Più lavoro in carcere, più detenuti impegnati nel lavoro all’esterno Ristretti Orizzonti, 20 ottobre 2012 Si può fare, mantenendo gli attuali sgravi fiscali e aumentando il budget della Legge Smuraglia per permettere nuove assunzioni. La Legge Smuraglia (193/2000) ha costituito per un decennio un importantissimo stimolo affinché crescesse il lavoro per i detenuti nelle carceri italiane e nel territorio (persone ammesse al lavoro esterno secondo l’Ordinamento Penitenziario). La legge prevede sgravi contributivi dell’80% e un credito d’imposta mensile di euro 516,46 per ogni detenuto assunto. A partire da giugno 2011 sono state poste dal Ministero della Giustizia/Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, alle aziende che intervengono in questo ambito, delle limitazioni per quanto riguarda il credito d’imposta, che non è stato finanziato per mancanza di fondi nei mesi di novembre e dicembre. In seguito lo stesso Dipartimento ha compensato il mancato credito con il progetto “Sostegno al reddito”, della Cassa delle Ammende. Contemporaneamente è stato posto alle aziende un limite per il 2012 sia del credito d’imposta che dello sgravio contributivo, limitando di fatto la possibilità di nuove assunzioni. Tutto ciò: - costituisce un attacco all’occupazione in carcere, già così ridotta e sporadica; - costituisce un attacco ai progetti di inserimento lavorativo esterno delle persone detenute; - mette a rischio in particolare le cooperative sociali che da anni lavorano in e per il carcere. Si chiede al Governo lo sviluppo di una politica che: - incrementi il rifinanziamento della Legge Smuraglia, permettendo nuove assunzioni e - mantenendo gli sgravi attuali, contributivo (80%) e fiscale (euro 516,46), estendendo gli sgravi alle persone che finiscono la detenzione fino a 12 mesi dopo il fine pena; - incentivi la crescita dell’occupazione delle persone detenute (dentro e fuori dal carcere); - incentivi i controlli sulla regolarità dell’utilizzo degli sgravi previsti dalla normativa; - promuova il monitoraggio della qualità degli interventi realizzati da coop/aziende dentro e fuori dal carcere. Cooperativa sociale “Il Cerchio” - Venezia Cooperativa sociale “Altracittà” - Padova Redazione di Ristretti Orizzonti È ora di parlare di “rieducazione” fuori del carcere di Luciana Scarcia www.innocentievasioni.net, 20 ottobre 2012 Dopo le recenti notizie sulle vicende di corruzione e malaffare nelle pubbliche amministrazioni, lo scioglimento del Consiglio comunale calabrese e, ancora più terribile, l’arresto dell’assessore lombardo per voto di scambio con la ‘ndrangheta, verrà modificata la percezione che il cittadino ha dei fattori di allarme sociale? Si correggerà il modo distorto con cui si guarda alla delinquenza come fenomeno circoscrivibile ad alcune categorie sociali e al carcere come al luogo in cui rinchiudere anime perse? Quanto meno è auspicabile che, per coerenza e vergogna, aumenti l’attenzione verso chi, costretto a dar conto delle proprie azioni criminali, sta scontando la pena in condizioni disumane. La frequenza e la gravità dei casi di illegalità diffusa e di collusione con la criminalità organizzata pongono l’urgenza di azioni concrete di contrasto che non siano solo di natura giudiziaria (giacché non si tratta solo di ripulire le istituzioni dalle mele marce), né provengano solo dalla sfera politica (per quanto competano in via prioritaria a questa); ma richiedono anche una riscossa culturale e etica, perché è in ballo la tenuta stessa della democrazia. Lo scempio delle istituzioni e la diffusione dell’illegalità non consentono più di circoscrivere il problema a una classe politica corrotta, o ai delinquenti di professione. Per quanto riguarda la prima, dire “sono tutti uguali” non solo è falso, ma soprattutto è un alibi per evitare la fatica dell’esercizio dei propri diritti, giacché la libertà è anche un onere etico e psicologico, e ha un costo: la responsabilità individuale verso la collettività in cui si vive. Per quanto riguarda i secondi (i delinquenti di professione) è sempre più difficile sostenere che si tratti di una categoria a parte da rinchiudere in un luogo lontano, in quanto le motivazioni che inducono alla delinquenza non sono generalmente molto diverse da quelle che animano l’agire degli amministratori, politici, imprenditori corrotti; se si gratta sul fondo si vede che i disvalori sono comuni: il denaro prima di tutto (magari anche il lusso) e il potere, in quanto affermazione (o illusione di realizzazione) di se stessi. Solo che spesso chi finisce in carcere ha l’attenuante di provenire da situazioni di emarginazione e sofferenza sociale. E allora bisogna uscire dall’ipocrisia che il principio della Rieducazione riguardi solo il carcere. L’art. 27 della Costituzione: “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” - che intendeva dar vita a un’istituzione penitenziaria che costituisse un tassello della società democratica - insieme agli altri articoli della Parte Prima, delineava un modello di società democratica inclusiva, tale da accogliere anche chi aveva inferto una ferita alla collettività; presupponeva dunque una cornice sociale caratterizzata da valori condivisi, dai quali il comportamento criminale aveva deviato e verso i quali bisognava riorientarlo. Non possiamo certo dire che quel modello di società abbia costituito l’orizzonte