Giustizia: psichiatria, carcere e droga… il male sta nel proibizionismo di Andrea Michelazzi e Walter Mendizza Notizie Radicali, 30 ottobre 2012 Ci sembra importante riuscire a dare un contributo per il prossimo Congresso di Radicali Italiani anche nell’ambito dell’offerta del direttore del giornale “Notizie Radicali” di uno spazio di riflessione, confronto e dibattito per il Congresso. Scopo di questo articolo è quindi il desiderio di rispondere all’appello di Valter Vecellio sul “cosa suggeriamo, cosa proponiamo e cosa pensiamo che debba essere fatto”. Un buon punto di partenza potrebbe essere definire con un neologismo efficace il problema che vogliamo sottoporre all’attenzione del Congresso; il neologismo è Tossicoiatria. I contorni della tossicoiatria (psichiatria, carcere e droga) è enunciato nel titolo di questo intervento che pone in evidenza la stretta parentela tra la psichiatria, la questione droga ed il problema carcere. Potremmo dire che esse sono cugine di primo grado. Infatti il proibizionismo che le include, che le implica, è il medesimo; nel senso che leggi proibizioniste che le sottendono, permettono la declinazione di una violenza istituzionale che è funzionalmente orientata alla neutralizzazione di comportamenti “scomodi” rispetto una normativa che continua a mantenersi allineata ad una struttura di potere che nel passato è stata caratterizzata come Capitalista e che oramai preferiamo definire Vettoriale per l’astrazione dei beni che predilige amministrare (informazioni, manipolazione mediatica, strumenti monetari, libero mercato…). Molte sono le regole proibizioniste che orientano le pratiche istituzionali della psichiatria o del carcere: il TSO ad esempio (trattamento sanitario obbligatorio) è la pratica proibizionista per antonomasia dato che nonostante le garanzie “politiche” (deve essere firmato dal sindaco) è il più delle volte privo di specificazioni che lo possano legittimare; anche la penalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti fondato sulla discriminante della quantità rilevata è una pratica proibizionista, così come la mancata applicazione delle misure alternative oppure ancora l’odioso monopolio legalizzato dei trattamenti sostitutivi per la tossicodipendenza, sono tutti aspetti dei precetti proibizionisti che ispirano, appunto, le pratiche istituzionali psichiatriche, carcerarie o delegate al trattamento della tossicodipendenza. La Psichiatria e la “Tossicoiatria” si presentano come pratiche delegate alla cura, laddove al contrario prevalgono fin troppo spesso la contenzione, il controllo comportamentale, la violazione dei diritti civili, l’assoggettamento di ciò che viene percepito e definito deviante. Purtroppo la psichiatria ha stravolto il senso proprio della malattia quale sofferenza psichica per trasformarla prima in rivendicazione libertaria e in denuncia politica e poi in controllo comportamentale. Oggigiorno si può ben dire alla von Clausewitz che la psichiatria è la politica condotta con altri mezzi. Ecco dove i Radicali possono intervenire. Certo, il carcere come contenitore che straripa di detenuti sembra un problema più urgente così come l’amnistia per la Repubblica. Ma questa urgenza è solo apparente perché è dovuta al fatto che il carcere è rimasto indietro, per così dire, rispetto alle altre due “cugine”, che si sono aggiornate, nel senso che si sono territorializzate e rafforzate nel loro stile di intervento. Il manicomio come contenitore non esiste quasi più se non nella versione più “incestuosa” con il carcere, il manicomio giudiziario; anch’esso in via di trasformazione. Lo stesso per la “Tossicoiatria” che si è aperta ad altre figure professionali ed ha “ammorbidito” le sue pratiche terapeutiche. Però il cuore del sistema rimane lo stesso. Il livello “macro istituzionale” - normativo - rimane rigidamente proibizionista, e rimanendo tale, continua a permettere e legittimare pratiche più o meno evidentemente distruttive delle soggettività su cui si articolano. Perciò questi tre ambiti sono fortemente interfacciati, malati psichiatrici in carcere, tossicodipendenti nei centri di salute mentale o anch’essi in carcere, criminali nelle comunità terapeutiche ecc. Viene da chiedersi: cui prodest? A chi giova? Quale tornaconto c’è? È fin troppo facile rispondere: c’è il tornaconto economico con il mercato nero della droga, con gli apparati istituzionali che recuperano occupazione, con le industrie del farmaco. C’è la convenienza dell’amministrazione del potere, da una parte c’è una psichiatria che si sta facendo sempre più politica e dall’altra c’è una magistratura che corre il medesimo rischio, ad esempio attraverso la nomina di centinaia di avvocati come amministratori di sostegno. I due potentati (psichiatria e magistratura) quando si mettono assieme e lavorano in sincronia sono invincibili. Solo la politica potrebbe limitarli, ma la politica è ridotta a pura fonte di denaro e impegnata a leccarsi le ferite degli scandali; per cui invece di andare a stanare gli zombies prodotti dalla psichiatria e avvallati dalla magistratura, i politici stanno tutti cheti cheti, rannicchiati a distribuirsi soldi e prebende sperando solo di non essere beccati. Ecco dove e perché ci vogliono i Radicali. In questo clima di decadenza, tra Er Batman ed Er cinese, tra cene elettorali e feste con gladiatori e maiali, la “Tossicoiatria” sta conquistando gradatamente sempre più ambiti operativi (controllo sui lavoratori, verifica dei requisiti per la guida, microchip sotto pelle...). C’è un tornaconto collegato alla tutela ed alla salvaguardia di un ordinamento che definiamo, appunto, Vettoriale (Capitalismo avanzato - Ipercapitalismo), che è caratterizzato da dinamiche in un certo modo “criptiche” e peculiari ad un sistema che si è evoluto, perfezionato in senso tecnologico e finanziario impensabile fino qualche decennio fa. E tutto questo è potuto accadere sotto lo sguardo dell’opinione pubblica perché essa è prigioniera di un linguaggio retorico e seducente proveniente dagli anni 70: la malattia è un’invenzione del potere repressivo e la diagnosi è un indicatore dello stigma. Sotto l’impianto ideologico egualitario si è creata un’operazione demagogica e mistificante che nega la malattia ma anche la diagnosi, e ha portato avanti una praticoneria sradicata da qualunque assunto teorico. Questo ha permesso un pericoloso gioco di rinforzi che è stato il lasciapassare per criminalizzare i vecchi operatori (additati come aguzzini) e quindi manipolare i malati e i loro familiari. In questi frangenti, spesso la strada psichiatrica è un percorso di istituzionalizzazione delle persone più deboli, presunti malati che vengono trattati come bestiame, nel senso che vengono sedati e tenuti zombizzati perché rappresentano una fonte di reddito e danno lavoro alle cooperative che sostituiscono la cura con l’accudimento. Un percorso tipo può essere riassunto così: prima ti dicono che sei depresso, poi che hai un disturbo dell’umore, poi invece si scopre che il disturbo è bipolare, poi ti diagnosticano una schizofrenia e infine una schizofrenia paranoide … insomma nessuno sa di che cavolo parla però alla fine la vittima predestinata viene fiondata in TSO per poi essere istituzionalizzata. Come bestiame di allevamento. Oppure hai un problema con sostanze illecite, vieni arrestato, messi in carcere (magari massacrato di botte e ucciso); oppure ancora hai una dipendenza da oppiacei e non riesci a seguire il regime di trattamento che ti propongono, cronicizzi la tua situazione, perdi il lavoro e magari ti ammali pure di Aids… E questo è il vero male di tutti i proibizionismi che si sostanzia dapprima nel proibire in modo da creare la vittima, poi essa viene sacrificata a favore delle istituzioni che oltretutto si avvantaggiano pure. Ecco l’importanza delle lotte radicali ai proibizionismi: aprire gli occhi