In tutta Italia crescono le redazioni dietro le sbarre, ma rimangono forti criticità Dire, 26 ottobre 2012 Crescono le esperienze giornalistiche interne alle carceri. Da “Io e Caino” ad Ascoli Piceno a “Alter ego” di Bergamo, dalla storica “Ristretti Orizzonti” di Padova a “Sosta Forzata” di Piacenza fino a “Carte Bollate” di Milano. Un po’ in tutta Italia, e in particolare nelle regioni centrali come Marche e Abruzzo, si costituiscono redazioni dietro le sbarre. Ma persistono forti criticità. “Il vero problema è dare continuità a queste esperienze”, dice Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti. Il riferimento è al particolare disagio che nasce dal non poter prolungare certi esperimenti redazionali “interrompendo così il sottile filo comunicativo che mette in contatto il carcere con il mondo esterno”. Il punto sulle redazioni formate da detenuti è stato fatto all’interno della V Giornata nazionale dell’informazione dal/sul carcere che si è tenuta a Bologna, nella sede della Regione Emilia-Romagna, e a cui hanno partecipato redattori, giornalisti ed esperti. “Manca un rapporto di stretta collaborazione tra le varie testate”, ha detto il provveditore alle carceri dell’Emilia-Romagna, Pietro Buffa, che denuncia l’assenza di una linea comune tra coloro che si occupano di giornalismo dal carcere. Un punto sottolineato anche da Carla Chiappini, vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna e direttore di “Sosta Forzata” che ha affermato: “I volontari hanno bisogno di condividere obiettivi importanti al fine di avere un impatto maggiore con la realtà esterna”. Come comunicare il sociale, andando oltre la notizia. È questo secondo Paola Cigarini, referente della Conferenza regionale volontariato giustizia dell’Emilia-Romagna, una delle priorità per chi comunica il carcere. “È fondamentale- ha aggiunto Cigarini- trovare alleanze con la Federazione della stampa e con l’Ordine dei giornalisti per fare pressioni politiche”. Dall’incontro sono emerse chiare richieste di collaborazione, da parte di chi si occupa di giornalismo dal carcere, con chi invece si occupa del cosiddetto giornalismo ordinario. “Rompere il silenzio delle redazioni esterne, quando si parla di carcere è uno dei primi obiettivi che si deve perseguire - ha sottolineato il giornalista Mario Consani - se si vuole coinvolgere l’attenzione della società”. Alla Giornata hanno partecipato anche Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Desi Bruno, garante regionale dei diritti dei detenuti e l’assessore regionale alle Politiche sociali, Teresa Marzocchi, che ha aperto i lavori affermando che “è importante creare condizioni di consapevolezza sociale per ottenere consenso sociale, poiché le politiche sociali sono fatte sia di interventi tecnici che di comunicazione”. Giustizia: memorandum sul “delitto della pena” carceraria a uso di parlamentari distratti di Luigi Manconi Il Foglio, 26 ottobre 2012 Che ogni delitto abbia la sua pena è scritto nel suo stesso esser delitto: non si dà delitto senza pena, senza la pena della vittima o della comunità che ne viene offesa, così come senza la pena del reo, condannato a una qualche forma di sofferenza legale proprio dal fatto che quella offesa sia qualificata come un delitto. Ma questa associazione tra delitto e pena può essere anche ribaltata, per scoprire che la pena stessa può risolversi in un delitto, in una combinazione di azione e reazione che può condurre in un vortice di violenza senza fine. È questa la preoccupazione che ha spinto! Franco Corleone e Andrea Pugiotto a raccogliere in un volume le relazioni, i commenti e le repliche a un ciclo di incontri temutisi a Ferrara lo scorso anno e dedicati, appunto, a “Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere” (Ediesse, 2012). “Bisogna aver visto”, rammentano i curatori, richiamando il testo di Piero Calamandrei che, nel 1949, apriva un numero speciale del Ponte dedicato alle carceri italiane all’indomani della Liberazione (e scaricabile integralmente dal sito della rassegna penitenziaria e criminologica del ministero della Giustizia). In quel numero del Ponte si trovavano testimonianze e proposte di padri della Patria (da Leone Ginzburg a Giancarlo Pajetta, da Vittorio Foa ad Altiero Spinelli) che delle galere fasciste furono ospiti nel ventennio precedente. Bisogna aver visto e testimoniare quel che si è visto. Questo ha fatto a più riprese il presidente Napolitano, che, nel fondamentale discorso al convegno promosso dai Radicali lo scorso anno e pubblicato in appendice a questo libro, pronunciò parole insuperabili sullo stato delle carceri italiane: “Una questione di prepotente urgenza”. E ancora: “Una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso di togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo”. Questa condizione di degrado “non è un’opinione, né un retroscena”, scrivono Corleone e Pugiotto: “È un fatto” con cui bisogna fare i conti, anche per non esserne complici. È ancora del capo dello stato l’appello a rifletterci “seriamente, e presto, da ogni parte”. Questo “da ogni parte” ha sollecitato la sensibilità di Andrea Pugiotto, promotore del ciclo di incontri ferraresi da cui nasce il libro e poi dell’appello dei docenti universitari di Diritto e dei garanti dei detenuti al presidente della Repubblica affinché sollecitasse il Parlamento ad azioni conseguenti alla gravità della situazione. Dal volume emerge un percorso di lettura intorno ai luoghi estremi del carcere, laddove il delitto e la pena cambiano la loro ordinaria consecutio logica: la condizione delle vittime, tra memoria e dolore; la pena di morte e la morte civile dell’ergastolo; i troppo frequenti decessi in stato di privazione della libertà, anche per responsabilità di chi avrebbe dovuto tutelarne l’integrità fisica. Non mancano, nell’introduzione dei curatori, indicazioni su “le cose da fare, subito”, come scriveva Ernesto Rossi nella raccolta del Ponte, prima citata e su quelle da fare dopo, per una riforma organica del sistema delle pene. Intanto, però, occorre dare testimonianza di ciò che si è visto e convincere chi voglia ascoltare che si tratta di una questione di prepotente urgenza. Oltre al capo dello stato, sembrano esserne convinti - provvidenzialmente - altri. Questo giornale, per esempio, e gran parte dei direttori delle carceri; e, poi, moltissimi avvocati e molti magistrati (o ex magistrati, come, se non sbaglio, Gherardo Colombo) e - per dirne una - la Cei. Vi sembra che manchi qualcuno? Beh, sì, esattamente coloro che hanno il potere (e il dovere) di intervenire sul piano legislativo; e che, non a caso, la politologia chiama decisori politici. Con la sola eccezione dei Radicali, di un gruppetto di democratici e di qualche temerario esponente del Pdl, il Parlamento continua a mostrarsi straordinariamente sordo. E, agitando lo stendardo del benaltrismo respinge la strategia più semplice e saggia. Ovvero, quella di introdurre in un sistema, reso parossistico dal riprodursi all’infinito dell’emergenza, un po’ di normalità: attraverso due strumenti costituzionalmente previsti come l’amnistia e l’indulto. Per poi, deflazionata e resa fisiologica la situazione, intervenire con le riforme di struttura sempre auspicate e mai realizzate. Ma tutto ciò è troppo ragionevole per esser preso in considerazione. Giustizia: sciopero fame Rita Bernardini e Irene Testa… iniziativa nonviolenta svegli Stato di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 26 ottobre 2012 Non si arresta la battaglia dei Radicali per ottenere “giustizia” e una situazione vivibile nei penitenziari italiani, al collasso da tempo. L’emergenza non è mai cessata, anzi, probabilmente negli ultimi mesi la condizione di vita dei detenuti è anche peggiorata. Solo negli ultimi giorni ci sono stati diversi suicidi. Per richiamare nuovamente l’attenzione delle istituzioni Rita Bernardini, insieme a Irene Testa, presidente dell’associazione “Detenuto Ignoto” hanno scelto di iniziare una nuova iniziativa “nonviolenta”. Clandestinoweb ha raggiunto telefonicamente la deputata radicale per sapere cosa rischia l’Italia senza provvedimenti seri. Come mai la scelta di iniziare uno sciopero della fame e della sete? Si tratta di una forma particolare di iniziativa nonviolenta. Io e Irene Testa abbiamo iniziato con uno sciopero della fame e lo alterneremo con un totale sciopero della fame e della sete. Questo perché riteniamo che non si possa stare in silenzio dinnanzi alle mancate risposte da parte delle istituzioni sia sulla situazione delle carceri in Italia che su quella della giustizia. Il nostro Paese continua ad essere condannato in sede europea per i tanti milioni di procedimenti penali pendenti. Ecco perché abbiamo deciso che occorreva una risposta democratica non violenta e radicale. Crediamo che sia necessario impegnarsi in prima persona e non rimanere inermi dinnanzi a tali violazioni di diritti. Rispetto all’ultima iniziativa dei Radicali sull’emergenza carceri e giustizia cosa è cambiato? Da tempo sentiamo solo parole vuote, a partire da quelle del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano per arrivare a quelle del ministro Severino che ha promesso provvedimenti risolutivi mai arrivati. Continuiamo a constatare che con i provvedimenti approvati e in discussione la situazione non solo è rimasta la stessa se non aggravata. Solo due giorni fa ci sono stati tre suicidi e questi sono un segnale forte che spiega quale sia lo