entro il quale ha operato il precedente governo, né che quei valori costituzionali risultino oggi efficaci nell’orientare le condotte della maggioranza degli Italiani. Per contrastare il degrado della coscienza democratica non è sufficiente l’affermazione delle regole, ma serve l’adesione convinta a quei valori dai quali le regole discendono; non basta puntare a una maggiore efficienza nei servizi e al ripristino della legalità laddove è stata violata, ma è necessaria una maggiore circolazione di pensiero, insieme a più formazione in tutti i campi. È su questo terreno culturale e etico che c’è molto da fare per tutti. I valori democratici di Giustizia, Libertà, Solidarietà possono ridiventare parole che orientano i comportamenti quotidiani a condizione che ci sia un’intenzionalità educativa da parte non solo degli specialisti del settore, ma anche di chi ha la responsabilità, a tutti i livelli, di trasmettere valori e formare opinioni, senza dare per scontato che siamo una democrazia matura. Quando in carcere si realizzano dei percorsi positivi di recupero, alla base di tali esperienze c’è sempre una riflessione sulle grandi questioni della vita, che a sua volta richiama il riferimento ai valori che tengono unita una collettività. Quello che si impara dal carcere è che serve un esercizio continuo della capacità di scelta tra giusto e ingiusto, tra utile e dannoso, in sostanza tra bene e male. È tale esercizio di pensiero che educa alla libertà e alimenta la coscienza democratica. Ed è questo compito che deve accompagnare la creazione di opportunità economiche e risorse materiali, per ritrovare fiducia e speranza nel futuro. Giustizia: ministro Severino sigla programma per istruzione e formazione nelle carceri Dire, 20 ottobre 2012 Un programma speciale per assicurare l’istruzione e la formazione all’interno degli istituti penitenziari, quale elemento fondamentale del trattamento dei condannati ed internati. Lo sottoscrivono, martedì 23 ottobre 2012 alle ore 9, presso l’istituto penale per minorenni di Roma Casal del Marmo, i ministri della Giustizia, Paola Severino, e dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo. Il protocollo, che viene siglato alla presenza dei capi dei dipartimenti per la Giustizia Minorile, Caterina Chinnici, e dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, nonché di rappresentanti di Confindustria e della Fondazione De Sanctis, punta a promuovere e sostenere lo sviluppo di un sistema integrato di istruzione e formazione professionale, favorendo l’acquisizione e il recupero di abilità e competenze individuali dei soggetti in esecuzione di pena nonché l’aggiornamento di insegnanti ed educatori che prestano servizio negli istituti penitenziari. L’intesa, che avrà la durata di tre anni, sarà realizzata in collaborazione con le Regioni e gli Enti Locali e il coinvolgimento di Enti, Fondazioni e Associazioni di volontariato. La cerimonia della firma sarà allietata dai canti dei ragazzi del coro delle scuole di Napoli, coadiuvati dalla presenza di cinque ospiti dell’Ipm di Nisida, nonché dalla degustazione di un piccolo rinfresco con prodotti realizzati nel laboratorio pizzeria dell’istituto minorile romano. Giustizia: parole dietro le sbarre, una vibrante forza di verità di Alessandro Cadoni La Nuova Sardegna, 20 ottobre 2012 Il libro “Siamo noi, siamo in tanti” raccoglie, su circa 300 partecipanti (altrettanti furono alla prima edizione), i venti racconti brevi finalisti della seconda edizione del premio letterario “Racconti dal carcere”, rivolto a tutti i detenuti - comunitari ed extracomunitari - presenti nella carceri italiane. Così Antonella Bolelli Ferrera, curatrice del volume edito da Rai Eri. Una raccolta che,pur nei diversi esiti stilistici e narrativi, porta impresso un carattere essenziale: quello di una vibrante forza di verità. È il caso di “Borderline” di Francesco Fusano, primo classificato, autore di un fulmineo racconto in cui la personalità debordante dell’io che scrive è espressa con stile espressivo ma sapientemente controllato, degno di un Edward Bunker; o ancora di “Un ricordo indelebile” di Arcuri, dove è raccontata la sua permanenza da girone dantesco nel “Monstruo”, il più famigerato carcere venezuelano; o ancora i casi di Torre e Rega, rispettivamente una significativa riflessione sulla devianza e un’autoanalisi nella detenzione. Da questi racconti è partita la nostra conversazione con Antonella Bolelli Ferrera, che spiega, innanzitutto, le origini di questo progetto, la struttura editoriale e la significativa dedica del Premio a Goliarda Sapienza: “Per la pubblicazione abbiamo affiancato ai finalisti venti fra scrittori, giornalisti, intellettuali che, in qualità di “tutor”, hanno suggerito una più compiuta impronta letteraria e scritto per ogni racconto una breve introduzione. Ciò ha in qualche modo premiato l’impegno letterario dei nostri detenuti-scrittori, che hanno avuto la soddisfazione di vedere il loro lavoro al vaglio critico di scrittori affermati (tra gli altri De Luca, De Cataldo, Evangelisti, Augias). Il concorso è promosso da “inVerso”, associazione per la diffusione della letteratura e della scrittura presso le categorie socialmente svantaggiate (fondata da Elio Pecora, anche presidente della giuria, e da me). Tra gli enti promotori, la Siae, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la Rai”. “Quella