Giustizia: nuovi tagli al Piano-carceri; al via con budget 675 milioni, poi ridotti a 122… ora a 45 La Sicilia, 31 ottobre 2012 Nuovi tagli al Piano-carceri voluto dal Governo nel 2010 e già ridimensionato all’inizio del 2012. Si stanno ulteriormente assottigliando le speranze di rendere operativi i risultati di tutta una serie di studi e di rilievi fatti fino allo scorso 2011. La legge di stabilità rischia di perpetuare le problematiche legate al sovraffollamento delle carceri. Il provvedimento di finanza pubblica prevede di realizzare solo una parte degli interventi previsti dal cosiddetto Piano-carceri. Palazzo Chigi ha investito solo 45 milioni di euro, nonostante il Cipe abbia deliberato uno stanziamento complessivo di 122 milioni. Per il 2013 mancherebbero all’appello quasi 71 milioni. Il Piano carceri venne varato con entusiasmo il 24 giugno 2010 e prevedeva un totale di 9.150 posti detentivi con risorse pari a 675 milioni di euro. Il Piano è stato variato in data 2 giugno 2011. Rimodulato, così come approvato dal Comitato di indirizzo e di controllo il 31 gennaio 2012, in conseguenza dei tagli del Cipe di 228 milioni di euro, che hanno comportato un ridimensionamento delle esigenzialità da parte del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, prevede la realizzazione di 11.573 posti detentivi, rispetto ai 9.300 posti già previsti, con un incremento pari a n. 2.273 posti detentivi, nonostante una riduzione di risorse, per tagli, di 228 milioni di euro rispetto al Piano iniziale. Segnatamente vennero eliminati dal piano originario i nuovi istituti previsti nelle città di Bari, Nola, Venezia, Mistretta, Sciacca, Marsala per un totale di 2.700 posti e i nuovi padiglioni nelle città di Salerno, Busto Arsizio, ed Alessandria per un totale di 600 posti. Ora c’è un nuovo taglio, con conseguenze difficilmente ipotizzabili. Giustizia: Corte Conti; su 38.543 agenti penitenziari 3.870 “distaccati” in Consob, Senato e Csm di Stefano Sansonetti Italia Oggi, 31 ottobre 2012 E pensare che uno dei punti critici è da anni lo scarso numero di agenti di polizia penitenziaria nelle carceri. Peccato che su un totale di 38.543 appartenenti alla categoria, ben 3.870 non lavorino negli istituti di pena. Si tratta di più del 10% del totale. Un’incredibile quantità di “secondini” che tra distacchi e comandi finiscono un po’ dappertutto: dal Senato al Csm, passando addirittura per la Consob, l’Autorità che vigila sulla borsa. I numeri vengono ora messi in evidenza in un recente rapporto dedicato dalla Corte dei conti ai problemi dell’edilizia penitenziaria. Un oggetto un po’ diverso, a ben vedere, ma che ha consentito comunque ai giudici contabili di rilevare un trend sorprendente. E che forse sarebbe ora di invertire. La premessa, infatti, è che in Italia va fronteggiata l’emergenza del sovraffollamento dei penitenziari. Ci sono più di 66 mila detenuti, cifra ben al di là della capienza regolamentare degli istituti italiani, fissata in 45.500 unità. Di fronte a questa massa lo stato al momento si presenta con 38.543 agenti di polizia penitenziaria, su un organico che dovrebbe essere di oltre 45 mila. Insomma, c’è un’evidente sproporzione che viene sempre sottolineata quando si parla della situazione carceraria italiana. Argomento naturalmente all’attenzione dell’attuale ministro della giustizia, Paola Severino. Per questo motivo, scrive la Corte dei conti, “desta sorpresa e perplessità l’aver appurato che un numero elevato di unità (3.870), pari a più del 10% della forza complessiva (38.543), non sia stato utilizzato negli istituti detentivi per attività di sorveglianza o per attività connesse”. Ma dove vanno a finire tutti questi distaccati - comandati, peraltro “con possibile aggiunta di emolumenti extra corrisposti nel nuovo impiego”? E qui l’elenco è vario. Per esempio viene fuori che 24 agenti sono distaccati presso organi di rango costituzionale (Senato, la stessa Corte dei conti, Consiglio di stato e Csm). In 36, invece, sono comandati alla Presidenza del consiglio. Altri 26 sono sparpagliati tra Commissione di garanzia per gli scioperi, Consob e Scuole Interforze. Ancora, 113 unità hanno trovato posto al dipartimento dei minori del ministero della giustizia. La maggior parte, ovvero 3.458 agenti, trova però collocazione presso sedi non detentive del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria). Ma la sostanza non cambia. “La sottrazione da attività di diretta sorveglianza e controllo dei detenuti nelle carceri”, scrive la Corte, “comporta il venir meno dell’apporto di questo personale negli istituti, e cioè nelle sedi in grave e costante affollamento, e perciò più bisognose della presenza di agenti”. Sul piano gestionale, è la conclusione, “è ovvio dubitare che risponda a criteri di efficienza, efficacia ed economicità la sottrazione dai compiti da svolgere negli istituti di un così elevato numero di appartenenti al corpo, tanto più in una situazione emergenziale causata dal sovraffollamento di detenuti e da carenze di funzionamento”. Giustizia: evasioni di moda… abiti e borse, in carcere il futuro si costruisce così di Ella Baffoni L’Unità, 31 ottobre 2012 “Creazioni al fresco” da Genova, Marassi. “Gatti galeotti”, da San Vittore. “Libere di fare” da Pesaro, “Dolci libertà” da Busto Arsizio, “La fattoria di Al Cappone”, Milano Opera, “Vale la pena” ad Alba. Slogan da galera, perché lì nascono, dietro le sbarre, da progetti che mirano a bloccare la recidiva e dare un orizzonte al fine pena. I detenuti lavoratori a metà 2011 erano 13.765, grazie a progetti e a cooperative sociali. Tra le prime, almeno in ordine di tempo, la cooperativa Alice, che ha compiuto 20 anni. Venti anni di fatica e di un lavoro oscuro, tenace dentro il femminile di san Vittore. “È stata una gran fatica - dice sorridendo Luisa Della Morte, responsabile della cooperativa. Una fatica continua e poco remunerata. Abbiamo avuto però qualche colpo di fortuna. La prima commessa del Teatro La Scala per cui abbiamo fatto i costumi prima che aprissero la loro sartoria interna, una delle prime e prestigiose occasioni di lavoro. Poi è venuta la collezione e gli abiti da sposa. Il comune di Milano, quando ha deciso di investire nelle cooperative sociali, ci ha aiutato ad aprire il negozio fuori dal carcere, in via Terraggio, occasione di visibilità nella città. Un magistrato di sorveglianza - oggi è al Csm - che ci ha suggerito l’operazione toga. Cominciando dalla sua”. Già, l’”operazione toga”. La bizzarra idea di far produrre in carcere le toghe per magistrati e avvocati dalle persone che scontano una condanna, 250 euro per la toga, 75 per le cordoniere dorate, 24 per la pettorina con il pizzo. Un successo: finora ne sono stati prodotti oltre 150 pezzi, e l’ordine degli avvocati ha stipulato con Alice una particolare convenzione. Tra i colpi di fortuna di Alice, probabilmente, anche l’incontro con la creatività di alcune persone singolari, come la stilista Rosita Onofri, che lavora per una importante casa di moda ma che ad Alice riserva tanto tempo da produrre una intera collezione, “Evadere dal quotidiano”. O come il creativo che ha inventato i “Gatti galeotti”, Alessandro Brevi, costumista e pittore, usati su magliette, cappelli da cuoco, shopper, astucci e borse ecofriendly. Una scelta suggerita dalla presenza permanente, nel laboratorio, dei più sfacciati rappresentanti della colonia felina che si era infiltrata nel giardino del femminile di San Vittore. Già, c’è qualcuno che ci si rifugia, dietro le sbarre, e trova cibo e carezze. Più che gli impacci burocratici, dice Luisa Della Morte, la cosa più difficile è sostenere le persone, tenere alta la motivazione di chi partecipa da recluso alla cooperativa; il rischio è che si ricada nella sfiducia, nella diffidenza, nella paura di crederci, a questa avventura. Eppure forse ne vale la pena se nei laboratori di Alice sono passate 130 persone - due sole le recidive - e ognuna ha poi trovato una sua strada. C’è chi è partita per il proprio paese (Bolivia o Paraguay) con una macchina da cucire nel bagaglio. C’è chi lavora ancora nei due laboratori interni e in quello esterno, chi è impiegata nel negozio, chi è stata assunta da case di moda, chi ha aperto un suo laboratorio e, affiancata da Alice, affronta il mercato. Non solo Alice. “Gomito a gomito” è il marchio della piccola sartoria del carcere Dozza di Bologna). “Borseggi” il logo delle shopper e delle borse prodotte nel carcere di massima sicurezza di Opera. Ancora sartoria nel femminile di Torino, che produce anche un profumo “Fumne”, cioè donna. A Bollate, la produzione di “Arte in tasca”, borse, scatole, confezioni regalo, bracciali e cinture. “Avanzi di Galera” è il progetto avviato dal carcere di Alghero, dove il laboratorio “Apriti Sesamo” produce anche stampa e serigrafia, falegnameria, rilegatura, laboratorio elettrico per le luminarie natalizie e sartoria. Alla Giudecca di Venezia c’è il laboratorio sartoriale del “Cerchio”, impegnato soprattutto nel cucire costumi storici. Rio Terà dei Pensieri, la strada che costeggia il carcere maschile di S. Maria Maggiore a Venezia. Dà il nome ai laboratori artigiani (pelletteria, serigrafia, mosaici di vetro) dove lavorano alcuni detenuti. Alle detenute è affidato l’orto interno, una volta conventuale. “L’oro non luccica” è il progetto della bigiotteria creativa dentro la Casa