stato di totale sofferenza della comunità penitenziaria, così dicendo non penso solo ai detenuti ma anche alla gente che lavora in carcere. Infine, il provvedimento di amnistia è da considerarsi archiviato con questo Governo? Ci hanno risposto che al momento non ci sono le condizioni politiche e, tuttavia, le prese di posizione di queste ultime ore sono di fondamentale importanza. Anche la Cei attraverso Monsignor Pompili, ospite di Radio Radicale è arrivata a difendere questa soluzione. Si tratta di un fatto straordinario ed eccezionale segno che si sta muovendo qualcosa. Noi diciamo quello che va fatto subito, ovvero approvare l’amnistia, per evitare che lo Stato continui a comportarsi da criminale. Non si può aspettare e rinviare al prossimo Governo. Occorrono risposte immediate. Saranno gli attuali ministri eventualmente ad assumersi la responsabilità di negare una cosa necessaria. Noi come Radicali continuiamo a fare quello che riteniamo sia nostro dovere. Giustizia: anche la Chiesa scende in campo; la situazione delle carceri non è più tollerabile di Valter Vecellio Notizie Radicali, 26 ottobre 2012 Non è la prima volta che dagli ambienti cattolici, e i più autorevoli, si leva la voce di allarme e preoccupazione per quello che accade nelle carceri italiane. L’aveva fatto Giovanni Paolo II nel corso della sua visita a Montecitorio, quando aveva sollecitato un gesto di clemenza; e il Parlamento rispose, sia pure con mille contorcimenti, con l’indulto. Provvedimento cui non seguì, sciaguratamente, nessun’altra riforma; cosicché il provvedimento servì per l’immediato, ma dopo un paio d’anni tutto tornò come prima, se non peggio: tribunali e uffici giudiziari intasati da mille processi che non finiscono mai; prescrizioni a go-go anche per reati gravi come l’omicidio; carceri dove si vive in condizioni da vergogna “senza se e senza ma”; innumerevoli condanne da parte della giustizia dell’Unione Europea. E per tutto: basti ricordare che sono solo due, gli istituti di pena che rispettano gli standard della civiltà e della dignità che la legge assicura a una persona: Bollate e Rieti. Gli altri sono tutti tecnicamente fuorilegge. Movimenti di base come la comunità di Sant’Egidio, ma anche riviste come “Tempi” che fa capo al versante opposto, Comunione e Liberazione, segnalano l’intollerabilità della situazione. E anche i vertici della gerarchia cattolica: un giorno è monsignor Mariano Crociata, segretario della Conferenza Episcopale; un’altra volta è monsignor Domenico Mogavero, vescovo sempre impegnato sul “sociale”; un’altra ancora è l’arcivescovo metropolita di Potenza monsignor Agostino Superbo… Ora è la volta di monsignor Domenico Pompili, che nell’ambito della complessa gerarchia vaticana riveste il ruolo di sottosegretario e portavoce della CEI. “Dell’amnistia”, dice monsignor Pompili a “Radio Carcere”, “si va parlando da diverso tempo e più di recente la questione è stata sollevata dallo stesso Presidente della Repubblica. Senza dubbio la necessità di una amnistia si impone, per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri e anche per superare le condizioni ambientali spesso insostenibili. Lo Stato certamente deve continuare ad esercitare la giustizia garantendo il bene comune dei cittadini, a cominciare anche dalla loro sicurezza ed incolumità. Però, come ricordava il card. Bagnasco, la vita dei carcerati non è mai una vita a perdere e di qui la necessità di affrontare il nodo della giustizia, in modo tale che la pena possa assolvere al compito medicinale che le è proprio e nello stesso tempo a garantire i cittadini. Ma, come spesso mi è dato di conoscere anche attraverso i cappellani delle carceri, le persone che sono in carcere restano degli uomini che valgono sempre di più rispetto anche alle azioni di cui si sarebbero - e si sono, molte volte - macchiati. Occorre dare la possibilità di un riscatto: così la società dimostra di essere veramente umana e di essere anche superiore a tutte le bassezze di cui si fanno purtroppo interpreti gli umani. L’auspicio è che ci si faccia carico di questo problema, che è un problema certamente complesso, ma probabilmente non rinviabile”. E veniamo al quotidiano bollettino del dolore e della sofferenza all’interno degli istituti di pena. Da inizio anno 51 detenuti si sono tolti la vita. L’altro giorno, alle 7,30, nel carcere di fiorentino di Sollicciano un nuovo suicidio: un detenuto nato nel 1965, entrato in carcere nel maggio di questo anno, si è suicidato. Era ospite nel reparto assistiti, cioè nel Centro Clinico, persona in osservazione psichiatrica. Ha utilizzato il cavo delle televisione. Quando gli agenti lo hanno trovato l’uomo, in attesa di processo, era ormai senza vita. Sempre l’altro giorno un altro suicidio, nel carcere di Prato. Era un marocchino di 22 anni: doveva scontare una condanna a tre anni per una rapina compiuta ai danni di un cittadino cinese. Nello stesso carcere, negli ultimi giorni, oltre al detenuto morto suicida, ci sono stati altri cinque tentativi di suicidio ed una rissa tra detenuti. Non più di una settimana fa il direttore dell’istituto penitenziario pratese evidenziava il problema dei tagli alle risorse, del sovraffollamento e della carenza di personale. Tutti i giorni gli operatori, agenti di polizia penitenziaria e personale amministrativo, denunciano che la struttura sta esplodendo. Invano, per ora. Un altro detenuto suicida a Siracusa; era un italiano, si è tolto la vita nei locali del Nucleo provinciale traduzione e piantonamenti, utilizzando un sacco della spazzatura legato alle inferriate esterne. Mimmo Nicotra, segretario generale dell’Osapp, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, dice: “Non si è potuto contare sul tempestivo intervento della polizia penitenziaria - spiega - perché il detenuto, da circa due mesi, svolgeva attività lavorativa all’esterno delle zone detentive senza la sorveglianza di nessun agente”. Per Nicotra simili episodi sono destinati “inevitabilmente” a ripetersi perché “ormai non c’è più abbastanza personale per assicurare tutti i compiti istituzionali della polizia penitenziaria e la situazione è ancora più drammatica perché mancano circa 1.000 poliziotti penitenziari”. Altro decesso, a Roma. Lo rende noto il garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni: “È morto sotto i ferri, mentre veniva operato d’urgenza al policlinico Umberto I di Roma, per una colicisti perforante. Si tratta del tredicesimo detenuto morto nel Lazio nel 2012. A quanto si appreso l’uomo, Luigi D., 56 anni di Roma, era detenuto nel braccio G 11 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Condannato per furto, doveva uscire dal carcere nel 2013. Ricoverato d’urgenza ieri per ittero è morto nel corso dell’operazione chirurgica che è stata tentata d’urgenza”. Racconta Marroni: “Nel 2012 i detenuti morti per malattia nel Lazio sono stati tre, quelli per suicidio quattro. Un detenuto è morto per overdose mentre per gli altri tre decessi le cause sono ancora in fase di accertamento. Attualmente nelle carceri della regione sono reclusi 7.136 detenuti a fronte di 4.500 posti disponibili. Nelle carceri si continua a morire - ha detto il garante - ma il dato che maggiormente impressiona è il numero di decessi per malattia. Negli Istituti sono recluse centinaia di persone con quadri clinici estremamente preoccupanti che hanno bisogno di cure ed attenzioni che il carcere non è in grado di dare. Nel Lazio la situazione della sanità penitenziaria è molto delicata, con emergenze quotidiane causate dalla mancanza di personale medico e paramedico, dalla carenza di fondi, da dotazioni tecnologicamente superate e da strutture fatiscenti. E la situazione non fa che peggiorare con l’aumento continuo dei detenuti”. In questo quadro, dalla mezzanotte di ieri la deputata radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto Irene Testa e altri di noi (Maurizio Bolognetti, Carlo Loi...), hanno iniziato uno sciopero della fame che alterneranno allo sciopero della sete per ribadire la necessità di un provvedimento di amnistia: “Una azione nonviolenta”, dicono, “che proseguirà a oltranza, in risposta alla “resa dallo Stato” di fronte alla bancarotta del sistema giustizia e alla mancanza di Stato di diritto cui si assiste quotidianamente in quelle moderne catacombe che sono diventate le prigioni italiane: per non doverci sentire come quando c’era chi non voleva vedere i campi di sterminio e girava la testa dall’altra parte”. Giustizia: le nostre carceri come orride catacombe… di Carlo Peis Notizie Radicali, 26 ottobre 2012 Se proviamo a leggere e sentire i racconti di coloro che ogni giorno convivono con la realtà carceraria, siano essi detenuti, parenti, agenti penitenziari, operatori del settore, chi ne cura le cronache, ci accorgiamo che il quadro che ne emerge è desolante. E non è difficile cogliere come le stesse testimonianze sono collegabili l’una all’altra da un idem sentire: qualcosa non è giusto, nonostante tutto. Un altro aspetto che facilmente affiora dai racconti è quello di una costante imprescindibile esigenza di unire i propri sentimenti ad una possibile descrizione di questa realtà. Come se i sentimenti fossero gli strumenti più idonei a far comprendere quella “diversa umanità” che vive dietro le mura. Un connubio che appare un monito. E senza dimenticare che entrando in quei luoghi si avverte ogni volta un nodo in gola, o si sente una fitta al cuore quando si incrociano