di intitolare il premio a Goliarda Sapienza - dice ancora Antonella Bolelli Ferrera - è una scelta connessa alla mia attività di autrice di una trasmissione radiofonica che ricostruisce biografie di vite travagliate (“Cuore di tenebra” per Radio 3, ndr). Sapienza dedicò enormi energie alla scrittura, trovando però gravi difficoltà a pubblicare i suoi libri, cosa che la prostrò economicamente e la portò infine, per un piccolo reato, a conoscere il carcere. Ne nacque un libro straordinario, “L’università di Rebibbia”, ideale guida di questa iniziativa”. Quello della scrittrice siciliana è, insomma, un caso emblematico di come la scrittura possa raccontare - e più a fondo, rappresentare - la reclusione. “Per lei fu un’esperienza paradossalmente formativa, poiché nel dramma della detenzione seppe ritrovare sentimenti come solidarietà e amicizia che fuori le erano, in quel momento, negati. Oggi la realtà carceraria è decisamente cambiata, in peggio. Il nostro lavoro, che si appoggia a quello preziosissimo degli educatori e degli operatori in genere, è purtroppo una goccia nel mare. Promuovere un concorso letterario - e conseguentemente anche entrare nelle carceri per presentarne i risultati - non è certo un’azione illusoria nei confronti dei partecipanti: anche perché, si sa, la scoperta del vero talento letterario è cosa rara anche nei contesti tradizionali. Piuttosto, mettere i detenuti a contatto con la pratica della scrittura - sulla scorta del lavoro già compiuto in questo senso dagli operatori oppure dello studio al quale i detenuti stessi si dedicano - equivale ad allontanarli dal degrado a cui il contesto carcerario, spesso, costringe. Con questo non voglio sostenere un’aprioristica difesa dei detenuti a scapito di presunti torti della Giustizia, che fermamente sostengo. Piuttosto affermare che un percorso virtuoso di riabilitazione è un fatto doveroso e, soprattutto, vantaggioso per l’intera società”. Da questo punto di vista, la presenza di persone come Cosimo Rega e Giovanni Arcuri all’Asinara - dove il volume è stato presentato la scorsa estate - pare doppiamente significativa, sia per la valenza simbolica del luogo che per la loro testimonianza diretta, in virtù del permesso temporaneo di uscita dal carcere di Rebibbia, dove da anni entrambi recitano nella compagnia teatrale guidata da Fabio Cavalli, regista dello scespiriano “Giulio Cesare” la cui messa in scena è il fulcro del film dei Taviani “Cesare deve morire” (Orso d’oro a Berlino), ammirato, la stessa sera della presentazione del libro, sui muri imbiancati dell’ex supercarcere di Fornelli. “La presenza di Arcuri e Rega all’Asinara - dice Bolelli Ferrera - è stata questa estate un fatto eccezionale. I magistrati di sorveglianza hanno valutato l’importanza dell’evento soprattutto in relazione alle sue finalità rieducative. Certamente, poi, il fatto che si trattasse di un avvenimento in un luogo di valenza simbolica come l’isola dell’Asinara accresce entrambi gli aspetti. Un tema come quello della detenzione, affrontato in un simile contesto, non può che accrescere la propria portata: sentire lì le loro testimonianze, vederli in azione nel film con i compagni della Compagnia Teatro Libero di Rebibbia aggiunge molto alla forza oggettiva del fatto in sé”. Giustizia: teatro in carcere… strumento di formazione, mutamento e crescita dei detenuti di Paola Bisconti www.linkiesta.it, 20 ottobre 2012 Sono trent’anni che si svolgono laboratori teatrali in carcere e questa attività ha permesso di superare l’idea che la prigione sia esclusivamente un luogo dove scontare la condanna. Nel contempo si è affermato il ruolo dei penitenziari come palestre rieducative per gli internati, che possono essere sostenuti con progetti di comunicazione sociale: appunto i laboratori teatrali. Il piano finalizzato al reinserimento dei detenuti nella società è stato sancito nella legge n°354, inoltre è diventato ancora più noto grazie all’ultima pellicola del regista Matteo Garrone che ha voluto come protagonista Aniello Arena, un attore detenuto della compagnia della Fortezza. Il film ha ottenuto molti consensi durante la 65° edizione del Festival di Cannes. Aniello è un ergastolano che da 12 anni fa parte della compagnia teatrale diretta da Armando Punzo e nel film “Reality” interpreta un pescivendolo napoletano che insieme alla moglie organizza delle piccole truffe per arrotondare i propri incassi. Il protagonista ha una dote cabarettistica in grado di intrattenere amici e parenti, gli stessi gli suggeriscono di partecipare ad un provino (vincente!) per entrare nella casa del Grande Fratello. L’esperienza lo conduce alla notorietà fino a perdere la percezione della realtà e sfiorare la follia. L’uomo cade nella paranoia ed è costantemente convinto che qualcuno lo stia spiando. Il film esprime in modo eccellente la perdita dei valori e di senso della società attuale celebrando una non-realtà imperniata di magico. Non è un caso, quindi, che sia stato scelto un attore detenuto per interpretare un ruolo cinematografico così sfaccettato. Aniello Arena rappresenta tutti i reclusi che attraverso l’esperienza teatrale hanno la possibilità di rinascere una seconda volta (proprio come ha sostenuto lui stesso il 1° ottobre durante l’intervento alla trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio andata). Il teatro in carcere consente a