Circondariale di Mantova. A Fossano c’è “Ferro& fuoco”, il laboratorio artigianale di prodotti in ferro, mobili e complementi d’arredamento. A Rebibbia design ecosostenibile grazie alla Associazione Culturale Artwo, e le famose magliette Made in jail: “Non mi avrete mai come volete voi”, “La libertà è un buon bottino”, “Visto da vicino nessuno è normale”. “Libere di fare” è il marchio degli oggetti che escono dal femminile di Villa Fastiggi a Pesaro, animali in cartone e arredi per camere da bimbo. La cooperativa sociale Agro Romano procura lavori di giardinaggio a ex detenuti, semiliberi e affidati. “Vale la pena” è il vino fatto con l’uva prodotta all’interno del carcere di Alba (Cuneo) da 15 detenuti e quattro ex, e poi lavorata insieme agli studenti dell’Istituto Enologico “Umberto I” di Alba. Il progetto Ri.usci.re (Riqualificarsi per riuscire in un inserimento regolare) coniuga insieme il lavoro agricolo, un forno e la mensa nelle carceri di Terni e Perugia. La cucina e la fabbrica dei taralli tradizionali occupa otto detenuti nel carcere di Trani. E a Verbania, nel forno della Casa circondariale, agiscono quelli della “Banda biscotti”. E, garantito, sono tutti molto “ricercati”. Giustizia: ddl diffamazione, Sallusti: “Meglio in piedi a San Vittore che in ginocchio al Senato” di Luca Romano Il Giornale, 31 ottobre 2012 Salta la seduta della commissione Giustizia del Senato sulla diffamazione: l’iter del ddl sembra sempre più in salita. A Palazzo Madama salta la seduta della commissione Giustizia sulla diffamazione e l’iter del ddl sembra sempre più in salita. Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti su Twitter commenta l’iter lento del provvedimento sulla diffamazione e le possibili ricadute sul piano personale: “Senato di incapaci. Ma meglio in piedi a San Vittore che in ginocchio a Palazzo Madama”. La questione di fiducia sul dl Sanità all’esame dell’Aula di Palazzo Madama sconvoca, da regolamento, la commissione che doveva riunirsi stasera in seduta notturna e domani mattina alle 8.30 per riportare la riforma della diffamazione a mezzo stampa nell’Aula del Senato martedì. Giorno in cui, “complice” anche il ponte dei Morti, la Conferenza dei capigruppo del senato ha calendarizzato il provvedimento. Certo, non si può a priori, escludere che la commissione, presieduta da Filippo Berselli possa trovare un accordo politico per arrivare all’esame dell’assemblea avendo sciolto i nodi. Ma questi sono più di uno. Non ultimo, veniva fatto notare oggi dal capogruppo dell’Idv proprio in commissione Giustizia, Luigi Li Gotti, quello di rivedere le sanzioni per la diffamazione “semplice” con l’attribuzione di un fatto determinato, alla luce del dimezzamento della pena massima per lo stesso reato commesso a mezzo stampa, che è passata da centomila a cinquantamila. La commissione Giustizia, alla luce della fiducia posta, commenta la capogruppo Pd in commissione Giustizia, a Palazzo Madama, Silvia Della Monica, “programmata per stasera e per domani mattina non avrà luogo. Il governo ha messo la fiducia sul decreto Sanità e questo blocca il suo lavoro. Si tratta di un nuovo elemento di riflessione sulle numerose contraddizioni del provvedimento emerse nel dibattito in Aula e sulla necessità di non legiferare sull’onda dell’emergenza”. “Il caso del direttore Sallusti - osserva ancora - può avere soluzioni diverse a partire da quelle istituzionali, già previste”. Dal potere di grazia del presidente della Repubblica alla messa in prova per scongiurare il carcere, insomma. “Ho dovuto sconvocare la seduta della Commissione perché tutti gli altri gruppi avevano deciso di non essere presenti, vista la fiducia”, dice da parte sua il presidente Filippo Berselli che annuncia: “Si andrà a martedì alle 11”. Poi nota che “c’è comunque l’intesa sulla riformulazione dell’emendamento sottoscritto dai senatori Mugnai e Balboni” che riguarda l’interdizione dalla professione di giornalista, a seguito di condanna per diffamazione, come pena accessoria e che rimodula la sanzione riducendola. Giustizia: caso Mastrogiovanni; medici colpevoli di sequestro di persona, omicidio colposo, falso di Giuseppe Galzerano Il Manifesto, 31 ottobre 2012 La contenzione dei pazienti non è un atto terapeutico, né medico, né legale. Da oggi i pazienti contenuti negli ospedali, negli ospizi e nelle case di cura possono chiedere di essere slegati. Lo ha stabilito il Tribunale di Vallo della Lucania nella sentenza contro i 6 medici e i 12 infermieri imputati per la morte del maestro anarchico Francesco Mastrogiovanni avvenuta nel locale ospedale, in seguito a una contenzione ai polsi e alle caviglie durata 88 ore e 55 minuti. Dopo una lunga Camera di Consiglio, cominciata alle ore 14,00, in quanto il pm e tutti gli avvocati avevano rinunziato alle repliche, il Presidente del Tribunale, la Dr.ssa Elisabetta Garzo, alle 18,30, in un’aula superaffollata, ha dato lettura del dispositivo che condanna alla reclusione i medici per i reati di falso, sequestro di persona e morte. Il primario Michele Di Genio è stato condannato alla pena complessiva di 3 anni e 6 mesi di reclusione, Rocco Barone, che dispose senza annotarla in cartella la contenzione del “maestro più alto del mondo” come lo definivano affettuosamente i suoi alunni, a 4 anni, stessa pena a Raffaele Basso, 3 anni a Amerigo Mazza e alla dott.ssa Anna Angela Ruberto, che era di turno la notte del 3 agosto 2009 durante la quale il cuore di Mastrogiovanni cessò di battere e si accorse del decesso sei ore dopo. Michele Della Pepa è stato condannato a 2 anni, con sospensione della pena. Tutti i medici sono stati inoltre interdetti dai pubblici uffici per 5 anni. Rispetto alle richieste del pm Martuscelli pronunziate nell’udienza del 2 ottobre è stata ridotta la pena del primario, ma sono state aumentate tutte le altre. Tutti i 12 infermieri, per 7 dei quali, il pm aveva chiesto una condanna a 2 anni di reclusione, sono assolti. Questo risultato è stato possibile grazie a un agghiacciante video che ha filmato, minuto dopo minuto, l’agonia di Mastrogiovanni per tutta la durata della sua permanenza in ospedale. Un video che i medici non hanno fatto in tempo a distruggere, che li ha inchiodati alle loro responsabilità, per aver causato la morte di un uomo pacifico, tranquillo e niente affatto aggressivo come le implacabili immagini ci mostrano, anche se gli avvocati - pur smentiti dal video - hanno continuato a dire che non era collaborativo. L’udienza fiume è iniziata alle 9,30 per consentire a tre avvocati degli imputati di tenere le arringhe. Hanno parlato gli avv. D’Alessandro per Basso, Conte per Mazza, Maiello per Di Genio. Di Genio era il primo degli imputati e il suo avvocato parla a lungo per ultimo. Hanno tentato di scagionare i loro clienti, scagliandosi contro la “pressione” della stampa e della tv, affermando finanche che i pazienti non sono stati “scontenuti” perché non lo hanno mai chiesto. Addirittura Mastrogiovanni mentre era contenuto ha sorriso al primario. Implorava invece un aiuto che non gli è stato dato. Addirittura l’avv. Maiello ha chiesto al giudice di annullare il processo e di rimetterlo al pm, perché erano - secondo lui - stati cambiati i capi d’imputazione. Nel corso del processo, iniziato il 28 giugno 2010, nelle 29 udienze a scadenza quattordicinale, sono stati ascoltati 46 tra consulenti e testi, solo 5 dei 18 imputati si sono fatti interrogare in aula (quattro medici, Di Genio, Barone, Basso e Della Pepa) e l’infermiere Forino. Ieri era la 36ma udienza. In una di queste udienze anche il direttore sanitario dell’ospedale aveva affermato che “la contenzione è terapia”. Il suo teorema e quello degli avvocati difensori è stato sconfitto in nome della civiltà e dell’umanità. Durante il processo non sono avvenuti mai incidenti e anche la lettura della sentenza è stata ascoltata da una folla silenziosa e rispettosa, con persone venute dalla Sicilia, dalla Calabria, dalle Marche, dalla Toscana, dal Lazio. Dopo la sentenza in aula solo un avvocato dei difensori è esploso contro un operatore di un’emittente locale. Il verdetto è stata accolto dalle lacrime dei familiari di Francesco Mastrogiovanni e dalla soddisfazione degli avvocati delle parti civili, delle Associazioni (Unasam di Cagliari, Telefono Viola di Roma, Avvocati senza frontiere Movimento per la Giustizia di Milano, Movimento Antipsichiatria di Catania) e dagli esponenti del Comitato Verità e Giustizia per Mastrogiovanni. Assolti dodici infermieri Condannati tutti i medici, assolti invece da ogni accusa gli infermieri del reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno. Per la morte di Francesco Mastrogiovanni il giudice di primo grado del tribunale di Vallo della Lucania Elisabetta Garzo ha condannato i medici Di Genio, Barone, Basso, Della Pepa, Mazza e Ruberto a pene che vanno da un minimo di due ad un massimo di quattro anni. Il primario del reparto di psichiatria, Di Genio, è stato condannato per tutti i capi di imputazione (sequestro di persona, omicidio colposo e falso in cartella clinica) come gli altri medici, a tre anni e sei mesi di reclusione. Barone è stato condannato a quattro anni, così come Basso, mentre Mazza e Ruberto sono stati condannati a tre anni. Pena più lieve per Michele Della Pepa, condannato a due anni di reclusione. Tutti i medici, escluso Della Pepa, sono stati interdetti per cinque