gli occhi smarriti di una umanità negata, o la percezione di un annullamento della ragione per l’assenza di logiche sulle quali potersi basare, si può parlare di sovraffollamento, delle condizioni igienico-sanitarie, delle “domandine”, dei doveri che si devono onorare nella espiazione della pena in ossequio alle forme e limiti del diritto vigente e dei diritti che si vorrebbe non fossero violati. Dopo ciò, non è difficile comprendere coloro che sentono la condizione dello stato delle carceri italiane come un drammatico problema umanitario e di legalità costituzionale. E tra queste persone, di sicuro, le parole utilizzate da Marco Pannella “orride catacombe” per descrivere questa realtà, aggravata dai 48 suicidi da inizio anno e da numerose altre morti non spiegate benché spiegabili, appaiono, nonostante l’agghiacciante evocazione, semplicemente idonee. Anche perché la condizione di “fragrante illegalità” che determina una reale emergenza umanitaria nelle carceri italiane non è un’opinione ma corrisponde unicamente alla inevitabile parafrasi delle sentenze dalla giurisdizione europea nei confronti dell’Italia ripetutamente condannata per il “trattamento inumano e degradante” inflitto ai detenuti. Se questa è la realtà del sistema Giustizia, va da se, che tutti e non solo alcuni dovrebbero sentirsi coinvolti o almeno consapevoli che un rimedio, da qualunque prospettiva si guardi la vicenda, deve esser pur dato. A questo proposito, si domanda e ci domanda Rita Bernardini, ponendo un ulteriore rilevante interrogativo: “Che cosa è possibile fare per risolvere una tale condizione. Sappiamo che il Presidente della Repubblica è il garante della Costituzione. Ma quando la Costituzione viene sistematicamente violata chi è il responsabile di questa mancata garanzia?”. Quesito al quale non è facile rispondere. Anche perché, forse, lo stesso quesito può essere inteso nel senso di una consapevole ammissione che, allo stato attuale, una puntuale azione di “diffida ad adempiere” rivolta alle Istituzioni non può essere esperita. Dal dettato costituzionale, provando a fare una riflessione, emerge che una formale messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, anche se forse non sarebbe risolutiva del problema, è attribuita al Parlamento. Messa in stato d’accusa, quindi, che è conferita alla politica; la stessa politica sulla quale incombe quell’onere e quel dovere di dare una risposta. Risposta che come è facile constatare è stata nulla o, con un eufemismo, nella migliore delle ipotesi non idonea. I radicali sostengono che per avviare l’improcrastinabile riforma complessiva del sistema Giustizia è necessario partire da un provvedimento di amnistia. Ma anche in questo caso la risposta della politica e una parte dell’opinione pubblica è stata quella di un diniego senza prospettare nulla che non si fosse già dimostrato fallimentare. È evidente, allora, che se questo è il quadro “le condizioni” non solo “non ci sono” ma pare che non si vogliono trovare. Se è così, si impone ancor di più, la necessità di affiancare a quel dovere che compete alla politica anche una più complessiva sensibilità culturale con una conseguente maggiore auto responsabilità morale e civile in assenza della quale questa possibile via sarebbe, ancora una volta, preclusa. Nell’attesa di una opportuna soluzione o di un necessario ed obbligato miglioramento della condizione delle carceri, in conclusione, si possono riprendere alcune lungimiranti pagine J.J. Rousseau che ci offrono elementi di spunto e supporto. Il prestigioso autore de “Il contratto sociale” riteneva che nell’uomo fosse presente “una innata ripugnanza a veder soffrire il proprio simile”. Una ripugnanza quindi che deve spingerci ad un costante comportamento positivo anche perché la società, riprendendo lo stesso Autore, deve essere intesa come “un corpo morale collettivo”. Premesse queste che portano a concepire quell’idea politica filosofica che partendo da un originario “contratto sociale” ci lega allo Stato e alle sue Istituzioni e che solo in ragione di ciò esse sono legittimate ad esercitare le funzioni. Ai rappresentanti dello Stato non nuocerebbe ricordare, insomma, che le parole “Stato di diritto”, “Stato democratico” e “Stato costituzionale” non costituiscono vuoti vocaboli ma bensì quel concreto dovere di perseguire la migliore convivenza sociale e il rispetto dei diritti umani che dai cittadini “sovrani” è stato a loro conferito. Giustizia: Ilaria Cucchi; sono vicina ai Radicali in sciopero della fame e della sete Ansa, 26 ottobre 2012 “Voglio esprimere la mia vicinanza a Rita Bernardini e Irene Testa che stanno conducendo un’iniziativa così dura come lo sciopero della sete per denunciare la drammatica condizione delle nostre carceri”, ha dichiarato Ilaria Cucchi in messaggio inviato oggi ai radicali. “In un Paese che si definisce civile e democratico non si dovrebbe arrivare a tanto per scuotere le coscienze e richiamare le istituzioni alla legalità - ha aggiunto - ma purtroppo la politica è impegnata a fare leggi ad personam, invece di legiferare per migliorare le condizioni di vita dei detenuti e garantire il rispetto dei diritti umani per tutti i cittadini”. La deputata radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’associazione Il Detenuto Ignoto stanno portando avanti oggi il primo giorno di sciopero della sete, inframmezzato allo sciopero della fame iniziato alla mezzanotte di mercoledì scorso, per ribadire l’urgenza di un provvedimento di amnistia per riportare alla legalità le carceri italiane e la Giustizia. Al loro fianco in digiuno anche numerosi altri dirigenti e militanti radicali. Giustizia: Renzi (Pd); no all’amnistia, meglio un ragionamento complessivo Tm News, 26 ottobre 2012 Per contrastare il sovraffollamento delle carceri italiane non servono “provvedimenti parlamentari” né “singole iniziative” come l’amnistia. Su questo tema, è invece necessario “un impegno senza spot, come quello dei Radicali”. Così il candidato alle primarie del centrosinistra, Matteo Renzi, intervistato a Lady Radio. “Viviamo un’emergenza carceraria allucinante, siamo in molti casi al doppio della capienza massima”, ha detto Renzi. “Nelle prossime ore andremo in visita in un carcere della Toscana, dove esporremo un nostro ragionamento più complessivo”. “Se invece c’è una forza politica che si è impegnata di più, senza fare provvedimenti spot, sono i Radicali”, ha aggiunto Renzi. Giustizia: Ass. Antigone; subito un decreto legge che metta fuori 10.000 tossicodipendenti Adnkronos, 26 ottobre 2012 “Ci vuole una esplosione dell’opinione pubblica. Bisogna mettere mano con urgenza al sistema carcerario”. A lanciare l’allarme è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che questa mattina insieme a Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale Fp-Cgil e Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti territoriali dei diritti dei detenuti, ha tenuto una conferenza stampa alla Camera per mettere in risalto “l’emergenza carceraria”. “Il carcere è ormai diventato un grande dormitorio senza spazi di socializzazione - rileva Gonnella. Ci sono 21.000 persone in più rispetto ai normali standard. Bisogna fare subito qualcosa”. Tra le varie possibilità d’intervento “rimettere mano alla legge Fini-Giovanardi, con un decreto legge che faccia uscire 10.000 giovani tossicodipendenti e rimettere in moto il lavoro degli operatori sociali”. Un decreto legge c’è stato, il cosiddetto salva-carceri: “Fu fatto su pressione del Capo dello Stato - sottolinea Gonnella - all’insediamento del nuovo governo Monti, ma a distanza di un anno non ha prodotto nessun beneficio. I numeri sono rimasti invariati in una situazione che ormai ha portato il sistema carcerario al collasso”. Non solo. Il numero di 45.000 posti regolamentari “sono diminuiti a causa del fatto - sottolinea - che alcuni reparti di importanti carceri italiani sono stati chiusi per mancanza di risorse economiche peggiorando così la situazione generale”. Giustizia: il ministro Riccardi; risolvere presto il problema dei detenuti tossicodipendenti Adnkronos, 26 ottobre 2012 L’alto numero di tossicodipendenti presenti nelle carceri italiane “è un problema che conosco e di cui ho già parlato con il ministro della Giustizia Paola Severino. È una situazione difficile, ma da risolvere al più presto. Tenere un tossicodipendente in carcere è un’azione grave e non va nella direzione del recupero”. Lo ha detto il ministro per la Cooperazione e l’Integrazione Andrea Riccardi, che oggi ha fatto visita alla comunità di San Patrignano. “Dobbiamo affidarci di più a strutture come queste comunità - ha detto - che hanno un’esperienza consolidata, ma dobbiamo sostenerle in questo sforzo”. Giustizia: Franco Corleone; 51 suicidi da inizio anno, non vogliamo essere corresponsabili Adnkronos, 26 ottobre 2012 Sono 51 i suicidi dall’inizio dell’anno all’interno delle carceri italiani. “Non vogliamo essere corresponsabili di questi assassini”. Tuona Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti territoriali dei diritti dei detenuti, in conferenza stampa alla Camera per presentare proposte mirate a risolvere con urgenza la questione del sovraffollamento delle carceri insieme a Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, e Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale Fp-Cgil. Da qui la necessità di “incidere sulla situazione con un decreto legge urgente che preveda per reati di questo tipo una pena più bassa e che quindi eviti l’entrata in carcere automatico per reati di tossicodipendenza”, spiega Corleone. E annuncia “un digiuno a staffetta di volontari, operatori, giornalisti, fino al momento utile per il governo per emanare il decreto legge. Vogliamo dare al ministro Severino - rimarca Corleone - il tempo per pensare e decidere. Se tutto questo non avverrà sapremo di chi è la colpa della strage che sta avvenendo nelle carceri italiane”. “Il carcere non può essere la soluzione per gli emarginati, né può essere una discarica sociale. Questo è contro la Costituzione”. Prosegue Corleone puntando il dito verso “leggi criminogene che hanno portato le carceri ad una situazione di invivibilità”. Il riferimento è alla legge Fini-Giovanardi che “prevede una pena da sei a venti anni di carcere” per i tossicodipendenti. Nel 2011, secondo i dati in possesso del coordinatore, sono state 33.686 le denunce per droghe, il 41% delle quali per fatti inerenti a detenzione di canapa e hashish. Non solo. I detenuti presenti in carcere per questi reati sono il 32%, di questi il 40% “risultano condannati per fatti di lieve entità”. Giustizia: Pagano (Dap); per prevenzione suicidi in carcere abbiamo costituito task force Adnkronos, 26 ottobre 2012 Una task force del ministero dell’Interno è al lavoro per prevenire i suicidi nelle carceri. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è pronto a mettere in campo “progetti mirati e operatori specializzati del gruppo Unità monitoraggio dei suicidi (Umes), che ha articolazioni negli istituti”, spiega Luigi Pagano, vicecapo del Dap, “ma anche ad attuare le linee guida varate dalla conferenza Stato-regioni, che permettono di interfacciare l’istituto penitenziario con la sanità, per intercettare il disagio e cercare di curarlo”. Molti casi, spiega Pagano, sono legati all’attuale situazione degli istituti di pena, compreso il problema del sovraffollamento, “ma tante situazioni dipendono anche dalla mancanza di speranza: se a un uomo neghi la capacità di poter pensare al proprio futuro, gli togli tutto. La perdona non ha un terreno in cui credere, ed è più facile cedere alla disperazione”. “È invece in carcere - rimarca Pagano - che bisogna preparare il futuro delle persone detenute. Noi ci rendiamo credibili e lavoriamo perché ‘l’esternò possa entrare nel carcere”, in termini di opportunità di formazione e lavoro, “perché è anche in questo modo, cioè costruendo il dopo-carcere, che si rende la vita migliore” nei penitenziari, “e si possono costruire opportunità di concreto reinserimento sociale”. La task force sta lavorando soprattutto sui regimi penitenziari, sottolinea Pagano. “Abbiamo varato le linee guida per rilanciare l’attività trattamentale, anche per stabilire cosa è possibile fare all’interno degli istituti ma soprattutto cercando di richiamare l’attenzione della società civile sul problema carcere. Perché anche se avessimo tutte le risorse possibili (e non le abbiamo), per costruire un percorso serve comunque l’intervento degli enti locali, della sanità e delle regioni”. “Il mondo del lavoro, della cultura come del terzo settore - conclude il vice capo del Dap - possono e devono lavorare con noi. La società deve investire in carcere, non solo per il detenuto ma anche per se stessa: solo investendo in cultura, formazione e lavoro all’interno degli istituti di pena, si può abbattere la recidiva, anche del 60-70% come indicano gli ultimi dati”. Giustizia: Pagano (Dap); per l’inizio del 2013 ci saranno 2.500 nuovi posti nei penitenziari Adnkronos, 26 ottobre 2012 L’emergenza sovraffollamento “esiste, e lavoriamo ogni giorno per fronteggiarla e cercare soluzioni. Nei primi mesi del 2013 avremo oltre 2.500 nuovi posti nei penitenziari, e c’è ancora da realizzare buona parte del piano carceri”. Lo dice Luigi Pagano, vicecapo del Dap, spiegando che “quattro istituti verranno aperti in Sardegna, a Cagliari, Oristano, Tempio Pausania e Sassari. Inoltre ci sono tre sezioni da 200-300 posti in Lombardia, e altre soluzioni in Campania”. Stiamo lavorando anche sui circuiti - aggiunge Pagano - per ridistribuire gli stessi detenuti anche tenendo conto del luogo di residenza, perché la vicinanza con la famiglia è molto importante per il reinserimento. C’è un messaggio che deve passare: la società deve credere nel carcere. Non ci si può occupare del carcere solo quando scoppia l’emergenza”. Nella situazione attuale, fa notare, “sicuramente anche la polizia penitenziaria è in sofferenza, e lavora ogni giorno con competenza e una capacità assolutamente ineguagliabile” di far fronte ai problemi. Ma insieme ai baschi azzurri, avverte il vice capo del Dap, “mancano altre figure, come gli educatori e gli assistenti sociali. Se si pensa a un rilancio delle misure alternative, è evidente che bisogna lavorare all’interno del carcere, ma poi bisogna seguire il detenuto sul territorio. Altrimenti - taglia corto Pagano - il percorso si interrompe”. Giustizia: Franco Corleone; per il Governo è solo una questione di edilizia… www.gonews.it, 26 ottobre 2012 Lettera al Guardasigilli: “Da giorni sto chiedendo al ministro un decreto legge ad hoc contro questa situazione che è quella che provoca le morti nelle carceri o l’autolesionismo”. “Il sovraffollamento non è un dato naturale ma un prodotto delle leggi criminogene, in particolare quella punitiva e proibizionista sulla droga di Giovanardi. La responsabilità è del Governo e in primo luogo del ministro Severino. La situazione è grave ma per il Governo è solo una questione di edilizia”. Lo ha detto il garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, intervenendo oggi a margine di un convegno. “In Italia - ha aggiunto - ci sono troppi detenuti e bisogna incidere su questo numero spropositato che è composto da tossicodipendenti, poveri, persone con reati di lieve entità, da stranieri. È un quadro disperante e disperato”. Corleone ha annunciato di aver scritto, insieme al garante toscano Alessandro Margara, una lettera al ministro Severino dal titolo “Fino a qui non si era mai giunti”. “Da giorni - ha detto ancora - chiedo al ministro un decreto legge ad hoc contro questa situazione che è quella che provoca le morti nelle carceri o l’autolesionismo. Ogni notte nelle carceri scorre il sangue perché i detenuti si uccidono, si tagliano, o si cuciono la bocca. Lo fanno perché non possono fare nulla per questa situazione delle carceri che viola la Costituzione, e tra la rivolta e il suicidio vince il suicidio”. Giustizia: Fp-Cgil; da spending review tagli mortali per l’amministrazione penitenziaria Ansa, 26 ottobre 2012 Dagli attuali 1.212 assistenti sociali a 1.067; gli educatori passeranno da 1.188 a 1.073, i contabili da 236 a 216; mentre i direttori dei penitenziari saranno 274 al posto degli attuali 343. Sono questi gli effetti che la spending review, che prevede il taglio del 10% dell’organico della pubblica amministrazione e del 20% dei dirigenti, avrà sul personale che si occupa delle carceri, secondo i numeri della Fp Cgil, che segnala gli effetti nefasti per l’organico civile. La spending review ha risparmiato il ministero della Giustizia - dice il segretario nazionale del sindacato Salvatore Chiaramonte in una conferenza stampa alla Camera assieme all’associazione Antigone - ma non il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Anziché un irrobustimento, come sarebbe ragionevole data l’attenzione rivolta dal ministro Severino al carcere, avremo una diminuzione dell’organico. Questa misura, segnala Patrizio Gonnella di Antigone, dà un colpo mortale al Dap. Significa affidare gli istituti solo alla polizia, e tornare ad un’idea di carcere che è tutta sicurezza e nessuna prospettiva di rieducazione. Lettere: altri due morti nelle carceri della Toscana di Marco Solimano (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Livorno) Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2012 La scorsa notte nel carcere di Sollicciano a Firenze si è ucciso un detenuto, un altro si è ucciso due giorni addietro nel carcere di Prato, un altro si è ucciso nell’ultimo scorcio dell’estate, un altro qualche mese prima. Il conto a ritroso potrebbe purtroppo continuare a lungo. Sono oltre 150 i detenuti morti nella carceri Italiane dall’inizio dell’anno e ben oltre 2000 i morti negli ultimi dodici anni. Una straziante ecatombe che non può e non deve continuare. Tutto questo è la riprova di una “realtà che ci umilia in Europa, frutto di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva”. Era questo il monito del presidente della Repubblica, in un suo oramai celebre intervento del 28 luglio 2011. Nell’ultimo anno, inoltre, il capo dello Stato è intervenuto ancora quattro volte sulla questione penitenziaria, sino all’ultimo intervento di poche settimane fa, in cui ha definito la situazione delle carceri “indegna ed incivile” e l’intera questione “di prepotente ed improrogabile urgenza”. Il Parlamento, però, non è riuscito ad assumere provvedimenti in grado di “alleggerire” la drammatica condizione delle carceri Italiane. Eppure proposte e soluzioni non mancano, già da tempo giacenti in Parlamento e nelle sue commissioni. Da parte mia la più ferma e vibrata denuncia per richiamare la politica e la sua dimensione istituzionale a fare fino in fondo il dovere che gli compete, senza ulteriori tentennamenti o ritardi, e la pietà per la fine di vite che lo Stato non ha saputo difendere. Campania: attività motoria nelle