La vita va riconquistata a piccole dosi, ecco a cosa servono i permessi premio Il Mattino di Padova, 22 ottobre 2012 La legge penitenziaria dice che “ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolosi, il Magistrato di Sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro”. Molto spesso nella società anche questi piccoli, graduali spazi di libertà sembrano un lusso che gli autori di reati non meritano. E invece sono solo una boccata di ossigeno, che riabitua gradualmente le persone alla libertà, una libertà che non è affatto facile da riconquistare, e lo spiegano bene le due testimonianze che seguono, di un detenuto che dopo anni di galera ha passato un po’ di ore da quasi libero in un permesso premio, e di uno espulso al suo Paese, e scaraventato di colpo in un mondo che non conosce più, e in una libertà che gli fa paura. I permessi premio e i loro curativi effetti collaterali Pochi giorni fa sono uscito in permesso premio accompagnato dai volontari, per circa dieci ore. Il permesso era stato concesso nell’ambito del Progetto sulla legalità, meglio conosciuto come progetto “scuole/carcere”. Sono state dieci ore a tratti intense, impegnative e brevemente spaesanti dopo quasi cinque anni di carcere, per me nella mia particolare situazione passati senza colloqui e senza telefonate. Il permesso ha avuto esiti positivi, nel senso che ci siamo potuti vedere “fuori le mura”, con i volontari che da qualche anno già conosco, e l’obiettivo dichiarato del permesso è stato messo in pratica. Tutto sommato è stata una bella giornata. Però da quando sono rientrato è come se tutto il mio “malessere”, e le poche ma sostanziali cose che non ho più, si siano riacuite. Uscire anche solo dieci ore e rigorosamente accompagnato ha contribuito, da un lato, a rendermi ancora più consapevole e pensieroso su quanta strada e quanto “lavoro” ho ancora da fare, e dall’altro sono inevitabilmente ritornato autocriticamente sulla terra, ripensando ai reali motivi che mi hanno ricondotto in carcere cinque anni fa, a quanto mi è costata, per esempio, una pesante ricaduta con le droghe dopo poco più di due anni nei quali ne ero completamente fuori, fuori ma povero, estremamente povero, nel senso che in tre decenni o poco più ho “bruciato” molto danaro, ma anche “perduto”, o lasciato andare, persone alle quali sono stato molto legato sentimentalmente ed altre che mi sono state amiche ed affettivamente importanti. La ricaduta con l’eroina (anche se di poco meno di due mesi), quando avevo cominciato a ricostruirmi uno straccio di vita normale, ha azzerato anche quel poco che lentamente mi stavo ricostruendo. Ovviamente tutto questo, in un contesto carcerario più consapevole, come quando inizi un percorso con i permessi all’esterno, fa stare male, e così quella parziale e sommaria serenità che mi ero costruito è andata letteralmente a farsi friggere. Per questo parlo di indispensabili permessi premio, ma anche dei loro dolorosi, ma benefici effetti collaterali. Perché con i permessi graduali, si comincia già a “fare i conti”, a prepararsi a quello che verrà, che non sarà più la galera sovraffollata ed i suoi “percorsi guidati” tutti i santi giorni (cella, passeggi, qualche corso, talvolta lavoro), l’inutile ripetitività inattiva e inoperosa, e si comincia anche a pensare e, in alcuni casi, ad “arrovellarsi”, sul prima della galera e sulle difficoltà che ci saranno dopo la galera. Ovviamente il tempo passato in carcere non si potrà riprenderselo, resta da vedere come questo tempo si è trascorso… Questo sto imparando, che è fondamentale, ed io, nella mia particolare condizione, credo che nulla (o molto poco), sarà più come prima, prima dell’ennesima ricaduta con la droga. Rammento a me soprattutto che la droga sottintende la ricerca del “piacere chimico”, il tentativo di non star male, ed è con questo che dovrò ancora fare i conti quando sarò di nuovo libero. Ed è in questo senso generale (non solo per i tossicodipendenti detenuti), che i permessi premio sono indispensabili, proprio e soprattutto per i loro effetti collaterali “urto”, di confronto graduale con la realtà e con i cittadini liberi. Filippo F. Si può parlare di vera libertà dopo tanti anni trascorsi in carcere? Ho scontato una pena che supera i dieci anni di detenzione continua, e sono stato espulso al mio Paese, in Croazia. Voglio raccontare la mia esperienza di come ho vissuto il primo periodo di libertà, soprattutto dal punto di vista psicologico: come mi sento, che cosa capisco del mondo per me nuovo, o quasi sconosciuto, che mi vedo intorno, e come la verità che ti aspetta a fine pena è dura da accettare e anche da raccontare. Per prima cosa dirò che non ho vissuto la mia liberazione con un minimo di gioia. Strano, ma vero, mi sarei aspettato dopo tanti anni in carcere che sarebbe stato un giorno tra quelli più felici e pieni di gioia, invece no, in questo momento non sono in grado di spiegare perché, non ho la capacità di farlo con un po’ di distacco, e nemmeno sono in possesso degli strumenti per dare una valutazione valida e reale di questi miei stati d’animo, probabilmente ci vorrebbe uno psicologo o uno psichiatra. Ancora oggi mi alzo alle quattro e mezzo di mattino, sì, perché quello era il mio ritmo di studio e di lavoro nel carcere, ma adesso non so cosa farmene di tutto questo tempo, non riesco a studiare, mi sento quasi in colpa perché sono l’unico sveglio a quell’ora e faccio tutto in silenzio per non svegliare mio figlio. Non è che non ho voglia di studiare, al contrario, ma non riesco a concentrarmi, il mio cervello non segue la mia voglia, probabilmente perché adesso ci sono i problemi della vita vera: come procurarsi i mezzi per vivere, dove vivere, di che cosa, magari un lavoro che mi dia un minimo di risorse per andare avanti finché non costruirò una base solida che mi permetterà di progettare qualcosa che non posso chiamare un futuro, ma una sopravvivenza decente. Mentre cammino per la strada, questo mondo attorno a me mi sembra un formicaio, tutti hanno fretta, nessuno si è accorto della mia presenza, se vuoi chiedere una informazione devi rincorrere le persone e devi considerarti quasi fortunato se si fermano subito. Ma anche io mi rendo conto che in realtà sono cambiato molto, una cosa questa che ho sempre negato, o perché non mi sentivo tale, o perché non ci credevo e non volevo usare questo mio cambiamento in modo opportunistico, come è d’uso fare in carcere per qualche finalità, come quella di avere qualche beneficio. Qui in passato mi consideravano una persona realizzata, non importa in quale modo avevo raggiunto il “successo”, l’importante è sempre avere soldi, sì, perché nella società di oggi il parametro con cui si valuta una persona non è morale, non è l’onestà, ma il denaro. Da quando sono uscito dal carcere non sono ancora andato a “divertirmi” perché non so nemmeno che cosa mi potrebbe far divertire, le persone che frequentavo nel passato se le incontro riesco appena a riconoscerle solo attraverso il loro sguardo, ma con poca certezza, non nascondo che delle volte faccio finta di non accorgermi che le ho riconosciute in qualche modo, perché non ho voglia nemmeno di parlargli, non so di che cosa potrei parlargli, forse della mia “tragedia”, degli anni di galera, di tutto quello che ho perso? No, l’orgoglio me lo impedisce, e così sono solo, e fatico a ritrovare un pò di voglia di ricominciare. Milan Grgic Giustizia: “Non giudicate”, manuale ad uso dei pochi garantisti di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 22 ottobre 2012 Il club ultra minoritario dei garantisti, quelli che, se