anni dall’esercizio della professione. Tutti assolti dai reati contestati loro, invece, i dodici infermieri dell’ospedale di Vallo della Lucania. Elemento decisivo per la sentenza (anche parzialmente contro le valutazioni del pubblico ministero, che aveva chiesto pene più lievi, suscitando l’indignazione dei familiari di Mastrogiovanni e del comitato per la verità e giustizia) sono state probabilmente le immagini del video di sorveglianza, che hanno ripercorso le novanta ore di agonia del professore anarchico, all’epoca cinquantottenne, sul letto di contenzione. Premiata anche la tenacia di familiari e amici nella ricerca della verità. Morì legato al letto. Condannati i medici per sequestro (L’Unità) Sequestro di persona e morte conseguente. Il giudice monocratico Elisabetta Garzo del Tribunale di Vallo della Lucania (Salerno) ha condannato i sei medici del reparto di psichiatria dell’ospedale di San Luca di Vallo dove il 4 agosto 2009 morì Francesco Mastrogiovanni, il 58enne maestro elementare di Castelnuo - vo Cilento tenuto legato ad un letto per ben 83 ore. Il giudice ha ripristinato i capi di imputazione inizialmente ipotizzati, andando molto oltre alle richieste del pubblico ministero Renato Martuscelli che, nella requisitoria del 2 ottobre, aveva chiesto la condanna derubricando i reati a omicidio colposo e falso in cartella clinica. Tutti i medici, escluso uno, sono stati interdetti per 5 anni dall’esercizio della professione. Tutti assolti dai reati, invece, i 12 infermieri che materialmente assistevano Mastrogiovanni. Il caso Mastrogiovanni era scoppiato grazie alla divulgazione da parte dell’associazione “A buon diritto”, presieduta da Luigi Manconi, del video di sorveglianza che mostravano i fermi immagine delle 83 lunghe ore di agonia di Mastrogiovanni. L’uomo, ricoverato con Trattamento sanitario obbligatorio, veniva mostrato prima normalmente sdraiato sul letto. Poi però gli infermieri lo denudavano, gli applicavano un catetere e infine lo legavano, mani e piedi, al letto in completo stato di contenzione. Immagini che niente hanno a che fare con il diritto costituzionale alla cura e che avevano più a che fare con la tortura. Senza essere alimentato né accompagnato in bagno per oltre tre giorni, la faccia e il corpo di Mastrogiovanni mostrano la sofferenza e il dolore. Il paziente cade in uno stato catatonico dal quale non si risveglierà più, morendo poco dopo. Gli infermieri ne registrarono la morte cardiaca e cerebrale, ma nella cartella clinica del paziente non fu menzionato lo stato di contenzione testimoniato invece dalle immagini. La difesa aveva sostenuto che Mastrogiovanni “nonostante fosse stato sedato, continuava a dimenarsi, era alle prese con un caos comportamentale” e che quindi “era un dovere per i medici proteggere il paziente e i medici hanno agito per arginare il caos mentale del paziente”. Alla lettura della sentenza era presente anche la famiglia di Mastrogiovanni che ha partecipato a tutte le udienze, chiedendo sempre giustizia, senza mai spirito di vendetta. Uscita dall’aula, con le lacrime agli occhi, la sorella Caterina ha commentato: “Sono soddisfatta della pena data, adesso i medici capiranno come bisogna trattare i malati”. Manconi: “C’è un giudice a Vallo della Lucania” Il presidente di A Buon Diritto, Luigi Manconi: “È stata pronunciata ieri la sentenza di primo grado del processo per la morte di Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare di 58 anni, deceduto all’interno del reparto psichiatrico dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, dopo aver subito una contenzione durata oltre 82 ore. Dei 18 imputati al processo, sei medici sono stati condannati dai 2 ai 4 anni per sequestro di persona, morte in conseguenza di altro delitto e falso ideologico. I dodici infermieri, invece, sono stati tutti assolti. La sentenza è di estrema importanza: viene affermato il principio che la contenzione può configurare, come nel caso di Mastrogiovanni, il sequestro di persona. Ovvero una illegale privazione della libertà del paziente. La contenzione, quindi, non come cura e terapia, ma come atto di violenza, al di fuori dei più elementari principi di assistenza medica. Ci uniamo alla famiglia di Mastrogiovanni nella speranza che questa sentenza possa fare giurisprudenza al fine di prevenire quello che troppo spesso accade nei reparti psichiatrici del nostro paese, dove i letti di contenzione sono numerosi e frequentemente utilizzati”. Sardegna: Psd’Az; chiarezza su detenuti pericolosi e con 41-bis trasferiti in carceri isolane Adnkronos, 31 ottobre 2012 Il Psd’Az vuole conoscere le reali dimensioni dei trasferimenti in carceri sarde di detenuti appartenenti alla mafia o alla grande criminalità organizzata, sottoposti a regime di 41 bis o comunque a misure di alta sicurezza, e quali quelli eventualmente in programma nei prossimi mesi. Questa l’interpellanza che il Consigliere regionale della Sardegna Efisio Planetta (Psd’Az) ha rivolto al Presidente della Regione, Ugo Cappellacci, per chiedere conto della reale dimensione della distribuzione di detenuti ad alta pericolosità come quelli citati, sia sul complesso delle carceri italiane, ma anche in quale proporzione essi siano o stiano per essere concentrati preferibilmente in quelle sarde. Il riferimento del consigliere sardo è alle recenti notizie dei trasferimenti di detenuti condannati per associazione mafiosa non in regime di 41 bis, in alcune carceri sarde: Nuchis, a Tempio Pausania e Massama. “Mi domando anche in quali termini la Regione Sardegna sia stata coinvolta dal Ministero dell’Interno - prosegue Planetta - al fine di predisporre sul territorio sardo adeguate misure, per evitare che la presenza di tali carcerati determini attorno alle carceri sarde, presenze stabili di parenti, amici, eventualmente corregionali dei carcerati medesimi, con possibile grave impatto sotto il profilo socio economico e di pregiudizio dell’ordine pubblico, così come peraltro già avvenuto nel passato”. Da qui l’invito di Planetta rivolto a Cappellacci ‘affinché dichiari in quali termini e secondo quali modalità l’amministrazione regionale si attivando per respingere quest’ennesimo grave attacco alla sovranità dei sardi, che costituisce anche una provocazione all’integrità economica e sociale della Sardegna. Planetta chiede conto anche secondo quali modalità si stia tutelando il diritto dei detenuti sardi in riferimento alle linee guida legate alla territorializzazione della pena detentiva: “Il trasferimento di detenuti di alta pericolosità nelle carceri sarde costituisce una scelta in forte contrasto con queste linee guida e sarebbe perciò opportuna la revoca dei massicci trasferimenti di questo tipo di detenuti pericolosi in Sardegna, favorendo invece il rientro di quelli sardi, anche al fine di garantire compiutamente l’applicazione da parte del Ministero competente dele linee guida legate alla regionalizzazione della pena detentiva, garantendo loro il diritto di potersi confrontare con operatori del luogo di origine”. Calabria: Nucera (Pdl); primi spiragli per la riapertura del carcere di Laureana di Borrello Il Velino, 31 ottobre 2012 “Cominciano ad intravedersi spiragli nella vertenza riguardante l’Istituto di detenzione attenuata ‘Luigi Dagà di Laureana di Borrello. A seguito della mozione di cui sono stato proponente, e cofirmatario, approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 9 ottobre 2012, che sollecitava un intervento del presidente dell’Assemblea, dopo che lo stesso si è immediatamente attivato, c’è oggi la risposta del vicecapo Vicario del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia”. È quanto ha osservato il Segretario Questore del Consiglio regionale on. Giovanni Nucera, alla notizia della risposta data dal Ministero al massimo rappresentante dell’Assemblea legislativa calabrese, nella quale si ribadisce la ‘temporaneità della chiusura, decisa, viene precisato, ‘per far fronte ad esigenze urgenti del sistema penitenziario regionale”. “È un primo importante risultato - argomenta il segretario questore del Consiglio regionale - che premia la nostra mobilitazione politica ed istituzionale per difendere un presidio di legalità e di recupero di elevata ed indubbia qualità. Mi fa piacere inoltre sapere - prosegue Nucera - della disponibilità manifestata dai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, a studiare possibili soluzioni finalizzate, appunto, alla riapertura dell’Istituto Sperimentale “Luigi Daga” di Laureana di Borrello, e ad una migliore distribuzione delle risorse umane nell’intero territorio calabrese, con particolare riguardo alle sedi su cui gravano maggiormente i maxiprocessi”. Imbalzano: bene temporaneità chiusura “I segnali positivi che pervengono dall’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, tramite il vice capo vicario del relativo Dipartimento, premiamo anche gli sforzi di chi come noi, avevamo tempestivamente impegnato il Consiglio regionale con una mozione approvata all’unanimità lo scorso 9 ottobre, successiva all’impegno assunto nel corso del Consiglio comunale aperto convocato nella cittadina di Laureana di Borrello, nel cui territorio ricade la struttura carceraria Luigi Daga”. Lo afferma il presidente della seconda Commissione consiliare Candeloro Imbalzano (Scopelliti presidente). “Finalmente viene ufficializzata - prosegue Imbalzano - la temporaneità della chiusura dell’unica struttura carceraria italiana a custodia attenuata considerata sia dagli ex ministri Castelli ed Alfano, che dalle delegazioni di esperti nazionali ed internazionali che l’avevano visitata, un modello assai apprezzato capace di dare dignità ai detenuti, soprattutto giovani, che avevano espressamente manifestato la scelta di un reale inserimento nella società civile a conclusione della pena irrogatagli. Naturalmente non ci accontentiamo di queste pur indicative ma importanti assicurazioni e continueremo a vigilare perché nei tempi più rapidi possibili possa essere consentita la ripresa di quel percorso di riabilitazione e di inserimento sociale che in questi anni hanno fatto diventare la struttura di Laureana una eccellenza nel mondo dell’amministrazione penitenziaria del Paese, grazie al faticoso lavoro degli operatori tutti, assai apprezzato non solo dai detenuti, ma anche dalle loro famiglie e da tutta la società civile”. Piemonte: M5S; tagli e mancata nomina Garante dei detenuti aggravano condizioni delle carceri Ansa, 31 ottobre 2012 I tagli e la mancata nomina del Garante dei detenuti aggravano le condizioni delle carceri: la protesta è di Fabrizio Biolè, vice-capogruppo regionale del Movimento 5 Stelle. “Il combinato disposto dell’ennesima mancata nomina del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale - sostiene Biolè - foglia di fico di virtuoso risparmio dietro cui si nasconde l’incapacità della maggioranza regionale di fare veri tagli equi, e delle misure varate dal Governo Monti a proposito della spending review legata al comparto della Polizia Penitenziaria, andrà a peggiorare ulteriormente la situazione carceraria piemontese”. Secondo Biolè, “l’insostenibile situazione andrà a colpire realtà già di per sé molto precarie, sia nei confronti degli ospiti che nei confronti del personale. Partiamo da un dato certo: i novantamila euro di risorse pubbliche spesi quotidianamente per la coatta guardiania del fortino non - cantiere del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte, prima parte dell’inutile Tav in Val di Susa, grande opera fortemente sostenuta proprio dalle forze politiche che sostengono il Governo Monti, ma anche dalla Lega Nord, sarebbero molto meglio spesi a sostegno del Comparto Sicurezza nel suo insieme, con le singole problematiche di ogni corpo”. Napoli: Ucpi; Poggioreale Lager; in una cella di nove metri quadrati ci sono ben sette detenuti Corriere del Mezzogiorno, 31 ottobre 2012 Una stanza di 9 metri quadri e 14 centimetri. La libertà è fuori, separata da una pesante porta blindata e da una finestra ostruita dall’ennesima brandina sistemata alla meglio. All’interno ci vivono in 7. O meglio ci sopravvivono dato che anche la legge prevedrebbe 1 o al massimo 2 detenuti per cella. È questa la situazione nel carcere di Poggioreale di Napoli che ha ricevuto la visita di una delegazione dell’Unione delle Camere penali italiane che sta girando tutti gli istituti di pena d’Italia. “Un’esperienza tremenda - dice il presidente della Camera penale di Napoli, Domenico Ciruzzi. È una pattumiera sociale, una situazione intollerabile per un paese civile, il fallimento totale della nostra politica”. Il primo problema principale resta sempre quello del sovraffollamento. A norma di legge Poggioreale ha una capienza massima di 1420 detenuti, dati comunque falsati perché, come avviene in tutte le carceri, almeno 2 padiglioni a rotazione sono chiusi per manutenzione. Ma qualora anche rispondessero alla reale capienza del carcere, la differenza con l’attuale popolazione di detenuti sarebbe comunque intollerabile: sono a oggi 2694, 1280 in più rispetto a quelli consentiti. I condannati in via definitiva sono 922, quelli in attesa di ricorso in Cassazione sono 244, 545 quelli che aspettano l’appello 971 giudicati in primo grado, 4 gli estradanti e 2 gli internati. “Numeri che per esempio - dice Ciruzzi - dovrebbero anche far ripensare l’utilizzo della custodia preventiva”. Altro problema il poco spazio, in rapporto alla popolazione carceraria, per l’ora d’aria. L’uscita è permessa solo ogni 22 ore e dati gli spazi affollati in molti rinunciano anche a questa possibilità. E poi il taglio ai fondi per la manutenzione, passati dai 110mila euro dell’anno scorso ai 55mila per il 2012, le attività di lavoro, svago e per il reinserimento sociale dei detenuti ormai ridotte al lumicino. Scarso anche il personale, poco più di 700 unità, in particolare quello sanitario, 30 infermieri per tutto il carcere e 1 medico per ogni reparto composto da 400 persone, e gli educatori in totale 18. Infine il dramma dei suicidi: in Italia si muore di carcere, i decessi al 26 ottobre scorso sono 135. Di questi 51 sono suicidi, almeno 1 ogni 5 giorni. “Tutto ciò è in contrasto con la logica della rieducazione - dice Ciruzzi - Servono un’immediata amnistia, ma questo può essere solo una soluzione tampone. Bisogna pensare a politiche strutturali, a un modello alternativo di detenzione e reinserimento sociale”. “Spesso il sovraffollamento è tale che i detenuti non sono neanche controllati - dice il responsabile dell’Osservatorio carcere dell’Unione camere penali italiane, Alessandro De Federicis - è a rischio la salute della popolazione carceraria e del personale”. Gli avvocati penalisti visitano Poggioreale di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus) La delegazione della Giunta dell’Unione, dell’Osservatorio Carcere, della Camera Penale di Napoli e de “Il Carcere Possibile”, è entrata ieri mattina nella Casa Circondariale. Il sovraffollamento rende la condizione dei detenuti intollerabile per un Paese civile. Ieri i detenuti reclusi a Poggioreale erano 2.694, ma la Casa Circondariale ha superato anche le 2.800 unità. In pratica non vi è un limite all’accesso, perché il portone è sempre aperto per i “nuovi giunti”. Poggioreale è un contenitore senza fine. La sua struttura, con stanze dai soffitti alti, consente di ammassare corpi umani all’infinito. Non così per l’Istituto di Secondigliano dove le celle, costruite per una o al massimo due persone, non possono materialmente accogliere altri ospiti. La capienza regolamentare di Poggioreale è di 1.400 unità, ma i lavori di ristrutturazione dei reparti - al momento della visita era chiuso il padiglione “Genova” che accoglie 270 persone - fanno diminuire sensibilmente questo dato. Vi sarebbero dovuti essere 1.130 detenuti, ma ve ne erano 2.694. Ben 1.564 in più. La Casa Circondariale dovrebbe ospitare solo detenuti in attesa di giudizio, invece, vi erano 922 definitivi, che vivono nelle celle insieme a coloro che non hanno ancora avuto una sentenza di condanna e da “presunti innocenti” stanno scontando la misura cautelare. Gli educatori dovrebbero essere 28, ma sono 19. La pianta organica della Polizia Penitenziaria prevede 946 unità, ve ne sono 730. Ciò non consente, per ragioni di sicurezza, di tenere le celle aperte, come previsto dalla norma, e i detenuti restano chiusi nelle stanze 22 ore al giorno, con un’ora d’aria la mattina e una il pomeriggio. Anche lo spazio per l’ora d’aria é insufficiente. I cortili non possono contenere tutti e alcuni rinunciano. I reparti, i c.d. “padiglioni”, hanno i nomi delle città. Il “Napoli” e il “Roma”, con mura inumidite e sporche, sono tremendi: ci si vergogna di essere cittadini di una nazione che consente quella che altro non è se non “tortura”. Al “Roma” vi sono i tossicodipendenti e coloro che sono imputati o condannati per reati sessuali. Le celle hanno il blindato che non si può aprire e, alcune, letti a castello che non consentono l’apertura della finestra. I detenuti - anche sette/dieci per cella - dividono uno spazio minimo in cui vi è poca luce e pochissima aria. Non tutti i padiglioni hanno celle con bagno e doccia. La maggior parte hanno docce esterne per le quali si fanno turni durante la settimana. In alcune celle c’è il water a vista. I familiari, per poter fare il colloquio, si mettono in fila fuori le mura del carcere alle 4 del mattino, mentre l’ingresso è alle ore 8. Il colloquio avviene poi in uno stanzone affollato, dove alcuna riservatezza è possibile e si è costretti a urlare per farsi sentire. Vi è un Centro Clinico, che al momento della visita ospitava 82 detenuti. La maggior parte degli accertamenti deve essere fatta all’esterno, per mancanza o guasti delle apparecchiature necessarie. Vi sono solo 4 psicologi, per 32 ore mensili. Le risorse destinate all’istituto sono di anno in anno ridotte. Nel 2012 sono stati stanziati € 30.000,00 per le spese di funzionamento (nel 2011 erano € 66.000,00) e € 50.000,00 per la manutenzione ordinaria (nel 2011 erano € 102.000,00). Cifre ridicole se si pensa alla grandezza della struttura e al numero del personale e dei detenuti. In questa situazione è praticamente impossibile pensare a un percorso rieducativo e quel minimo che si fa è frutto dell’impegno e della “fantasia” della Direzione. Vi è un corso di arte presepiale, di lingua italiana per gli stranieri e, a breve, sarà avviato un corso d’informatica. Da poco è stato inaugurato un campo di calcetto e in alcuni cortili sono stati messi i cesti per la pallacanestro. Ma i detenuti che possono usufruire di questi “servizi” sono davvero pochi. Si è toccata con mano l’illegalità delle nostre carceri ed uscire da Poggioreale non è stata una “liberazione”, ma