alla gente per scansare il peronismo straccione della tossicoiatria che si affaccia al balcone per essere applaudito dalle folli gaudenti. Giustizia: sull’istruzione dei detenuti “lanciato” un programma enfatico quanto ineffettivo di Susanna Marietti Il Manifesto, 30 ottobre 2012 Pochi giorni fa il ministro Paola Severino ha firmato un protocollo d’intesa tra il suo Ministero e quello dell’Istruzione guidato da Francesco Profumo dal titolo “Programma speciale per l’istruzione e la formazione negli istituti penitenziari”. Chi conosce la realtà carceraria di questi anni e si scontra quotidianamente con le pratiche messe in campo dal Ministero della Giustizia non può che sentirsi preso in giro da un simile documento. La formazione e soprattutto l’istruzione hanno un valore immenso e insostituibile nella vita di ciascuno, e in particolare nella possibilità di affrancamento da una condizione di emarginazione sociale e culturale che troppo spesso è causa dell’ingresso nel circuito penale. Costituiscono il maggior antidoto alla recidiva e quindi al sovraffollamento carcerario. Del sistema scolastico penitenziario bisognerebbe parlare con una serietà e con un rispetto che non emergono da un protocollo tanto enfatico quanto ineffettivo. Oltre a ribadire scontati intenti di principio, quali l’impegno a garantire a tutti il diritto all’istruzione, il protocollo - che bizzarramente scadrà tra tre anni, come se oltre questo termine i due Ministeri non dovessero più preoccuparsi del sistema di istruzione e formazione per i detenuti - si propone amenità tipo l’allestimento di laboratori di supporto alle attività scolastiche o il potenziamento delle mediateche. In un momento in cui in carcere scarseggiano i materassi per dormire, la mediateca è certo una priorità. E dove la allestiranno, posto che ogni spazio dedicato ad attività collettive sta venendo riempito da corpi accatastati e inghiottito dal sovraffollamento? Il protocollo si propone anche obiettivi di altra natura, quale quello di effettuare con regolarità una ricognizione dei bisogni formativi di coloro che stanno in carcere. C’era bisogno di scriverlo? Non basta che, per dettato costituzionale, “la scuola è aperta a tutti” per rendere scontata la ovvia conseguenza secondo la quale si debbano conoscere i bisogni formativi di tutti coloro ai quali la scuola è aperta? Perché la ricognizione non è stata effettuata fino ad ora? Il protocollo sostiene che essa debba servire a “evitare duplicazioni di interventi e dispersioni di risorse”. E non si dovrebbe percepire il senso del ridicolo di fronte a questa frase? Gli interventi legati al sistema scolastico in carcere non arrivano mai a essere duplicati. Quasi sempre, soprattutto ai più alti gradi di istruzione, sono invece assenti. I due ministri firmano un documento che a volte afferma cose pomposamente vaghe, altre volte ne afferma di scontate, altre ancora di irrealizzabili. Tutto questo a fronte di un sostanziale disinteresse e di una sostanziale inefficienza nella prassi delle cose. Senza troppe parole al vento, non sarebbe difficile mettere in piedi una piccola regia centralizzata ministeriale che in non più di due settimane di lavoro disegnasse una pianificazione sostenibile - priva di data di scadenza a tre anni - di corsi scolastici e formativi nelle carceri italiane, senza lasciare nelle mani della buona volontà del singolo direttore o della singola direttrice il diritto allo studio dei detenuti, senza limitare la scolarizzazione a corsi di alfabetizzazione, prevedendo almeno un polo universitario per ogni Regione. Noi che con il carcere abbiamo a che fare ogni giorno sappiamo di quante volte si incrocino detenuti esasperati per aver ricevuto l’ennesimo trasferimento senza motivo che ha interrotto un percorso formativo portato avanti con entusiasmo. L’entusiasmo di un detenuto che vuole studiare dovrebbe essere una perla coltivata con dedizione dalla società. Invece la persona viene trasferita come fosse un pacco, senza spiegazione né ragionevolezza. Dal carcere di Spoleto un’intera sezione composta quasi esclusivamente da ergastolani è stata smantellata dall’oggi al domani. Chi vi viveva da anni è stato mandato qua e là per l’Italia. Un gruppo di studenti che aveva trovato affiatamento reciproco è stato sparpagliato senza motivo. Ma, se le questioni umane sono troppo sottili per essere afferrate dalle dita rozze del nostro sistema penitenziario, si guardi almeno al danno che ne è derivato dal punto di vista del percorso didattico - anche di altissimo livello - che molti ergastolani di Spoleto stavano seguendo. Quel percorso sbaragliato non è che l’esempio di quanto accade quotidianamente in giro per le carceri italiane. Ma poi si punta sulla mediateca. Giustizia: Sindacati al Governo; senza nuove risorse impossibile gestire sistema carcerario Dire, 30 ottobre 2012 Una nota sindacale unitaria potrebbe non essere una notizia, ma nel settore penitenziario, attraversato storicamente da divisioni, è un fatto inedito. Per la prima volta le organizzazioni sindacali rappresentative del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dei Poliziotti Penitenziari, dei dirigenti Penitenziari e dei ministeri (Fp-Cgil, Uil, Ugl, Confsal-Unsa, Usb-Pi, Sappe, Osapp, Sidipe, Dps), hanno scritto unitariamente al presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti e ai ministri Severino, Grilli e Patroni Griffi. “Gli effetti dei provvedimenti stabiliti dalla Spending Review - si legge nella nota - saranno devastanti per tutto il sistema penitenziario. In particolare gli ulteriori tagli previsti andranno a ridurre drasticamente, nei dipartimenti del Dap e del Dgm, gli organici dei dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna, di area I, nonché il personale del comparto ministeri (educatori, assistenti sociali e tecnico-amministrativi). Ugualmente si opererà una riduzione di fatto degli organici della polizia penitenziaria per effetto del blocco del turn over”. Provvedimenti, continua la missiva, che si concretizzeranno “nella impossibilità di garantire la gestione delle carceri e gli obiettivi statuiti dalla Carta Costituzionale in termini di rieducazione e reinserimento sociale, nella impossibilità di garantire la sicurezza degli istituti penitenziari e quindi dell’intera collettività, nella impossibilità di garantire la celebrazione dei processi e l’accesso e la gestione delle misure alternative”. “Chiediamo pertanto, condividendo gli obiettivi annunciati dal ministro della Giustizia, che si trovino adeguate soluzioni nell’ambito della Legge di stabilità - conclude la nota - attendendo un riscontro immediato”. Giustizia: diffamazione; l’Aula del Senato si ferma, disegno di legge torna in Commissione Asca, 30 ottobre 2012 L’Aula del Senato si ferma nell’esame del ddl sulla diffamazione a mezzo stampa, che torna in commissione. Ad annunciarlo in Aula è stato il presidente di turno, Domenico Nania, che ha annunciato: “Alla luce del dibattito che si è sviluppato, il testo torna in commissione”. Resta ancora incerto se il ritorno in commissione, che è già stata convocata per il pomeriggio alle 14,30, riguarda l’intero provvedimento o solo l’art.1 del ddl, che peraltro contiene il cuore delle norme, con la cancellazione del carcere e la fissazione delle nuove multe e sanzioni. Politicamente il ritorno in commissione sancisce la necessità condivisa di porre mano al provvedimento ritenuto insoddisfacente da più parti, e non manca chi ritiene che questo passo possa tradursi nel dirottamento su un binario morto del ddl. Il presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli, che è anche relatore del ddl insieme alla senatrice Pd, Silvia Della Monica, appare determinato invece a chiudere. “Se questo pomeriggio non chiudiamo ho già chiesto la seduta notturna - spiega - e se non basta ci riaggiorniamo a domani mattina alle 