chiedono il rispetto delle regole per gli imputati e gli indagati, sono bollati come manutengoli dei mascalzoni e se eccepiscono sulle migliaia e migliaia di pagine di intercettazioni di persone non indagate che finiscono sui giornali sono gli assassini della trasparenza, la setta di maniaci chiamati garantisti, dunque, in questi giorni avrà un libro piccolo ma denso che sarà di conforto e di ristoro. Un angolo di pensiero libero, grazie a Guido Vitiello che con l’editore Liberilibri sta mandando in libreria “Non giudicate”, quattro conversazioni con “i veterani del garantismo”: Mauro Mellini, Domenico Marafioti, Corrado Carnevale, Giuseppe Di Federico. Istruzioni per la prevenzione del linciaggio: vi diranno che Carnevale è un magistrato “ammazzasentenze”, che ha favorito la mafia a scapito delle inchieste giudiziarie. Non è vero niente: un processo lo ha totalmente scagionato. Totalmente, senza possibilità di equivoco. Ma la differenza tra i garantisti e gli altri, cioè la differenza tra un manipolo di temerari e una stragrande maggioranza di persone poco rispettose delle regole dello Stato di diritto, è proprio questa: che per gli uni la presunzione di innocenza è una cosa seria, per gli altri è un gingillo da menzionare senza convinzione, una bizzarria concepita dai padri costituenti usata dai mascalzoni e dai loro complici per restare impuniti. Per la pubblicistica corrente è infatti l’imputato a dover dimostrare la propria innocenza, non l’accusa a dover dimostrare la colpevolezza. È una frontiera civile che divide i due campi, il libro di Vitiello dimostra che purtroppo stanno stravincendo i nemici dello Stato di diritto. Pochi si scandalizzano per la “giustizia ideologica” fondata sui teoremi e non sulle prove, per le carceri affollate di cittadini reclusi senza nemmeno essere stati rinviati a giudizio, per la macchina mediatico-giudiziario che stritola qualsiasi garanzia, per la “barbarie ordinaria del carcere preventivo, protratto oltre ogni decenza”, “per la sciatteria delle indagini e delle perizie condotte alla buona”, per la “torchiatura dei testimoni”, per “il protagonismo dei pubblici ministeri”, per i segreti violati, per i verbali di interrogatorio resi pubblici, per la vaghezza delle accuse e così via. Hanno stravinto anche perché, come nota Vitiello, hanno imposto modi di dire che con lo Stato di diritto non hanno alcun rapporto. Quando si scrive per esempio dopo un’assoluzione: “un omicidio senza autori”. Ma che significa? Gli autori devono essere per forza quelli indicati dall’accusa? Oppure quando si scrive che un’assoluzione “vanifica il lavoro dei pubblici ministeri”. Forse semplicemente “vanifica” un lavoro fatto male. O chi vorrebbe una “sentenza esemplare”. Vuole la forca anziché la giustizia: e questa pulsione vanifica davvero secoli di civiltà giuridica. Giustizia: l’informazione dietro le sbarre di Giovanni Valentini La Repubblica, 22 ottobre 2012 In realtà, siamo di fronte a un popolo di informatissimi, frenetici idioti che sanno tutto e non capiscono nulla. (da “Un popolo di frenetici informatissimi idioti” di Franco Ferrarotti - Edizioni Solfanelli, 2012 - pag. 10). Mentre il Parlamento si attarda nell’esame del disegno di legge che dovrebbe riformare la normativa sulla diffamazione a mezzo stampa, dopo la controversa condanna del direttore del “Giornale” Alessandro Sallusti a quattordici mesi di reclusione per omesso controllo, riaffiorano fra gli stessi parlamentari dubbi, perplessità e riserve mentali sull’opportunità di estendere o meno le stesse regole all’informazione on line. Non c’è motivo per dubitare che la decisione assunta dalla Commissione Giustizia del Senato di trasferire la discussione sul provvedimento dalla sede deliberante a quella referente, rimettendo quindi l’approvazione definitiva all’assemblea di palazzo Madama, corrisponda - come assicura il senatore Vincenzo Vita (Pd) - alla volontà di “approfondire meglio alcuni punti che rischierebbero di essere di grave nocumento per la libertà d’informazione”: cioè pene pecuniarie altissime, censure, radiazione dall’Ordine dei giornalisti e quant’altro. E questo è senz’altro un impegno più che apprezzabile. Il nocciolo della questione tuttavia è chiaro: occorre abolire il carcere per i giornalisti, come hanno riconosciuto recentemente anche il presidente Napolitano e il ministro Severino, ma non si può rendere impossibile la vita dei giornali e nei giornali. I tempi, i ritmi, le condizioni del nostro lavoro, al servizio dell’opinione pubblica, sono tali da richiedere norme meno severe e più elastiche. Ciò non toglie naturalmente che, fatta salva la buona fede, si debbano tutelare i cittadini dai rischi non solo della diffamazione, ma anche del discredito personale e del logoramento d’immagine. Se tutto questo è vero, l’obiettivo fondamentale di una riforma dev’essere innanzitutto quello di ripristinare l’onore e la reputazione delle persone ingiustamente colpite. Un obbligo di rettifica, adeguata e tempestiva, diventa allora la pena maggiore che si può infliggere al giornalista (e al suo giornale) e nello stesso tempo il risarcimento morale più efficace per il diretto interessato, a cui può seguirne eventualmente uno materiale in proporzione al danno, alla persona e alle modalità della stessa rettifica. Ma perché mai questi elementari principii non dovrebbero valere per l’informazione on line? Sappiamo bene che la Rete è il regno virtuale della libertà d’espressione e come tale va assolutamente salvaguardata. E sappiamo anche che un conto sono le testate giornalistiche, un altro conto sono i forum, i blog e via discorrendo. La diffamazione, però, è diffamazione con qualsiasi mezzo o supporto venga commessa: sulla carta stampata, per radio, in televisione, su Internet. Anzi, in quest’ultimo caso, spesso è aggravata dal cosiddetto “contagio virale” che si propaga automaticamente sul web attraverso i motori di ricerca. Non c’è motivo perciò di stabilire differenze di trattamento, a parte ovviamente quelle che derivano dalle rispettive caratteristiche di natura tecnica o economica. La libertà d’informazione, insomma, non può mai diventare libertà di diffamazione. E questo vale per i giornali di carta, per quelli on line e per i blog, termine che - come si sa - deriva dalla contrazione di web-log e sta per “diario in rete”. Altrimenti, si rischia di autorizzare una nuova forma di diffamazione telematica all’insegna dell’impunità diffusa. Non si tratta, dunque, di mettere l’informazione dietro le sbarre. Ma piuttosto di stabilire regole valide per tutti coloro che esercitano legittimamente questo fondamentale diritto. Anche i giornalisti e i blogger sono uguali di fronte alla legge. A Sallusti l’ordine di carcerazione... “Vado in galera” Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione, ha fatto sapere di aver ricevuto la notifica dell’ordine di carcerazione. Da ieri il giornalista ha 30 giorni di tempo per chiedere una misura alternativa al carcere. Sallusti ha già annunciato però che rinuncerà a pene alternative, come l’affidamento ai servizi sociali (“non credo di aver bisogno di essere rieducato da qualche comunità terapeutica. Vado in galera”) ed è tornato ad attaccare la “politica cialtrona”, perché “la speranza che la politica fosse capace di trovar e una soluzione sta naufragando per mancanza di volontà e di capacità”. La Procura di Milano ha spiegato ad ogni modo che prima di 30 giorni non ci sarà alcuna decisione in merito all’eventuale detenzione del giornalista. Intanto non arriverà prima di martedì il voto in commissione Giustizia al Senato sul disegno