un ulteriore stimolo a continuare una battaglia giusta in cui si chiede solo il rispetto delle leggi vigenti. Le carceri dovrebbero essere trasparenti. Tutti dovrebbero conoscere quello che avviene “dentro le mura”, perché anche da lì dipende il miglioramento dello stato sociale. Il carcere, come la scuola che educa, l’ospedale che cura, ha una funzione ben precisa, quella di punire e rieducare. Il suo fallimento è un pericolo costante per la democrazia. Firenze: decimo giorno del digiuno “a staffetta”, mentre in carcere si registrano tante disfunzioni Comunicato stampa, 31 ottobre 2012 Continua la mobilitazione collettiva perché il Governo emani subito un decreto legge contro il sovraffollamento delle carceri, cancellando le norme della legge sulle droghe che incarcerano per fatti di lieve entità e impediscono l’uscita dei tossicodipendenti. Le altre richieste al Parlamento e all’Amministrazione Penitenziaria sono le seguenti: approvazione della legge sull’introduzione del reato di tortura; approvazione della legge sull’affettività in carcere; approvazione dell’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti dei detenuti; applicazione integrale del Regolamento del 2000 per assicurare condizioni di vita dignitose. Oggi digiuna Piera Cecconi (associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”). Domani 1° novembre digiunerà Emanuele Baciocchi (associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”). Si segnala la dichiarazione di Franco Corleone, su una delle tante disfunzioni del carcere di Sollicciano. Sollicciano: una cucina da chiudere In attesa della seconda cucina, i cui lavori di ristrutturazione vanno troppo a rilento, la situazione della vecchia cucina versa in condizioni inaccettabili. Ecco un elenco delle cose che non vanno: presenza di animali (piattole); mancanza di acqua calda; sette pentole a vapore inefficienti; il pavimento manca di piastrelle; i bracieri per il sugo sono rotti; cinque piastre per la carne sono rotte; dei due forni uno è fuori uso; mancano i carrelli termici; mancano stivali da cucina antiscivolo per i lavoranti e i cuochi hanno scarpe bucate e rotte; mancano le pettorine per il lavaggio e l’abbigliamento da lavoro. In queste condizioni il lavoro è contro ogni norma di igiene e la qualità del cibo per mille detenuti non può che essere scadente. Occorre una visita specifica dell’Asl! Franco Corleone Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Firenze Lodi: Associazione “Los carcere”, una via d’uscita per i detenuti ai domiciliari Il Cittadino, 31 ottobre 2012 Una speranza in più per 169 persone del Lodigiano. Sono i detenuti a domicilio e in pena alternativa che hanno bisogno di trovare lavoro per reinserirsi nella società. A lanciare l’idea, attraverso il progetto denominato “La via d’uscita”, è l’associazione Los carcere di Lodi. Il vantaggio però è per tutti, in termini di sicurezza sociale. Secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria, infatti, tra coloro che scontano la pena intera in carcere, la recidiva è del 70 per cento, tra chi è in pena alternativa o a domicilio, invece, la recidiva scende sotto il 30. Senza parlare poi dei costi. Un detenuto dietro le sbarre costa allo Stato anche 150 euro al giorno (anche se le spese vive sono di un euro soltanto). Il progetto sarà lanciato lunedì 5 novembre, con un incontro aperto alla città e sostenuto anche da comunità il Gabbiano, Lodi per Mostar, Progetto insieme e Bando volontariato Lausvol. Alle 21, nella sala Granata della Biblioteca laudense, in via Solferino 72, nella serata intitolata “La pena tra comunicazione e informazione” interverranno Ornella Favero, direttore di “Ristretti orizzonti”, giornale del carcere di Padova, e Carla Chiappini, direttore di “Sosta forzata”, giornale del carcere di Piacenza. A spiegare il progetto sono Tiziana Bassani, Grazia Grena, Laura Steffenoni e Michela Sfondrini. “Il momento dell’uscita dal carcere - spiega quest’ultima - è il più delicato perché si rischia di rimanere soli. In questi anni attraverso il progetto “Il lavoro debole” ci siamo impegnati perché si costruisse una rete di servizi per accogliere e dare una risposta ai problemi delle persone che lasciano il carcere e a quelli delle loro famiglie. Dal primo gennaio ad oggi abbiamo già seguito 56 nuovi casi, molti più di prima. Nel biennio scorso, infatti, erano state 90 le persone. Oggi siamo conosciuti molti si rivolgono a noi per chiederci una mano, dagli avvocati ai volontari degli altri territori. In un momento di crisi poi, le possibilità per queste persone si riducono ulteriormente”. Negli anni scorsi, attraverso la collaborazione con l’ufficio di piano, lo sportello esterno al carcere (gestito dall’associazione, presso il centro per l’impiego di via Gorini) ha consegnato anche 20 borse lavoro all’anno che, nel 99 per cento dei casi, sono diventate inserimenti lavorativi veri e propri. La nuova iniziativa s’inserisce in questi progetti, con un occhio di attenzione però per le persone in detenzione domiciliare. “Vorremmo che il carcere - spiegano le organizzatrici - restasse veramente l’estrema ratio - . Il problema è prendersi in carico le necessità di queste persone e fare rete. Aldilà della vulgata ufficiale, il carcere è un luogo di sofferenza piena che, quasi, mai risolve il disagio di ciascuno: la società deve essere pronta a farsene carico”. “Vogliamo creare sinergia con le associazioni già esistenti e con il volontariato - aggiunge Grena - , nella creazione dell’equipe di supporto con volontari, servizi e figure specifiche come l’educatrice, la psicologa e il mediatore culturale. Sono solo le nuove relazioni diverse da quelle che hanno portato le persone in carcere a tracciare la via per un percorso virtuoso. Il bando del Lausvol dura un anno, ma lavorando con i volontari, la nostra struttura, ci auguriamo diventi più solida”. Milano: Podestà (Provincia), sosteniamo il nostro modello per reinserimento detenuti Adnkronos, 31 ottobre 2012 Secondo i dati del ministero della Giustizia, le attività di reintegrazione dei detenuti abbassano il tasso di recidiva dal 70% al 19% e ogni punto di percentuale in meno equivale a 700 persone non più interessate a delinquere, con un risparmio per lo Stato di 35 milioni di euro l’anno. È per questo che “la Provincia di Milano sostiene il modello Milano di gestione delle carceri, in partnership con le case circondariali, con le attività di reinserimento all’Idroscalo, l’asilo di Opera e l’Icam”. Lo dice Guido Podestà, presidente della Provincia di Milano, che sabato scorso ha partecipato allo spettacolo teatrale ‘La fecondità dell’imperfezionè sul tema del reinserimento dei detenuti, che si è tenuto al teatro della Casa di reclusione di Bollate, in provincia di Milano. “È fondamentale aiutare i detenuti a fare emergere ciò che di più positivo caratterizza il loro intimo - dice Podestà - certo, sono persone che hanno compiuto reati anche gravi ma si tratta di donne e uomini che provano sentimenti come chiunque altro. Per questa ragione - aggiunge - ritengo utile cercare, alla luce dello sviluppo di un modello Milano, una coniugazione tra la società civile e coloro che, dopo una detenzione, tentano di rientrare nell’alveo della società. Un percorso virtuoso che non può che trovare ragione nella collaborazione interistituzionale voluta dalla Provincia di Milano - e conclude - mi auguro che questo possa destare la giusta attenzione sia in Lombardia sia nell’intero Paese”. Enna: personale carente al carcere di Nicosia, aumentano le probabilità di chiusura La Sicilia, 31 ottobre 2012 Preoccupa la sempre più concreta ipotesi di chiusura del carcere cittadino, che potrebbe avvenire indipendentemente dalle sorti del tribunale, anche questo candidato alla soppressione sulla base della legge di riordino della geografia giudiziaria. Da tempo ormai si parla di una possibile chiusura del carcere che è una struttura vetusta che dovrebbe essere ristrutturata ed adeguata alle norme di sicurezza. Lavori per i quali non sembrano disponibili finanziamenti, ma che sarebbero indispensabili anche per garantire la sicurezza all’interno del carcere dove mancherebbe anche un adeguato sistema di videosorveglianza. A confermare che il carcere è destinato ad una soppressione anche le gravi carenze di personale della polizia penitenziaria, con gli agenti in servizio in numero inadeguato alle necessità della struttura e quindi costretti a lavorare in condizioni difficili. Il caso dei due agenti aggrediti nel reparto detentivo dell’Ospedale Basilotta, è solo un esempio delle carenze gravissime del sistema. Gli agenti che piantonano i detenuti ricoverati al Basilotta, spesso svolgono turni che superano le ore massime di servizio, proprio perché manca il personale sufficiente. Un segnale del profondo disagio che si vive nel carcere di Nicosia è arrivato da un passaggio riportato dal periodico della Diocesi di Nicosia, nel quale il direttore del carcere Gabriella Di Franco, parlando delle tante attività che si portano avanti per il recupero sociale dei detenuti, sottolinea che “il mondo penitenziario sta subendo eccessive contrazioni di risorse, non solo economiche ma soprattutto umane e il personale che opera (all’interno del carcere n.d.r.) è gravato da compiti cui adempie sempre malgrado le estreme condizioni di disagio e sovraccarico”. Il direttore Di Franco ci