carceri, al via il progetto del Coni in Irpinia Irpinia News, 26 ottobre 2012 Lo sport come pratica disciplinante, educazione alle regole ma anche e soprattutto come strumento di valorizzazione di sé, di socializzazione e di autostima. È questo l’obiettivo del protocollo di intesa siglato dal Coni di Avellino con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Regionale della Campania, con la supervisione del Coni Campania, teso a promuovere e organizzare una serie di attività sportive presso gli Istituti Penitenziari dell’Irpinia. Il progetto è stato presentato in mattinata in una conferenza stampa che ha visto partecipi il numero uno del Coni regionale, Cosimo Sibilia, con il referente provinciale Giuseppe Saviano, Claudio Flores (dirigente provveditorato regionale amministrazione penitenziaria della Campania e direttore ufficio detenuti), Gianfranco Marcello (Direttore della Casa Circondariale di Ariano Irpino) e Amelia Cirillo (funzionaria del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà). “Le attività - ha spigato Saviano - saranno svolte da docenti di Scienze Motorie e Tecnici Federali che hanno dato la loro adesione a svolgere gratuitamente un programma a sostegno del progetto, rivolto sia alla sezione maschile che a quella femminile degli Istituti Penitenziari”. “L’iniziativa - ha continuato Flores - si inserisce nel contesto di una strategia generale dell’Amministrazione Penitenziaria, volta al reinserimento totale e ad un miglioramento della qualità della vita penitenziaria. Il progetto si occupa di coordinare attività presso le strutture penitenziarie della provincia, per promuovere salute e benessere grazie ai benefici dell’attività fisica collaborando ad un processo di ri-educazione attraverso le discipline sportive”. Così, infine, il direttore Marcello: “Si tratta di una importante attività volta a promuovere l’educazione corporea e motoria per l’affermazione di abitudini sane nella quotidianità carceraria, dell’uscita dal sedentarismo, della consapevolezza della salute psicofisica, del recupero dello schema corporeo, della valorizzazione espressiva e comunicativa del corpo stesso. Altresì - ha specificato Marcello - si valorizza la dimensione ludica come opportunità di socialità e di allentamento delle tensioni prodotte dalla condizione detentiva”. Grande l’impegno, sottolineato anche tra i presenti in sala, del Coni Campania che attraverso il suo massimo esponente Sibilia ha concretizzato, tra le prime regioni in Italia, la firma sul protocollo d’intesa. Umbria: Radicali; in attesa della nomina di un Garante dei detenuti dal 13 febbraio 2007 Notizie Radicali, 26 ottobre 2012 Lettera corsara inviata ai consiglieri regionali dell’Umbria: “2.082 giorni di mancato rispetto della legge da parte del Consiglio Regionale dell’Umbria. Il Garante dei detenuti doveva infatti essere nominato per la prima volta il 13 febbraio 2007. Nel frattempo tante (troppe chiacchiere) e zero fatti. Ho letto che doveva uscire un bando pubblico. Chi l’ha visto? Temo sia solo un altro espediente per allungare il brodo. State sprecando l’occasione d’oro di aver avuto un anno di tempo di “tregua” tra centrosx e centrodx con l’appoggio al governo Monti. Se non riuscite a trovare un accordo ora, quando mai lo troverete?”. Milano: Radicali; appello per nomina di Lucio Bertè come Garante dei detenuti Notizie Radicali, 26 ottobre 2012 Nella seduta straordinaria del 5 ottobre 2012, tenutasi nel carcere di San Vittore, il Consiglio Comunale di Milano ha votato all’unanimità l’istituzione, finalmente anche a Milano, del Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale. Candidiamo a questa importante funzione Lucio Bertè, appellandoci a che tutti mandino il proprio sostegno alla sua candidatura. Questo il testo dell’appello: “Noi sottoscritti conosciamo ed apprezziamo l’infaticabile opera pluridecennale di Lucio Bertè, esponente radicale dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino, a difesa della legalità nelle carceri, per l’affermazione dei diritti dei detenuti e degli agenti di custodia. Riteniamo che la sua competenza e dedizione facciano di lui la persona più indicata ad assumersi la responsabilità di Garante dei detenuti del Comune di Milano”. Inviate il vostro sostegno e l’adesione all’appello alla nostra mail radicalimilano@gmail.com. Prato: prossima settimana incontro alla Dogaia tra direzione dell’Asl e vertici del carcere Ristretti Orizzonti, 26 ottobre 2012 In agenda per la prossima settimana dopo i recenti episodi di suicidio. Nella relazione del Dipartimento di Prevenzione sono rilevate numerose carenze La prossima settimana nel Carcere della Dogaia di Prato si terrà un incontro tra il direttore sanitario dell’ASL4, Francesco Bellomo, il direttore del penitenziario, Vincenzo Tedeschi, la responsabile della salute in carcere dell’Asl 4, Antonella Manfredi e il direttore zona- distretto dell’ASL 4, Riccardo Poli. La riunione è stata fissata per esaminare la situazione carceraria di Prato dopo i recenti episodi di suicidi e tentati suicidi. Lo scorso luglio nella casa Circondariale era stato effettuato un sopralluogo periodico da parte del Dipartimento di Prevenzione dell’Asl 4 per verificare le condizioni igienico-sanitarie della struttura e i servizi alla persona. Una relazione successiva al sopralluogo a firma del direttore generale dell’ASL 4, Bruno Cravedi, è stata poi inviata alle Autorità competenti: Dipartimento Diritto alla Salute della Regione Toscana, Direttore della Casa Circondariale, Giudice di Sorveglianza, Sindaco di Prato, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Toscana, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive. In questo documento si evidenziava: “Dai dati relativi alle presenze forniti dall’Amministrazione della Casa Circondariale contro una capienza regolamentare di 476 persone e “tollerabile” (n.d.r. giudizio non nostro) di 713 persone si rileva una presenza nel dicembre 2010 di 707 detenuti, nel dicembre 2011 di 708 detenuti e nel giugno 2012 di 718 detenuti con un affollamento che in alcune sezioni della Media Sicurezza comporta 80 presenze in 25 camere doppie idonee ad ospitarne 50”. La relazione si concludeva “Il persistere delle carenze igieniche e manutentive della struttura abbinata al sovraffollamento, rendono la situazione, a nostro parere, sempre più critica e tale da compromettere il mantenimento dei requisiti igienico-sanitari minimi e creare le condizioni lesive per la salute e la stessa dignità della persona”. A più riprese i tecnici dell’ASL 4 avevano relazionato al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria le situazioni per le quali si rendevano necessari interventi e per favorire i quali la Regione Toscana ha deliberato apposito contributo. Infatti, in questo Presidio è operativo un sistema di comunicazione integrato con l’Ospedale di Prato. Funziona un CUP interno ed è stata attivata la telemedicina (trasmissione di dati prodotti da strumenti diagnostici) con particolare riferimento alla valutazione degli elettrocardiogrammi. È funzionante un laboratorio di analisi chimiche per le emergenze. Sono attive le branche specialistiche: cardiologia, odontoiatria, infettivologia, oculistica, otorinolaringoiatria, psichiatria, dermatologia, radiologia ed ecografia. Tali interventi rischiano però di essere vanificati dalle gravi carenze della struttura che non consentono il pieno rispetto del diritto alla salute dei reclusi e del personale di custodia. Reggio Calabria: la situazione delle carceri sull’orlo di un collasso di Daniela De Blasio (Consigliera provinciale di Parità) www.newz.it, 26 ottobre 2012 La situazione carceraria italiana è quasi al collasso. Sovraffollamento, strutture inadeguate e tagli economici hanno o stanno affossando un importantissimo strumento di correzione e di riabilitazione (quale dovrebbe essere il carcere). È di qualche giorno fa la notizia che in 24 ore si sono verificati in Italia tre suicidi tra i detenuti e questo dato, purtroppo sempre in crescita, deve far riflettere e, soprattutto, far agire nei tempi e nei modi tali da non consentire più questi gesti estremi. A tal proposito, una significativa iniziativa è stata adottata dal Ministro Severino e dal Ministro Profumo in collaborazione con il Miur che punta a promuovere e sostenere lo sviluppo di un sistema integrato di istruzione e formazione professionale, favorendo l’acquisizione e il recupero di abilità e competenze individuali dei soggetti in esecuzione di pena nonché l’aggiornamento di insegnanti ed educatori che prestano servizio negli istituti penitenziari. Si tratta insomma di un programma speciale al fine di assicurare l’istruzione e la formazione all’interno degli istituti penitenziari, ritenendolo, a ragione, elemento fondamentale del trattamento dei condannati. Nello specifico l’obiettivo del Protocollo - che avrà una durata di tre anni - è organizzare percorsi di istruzione e formazione modulari e flessibili attraverso cui i detenuti possano acquisire, o recuperare, abilità e competenze professionali spendibili nel mondo del lavoro. I percorsi formativi potranno contare, secondo quanto previsto dal Protocollo, su materiali didattici anche digitali e laboratori di supporto alle attività scolastiche e formative da allestire all`interno degli istituti penitenziari. In linea con i temi del protocollo d’intesa sono le iniziative prese dall’Istituto Penitenziario di Reggio Calabria con la collaborazione