di legge sulla diffamazione, che dovrà poi passare dall’Aula. Giustizia: Psichiatria Democratica; carceri e Ospedali psichiatrici giudiziari, ferite aperte di Giuseppe Ortano Ristretti Orizzonti, 22 ottobre 2012 La drammatica condizione delle carceri italiane nelle quali sono “ospitate” circa 67.000 persone a fronte di una capienza massima di 45.000, rischia di diventare - secondo i Dirigenti di Psichiatria Democratica, Emilio Lupo e Cesare Bondioli - un luogo comune. Una periodica quanto asfittica denuncia che - in un rituale sempre più macabro - fa la conta del grande disastro di questo pianeta separato. A contrastare il dolore lacerante, ed a squarciare questo velo di rimozione collettiva, soltanto gruppi di testarde associazioni, giornalisti, singoli deputati, intellettuali, operatori del sociale e della giustizia, ed il Presidente Napolitano. Il Capo dello Stato ha, nei giorni scorsi, levato la sua voce sulla drammatica situazione carceraria italiana che, ha detto: “non fa onore al nostro Paese e anzi ne ferisce la credibilità internazionale”, auspicando, poi, che “si acceleri sulle proposte, già in avanzato stato di esame, per rafforzare l’uso delle pene alternative”, aprendo anche a un possibile speciale ricorso a misure di clemenza. Psichiatria Democratica ricorda che al 14 ottobre sono già 127 i morti e ben 47 i suicidi, per il 2012, nelle carceri italiane (l’ultimo nell’inferno di Poggioreale), e che per fermare queste stragi, occorrono provvedimenti urgenti e concreti da parte del Governo e del Parlamento. Le condizioni di legalità e la praticabilità del diritto, necessitano di risposte concrete ed estremamente diffuse nelle diverse realtà italiane (dalla messa alla prova, alla depenalizzazione dei reati minori, al lavoro sociale esterno ed alle misure alternative) soluzioni che condividiamo, e che erano, peraltro, già state avanzate, all’indomani del terremoto in Emilia. Al tempo stesso Psichiatria Democratica vuole denunciare, con forza, che un’altra ferita non solo non verrà rimarginata ma si estenderà, incancrenendosi ancor più. Ci riferiamo agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg), alla disapplicazione della legge 9/2012 ed al pericolo - ormai fin troppo evidente - di uno slittamento della loro chiusura, a dopo il marzo 2013! P D, aveva già evidenziato - a chiare lettere - lo scorso 3 aprile u.s. nell’audizione presso la Commissione Marino al Senato, il pericolo dell’affossamento della legge, criticando anche le proposte avanzate circa le dimensioni delle strutture dove ospitare gli utenti e rimarcando, altresì, il timore che il vuoto del Servizio pubblico potesse favorire derive privatistiche. Saltava agli occhi, che gran parte di Asl e Regioni erano (e sono) del tutto ferme, non avendo posto mano all’elaborazione condivisa, tra tutti gli attori in campo, di programmi personalizzati per ciascun internato. Per sconfiggere definitivamente questi mostri, occorre uno scatto ed uno sforzo immediato e collettivo ma, prioritariamente, interventi operativi determinati ed urgenti da parte del Governo nei confronti delle Aziende Sanitarie e delle Regioni a che entro il 31 marzo 2013 - così come previsto dalla legge - gli Opg chiudano i battenti. Per evitare l’onta del rinvio della chiusura a dopo il termine indicato nella legge, Psichiatria Democratica propone un percorso chiaro e semplice: istituire, da parte dei Ministeri della Salute e della Giustizia, un Ufficio di dismissione, una task-force operativa, che possa avvalersi - per il solo tempo necessario - dell’esperienza di alcuni funzionari. Questo organismo - che proponiamo, a tempo e a costo zero - dovrebbe affiancare Regioni ed Asl, concordando la migliore allocazione delle risorse umane ed economiche e monitorando, altresì, lo sviluppo dei singoli progetti, sia dal punto di vista abitativo che progettuale, per singolo utente. Lanciamo un pressante appello a raccogliere questa nostra proposta ai Ministri Severino e Balduzzi, e, ci auguriamo, venga sostenuta da quei Deputati e Senatori che più si sono impegnati, in questi anni, a fianco delle fasce più diseredate, gli stessi che non si sono risparmiati e - come si dice - che ci hanno messo la faccia, ed a quella parte del Paese che non vuole rassegnarsi a questa malattia. L’ingiustizia è di per sé una malattia. Giustizia: i Garanti dei detenuti contro il sovraffollamento, iniziano un digiuno a staffetta Asca, 22 ottobre 2012 Inizia oggi il digiuno “a staffetta” perché il governo emani subito un decreto legge contro il sovraffollamento delle carceri, cancellando le norme della legge sulle droghe che incarcerano per fatti di lieve entità e impediscono l’uscita dei tossicodipendenti. Lo annuncia Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze e coordinatore nazionale dei Garanti, che digiunerà da oggi a mercoledì. I garanti dei detenuti chiedono anche l’approvazione della legge sull’introduzione del reato di tortura; della legge sull’affettività in carcere; l’approvazione dell’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti dei detenuti; l’applicazione integrale del Regolamento del 2000 per assicurare condizioni di vita dignitose. Giustizia: istruzione nelle carceri; Ministri Severino e Profumo domani firmano Protocollo Tm News, 22 ottobre 2012 Un Programma speciale per assicurare l’istruzione e la formazione all’interno degli istituti penitenziari, quale elemento fondamentale del trattamento dei condannati ed internati. Lo sottoscrivono, martedì 23 ottobre 2012 alle 9, presso l’istituto penale per minorenni di Roma Casal del Marmo, i ministri della Giustizia, Paola Severino, e dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo. Lo rende noto un comunicato di via Arenula. Il protocollo, che viene siglato alla presenza dei capi dei dipartimenti per la Giustizia Minorile, Caterina Chinnici, e dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, nonché di rappresentanti di Confindustria e della Fondazione De Sanctis, si legge nella nota, “punta a promuovere e sostenere lo sviluppo di un sistema integrato di istruzione e formazione professionale, favorendo l’acquisizione e il recupero di abilità e competenze individuali dei soggetti in esecuzione di pena nonché l’aggiornamento di insegnanti ed educatori che prestano servizio negli istituti penitenziari. L’intesa, che avrà la durata di tre anni, sarà realizzata in collaborazione con le Regioni e gli Enti Locali e il coinvolgimento di Enti, Fondazioni e Associazioni di volontariato”. “La cerimonia della firma - si legge infine nel comunicato - sarà allietata dai canti dei ragazzi del coro delle scuole di Napoli, coadiuvati dalla presenza di cinque ospiti dell’IPM di Nisida, nonché dalla degustazione di un piccolo rinfresco con prodotti realizzati nel laboratorio pizzeria dell’istituto minorile romano”. I giornalisti e i cine-foto-operatori interessati a seguire l’evento potranno accreditarsi inviando una email a ufficio.stampa@giustizia.it e dovranno presentarsi all’ingresso dell’istituto penale per minorenni di Roma Casal del Marmo (Via Giuseppe Barellai 140, zona Ospedale San Filippo Neri) muniti di valido documento di identificazione. Sardegna: raccolte 2.300 firme in un giorno per dire no all’arrivo di 500 detenuti mafiosi Adnkronos, 22 ottobre 2012 La Sardegna non può e non deve subire una scelta nefasta che mette a rischio la sicurezza sociale della nostra Regione. Oltre 500 mafiosi nell’Isola significa attentare alla sua integrità e al suo futuro. Dobbiamo fare muro e respingere questa aggressione senza precedenti. Subire significherebbe non aver compreso il