chi vi partecipa di instaurare un rapporto con l’esterno, condividendo le proprie problematiche anche con chi si avvicina a loro proprio con l’intento di comprendere in modo più dettagliato le situazioni e le emozioni di chi ha commesso uno sbaglio e per questo deve pagare una pena, ma ha anche la possibilità di correggersi e migliorare. Il sostegno offerto dai volontari e dai professionisti del settore è indispensabile per dare valore al mondo penitenziario subissato già di per sé da alcune problematiche molto gravi: i numerosi suicidi, il sovrannumero di detenuti nelle piccole celle, la scarsa cura dell’igiene e lo scandaloso abuso di potere da parte di chi dovrebbe tutelare gli internati e invece spesso li trasforma in vittime (Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Carlo Saturno, ecc.). Già i fratelli Taviani collaborarono con tre compagnie teatrali che operavano nel carcere per la realizzazione del film “Cesare deve morire”, ma l’esigenza di valorizzare questo tipo di esperienza fu avvertita nel 1982 quando Riccardo Vannuccini fondò il Teatro Gruppo nel carcere di Rebibbia, per essere poi emulato nel 1984 da Luigi Pagano nella casa circondariale di Brescia. Da allora si sono moltiplicati i progetti e le attività che danno la possibilità ai detenuti di calarsi in svariati ruoli e utilizzare il teatro come uno strumento di salvezza. Lettere: ecco come sanare la situazione indegna delle carceri di Francesco Maria Mosconi La Sentinella, 20 ottobre 2012 Il presidente Napolitano, a proposito della situazione carceraria nel nostro Paese, ha detto: “Una situazione indegna. Lo stato delle carceri italiane ferisce la credibilità del Paese. Il Parlamento rifletta sulle misure di clemenza”. Per misure di clemenza è sottinteso si parli di amnistia e indulto. Ragionandoci sopra e considerando che nelle nostre carceri ci sono circa 67.000 detenuti, mentre la loro capienza è solo di 45.000 posti, è chiaro che una soluzione a questo problema si debba trovare al più presto. Non penso che con amnistia e indulto si possano rimettere in liberà, diciamo, un 23.000 persone, anche perché senza strutture esterne di aiuto una buona parte ridelinquerebbe e tornerebbe in carcere poco dopo ripresentando il problema. Sempre riflettendo su questa situazione ho notato che il 35% dei detenuti (23.450 persone) sono extracomunitari. Tra le prerogative del nostro Capo dello Stato (art. 87 comma 11 della Costituzione) c’è la possibilità di “commutare” le pene (prerogativa poco o mai usata nel nostro Paese). A questa luce ho pensato che si potrebbe commutare la pena a questi 23.450 detenuti, mandandoli - con un accordo tra Stati - ad espiarla nel loro paese di origine con un biglietto di sola andata e mai più di ritorno (potrebbe esserci qualche difficoltà a questa opzione perché la nostra legislazione a questo proposito è un pò confusa), oppure, giacché non si tratta di rifugiati politici ma di rifugiati a delinquere, emettere con la commutazione un ordine di rientro immediato nei loro paesi con impossibilità di rientro in Italia a vita. 67.000 - 23.450 fa 43.550, così le carceri italiane avrebbero in poco tempo la loro capienza rispettata in 50 giorni di espulsioni coatte. Aggiungiamo poi, a questa riflessione, che penso all’interno delle carceri ci siano circa il 10% di detenuti italiani che potrebbero usufruire di misure alternative senza tornare a delinquere, che potrebbero essere utilizzati come forza lavoro nei lavori che generalmente vengono rifiutati dai lavoratori normali e che sono espletati, per questa ragione, da lavoratori immigrati. Così facendo ci sarebbe una calmierazione anche per questo fenomeno. Un grande magistrato, ucciso dalle Br 30 anni fa, nel momento in cui si stava insediando a capo del Dap, quest’idea l’aveva preannunciata. Si chiamava Girolamo Minervini, del cui lavoro oggi pochi si ricordano o forse nessuno. Basilicata: Uil-Pa in protesta per riaccendere l’attenzione sulla situazione delle carceri www.ilmetapontino.it, 20 ottobre 2012 I segretari regionale della Uil Basilicata Carmine Vaccaro e della Uil della provincia di Matera Franco Coppola esprimono pieno sostegno e fraterna solidarietà al segretario provinciale di Matera, e componente della direzione nazionale della Uil-Pa penitenziari, Giovanni Grippo, impegnato da giorni in un’estrema forma di protesta per riaccendere l’attenzione delle istituzioni sulla situazione delle carceri della Basilicata, dove sono detenute 443 persone rispetto ai 416 posti previsti: servirebbero almeno altre 100 unità di personale ed affermare la dignità dello stesso personale penitenziario. L’iniziativa dell’organizzazione di categoria della Uil dei dipendenti della Polizia Penitenziaria si svolge ormai da anni senza risparmio di energie e con ripetute manifestazioni di protesta e nonostante la condizione di operatori e detenuti nei tre istituti di detenzione della regione sia leggermente migliore rispetto ad altre realtà del Paese - continuano Vaccaro e Coppola - si intende condurre una battaglia di civiltà, legalità e tutela dei diritti dei lavoratori. La protesta è stata alimentata anche dai recenti episodi di violenza che hanno visto feriti ben otto agenti di polizia penitenziaria, aggrediti in diverse occasioni da detenuti ristretti a Matera. Agli inizi del mese di luglio il Consiglio regionale ha approvato un Odg per impegnare la