Comunicato Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia: tre tragedie in un giorno Ristretti Orizzonti, 25 ottobre 2012 In un solo giorno, uno dei tanti in carcere, spesso pervasi dalla disperazione, 3 detenuti si sono suicidati. Terribile, agghiacciante aggiornamento del quotidiano computo che scandisce le giornate delle nostre galere. Morti per suicidio, droga, malattia. Impiccagioni tentate o riuscite, eventi autolesivi. Queste ennesime morti in carcere dovrebbero richiamare l’attenzione e l’intervento di tutte le istituzioni coinvolte. Non siamo di fronte solo a raptus incontrollabili, a fattori individuali, ma soprattutto ai problemi esplosivi del sistema carcerario. Ci dovrebbe essere un grosso investimento in attenzione per invertire il corso di questa drammatica situazione. Non è un obiettivo impossibile, ed è doveroso perseguirlo. Da cosiddetta discarica sociale, come si usava definire il carcere, sta diventando sempre più un sepolcro sociale. Le riforme sostanziali dovrebbero essere considerate l’urgenza improcrastinabile. Chiediamo, con forza, che risolutivi provvedimenti legislativi vengano approvati per far sì che il carcere si riduca davvero a extrema ratio, che il sovraffollamento sia considerato come uno stato di emergenza e che l’urgenza sia data quindi dal riportare il carcere a livelli di legalità, non solo dal punto di vista numerico ma anche sulla qualità dell’esecuzione penale. Che la soluzione del problema dei tossicodipendenti in carcere non sia ulteriormente rimandato, come da anni di fatto avviene, dato che, già nel in passato, nelle varie relazioni al Parlamento del Ministero della Giustizia sullo stato delle tossicodipendenze si indicava come necessario il potenziamento ed un più efficace utilizzo delle misure alternative alla detenzione al fine di facilitare i percorsi di cura e di riabilitazione. Proposito sempre dichiarato e sempre inattuato, dato che in carcere sono rimasti sempre numeri considerevoli di tossicodipendenti. Che il passaggio sancito dal Dpcm del 1 aprile 2008 relativo alla sanità penitenziaria sia dotato di tutti i mezzi necessari per fronteggiare le criticità esistenti, che vanno rapidamente affrontate per trovare soluzioni esaurienti sia sul versante dei diritti dei detenuti che sull’efficacia di questo Servizio sanitario, e che l’attenzione sui processi rimanga costante, al fine di svolgere una costante ed approfondita rilevazione sullo stato di salute della popolazione detenuta ed internata, e di verificare lo stato di applicazione della riforma per gli adempimenti previsti a livello nazionale, regionale e locale, che tuttora, nonostante gli anni trascorsi dall’approvazione del Dpcm, evidenziano molte difficoltà e situazioni disomogenee. La costante e progressiva riduzione delle risorse economiche destinate alle attività di esecuzione della pena, tra cui le spese per il cibo, il necessario per le pulizie delle celle, la formazione professionale ed il lavoro, quindi in generale per le attività trattamentali, le ipotesi di riduzione delle sedi e personale degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, riducono rovinosamente le possibilità di garantire una carcerazione dignitosa. Le risorse vanno trovate. Per troppo tempo ci si è preoccupati solo dell’edilizia. Pochissimi gli investimenti per il personale educativo e la sanità stenta. È necessario che si intervenga immediatamente per migliorare le condizioni di vita nei penitenziari, altresì con provvedimenti di clemenza. Anche per le morti in carcere andrebbe dichiarato lo stato d’emergenza, con conseguenti rapidi provvedimenti e soluzioni. Elisabetta Laganà, presidente Cnvg Siamo riusciti a portare Sallusti in carcere (per un giorno) di Silvia Giralucci Pubblico, 25 ottobre 2012 Affidamento ai servizi sociali o no, nonostante la condanna definitiva Alessandro Sallusti non andrà in carcere. La legge “svuota-carceri” varata l’anno scorso prevede che le pene residue o inferiori ai 18 mesi vengano scontate in detenzione domiciliare. “Già libero”, titolerebbero probabilmente sul suo giornale. Ma anche se non passerà in galera i 14 mesi a cui è stato condannato in carcere Sallusti c’è andato già ieri. Ce l’abbiamo portato noi. Il direttore del Giornale ha accolto l’invito lanciato dai detenuti della casa di reclusione Due Palazzi di Padova dalle pagine di Pubblico di andare nella redazione della rivista Ristretti Orizzonti. È arrivato su una Mercedes nera coi vetri oscurati condotta dalla sua scorta, ha lasciato il cellulare all’ingresso, ed è entrato dalla porta principale. Non è stata una visita allo “zoo” dei detenuti, è stato un incontro, utile per chi ogni giorno tenta di far uscire dalle mura del carcere problematiche di cui non pare importare niente a nessuno e probabilmente utile anche per il direttore di un grande giornale che in questi anni ha sostenuto con fermezza campagne per chiedere pene più severe da scontare esclusivamente in carcere e ora sta per sperimentare sulla propria pelle che cosa voglia dire la macchina della giustizia. La scena che più colpisce delle due ore di confronto serrato è quella finale. Sallusti in piedi in mezzo ai detenuti, tutti alla ricerca di un contatto anche fisico come “fuori” non avverrebbe mai, tutti a consigliarlo come fosse un fratello minore: “La galera non si augura neppure al tuo peggior nemico”. “Tu che puoi, ripensaci. Il carcere non ti serve a nulla, chiedi l’affidamento ai servizi, vieni da noi in redazione”. E ancora: “Non pensare che il resto del carcere sia come quello che oggi hai visto qui, siamo in tre in celle da uno, non possiamo neppure stare in piedi contemporaneamente”. Prende la parola in apertura la direttrice della rivista, Ornella Favero, una donna che volontariamente da 15 anni va in carcere tutti i giorni per portare avanti la sua redazione che nel tempo è diventata la prima fonte di informazione sul carcere in Italia e una tra le più autorevoli in Europa, e parte con un argomento che è un classico negli incontro che quasi quotidianamente organizza in carcere con i ragazzi delle scuole superiori: “Visto che fai parte anche tu adesso della categoria di delinquenti abituali, vorremmo ragionare sulle parole. Dici di essere stato condannato per un reato d’opinione, io sinceramente preferirei una sberla piuttosto che un’offesa a mezzo stampa. Ci piacerebbe che anche tu facessi una riflessione su quanto male possono fare le parole dei giornalisti. L’altro tema che ci interessa è il carcere come strumento esclusivo per l’esecuzione della pena. Sul tuo caso c’è giustamente stata una levata di scudi generale. Non ha senso condannare un giornalista al carcere per quel che ha scritto o per omesso controllo. Ma noi aggiungiamo: ci sono tanti reati che andrebbero sanzionati in altro modo. Sono anni che cerchiamo di sollevare questo problema, facendo presente che il carcere spesso non è funzionale a una maggior sicurezza sociale, si entra per un errore, per uno scivolamento, e si esce delinquenti. In queste carceri sovraffollate all’inverosimile la rieducazione è impossibile. Eppure è veramente difficile trovare ascolto tra i giornalisti, i politici e di conseguenza anche dall’opinione pubblica. Sul tuo caso invece si è mosso perfino il Parlamento”. Il direttore del Giornale è visibilmente toccato, ma non per questo meno combattivo: “Quest’invito è una delle cose più importanti che mi sono successe di recente. C’era il bisogno di vedere in faccia qualcuno che il carcere lo sta facendo davvero, perché comunque quando il carcere ti sfiora, ti poni improvvisamente alcune domande che non ti sei mai posto in vita tua. Voi però mi state dando una responsabilità troppo grossa. I giornalisti non sono degli educatori. Un quotidiano non può raccontare un fatto, una storia, la vita di un uomo dalla nascita alla fine. Fotografa un istante. Quando un di voi viene arrestato io non ho idea da dove viene o che ne sarà di lui, fotografo quel momento. La verità è talmente complessa che è impossibile che il protagonista di una notizia si ritrovi nell’esattezza di un’articolo di giornale ma l’inesattezza non è superficialità o cialtroneria, è impossibilità di raccontare la verità nei tempi di lavoro di un quotidiano. Piuttosto, la vera arma che abbiamo noi giornalisti è la scelta di che cosa raccontare. Se vogliamo far passare una tesi, abbiamo il potere di prendere dalla realtà solo ciò che ci interessa per dimostrarla. Estrapolando 10 cose vere dalla complessità di una vita, ciascuno di noi può diventare un santo o un mascalzone. Con l’uso fazioso di alcuni elementi della realtà posso sostenere qualsiasi tesi. Ma non è un falso. Devo ammettere che essere faziosi nel montare cose vere è sicuramente un errore, ma è una necessità nella situazione italiana: a settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale e a venti dalla caduta del muro di Berlino, c’è una guerra civile che non è mai finita. Repubblica prende dalla realtà solo ciò che gli interessa per dimostrare che Berlusconi è un ladro. Io invece prendo dalla realtà politica tutto quel che di vero che mi serve per dimostrare che Bersani e Vendola sono dei poco di buono. Questo fa parte dell’anomalia di questo paese, la guerra civile, che è anche mediatica. Però questa etichetta di faziosità viene appiccicata a me e al Giornale e non viene invece appiccicata a Ezio Mauro e a Repubblica”. Dalla redazione intervengono in tanti, detenuti che spesso si chiedono perché nei telegiornali si parla dei canili fatiscenti e non delle condizioni in cui sono le carceri italiane. Si chiedono perché non sia possibile rompere il muro di disinteresse rispetto a quel che accade in carcere, al senso e al modo dell’esecuzione della pena. “I giornali sono prodotti commerciali - risponde candidamente Sallusti - e non possono prescindere dagli umori della gente. Il salto si farà solo quando tanta gente incrocerà il carcere prendendo coscienza di che cos’è questa realtà”. Dritan racconta della figlia, che ritrova donna dopo averla lasciata quando era in fasce. E poi guarda il direttore del Giornale quasi con dolcezza: “Non ti preoccupare che in 14 mesi non perdi così tanto”. “Qual è il tuo fine pena?” chiede Sallusti. Risata generale. “In galera sai quando entri ma non sai quando esci. Ci sono i reati che uno compie in carcere, basta una rissa per ritrovarti anni in più”. Man mano che il discorso avanza il direttore del Giornale pare prendere coscienza di una realtà molto più complessa di quel che ha sempre immaginato. “Il carcere non lo augurerei a nessuno ma lo consiglio a tanti”, gli dice uno dei detenuti della redazione. Tutti insistono perché lasci da parte l’orgoglio e chieda di essere affidato ai servizi, magari scegliendo di scontare la propria pena in detenzione domiciliare con un percorso di recupero da svolgere proprio a Ristretti Orizzonti. Adesso ve la dico tutta: “Ma ragazzi, 14 mesi chiusi in casa con la Santanché voi li fareste?”