8,30”. Lazio: la denuncia dei Radicali; negli Istituti penitenziari assistenza sanitaria a rischio Agenparl, 30 ottobre 2012 Nel Lazio la situazione della sanità penitenziaria è molto delicata, con emergenze quotidiane causate dalla mancanza di personale medico e paramedico, dalla carenza di fondi, da dotazioni tecnologicamente superate e da strutture fatiscenti. Problemi che si vanno ad aggiungere al cronico problema del sovraffollamento che vede più di 7mila detenuti a fronte di una capienza di 4500. La situazione è drammatica e come più volte denunciato dal Garante dei detenuti del Lazio, nelle carceri si stanno diffondendo malattie come la tubercolosi. A farsi portavoce di questo allarme sono i deputati Radicali che in un’interrogazione ai Ministri della Giustizia e della Salute chiedono quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di garantire ai detenuti una non effimera attività di cura e sostegno, nonché i livelli essenziali di assistenza sanitaria all’interno degli istituti di pena. Calabria: carcere di Laureana; l’Amministrazione penitenziaria studia la riapertura Asca, 30 ottobre 2012 “È intenzione dei vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, studiare possibili soluzioni finalizzate alla riapertura dell’istituto sperimentale Luigi Daga di Laureana di Borrello (Rc) e una migliore redistribuzione delle risorse umane nell’intero territorio calabrese, con particolare riguardo alle sedi su cui gravano maggiormente i maxiprocessi”. Così scrive il vice capo vicario del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, Simonetta Matone, al presidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Talarico, in risposta alla mozione approvata dall’Assemblea, nella seduta del 9 ottobre scorso, con la quale si sollecitava la riapertura dell’istituto. Nella lettera, il Ministero della Giustizia, ribadisce la temporaneità della chiusura della Casa di Reclusione di Laureana, giustificandola con le difficoltà di far fronte ad esigenze urgenti del sistema penitenziario regionale. Piemonte: seduta consiliare per discutere designazione del Garante regionale delle carceri Ansa, 30 ottobre 2012 Con una lettera inviata a Igor Boni (presidente Associazione radicale Adelaide Aglietta), il presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo, ha comunicato di aver fatto iscrivere all’ordine del giorno della seduta consiliare di domani la designazione del Garante regionale delle carceri. Lo comunicano gli stessi Radicali. “Già lo scorso gennaio - riferiscono Igor Boni e Salvatore Grizzanti - quando il presidente Cattaneo ci ricevette, assieme all’Ufficio di presidenza, durante il nostro sciopero della fame per l’attuazione della legge istitutiva del garante detenuti, avemmo modo di rimarcare la sensibilità istituzionale ma anche umana dimostrata da Valerio Cattaneo nei confronti della nostra iniziativa. E tale nostro giudizio è stato confermato dal fatto incontestabile di aver posto ripetutamente il Consiglio Regionale di fronte alle proprie responsabilità”. Sicilia: su 7.200 detenuti presenti nei 27 penitenziari dell’Isola, solo 46 hanno votato Asca, 30 ottobre 2012 C’è un dato sull’astensionismo delle elezioni regionali siciliane che fa riflettere: quello del voto nelle carceri. È un punto di vista interessante perché la Sicilia è la regione col maggior numero di istituti di pena della nazione, ben 27. Qualche cifra, per fotografare la situazione: secondo i dati del ministero di Grazia e Giustizia sono circa 7.200 le persone carcerate nell’isola. La regione è, infatti, al quarto posto per numero di detenuti, dietro a Lombardia, Lazio e Puglia. Le presenze, però, non dovrebbero superare la cifra di 5.465, mentre in realtà di carcerati ce ne sono 1.735 in più. Certamente, su 7.200 privati della libertà, crediamo che non tutti abbiano mantenuto il diritto al voto. Tuttavia, scoprire che solo 46 detenuti hanno sentito il richiamo dell’urna fa capire quanto lontana sia la stima per i politici anche da parte di chi in questi mesi ha ricevuto molte visite da svariate delegazioni parlamentari, preoccupatissime della loro situazione. Dopo il voto, Mimmo Nicotra, vicesegretario generale dell’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, ha dichiarato che “il sistema penitenziario italiano è al collasso, il sovraffollamento ha raggiunto cifre record, le passerelle dei politici negli istituti penitenziari sono sempre più frequenti, ma è evidente che anche la popolazione detenuta della Sicilia ha sfiduciato l’attuale classe politica”. Per la cronaca, il carcere palermitano dell’Ucciardone è quello che ha fatto registrare il maggior numero di votanti. Marche: presidente Commissione regionale incontra la direttrice del carcere di Fermo Ansa, 30 ottobre 2012 La presidente della Commissione regionale Affari istituzionali, Rosalba Ortenzi, si è incontrata con la direttrice del carcere di Fermo Eleonora Consoli per tracciare un quadro d’insieme delle problematiche che affliggono il penitenziario. “È da tempo che il Consiglio regionale sta affrontando questa situazione - sottolinea la Ortenzi, che mesi fa aveva sottoscritto una mozione approvata all’unanimità dall’Assemblea marchigiana - e intende percorrere tutte le strade necessarie per tentare di risolvere, in primo luogo, la questione del sovraffollamento, che attualmente a Fermo si attesta sulle 91 unità”. Per la presidente della Commissione è indispensabile avviare una seria riflessione su come rendere la struttura più vivibile e più consona alle esigenze del territorio. Riflessione - termina - che è stata chiaramente rappresentata al capo del Dap e che ritengo vada sostenuta in tutte le sedi opportune, anche con l’aiuto e i preziosi consigli che possono essere forniti da chi quotidianamente è chiamato ad affrontare i gravosi problemi delle strutture di pena”. Barletta: 32enne ucciso in un Centro per tossicodipendenti con problemi psichiatrici www.foggiatoday.it, 30 ottobre 2012 I carabinieri della compagnia di Cerignola hanno tratto in arresto in flagranza di reato di omicidio volontario Boccomino Giovanni, 28enne originario di Trani, domiciliato in Trinitapoli presso la struttura denominata “Villaggio del fanciullo”, pregiudicato, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno. Questa mattina i militari sono stati allertati da una telefonata proveniente dalla struttura sanitaria per recupero dei disabili mentali e tossicodipendenti che segnalava un accoltellamento. Quando sono arrivati nella struttura di via Giovanni XXIII, gli uomini in divisa hanno constatato che la vittima dell’accoltellamento, il 32enne Ruggiero Urbano, era appena deceduta, acquisendo dai presenti utili informazioni che hanno consentito loro di identificare, controllare e condurre in caserma l’autore dell’accoltellamento, che girovagava nel centro di Trinitapoli. Sul luogo del delitto sono confluiti anche i carabinieri dalle vicine stazioni di Margherita di Savoia e San Ferdinando e del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Cerignola. Le prime indagini hanno consentito di ricostruire quanto accaduto. Boccomino e Urbano, entrambi domiciliati presso il centro, avevano litigato nei giorni scorsi per futili motivi. Questa mattina il 28enne sarebbe entrato nella stanza della vittima, mentre questi era ancora a letto che dormiva. L’avrebbe accoltellato con un solo fendente alla gola, scappando via subito dopo. La vittima appena ferita si è alzata dal letto invocando aiuto ed indicando alle persone presenti l’autore del vile gesto. Urbano purtroppo è deceduto dissanguato dopo pochi minuti. A nulla sono valsi i tentativi di salvarlo da parte dei sanitari del centro e del 118 accorsi sul posto. I rilievi sulla scena del delitto sono stati eseguiti dai Carabinieri della Sezione Investigazioni Scientifiche del Comando Provinciale di Foggia. I militari del 112, ispezionando