Giunta “ad assumere le opportune iniziative nei confronti del ministero di Grazia e Giustizia e del Governo per sollecitare il finanziamento di un programma straordinario di adeguamento funzionale e di ammodernamento anche dei tre istituti penitenziari lucani, di ampliamento degli organici di polizia penitenziaria e degli operatori sanitari ed amministrativi”. Inoltre - ricordano i dirigenti Uil - si è impegnata la Giunta “a formalizzare un atto di indirizzo regionale sul sistema penitenziario in grado di sostenere con continuità quanto avviato nelle linee di intervento mettendo a sistema il fabbisogno delle strutture del territorio in tema di formazione, istruzione, inserimento lavorativo, medicina penitenziaria, genitorialità e affettività, cultura, spettacolo, sport, nonché pari opportunità”. Diventa perciò necessario tenere fede a quegli impegni innanzitutto per superare le gravi carenze organiche che toccano quasi tutti i profili professionali. Quello del personale sanitario, scarso in tutte le regioni, rappresenta un altro elemento di criticità per i penitenziari lucani e in particolare per quello materano. Sardegna: da Oristano mobilitazione contro trasferimento di mafiosi nelle carceri sarde Adnkronos, 20 ottobre 2012 Parte da Oristano la mobilitazione contro il trasferimento in Sardegna di circa 500 detenuti pericolosi, tra i quali circa 300 “mafiosi e camorristi sottoposti al 41bis”. L’appuntamento, organizzato da Unidos, i Club delle Libertà della Sardegna, è per domani in piazza Roma, alle 17, ad Oristano. Il coordinatore regionale Mauro Pili (Pdl), insieme al coordinatore provinciale di Unidos, Cristiano Carrus, sindaco di Cabras, e al presidente della Provincia di Oristano, Massimiliano Deseneen, avvieranno la campagna contro il trasferimento nell’isola dei detenuti pericolosi e contro ‘il tentativo del governo di trasformare la Sardegna in una Cayenna di Statò. Nuoro: la Commissione del Senato sui diritti umani fa tappa a Badu ‘e Carros L’Unione Sarda, 20 ottobre 2012 “Sarà un momento di approfondimento e saranno sentiti tutti gli operatori del settore, dagli agenti di polizia penitenziaria ai detenuti e al personale civile tutto”. Il parlamentare Silvestro Ladu (Pdl) annuncia così la prossima visita in Sardegna della Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani. Presieduto da Pietro Marcenaro (Pd), l’organo collegiale di Palazzo Madama, che tra i suoi venticinque componenti conta i sardi Silvestro Ladu e Fedele Sanciu (Pdl) e personalità come Rita Levi-Montalcini ed Emilio Colombo, farà tappa nell’isola lunedì prossimo, la mattina al carcere nuorese di Badu ‘e Carros, il pomeriggio a Nuchis-Tempio. Una visita programmata dopo il rincorrersi di voci sull’arrivo in Sardegna dei detenuti mafiosi e il ritorno dunque agli anni bui della Cayenna isolana. Un dibattito, tra notizie e smentite, che ha riaperto la discussione sul futuro delle carceri sarde. Oggetto della visita dei senatori è infatti “la situazione che sta vivendo in questo momento il mondo degli istituti di pena sardi” spiega Silvestro Ladu, che proprio a Badu ‘e Carros è stato medico nei primi anni Ottanta, quando il carcere nuorese ospitava i padri delle Br. Allora, l’istituto barbaricino, carcere speciale di massima sicurezza, era famoso per il suo “braccetto della morte”. Oggi i tempi sono certamente cambiati. Anche se i problemi restano sempre in piedi. “La realizzazione in Sardegna delle nuove quattro carceri, alcune fra molte difficoltà stanno iniziando ad essere operative - spiega Silvestro Ladu, se da un lato migliorerà di molto il livello di vivibilità all’interno degli istituti, dall’altro sta creando qualche conflitto per quanto riguarda il tipo di detenuti che dovranno essere ospitati. I problemi sono molteplici” aggiunge. E subito presenta l’elenco: “C’è una carenza cronica e preoccupante di agenti di polizia penitenziaria e il personale civile sottoposto a turni massacranti. I detenuti, in alcuni casi, lamentano il problema del sovraffollamento e la mancata applicazione della territorializzazione della pena prevista nell’intesa Stato-Regione. Molti sardi sono reclusi oltre Tirreno, con enormi disagi per loro e le famiglie, così come nelle carceri sarde sono presenti molti detenuti che nulla hanno a che vedere con la Sardegna”. “Va affrontato e approfondito meglio - suggerisce perciò il senatore del Pdl, già presidente della Commissione regionale per i diritti civili - il problema del tipo di detenuti che dovranno ospitare le nuove strutture carcerarie. Si sta parlando molto del possibile arrivo di detenuti sottoposti al regime di 41 bis (finora smentito dagli organi competenti) e di quelli in alta sicurezza. Bisogna capire bene l’impatto che avrà questa nuova realtà nel territorio regionale. Per noi rimane prioritario il fatto che le scelte non devono essere calate dall’alto. Priorità anche al problema del trasferimento in Sardegna dei troppo agenti di polizia penitenziaria che operano fuori dall’isola, del personale civile che, in certi casi manca per il 50%, e delle creazione di adeguati servizi all’interno per garantire migliori livelli di vivibilità per tutti”. Tolmezzo (Ud): il consigliere regionale Giorgio Baiutti visita il carcere… “poche le risorse” Messaggero Veneto, 20 ottobre 2012 Il consigliere regionale Giorgio Baiutti, proponente la legge istitutiva della figura del