ansie e speranze di vita. Un prigioniero ha affisso sulla parete la foto di un ufficio: “Spero di lavorare in un posto così”. Secondo la Nyclu ogni giorno 4.500 detenuti nello stato di New York vengono messi in isolamento. Sono circa 3.000, secondo Amnesty, nel sistema penitenziario di Los Angeles: il due per cento dell’intera popolazione carceraria ma, nel periodo 2006-2010, il 42 per cento dei suicidi. La Nyclu non ha chiesto, pubblicando le lettere, che l’istituto dell’isolamento sia abolito ma afferma che in molti casi rappresenta una punizione “inusuale e crudele”, pertanto interdetta dalla Costituzione. È una posizione in linea con l’ultimo rapporto del relatore dell’Onu contro la tortura Juan Mendez, secondo cui bastano 15 giorni in isolamento a provocare irreversibili danni psicologici. Afghanistan: controllo prigioni mette alla prova governo, è allarme sicurezza Adnkronos, 4 ottobre 2012 A meno di un mese dal passaggio di poteri dalle autorità militari americane a quelle afghane per il controllo del famigerato carcere di Bagram, in Afghanistan emergono i primi problemi per la gestione delle prigioni del Paese. A lanciare l’allarme, senza troppe reticenze, è stato il capo della Direzione centrale delle prigioni, Amir Mohammad Jamshidi. Mancanza di spazi, carenze di personale, insufficienti controlli di sicurezza, corruzione: sono questi i principali problemi con cui l’Afghanistan si trova a dover fare i conti a meno di due anni dal ritiro delle forze della coalizione. E le preoccupazioni non mancano. Nel carcere di Bagram - noto come la “Guantanamo dell’Afghanistan” per le numerose denunce di abusi e rinominato “Centro di detenzione di Parwan” - sarebbero rinchiusi circa tremila combattenti talebani e sospetti terroristi. In tutto l’Afghanistan i prigionieri sarebbero più di 23mila. Nelle ultime ore a Qalacha-i-Sokhta, nella zona di Bagram, gli uomini dell’intelligence hanno catturato tre insorti che - riferisce l’agenzia di stampa afghana Pajhwok - pianificavano un attacco suicida contro la base aerea di Bagram. La camera alta del Parlamento, Meshrano Jirga, è stata informata del pericolo rappresentato da prigionieri che stanno cercando di organizzare attacchi kamikaze in diverse zone del Paese. L’intelligence, ha ammonito Jamshidi, dovrebbe fare di più. “Cercano sempre di pianificare attacchi - ha detto - Un pakistano è stato arrestato nella zona della prigione di Pul-i-Charkhi”. Davanti ai senatori, si legge sul sito web della tv Tolo, Jamshidi si è detto preoccupato per il passaggio di consegne a Bagram e ha espresso perplessità sulla possibilità che i ministeri della Difesa e dell’Interno riescano a gestire la struttura. In una cella da 15 persone ve ne sono rinchiuse 200, ha denunciato, parlando di una realtà che di fatto riguarda molti penitenziari afghani. Non solo, ma sarebbe in atto anche un trasferimento di competenze dal ministero della Giustizia a quello dell’Interno. ‘Prima dicevano che il ministero della Giustizia si sarebbe occupato dei prigionieri, ora tutto sta passando al ministero dell’Internò, ha detto ieri Jamshidi ai senatori, riferendo di carenze nell’addestramento del personale. I problemi non si fermano qui. Mancano, secondo il capo della Direzione centrale delle prigioni, “equipaggiamenti moderni” per controllare tutto ciò che entra nelle carceri. Oltre a un’azione decisiva per arginare la piaga della corruzione tra gli agenti. “Ci sono donne che nascondono la droga tra i loro vestiti - ha detto - Posso confermare anche il coinvolgimento di ufficiali della sicurezza nelle prigioni”. A denunciare le responsabilità degli agenti nel traffico di droga in cella è stato anche il direttore della prigione di Pul-i-Charkhi, Khan Mohammad Khan. Il fenomeno, ha concluso davanti ai senatori, riguarda “circa il 5% delle guardie”. Il presidente afghano Hamid Karzai rivendica da sempre il pieno controllo delle prigioni afghane come una questione di sovranità nazionale. Iraq: giustiziate oggi sei persone, sono 102 da inizio anno Tm News, 4 ottobre 2012 L’Iraq ha giustiziato oggi sei persone, portando ad almeno 102 il numero di esecuzioni dall’inizio dell’anno. Stando a quanto reso noto da un funzionario del ministero della Giustizia, una delle sei persone era evasa dalla prigione di Tikrit durante l’assalto lanciato la scorsa settimana da uomini armati al carcere. Baghdad non ha riferito nessun altro dettaglio sulle esecuzioni, riguardanti l’identità o la natura dei crimini commessi dai condannati. Dall’inizio dell’anno le autorità irachene hanno giustiziato 102 persone, di cui 21 in un solo giorno, il 27 agosto scorso. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli appelli a Baghdad per una moratoria sulla pena capitale. A gennaio, l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha motivato la richiesta anche alla luce delle preoccupazioni espresse sulla trasparenza delle procedure giudiziarie. Marocco: allo studio legge su libertà di stampa, niente più carcere per i giornalisti Nova, 4 ottobre 2012 Il parlamento marocchino ha avviato lo studio di una legge sulla libertà di stampa che intende abrogare le pene detentive per i giornalisti. Secondo quanto ha annunciato il portavoce del governo, Mustafa Khalfi, all’emittente “al Arabiya”, già stata istituita una commissione per preparare un progetto di legge che rafforzerà la libertà di stampa, nel rispetto degli impegni internazionali assunti dal Marocco. L’annuncio stato accolto con grande soddisfazione dai media locali. La decisione di approvare una legge di questo tipo giunge dopo le forti pressioni esercitate negli ultimi mesi dalla stampa di Rabat.