il perimetro esterno della struttura, hanno rinvenuto anche il l’arma con la quale il presunto assassino ha accoltellato l’uomo: si tratta di un coltello da cucina con lama molto affilata dalla lunghezza di 12 cm. Dichiarato in arresto quale presunto autore dell’omicidio, il tranese è stato tradotto, su disposizione del dott. Enrico Infante, Sostituto Procuratore della Repubblica di Foggia, presso la casa circondariale del capoluogo, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. La salma è stata invece trasportata presso gli Ospedali Riuniti di Foggia per l’esame autoptico. Bologna: neo-direttore Ipm Pratello; qui nessun orrore, c’è gente che lavora, tanta serenità Dire, 30 ottobre 2012 “Io non trovato orrori, non ho trovato caos. Ho trovato tanta gente che lavora, ragazzi normali e tanta serenità. Allora, abbassiamo il sipario sul passato e lasciateci lavorare con tranquillità”. Alfonso Paggiarino, direttore del carcere minorile di Bologna dal 5 luglio, non vuole parlare della tempesta che un anno fa si abbattè sull’istituto di via del Pratello, provocando la rimozione dei vertici. Tempesta scatenata da un’ispezione dalla quale vennero fuori punizioni al di sopra delle righe nei confronti dei giovani detenuti, risse fra questi ultimi, atti di bullismo, tentativi di suicidio e perfino un presunto abuso sessuale nei confronti di un quindicenne da parte dei compagni di cella. Senza che niente di tutto ciò fosse comunicato all’autorità giudiziaria. Fatti gravissimi, insomma, che valsero al Pratello il soprannome di “carcere dell’orrore” e che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 35 persone da parte della Procura di Bologna. Ma Paggiarino, che stamane ha incontrato la stampa per presentare il nuovo spettacolo teatrale che i ragazzi porteranno sul palcoscenico, vuole tracciare una riga sopra sul passato: “Io guardo avanti, e non indietro. Sto portando l’istituto al massimo dello splendore, ho tante idee”. Per il direttore al Pratello c’è “una situazione assolutamente normale, può capitare che due ragazzi litighino o si prendano a pugni, ma succede anche in altri istituti, e anche nelle scuole”. Al momento al Pratello ci sono 20 ragazzi, di cui tre italiani: “I condannati in via definitiva - dice ancora Paggiarino - sono sette o otto. Per la maggior parte si tratta di maggiorenni”, perché per legge si può stare in un carcere minorile fino al 21esimo anno di età. Il direttore, però, insiste: “Qui è tutto tranquillo, si fanno tante attività, il teatro, i corsi di formazione. Voglio che scompaiano le parole ‘caos’ e ‘orrorè associate al Pratello. I ragazzi quando mi vedono la mattina mi corrono incontro, mi abbracciano, e mi fanno richieste normali: chi vuole telefonare alla fidanzata, chi vuole un colloquio coi genitori. Io non vengo a lavorare con l’angoscia”. Certo, c’è il problema della ristrutturazione: i cantieri, aperti da anni, sono fermi da tempo e non si sa quando riprenderanno. “Sollecitiamo continuamente la conclusione dei lavori”, assicura Paggiarino che, però, fa capire che non ha potere decisionale sulla partita. Nello spettacolo che andrà in scena dal 30 novembre al 15 dicembre, anche il regista Paolo Billi, “con una metafora”, dirà la sua sulla bufera che si è abbattuta sul Pratello: “Ho taciuto per tutto questo tempo - si limita a dire oggi - ma ci sono stati picchi di morbosità che hanno distrutto in fretta il lavoro di anni. Leggere che il teatro era una sorta di cartapesta che celava il castello degli orrori è stato assai pesante”. Roma: Comune sospende il Servizio; bimbi di Rebibbia non possono andare all’asilo nido Ansa, 30 ottobre 2012 L’associazione “A Roma, insieme” denuncia l’interruzione della possibilità per i bambini che con le loro madri sono all’interno del carcere romano di Rebibbia, di poter andare ai nidi comunali esterni. Il Comune di Roma ha interrotto il servizio. “I bambini da zero a tre anni, reclusi con le loro madri - fa sapere Gioia Cesarini Passarelli, presidente dell’ associazione di volontariato - vengono così privati oltre che dell’esperienza scolastica, fondamentale per il percorso di crescita di tutti i bambini, della possibilità di limitare i danni della carcerazione. Nonostante le sollecitazioni da parte della Direzione del carcere di Rebibbia Femminile e l’impegno del V Municipio, il servizio non è a tutt’oggi disponibile: dopo solo due giorni di inserimento, realizzatosi grazie agli operatori del V Municipio e ai nostri volontari che hanno garantito l’accompagnamento dei bambini, il pulmino non è stato più inviato e non ci è dato di sapere quando lo sarà di nuovo”. Firenze: giardinaggio e recupero sociale dei detenuti, al via il progetto “Crei” www.gonews.it, 30 ottobre 2012 Continua il binomio tra giardinaggio e percorsi di reinserimento sociale dei giovani del Centro di Giustizia Minorile di Firenze. Dopo il successo dell’aiuola biodinamica di piazza Beccaria (realizzata nell’ambito del progetto Iperico su input dell’Amministrazione comunale), oggi ha preso il via un nuovo progetto di formazione professionale rivolto sempre ai giovani in carico al Centro di Giustizia Minorile. Si tratta del progetto Crei che, nato grazie ad un finanziamento della Provincia di Firenze e con la collaborazione dell’Amministrazione comunale (assessorati al welfare e all’ambiente) e del comprensorio Le Cure, viene realizzato, come è stato per Iperico, dall’agenzia Apab. Si tratta di una opportunità unica di supporto al processo di riabilitazione dei giovani a rischio di esclusione sociale che stanno tentando un difficile reinserimento: un percorso formativo di taglio pratico in agricoltura biodinamica, giardinaggio e piccole manutenzioni. L’attività formativa permetterà infatti di acquisire competenze operative immediatamente spendibili nel mercato del lavoro, non in solo in aziende agricole ma anche nel settore contiguo del giardinaggio. Consentirà ai ragazzi quindi di impiegare il tempo in modo proficuo e di acquisire una chance di recupero di un ruolo attivo e positivo nella società. Il corso si svolge principalmente nell’area “Pellegrino” di via dei Bruni, dove su un terreno di proprietà del Centro di Giustizia Minorile è stato realizzato un laboratorio agricolo. “Continua il rapporto virtuoso tra ambiente e sociale con il coinvolgimento, questa volta, del carcere minorile per il qualche l’aspetto della formazione e del reinserimento sociale è particolarmente importante - commentano gli assessori all’ambiente Caterina Biti e al welfare Stefania Saccardi. Recuperare un ragazzo minorenne è dare una speranza non solo alla persona ma anche alla società”. Cuneo: appiccò il fuoco alle lenzuola in cella, detenuto condannato per danneggiamento Ansa, 30 ottobre 2012 L’uomo aveva già manifestato segni di grave disagio. Trentacinque euro di lenzuola e cuscini. A tanto ammonterebbe il danno causato da un detenuto di nazionalità marocchina che questa mattina è stato condannato dal Giudice di Cuneo a 4 mesi per danneggiamento. I fatti si riferiscono al 2011. L’imputato, agli arresti nel carcere di Cerialdo, aveva manifestato evidenti segni di disagio. L’uomo, in cella con altri detenuti, aveva dato in escandescenza appiccando il fuoco alle lenzuola della branda, probabilmente per farsi spostare in isolamento. La difesa, che ha chiesto l’assoluzione dell’uomo: “I testi che sono stati sentiti non hanno visto nulla e gli agenti che avrebbero assistito non sono stati chiamati durante l’istruttoria del processo. Addosso all’imputato non sono stati trovati né un accendino né dei cerini. Potrebbero essere stati gli altri detenuti che erano in cella ad appiccare il fuoco proprio per sbarazzarsi di lui”. Roma: Regina Coeli, la poesia va in galera di Maria Grazia Calandrone Il Manifesto, 30 ottobre 2012 Soltanto i fatti parlano di noi. È da sempre una mia convinzione. Dunque tento di persuadere