garante dei detenuti delle istituzioni carcerarie del Fvg, analogamente a quanto avvenuto in altre realtà, ha visitato il carcere con il consigliere provinciale Cristiano Shaurli e ha incontrato la direttrice Silvia Della Branca per una valutazione delle condizioni dei detenuti, ma anche degli agenti che operano nell’istituto, il più importante del Triveneto per la presenza di persone collegate a organizzazioni mafiose e criminali e sottoposte al regime restrittivo del cosiddetto “41 bis”. “Sarebbe auspicabile che la Regione - ha sottolineato Baiutti - potesse assicurare una maggior attenzione ai problemi delle cinque carceri presenti sul territorio dando vita a una struttura integrata fra strutture socio-assistenziali in grado di dialogare col mondo carcerario in maniera integrata e sulla base d’un progetto e un programma concordati e condivisi”. Nella visita è emerso, ha delineato Baiutti, come siano insufficienti le risorse economiche di manutenzione delle strutture e di organizzazione dei diversi corsi di formazione, di scolarizzazione e d’avviamento al lavoro e come alcune norme importanti della legge carceraria nazionale non siano ancora applicate come il passaggio alla Regione dei servizi sanitari. “Il complesso di Tolmezzo peraltro presenta buone condizioni di vivibilità, come la preparazione e la distribuzione dei pasti consumati nelle celle”. Va sottolineato che la direttrice del carcere ha evidenziato il positivo rapporto di collaborazione e aiuto sia con l’Azienda per i servizi sanitari che con il Comune, molto attento alle esigenze della struttura. “I detenuti sono oltre 280, per lo più stranieri a fronte di un numero di circa 180 agenti, mentre nel braccio di massima sicurezza del “41 bis” c’è una ventina di reclusi, tutti italiani”. Baiutti e Shaurli si sono impegnati a sostenere l’attività di sostegno e recupero in modo che si possano superare situazioni di persone che, anche a causa della grave recessione economica, non hanno alcuna possibilità d’inserimento nel mondo del lavoro e puntare conseguentemente a un vero reinserimento sociale. Oristano: Progetto “Archeo 3”, quattro Comuni uniti nel segno della legalità La Nuova Sardegna, 20 ottobre 2012 Un viale lastricato di buone pratiche, e non solo di intenzioni, si sta materializzando tra Fordongianus, Masullas, Santa Giusta e Norbello. I Comuni sono lo zoccolo duro del più ampio partenariato che si è costituito sotto le insegne di Archeo 3, il progetto finalizzato all’inclusione sociale nel quale a fare da collante alle diverse iniziative messe in campo dalle istituzioni locali è la cultura della legalità. E Viale della Legalità è stato battezzato il percorso virtuale che unisce i quattro paesi dell’Oristanese, dove i simboli dello Stato di diritto saranno anche visibili. Sono scolpiti sulla pietra trachite di cui sono fatte le opere realizzate nell’ultimo simposio internazionale di scultura ispirato proprio al tema della legalità e della sicurezza. La destinazione finale di quelle sculture è la rete intercomunale di Archeo3. Nel piazzale prospiciente le scuole di Masullas è già stato collocato il Tricolore, con cui l’artista umbro Sestilio Burattini ha rappresentato Falcone e Borsellino. A Norbello è stata sistemata l’opera della neozelandese Renate Verbrugge ispirata ai labili confini tra libero arbitrio e rispetto delle regole. Nel comune di Santa Giusta sarà posizionata la creazione che la spagnola Noemi Palacios ha scolpito pensando alla condizione di solitudine vissuta dal carcerato. Le altre quattro sculture saranno disposte lungo la strada che porta all’anfiteatro romano, venuto alla luce grazie a tre campagne di scavi e agli interventi di restauro finanziati con il progetto Legalità e sicurezza che ha visto la partecipazione di alcuni detenuti dell’istituto di pena di Oristano e dei disoccupati di Fordongianus. Di questo progetto si parlerà anche nel seminario organizzato per sabato dall’Istituto nazionale urbanistica. Interverrà, tra gli altri, l’archeologo Raimondo Zucca, che ha diretto gli scavi all’anfiteatro. Cantieri della Legalità e delle Opportunità Il progetto si sostanzia come prosecuzione del progetto pilota Officine di Opportunità, vincitore del Bando Por Sardegna 2000 - 2006. Tale progetto coinvolge direttamente i Comuni di Fordongianus, Norbello, Santa Giusta e Masullas oltre che il partenariato, ormai consolidato, formato dal Patto Territoriale, dalla Casa Circondariale di Oristano, dall’Università di Sassari - Dipartimento di Storia, dalla Cooperativa Sociale Comunità “Il Seme - Onlus”, dalla Cooperativa Sociale Onlus “Il Samaritano”, dal Consorzio Terra Madre. L’idea di base, che verrà mantenuta, è quella di offrire delle opportunità di riabilitazione e di reinserimento nella società e nel mercato del lavoro a particolari categorie di soggetti svantaggiati e pertanto a rischio di devianza quali detenuti, ex detenuti e giovani disoccupati/inoccupati o comunque in stato di disagio. Obiettivi: Il Progetto intende, da un lato diffondere le esperienze acquisite con la precedente programmazione in tema di sostegno alla legalità che, poiché consolidate, si pongono come modello da esportare; dall’altro si propone lo sviluppo di azioni di sistema tese alla creazione di una serie di opportunità per la promozione della legalità e la creazione di una maggiore sicurezza a livello locale. Il secondo