. Coro di risate. Chissà se si rivedranno. Giustizia: intervista a Franco Corleone, in sciopero fame contro il sovraffollamento di Daniele Biella Vita, 25 ottobre 2012 Franco Corleone, Coordinatore nazionale dei garanti dei detenuti, venerdì presenterà, assieme all’associazione Antigone, proposte per fermare il boom di accessi in cella. Franco Corleone ha deciso: sciopero della fame a oltranza, fino allo scioglimento delle Camere in previsione delle prossime elezioni della primavera 2013. Con lui, Coordinatore nazionale dei garanti territoriali dei diritti dei detenuti, hanno aderito all’iniziativa decine di persone che, tre giorni a testa, eviteranno di ingerire cibi solidi. Venerdì 26 ottobre, alle ore 11, alla Sala stampa della Camera dei Deputati, in via della Missione 4, a Roma, Patrizio Gonnella, Presidente dell’associazione Antigone, insieme allo stesso Corleone, presenteranno le proposte per risolvere con urgenza la questione del sovraffollamento e illustreranno i tagli che il personale e l’intero sistema penitenziario subiranno con i provvedimenti previsti dal Governo. Al 30 settembre di quest’anno nelle nostre carceri risultavano presenti 66.568 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45.849 posti. Perché questo sciopero della fame? È un’iniziativa collettiva che vuole costringere la politica ad azioni concrete verso la diminuzione del sovraffollamento. Speriamo che centinaia di persone aderiscano. Quali proposte suggerite? La prima è un decreto legge che affronti in modo ragionevole una delle maggiori cause del sovraffollamento, ovvero la legge sulle droghe in vigore e la legge Cirielli sulla recidiva: entrambe vanno a scapito dei tossicodipendenti, che finiscono in carcere per mera detenzioni di stupefacenti: è il luogo sbagliato dove farli stare, perché avrebbero bisogno di un affidamento terapeutico e non di essere lasciati a sé stessi. Stiamo parlando di migliaia di persone. Sempre nell’ottica di seguire le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Napolitano sul fatto di trovare misure urgenti per liberate persone, poi ci sono tante altre ragioni alla base della nostra iniziativa. Ovvero? Garantire maggiormente il diritto all’affettività: i pochi momenti d’incontro dei detenuti con i partner o le famiglie hanno un onnipresente controllo visivo, che andrebbe tolto per l’asciare spazio a una maggiore intimità. In questo senso va il ricorso del presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze che chiede più libertà in materia. Il problema è che si muove sempre prima la giustizia dei politici, che sono sempre in ritardo e raramente battono un colpo. Un altro tema urgente da affrontare è introdurre il reato di tortura nel codice penale, così come attuare alla lettera il regolamento penitenziario approvato nel 2000, ancora oggi distteso in molte strutture. Come potrebbe ‘battere un colpò la politica? Mettendo nella propria agenda come voce prioritaria il trovare una soluzione contro il sovraffollamento. Invece si guarda altrove: mi indigna che il Governo abbia rinnovato fino al 2018 la spesa per i braccialetti elettronici dei detenuti, che sono costati 90 milioni di euro e finora ne sono in circolazione solo quindici. Sì, quindici di numero. Nelle sue visite come vede la situazione detentiva? La fotografia è drammatica, detenuti e tutto il mondo carcerario è allo stremo, i suicidi si contano quasi giornalmente, oggi una persona si è tolta la vita a Sollicciano, ieri a Prato. Menomale che non si vedono rivolte, anche se fa impressione quello che mi ha detto oggi un recluso durante una riunione: “qui si regge perché siamo tutti imbottiti di psicofarmaci”. Una notizia del genere è davvero preoccupante. Giustizia: amnistia; intervista a Monsignor Domenico Pompili, portavoce della CEI di Riccardo Arena Notizie Radicali, 25 ottobre 2012 Quella che segue è la trascrizione dell’intervista realizzata da Riccardo Arena, animatore e conduttore della trasmissione “Radio Carcere” in onda su “Radio Radicale” a monsignor Domenico Pompili, sottosegretario e portavoce della CEI. Monsignor Pompili, la CEI condivide la necessità di approvare di un’amnistia, che rimedi al collasso in cui versa la giustizia del nostro Paese e che rimedi al collasso presente nelle carceri italiane? “Dell’amnistia si va parlando da diverso tempo e più di recente la questione è stata sollevata dallo stesso Presidente della Repubblica. Senza dubbio la necessità di una amnistia si impone, per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri e anche per superare le condizioni ambientali spesso insostenibili. Lo Stato certamente deve continuare ad esercitare la giustizia garantendo il bene comune dei cittadini, a cominciare anche dalla loro sicurezza ed incolumità. Però, come ricordava il cardinale Bagnasco, la vita dei carcerati non è mai una vita a perdere e di qui la necessità di affrontare il nodo della giustizia, in modo tale che la pena possa assolvere al compito medicinale che le è proprio e nello stesso tempo a garantire i cittadini. Ma, come spesso mi è dato di conoscere anche attraverso i cappellani delle carceri, le persone che sono in carcere restano degli uomini che valgono sempre di più rispetto anche alle azioni di cui si sarebbero - e si sono, molte volte - macchiati. Occorre dare la possibilità di un riscatto: così la società dimostra di essere veramente umana e di essere anche superiore a tutte le bassezze di cui si fanno purtroppo interpreti gli umani”. Quindi secondo la CEI è auspicabile un intervento del Parlamento che approvi una legge di amnistia e di indulto? “Mi pare che già da tempo - dai tempi di Giovanni Paolo II e più di recente anche attraverso le parole di Benedetto XVI a Rebibbia - questa questione sia stata interpretata adeguatamente. *L’auspicio è che ci si faccia carico di questo problema, che è un problema certamente complesso, ma probabilmente non rinviabile”. Giustizia: Corleone, se il Governo vuol fare dei risparmi sul carcere… sarà il Far West Redattore Sociale, 25 ottobre 2012 Il garante Corleone: “Nelle prigioni scorre il sangue. Digiuno a staffetta per chiedere al ministro Severino un decreto legge per affrontare il nodo del sovraffollamento”. “Se il governo vuol fare dei risparmi sul carcere eliminando le misure alternative alla prigione e abolendo le direzioni carcerarie, significa che inizierà il far west negli istituti penitenziari italiani”. Queste le parole del rappresentante dei garanti nazionali dei detenuti Franco Corleone a margine del convegno di Firenze “La tortura nelle carceri italiane”. “Lo stillicidio di suicidi - ha detto Corleone - gli atti di autolesionismo, i tentati suicidi dicono chiaramente che nelle carceri scorre il sangue, si muore, si sta male, viene violata la legge e la costituzione perché non si fa nessun tentativo di applicare l’articolo di reinserimento sociale, ma il carcere è solo una pura restrizione, un ammassamento di corpi in condizioni intollerabili”. Ecco perché “abbiamo cominciato un digiuno a staffetta a oltranza fino allo scioglimento delle Camere per chiedere al ministro Severino un decreto legge per affrontare il nodo del sovraffollamento”. Giustizia: Margara; la situazione delle carceri sta peggiorando, ma il Governo non fa nulla Ansa, 25 ottobre 2012 “Le condizioni del carcere sono pessime ma stanno peggiorando” e “il problema è che non fanno nulla a livello di Governo”. Lo ha detto il garante dei detenuti della Toscana Alessandro Margara intervenendo oggi a margine di un convegno a Firenze. Margara ha reso noto di aver inviato, insieme al garante fiorentino Franco Corleone, una lettera al Ministro della Giustizia Paola Severino sui problemi del carcere e del sovraffollamento. Anche l’amnistia, ha aggiunto, “credo che non serva a molto perché uscirebbero poche persone e perché è praticamente impossibile da attuare in quanto a livello parlamentare serve una maggioranza particolare. C’è stata solo quando c’era da liberare Cesare Previti”. Giustizia: sul reato di tortura, l’Italia riduce lo spread di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 25 ottobre 2012 L’Italia finalmente riduce lo spread con l’Europa e il mondo intero in materia di tortura. A dieci anni dalla firma solenne del Protocollo Opzionale alla Convenzione contro la tortura e le altre punizioni o trattamenti crudeli, inumani o degradanti anche l’Italia ha proceduto ieri alla ratifica del relativo Trattato internazionale. Vi è