dell’Amministrazione Provinciale e della Consigliera di Parità per la realizzazione di corsi di formazione specifici per il reinserimento nella società civile degli ex-detenuti. Contestualmente si è attivato un progetto di alfabetizzazione informatica rivolto sempre ai detenuti che si concluderà con la redazione di un giornale. I progetti che stiamo portando avanti in provincia di Reggio Calabria sono come degli “innesti” nati dal progetto “Cinema dentro le Mura” che rappresenta una forma comunicativa che segna l’inizio di un percorso innovativo. E qualche giorno fa al primo ciak di “Hakuna matata”, film che si è girato proprio dentro il carcere con Salvatore Striano (per chi ancora non lo conoscesse è attore, ex-detenuto, diventato famoso con il film “Gomorra” ed è candidato all’oscar con il film “Cesare deve Morire”), ci siamo resi conto di quanto sia importante questa evoluzione socio-culturale che sta partendo proprio da Reggio Calabria. Bisogna continuare su questa strada perché chi sta “dentro” possa utilizzare il tempo di detenzione per ricostruirsi una vita, riprendere coscienza di sé e dei propri errori, ripensare a se stesso e al rapporto con gli altri e non cadere più nell’oblio dell’emarginazione che troppo spesso si crea attorno a chi, uscito dal carcere per fine pena, si trova a dover fare i conti con la quotidianità. Come ha affermato anche il Presidente Napolitano “un maggiore sviluppo dell’istruzione e della formazione - elementi fondanti di un efficace trattamento - costituiscono il più valido strumento di emancipazione da situazioni di devianza e criminalità e contribuiscono a trasformare il tempo della pena in tempo utile per il recupero della propria dignità di persona”. Insomma tutto questo deve essere una cassa di risonanza del riscatto e una leva per la trasformazione e ciò, a mio parere, è assolutamente possibile. Milano: abiti da sposa creati a San Vittore, il riscatto passa dai laboratori di sartoria di Mario Consani Il Giorno, 26 ottobre 2012 Hanno lavorato per la Scala e per l’Inter, per stilisti grandi firme e per l’Accademia di Brera. Hanno cucito grembiuli e cappelli da cuoco per la Conad ma anche t-shirt e abiti da sposa per il loro negozio. Da tempo riforniscono di toghe magistrati e avvocati non solo di Milano, ma anche di Venezia e Firenze. Sono le detenute ed ex detenute delle carceri di San Vittore e Bollate riunite nelle cooperativa Alice, che da vent’anni opera come impresa “sociale” tra le mura di Piazza Filangieri e da un po’ anche fuori con la Sartoria San Vittore di via Terraggio e il marchio “Gatti Galeotti”. All’inizio l’idea era semplice e complicata al tempo stesso: aprire un laboratorio di sartoria in carcere con l’intento di creare percorsi di inserimento lavorativo per persone ristrette nella libertà (come quelli di cui ieri a Roma hanno parlato Lele Mora e il deputato Pdl Alfonso Papa). Nel tempo, ha funzionato benissimo. Oggi sono due i laboratori dentro San Vittore e Bollate. In ciascuno lavorano in media per 4 ore al giorno sette-otto detenute assunte con regolare contratto dalla cooperativa e guidate da una maestra. A fine mese lo stipendio si aggira sui 500 euro, che in carcere è quasi un lusso. “Da quando l’esperienza è partita - racconta con orgoglio Luisa Della Morte, che del progetto è l’anima - su 140 donne che hanno lavorato con noi soltanto due sono tornate in carcere una seconda volta”. Delle altre, invece, c’è chi finita di scontare la pena ha aperto laboratori in proprio, chi ha trovato lavoro presso stilisti, chi, oggi, è la responsabile della produzione della cooperativa stessa. “Scegliamo le detenute in base all’attitudine e alla capacità di prestare attenzione al lavoro in una condizione come quella del carcere - spiega Della Morte - c’è un periodo di formazione e poi periodiche verifiche di motivazioni e preparazione raggiunta”. Oltre ai due spazi all’interno delle carceri, c’è un terzo laboratorio fuori in via Senofonte, a Milano, dove trovano impiego detenute che godono di permessi per il lavoro esterno o della semilibertà. In questo periodo sono una decina. Non potendo per ovvie ragioni puntare sulla quantità, è sulla qualità che i prodotti “Alice” hanno trovato uno spazio commerciale. “All’inizio abbiamo cucito costumi di scena anche per la Scala - ricorda Della Morte - per l’Inter abbiamo realizzato borse che vendevano come gadget e di recente abbiamo prodotto grembiuli e cappelli da cucina che Conad ha inserito nel suo catalogo-premi. Poi ci siamo specializzate in toghe per avvocati e magistrati, che vendiamo a 130 euro l’una”. Nel frattempo la coop Alice ha pure creato il Sartoria San Vittore, negozio in centro a Milano dove le collezioni ideate da Rosita Onofri, stilista e socia, sono realizzate per intero con tecniche sartoriali dalle detenute. E più di recente è nato il marchio “Gatti Galeotti”, negozio online dove si vendono borse, portafogli e zaini cuciti dietro le sbarre. Palermo: campo di calcetto dentro il carcere, lo stanno costruendo i detenuti in un corso La Sicilia, 26 ottobre 2012 “L’allievo Filippo (nome di fantasia), il primo giorno di corso, presentandosi disse che lui nella vita non aveva mai lavorato; poi si è dimostrato un instancabile addetto all’impastatrice. Ci sono stati elettricisti che sono diventati muratori, e operai edili e operatori del verde che sono diventati elettricisti. Operatori del verde che, durante la fase teorica, dissero che avrebbero voluto essere solo giardinieri e poi si sono dimostrati validissimi operai edili”. È quanto racconta l’architetto Fabrizio Fiscelli, direttore del progetto “Calcio d’inizio” che ha formato al lavoro alcuni detenuti del penitenziario di Pagliarelli. Storie di insospettabile attaccamento al lavoro, ma anche di voglia di riscatto, di riabilitarsi, di scommettere su se stessi e rimettersi in gioco per conquistare di nuovo, un giorno, un posto nella società. “Come il caso di un allievo - racconta ancora Fiscelli - del corso di Operatore del verde, Giacomo (altro nome di fantasia): ha dato vita alle piante che ci sono in cantiere, prendendosene cura come fossero il suo giardino privato”. E molti dei detenuti grazie al progetto hanno avuto la possibilità di realizzare il proprio campo di calcetto (nelle tre foto, i cantieri del campetto e degli spogliatoi). Appunto, “Calcio d’inizio” è il nome dell’iniziativa che ha permesso ai detenuti del Pagliarelli di dare un calcio al passato e iniziare un nuovo gioco, col desiderio di imparare, lavorare e raggiungere insieme un obiettivo: costruire un campo di calcio all’interno del carcere che, una volta ultimato, vedrà la formazione di una squadra sotto la guida dell’ex allenatore del Palermo, Ignazio Arcoleo. Il percorso di formazione e work experience (cofinanziato dalla Regione siciliana) per due anni ha impegnato un gruppo di detenuti della casa circondariale. Quattro i percorsi formativi (operai edili, operatori del verde, elettricisti, custodi e manutentori di impianti sportivi) a conclusione dei quali i detenuti hanno acquisito una qualifica professionale. I risultati del progetto, realizzato da Confcooperative in partenariato con Apa (Accademia Psicologia Applicata), Coni, Associazione Orizzonti Onlus e Associazione Idea, sarà oggi alle 9.30, al centro di un dibattito all’interno della casa circondariale Pagliarelli, sul tema “La cooperazione come strumento di emancipazione sociale”. “Per due anni - dice Pino Ortolano, presidente di Confcooperative Palermo - il carcere Pagliarelli è stato un’area di sperimentazione nel cui ambito sono state sviluppate metodologie e competenze professionali utili ai detenuti per il loro futuro inserimento lavorativo”. Per Fabrizio Fiscelli si è trattato di un percorso innovativo che ha permesso ai detenuti di intraprendere un’attività stimolante che ha riacceso il desiderio di continuare tali attività una volta terminata la detenzione: “Durante il percorso un allievo del corso Operatore del verde, in estate disse che grazie alle indennità del corso, aveva potuto regalare il viaggio a sua moglie (che vive in Germania) per venirlo a trovare”. L’apporto di due allievi del corso Custode e manutentore è stato fondamentale per la realizzazione dell’impianto idrico. “L’esperienza è stata così entusiasmante - ha concluso Fiscella - che anche una tutor si è reinventata geometra”. Minano: sondaggio nel carcere di San Vittore; a un detenuto su quattro piace leggere Redattore Sociale, 26 ottobre 2012 Nel carcere milanese ci sono circa 30 mila volumi. Secondo i risultati di un questionario i preferiti sono i libri di sport, cinema, musica, cucina e gialli. In dodici hanno seguito un corso per bibliotecari. Lanciata una proposta per donazioni ad hoc. A un detenuto su quattro di San Vittore di Milano piace leggere, e in particolare libri di sport, cinema, musica, cucina e gialli. È quanto emerge da un questionario sottoposto nel giugno scorso a 1.281 detenuti dell’antica casa circondariale nel cuore della città, che al suo interno a sei biblioteche con circa 30mila volumi. In 434 hanno risposto e circa 300 hanno affermato che la lettura è importante per loro. “Lamentano la mancanza di libri giuridici e libri in lingua straniera”, precisa Gloria Manzelli, direttrice dell’istituto. Oggi a Palazzo Marino, durante la seduta congiunta delle commissioni cultura e carcere, sono stati presentati i risultati del corso di formazione per detenuti bibliotecari, realizzato da Bibliorete, un network