anche le parole a essere fatti. A Regina Coeli, in questo luogo di restrizione, in una sala piena di “cattivi ragazzi”, le parole tornano ad avere il gusto dolceamaro della salvezza. Appena entro, superato un mio istante superfluo di ingenuo entusiasmo per il monumentale introito del carcere, un signore distinto mi racconta la storia kafkiana di uno scambio di valigie in aeroporto. In una di queste c’era la droga. Ma la valigia non era sua, dice. C’era il nome di un altro, dice. Adesso l’uomo è diventato un “detenuto in attesa di giudizio”. I nomi cambiano la nostra percezione di noi stessi: nei campi di concentramento veniva tolto il nome insieme ai capelli e agli abiti civili. Ma le parole non si arrestano nemmeno con la censura, è noto. Qui sono urlate, malinconiche o imbevute di un pianto trattenuto, come spugne che siano state troppo a lungo immerse in una cieca e sorda profondità. La dannazione e la benedizione dei ricordi. La condanna, oltre che nella privazione della libertà, consiste nella costrizione a una vita sotto gli occhi di tutti. Il detenuto non è mai solo. Anzi, si trova in una contiguità strettissima con i compagni, occasionali e di etnie diverse. Questo significa la coabitazione coatta, nella metrata scarsa della quale ciascun carcerato dispone, con culture incredibilmente lontane dalla propria: nell’alimentazione, negli orari del sonno e della veglia, nella preghiera e in tanti casi nella solitudine: la maggior parte dei detenuti extracomunitari non ha parenti che portino i cinque chili di pacco settimanale, dunque deve accontentarsi di un vitto dalle condizioni igieniche disperanti. Va da sé che i detenuti “indigeni” spesso spartiscano quello che mandano loro i familiari: a causa del sovraffollamento il vitto è scarso e non dev’essere facile mangiare a mezzo metro di distanza da uno che ha fame. Quello di questi uomini non è però un lamento, è una protesta, sebbene già scorata: sanno di stare sfiorando con le loro esistenze degli interessi più grandi di loro, anche quando parlano di dettagli come due rubinetti rotti che da mesi gettano acqua a cannella aperta. Pare che il carcere non sia in grado di sostenere la spesa di due guarnizioni nuove. Eppure, un detenuto costa allo stato 314 euro al giorno. I “detenuti in attesa di giudizio”, che risulteranno magari innocenti, vengono comunque mantenuti dalle vostre tasche, tengono a precisare. Ma il problema del sovraffollamento è invece insistente e serissimo. Mi pregano di scrivere che, quando si dichiara che i detenuti di Regina Coeli sono 1.000, si dimentica di precisare che due dei padiglioni sono chiusi da anni per ristrutturazione, dunque le celle, che nessuno è ammesso a visitare, ospitano ciascuna sei detenuti, stipati in due file di tre letti a castello spinti contro le opposte pareti. Il letto in basso soffre di una cronica mancanza d’aria. Non si sta tutti in piedi nella cella. Se un numero di due detenuti è in piedi, gli altri quattro sono costretti nelle brande. Da un crescente borbottare alla mia sinistra sbotta fuori dalla bocca di un bel ragazzetto moro il re-tropensiero di tutti quelli che non trovano interessanti i disagi della popolazione carceraria, inclusi gli organi d’informazione. Er moretto se guarda ‘ntorno cò ll’occhi fieri e indolenti e fa: a regà, se stamo a sentì noi semo tutti innocenti! Aò, ma se stamo qua un motivo ce sarà, peggio pè nnoi che nun c’avemo pensato prima! La protesta è istantanea e corale: a regazzì e t’ho capito, ma c’è modo e modo d’esse puniti, mica semo bestie! Questa battuta corrisponde all’apertura ironica e amara della lettera - rimasta a oggi come si suol dire “lettera morta” - che la “popolazione carceraria della IV sezione” scrive l’8 agosto scorso al ministro della giustizia Paola Severino (in visita alle carceri in compagnia del presidente ora dimissionario della Regione Lazio Renata Polverini). Scrivono i detenuti al ministro: se l’opinione pubblica mostra tanta sensibilità al problema del sovraffollamento nei canili non resterebbe certo indifferente se solo sapesse che altri esseri umani sono stretti a vivere come galline in batteria. Se sapesse che supplemento di pena ci viene dato ogni giorno. Già, se sapesse… Nel documento, che mi viene trasmesso da Franco Fioravante, i detenuti denunciano uno per uno, in ordine evidente di lesione dell’io, i fatti che mi hanno tanto accoratamente esposto durante la mia visita: primo fra tutti l’ormai noto tema del sovraffollamento con tutti i già descritti corollari; e poi, scrivono, i colloqui con i familiari sono privi di una qualsiasi intimità e spesso relegati dietro un vetro: le visite durano un’ora scarsa a settimana e si svolgono ai due lati di un tavolo che permette ai congiunti di sfiorare le mani al proprio caro solo sdraiandosi sul tavolo stesso; infine, i familiari debbono fare il sacrificio di fornire denaro al “proprio” prigioniero, perché egli possa acquistare generi di prima necessità, che però in carcere vengono venduti a un prezzo tre volte maggiore che “fuori”. Questo mitico “fuori” dal quale tutti proveniamo. Chiude la lettera una sensatissima riflessione intorno alla sproporzione della pena per dei ragazzi che hanno provato a rubare un motorino. Il carcere - o meglio, questo carcere, scrivono, anziché rieducarli ne amplifica il lato oscuro. Non è dunque superfluo ricordare la differenza tra espiazione e rieducazione, altrimenti il carcere finisce per volgere esclusivamente l’equivoca funzione di discarica sociale: allo stato attuale ospita infatti indiscriminatamente, senza riabilitarli e prepararli a un diverso futuro, tutti gli individui che sarebbero dannosi alla società, incluse persone affette da disagi psichiatrici, ai quali vengono comminati psicofarmaci per mero scopo di sedazione. Non sono rari i suicidi (due dall’inizio del 2012) e molteplici i tentativi di togliersi la vita. Questi uomini non chiedono che venga loro abbreviata la pena, chiedono di viverla in condizioni umane. Ecco dunque una piccola massa umana qui presente che espone se stessa come un muro compatto di sentimenti e manifesta una voglia grande di parlarne con chi non appartiene al loro mondo ma rappresenta un altrove glorioso dove si crede che i propri gesti e le proprie parole vengano presi in considerazione. Prometto. Ma sono qui per parlare di poesia, questi uomini sono venuti qui anche per ascoltare le parole dei poeti. Ho con me Caproni, Celan, Mandel’stam, Sereni: le parole sfuggite all’esilio, la parola che tocca la condizione umana più marginale ed estrema e la pone sul nudo altare della pagina, in quel “sempre”, in quel “fuori” cui questi uomini aspirano. Alcuni fra loro, nell’entusiasmo della lettura comune, ancora titubanti, vanno a prendere in cella i testi scritti da loro. Uomini che si espongono doppiamente. Leggiamo insieme, ci commuoviamo, applaudiamo. È un momento raro. Ecco tra noi la nudità e il contatto nel quale tutti speriamo e che ha con sé la poesia, nella sua grazia essenziale, completamente priva. Forse questo è il pericolo che porta: sentirci tutti uguali, tutti umani. La poesia, la cultura, devono avere molto a che fare con il fantasma di un rischio sociale se i detenuti, per ragioni che ci parrebbe utile indagare, possono ricevere ogni mese solo un numero di 5 tra libri e riviste. Eppure sappiamo tutti che la cultura aiuta a sviluppare il senso critico (e dunque anche autocritico) e la lettura è a volte una “evasione” (quanto diversamente suona questa parola tra queste mura! - e lo sanno e la dicono con ironia) che aiuta almeno a far passare il tempo. Ma la parola non si può arrestare. Alcuni, quando si spengono le luci, hanno bastante energia e speranza - o hanno abbastanza nostalgia e ferocia per se stessi o amore per chi è lontano per causa loro - per scrivere poesie. Napoli: pensato dai giovani detenuti di Nisida il calendario della