rischio che corriamo. Chi si dichiara favorevole per uno pseudo interesse economico dei comuni o per connivenza con il governo nazionale mette a repentaglio la sicurezza dei sardi e della Sardegna”. Lo ha detto ad Oristano il deputato sardo Mauro Pili intervenendo alla manifestazione pubblica promossa per dire “No ai mafiosi in Sardegna”. Nel corso della partecipata assemblea in piazza Roma ad Oristano, alla quale hanno preso parte decide di amministratori provenienti da tutta la Sardegna, è stata avviata la mobilitazione regionale per respingere la decisione del governo di trasformare l’isola in una vera e propria Cayenne di Stato. Una petizione sarda al Capo dello Stato, al Ministro della Giustizia e al Presidente della Regione che sarà sottoscritta da decine di migliaia di sardi per chiedere di fermare questo trasferimento di massa di detenuti legati alle cosche e ai clan mafiosi e camorristici in Sardegna. “Concentreremo le iniziative nelle aree che maggiormente rischiano di essere colpite da questa decisione - ha detto Pili - ma la mobilitazione sarà regionale considerato che questo problema riguarda tutta la Sardegna, nessuno escluso. Il pericolo di infiltrazione mafiosa non è allarmismo come sostiene qualche superficiale commentatore di Stato ma è un rischio concreto”. In questi giorni alla nostra denuncia si è aggiunta quella del massimo esperto al mondo sui temi della mafia, che non si può dire essere vicino politicamente al sottoscritto, come il professor Pino Arlacchi, il quale senza mezzi termini ha detto che “si tratta di una scelta dissennata”, invitando “le istituzioni sarde a far muro per fermare queste decisioni”. 2.300 firme nella prima giornata di sottoscrizione “2.300 firme nella prima giornata di sottoscrizione dell’appello al capo dello Stato nella sola città di Oristano. Un risultato rilevante che segna la grande preoccupazione della popolazione rispetto all’arrivo proprio ad Oristano di 125 detenuti capimafia provenienti dal 41 bis. Importante anche la mobilitazione degli amministratori comunali in tutta l’Isola, a decine hanno già sottoscritto l’appello al Capo dello Stato e in molti comuni della Sardegna è stata avviata la sottoscrizione della petizione sarda”. Lo ha detto il deputato sardo Mauro Pili che ieri da Oristano ha lanciato la mobilitazione per contrastare la nefasta decisione del Ministero di inviare in Sardegna oltre 500 mafiosi e camorristi tra i più pericolosi con un concentrato senza precedenti in Italia. “Che in una sola giornata, in una sola città si sia riusciti ad ottenere il sostegno all’appello al capo dello Stato di oltre 2000 cittadini è un risultato significativo che ci induce ancor di più nella sensibilizzazione dei sardi dinanzi ad una sciagurata decisione che relegherebbe la Sardegna a vera e propria prigione di Stato. I sardi - ha detto Pili - non possono e non devono subire una scelta nefasta che mette a rischio la sicurezza sociale della nostra Regione. Oltre 500 mafiosi in Sardegna significa attentare alla sua integrità e al suo futuro”. L’appello è stato sottoscritto dai Presidenti della Provincia di Oristano Massimiliano De Seenen e di Olbia tempio Fedele Sanciu, dal vice Presidente del Consiglio Provinciale di Cagliari Alessandro Sorgia e il Capogruppo del Pdl a Nuoro Pierluigi Saiu, dal Vice sindaco di Macomer Giovanni Biccai, dal sindaco di Cabras Cristiano Carrus, dal vice Presidente del Consiglio Comunale di Sassari Giovanni Fadda. Una petizione sarda al Capo dello Stato, al Ministro della Giustizia e al Presidente della Regione che nei prossimi giorni sarà sottoscritta da decine di migliaia di sardi per chiedere di fermare questo trasferimento di massa di detenuti legati alle cosche e ai clan mafiosi e camorristici in Sardegna. Palermo: detenuto di 65 anni si suicida dopo una condanna per associazione mafiosa Agi, 22 ottobre 2012 Il boss mafioso di Casteltermini (Agrigento), Francesco Baiamonte, si è suicidato nel carcere di Pagliarelli a Palermo. L’uomo si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella sabato, ma lo si è appreso solo stamattina. Venerdì il Gup lo aveva condannato a 10 anni per associazione mafiosa. Baiamonte aveva 65 anni. Era stato coinvolto nell’operazione antimafia “Kamarat” del 18 maggio 2012. Il Gip di Palermo, Fernando Sestito, inizialmente non aveva accolto la richiesta di misura cautelare avanzata nei suoi confronti dalla Dda, che aveva fatto ricorso al Tribunale del riesame e aveva poi ottenuto il provvedimento restrittivo. Baiamonte si era poi costituito il 6 luglio scorso ai carabinieri di Casteltermini. Secondo le accuse era in contatto con i capimafia Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, e con i vertici di Cosa Nostra in provincia di Agrigento Gerlandino Messina e Luigi Putrone. Venerdì scorso davanti al Gup di Palermo Giuliano Castiglia si era concluso il processo per l’indagine “Kamarat” con condanne per complessivi 113 anni di carcere per undici dei quattordici imputati, tra cui Baiamonte, mentre altri due erano stati assolti. Il Gup aveva inoltre condannato gli imputati al risarcimento del danno e al pagamento di una provvisionale di 20 mila euro in favore dell’associazione antiracket “Libere Terre”, presieduta dall’imprenditore e testimone di giustizia Ignazio Cutrò, il quale si è costituito parte civile. Un altro boss delle cosche mafiose agrigentine, l’ergastolano Pietro Ribisi, 61 anni, si era suicidato nel carcere di Carinola (Caserta). Era stato definitivamente condannato come killer del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano. Genova: detenuto si dà fuoco, ricoverato nel Centro medico del carcere in gravi condizioni La Repubblica, 22 ottobre 2012 Un marocchino detenuto per spaccio di droga nel carcere di Genova Pontedecimo ha dato fuoco alla propria cella e a se stesso. L’uomo, salvato dagli agenti di polizia penitenziaria che sono immediatamente intervenuti, si trova ricoverato nel centro medico del carcere in gravi condizioni. “La situazione - ha detto Roberto Martinelli, segretario generale del Sappe Liguria - è insostenibile. La popolazione detenuta è il doppio rispetto alla capienza regolamentare del carcere e gli agenti sono sotto organico di 60 unità. È necessario che la politica assuma urgenti provvedimenti sul tema delle carceri, potenziando le misure alternative alla detenzione e favorendo l’espulsione dei detenuti stranieri che nelle carceri genovesi sono oltre il 60% dei detenuti”. “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente - sottolinea Martinelli - A Pontedecimo oggi ci sono detenuti 97 uomini e 92 donne, 189 persone rispetto alla capienza regolamentare di 96 posti letto. La forza prevista del Reparto di Polizia Penitenziaria è di 161 unità mentre quella effettiva è di circa 100 unità. Dal 1 gennaio al 30 giugno 2012 a Pontedecimo ci sono stati 10 atti di autolesionismo, un tentato suicidio sventato, sette colluttazioni e persino l’evasione di un detenuto mentre fruiva di permesso premio”. Reggio Calabria: detenuto in Reparto psichiatrico carcere tenta suicidio, salvato da agenti Adnkronos, 22 ottobre 2012 Scongiurato dal personale di polizia penitenziaria l’ennesimo tentativo di suicidio in carcere. È accaduto ieri pomeriggio a Reggio Calabria, dove, grazie all’intervento di un agente, “si è evitato che un detenuto straniero ristretto presso il reparto di psichiatria si togliesse la vita impiccandosi con un lenzuolo alle inferriate della finestra”. Lo riferiscono Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario nazionale del Sappe. “Si tratta di uno dei circa 1.100 tentativi di