arrivata dopo sessantaquattro paesi rappresentativi di tutti i continenti, in ordine rigorosamente alfabetico dall’Albania all’Uruguay. Cosa prevede questo Trattato? Sostanzialmente due impegni per gli Stati e quindi anche per il nostro. In primo luogo la disponibilità a fare ispezionare i propri luoghi di privazione della libertà personale da un Comitato di esperti delle Nazioni Unite; poi c’è la istituzione obbligatoria di un meccanismo nazionale indipendente (NPM) di controllo e monitoraggio di carceri, stazioni di polizia, ospedali psichiatrici, centri di identificazione per stranieri. L’Italia ha ora un anno di tempo per dar vita a questa figura di garanzia. In Germania dal 2008 vi è l’Agenzia Federale per la prevenzione della tortura, in Spagna dal 2006 esiste il Defensor del Pueblo, in Francia dal 2010 opera il Controleur Génèral des lieux de privation de liberté. Governi socialdemocratici o conservatori si sono adeguati dando origine a istituzioni ad hoc. In quegli stessi anni in Italia alcune forze politiche di sinistra rincorrevano il linguaggio truce e banale della destra affermando che la sicurezza non ha colore politico. Il tutto mentre l’ex ministra della Giustizia francese Rachida Dati (governo Sarkozy), nell’annunciare in modo solenne la nascita dell’NPM francese, dichiarava che i diritti umani non sono né di destra né di sinistra. Entro il prossimo anno, ciò è categoricamente scritto nella Convenzione Onu, toccherà all’Italia dotarsi di un organismo di prevenzione e protezione dei diritti delle persone limitate o private della libertà. Il ritardo è tale che sarebbe delittuoso a questo punto perdere altro tempo. Affinché siano rispettati i dettami Onu l’organismo deve essere dotato di poteri effettivi sia di visita che di controllo. Deve potere entrare dappertutto, senza restrizioni. Deve poter visitare i luoghi oggi preclusi ai giornalisti o alla società civile (come i Cie), deve poter ispezionare le sezioni psichiatriche degli ospedali o i reparti dove sono reclusi i detenuti sottoposti al regime duro di cui all’articolo 41 bis, secondo comma, dell’ordinamento penitenziario. Deve disporre di autorità e autorevolezza per indurre le amministrazioni pubbliche a tenere comportamenti virtuosi. Qualora necessario, deve poter far chiudere i luoghi indecenti, far aprire inchieste penali per violenze e pestaggi, mediare là dove alberga la tensione tra i custodi e i custoditi. Per fare tutto questo è necessario che tale organismo sia forte e composto da personalità di prestigio ed esperienza. È indispensabile che non sia anestetizzato dal manuale Cencelli. Preoccupa che nella legge di ratifica sia scritto apertis verbis che non c’è un euro a disposizione per farlo funzionare. Non si vede perché debbano esserci autorità di garanzia ricche (quelle che si occupano dei temi dei ricchi, come ad esempio l’autorità sulla concorrenza) e autorità di garanzia povere (quelle che si occupano dei temi dei poveri, come la tortura). All’articolo 4 delle Regole Penitenziarie Europee del 2006 c’è scritto che: “Le condizioni detentive che violano i diritti umani del detenuto non possono essere giustificate dalla mancanza di risorse.”. I diritti umani non sono mai degradabili a costo. Ogni euro speso per prevenire la tortura è un tassello del mosaico della democrazia. Il prossimo tassello deve essere l’introduzione del crimine di tortura nel codice penale. Tortura, il reato si avvicina (Italia Oggi) Via libera definitivo dalla Camera alla legge di ratifica della Convenzione Onu del 1988 contro la tortura. L’ok definitivo alla ratifica, come nelle scorse settimane quello dato dal Senato e a conclusione di un rimpallo per quasi tre anni, è stato bipartisan: 483 i voti a favore, 8 astensioni, nessuno contrario. Si tratta dell’anticamera della introduzione del nuovo reato di tortura nel codice penale, per il quale ora servirà un apposito disegno di legge. La Convenzione configura la fattispecie in presenza di “gravi sofferenze fisiche o psichiche inflitte alla vittima, privata della libertà al fine di estorcerle informazioni o confessioni o di punirla per motivi etnici, razziali, religiosi o politici”. E prevede da tre a dieci anni di carcere per chi la commette. “La ratifica del Protocollo Onu contro la tortura”, ha detto il deputato dei Radicali-Pd Matteo Mecacci, “è un fatto positivo, e ringrazio gli oltre 50 colleghi che hanno sottoscritto la proposta di legge. Ora spero che si abbia il coraggio di superare gli ostruzionismi che ancora si frappongono all’introduzione di tale reato nel nostro codice penale”. Giustizia: arrivano gli stage per gli studenti detenuti, accordo ministri Profumo e Severino Vita, 25 ottobre 2012 I ministri Profumo e Severino firmano un protocollo di tre anni per potenziare l’istruzione in carcere. Previsto un investimento tecnologico e stage in azienda per il 10% degli studenti. Più istruzione e più formazione professionale, per dare concrete opportunità di reinserimento sociale e lavorativo ai detenuti. Lo prevede un Protocollo d’Intesa firmato presso l’Istituto penale per minorenni di Roma Casal del Marmo, i ministri Francesco dai ministri Francesco Profumo e Paola Severino, intesa che avvia un programma della durata di tre anni. Cosa prevede il protocollo? Di organizzare percorsi di istruzione e formazione modulari e flessibili attraverso cui i detenuti possano acquisire, o recuperare, abilità e competenze professionali spendibili nel mondo del lavoro. I percorsi formativi potranno contare su materiali didattici anche digitali e laboratori di supporto alle attività scolastiche e formative da allestire all’interno degli istituti penitenziari. Per quanto riguarda i detenuti stranieri, nomadi e con le maggiori carenze educative, saranno attivati laboratori di Italiano allo scopo di favorirne la piena integrazione nel tessuto sociale italiano e potenziarne le opportunità di inserimento lavorativo. A conclusione di ogni anno scolastico e formativo potranno essere attivati stage presso aziende, enti pubblici e privati e associazioni per almeno il 10% dei partecipanti alle attività educative, purché abbiano seguito con continuità e profitto l’intero percorso formativo. Collegamenti virtuali con il mondo esterno. Da parte del Miur, il Protocollo prevede che vengano arricchite le mediateche esistenti presso gli istituti penitenziari, anche attraverso la stipula di convenzioni con le case editrici che aderiranno al programma. Sarà compito invece del Ministero della Giustizia adeguare le strutture e gli spazi dedicati alle attività di istruzione e formazione negli istituti, anche nell’ambito dei progetti di edilizia penitenziaria. Impegno comune è dotare questi spazi formativi di attrezzature tecnologiche avanzate, che consentano collegamenti virtuali tra carcere e mondo esterno. Le attività previste saranno sviluppate anche attraverso rapporti di collaborazione con Regioni ed Enti Locali, quali partner istituzionali specifici, università, fondazioni, associazioni e altri enti istituzionali interessati al Programma. Sarà definita inoltre una rete interistituzionale di Poli (Case Circondariali, Istituti Penali per minorenni, Aree penali esterne ed Istituti Scolastici di riferimento) quali centri di innovazione e di monitoraggio delle azioni programmate a livello nazionale, nonché di valutazione dei risultati ottenuti. Annualmente sarà effettuata una ricognizione dei bisogni formativi dei minori e degli adulti interessati, per evitare duplicazioni di interventi e dispersione di risorse. Giustizia: medicina; tra Adipso e Simspe un patto per combattere la psoriasi nelle carceri Asca, 25 ottobre 2012 Adipso (Associazione per la difesa degli Psoriasici) e Simspe-onlus (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) uniscono le proprie azioni a sostegno della salute delle persone detenute nei 211 Istituti Penitenziari Italiani. E lo fanno in occasione del 29 ottobre, Giornata Mondiale della Psoriasi, lanciando l’allarme su questa malattia, presente nelle carceri italiane, spesso non diagnosticata o non curata. “La sanità penitenziaria - spiegano le due organizzazioni in una nota - è dal 2008 in capo al Servizio Sanitario Nazionale e, quindi, alle Regioni ed alle singole Aziende Sanitarie Locali, ma non si è lontani dalla realtà indicando questo settore come il fanalino di coda dell’assistenza pubblica. La sanità penitenziaria è sovraffollamento, crisi economica, mancanza di strategie e soprattutto carenza di personale sanitario e di servizi, a cui consegue spesso una precaria assistenza ai detenuti. L’elevato numero di suicidi, di atti di autolesionismo, di morti naturali in giovani donne e uomini, di malattie infettive, di dipendenze patologiche, non debbono quindi stupire ma essere di monito e di sprone per chi di questa situazione è responsabile”. Di qui l’impegno, sottoscritto lo scorso 12 ottobre a San Martino al Cimino (VT), dai presidenti Adipso, Mara Maccarone, e Simspe, Sergio Babudieri, a un’azione comune sancita da un incontro in cui è stato concordato un percorso tra Dermatologi, Reumatologi e medici dell’U.O. di Medicina Protetta - Malattie Infettive dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, che consentirà alla popolazione detenuta di ricevere adeguata assistenza specialistica sia in carcere che presso lo specifico reparto ospedaliero destinato ad accogliere pazienti in stato di detenzione, diretto dal Past-President Simspe, Giulio Starnini. All’iniziativa ha anche aderito Orlando Armignacco, presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. Specialisti e addetti ai lavori, sono infatti convinti che nel contesto carceri “è corretto occuparsi non solo di HIV, epatite B e C e