Polizia di Stato 2013 Agi, 30 ottobre 2012 Come sempre dedicato alla sicurezza e alla solidarietà, il nuovo calendario è il risultato di un progetto originale che vede la partecipazione dei ragazzi detenuti nell’Istituto Penale di Nisida, degli studenti della scuola internazionale di Comics, dell’Istituto cinematografico Rossellini di Roma e della Nikon. La scelta è nata seguendo la filosofia che da alcuni anni caratterizza l’attività della polizia: avvicinare sempre più i giovani alle istituzioni. L’Istituto Penale di Nisida fa parte del progetto per la rieducazione e il recupero dei minorenni che scontano una pena ed è sede del Centro Europeo Studi e Osservatorio Europeo permanente sul fenomeno della devianza penale minorile. I giovani detenuti hanno sviluppato l’idea di base, il concetto da esprimere nello scatto di ogni mese e la tecnica da usare per realizzarlo. Il materiale da loro prodotto è stato poi consegnato agli studenti della scuola internazionale di Comics, altri giovani che diventeranno illustratori e fumettisti, i quali, basandosi sulle descrizioni ricevute, hanno messo in pratica le tecniche studiate e la loro fantasia per disegnare le tavole che diventeranno le pagine dei dodici mesi del 2013. Come per gli anni scorsi, i fondi ricavati dalla vendita del calendario saranno destinati a finanziare iniziative di solidarietà. Quest’anno è la volta del progetto “Acqua e igiene nelle scuole” promosso dall’Unicef in Tanzania, dove un terzo delle morti dei bambini è causato dalla contaminazione oro-fecale dell’acqua e dalla scarsa igiene. Lo scorso anno la vendita dei calendari della Polizia di Stato ha permesso di devolvere circa 240 mila euro al progetto Unicef per il Camerun contro la malnutrizione infantile. Il nuovo calendario 2013 è disponibile in tre formati: quello da parete, con dimensioni cm. 40x40, al costo di 8 euro, quella da tavolo e il planning, al costo di 6 euro, che si possono prenotare rivolgendosi all’U.R.P. Ufficio Relazioni con il Pubblico della Questura con la ricevuta di versamento del relativo importo su conto corrente postale n.745000 intestato a “Unicef Comitato Italiano” causale “Calendario della Polizia di Stato 2012 per il progetto Unicef Tanzania”. L’U.R.P. è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e nei giorni di lunedì, martedì e giovedì dalle 15 alle 18. Le prenotazioni saranno accettate fino al 20 novembre prossimo. Meglio prenotarlo subito per non rischiare di perderlo. Infatti, la grande partecipazione dimostrata negli anni passati può essere ripetuta anche quest’anno ed è prevedibile che, alla fine, il numero delle prenotazioni superi la tiratura prevista. Napoli: i giovani detenuti del carcere di Airola parteciperanno al Festival di Napoli www.festivaldinapoli.eu, 30 ottobre 2012 Alle selezioni del Festival di Napoli parteciperanno anche i giovani detenuti del carcere di Airola. Il progetto approvato dal Ministero della Giustizia e dal Dipartimento di Giustizia Minorile. Padova, 30/10/2012 (informazione.it - comunicati stampa) La notizia sta già catalizzando l’attenzione dei media: nella serata di venerdì 2 Novembre 2012 dentro il carcere di Airola, cittadina in provincia di Benevento, si terrà l’11esima selezione del famoso “Festival di Napoli”. Alcuni giovani gruppi napoletani partecipanti al Festival si uniranno con altrettanti giovani detenuti per partecipare alla nota kermesse. Questo per far si che la Giuria Tecnica non possa distinguere i giovani detenuti dai normali partecipanti, per non essere influenzata. Tutto ciò è parte del progetto del “Festival di Napoli” che quest’anno rivolge lo sguardo al “Sociale” e contribuisce, attraverso l’arte, alla riabilitazione di giovani detenuti prossimi alla scarcerazione. Il Festival riconoscerà agli eventuali finalisti una sorta di borsa di studio o meglio un vero e proprio stipendio mensile e un contratto discografico, che permetterà di sopravvivere, una volta fuori del carcere, potendo intraprende la carriera artistica grazie a questo sostegno. Un messaggio forte e concreto in un momento in cui la micro-criminalità, in special modo a Napoli, è presente e mina la sicurezza sul territorio. Napoli si vuole presentare al mondo per ciò che è realmente e non più con l’immagine retorica fatta di pizza e mandolini ma con una forza artistica del tutto innovativa insieme ai ragazzi di Scampia, della Sanità, dei Quartieri Spagnoli… che non amano solamente banali melodie ma sono immessi nel fiume estetico della contemporaneità; fanno il “Rap”, mostrano le piaghe del sistema con la forza dell’amore, della musica e soprattutto con una “napoletanità” nuova che li rende appetibili nel mondo intero. Il Festival di Napoli e il Presidente Nicola Convertino dopo mesi di lavoro sono riusciti ad avere l’attenzione del Ministero della Giustizia e del Dipartimento di Giustizia Minorile attorno a questo progetto originale. Così hanno ufficialmente ottenuto il permesso di far partecipare questi giovani detenuti alla selezione, compresa la possibilità di effettuare riprese televisive. Si tratta di un evento di carattere straordinario e denota un’apertura culturale nel sistema della giustizia che tende al recupero in forme nuove e originali. Il Festival di Napoli pertanto, accanto al normale svolgimento della manifestazione, vuole lanciare un segnale forte d’impegno verso i giovani, soprattutto quelli più disagiati della città. In questo senso i premi istituiti sono degli aiuti veri e propri, oltre ai consueti contratti discografici parliamo di stipendi. Questo vale sia per eventuali vincitori provenienti dal carcere di Airola che per altri vincitori che parteciperanno alla normale selezione. Venerdì insomma assisteremo ad un evento eccezionale che sicuramente sarà all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e non solo. All’interno della Giuria Tecnica ci saranno presenze “forti” come il DJ Aniceto del “Chiambretti Night”, che è membro della Consulta degli esperti e operatori per il Dipartimento per le politiche anti-droga a Palazzo Chigi e il Professor Luigi Caramiello membro della rete Unar (Ufficio Anti-discriminazioni Razziali) della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Queste presenze aiuteranno la riflessione sugli strumenti e i modi per aiutare giovani che hanno avuto un passato difficile. Bologna: teatro-carcere; i detenuti dell'Ipm tornano a recitare, ma mancano fondi Adnkronos, 30 ottobre 2012 Un'attività che va avanti da 14 anni, ma che sta diventando "sempre più precaria", con una quasi totale "incertezza sulle risorse". Tanto che quest'anno lo spettacolo ormai tradizionale dei giovani detenuti del carcere minorile del Pratello di Bologna ha rischiato di saltare. E alla fine si farà solo perchè la cooperativa Teatro del Pratello "ha deciso di assumersi il rischio senza avere nessuna assicurazione sulla totale copertura dei costi". è un lungo sfogo quello di Paolo Billi, regista della compagnia, che stamane ha presentato alla stampa la sua ultima fatica 'dietro le sbarrè, "Danzando Zarathustra", che andrà in scena dal 30 novembre al 15 dicembre. "Ormai- sbotta Billi- non solo non riusciamo più a fare la programmazione pluriennale, ma anche quella annuale è diventata difficile, così la facciamo semestralmente. Al momento non abbiamo nessuna certezza sui fondi della Fondazione Carisbo e su quelli della Regione. Ma noi siamo una cooperativa che nel carcere ci lavora, non facciamo volontariato". A settembre è stata rinnovata la convenzione con Comune e Provincia, "senza pero' che venissero definiti i fondi che saranno decisi anno per anno". Insomma, "è stata data stabilità alla precarietà. E mi dispiace che il mio giudizio venga da gente che non è mai neanche venuta a vederlo". A Billi, pero', risponde immediatamente Patrizia Rigosi, direttore del settore Cultura del Comune, che premette di non essere "del tutto