obiettivo si fonda sulla presenza di una “Rete” di partenariato ormai consolidata in forza della collaborazione a diversi progetti sul tema della legalità. In particolare: il Progetto Integrato di Sviluppo “Con legalità per la sicurezza”, il Progetto Pilota “Officine di opportunità”, il progetto “Archeo 2 - fattorie delle opportunità”, e il progetto “Terra Madre” entrambi a valere sul Por Sardegna Fse 2007-2013. Pisa: Romanelli (Sel); al carcere Don Bosco servono più agenti, questa principale esigenza Ansa, 20 ottobre 2012 “Più che il sovraffollamento, che pure esiste, la principale criticità del carcere Don Bosco di Pisa è la carenza di agenti di polizia penitenziaria: ne mancano almeno 50/60 unità nella pianta organica, a fronte di oltre 100 detenuti in più sulla capienza prevista”. Lo ha detto il consigliere regionale di Sel, Mauro Romanelli, dopo la visita alla casa circondariale pisana insieme accompagnato dal consigliere provinciale Massimiliano Casalini e dal segretario provinciale del partito, Dario Danti. “Attualmente ci sono circa 350 detenuti - ha spiegato il consigliere regionale - ma la situazione in passato è stata assai più complicata, semmai occorre rafforzare l’organico degli agenti per evitare che le condizioni di lavoro diventino sempre più difficile e che questo rifletta negativamente sul clima generale all’interno dell’istituto, che pure presenta situazioni d’eccellenza nazionale, come il centro clinico, e di notevole integrazione con il tessuto sociale urbano grazie alle associazioni che consentono ai detenuti di sviluppare molteplici attività all’interno e al polo universitario che consente di studiare e conseguire la laurea anche a chi è recluso”. Per questo gli esponenti locali di Sel hanno rinnovato l’appello alle istituzioni cittadine a “mantenere alta l’attenzione verso il carcere per continuare a sviluppare il buon lavoro fatto finora”. Cagliari: nuovo appuntamento con il progetto Gagli-Off… parola ai detenuti in Ateneo www.notizie.alguer.it, 20 ottobre 2012 Il progetto punta a dare un’opportunità lavorativa a soggetti detenuti e ridurre il rischio di recidiva. L’incontro è fissato per martedì 23 ottobre, a partire dalle 9.30, nella Facoltà di Studi Umanistici. L’iniziativa inserita nel Programma Ad Altiora - Por Sardegna Fse 2007-2013 - coordinato da Cristina Cabras, professore associato di Psicologia giuridica. Il progetto punta a dare un’opportunità lavorativa a soggetti detenuti e ridurre il rischio di recidiva. L’incontro è fissato per martedì 23 ottobre, a partire dalle 9.30, nell’Aula Magna Motzo della Facoltà di Studi Umanistici (polo Sa Duchessa). Gagli-Off può contare su una vasta e competente rete: dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Cagliari al Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, alla società S.O.S. (Servizi all’Occupazione e allo Sviluppo), alla cooperativa sociale Kore e ad Ipogea, partner per la formazione. Ma al progetto collaborano anche il Tribunale di Sorveglianza e la Provincia di Cagliari per l’inserimento sociale dei detenuti. Martedì 23 l’incontro è significativamente intitolato “La parola ai protagonisti”. Dopo i saluti di apertura e l’illustrazione delle metodologie utilizzate, sarà la volta del confronto transnazionale, con l’intervento di Linda Pizani Williams, della Eiss (European Institute of Social Services). Quindi gli stakeholder dell’importante progetto: Gianfranco Pala Direttore Casa Circondariale di Cagliari, Marco Porcu Direttore Casa Circondariale di Iglesias, Paolo Cossu, Presidente Tribunale di Sorveglianza Cagliari, Presidenti delle Associazioni contro la Violenza di Genere. Nella parte centrale dei lavori parleranno i protagonisti, moderati da Giampaolo Cassitta, Direttore dell’Ufficio Trattamento Prap. Quindi gli interventi di alcune partecipanti al progetto. Dopo il dibattito, i lavori saranno conclusi da Gianfranco De Gesu, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. L’Aquila: VI edizione del premio “Laudomia Bonanni”, la poesia dietro le sbarre di Erminio Cavalli www.abruzzoweb.it, 20 ottobre 2012 Si chiamano Massimo Balsamo e Roberto Lacalamita i vincitori ex equo della VI edizione del premio di poesia “Laudomia Bonanni”, dedicato ai detenuti dei penitenziari italiani. Padrino d’evento il poeta scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun, che insieme alla giuria del premio letterario dedicato alla grande scrittrice aquilana (quest’anno alla sua XI edizione) ha intrattenuto dal palco del carcere dell’Aquila una gremita platea di giovani spettatori, molti studenti dei licei, dell’istituto tecnico professionale e della scuola media “Dante Alighieri” del capoluogo abruzzese. Secondo posto per Katia Di Stefano, detenuta a Rebibbia, non presente alla manifestazione, che ha inviato alla giuria una lettera di ringraziamento per il premio avuto, ma soprattutto intense e sentite parole di riflessione, dure e sofferte, sulle condizioni di vita dei detenuti nei carceri. Per molti di loro, come lei, il tempo sembra essersi fermato, come quell’orologio appeso nella sala del teatro del carcere aquilano, fermo alle 21.20. “Mi auguro - ha detto il poeta Jelloun - che quell’orologio possa presto ripartire, perché qui come altrove il tempo non può fermarsi”. Una battuta conclusiva molto eloquente, che ha strappato una risata amara al pubblico presente in sala, tra