Tubercolosi ma anche di altre malattie invalidanti come la Psoriasi, favorite dalle condizioni di stress estremo in cui si è costretti all’interno degli istituti penitenziari”. “Fino ad oggi- sottolineano Adipso e Simspe - non sono disponibili dati sulla prevalenza della Psoriasi tra i detenuti, nè sulla qualità delle cure apprestate. Sappiamo però che i detenuti che giornalmente sono presenti nelle nostre carceri sono oltre sessantacinquemila e sappiamo che la Psoriasi se non diagnosticata può solo progredire e se non curata può rappresentare una vera e propria tortura fisica e psichica. Non conoscere la reale entità del problema non esime quindi i responsabili della cosa pubblica dall’interessarsi della salute anche di un solo uomo”. “La Società civile che oggi vogliamo rappresentare - concludono - deve cogliere l’occasione di questa Giornata Mondiale della Lotta alla Psoriasi per richiamare l’attenzione delle Istituzioni, partendo proprio dalla Psoriasi. Sono necessarie strategie precise di contrasto come quella dell’estensione alle persone detenute dell’assistenza fornita presso i Centri Dermatologici italiani accreditati per tale patologia”. Giustizia: Papa (Pdl); Italia peggio di Ruanda e Ghana Il Velino, 25 ottobre 2012 Nel corso della discussione in Aula di un’interpellanza il deputato del Pdl Alfonso Papa rivolgendosi al sottosegretario della Giustizia Sabato Malinconico ha dichiarato: “In Italia un detenuto si suicida ogni cinque giorni nella più sordida indifferenza dell’intera classe politica: i partiti di destra e di sinistra, sovrastati dall’esclusiva esigenza di autoconservazione, hanno da tempo rinunciato a occuparsi dei problemi concreti”. “Lo stato di illegalità delle carceri italiane - ha continuato l’onorevole Papa - è la punta dell’iceberg dell’inefficienza del sistema giudiziario, per il quale il rapporto Doing Business 2013 della Banca Mondiale ha posizionato l’Italia al 160? posto, surclassato da Paesi come Ruanda, Ghana e Zimbabwe. La giustizia che non funziona disincentiva gli investimenti e impoverisce il Paese”. “Da tempo il nostro Paese si pone al di fuori di ogni parametro di civiltà e legalità, come censurato da diverse giurisdizioni internazionali. Nel frattempo - ha concluso Papa - questo Parlamento si ostina a sottoscrivere ottusamente delle convenzioni, come l’ultima sulla tortura, per poi violarle sistematicamente. In questo modo l’Italia si candida ad essere qualificato dagli organismi internazionali come Stato canaglia”. Lettere: quando gli “uomini ombra” fanno paura di Carmelo Musumeci www.articolo21.org, 25 ottobre 2012 Nel carcere di Spoleto, nella sezione AS 1, si era formato un gruppo di uomini ombra (così ci chiamiamo fra di noi ergastolani ostativi) che con dibattiti, articoli e inviti al mondo esterno, lottavano pacificamente per l’abolizione della “Pena di Morte Viva” (così chiamiamo l’ergastolo ostativo, quello senza nessuna possibilità di liberazione). Avevamo assiduamente incontri con la società esterna, locale e nazionale. Commovente il colloquio collettivo con la scrittrice Benedetta Tobagi, che ha avuto il padre ammazzato dalle brigate rosse. Affettuosi gli incontri con la Comunità Papa Giovanni XXIII e con il Prof. di Filosofia Giuseppe Ferraro, dell’Università Federico II di Napoli. Costruttive le visite del Senatore Francesco Ferrante, dell’Onorevole Rita Bernardini, dell’ex Senatore Giovanni Russo Spena, degli operai di Pomigliano e di tanti altri. Bellissime le visite d’intere scolaresche delle scuole superiori e degli studenti universitari con gli uomini ombra. Molte le iniziative intraprese da parte degli uomini ombra per sensibilizzare l’opinione pubblica, la più importante è l’attuale petizione “Firma contro l’ergastolo” sul sito www.carmelomusumeci.com , che ad oggi ha superato le quindicimila firme e che sta avendo adesioni come Stefano Rodotà, Umberto Veronesi, Luigi Ferraioli, Don Luigi Ciotti, Erri De Luca, Margherita Hack, Agnese Moro, Bianca Berlinguer, Giuliano Amato, e molti altri. Con il nostro pacifico, costruttivo, attivismo non pensavamo di dare fastidio a nessuno, ma un bel giorno inspiegabilmente, senza sapere il perché, come sacchi di patate ci prendono e ci sparpagliano in molti carceri d’Italia, molti addirittura in Sardegna: percorsi rieducativi interrotti, legami tagliati, colloqui coi familiari resi ancor più difficili, percorsi scolastici bruscamente interrotti. Oggi ho potuto finalmente scoprire la verità sulla diaspora degli uomini ombra leggendo la bellissima lettera, pubblicata su “Il Manifesto dell’19 ottobre 2012, del coraggioso direttore aggiunto del carcere di Spoleto, Giacobbe Pantaleone: (…) È non è da escludere che il trasferimento di questi detenuti sia dipeso da una sorta di fraintendimento o malinteso, forse influenzato da un eccesso di interpretazione autarchica rispetto a quello che bolliva in pentola in questo stare al gioco. Per esempio, sollevare il tema dell’ergastolo ostativo può avere generato dei sospetti? Eppure esso è stato portato tante volte all’attenzione dell’opinione pubblica con intelligenza: mai che si ricordi sia stato portato dentro un progetto rivendicativo ottuso (…). I funzionari di Roma hanno paura dei prigionieri che pensano, lottano e scrivono. Lo sospettavo che eravamo partiti perché lottavamo pacificamente contro l’abolizione dell’ergastolo, ora ne ho la certezza. Firenze: s’uccide in cella a Sollicciano, ma non doveva essere lì di Antonella Mollica Corriere Fiorentino, 25 ottobre 2012 Accusato di stalking, 47 anni, faceva lo spazzacamino. Ed era malato di Aids. Il suo avvocato: “Avevo supplicato di farlo uscire, ma nessuno mi ha ascoltato”. Disposta l’autopsia Il suo avvocato lo aspettava in tribunale per un vecchio processo nato da una guida in stato di ebbrezza. Ma nell’aula 24 del palazzo di giustizia Teresio Rosato Scotto, lo spazzacamino, 47 anni, in carcere da maggio per stalking, non è mai arrivato. Ieri mattina alle 7.20 si è impiccato nel centro clinico di Sollicciano con il cavo della televisione. Era rimasto solo dopo il trasferimento del suo compagno di cella. L’ha trovato un agente di polizia penitenziaria ma era ormai troppo tardi. Ha lasciato un biglietto con scritto solo “avvertite il mio avvocato”. E così hanno fatto. Dal carcere hanno chiamato il legale che era già in tribunale e gli hanno detto: “Provveda lei ad avvisare i parenti”. Così Teresio ieri mattina è uscito da Sollicciano con destinazione Cappelle del commiato. Poi, nel pomeriggio, è arrivato l’ordine di trasferirlo a medicina legale per l’autopsia, così come disposto dalla procura. È disperato l’avvocato Giorgio Ponti: “Ho passato mesi a supplicare di farlo uscire ma nessuno mi ha ascoltato”. Teresio in cella non doveva proprio starci. Era un malato di Aids, malattia contratta per una trasfusione, e già questo dovrebbe bastare. Poi aveva problemi psichiatrici. Alla fine di aprile l’avevano arrestato con l’accusa di aver dato fuoco alla Cinquecento della zia vigilessa della sua ex fidanzata di 22 anni. Sarebbe stato processato il 20 dicembre per quella storia rubricata come stalking. Ma basta leggere quel capo di imputazione, spiega il legale, per capire che è assolutamente inconsistente: “Incendiava l’auto il 29 aprile; metteva un volantino pubblicitario della sua attività di spazzacamino nei pressi della cassetta postale della fidanzata; il 2 maggio alle 22.30 suonava ripetutamente il campanello di casa della ragazza; il 9 e 10 maggio le telefonava e alla risposta della madre diceva “Careggi, camera mortuaria, c’è un cadavere”. “Con queste accuse - dice l’avvocato Ponti - l’hanno mandato in carcere e l’hanno lasciato per mesi”. Dopo l’arresto il gip Anna Favi aveva disposto il ricovero a Ponte a Niccheri per accertamenti medici. Aveva trascorso l’estate lì in stato di detenzione ma senza nessun piantone a sorvegliarlo. Così in quei giorni aveva ripreso a vedersi con la sua fidanzatina. Il 5 agosto, una pattuglia lo trova in pigiama e con una zappa in mano davanti al circolo Vie Nuove di viale Giannotti e lo arresta per evasione. Il gip convalida l’arresto e lo rimanda all’ospedale. “Mi annoio lì dentro, vado fuori a mettere i fiori nelle aiuole delle Madonnine ai lati della strada”, aveva confessato al suo avvocato. Quella volta gli avevano sequestrato la zappa e lui per riaverla indietro, perché l’aveva presa in prestito da un amico, aveva scritto di suo pugno al pm. La procura aveva così trasmesso la richiesta al tribunale del riesame e un mese fa i giudici gli avevano finalmente restituito la zappa. A settembre l’avvocato Ponti aveva chiesto il giudizio abbreviato condizionato all’ascolto della fidanzata ma la richiesta non era stata accolta. Il gip Tommaso Picazio l’ha rimandato a Sollicciano nel reparto clinico per accertamenti psichiatrici e valutare la possibilità di affrontare il processo. Gli esami si erano appena conclusi. La storia giudiziaria di Teresio si ferma qui ma probabilmente non finirà qui. “Ci sono delle responsabilità e chiederemo che siano accertate - prosegue l’avvocato Ponti - Teresio non ne poteva più di stare in carcere, quel cavo delle televisione deve essergli parso l’unica via per passare definitivamente al di là delle sbarre”. “La vita dei detenuti peggiora sempre di più - dice Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti in sciopero della fame - non si può continuare a parlare di emergenza senza far niente. Serve un decreto legge per cancellare le norme “affolla-carcere” della legge sulle droghe”. Ieri mattina al processo nell’aula 24 il giudice ha rinviato il processo per guida in stato di ebbrezza al 21 dicembre. Ha bisogno del certificato di morte per dichiarare estinto