tiene a riconoscere al Corpo di polizia penitenziaria un apprezzamento per l’impegno profuso. Intanto si attendono le risposte dei sindaci di 11 comuni ennesi che fanno capo al tribunale di Nicosia e, quindi, anche al carcere cittadino, alla nota con la quale la Uil Penitenziari ha reiterato i rischi di una chiusura del carcere e chiesto un intervento concreto alle amministrazioni comunali, a cominciare dall’avvio di progetti concreti per l’occupazione dei detenuti, fino agli interventi “politici del territorio” per ottenere la ristrutturazione del carcere che è un ex convento trasformato nell’Ottocento in casa di reclusione. L’amministrazione comunale di Troina avrebbe già in animo di convocare un consiglio comunale straordinario sulla questione. Anche a Nicosia il presidente del consiglio potrebbe mettere il punto all’ordine del giorno di una seduta straordinaria. Si tratta di atti che se pure non cambiano le sorti eventualmente già decise, come è avvenuto per il tribunale, possono comunque servire a manifestare il disagio e la rabbia di un territorio al quale si stanno scippando progressivamente strutture come il tribunale e il carcere che rappresentano una fonte di economia vitale. Marsala (Tp): il provveditore delle carceri ha imposto di non inviare più detenuti nel carcere www.marsalace.it, 31 ottobre 2012 Dopo giorni vissuti tra sondaggi, exit poll ed elezioni regionali, si ritorna a lottare quotidianamente per le problematiche che affliggono il nostro territorio, la nostra Città. Prima fra tutte, l’annosa situazione della Casa Circondariale di Marsala, che, a detta della Uilpa Penitenziari, è sempre più angosciante. “Senza ombra di smentita giorno 5 novembre sarà ricordato come la morte del carcere di Marsala, privando l’importante città lillibetana di un presidio importantissimo di legalità”, ha detto, senza giri di parole, il coordinatore regionale della Uilpa Penitenziari, Gioacchino Veneziano, che ha così commentato la comunicazione del provveditore regionale delle carceri siciliane che ha imposto a tutte le direzioni di non mandare più detenuti a Marsala, in quanto entro il 5 novembre il penitenziario di piazza Castello, dovrà rimanere vuoto. “Dobbiamo informare l’opinione pubblica, la nuova classe politica e le istituzioni - ha fatto sapere Veneziano - che la chiusura del carcere di Marsala non porterà nessun risparmio di spesa e che nessuno potrà gioire se coattivamente 50 dipendenti del carcere dovranno per forza “emigrare” determinando inoltre un maggiore sovraffollamento nei penitenziari della provincia di Trapani, alimentando una situazione già ampiamente compromessa a causa della carenza di mezzi, della mancanza di personale e di risorse economiche”. La Uilpa definisce quest’iniziativa di soppressione del carcere, un’ingiustizia totale perché, sulle 206 carceri presenti in Italia, quello lillibetano è l’unico che verrà chiuso, quindi la provincia di Trapani e l’intera Sicilia pagherà l’altissimo prezzo di una scelta scellerata. “È il momento - ha detto il coordinatore della Uil - che tutti, politici ed istituzioni locali, facciano il loro dovere per salvaguardare il territorio di Marsala da quest’ingiusto esproprio, perché il concetto di risparmio non deve assolutamente ricadere solo sulla pelle dei lavoratori marsalesi. I dati del risparmio, con la soppressione del carcere, non sono reali, giacché la gravità del sovraffollamento in Provincia appesantirà il lavoro nelle carceri di Trapani, di Castelvetrano e di Favignana e, quindi, aumenterà l’attività di spostamento dei detenuti, dei magistrati e delle altre forze di polizia”. Come lo stesso sindacato ha ricordato, l’operazione di chiusura della Casa Circondariale della nostra Città, è nata da un decreto del lontano 2001, oggi rispolverato solo per rimpolpare gli organici delle carceri delle altre città della Provincia. Noi invece, ricordiamo ai lettori, che alcuni mesi fa, il sottosegretario Mazzamuto, in visita al carcere di Marsala, si era reso conto della situazione vigente all’interno della struttura penitenziaria - in cui da poco erano state fatte migliorie e lavori nei bagni - ed aveva potuto constatare le buone condizioni igienico - sanitarie in cui vivono i detenuti. Infatti, il provvedimento a firma del Ministro di Giustizia Paola Severino, che ordinava la chiusura del carcere, adduceva, tra i motivi della soppressione, oltre ai tagli operati dalla spending review adottata dal Governo nazionale, anche le carenze igienico - sanitarie, che, sempre a detta della Uilpa Penitenziari - ma anche del Presidente del Tribunale di Marsala e del Presidente della Camera Penale - sono solo un pretesto, così come il risparmio di denaro, visto che, con la chiusura del penitenziario di piazza Castello, i lavoratori dovranno spostarsi in altre città e ciò comporterà maggiori spese per le loro tasche. Il Ministero di Giustizia ha comunicato, nel frattempo, al sindaco Giulia Adamo la triste notizia. “È una decisione assurda contro la quale abbiamo lottato con tutte le nostre forze - ha sottolineato Giulia Adamo -. Purtroppo né l’intervento del sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto, né tanto meno quello dell’onorevole Pier Ferdinando Casini, sono riusciti nell’intento di scongiurare la chiusura del nostro carcere. Evidentemente è prevalsa l’azione del Governo tecnico di Monti che così facendo mostra notevoli limiti nell’affrontare i temi di grossa rilevanza, mancando di una corretta visione politica. Il problema a mio giudizio è quello che l’attuale governo tecnico esegue tagli con l’accetta senza capacità alcuna di distinguere tra ciò che effettivamente è superfluo e ciò che invece è necessario - ha proseguito il sindaco. Non è stato un problema igienico e nemmeno di carenze strutturali. La Casa Circondariale di Marsala che ospita una cinquantina di detenuti non andava chiusa per tanti ordini di motivi fra cui la vicinanza al Tribunale e la possibilità dei familiari di andare a far visita ai loro detenuti in carcere senza essere costretti a trasferte in altre strutture penitenziarie”. L’auspicio del sindaco è adesso quello che si possa presto tornare a parlare del nuovo carcere. “Visto che non riusciamo ad interfacciarci con il Governo Monti, che non riflette prima di prendere certe decisioni - ha concluso - ritorneremo alla carica per fare in modo che il progetto abbandonato da Alfano e dal Pdl per il nuovo carcere possa essere ripreso e finanziato. Allo stato è l’unica soluzione per ovviare alla chiusura della struttura di piazza Castello in cui la smobilitazione è ormai già iniziata”. Nuoro: detenuto picchiò compagno di cella, condannato a cinque mesi La Nuova Sardegna, 31 ottobre 2012 È finito con una condanna a cinque mesi di reclusione il processo a carico di Fabrizio Pirisi, un ex detenuto di Gavoi, accusato di lesioni personali ai danni di un senegalese, suo compagno di cella. Il fatto risale a quattro anni fa, quando, in una giornata di caldo insistente, in una cella di Badùe Carros era scoppiato il finimondo. Una rissa tra detenuti, con materassi buttati all’aria e indumenti fatti volare oltre le sbarre. Gli agenti di polizia penitenziaria accorrono per cercare di fermare la rissa e alla fine due detenuti finiscono in infermeria. Uno è Fabrizio Pirisi mentre l’altro è l’extra comunitario vittima del pestaggio. Secondo l’accusa Pirisi, che nel 2008 era in carcere per detenzione di esplosivo, aveva picchiato il compagno di cella dopo aver pronunciato frasi a sfondo razzista. In cella con lui, pigiati come sardine, c’erano altri sette detenuti, e il caldo e la convivenza evidentemente li stava esasperando tutti. La situazione era precipitata quando l’imputato, aveva apostrofato con frasi a sfondo razzista uno dei compagni di cella, un giovane del Senegal, che aveva poi reagito. Era scoppiato l’infermo e quando era giunto l’ispettore e gli agenti di polizia penitenziaria per sedare la colluttazione avevano sentito il detenuto Gavoese che sottolineava di “non volere negri in cella ma solo sardi”. Ieri mattina nel corso della requisitoria sia il pm Francesca Piccu (che ha chiesto un mese di condanna in più rispetto alla sentenza del giudice Castagna), che la difesa dell’imputato, l’avvocato Gianluigi Mastio, hanno cercato di ridimensionare l’episodio inquadrandolo nel disagio subita dai detenuti costretti a stare in sovrannumero in pochi metri quadri. Nuoro: due agenti penitenziari si addormentano in servizio, condannati a un mese di carcere La Nuova Sardegna, 31 ottobre 2012 Sono stati condannati a un mese di carcere (pena sospesa) due agenti penitenziari della colonia penale di Mamone accusati di aver abbandonato il servizio cui erano addetti (posto di guardia, controllo dei detenuti con orario dalle 23,50 alle 8). Il giudice Morra li ha assolti dal capo B, ossia dal reato di cui all’art. 340 c.p. per avere, con il comportamento descritto nel primo capo d’imputazione, turbato la regolarità del servizio della casa circondariale di Mamone. Ieri Antonino Nieddu prima e Sergio Marrone poi, hanno deposto in aula raccontato la loro versione dei fatti. “Quella sera dopo che facemmo la conta dei detenuti andammo nel nostro “ufficio” e quando l’ispettore suonò al campanello ci stavamo cambiando. Ecco perché abbiamo tardato un po’ ad aprire. Non abbiamo mai lasciato il locale di nostra pertinenza, quindi non possiamo aver abbandonato