suicidio che ogni anno non giungono all’estrema conseguenza - scrivono i sindacalisti del Sappe in una nota - grazie al pronto intervento della polizia penitenziaria. A Reggio Calabria - ricordano - i detenuti sono 420 a fronte di una capienza di circa 250 posti, gli agenti effettivamente in servizio circa 150, ce ne vorrebbero almeno altri 50. In Italia ne mancano 7.000 e nei prossimi tre anni ne perderemo altri 3.000 circa, a causa dei tagli previsti dalla revisione alla spessa pubblica”. Roma: Osapp; 1.000 detenuti in più e 300 agenti in meno, le carceri cittadine scoppiano Ristretti Orizzonti, 22 ottobre 2012 “Quasi 1.000 detenuti in più del consentito e 300 agenti in meno, è questa l’attuale disastrosa condizione delle principali carceri romane di Rebibbia N.C. e di Regina Coeli” è quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci Segretario Generale Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) indirizzata ai Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. “Per quanto riguarda l’istituto di Roma - Rebibbia N.C. - indica il sindacalista - a fronte di una capienza regolamentare di 1.218 detenuti ce ne erano, ieri 21 ottobre, 1.782, mentre non meno di 200 sono le unità di Polizia Penitenziaria che difettano alla struttura”. “Per Regina Coeli, inoltre, in 725 posti letto disponibili - aggiunge il leader dell’Osapp - vi alloggiano 1.040 detenuti, pari a circa il 50% in più, mentre la carenza di personale non è inferiore a 100 poliziotti penitenziari che rappresentano il 20% in meno del previsto”. “Le condizioni delle carceri romane, per nulla peggiori di quelle del restante territorio nazionale sia per quanto riguarda il personale sia per la cosiddetta utenza - conclude Beneduci - attestano degnamente quanto poco la politica e l’Amministrazione penitenziaria centrale stiano facendo per migliorare le condizioni di vita e di lavoro negli istituti di pena e quali rischi possano derivare, anche per la cittadinanza, da situazioni che peggiorano di giorno in giorno”. Parma: 617 detenuti, 391 in attesa di giudizio; verifica del Garante regionale dei detenuti Sesto Potere, 22 ottobre 2012 Il totale dei detenuti ammonta a 617 (tutti uomini, 250 stranieri); le presenze si dividono fra la Casa di reclusione (318) e la Casa circondariale (299), dove è sistemata gran parte dei detenuti in attesa di giudizio (i condannati in via definitiva sono 391). La capienza regolamentare prevede 385 posti, quella “tollerata” 652. I detenuti comuni sono 465, quelli in regime di alta sicurezza 85, altri 69 sono reclusi in regime di 41 bis; 13 in semilibertà, 16 lavoranti esterni in articolo 21 O.P.. Lunedì 8 ottobre, Desi Bruno, Garante regionale dei diritti dei detenuti per l’Emilia Romagna, ha visitato l’Istituto penale di via Burla, a Parma. La Garante segnala positivamente la recente riapertura, dopo quasi due anni, del Centro diagnostico terapeutico, affidato all’Ausl di Parma, che ospita alla data della visita anche detenuti con disabilità motoria, essendo insufficienti gli spazi della sezione (9 celle) dedicata ai detenuti paraplegici. Nella corso della visita, Desi Bruno ha incontrato due ergastolani, uno dei quali ancora in sciopero della fame: chiedono di essere collocati in celle singole, come prevede il Regolamento penitenziario, allo stato non possibile per carenze di spazi; la Garante ha già rivolto una richiesta al nuovo Provveditore delle carceri dell’Emilia-Romagna, Pietro Buffa, che sta procedendo alla riorganizzazione delle presenze negli istituti. La Garante ha poi incontrato le realtà locali che si occupano delle problematiche legate alla condizione carceraria. All’incontro, convocato nella sede del Consorzio di Solidarietà sociale di Parma, hanno partecipato rappresentanze di molte associazioni di volontariato che quotidianamente frequentano il carcere di Parma, portando sostegno e aiuto ai detenuti in maggior difficoltà, e fornendo un sostanziale supporto per il raggiungimento delle finalità istituzionale del carcere; all’incontro erano presenti anche rappresentanti di cooperative sociali di tipo B, che si occupano dell’inserimento lavorativo di detenuti e ex detenuti. La Garante è stata informata delle difficoltà che volontari e cooperative incontrano nella loro attività, legate alla mancanza di risorse per la scuola, alla rigidità di alcuni orari per gli interventi in carcere, agli ostacoli incontrati per organizzare attività lavorative dentro le mura. Il confronto è stato significativamente arricchito dagli interventi di rappresentanti delle istituzioni di Parma, fra cui l’assessore comunale alle Politiche sociali, Laura Rossi, il direttore delle attività socio sanitarie della Ausl, Paolo Volta, il direttore del Dipartimento cure primarie del Distretto di Parma, Sigismondo Ferrante, il responsabile personale sanitario carcere, Francesco Ciusa; sono inoltre intervenuti la senatrice Albertina Soliani, la deputata Carmen Motta, la consigliera regionale Gabriella Meo, membro dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna. Tutti gli interventi hanno sottolineato la necessità di garantire continuità agli interventi di inserimento lavorativo esterno al carcere, e la richiesta di un coordinamento stabile fra le realtà che si occupano di carcere del nostro territorio e gli uffici della Garante, soprattutto in relazione alle condizioni di vita e di salute dei detenuti. Sanremo (Im): visita in carcere del Segretario generale del Sappe Roberto Martinelli www.sanremonews.it, 22 ottobre 2012 “La mia presenza nel carcere di Sanremo vuole dunque essere testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi quotidiani delle colleghe e dei colleghi in servizio nella struttura detentiva sanremese, carcere nel quale nelle ultime settimane si sono registrate violente e vili aggressioni a nostri Agenti” - ha detto Martinelli. Visita stamani al carcere di Sanremo di Roberto Martinelli, Segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Il sindacalista ha fatto visita agli agenti di Polizia penitenziaria in servizio nella casa circondariale della città dei fiori, dove ha sottolineato che: “La Liguria è la Regione d’Italia nella quale sono detenute complessivamente oltre 1.905 persone nei 7 penitenziari regionali che hanno complessivamente una capienza regolamentare di poco superiore ai mille posti letto. A Sanremo, in particolare, dove i posti letto regolamentari sono 209, i detenuti presenti a fine settembre erano in realtà 355. Ed il Reparto di Polizia conta più di 80 agenti in meno rispetto all’organico previsto. La mia presenza nel carcere di Sanremo vuole dunque essere testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi quotidiani delle colleghe e dei colleghi in servizio nella struttura detentiva sanremese, carcere nel quale nelle ultime settimane si sono registrate violente e vili aggressioni a nostri Agenti”. “Dal 1 gennaio al 30 giugno 2012 nel carcere di Sanremo ci sono stati 13 atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provati da lamette, 37 colluttazioni, l’evasione di un detenuto mentre fruiva di permesso premio. Anche a Sanremo, come nelle altre carceri liguri, abbiamo un Personale di Polizia altamente specializzato che con professionalità, competenza e soprattutto umanità lavora nelle sovraffollate sezioni detentive, nonostante una cronica carenza di Agenti - precisa ancora Martinelli - Poliziotti nonostante tutto sereni e consapevoli dell’importanza del ruolo istituzionale e sociale loro affidato. Certo, fino ad oggi la drammatica situazione determinata dal sovraffollamento è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria”. “L’auspicio