il procedimento per morte del reo. L’avvocato, con le lacrime agli occhi e la rabbia nel cuore, ha risposto “se lo faccia mandare da Sollicciano. Altrimenti può anche condannarlo. Tanto Teresio in prigione non ci tornerà più”. E alla Dogaia un’altra tragedia Si è allacciato il lenzuolo della cella al collo e si è lasciato cadere nel vuoto. Era condannato a scontare tre anni e mezzo all’interno del carcere della Dogaia di Prato: aveva strappato dal collo di un cittadino cinese una catenina e aveva piccoli precedenti per furto. Ventiquattro anni, un carattere introverso, veniva dal Marocco, dove aveva trascorso tutta la sua vita prima di arrivare in Toscana. Dopo l’arresto, la condanna e il processo d’appello, aveva persino ricevuto uno sconto della pena dal giudice: mancavano solo nove mesi alla fine detenzione. Ma lui non ha resistito e lunedì sera ha deciso di impiccarsi. Subito soccorso dalla polizia penitenziaria, è stato trasportato in ospedale dove è morto martedì sera. Sulla vicenda, sono intervenuti poliziotti e sindacati. “Cos’altro deve succedere ancora prima che siano presi seri provvedimenti sulla vivibilità delle carceri e, in particolare, sulla situazione della Casa Circondariale di questa città?”, si chiede in una nota la segreteria del settore Funzione Pubblica della Cgil di Prato. Una settimana fa il direttore della Casa Circondariale di Prato Vincenzo Tedeschi aveva lanciato il suo Sos riguardo ai tagli alle risorse, al sovraffollamento e alla carenza di personale. Tutti i giorni gli operatori, agenti di polizia penitenziaria e personale amministrativo, lanciavano allarmi sulla struttura, “che è sul punto di esplodere”. Secondo le ricostruzioni degli agenti negli ultimi giorni, oltre al detenuto morto suicida, ci sono stati cinque tentativi di suicidio ed una rissa tra detenuti nel carcere pratese. Non si esclude che nei prossimi giorni gli agenti penitenziari pratesi, come accadde lo scorso anno, tornino a protestare pubblicamente. Agostini: “I suicidi sono l’iceberg del disagio” (Comune di Firenze - Ufficio Stampa) Il presidente della commissione pace e diritti: “Abbiamo chiamato il garante dei detenuti per fare il punto su una situazione drammatica per agenti e detenuti”. Questo l’intervento della presidente della commissione Pace e Diritti Umani Susanna Agostini: “La situazione esplosiva e disumana che sta vivendo tutta la popolazione carceraria ci costringere a incrementare l’impegno assunto durante il consiglio a Sollicciano e nei tanti atti di consiglio comunale che abbiamo approvato. Questa mattina in commissione abbiamo nuovamente preso atto che diventano sempre più impellenti i provvedimenti richiesti con i nostri atti di consiglio. Non possiamo restare insensibili alle statistiche di suicidi giornalieri, che come iceberg segnano il disagio del sistema carcerario. Il Ministro ha più volte sollecitato le parti interessate ad accelerare un processo di umanizzazione nelle strutture di detenzione. Gli insufficienti organici, il sovraffollamento, i detenuti in attesa di giudizio, la casa di cura e tutela per le donne, i minori che condividono gli angusti luoghi delle madri, sono i temi emergenti che portano al disagio fino all’autodistruzione di persone che avrebbero il dovere di scontare una pena. Per questi motivi abbiamo chiamato con urgenza il garante dei detenuti, per fare con lui il punto del permanente disagio fiorentino sia da parte degli agenti di polizia penitenziaria che dei reclusi nel nostro carcere. La commissione di questa mattina ha poi affrontato il tema del ‘10+10’, ascoltando da parte degli organizzatori come si svolgeranno i lavori dall’otto all’undici novembre. Saremo presenti sia personalmente che come commissione ad una evento che si propone di ribadire i concetti affrontati nel 2002. A dieci anni di distanza l’amministrazione comunale e il popolo fiorentino potranno ripercorrere con la memoria i giorni che portarono Firenze alla ribalta internazionale per un evento sociale partecipato da tanti giovani provenienti da tutto il mondo. A dieci anni di distanza i contenuti restano gli stessi e diventano sempre più cogenti, e anche se in forma ridotta nei numeri dei partecipanti la città sarà nuovamente coinvolta in una riflessione rivolta al benessere culturale e sociale dell’umanità”. Salerno: eroina in carcere; overdose in cella per 2 detenuti, sono gravissimi di Petronilla Carillo Il Mattino, 25 ottobre 2012 Droga in carcere. Quello che fino a ieri poteva essere soltanto un sospetto, è ora realtà. Ieri sera due detenuti sono finiti in ospedale per overdose da eroina. Le loro condizioni sono molto gravi: entrambi sono ora in prognosi riservata e ricoverati in Rianimazione al San Leonardo. La loro via è appesa ad un filo. Si tratta di Domenico Andretta, 28 anni, e Pietro Immediata di 33. Uno è originario di Eboli, l’altro di Bellizzi. Poco dopo le 18.30 di ieri i detenuti della sezione tossicodipendenze hanno iniziato ad agitarsi: urla e richieste disperate di aiuto hanno catturato l’attenzione dei vigilanti. Gli agenti della polizia penitenziaria in un primo momento hanno pensato che si trattasse di una delle solite scene: qualcuno che simulava un malore o che aveva inalato gas dalla bombola che tutti sono autorizzati ad avere in cella. Ma così non era. È bastato poco agli agenti in servizio per capire che la situazione era ben più grave: i due ragazzi erano a terra, pallidi, sudati. È così scattato l’allarme al 118: quelle due ambulanze arrivate a sirene spiegate a Fuorni hanno preoccupato un po’ tutti. In ospedale i due sono stati sottoposti a tutti gli accertamenti di rito e agli esami tossicologici. In un primo momento si è pensato che potessero aver avuto un choc etilico, poi dalle analisi del sangue la dura verità: overdose da eroina. Una situazione che l’avvocato Bianca de Concilio, difensore di Andretta, definisce “sconcertante”. Il suo assistito, difatti, non riceve alcuna visita se non la sua in quanto detenuto da un anno per estorsione ai danni della sua stesa famiglia. “Quanto accaduto in carcere al mio assistito e all’altro giovane è assurdo - denuncia il legale - tutto ciò è assurdo. Com’è possibile che noi avvocati veniamo perquisiti e siamo costretti a lasciare tutto negli armadietti all’ingresso e poi entra droga in carcere e nessuno se ne rende conto? È impossibile che nessuno sappia”. Secondo l’avvocato, che ora sta valutando il da farsi, “tutto ciò accade anche perché l’unica cosa che viene fatta per la loro disintossicazione in carcere è riempirli di metadone. Non ci sono programmi specifici. Il mio assistito, tra l’altro, non riceve alcuna visita: è stato denunciato dalla sua stessa famiglia e nessuno va a trovarlo. Come ha potuto procurarsi la droga, dunque?”. Domande alle quali qualcuno dovrà dare una risposta. Sicuramente su quanto accaduto verrà aperta un’inchiesta dalla procura di Salerno e probabilmente ne sarà aperta anche una interna. Voci di carcere parlano di alcol, droga, coltelli che circolano. Secondo gli esperti la droga entra nelle carceri non soltanto per consentire agli altri di utilizzarla ma anche per affermare un proprio diritto di supremazia in una logica criminale in base alla quale possederla significa avere potere sugli altri detenuti. Secondo quanto appurato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i metodi per far entrare la droga sono i più disparati: detenuti che si scambiano le scarpe con il parente venuto a far visita, madri e mogli che nascondono la cocaina nei cibi preparati o addirittura nel pannolino del proprio bambino in fasce. A Genova una donna la nascondeva nei genitali. E i Radicali ringraziano la polizia penitenziaria (Salerno Today) Salzano: “Avrei voluto ringraziare il sindaco per l’impegno per l’istituzione del Garante, ma la triste cronaca di queste ore m’impone di essere vicino ai familiari dei detenuti colpiti”. Un episodio increscioso si è consumato all’interno della casa circondariale di Fuorni. Ieri, infatti, sono finiti in ospedale, in gravissime condizioni, due detenuti di 28 e 33 anni per overdose. Proprio all’interno delle mura che avrebbero dovuto proteggerli dalla droga, chissà come, è stata introdotta la sostanza stupefacente facendo rischiare la vita ai due giovani reclusi. “Sono passate soltanto alcune ore da quando il sindaco De Luca e il consiglio comunale hanno dato e voluto essere speranza approvando all’unanimità l’istituzione del Garante dei detenuti, per la martoriata comunità penitenziaria di Fuorni che è stata colpita da inaudita violenza, per i casi in queste ore, di due, forse tre malori contemporanei, nella sezione dedicata ai tossicodipendenti, forse gli ennesimi casi di tentativi di suicidi o il durissimo attacco delle narcomafie a questa martirizzata comunità di martiri, ristretti in quelle che oramai da tempo sono le catacombe del terzo millennio”, ha commentato Donato Salzano dei Radicali. Parla, inoltre, di “tragedia sventata soltanto dall’abnegazione degli agenti di polizia penitenziaria e della direzione del carcere, con il loro tempestivo intervento salvavita”, Salzano, quando, in realtà, ci si dovrebbe interrogare sulle modalità con le quali la sostanza stupefacente, nonostante la polizia, abbia varcato l’ingresso della casa circondariale, raggiungendo e mettendo in pericolo la vita dei detenuti. Si riserva la facoltà di non parlare, intanto, il cappellano del Carcere di Fuorni, don Rosario Petrone. San Gimignano (Si): Casa di reclusione di Ranza, Susanna Cenni (Pd) incontra capo del Dap www.sienafree.it, 25 ottobre 2012 La parlamentare toscana del Pd ha incontrato mercoledì 24 ottobre il capo del Dap, Giovanni Tamburino. Cenni (Pd): “Un atteggiamento cortese