di biblioteche milanesi creato da otto tra enti ed associazioni e il settore Biblioteche del Comune: 12 i detenuti che hanno seguito il ciclo di incontri per imparare ad usare gli strumenti informatici per la catalogazione dei libri. Nell’ambito del corso è stato sottoposto il questionario a tutti i detenuti per capire quali libri vorrebbero leggere. Ed è emerso anche che nelle biblioteche del carcere i libri arrivano solo grazie alle donazioni dei cittadini, ma non sempre la qualità dei titoli è buona. “Non abbiamo le risorse per fare acquisti mirati di volumi” aggiunge la direttrice. Durante la seduta delle commissioni è emersa la proposta di coinvolgere librerie e cittadini perché donino libri per le carceri della città (oltre a San Vittore, anche Opera, Beccaria e Bollate), scegliendo generi e titoli da una lista di “desiderata” preparata in collaborazione con le associazioni che sono impegnate nelle carceri milanesi. Spetta ora al Comune trovare il modo di realizzare questa iniziativa. Viterbo: una ludoteca e uno spazio affettività per facilitare i rapporti detenuti-figli www.viterbooggi.eu, 26 ottobre 2012 Locali colorati, accoglienti , per quanto possibile riservati, progettati per consentire ai detenuti di mantenere saldi rapporti familiari e, soprattutto, per incontrare i loro figli. A favore dei bambini che hanno il padre recluso, inoltre, saranno organizzate attività di sostegno e accompagnamento da parte di educatori professionali, che li aiuteranno a esprimere i loro disagi e a elaborarli. Così sarà la ludoteca-spazio per le affettività e all’esercizio della genitorialità che verrà presto aperta nel carcere di Mammagialla. L’altro ieri è stata inaugurata un’analoga struttura nella casa circondariale di Civitavecchia e, subito dopo Mammagialla, sarà la volta di Rieti. Nell’area riservata sarà attivato anche uno “Sportello sociale alla famiglia”, riservato ai colloqui con operatori con competenze educative, psicologiche, giuridiche e sociali che interverranno su richiesta nelle situazioni di conflitto. L’accoglienza dei bambini in carcere avverrà attraverso il gioco e il dialogo. L’iniziativa come spiega il sito del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) del Lazio, è finalizzata “a restituire dignità agli affetti e valorizzare la funzione genitoriale altrimenti destinata ad inaridirsi”. In Italia sono migliaia i bambini che si recano a fare visita ai genitori detenuti, soprattutto padri. Secondo i dati ufficiali, aggiornati al giugno scorso, su un totale di 66.528 detenuti, quelli coniugati sono 19.957, i vedovi 635, divorziati 1660, separati 2752, conviventi 6087. Il totale dei figli che i detenuti hanno dichiarato di avere è di 24.385, di questi 7.667 sono figli unici, 8.345 hanno un fratello o una sorella, 4.999 tre fratelli, 2.032 quattro fratelli, 741 cinque fratelli, 293 sei fratelli e 303 oltre sei fratelli. Pescara: premio di poesia “Alda Merini - A tutte le donne” per i detenuti Il Centro, 26 ottobre 2012 C’è tempo fino al 15 gennaio per concorrere al Premio nazionale di poesia “Alda Merini - A tutte le donne”. Il Premio, alla sua prima edizione, organizzato dall’associazione Donna Cultura di Spoltore e patrocinato dal Comune di Pescara e dalla commissione Pari opportunità, coinvolgerà anche giovanissimi studenti della provincia di Pescara e detenuti delle case circondariali abruzzesi. Il concorso, a tema libero, si articola in tre sezioni: Poesia singola edita o inedita (massimo due poesie), Premio speciale “In volo per la libertà”, riservato ai detenuti, e Premio speciale “I piccoli aquiloni”, pensata per gli alunni delle classi quinte delle elementari e delle medie di Pescara e provincia (le poesie possono essere realizzate anche in gruppo). Le opere vanno inviate prive di dati personali, in formato elettronico, allegando curriculum e il titolo delle poesie presentate, all’indirizzo donnacultura2@live.it. È richiesto l’invio anche in formato cartaceo, in 5 copie di cui una firmata e completa dei dati richiesti, all’indirizzo dell’associazione, via Massera 48 a Spoltore. La quota di partecipazione della prima sezione è di 10 euro (15 se si richiede la scheda di valutazione). L’iscrizione alle altre 2 sezioni è gratuita. I primi classificati riceveranno un cofanetto con targa personalizzata e un attestato. Al vincitore della prima sezione verrà donata un’opera d’arte. Per la seconda sezione verrà assegnato un ulteriore premio dalla giuria popolare. I lavori saranno pubblicati sulla pagina Facebook del premio e sul sito de Il Centro. Vincerà l’opera più votata. Televisione: “Rebibbia: un’assenza affollata”, domani uno Speciale in onda su Rai3 Agi, 26 ottobre 2012 “Rebibbia: un’assenza affollata”, lo Speciale in onda su Rai3 sabato 27 ottobre alle 10.20, a cura della Tgr e del Segretariato Sociale, affronta il drammatico tema del sovraffollamento nelle carceri. È un viaggio nel penitenziario di Rebibbia, tra le donne della casa circondariale più grande d’Europa, i bambini del nido più grande d’Italia, le persone con disagio psichico della casa reclusione, i malati della sezione G14 del nuovo complesso, gli agenti penitenziari ed i volontari che vivono in un luogo e tra persone che vengono da chi è fuori. Libri: “I giorni scontati. Appunti sul carcere”, a cura di Silvia Buzzelli Il Cittadino, 26 ottobre 2012 In carcere tutto è scontato e niente lo è. Basta sfogliare un vocabolario per rendersene conto. Se cercate le parole “scontare” oppure l’aggettivo “scontato” tutti, o quasi, i significati vi condurranno dentro il carcere. Da questa riflessione prende avvio il progetto di un libro accompagnato da un dvd con il documentario “I giorni scontati” di Germano Maccioni. Il volume si intitola “I giorni scontati. Appunti sul carcere”, è curato da Silvia Buzzelli, docente di diritto penitenziario all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è realizzato dalla Sandro Teti Edizioni e raccoglie le riflessioni di un gruppo di studiosi: direttori penitenziari, educatori, docenti, esperti europei, giuristi. Un’opera che ha molto a che fare con il Lodigiano e che esce proprio in coincidenza con i cento anni del carcere di Lodi. Il collegamento con la nostra città è di vario genere. Anzitutto nel volume ci sono gli scritti di tre “lodigiani”: Stefania Mussio, attuale direttrice della casa circondariale di via Cagnola e anima di una serie di eventi per ricordare l’importanza di un’istituzione come il carcere per la città e il suo territorio; Elena Zeni, che lavora in carcere come educatrice e fa da motore a un’infinità di attività e di progetti e infine Ercole Ongaro, lo storico che alla struttura di via Cagnola ha dedicato un libro uscito di recente, ricostruzione fedele di decenni di reclusione e di libertà. Gli altri testi raccolti nel libro sono di Mauro Palma, Silvia Buzzelli, Claudia Pecorella, Fabio Cassibba, Elena Lombardi Vallauri, Marco Verdone, Massimo Filippi, Luigi Lombardi Vallauri. Molti di questi esperti a Lodi, di recente, sono anche passati per incontri pubblici, dibattiti, riflessioni sul futuro della struttura. Il progetto della Teti Edizioni si divide in due parti perché scrivere e vedere sono azioni più che mai necessarie quando il tema da affrontare è il carcere. Allora la presenza di un regista e attore è indispensabile; un artista, per sua natura sensibile, abituato ai tempi e all’immedesimazione nell’altro, forse riesce meglio di un giurista a interpretare il problema di fondo attorno al quale ruotano le questioni penitenziarie: la presenza cioè di un corpo incarcerato, prigioniero di un’istituzione burocratica, contraddittoria, che si prefigge l’obiettivo di punire senza sofferenza e di redimere, ma non ne ha gli strumenti. La vera tesi è che c’è carcere e carcere e che in un’Italia che ha problemi, con sanzioni e contestazioni anche dall’Unione europea, qualcosa funziona. Il film di Germano Maccioni, che è stato girato a Lodi, e racconta una casa circondariale diversa dalle altre, illumina su diversi aspetti. E regala una speranza: che il recupero sia possibile, al di là di tutto, se qualcuno davvero lo vuole. India: caso marò; sì allo “scambio di prigionieri”, 108 detenuti indiani contro 18 italiani Il Giornale, 26 ottobre 2012 Il paracadute è pronto, ora bisogna capire se sarà necessario aprirlo. A tessere l’ultimo spicchio dell’intreccio legislativo indispensabile per esser certi di salvare dalle galere indiane Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è stato il Senato. Ieri Palazzo Madama ha approvato il decreto che trasforma in legge l’accordo tra Italia e India sul “trasferimento delle persone condannate” del 10 agosto scorso già approvato dalla Camera. L’accordo paracadute è un’uscita di sicurezza da percorrere qualora la Corte Suprema di Nuova Delhi non decida l’assenza di giurisdizione indiana per il presunto reato dei due marò accusati di aver ucciso due pescatori nel corso d’una missione anti pirateria. Nel caso di un “niet” finale della Corte Suprema i due militari verranno rimpatriati e sconteranno in Italia l’eventuale pena. Non è una soluzione soddisfacente, perché equiparerebbe i due fanti di marina a dei criminali, ma l’unica percorribile nel caso venga negata l’assenza di competenza indiana su un evento svoltosi al di fuori dalle acque territoriali. Per il sottosegretario agli Esteri Steffan De Mistura l’accordo “è simile a quelli stretti con molte altre nazioni”. I numeri quelli confermati: “Sono 108 cittadini indiani detenuti nelle carceri italiane e 18 cittadini italiani nelle carceri indiane”. Se la Corte Suprema metterà con le spalle al muro la nostra diplomazia, dovremo insomma accettare uno scambio uno a dieci per riavere i nostri soldati. Secondo Steffan De Mistura la stampa indiana avrebbe invece metabolizzato la decisione della Ferrari di dimostrare solidarietà ai due marò correndo il gran premio dell’India di domenica con il simbolo della Marina Militare. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone rispondono, intanto, con fede e devozione alla lettera pastorale inviata dall’ordinario militare per l’Italia Monsignor Vincenzo Pelvi. “Vogliamo continuare a credere in Gesù. Ci manca la forza - scrivono i due marò - però con un pizzico di serenità non vogliamo demordere. Veniamo ingiustamente trattenuti, ma noi due preghiamo insieme perché Dio faccia sì che il mondo ami i bambini e ami coloro che sono nel dolore”. A confermare la salute fisica di Massimiliano Latorre, che stando a un quotidiano avrebbe dei problemi di cuore ci pensa la sorella Franca. “Noi familiari - spiega al Giornale - cadiamo dalle nuvole, nessuno di noi ha mai saputo di una malattia di Massimiliano. Non capiamo da dove salti fuori questa illazione, chiederemo di farla smentire”. A compensare il fastidio per l’informazione inesatta contribuisce la solidarietà di Maranello. “È un gesto che ci rincuora perché contribuisce a farci sentire circondati da calore umano. Mentre le istituzioni lavorano dietro le quinte noi possiamo contare solo sul conforto degli italiani, decisioni come queste ci fanno capire che attorno a Massimiliano e Salvatore c’è attenzione concreta”. Chiariti i dubbi sulla salute, Franca garantisce anche sul morale di Massimiliano. “Andremo a trovarlo domenica prossima e sicuramente lo troveremo speranzoso come sempre. Massimiliano è per natura paziente, ma anche assai forte. Una sua parola basta sempre a farci capire di aver fiducia ed essere pazienti”. Cina: un tour organizzato dentro il carcere “rispettiamo diritti umani” Tm News, 26 ottobre 2012 Un tour dentro il carcere, immersi in un silenzio irreale. La Cina apre le porte del centro di detenzione numero 1 di Pechino, rarissima occasione per un gruppo di giornalisti stranieri: una visita organizzata per dimostrare i progressi del governo nella tutela dei dritti umani, alla luce dei cambi al vertice e della nuova riforma della giustizia. Ma i giornalisti sono stati costretti a girare in una struttura deserta, in assenza dei circa mille detenuti che può ospitare. All’esterno si trova il centro per chi è in attesa di processo, mentre per quelli considerati pericolosi l’edificio è circondato dal filo spinato e sorvegliato. All’interno le celle e i corridoi splendono di pulito, le pareti sono colorate. In ogni cella ci sono quattro letti, uno per detenuto, e un bagno, per gli esercizi il giardino esterno. “Il governo cinese e la gente fanno uno sforzo incessante per salvaguardare e migliorare i diritti umani. Soprattutto da quando c’è stata la riforma, i diritti e le condizioni sono migliorati” spiega Zhao Chunguang, responsabile della supervisione detentiva. Uno sforzo del governo per dimostrare che la situazione delle carceri cinesi non è quella descritta dalle associazioni per i diritti umani, che denunciavano maltrattamenti, cibo, letti e cure mediche di scarsa qualità, oltre che l’impossibilità per i detenuti di incontrare gli avvocati. Emirati Arabi: 62 detenuti politici in carcere con il pretesto della “sicurezza nazionale” di Marta Ghezzi www.osservatorioiraq.it, 26 ottobre 2012 Porta in calce la firma del deputato britannico dell’European Conservatives and Reformists Group, Charles Tannock, la mozione presentata martedì 23 ottobre al Parlamento Europeo e in attesa di discussione oggi. Al centro della richiesta di risoluzione europea c’è la situazione dei diritti umani negli Emirati Arabi Uniti (Eau) alla luce dell’inasprirsi dei provvedimenti giuridici a carico di attivisti civili e oppositori politici. Nel documento si sottolinea come, dal 15 luglio scorso, negli Emirati siano finiti in carcere senza un’accusa precisa 46 difensori dei diritti umani, inclusi due avvocati conosciuti nel mondo dell’attivismo, che vanno a sommarsi ai 16 già dietro le sbarre, per un totale di 62 detenuti politici, di cui 59 reclusi in località segrete e dei quali non è dato di conoscere lo stato di salute o la situazione giudiziaria. A questa situazione, che i deputati europei denunciano come contraria alla stessa Costituzione degli EAU (che riconosce la libertà d’espressione all’art. 30), si aggiunge una politica diffamatoria nei confronti delle personalità di spicco nel campo dei diritti umani e delle loro famiglie, portata avanti da clan vicini alle alte sfere degli Emirati. La sicurezza nazionale - si legge sempre nella mozione - è diventata nei mesi un pretesto per strigere la morsa sugli oppositori politici, di qualunque colore essi siano. L’Unione Europea, forte del recente Nobel per la Pace, nella visione dei richiedenti deve farsi carico della questione portandola sul tavolo del prossimo incontro con il Consiglio di Cooperazione del Golfo, facendo le dovute pressioni perché gli Eau si impegnino nel rispetto dei diritti fondamentali, compresi quelli di pensiero e parola, e fughino i sospetti che aleggiano da tempo di aggressioni, detenzioni arbitrarie, torture e persecuzioni degli attivisti per i diritti umani. È la stessa Ehra (Emirates Human Rights Association), unica a poter lavorare all’interno dei confini dell’Unione, a smentire le notizie diffuse sul possibile uso della tortura all’interno delle prigioni degli Emirati. Nella visita condotta questa settimana presso il carcere di Abu Dhabi, l’Ehra ha potuto incontrare una decina di detenuti, la cui identità o condanna non sono state rese note per motivi di sicurezza, che non hanno denunciato alcuna violenza, ma hanno solo manifestato preoccupazione per i tempi lunghi della giustizia. Le stanze (non celle) sono pulite, dotate di aria condizionata e tv, e i pasti serviti arrivano direttamente dal catering dell’Abu Dhabi National Hotel Company. L’emiro di Abu Dhabi nonché presidente dell’Unione, lo Sheikh Khalifa bin Zayed al Nahyan, ha preannunciato un’amnistia per i reati minori in occasione dell’imminente festività religiosa dell’Eid al-Adha e ha già stanziato una regalia di 50mila dirham per le famiglie dei detenuti più bisognosi. Un pò diverso dallo scenario che descrivono invece i tanti attivisti per i diritti umani privati del passaporto e della cittadinanza in quanto oppositori del regime, impossibilitati a lasciare il paese o a svolgere regolare attività lavorativa. È il caso di Ahmed Mansor, noto blogger di Dubai e membro del Human Rights Watch Middle East and North Africa Advisory Commission. Prima allontanato dal suo posto di lavoro, poi arrestato la prima volta nell’aprile 2011 assieme ad altri quattro attivisti con l’accusa di aver firmato una petizione on line contro il regime, e rilasciato nel novembre dello stesso anno dopo un’amnistia, vive sotto continua minaccia. Accusato di avere legami con l’Iran, in seguito alla partecipazione in video-conferenza alla 21esima sessione del Consiglio per i Diritti Umani di Ginevra, è stato aggredito due volte nel solo mese di settembre, mentre non si contano le minacce di morte esplicite pubblicate sui suoi profili Facebook e Twitter. Malgrado le denunce alle autorità competenti, nessun provvedimento è stato preso per garantire la sua incolumità. L’attivismo a favore degli apolidi è costato invece l’espulsione dopo due mesi di detenzione senza un’accusa a Ahmad Abd al-Khaliq. Già in carcere insieme a Mansor nel 2011, è stato nuovamente arrestato il 22 maggio dall’Autorità per l’immigrazione dell’Emirato di Ajman e tenuto in isolamento fino al 16 luglio scorso, quanto è stato deportato forzatamente in Thailandia, dove si sono perse le sue tracce. Risulta ancora detenuto, anche se di lui non si sa più nulla, l’avvocato Mohammad al-Roken, già difensore nel 2011 di Mansor e di Abd al-Khaliq. Prelevato nei pressi di casa il 17 luglio scorso, nemmeno al suo legale è stato concesso di fargli visita in carcere. Il prossimo dicembre, a Ginevra, verrà insignito del Al Karama Award 2012 per la difesa dei diritti umani. Insieme a lui, non potrà ritirare il premio un altro difensore dei diritti umani e oppositore politico, il saudita Saud Mukhtar Al Hashimi, condannato a 30 anni di prigione dopo un processo ingiusto con l’accusa di attentare alla sicurezza della nazione. Marocco: il re Mohammed VI grazia 406 detenuti in occasione Festa islamica Sacrificio Nova, 26 ottobre 2012 Il re marocchino Mohammed VI ha emanato oggi un decreto con il quale concede la grazia a 406 detenuti in occasione della festa islamica del Sacrificio. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa marocchina “Map”, il provvedimento anticipa in buona parte l’uscita dal carcere per un gruppo di detenuti che ha già scontato parte della pena. In occasione della festività islamica il monarca, che nel suo paese ha anche il ruolo di guida religiosa, ha indirizzato un messaggio di saluto al suo popolo sostenendo che “questa festa e il pellegrinaggio alla Mecca, che termina oggi, incarnano gli ideali spirituali e i valori di altruismo e di sacrificio che simboleggiano l’impegno per l’unit islamica e il riconoscimento della comunità, destino inevitabile dei credenti”.