d'accordo" con il j'accuse del regista. "La nuova convenzione - spiega Rigosi - andrà avanti fino alla fine del mandato, quindi fino al 2016. E questo mi sembra il contrario della precarietà. Vero che non abbiamo indicato le risorse, ma perchè anche noi abbiamo su questo fronte continui cambiamenti in corso d'anno". Aver stipulato una convenzione col Teatro del Pratello significa, pero', averlo inserito "tra i nostri interlocutori privilegiati". E quest'anno il contributo di Palazzo d'Accursio sarà di 4.000 euro, "cifra molto simile a quella degli anni passati". Dalla Provincia, invece, arriveranno altri 10.000 euro, a cui vanno aggiunti i 20.000 euro del Centro di giustizia minorile, i 15.000 della Fondazione Del Monte, i 2.000 di Asp Irides e i 3.500 di Manutencoop. Manca ancora la certezza sull'entità del contributo della Fondazione Carisbo (che l'anno scorso stanzio' 10 mila euro) e della Regione. Un appoggio convinto arriva dal neo direttore dell'istituto, Alfonso Paggiarino, arrivato in via del Pratello il 5 luglio: "Finchè ci sono io il teatro non andrà mai via", assicura. Lo spettacolo vedrà sul palco 10 dei 20 detenuti del Pratello: in tutto saranno 15 repliche, dal 30 novembre al 15 dicembre. Le prenotazioni saranno attive dal 2 novembre: va detto, infatti, che per entrare bisogna avere l'ok dell'autorità giudiziaria visto che il teatro è interno al carcere. Televisione: Speciale TG1 “Vale la pena?... a chi fa paura che un uomo ombra che parla? www.carmelomusumeci.com, 30 ottobre 2012 Speciale Tg1 “Vale la pena?”. Rai Uno, 28 Ottobre 2012. Con riferimento alla trasmissione in oggetto, che pur è stato un documentario di buona qualità, ci sembra doveroso specificare che nell’intervista a Carmelo Musumeci è stato omesso di dire che la sagoma e la voce non erano del Musumeci, ma di un attore che recitava con parole scritte dallo stesso Musumeci. E che non era stato possibile realizzare una vera intervista visiva per mancata autorizzazione. Questo, ribadiamo pur nell’ambito di un buon lavoro, in qualche modo ha deformato il senso stesso dell’intervista, dando l’impressione di persona che voglia quasi nascondersi. Cosa che non è. Rimane da chiedersi come mai il Dap continui ad ignorare o addirittura negare le richieste di coloro che chiedono di intervistare Carmelo Musumeci: eppure nel documentario di ieri sera non sono mancate interviste ad altri detenuti con fine pena mai e ampi servizi sul carcere di Padova, dove è attualmente ristretto lo stesso Carmelo Musumeci. Libri: “Il perdono responsabile”, di Gherardo Colombo www.varesenews.it, 30 ottobre 2012 L’ex magistrato Gherardo Colombo sarà ospite dell’università dell’Insubria mercoledì 31 ottobre. Alle 10, nell’aula magna del Chiostro di Sant’Abbondio a Como (e in videoconferenza a Varese), presenterà il volume “Il perdono responsabile. Si può educare al bene attraverso il male? Le alternative alla punizione e alle pene tradizionali”. L’iniziativa è organizzata nell’ambito dei corsi di diritto penale e di mediazione penale. Discuteranno con l’autore Grazia Mannozzi e Giovanni Lodigiani. In occasione della presentazione del volume verrà proiettato un demo del video “Pena e Riparazione: il futuro della giustizia penale” di prossima uscita. Il perdono responsabile (edito da Ponte Delle Grazie) - La gran parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere; la maggior parte di essi non viene riabilitata, come prescrive la Costituzione, ma semplicemente repressa, e privata di elementari diritti sanciti dalla nostra carta fondamentale - come ne vengono privati i loro cari; la condizione carceraria, per il sovraffollamento, la violenza fisica e psicologica, è di una durezza inconcepibile per chi non la viva, e questa durezza incoraggia tutt’altre tendenze che il desiderio di riabilitarsi; la cultura della retribuzione costringe le vittime dei crimini alla semplice ricerca della vendetta, senza potersi giovare di alcuna autentica riparazione, di alcuna genuina guarigione psicologica. È possibile pensare a forme diverse di sanzione, che coinvolgano vittime e condannati in un processo di concreta responsabilizzazione? Gherardo Colombo indaga le basi di un nuovo concetto e di nuove pratiche di giustizia, la cosiddetta giustizia riparativa, che lentamente emergono negli ordinamenti internazionali e nel nostro. Pratiche che non riguardano solamente i tribunali e le carceri, ma incoraggiano un sostanziale rinnovamento nel tessuto profondo della nostra società: riguardano l’essenza stessa della convivenza civile. Libri: quando la pena diventa un delitto. Dello Stato di Eleonora Martini Il Manifesto, 30 ottobre 2012 Un saggio di Franco Corleone e Andrea Pugiotto edito da Ediesse. Quando la pena stessa diventa delitto commesso dallo Stato, nessun cittadino può dichiararsi innocente. Ecco perché l’appello del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che un anno fa parlò di “prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” a cui le istituzioni non possono rimanere sorde, non avrebbe dovuto cadere nel nulla come invece è avvenuto. Depenalizzazione e decarcerizzazione sono misure che al momento abbiamo visto solo per reati che non influiscono minimamente su quel sovraffollamento che rende “le carceri italiane in una condizione di conclamata, abituale, flagrante violazione della legalità costituzionale, attestata dagli stessi organi apicali delle Istituzioni e della Giustizia”, come più volte ricordato dal leader radicale Marco Pannella. Una “notizia” - “non un’opinione, né un retroscena, ma un fatto” - che però questa volta viene analizzata a fondo nelle sue forme e nelle sue origini da due esperti come Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze e presidente della Società della Ragione, e Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale all’università di Ferrara, nel volume “Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere”, edito dai tipi di Ediesse. Il saggio raccoglie una serie di interventi attorno ai temi della pena e della sua esecuzione (in Italia e nel mondo) usando come strumento di riflessione quattro recenti pubblicazioni: “Il diritto di uccidere, l’enigma della pena di morte” di Piero Costa, “Contro l’ergastolo” di Stefano Anastasia e Corleone stesso, “La repubblica del dolore, memorie di un’Italia divisa” di Giovanni De Luna, e “Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri” di Luigi Manconi e Valentina Calderone. In appendice alcuni scritti, inediti nella loro interezza, del capo dello Stato Giorgio Napolitano. Libri: Jailhouse rock, suoni e suonatori nel mondo delle prigioni di Eleonora Martini Il Manifesto, 30 ottobre 2012 Antologia di musicisti che hanno conosciuto l’arresto. Un volume di Patrizio Gonnella e Susanna Marietti. Da Elvis Presley e i Blues Brothers in poi. Cento star della musica finiti in una cella al di qua e al di là dell’oceano Atlantico Cos’hanno in comune Roberto Vecchioni e James Brown? E a chi verrebbe mai in mente, immaginando la “tipica” faccia dietro le sbarre di una galera, uno come Ray Charles o una come Aretha Franklin? Eppure “non c’è mestiere più rischioso di quello del musicista”, oggi, ai tempi delle Pussy Riot recluse per una canzone anti-Putin dal regime repressivo di Mosca, come ieri, quando Joan Baez scontava la sua pena per aver scelto di schierarsi contro la guerra del Vietnam, o quando Chet Baker finì per svernare, nel lontano 1961, nelle celle di Lucca. Lo testimoniano le cento storie di altrettanti musicisti finiti dietro le sbarre, al di qua e al di là dell’oceano Atlantico, raccolte nel volume “Jailhouse Rock”, avvincente e divertente quanto interessante, appena uscito per l’Arcana edizioni a cura di Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, rispettivamente presidente e coordinatrice dell’associazione Antigone. Musicisti colpevoli o innocenti, puniti a