e disponibile. Mi auguro che segua discontinuità con il passato nei fatti”. La parlamentare toscana del Partito democratico, Susanna Cenni, ha incontrato ieri, mercoledì 24 ottobre, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, nominato lo scorso febbraio dal Ministro della Giustizia, Paola Severino, per presentare e discutere della casa di reclusione di Ranza, nel comune di San Gimignano, che da anni è interessata da forti problematiche legate soprattutto al sovraffollamento dei detenuti e dalla contemporanea carenza del personale di polizia penitenziaria. È la prima volta che un incontro con il principale attore dell’amministrazione penitenziaria è possibile, vista l’indisponibilità ad incontrare parlamentari della precedente dirigenza. Durante l’incontro di ieri Tamburini ha fatto riferimento anche alle novità territoriali tra cui il direttore regionale, Carmelo Cantone e il direttore del carcere di Ranza, Giuseppe Altomare. Domani, venerdì 26 ottobre, l’onorevole Susanna Cenni farà visita all’istituto penitenziario. “L’attenzione sulla situazione del carcere di Ranza - ha detto Cenni al direttore, ricordando gli impegni assunti dal governo con l’approvazione di alcuni atti parlamentari - deve rimanere alta. Da troppo tempo, infatti, la casa di reclusione vede succedersi nuovi direttori ogni due o tre mesi, e la mancanza di stabilità sicuramente non aiuta a risolvere le molte problematiche presenti da anni. L’eccessivo numero di detenuti presenti nella struttura e la contemporanea carenza di personale di agenti penitenziari, infatti, hanno causato molti problemi sfociati spesso in atti di violenza o di autolesionismo. A questo si aggiungono i problemi strutturali della casa di reclusione, in primo luogo quello legato all’approvvigionamento idrico, che rischia di creare difficoltà anche sul piano igienico-sanitario. L’incontro di ieri è stato utile per stabilire un contatto importante e per riprendere a parlare, a livello nazionale della situazione. Con la nomina del nuovo direttore ci auguriamo che possa essere intrapresa una nuova e positiva strada, seguita da qualche fattiva discontinuità. Domani tornerò in visita al carcere, come ho fatto nei mesi scorsi, per continuare ad avere un contatto diretto con gli agenti e la struttura, e per constatare la situazione dei reclusi, con l’auspicio di migliorare il quadro”. Modena: nel carcere fattoria gestita dai detenuti, produce frutta e verdura biologici Dire, 25 ottobre 2012 Frutta, verdura, e ortaggi biologici, tutti coltivati all’interno del penitenziario Sant’Anna, a Modena. I detenuti, coordinati da alcuni tecnici agronomi, sono impegnati nella lavorazione di 2 ettari di terreno agricolo all’interno della Casa Circondariale. Il progetto, che va avanti da vent’anni, quasi unico nel suo genere, nel corso del tempo ha dato l’opportunità a tanti detenuti di imparare un nuovo lavoro nel settore dell’agricoltura, e di mettersi alla prova. “Si tratta di un progetto storico per il carcere di Modena - dice Paola Cigarini dell’associazione Carcere Città - nato nei primi anni di vita del Sant’Anna, anche grazie a un nostro piccolo finanziamento”. Le coltivazioni, gestite interamente dalla casa circondariale, hanno recentemente ottenuto la certificazione biologica e i prodotti ottenuti vengono venduti alla grande distribuzione, generando così reddito e lavoro per i detenuti in semilibertà impegnati direttamente nelle attività. “La nuova direttrice ha speso molte energie per la sopravvivenza di questa iniziativa - continua Cigarini - prendendo contatti con la grande distribuzione e generando un indotto per il carcere”. Ottime notizie quindi per i conti del Sant’Anna, ma anche nuove opportunità lavorative da sfruttare in vari settori. Una bella possibilità per i detenuti, che al termine della loro pena potranno trovare lavoro in tante realtà come aziende agricole, manutenzione del verde e cooperative sociali. Il progetto vede al momento impiegati 8 detenuti, che sono al lavoro in tutte le fasi della produzione, dalla semina al confezionamento, che avviene in una struttura apposita recentemente inaugurata. Pomodori, peperoni, zucchine, ma anche miele mille fiori, sono i prodotti in vendita. Per acquistare i prodotti coltivati all’interno del Sant’Anna è attivo, tutti i sabati mattina fino alla fine di ottobre, un mercatino con alcuni ortaggi biologici proprio di fronte l’ingresso del carcere. “Il mercatino, nato ad aprile, è per noi un momento d’incontro soprattutto con la città - conclude Cigarini - e vuole essere un modo per recuperare il rapporto coi cittadini in una zona troppo spesso emarginata dal contesto sociale”. Ferrara: sovraffollamento venuto meno per i trasferimenti all’indomani del terremoto di Daniele Oppo www.estense.com, 25 ottobre 2012 309 detenuti, di cui 105 stranieri, buone condizioni igienico sanitarie, circa 170 unità di Polizia Penitenziaria in servizi. Sono alcuni dei numeri presentati dalla Camera Penale di Ferrara nella conferenza stampa svoltasi in Tribunale alla presenza degli avvocati Alessandra Palma, Saverio Stano, Anna Maria Alborghetti e Irene Costantino, del comandante della Polizia penitenziaria Paolo Teducci e del direttore della casa circondariale Francesco Cacciola. L’Unione delle Camere Penali italiane ha creato un osservatorio sul carcere per controllare la situazione in cui si trovano gli istituti penitenziari italiani, con lo scopo di proporre soluzioni ai problemi di questi ultimi. Finora sono stati visitati 20 penitenziari fra i quali quello ferrarese. Anna Maria Alborghetti, membro dell’osservatorio, ha parlato di “una situazione complessivamente buona” per il carcere di Ferrara, anche se ha precisato che “la situazione di quest’ultimo è particolare per via dei trasferimenti di detenuti verificatisi all’indomani del terremoto”. Si è infatti passati da circa 550 carcerati ai 309 odierni, che però sono di nuovo in costante crescita. L’istituto avrebbe una capienza regolamentare di 240 ospiti e una “tollerata” pari a circa 450 secondo quanto riferito dall’avvocato Irene Costantino, dunque i numeri ad oggi consentono una buona gestione degli spazi dei detenuti, fra i quali è stata anche sottolineata la presenza di un’area verde esterna per l’accoglimento delle famiglie con bambini che “sarebbe bello vedere anche all’interno date le condizioni climatiche degli inverni ferraresi” ha sostenuto Alborghetti. Qualche numero: solo 105 dei 309 detenuti sono stranieri, questo perché i trasferimenti post sisma sono stati diretti proprio ad essi, una decisione presa dal Ministero per via dell’assenza di legami familiari e sociali col territorio ferrarese. 50 detenuti sono ancora in attesa di giudizio, 34 sono appellanti, 7 ricorrenti in Cassazione, 194 i definitivi. Ci sono anche 24 collaboratori di giustizia, per i quali è stata approntata anche una struttura per permettere le video conferenze nei processi che viene utilizzata anche per altri collaboratori detenuti in altre carceri della zona. Altro dato rilevante sono gli 83 tossicodipendenti. Due, infine, i soggetti in semilibertà. Sembra una situazione tutto sommato accettabile e in buona parte, almeno per ora, lo è. Alborghetti ha però evidenziato anche la presenza di “alcune zone d’ombra”. Fra queste una di carattere generale “come le patologie psichiatriche di cui molti detenuti soffrono” e un’altra di carattere locale: “mancano progetti ad ampio respiro approntati insieme alle istituzioni territoriali o alle cooperative sociali, che permettano il reinserimento nella società dei carcerati”, che facciano da “trait d’union fra carcere e libertà” o che permettano la fruizione di misure alternative, come (anche se impropriamente) la semilibertà, i cui due soli beneficiari presenti nel carcere ferrarese dicono molto della situazione. Una richiesta d’azione dunque agli enti territoriali che “non possono ignorare che una fetta di popolazione vive ‘al di là di quel murò”. Basta un numero sul dato nazionale a confermare la bontà di questa richiesta: secondo un’analisi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (che fa capo al Ministero della Giustizia), l’81% dei soggetti che sconta la pena tramite misure alternative al carcere non commette recidiva nell’arco di sette anni dalla conclusione delle misure, mentre quando la pena viene scontata per interezza in carcere la percentuale di recidivi sale al 68,4% (sempre trascorsi sette anni dalla fine della pena). Il carcere di Ferrara esce dunque bene dall’analisi compiuta dalla Camera Penale, risultato in parte dovuto alla situazione particolarmente favorevole portata dal trasferimento di molti detenuti dopo il sisma, ma che si deve anche a un’accurata gestione dell’istituto. Non di poco conto sembra essere però la carenza, nel territorio, di percorsi di reinserimento sociale per i detenuti. Oristano: niente bus al carcere di Massama, il ponte non è stato collaudato di Elia Sanna La Nuova Sardegna, 25 ottobre 2012 Il ponte sul Rio Girolamo e la nuova bretella che collega Massama con il nuovo carcere non è collaudato e i mezzi pubblici dell’Arst non possono transitarvi. È dovuto a questo motivo il ritardo nella realizzazione della fermata dei bus nel nuovo carcere, come aveva chiesto il Comune. Storie di ordinaria burocrazia che continuano a pesare come un macigno soprattutto sulla popolazione. Basti pensare che su quella nuova strada sono transitati centinaia di autotreni nell’ambito dei lavori per la costruzione dell’istituto di pena, e più recentemente gli autobus e le auto della polizia penitenziaria, della polizia e dei carabinieri, durante la fase del trasloco dalla vecchia casa circondariale di piazza Manno. A pochi giorni