del Sappe - conclude Martinelli - è che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri “terribilmente sovraffollate” e ci si dia dunque da fare - concretamente e urgentemente - per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso ed un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio e tutti i detenuti in attività lavorative, anche in carcere. Oltre alla non più rinviabile espulsione dei detenuti stranieri condannati per fare scontare loro la pena nelle prigioni del Paese di provenienza. I detenuti che lavorano, ad esempio, sono una percentuale irrisoria, e ciò alimenta l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni che nel recente passato hanno visto alcuni detenuti scontrarsi nella sala socialità del carcere. Condizioni, sovraffollamento e carenza di poliziotti, che si ripercuotono negativamente sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate e soprattutto di coloro che in quelle sezioni detentive svolge un duro, difficile e delicato lavorato, come quello svolto dai poliziotti penitenziari”. Agrigento: guaina del tetto usurata, piove negli uffici del carcere La Sicilia, 22 ottobre 2012 In alcuni uffici del carcere di contrada Petrusa piove. Le possenti precipitazioni dei giorni scorsi hanno smascherato lo stato di usura della guaina posizionata anni fa sul soffitto di alcuni settori del penitenziario. Guaina che evidentemente non assolve più al proprio ruolo impermeabilizzante, causando quindi infiltrazioni di acqua fin dentro gli uffici. A farne le spese con ovvie conseguenze in termini di disagi e fastidi assortiti sono soprattutto alcune stanze in cui lavorano gli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria. Tutti costretti a fronteggiare la grottesca situazione con tradizionali bacinelle e mocio sempre a portata di mano. Una situazione imbarazzante, soprattutto se si pensa che il teatro di ciò è una struttura inaugurata appena nel 1997. Un fabbricato dunque di recente costruzione, ma che evidentemente necessiterebbe in tempi anche rapidi di qualche intervento di sistemazione. Il paradosso sta anche in dato: all’interno dell’area destinata alla casa circondariale sono in corso i lavori di costruzione di un nuovo padiglione dove troveranno reclusione almeno 200 persone. Dunque si edifica mezzo carcere nuovo, mentre per quello vecchio per adesso non ci sono interventi concreti. A conferma di questa differenza è anche l’umidità che caratterizza molte celle, dove i detenuti - specie nelle stagioni fredde - sono chiamati a fronteggiare condizioni di vivibilità non certo ottimali. Ma l’acqua che penetra dal soffitto e arriva fin sul pavimento di alcuni uffici è davvero troppo. Per adesso, viste le vacche magre nel paese, non resta che sperare in una cosa sola: che non piova. Livorno: Pianosa, isola abbandonata; la possibilità di recupero da una coop di detenuti di Stefano Bramanti Il Tirreno, 22 ottobre 2012 Case piene di crepe. Rifiuti ovunque. Persino una discarica a cielo aperto. Un presepe dimenticato Pianosa col suo bel porticciolo; un lembo di terra messo in archivio che va in malora. Dieci chilometri quadrati di paradiso minacciati ogni giorno dal degrado ambientale, nato dopo la chiusura del carcere del 1998. Un territorio animato da un turismo contingentato con 250 persone al giorno in estate, e niente altro. Ma un’occasione di riscatto all’orizzonte appare. Un progetto creato dalla cooperativa sociale San Giacomo che punta a far vivere sull’isola circa 120 persone stabilmente, una piano caldeggiato dal vice prefetto Giovanni Daveti, che è stato escursionista non per caso a Pianosa, per capire con gli occhi e con i piedi come stanno le cose. Ecco che si apre uno spiraglio di luce. Brunello De Batte, vicepresidente dell’associazione incontrato dal vice prefetto alla Pianosa dice. “Abbiamo presentato al ministero di Giustizia, con l’approvazione del sindaco campese Segnini, un progetto che punta alla realizzazione sull’isola di corsi di formazione per 80 detenuti in semilibertà, nei settori di agricoltura, edilizia e turismo. Con i docenti e altro personale si arriverebbe ad avere 120 persone sull’isola stabili e sarebbe possibile avviare il recupero di immobili del paese e infrastrutture, quindi rigenerare il settore agro-pastorale ed anche proporre nuove forme di turismo eco-ambientale”. Un piano da 1 milione e 400 mila euro circa, che ovviamente attua il recupero dei detenuti alla vita sociale e si creano anche posti di lavoro, riattivando una forma di economia locale oltre il turismo estivo che potrebbe crescere fino a 500 unità. “Una prima vera ipotesi di rinascita di Pianosa sarebbe quindi possibile - evidenzia Daveti. Ci vogliono obiettivi comuni e volontà specifiche”. Una visita non casuale quella di Daveti a Pianosa. Escursionista non per caso sull’isola piatta: ha voluto capire con gli occhi e con i piedi come stanno le cose. Il rappresentante del governo suona quindi la sveglia e propone che gli Enti gestori di Pianosa si incontrino, per decidere il futuro dell’isola. “Un territorio che sarebbe stupendo - dice il rappresentante del governo - ricco anche di storia: le catacombe del IV secolo a. C., resti della villa romana di Agrippa Postumo assassinato durante il suo esilio nel 14 d. C., il paese dagli scorci panoramici unici ed anche gli antichi edifici carcerari che ospitarono tra gli altri durante il fascismo, come il detenuto politico, Sandro Pertini che poi sarebbe diventato Presidente della Repubblica”. La strada da percorrere? “Un vertice tra Enti necessario - suggerisce Daveti - quindi Demanio, Ministero della Giustizia, Comune di Campo nell’Elba e Parco; devono dire se vogliono cambiare la situazione o lasciarla com’è. Chi soggiorna - prosegue - persone autorizzate dal Parco, non hanno assistenza sanitaria e possono contare solo sull’elicottero del 118 e sono ad ogni angolo probabili deficienze igieniche con presenze di zecche ed altri parassiti, ma anche ratti visto che i gatti sono stati fatti emigrare”. E i turisti? Neppure loro godono di servizi igienici pubblici e di sanità. Esiste però l’Hotel Milena con 12 camere e il bar-ristorante ambedue gestiti dalla Cooperativa San Giacomo sorretta dall’impegno di alcuni detenuti in regime di semilibertà, vigilati da agenti distaccati. Poi Daveti insiste sul degrado: “Un territorio in totale abbandono con circa il 70% di proprietà pubblica - dice il viceprefetto - edifici pericolanti, transennati in modo approssimativo, senza rispetto di misure di sicurezza. E vanno in malora immobili di interesse storico-artistico come il napoleonico Forte Teglia, la casa dell’Agronomo. A breve, si può ipotizzare un generalizzato crollo di questi edifici con grave perdita”. Ma non sono gli unici episodi Altri casi di incuria? La romanica Peschiera della Darsenetta, quasi ricoperta perché usata come discarica di inerti. “Da 14 anni la giurisdizione non è stata ancora ben definita - prosegue il vice prefetto. Il Demanio non consegna il territorio che una sentenza ha attribuito al Comune di Campo nell’Elba, il ministero della Giustizia possiede diversi immobili, varie forze dell’ordine occupano edifici già adibiti a caserme e il Parco gestisce il flusso turistico. Ma nessuno pensa a interventi di manutenzione”. Chieti: il carcere avrà una biblioteca, Convenzione tra Comune e ministero della Giustizia Il Centro, 22 ottobre 2012 Comune e ministero della Giustizia collaboreranno per costituire e rendere fruibile la biblioteca della Casa circondariale di Chieti. A tal proposito, giovedì scorso, è stata firmata una convenzione tra le