volte per il loro stile di vita o per le loro scelte politiche ma soprattutto, nella maggior parte dei casi, finiti al fresco per reati legati all’uso di sostanze. Artisti che non si danno pace per l’inatteso destino che li ha colti, come George Michael, o che vivono “una vita borderline, tra droghe e alcol, legalità e illegalità” come Amy Winehouse. Storie che ci raccontano delle prigioni italiane e statunitensi, inglesi e africane, sudamericane, francesi o giapponesi. Da Buju Banton che deve rinunciare ai propri dreadlocks, l’acconciatura tipica del Rastafarianesimo a cui è votato, nella prigione di Tampa, in Florida, dove è attualmente detenuto per traffico di stupefacenti, ai pianti delle persone torturate ascoltate da Caetano Veloso che da dissidente provò il carcere dittatoriale brasiliano, come accadde peraltro anche a Gilberto Gil, divenuto poi ministro della cultura di Lula. Da Elvis Presley e i Blues Brothers in poi, ci sono tutti: dai Dead Kennedys a Fela Kuti, dallo storico concerto di Jonny Cash nella prigione di Folsom, alla carcerazione dei Beatles, da Elvis Costello a Cristiano De André, dai 99 Posse a Leadbelly, da Vasco Rossi a Frank Sinatra, da Patty Pravo a Bertrand Cantat, il frontman dei Noir Désir. Storie che Gonnella e Marietti hanno raccolto per la trasmissione musicale che la coppia (nella vita come nel lavoro) ha ideato e conduce settimanalmente (ogni lunedì in diretta e domenica in replica, dalle 21 alle 22,30) dai microfoni di Radio Popolare: “Jailhouse Rock: suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni”. Storie che ci parlano di noi, da qualunque parte delle sbarre sia collocato attualmente il nostro punto di vista. Turchia: sit-in curdi davanti al Parlamento europeo, sostengono sciopero fame detenuti Ansa, 30 ottobre 2012 Poliziotti in assetto antisommossa davanti alla sede del Parlamento europeo durante la protesta dei cittadini curdi a Bruxelles Poliziotti in assetto antisommossa davanti alla sede del Parlamento europeo durante la protesta dei cittadini curdi a Bruxelles. Un sit-in di fronte alla sede del Parlamento europeo a Bruxelles, organizzato dai cittadini curdi che vivono in Belgio, per chiedere la fine dell’isolamento per Abdullah Ocalan, il leader curdo in carcere nell’isola carcere di Imrali in Turchia. L’iniziativa che si è svolta oggi è nata per sostenere lo sciopero della fame iniziato in Turchia dai membri dei partiti del PKK e da più di 700 prigionieri politici curdi in prigione. Lo sciopero della fame mira anche a ottenere il riconoscimento dell’uso della lingua curda come lingua madre nell’istruzione scolastica e il suo uso durante la difesa nei tribunali. A sostegno della protesta ci sono anche l’artista Cevat Mervani, il giornalista e scrittore Mustafa Pekuz e molti politici curdi. Turchia: ministero Giustizia, familiari potranno visitare leader curdo Ocalan in carcere Nova, 30 ottobre 2012 Fonti del ministero della Giustizia turco hanno riferito oggi che i familiari del fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan, Abdullah Ocalan, potranno visitare il loro congiunto in prigione. Come riferisce il quotidiano “Zaman”, il ministero spera cos di porre fine allo sciopero della fame cui hanno aderito centinaia di detenuti curdi in tutto il paese per chiedere la fine dello stato di isolamento di Ocalan in carcere e maggiori diritti per i prigionieri curdi. Lo sciopero della fame dei detenuti curdi ha suscitato forti reazioni nel paese e nel resto dell’Europa. Il 24 ottobre scorso, il ministro della Giustizia turco, Sadullah Ergin, aveva fatto visita ai detenuti della prigione di Sincan, giunti al 43mo giorno di sciopero della fame, per verificare le loro condizioni e li aveva invitati a fermare la protesta per tutelare la propria salute. Ocalan rinchiuso nella prigione di Imrali dal 1999, quando stato condannato a morte per attività terroristiche. Tre anni più tardi, nel 2002, la Turchia ha abolito la pena di morte e la sua condanna stata convertita in ergastolo. Nel 2005, tuttavia, la Corte di giustizia europea ha stabilito che il processo nei confronti del leader separatista, fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), stato “ingiusto”. Nella sentenza si sostiene che il “ricorrente” non stato giudicato da un tribunale indipendente e imparziale. Vietnam: Amnesty; due cantautori rischiano 20 anni di prigione Tm News, 30 ottobre 2012 Amnesty International ha chiesto l’immediato rilascio di due cantautori vietnamiti, che il 30 ottobre rischiano di essere condannati a 20 anni di carcere per “propaganda contro lo stato”, ai sensi dell’articolo 88 del codice penale. Vo Minh Tri, conosciuto come Viet Khang, 34 anni e Tran Vu Anh Binh, famoso come Hoang Nhat Thong, 37 anni, sono stati arrestati nella seconda metà del 2011 e posti in detenzione preventiva nel carcere n. 4 di Phan Dang Luu, a Ho Chi Minh City. I loro brani parlano di giustizia sociale e diritti umani ma a provocare gli arresti sono stati quelli che criticano le pretese territoriali della Cina sul Mar cinese meridionale (Mar orientale per il Vietnam) e la reazione delle autorità vietnamite alle rivendicazioni di Pechino. “Questo è un modo grottesco di trattare le persone soltanto perché scrivono canzoni. Vo Minh Tri e Tran Vu Anh Bing sono prigionieri di coscienza, detenuti soltanto per aver esercitato in modo pacifico il loro diritto alla libertà di espressione, attraverso le loro canzoni e altre azioni nonviolente” - ha dichiarato Rupert Abbott, ricercatore di Amnesty International sul Vietnam. “Le autorità vietnamite devono rispettare gli obblighi nazionali ed internazionali sul diritto alla libertà di espressione, anche attraverso la musica e altri mezzi di comunicazione”. Ucraina: negata a rappresentanti Osce visita a Tymoshenko, che ha iniziato sciopero fame Tm News, 30 ottobre 2012 Le autorità ucraine hanno annullato la prevista visita di rappresentanti dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) a Yulia Tymoshenko, la leader dell’opposizione che si trova in stato di detenzione per scontare una pena a sette anni di carcere. Il “niet” alla visita viene dopo che ieri gli osservatori Osce hanno duramente criticato le elezioni politiche ucraine e Tymoshenko ha iniziato un nuovo sciopero della fame per protestare contro quelli che lei asserisce essere stati brogli elettorali. Il servizio penitenziario ucraino ha spiegato il diniego all’autorizzazione per la visita con “l’impossibilità di effettuarla” a causa del “rifiuto della signora Tymoshenko di mangiare e della necessità di essere sorvegliata permanentemente da medici”. Gli osservatori Osce hanno definito ieri l’andamento delle elezioni politiche, che hanno visto la vittoria del Partito delle regioni del presidente Viktor Yanukovich, “un passo indietro” nel cammino della democrazia. A questo giudizio estremamente critico si sono poi unite l’Unione europea (Ue) e gli Stati Uniti. Poche ore dopo la conferenza stampa degli osservatori Osce, la leader dell’opposizione, che si trova in una struttura sanitaria per essere curata da un’ernia al disco, ha annunciato l’avvio di un nuovo sciopero della fame. Tymoshenko s’è già astenuta dall’assumere cibo nella scorsa primavera per protestare contro le sue condizioni detentive in carcere. Yulia Tymoshenko è in carcere da agosto 2011 ed è stata condannata a sette anni di prigione per abuso di potere. L’inchiesta che l’ha portata dietro le sbarre è relativa ai contratti per la fornitura di gas firmati nel 2009 con l’allora primo ministro russo (e oggi presidente) Vladimir Putin. L’ex pasionaria della rivoluzione arancione, inoltre, deve difendersi da un’altra serie di accuse. La numero uno dell’opposizione sostiene di essere assolutamente innocente e afferma che i suoi guai giudiziari sono dovuti a un tentativo da parte del presidente Yanukovich di farla fuori dalla scena politica.