il nostro servizio”. Si sono difesi così i due imputati mentre il loro legale, l’avvocato Nazarena Tilocca, ha depositato agli atti una dichiarazione spontanea dell’ispettore che effettuò il controllo, con la quale sottolineava che non avrebbe mai immaginato che da quella situazione potesse scaturire una processo penale. Ma per l’accusa, il 4 dell’ottobre 2007, anziché fare la conta dei detenuti e controllare se tutti erano presenti nelle loro celle, Nieddu e Marrone, si erano addormentati in uno stanzino di una delle diramazioni della colonia penale di Mamone, non rispettando il regolamento. Il pm Bocciarelli aveva chiesto la condanna a tre mesi. Busto Arsizio: “Fuggi fuggi”, la corsa in carcere regala sorrisi www.varesenews.it, 31 ottobre 2012 Si è svolta questa mattina e in un clima goliardico l’edizione 2012 della corsa attorno alle mura della casa circondariale di Busto Arsizio. Quest’anno hanno partecipato anche due associazioni sportive cittadine. Si è svolta questa mattina l’edizione 2012 della corsa in carcere organizzata dalla Uisp, l’Unione italiana sport per tutti, in collaborazione con la Casa Circondariale di Busto Arsizio, l’associazione sportiva A.R.C Busto Arsizio e l’A.S.D Run & Travel. Ventiquattro i detenuti che hanno preso parte alla competizione, di diverse nazionalità nel numero di sei per ogni sezione del carcere, insieme agli atleti delle due associazioni sportive che hanno voluto essere presenti. Delle due associazioni hanno corso , insieme ai detenuti, Barbara Carrier, Stefania Moneta, Adriana Gianoli, Flavio Bogni, Salvatore Verulento, Angelo Telesca, Cosimo Cavallo, Fiorenzo Morlacchi. A seguire l’avvincente gara, effettuata sotto forma di staffetta, il direttore del carcere Orazio Sorrentini, la comandante della Polizia Penitenziaria Rossella Pavaro e l’assessore ai servizi sociali e allo sport Ivo Azzimonti. Milano: presso il carcere di San Vittore presentata la Rassegna teatrale “Edge 2012” www.teatro.persinsala.it, 31 ottobre 2012 Lunedì 29 ottobre è stata presentata, presso il carcere di San Vittore di Milano, la rassegna Edge 2012: per comprendere come, tra spettacoli ed eventi, il teatro possa rieducare i detenuti alla bellezza e all’arte e permettere loro di ritrovare la dignità di uomini liberi. Quando si parla di teatro sociale, spesso si vede storcere il naso - quasi si pensasse che questa definizione fosse un po’ contradditoria nel suo inglobare spettacolarità, edonismo della scena e un percorso tutto soggettivo di riabilitazione sociale. A volte l’idea che passa nella mente degli scettici è quella del teatro come attività inutile o, al contrario, di attività votata a una causa riabilitativa: in entrambi i casi, spreco di tempo e di denaro. A tutti coloro che sperimentano questo tipo di resistenza (e ancora di più a coloro che credono in questa formula di teatro sociale) consigliamo vivamente di seguire la rassegna Edge 2012: un’interessante 4 giorni di eventi, incontri, spettacoli, che si terranno presso il carcere di San Vittore, il Teatro Argomm (una struttura sottratta ai “fortini” milanesi dei traffici mafiosi) e il Verdi - dove si potrà toccare con mano la passione e la dedizione di persone che, da anni, promuovono questi progetti e la gratitudine di detenuti e detenute, che hanno trovato il loro riscatto umano e una sensazione di libertà nel partecipare a questi progetti. Fondamentale per tutto questo, l’attenzione e il sostegno del comune di Milano che - attraverso la presenza partecipata alla conferenza dell’assessore Boeri - ha voluto sottolineare quanto il Sindaco Pisapia e il Presidente di Provincia Podestà credano nell’utilità del progetto in un tempo difficile come il nostro, dove la libertà individuale è sottratta in maniera subdola, anche al di fuori dell’ambiente carcerario: una problematica che investe l’intera società civile. Donatella Massimilla è coordinatrice e direttore artistico di Edge 2012. Una persona che - col suo sorriso contagioso e il suo entusiasmo esplosivo - fa ben capire quanto la fatica di certi progetti sia ripagata ampiamente a livello umano e spirituale: anche se i problemi finanziari ci sono, chi aderisce al progetto possiede una tale passione da riuscire a superare i limiti materiali per portare a termine l’incarico e raggiungere l’obiettivo che ci si è prefissati. Insieme ai suoi ventennali compagni di lavoro (Giordano Sangiovanni, Francesco Mazza, Franco Milone e Luigi Povelato), Donatella Massimilla gira il mondo per proporre teatro nelle carceri e in situazioni difficili perché fermamente convinta che solo con l’arte si possa restituire la bellezza e l’umanità a quelle persone che, nell’atto della trasgressione, hanno perso, appunto, il senso della bellezza e il loro lato umano. Per questo, soprattutto i detenuti, vanno prima di tutto rieducati - non solo puniti. Da questa esigenza, ecco nascere spettacoli come Strada provinciale 40 - per la regia di Cristina Belgioioso - che racconta le storie vere di alcune prostitute che ogni notte, per mesi, Cristina ha faticosamente intervistato sulla Binasca insieme al suo gruppo di lavoro: quello che emerge è l’infitinta solitudine e le ingiuste responsabilità che si devono accollare alcune donne per pagare le colpe di qualcun altro. Oppure, come L’acqua di Sisifo: esperimento importante, soprattutto perché supera i limiti del teatro per e con i detenuti. Infatti, sebbene solitamente il teatro in carcere si manifesti come puro momento laboratoriale - senza la possibilità di una messa in scena - in questa occasione particolare, sul palco del Verdi di Milano, il Gruppo della Trasgressione - nel quale collaborano detenuti di San Vittore e liberi cittadini - porterà in scena il limite, la sfida e la trasgressione - ossia, i nuclei centrali del mito antico - attraverso i quali scoprire quanto l’attività teatrale possa arricchire chi vi partecipa e chi vi assiste. E infine, Nodi - Frida Kahlo, Leonora Currington, Camille Claudel: spettacolo di Federica Di Rosa e Davide Stecconi, nel quale si raccontano le storie di tre donne forti, “messe in croce” dalla società a loro contemporanea perché in possesso di una vena creativa svalutata in quanto rappresentativa del “sesso debole”. Accanto a questi spettacoli, una serie di incontri ed eventi correlati, per meglio comprendere le intenzioni e le emozioni di chi ha preso parte al progetto. Innanzi tutto, la mostra fotografica di Gin Angri, Oltre i Confini, alla Galleria Ostrakon dal 30 ottobre al 9 novembre. Mentre giovedì 8 novembre segnaliamo una giornata ricca di stimoli interessanti tra l’inaugurazione dell’Università del teatro di San Vittore (progetto nato anche grazie alla collaborazione di Dario Fo), il dibatito con Simona Salta della testata Realtà nascoste, e un momento di musica e poesia con Oltre il giardino Project - Nessuno è perfetto, dove ancora una volta vari contributi artistici dimostreranno quanto l’arte possa ricoprire un ruolo taumaturgico per chi è affetto da problemi relazionali, o patologie psicologiche: in breve, disagi dell’anima. India: caso marò; poster con foto di Girone e Latorre esposto sul balcone del Senato Adnkronos, 31 ottobre 2012 Le foto di Massimilano Latorre e Salvatore Girone campeggiano sul balcone della rinascimentale facciata di palazzo Madama nel poster “Salviamo i nostri maro” che chiede la liberazione dei due marò italiani detenuti nelle carceri indiane. L’iniziativa è stata presa da Domenico Gramazio e Achille Totaro, due senatori del Pdl che hanno preso particolarmente a cuore la vicenda dei due militari e che più volte in aula hanno sollevato la questione, incalzando il governo ad assumere le più adeguate iniziative per riportare in patria i fucilieri di Marina. Al punto che Gramazio, con altri colleghi, ha votato contro la ratifica da parte del Senato lo scorso 25 ottobre del Trattato con l’India per l’esecuzione delle pene in patria, avendo giudicato “assente” l’atteggiamento dell’esecutivo. “Sono ormai più di otto mesi - ha affermato il senatore Gramazio - che i due nostri Fucilieri del reggimento San Marco languono in India, ristretti nelle loro libertà fondamentali. Oggi che il Governo è venuto a chiedere la fiducia in Senato, abbiamo voluto, con l’amico e collega Achille Totaro, compiere questo gesto simbolico per sollecitare il Governo, che è stato superato in corsa anche dalla Ferrari, a compiere atti concreti e non a regalarci vane e deboli parole di circostanza”. Siria: aeroporto Hama trasformato in carcere, maglia nera per torture e omicidi Adnkronos, 31 ottobre 2012 Il regime siriano ha trasformato l’aeroporto militare di Hama in uno dei carceri più temuti del Paese, dove i detenuti subiscono torture quotidiane e vengono stipati a centinaia negli hangar. Lo denunciano attivisti, organizzazioni umanitarie ed ex prigionieri. Nota per la rivolta del 1982 contro il padre dell’attuale presidente siriano Bashar Assad, Hafez, Hama ha sofferto anche nell’attuale rivolta contro il regime. I suoi attivisti hanno combattuto dall’inizio della rivoluzione nel marzo dello scorso anno, ma nell’estate 2011 l’esercito di Damasco ha preso il pieno controllo della città. Le persone che vengono arrestate sono quindi spesso mandate all’aeroporto militare di Hama, dal quale non partono solo gli aerei da combattimento per compiere raid aerei, ma che viene anche usato come prigione dal servizio di intelligence dell’aviazione militare. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha denunciato come l’aeroporto sia diventato noto “per le tremende forme di torture e l’uccisione dei detenuti”. In un comunicato, l’organizzazione con sede a Londra ha spiegato che “dopo lo scoppio della rivoluzione siriana nel marzo dello scorso anno, le autorità hanno iniziato a uccidere manifestanti e a opprimere chiunque fosse sospettato di partecipare alla rivolta”. Sono almeno 700, proseguono gli attivisti, i casi di detenuti torturati a morte nel Paese e molti altri in cui la tortura ha portato a una disabilità permanente. L’aeroporto militare di Hama si è guadagnato la reputazione peggiore tra le prigionieri non ufficiali, come spiega da Londra il direttore dell’Osservatorio Rami Abdel Rahman. “Migliaia di detenuti, giovani o anziani, hanno sofferto le più brutali forme di torture e omicidi, lontati da qualsiasi senso di morale. Dal momento che non si tratta di una prigione ufficiale, non sono registrati i dati dei detenuti”, ha aggiunto. “Qualche volta oltre 500 prigionieri vengono stipati dentro un hangar dell’aeroporto, dove si possono raggiungere circa 50 gradi in estate e dove molte persone sono morte per disfunzioni cardiache o difficoltà respiratorie”, ha spiegato. L’Osservatorio denuncia poi che i corpi dei morti vengono lasciati per giorni tra i detenuti, he non hanno accesso ai bagni e che sono costretti a fare i loro bisogni nell’hangar. Perù: un carcere di 10.000 metri quadri tutto per Fujimori, scoppia la polemica di Luca Pistone www.atlasweb.it, 31 ottobre 2012 Fanno discutere in Perù i privilegi di cui ha goduto Alberto Fujimori sotto il governo di Alan García (2006 - 2011) e di cui continua ancora a godere. Dopo l’estradizione dal Cile nel 2007, Fujimori aveva scelto di essere detenuto in una stazione di polizia nel distretto di Ate - Vitarte, in una cella di 190 metri quadri. Tramite una risoluzione del ministero dell’Interno, il 2 maggio del 2008 l’abitazione era stata ampliata fino a 891.32 metri quadri, secondo un articolo del quotidiano peruviano La República, pubblicato questa settimana. Successivamente, con risoluzione dell’allora ministro della Giustizia Aurelio Pastor, il 27 luglio del 2009 l’ex presidente di origini giapponesi era stato trasferito in un’altra area della struttura, in un ambiente di 10.050 metri quadri. Un intero carcere tutto per lui. “Lo spazio di 10.050 metri quadri di cui oggi dispone è unico per estensione e comodità in Perù e nella regione”, scrive La República, che ricorda che altri ex mandatari detenuti, come l’argentino Jorge Rafael Videla o il boliviano Luis García Meza si trovano in carceri comuni nei rispettivi paesi. Le disposizioni dettate dall’amministrazione García stabiliscono che la “cella” assegnata a Fujimori abbia “un’area di almeno 800 metri quadri, con studio, camera da letto, sala da pranzo e bagno”, e che la prigione abbia “una clinica permanente con tre infermieri, due medici e un’ambulanza”, continua la testata di Lima. Alla lista si sono aggiunti “una sala per le visite con moquette, aria condizionata, poltrona massaggiante, televisione, telefono fisso e cellulare e computer portatili”. Fujimori può anche passeggiare per dei “cortili con 5.000 rose piantate, barbecue e campo da calcetto” e altri ambienti fuori dalla sua cella. Fujimori, 74 anni, è stato condannato nel 2008 a 25 anni di prigione per la sua responsabilità intellettuale in 25 omicidi e due sequestri durante il suo governo (1990 - 2000), e per reati di corruzione. I figli, in particolare Keiko - la maggiore, leader del partito Fuerza 2011 ed ex candidata presidenziale - hanno chiesto per il padre l’amnistia perché malato di cancro. Venerdì la Comisión de Indultos ha informato che Fujimori dovrà firmare personalmente la richiesta di amnistia se desidera che il suo caso venga valutato prima di inviare un parere al presidente Ollanta Humala, cui spetta la decisione finale in merito. Iran: denuncia di Ebadi e Ong; negate viste mediche a Nasrin Sotoudeh Tm News, 31 ottobre 2012 La Nobel per la pace Shirin Ebadi, Amnesty International, Human Rights Watch, la Campagna internazionale per i diritti umani in Iran, Reporter senza frontiere, la Federazione internazionale per i diritti umani e la Lega iraniana per la difesa dei diritti umani hanno chiesto alle autorità iraniane di porre fine alle vessazioni subite in carcere da Nasrin Sotoudeh e da altri detenuti e di consentire loro di incontrare i familiari e ricevere cure mediche. Giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani sono imprigionati in Iran solo a causa delle loro attività pacifiche. Anzitutto, nessuno di loro dovrebbe essere in carcere. Ma intimidire i figli dei prigionieri, negare gli incontri tra questi e i loro familiari e non fornire cure mediche è ancora peggio - hanno dichiarato Shirin Ebadi e le sei organizzazioni per i diritti umani. Da quando è stata arrestata nel 2010, Nasrin Sotoudeh, avvocata di 47 anni e madre di due figli, è stata spesso posta in regime di isolamento. Così come ad altri prigionieri, le sono state negate cure mediche adeguate e le è stato impedito di incontrare con regolarità i suoi familiari. Nasrin Sotoudeh è attualmente ricoverata nell’infermeria del carcere di Evin, a Teheran. Ha iniziato uno sciopero della fame il 17 ottobre per protestare contro le vessazioni subite dai familiari e le restrizioni al suo diritto di ricevere visite. Secondo quanto riferito dal marito Reza Khandan, Nasrin Sotoudeh ha intrapreso lo sciopero della fame quando ha saputo che la figlia dodicenne era stata convocata in tribunale per comunicarle il divieto di viaggiare all’estero. Inoltre, negli ultimi tre mesi, la direzione del carcere di Evin ha impedito incontri diretti tra la detenuta e i suoi figli (possono vedersi solo attraverso un vetro divisorio) e hanno imposto forti limitazioni alle telefonate. Nasrin Sotoudeh non incontra la madre e il fratello da quasi un anno. “Siamo seriamente preoccupati per lei e consideriamo le autorità iraniane responsabili di questa situazione” - hanno sottolineato Shirin Ebadi e le sei organizzazioni per i diritti umani. Nasrin Sotoudeh sta scontando una condanna a sei anni di carcere (in primo grado, nel gennaio 2011, gliene erano stati inflitti 11) per “atti contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”. Al termine della pena le sarà inibito l’esercizio della professione legale e non potrà viaggiare per 10 anni. La direzione del carcere di Evin sta impedendo incontri tra le giornaliste Jila Baniyaghoob e Mahsa Amrabadi, condannate a un anno di carcere, e i loro mariti detenuti in altre prigioni: Bahman Ahmadi - Amoui, collega e marito di Jila Baniyagoob, si trova nella prigione di Rajai Shahr, condannato a cinque anni per “propaganda contro il sistema” e “offesa al presidente”. Anche Masoud Bastani, collega e marito di Mahsa Amrabadi si trova a Rajai Shahr, dove sta scontando una pena di sei anni per “propaganda contro lo stato”. Le autorità iraniane stanno negando cure mediche anche a due detenute politiche, Bahareh Hedayat e Mahboubeh Karami, condannate rispettivamente a 10 e tre anni di carcere per reati contro la sicurezza. Karami soffre di depressione ma non riceve trattamenti adeguati. Hedayat è stata autorizzata a curarsi per problemi ai reni e allo stomaco fuori dal carcere, per poi essere obbligata a rientrare in prigione. Mauritania: protesta dei parenti dei detenuti salafiti scomparsi a Nouakchott Nova, 31 ottobre 2012 Si è svolta questa mattina nella capitale mauritana Nouakchott una protesta da parte di decine di persone davanti al carcere centrale della città. Secondo quanto riportano i media locali, si tratta di familiari di 14 detenuti salafiti dei quali non si hanno più notizie da un anno e mezzo, quando sono stati trasferiti dal carcere verso una località ignota. Si ritiene che i detenuti siano ancora vivi in un carcere sconosciuto. Questo perché uno di questi detenuti salafiti stato ricoverato tempo fa nell’ospedale militare per essere operato dopo essere rimasto ferito in circostanze poco chiare. Alcuni di questi detenuti sono stati condannati per aver sequestrato turisti stranieri, in particolare spagnoli e francesi, per conto di al Qaeda nel Maghreb islamico nel paese. Giordania: re Abdullah II concede la grazia a sei detenuti salafiti Nova, 31 ottobre 2012 Re Abdullah II di Giordania ha concesso oggi la grazia a sei salafiti jihadisti detenuti ad Amman. Secondo quanto si legge in un comunicato diffuso dalla casa reale e ripreso dall’agenzia di stampa ufficiale “Petra”, “il re ha dato ordine al governo di scarcerare sei detenuti salafiti”. Si tratta di estremisti islamici condannati per un attentato compiuto con un’autobomba ad Amman nel 2000, per l’uccisione di un diplomatico statunitense avvenuto nella capitale giordana nel 2003 e per aver raccolto fondi in favore di al Qaeda in Afghanistan. Solo ieri altri tre jihadisti salafiti condannati all’ergastolo erano stati scarcerati. Sempre la corrente salafita giordana aveva preannunciato che ci sarebbe stato a breve un incontro con i rappresentanti del governo per discutere della questione dei 54 salafiti ancora detenuti. Sabato scorso 200 estremisti islamici hanno manifestato davanti all’abitazione del premier Abdyllah Ensour a Salt, nel nord del paese, per chiedere la loro scarcerazione.