due istituzioni con Domenico Galanti, dirigente del IV settore del Comune, e Giuseppina Ruggero, direttrice del carcere di Chieti, affiancati dal sindaco Vincenzo D’Ottavio. La convenzione prevede un sostanziale supporto da parte della biblioteca comunale ortonese per l’organizzazione della biblioteca in carcere: in particolare si prevedono prestiti di libri, che i detenuti potranno leggere e poi restituire, una serie di interventi formativi per creare le competenze di base alla catalogazione e gestione della biblioteca carceraria rivolte ai detenuti e al personale coinvolto, e varie attività congiunte. “È una iniziativa di grande rilievo per il recupero ed il benessere dei detenuti”, commenta la direttrice Ruggero, “ed abbiamo avuto notizia dagli uffici centrali che si tratta della prima esperienza in Italia tra un Comune ed una casa circondariale”. “Riteniamo”, aggiunge D’Ottavio, “che creare una rete nella quale le funzioni sociali si coniughino con quelle culturali, tramite la nostra biblioteca, sia un progetto di grande innovazione”. La convenzione sarà realizzata attraverso pianificazioni annuali elaborate da un gruppo tecnico del quale fanno parte, oltre i due dirigenti, Stefania Basilisco, funzionario giuridico pedagogico del carcere e Tito Vezio Viola, direttore della biblioteca ortonese. Avellino: grazie al Coni avviato un progetto di attività sportive nelle carceri irpine Irpinia News, 22 ottobre 2012 Il Coni di Avellino, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Regionale della Campania ed il Coni Regionale, promuovono ed organizzano una serie di attività sportive presso gli Istituti Penitenziari della nostra Provincia. Le attività saranno svolte da docenti di Scienze Motorie e Tecnici Federali che hanno dato la loro adesione a svolgere gratuitamente un programma a sostegno del progetto, rivolto sia alla sezione maschile che a quella femminile degli Istituti Penitenziari. L’iniziativa si inserisce nel contesto di una strategia generale dell’Amministrazione Penitenziaria, volta al reinserimento totale e ad un miglioramento della qualità della vita penitenziaria. Il progetto sarà presentato alle ore 11 di venerdì 26 ottobre, presso il salone di rappresentanza del Coni di Avellino, alla presenza di Dirigenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale della Campania, del Presidente Regionale del Coni, dei Direttori degli Istituti penitenziari e dei docenti coinvolti nel progetto. Verona: con Banco Editoriale donati un migliaio di libri ai detenuti di Montorio L’Arena di Verona, 22 ottobre 2012 Si è chiusa con successo la seconda edizione del Banco Editoriale. Nelle nove librerie molti acquisti di romanzi e poesie da Ken Follett a Calvino, da Ungaretti a Montale Dai romanzi di Ken Follett a quelli di Erri De Luca, dalle poesie di Ungaretti e Montale a quelle di Wislawa Szymborska, classici come “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee e “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, e ancora varie copie del “Piccolo Principe”, che si aggiungeranno alle 16 arrivate al carcere di Montorio lo scorso anno, ma pure Calvino, e tanti altri titoli e autori. La seconda edizione del Banco editoriale, la “colletta culturale” ideata dal giornalista Lorenzo Fazzini e subito sposata da un gruppo di giovani della nostra città, lo scorso anno era riuscita a far arrivare ai detenuti quasi un migliaio di libri: tra venerdì e ieri la manifestazione ha bissato il suo successo. Un altro migliaio di libri arriveranno a Montorio, e così ancora una volta il Banco Editoriale è riuscito a portare un messaggio di solidarietà non soltanto dietro le sbarre, ma tra tutti i cittadini, rendendoli partecipi, con un piccolo gesto, di un grande messaggio di vicinanza a chi vive la situazione alienante della detenzione. Un libro, si sa, aiuta a sognare e per chi è privo della libertà forse i sogni sono ancora più indispensabili. La tre giorni si era aperta venerdì alle 15 alla libreria Paoline di via Stella con la partecipazione del sindaco Tosi, di monsignor Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura, presente anche a nome del vescovo Zenti, e di Bruno Giordano, delegato di Confindustria, membro della commissione del Premio Campiello, e delle garante per i diritti delle persone detenute Margherita Forseatn che avevano dato l’esempio acquistando ciascuno alcuni libri, primi ad arrivare nelle ceste della colletta. Ed era stato il sindaco a ricordare l’importanza dell’iniziativa che “con un gesto semplice e una spesa accessibile consente di essere di aiuto per rendere meno alienante il periodo di detenzione”. Alla colletta hanno partecipato nove librerie cittadine (Gheduzzi, Grosso - Ghelfi e Barbato, Feltrinelli, Pagina 12, le due Paoline, Bocù, Libreria Editrice Salesiana, Fede & Cultura e Gulliver Travelbooks), mentre da testimoni dell’iniziativa hanno fatti gli studenti del liceo “Alle Stimate”, come già lo scorso anno, che hanno rinunciato ai due pomeriggi del fine-settimana per mettersi a disposizione nelle librerie. Novità di quest’anno poi, il fatto che le stesse librerie hanno deciso di devolvere il 5% del ricavato delle vendite di queste tre giornate per l’acquisto di altri libri da inviare a Montorio. Se si calcola che l’iniziativa lo scorso anno si era svolta in dicembre, stagione in cui, complice evidentemente l’imminenza del Natale, le librerie sono molto più frequentate, il risultato di pareggio ottenuto quest’anno è, a tanto maggior ragione, un buon successo. Non solo: il Banco Editoriale made in Verona fa proseliti. Alla manifestazione infatti quest’anno ha aderito anche la città di Roma, mentre Torino, Lecco e Napoli si stanno candidando. Turchia: record mondiale giornalisti in carcere, la maggioranza per accuse legate a scritti Tm News, 22 ottobre 2012 La Turchia detiene il record mondiale di giornalisti in carcere. Lo dice un rapporto pubblicato oggi dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), una Ong con sede a New York, secondo la quale nel Paese è in atto “una delle più vaste operazioni di repressione della libertà di stampa nella storia recente”. Dopo un’accurata disamina caso per caso, l’Ong ha individuato 76 giornalisti in carcere in Turchia, di cui almeno 61 “sono detenuti in diretto rapporto con i lavori pubblicati o con la loro attività di ricerca di informazioni”. La condizione di altri 15 giornalisti è meno chiara, secondo la ong. Con questo bilancio, “il numero di giornalisti in prigione in Turchia oggi è superiore a quello di altri Paesi più repressivi, come l’Iran, l’Eritrea e la Cina”, afferma il Cpj. La Ong ritiene che “il governo del premier Recep Tayyip Erdogan abbia messo in atto una delle più vaste operazioni di repressione della libertà di stampa della storia recente”. Oltre alle retate di giornalisti con il pretesto delle lotta al terrorismo, l’Ong denuncia anche “tattiche di pressione per convincere all’autocensura” nelle redazioni. Secondo il rapporto, il 70% dei giornalisti incarcerati sono indagati per il reato di “appartenenza a organizzazione terroristica”, per presunti legami con il Pkk, il fuorilegge Partito dei lavoratori del Kurdistan che pratica la lotta armata per l’indipendenza curda. Gli altri giornalisti sono finiti in carcere per la loro presunta appartenenza a organizzazioni clandestine o per la loro partecipazione a progetti di colpo di Stato. Più di tre su quattro giornalisti detenuti, sottolinea il report, sono ancora in attesa di giudizio, alcuni da diversi anni. “Il governo turco deve liberare tutti i giornalisti in carcere sulla base delle loro attività