dall’apertura del nuovo carcere era stato proprio il sindaco Guido Tendas a sollecitare l’Azienda regionale trasporti ad avviare l’iter per l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni per predisporre una fermata del bus davanti al carcere. Sembrava una cosa già fatta ed invece ci sono questi nuovi inghippi: “Queste motivazioni le ho apprese solo di recente, quando ho sollecitato la Regione ad accelerare la realizzazione della fermata per consentire agli automezzi del servizio di trasporto urbano di fermarsi davanti al carcere Massama - ha confermato il sindaco Guido Tendas. In quella occasione sono stato informato che quella bretella con il ponte non erano state collaudate dalla Motorizzazione di Cagliari. Anche ieri ho nuovamente sollecitato la Regione in tal senso”. I disagi maggiori li stanno vivendo non solo gli agenti della polizia penitenziaria e il personale, ma anche e soprattutto i parenti dei 120 detenuti. Giovedì scorso, prima giornata dei colloqui con i detenuti - molti pendolari hanno fatto salti mortali per raggiungere il nuovo carcere. C’è chi si è fatto la strada a piedi da Massama e chi ha dovuto sborsare qualche decina di euro per il taxi. Una analoga protesta era arrivata pochi giorni fa anche dal segretario provinciale della Uil-Pa, Roberto Picchedda. Il sindacalista aveva sollecitato il Comune a realizzare la fermata degli autobus del servizio del trasporto urbano. I disagi li deve sopportare, come detto, anche il personale. La conferma arriva anche dalla direzione del carcere: molti degli agenti raggiungono infatti il capoluogo con il treno. Il servizio di autobus urbani si ferma a Massama. E comunque il collegamenti da piazza Ungheria non hanno una programmazione che coincida con i turni di lavoro. Anche l’hostel Rodia rimane ancora senza una fermata dei bus del servizio di trasporto urbano. La richiesta era stata avanzata all’epoca della Giunta di Angela Nonnis. Anche in questo caso è tutto sulla carta. La fermata è infatti prevista nel nuovo piano del trasporto urbano, pronto da mesi e ancora chiusa in un cassetto dell’assessorato regionale ai Trasporti. Sdr: caso Massama testimonia scarsa programmazione “È assurdo inaugurare una struttura detentiva, che a regime dovrà ospitare 250 detenuti, senza tenere conto della necessità di assicurare i collegamenti con il territorio e garantire agli operatori e ai familiari dei reclusi la concreta possibilità di utilizzare i mezzi pubblici. Questi episodi testimoniano la scarsa capacità programmatoria delle diverse istituzioni”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che i gravi disagi nei colloqui tra i detenuti e i familiari sono stati determinati dal mancato collaudo del ponte sul Rio Girolamo e la nuova diramazione tra il centro abitato di Massama e l’Istituto Penitenziario. “Appare chiaro che la nuova struttura - sottolinea Caligaris - non è stata concepita, come avrebbe dovuto, come luogo di riabilitazione per persone che devono essere reinserite nella società ma piuttosto come un contenitore ad uso e consumo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Sarebbe infatti stato utile, prima di un’inaugurazione accelerata promuovere una conferenza dei servizi per verificare e indicare le condizioni della viabilità e i ruoli delle singole istituzioni territoriali”. “Il mancato coinvolgimento degli operatori dei servizi - conclude la presidente di SdR - comporterà necessariamente ulteriori disagi, aumenterà le spese degli Agenti per raggiungere il posto di lavoro costringendo tutti a trovare soluzioni di ripiego che talvolta sono peggiori del male. Nel frattempo detenuti e familiari dovranno comunque rinunciare a un diritto e tutti gli altri operatori dovranno usare mezzi propri per raggiungere la nuova struttura”. Frosinone: i detenuti stanno bonificando vaste aree di verde pubblico attrezzato www.frosinone24.com, 25 ottobre 2012 Una presenza discreta, ma importante ed efficace. La città di Frosinone, nelle ultime settimane, ha continuato a giovarsi della preziosa attività del gruppo di detenuti della Casa Circondariale di Frosinone, che, nell’ambito del protocollo d’intesa tra Amministrazione comunale e penitenziaria finalizzato al reinserimento sociale dei condannati, stanno bonificando e pulendo vaste aree di verde attrezzato e non di Frosinone e alcune zone di periferia della città. In questi ultima giorni, solo per fare un esempio, il cronoprogramma degli interventi ha visto i detenuti impegnati nella cura degli spazi verdi presso il Tribunale e nella messa a dimora di piante fiorite nel civico cimitero e nella pulizia delle zone più estreme del tessuto urbano di Frosinone. “Ancora una volta - ha detto il vice sindaco, nonché assessore all’ambiente, Fulvio De Santis - va un doveroso ringraziamento a questi detenuti che con grande entusiasmo e voglia di fare si stanno impegnando nel darci una mano a rendere più decorosa la nostra città. Questo progetto che li vede protagonisti, è un progetto del quale andiamo orgogliosi, un’esperienza, oserei dire, pionieristica che vuole dare una significato al dettato dell’articolo 27 della Costituzione. Questo protocollo d’intesa, che stiamo portando avanti con la Casa Circondariale, vuole attivare un circuito virtuoso che nasce da un dialogo positivo tra istituzioni e che vede nella tensione alla coesione sociale l’unica via d’uscita per la rinascita del Paese. L’amministrazione Ottaviani ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, si caratterizza come amministrazione dei fatti, dando pieno significato al nostro ruolo di amministratori, perseguendo il duplice obiettivo di tendere la mano e offrire un’opportunità a chi sta cercando un pieno reinserimento nella società e ridonando, grazie alle preziosa opera dei detenuti impegnati nelle attività previste dal protocollo, un volto diverso a numerose zone della città, soprattutto a quelle che in passato hanno dovuto patire indifferenza e scarsa considerazione”. Savona: teatro in carcere, occasione di “recupero” www.ivg.it, 25 ottobre 2012 “Il direttore di un carcere si è impegnato con le Autorità cittadine a organizzare uno spettacolo teatrale con attori di grido. Quando questi professionisti si tirano indietro all’improvviso, è costretto a cercare degli altri attori. Dovrà ingaggiare dei detenuti. Per convincere i più riluttanti ricorrerà anche a piccoli ricatti. Metteranno in scena “Romeo e Giulietta”, con qualche difficoltà a individuare, tra quegli uomini nerboruti, una credibile Giulietta. A rendere ancora più vivace la vicenda, alcuni carcerati chiedono di recitare dopo aver saputo che lo spettacolo si terrà fuori dal carcere, nel teatro comunale assai fornito di vie di fuga. Ma, proprio quando potrebbero allontanarsi dal teatro, decideranno di tornare sul palcoscenico per terminare lo spettacolo e godersi l’apprezzamento del pubblico. Questa, in sintesi, la trama dello spettacolo realizzato il 4 ottobre all’interno del carcere di Sant’Agostino da un gruppo di detenuti. È stata la performance conclusiva di un corso di teatro tenuto nel carcere dalla Compagnia “I cattivi Maestri” (molto bravi ed efficaci, come sempre). Purtroppo dalla sintesi non si possono cogliere il ritmo e le battute divertentissime del testo, né la abilità espressiva degli attori. Il pubblico è stato fatto entrare in uno dei cortili del carcere. Sono presenti il nuovo Direttore, gli educatori, molti volontari, alcuni amministratori locali e i detenuti non impegnati nella recita. Questi ultimi, in gran parte stranieri, sono seduti in fondo al cortile e partecipano alla recita con battute, risate e rimandi al vissuto del carcere . Di fronte a tutti, gli attori in una scenografia più che essenziale. La recita è stata un grande successo, con battute esilaranti e attori bravissimi ed è stata realizzata nonostante evidenti difficoltà organizzative, perché il carcere di Sant’Agostino ospita persone che vi si fermano a volte solo qualche settimana. In questa condizione la compagnia degli attori ha subito molti rimpasti: spesso quelli che avevano già imparato la parte sono stati trasferiti altrove senza poter recitare. Dopo tante riflessioni sul rapporto tra carcere e arte, (recentemente i film “Cesare deve morire” e “Reality” hanno riattivato il filone), queste poche righe rischiano di essere banali, ma l’aver assistito alla recita mi obbliga a fare alcune considerazioni. Lo spettacolo ha consentito agli attori di esprimersi in una dimensione “altra” rispetto a quella detentiva, li ha aiutati a manifestare, davanti agli altri e a se stessi, anche una recuperata dignità. Al termine dello spettacolo, il capocomico (un attore straordinario) ha rivolto un appello ai detenuti sollecitando la loro adesione alle attività organizzate nel carcere (in particolare a quella teatrale), intese come strumenti di recupero della propria umanità e quindi della propria libertà. Un appello pieno di passione “politica”, quasi un’orazione civile, che deve far riflettere seriamente chi ha la responsabilità e il potere sulla gestione delle carceri. E anche la città, in tutte le sue componenti economiche, culturali, politiche e sociali deve sentirsi coinvolta, altrettanto responsabilmente, nell’ esperienza di recupero e di crescita culturale e umana di questi nostri concittadini. Si tratta di ragazzi e di uomini generosi e ricchi nelle loro potenzialità che rischiano di isolarsi, quasi di spegnersi, se non sono sostenuti con iniziative efficaci per un reinserimento lavorativo e sociale. Desidero ringraziare “I cattivi Maestri” e gli attori Davide, Maximiliano, Fulvio, Ilvi, Alfred, Giampaolo, Emilio, Piero e Alessandro per tutto il divertimento e per il loro messaggio di civiltà”. Libri: “Non giudicate” di Guido Vitiello, ecco il Paese del garantismo immaginario di Alessandro Gnocchi Il Giornale, 25 ottobre 2012 Viviamo in una società garantista? Il garantismo è pensiero corrente, se non egemone? No, è la risposta secca di “Non giudicate”, il saggio di Guido Vitiello edito in questi giorni da Liberilibri. Un giro in libreria, scrive Vitiello, a caccia di tomi che propugnino ideali garantisti, si risolverebbe in una ricerca senza frutto. Al contrario, gli scaffali sono ben riforniti di libri firmati da “magistrati-sceriffo impegnati sulla frontiera delle mille emergenze nazionali” o da “reduci gallonati di Mani pulite” o da giudici “scomodi” ma non al punto da non trovare frequente ospitalità nei vari talk show serali. La tivù è la tribuna da cui levano doglianze sui paletti alle indagini posti dai politici in nome del “garantismo” (quasi sempre “peloso”, nota Vitiello). Basta dare un’occhiata alle cronache dei quotidiani per rendersi conto che gli avvisi di garanzia sono percepiti come sentenze della Cassazione; e che spesso l’odio (ma anche l’amore) per l’inquisito o il condannato di turno fa velo alla valutazione dei fatti.Il pensiero supposto egemone si rivela “solitario”, e paga il conto anche ai “falsi garantisti” che si sono mescolati ai veri, “finché la moneta cattiva ha scacciato la buona e reso sospetti tutti i commerci”. Insomma, la reputazione “ben poco commendevole” del garantismo in parte, ma solo in parte, è meritata: c’è stata poca chiarezza nel distinguere casi personali e questioni di principio. La tesi di Vitiello comunque è limpida: “L’imbarbarimento giudiziario italiano è sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di vederlo, e non abbia interessi di bottega tali da suggerirgli una cecità deliberata. Basta gettare uno sguardo, anche distratto, sul punto di caduta o di capitolazione - le carceri di un sistema che è in disfacimento fin dalla testa, per arrossire quando sentiamo ripetere quelle insulse vanterie sul Paese di Beccaria”. L’originalità del saggio consiste nel farci vedere i principi incarnati in quattro ritratti di garantisti doc: Mauro Mellini, Domenico Marafioti, Corrado Carnevale, Giuseppe Di Federico. Sono pagine nate sulle colonne del Foglio (l’introduzione è di Giuliano Ferrara) ampliate e arricchite da un carteggio fra Mellini ed Enzo Tortora. E proprio la vicenda di Tortora, insieme con Marco Pannella e le battaglie dei Radicali, lega tutti i protagonisti di Non giudicate. Tocca a Mellini, avvocato di conio liberale, leader radicale e deputato per svariate legislature, introdurre il lettore all’abbecedario garantista, cioè alle parole di cui diffidare perché sventolate al fine di giustificare l’indebito allargamento dei poteri della magistratura. Emergenza: “cela il proposito di passar sopra a certe fisime per instaurare una giustizia di guerra”; giustizia d’assalto: “ha dato la stura a innumerevoli interventi di magistrati ritenuti o autodefinitisi provvidenziali, di cosiddette supplenze e vicarianze di altri poteri”; esemplare: è una sentenza “che punisce con esagerata severità in un determinato momento, quindi una sentenza esemplarmente ingiusta”. Domenico Marafioti, avvocato e letterato, è l’uomo delle profezie inascoltate: nel 1983 pubblicò La Repubblica dei procuratori. Sottolineava, scrive Vitiello, “i prodromi dell’integralismo giudiziario, dell’esondare della magistratura, specie di certe sue avanguardie, dalle dighe che legge e Costituzione le assegnano”; criticava il modello inquisitorio del processo; segnalava la nascita del giudice pedagogo, che vuole redimere il prossimo.Corrado Carnevale, presidente della Prima sezione penale della Cassazione dal 1985, è noto come l’ammazzasentenze, nomignolo affibbiatogli da una campagna stampa denigratoria iniziata dopo l’annullamento dell’ergastolo ai mandanti dell’omicidio di Rocco Chinnici. La corporazione non si levò certo in sua difesa (lo fece Pannella). Più volte finito sotto processo, sempre assolto, Carnevale illustra cos’è “l’astratto formalismo” che gli veniva imputato: osservanza scrupolosa della legge scritta. “Quando il giudice si considera legibus solutus e piega le leggi al suo fine, fosse anche per intenti nobili, mette lo Stato sullo stesso piano delle organizzazioni criminali”. Carnevale rifiuta l’appellativo di garantista: “E nel fare giustizia il garantismo che c’entra? Non esiste per il giudice qualcosa di diverso dall’applicazione corretta, intelligente della legge”. Giuseppe Di Federico ha fondato il Centro studi sull’ordinamento giudiziario dell’università di Bologna. È lui a sollevare un altro insieme di questioni: la separazione delle carriere, l’assenza di un valido sistema di valutazione dell’operato dei giudici, il tabù dell’obbligatorietà dell’azione penale. Questi sono i limiti non solo, per così dire, ideologici del sistema ma anche gli ostacoli all’efficienza della macchina. Se vi sembra che queste idee siano moneta corrente nel nostro Paese “garantista”... Immigrazione: telefoni cellulari vietati, reclusi nei Cie senza diritto di parola di Luigi Manconi, Valentina Calderone e Valentina Brinis L’Unità, 25 ottobre 2012 Qualche giorno fa sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 18 luglio erano state scarcerate - dopo sei mesi di custodia cautelare - otto persone coinvolte in una rivolta avvenuta a gennaio all’interno del centro di identificazione ed espulsione milanese di via Corelli. I reati inizialmente contestati erano quelli di devastazione, danneggiamento e incendio per cui è prevista una pena minima di 8 anni e, in seguito, proprio dal Tribunale di Milano, erano stati derubricati in “danneggiamento aggravato”. La rivolta era stata scatenata al culmine di un periodo nero delle condizioni di vita nel centro, tanto che nel 2011 erano stati segnalati numerosi tentativi di suicidio e di evasione. Inoltre le persone trattenute avevano più volte evidenziato l’ossessivo controllo da parte delle forze dell’ordine lì presenti. Ed è proprio questo l’aspetto cruciale emerso durante l’indagine, come si può apprendere dalla sentenza: “L’analisi svolta ha consentito di illustrare il contesto in cui si sono realizzati i fatti, contesto oggettivamente caratterizzato da consistenti limitazioni della libertà personale e come tale vissuto dagli imputati. Il collegio ha volto attenzione particolare alla regola che da ottobre 2010 ha imposto il divieto dell’uso di telefoni cellulari, regola che ha determinato una consistente contrazione della libertà di comunicazione senza che appaiano evidenti le ragioni della sua utilità e ragionevolezza, tenuto anche conto del fatto che la stessa non è applicata in tutti i centri di identificazione ed espulsione. Si ricordi, infatti, che tale imposizione ha reso in concreto oltremodo difficile la possibilità di comunicare per gli ospiti del centro e che il rispetto della norma è garantito attraverso forme di controllo nell’ambito di procedure realizzate senza la presenza di un interprete e, quindi, talvolta difficilmente comprensibili dai trattenuti”. Una situazione, quella descritta, talmente critica che martedì scorso è stata presentata un’interrogazione parlamentare che vede come prima firmataria la deputata Rita Bernardini. Il centro milanese non rappresenta però una rarità, bensì la reale situazione della maggior parte dei centri di identificazione ed espulsione in Italia, che rimangono dei luoghi da cui è davvero difficile uscire indenni. E di questo non mancano le testimonianze. Si veda ad esempio il filmato, In nome del popolo italiano, girato nel Cie di Ponte Galeria da Stefano Liberti e Gabriele Del Grande: una serie di immagini accompagnate dalle voci inquietanti delle persone lì trattenute; oppure si legga il rapporto di Medici per i Diritti Umani sulle condizioni sanitarie dei Cie da cui emergono storie di persone senza voce, senza diritti, senza tempo. Ed è anche grazie a questo lavoro di monitoraggio che qualche settimana fa è stato chiuso il Cie di Lamezia Terme. Un posto, quello, la cui condizione era stata definita “preoccupante” dallo stesso sindaco. In forza di quest’ultimo successo non bisogna interrompere l’azione di vigilanza e di denuncia. Stati Uniti: giustiziato omicida in Texas, 33esima esecuzione in Usa nel 2012 Reuters, 25 ottobre 2012 È stato giustiziato ieri Bobby Lee Hines, condannato per il raccapricciante omicidio di Wendy Haupt del 1991. Secondo quanto riferiscono funzionari del penitenziario dove è avvenuta l’esecuzione, l’uomo aveva pugnalato più volte la donna con uno scalpello da ghiaccio e l’aveva strangolata con il filo dello stereo nel suo appartamento di Dallas. Bobby Lee Hines aveva 19 anni all’epoca dell’omicidio e abitava nell’appartamento contiguo a quello di un uomo addetto alla manutenzione, che aveva una chiave master con la quale poteva entrare in ogni abitazione del complesso, dice il Dipartimento di giustizia criminale del Texas. Il corpo di Wendy Haupt, 26 anni nel 1991, è stato trovato appena dentro la porta del suo appartamento coperto di circa 18 ferite da punta, secondo una sintesi fornita dall’ufficio generale del procuratore. Gli inquirenti hanno trovato nell’appartamento impronte digitali di Hines e nei suoi pantaloni un ciondolo della vittima. Hines è stato giustiziato con un’iniezione letale in una prigione di Stato a Huntsville, Texas. Con la sua morte ammontano a 11 nel Texas e a 33 negli interi Stati Uniti le pene capitali eseguite da inizio anno. Nelle sue ultime dichiarazioni Hines ha chiesto perdono alla famiglia di Wendy Haupt, si è detto convinto che Dio lo avesse perdonato e che l’essere rinchiuso per il resto della sua vita sarebbe stato più di una punizione.