giornalistiche” afferma la Ong, che chiede profonde riforme per le leggi utilizzate per reprimere la libertà di stampa. Il Cpj ha anche fatto appello al premier Erdogan perché smetta di denunciare sistematicamente per diffamazione “i giornalisti critici”, di “disprezzarli pubblicamente” e di esercitare “pressioni su media critici perché adottino un tono più moderato”. Iran: impiccati 10 detenuti, condannati per traffico droga in processi che durano 30 minuti Aki, 22 ottobre 2012 Almeno 10 detenuti iraniani sono stati impiccati stamani nel carcere di Evin, a Teheran. Lo ha denunciato Iran Human Rights (Ihr), un’Ong che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica, che definisce questa ondata di esecuzioni “illegale” in quanti i prigionieri avrebbero confessato i loro reati sotto tortura e sarebbero stati condannati a morte al termine di processi “farsa” durati meno di 30 minuti. La tv di Stato “Irib” ha confermato le esecuzioni, precisando che i detenuti erano stati condannati per narcotraffico. “Mando le mie condoglianze alle famiglie delle persone giustiziate oggi. La leadership iraniana, in particolare la Guida Suprema, Ali Khamenei, e il procuratore capo, Gholam Hossein Ejei, devono essere ritenuti i responsabili di queste esecuzioni”, ha affermato Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di Ihr. “Noi - ha aggiunto - invitiamo la comunità internazionale a condannare fermamente le esecuzioni”. Il portavoce ha quindi chiesto al Parlamento europeo di cancellare la visita di una delegazione di deputati, prevista a Teheran il prossimo 27 ottobre, in segno di protesta contro le condanne a morte. Albania: interrotto dopo 31 giorni lo sciopero della fame degli ex detenuti politici Nova, 22 ottobre 2012 Dopo 31 giorni gli ex detenuti politici albanesi hanno dichiarato oggi pomeriggio di aver deciso di interrompere lo sciopero di fame. "Da questo momento poniamo fine allo sciopero. Non potevamo continuare oltre. Gli ultimi 20 giorni sono stati trascorsi in un'atmosfera di terrore psicologico, vietandoci persino i liquidi e lo zucchero", ha detto un'ex detenuto, accusando la polizia che da due settimane aveva circondato le tende nelle quali si svolgevo lo sciopero. "Volevano farci morire lentamente. L'interruzione dello sciopero non vuol dire che abbiamo rinunciato alle nostre richieste. Torneremo con altre forme di proteste", hanno dichiarato gli ex prigionieri, ringraziando per il sostegno la comunit internazionale ed i media albanesi. Lo sciopero degli ex detenuti albanesi ha avuto una notevole eco internazionale, in particolare dopo gli estremi atti dei due membri che si sono dati fuoco. Scambi di accuse fra Difensore civico e polizia Scambi di accuse fra l’ufficio del Difensore civico e la polizia di Tirana sullo sciopero della fame degli ex detenuti politici, che da un mese sono in protesta contro i ritardi nella distribuzione della ricompensa economica prevista per gli anni trascorsi nelle carceri della dittatura comunista. Dopo una visita nella tenda all’aperto dove si svolge la protesta, Sotiraq Nushi, commissario dell’ufficio del Difensore civico, ha dichiarato che “la polizia ha vietato i liquidi e lo zucchero. È un atto illegittimo e chiederemo alla procura di avviare, delle indagini nei confronti delle forze dell’ordine con l’accusa di trattamento disumano e degradante”, ha affermato Nushi. La polizia non ha fatto attendere la propria replica, chiedendo scuse pubbliche per le “accuse infondate”. “Il Difensore civico non dovrebbe essere vittima di manipolazioni su uno sciopero illegittimo e politico”, ha dichiarato il portavoce della polizia di Tirana, Arben Nasufi. Intanto lo stato di salute degli scioperanti diventa sempre pi grave. A continuare lo sciopero della fame sono rimasti ormai solo sei persone. A chi viene trasferito in ospedale la polizia non permette più di riprendere la protesta. “Lo sciopero proseguir anche se ne dovesse rimanere uno solo”, ha dichiarato Skender Tufa, il coordinatore della protesta. Nonostante i diversi appelli internazionali per avviare il dialogo con gli ex detenuti politici, il governo rifiuta ogni contatto considerando lo sciopero “un atto politico”. Commissione Ue: preoccupa sciopero fame ex detenuti Occhi puntati di Bruxelles sullo sciopero della fame di un gruppo di ex detenuti politici, che chiedono un risarcimento per gli anni trascorsi nelle carceri della dittatura comunista in Albania. “Stiamo seguendo la situazione, che ci preoccupa”, ha spiegato Peter Stano, portavoce del commissario Ue all’Allargamento, Stefan Fule. Bruxelles ha espresso quindi rammarico per la situazione delle persone che da un mese sono in sciopero della fame a Tirana. “Questa situazione dovrebbe essere di immediata priorità per tutti i soggetti coinvolti”, ha aggiunto Stano, che ha rinnovato l’appello di Bruxelles ad una soluzione pacifica delle tensioni. “Per quanto riguarda le questioni sollevate - ha concluso il portavoce, incoraggiamo un dialogo calmo e costruttivo, il dialogo fra governo e organizzazioni della società civile, nel contesto delle istituzioni democratiche e della relativa legislazione”. Svizzera: sei detenuti evadono dal carcere La Croisée di Orbe, quattro già ripresi www.swiss.info.ch, 22 ottobre 2012 Sei detenuti sono evasi la scorsa notte dal carcere La Croisée, a Orbe (Vd). Quattro sono stati rapidamente riacciuffati, mentre due sono tuttora latitanti, indica un comunicato della polizia cantonale, secondo cui i due fuggitivi non sono pericolosi. Il 30 luglio dallo stesso carcere erano già evasi cinque prigionieri. I sei, che occupavano tre celle, sono riusciti a forzare le fissazioni delle porte servendosi di un utensile fabbricato da loro stessi. Sono poi riusciti a lasciare la prigione passando attraverso il settore amministrativo dello stabilimento. Contrariamente all’evasione dallo stesso carcere del mese di luglio, i sistemi esterni di sicurezza hanno immediatamente funzionato quando i prigionieri si sono trovati sul posteggio. Ciò ha permesso un rapido intervento della polizia che ha arrestato quattro persone a Suchy (Vd). Alla ricerca dei due evasi tuttora latitanti partecipa anche un elicottero dell’esercito, indica una nota dello Stato vodese Tunisia: tentata evasione massa; detenuti bruciano materassi, ma il carcere era circondato Ansa, 22 ottobre 2012 Un centinaio di detenuti comuni del carcere di Gabes hanno tentato, ieri sera, un’evasione di massa in coincidenza con la trasmissione, in tv, della semifinale della Coppa dei Campioni di calcio tra l’Esperance, squadra della capitale, e i congolesi del Mazembe. Approfittando del fatto che, nel turno di notte, alla sorveglianza è destinato un numero minore di agenti e che, quelli in servizio, erano in gran parte davanti alla tv a seguire l’incontro, i detenuti hanno incendiato dei materassi e suppellettili delle loro celle. Quando gli agenti hanno evacuato i reclusi concentrandoli nei cortili interni, mentre i vigili del fuoco stavano lavorando allo spegnimento delle fiamme, alcune decine di detenuti hanno cercato di guadagnare il perimetro del carcere e, quindi, la libertà. Solo che il loro tentativo è stato frustrato dal fatto che l’edificio era stato già circondato da unità delle forze di sicurezza, che hanno frustrato il loro tentativo. Nell’accaduto, ha riferito il responsabile regionale delle carceri, nessun detenuto o agente ha avuto conseguenze. Non è la prima volta che la trasmissione in tv di partite di calcio - sport nazionale in Tunisia, dove è spesso causa di episodi di violenza tra tifosi - viene sfruttato per tentativi di evasione.