cui monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare dell’Aquila. Le letture delle poesie dei vincitori, non presenti, sono state declamate da alcuni ragazzi detenuti nel carcere aquilano. “La poesia e il carcere hanno sempre fatto un cammino insieme - ha osservato Jelloun - e in questo stato di immensa tenerezza lo spirito umano si esprime con grande profondità. Non si può mentire quando si è in carcere”. Il poeta franco-marocchino, che attualmente vive a Parigi, non ha nascosto ancora una volta il suo vero interesse per temi a lui molto cari, quello dell’emarginazione e della discriminazione: “il razzismo è per l’uomo un modo per esprimere la sua debolezza. Non potrà essere sconfitto, a meno che non sparirà l’umanità intera”. Ma un libro, come bene ha precisato l’assessore alla cultura Stefania Pezzopane, può cambiare il modo di vivere e affrontare la vita, ma anche di guardarla da un’altra prospettiva: “quando lessi per la prima volta Creature di sabbia di Jelloun è stata per me come una rivelazione: ha cambiato la mia visione sul mondo e sulle cose. E un libro come questo può farlo, per scoprire letteralmente tutto ciò di cui abbiamo bisogno”. “Non è importante - ha concluso - la qualità delle poesie ma è fondamentale scriverle, leggerle, parlarne. Con noi, per esempio”. Insieme alla rappresentanza della giuria tecnica, erano presenti all’evento di questa sera il vice presidente della Carispaq (promotrice del premio) Raffaele Marola e il direttore dell’Istituto circondariale, Oreste Maria Bologna. Icatt Eboli: la poesia di Balsamo premiata (La Città di Salerno) Una scrittura che libera la mente ed aiuta ad affrancarsi nel difficile cammino dell’esistenza. Con la poesia “Orizzonte”, Massimo Balsamo, detenuto presso il carcere Icatt di Eboli, ha vinto il primo premio nazionale della IV edizione del concorso letterario bandito dal Ministero della Giustizia e riservato a tutti i detenuti delle carceri italiane. La premiazione si terrà oggi pomeriggio presso la casa circondariale dell’Aquila, alla presenza di un ospite d’onore come lo scrittore Tahar Ben Jelloun. Il testo di Balsamo è una prosa poetica di forte introspezione. Il vincitore del premio si è distinto, dentro le mura della casa di detenzione di Eboli, anche per altri progetti: “È in pratica anche il nostro bibliotecario - spiega Rita Romano, direttrice della casa circondariale - si prende cura dei circa tremila volumi che abbiamo nella nostra teca. Inoltre è anche una buona penna e sta scrivendo un romanzo che racconta di un importante personaggio storico del territorio”. Rovigo: partita di calcio solidale, i detenuti vincono contro i professionisti Rovigo Oggi, 20 ottobre 2012 I detenuti della Casa Circondariale di Rovigo hanno battuto, giovedì 18 ottobre, la rappresentativa di geometri, ingegneri, commercialisti, infermieri, avvocati ed architetti per 19-7. Alla fine della divertente competizione fra abbracci e strette di mano sono stati consegnati gagliardetti e targhe ricordo augurandosi per il prossimo incontro, di non ritrovare gli stessi ragazzi e magari qualcuno in meno L’ 8° torneo di calcio Cup 2012 fra gli Ordini e i Collegi delle libere professioni ha visto coronare questa divertente manifestazione calcistica con un incontro presso la Casa Circondariale di Rovigo in un match in cui i detenuti hanno avuto la meglio. L’incontro, nell’ottica del progetto educativo “Lo Sport nelle Carceri”, è stata l’occasione per le libere professioni, di contribuire come con i Frati Cappuccini con un contributo attivo nei confronti di chi, comunque soffre. La partita si è svolta nel piccolo campetto all’interno della struttura di via Verdi a Rovigo, i detenuti hanno prevalso per 19 a 7 sulla rappresentativa composta da geometri, vincitori del torneo Cup, ingegneri, commercialisti, infermieri, avvocati ed architetti accompagnata dal sempre presente dottor Menon, dall’architetto Barbato, dall’avvocato Munari e dal geometra Chiarelli. La bella giornata ha contribuito affinché tutto si svolgesse nei migliori dei modi e proverbiale è stata l’accoglienza sia della Polizia Penitenziaria che dei detenuti nello spirito dello sport e dell’amicizia. Alla fine della divertente competizione fra abbracci e strette di mano sono stati consegnati gagliardetti e targhe ricordo, alla presenza del dottor Maffione, augurandosi per il prossimo incontro di non ritrovare gli stessi ragazzi e magari qualcuno in meno. Questo significherebbe che lo sport può’ far migliorare oltre che i rapporti anche le condizioni di vita sociale. Pisa: detenuta prende a morsi Ispettrice di Polizia penitenziaria nel carcere Don Bosco La Nazione, 20 ottobre 2012 Un altro caso di violenza nel carcere pisano di via Don Bosco. Una detenuta nel carcere di Pisa ha aggredito a morsi un ispettore di Polizia Penitenziaria. A denunciarlo è il Sappe, il Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria. È accaduto nel pomeriggio di ieri, quando la detenuta ha improvvisamente preso a morsi l’ispettore di Polizia Penitenziaria che è dovuta andare al pronto soccorso per le cure e gli accertamenti. Per il Sappe quella di Pisa è “una situazione di alta tensione”. “Quanto avvenuto ieri è di una gravità assoluta ed inaccettabile” commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe, che esprime solidarietà “alla collega colpita”. “Questo nuovo grave fatto accaduto a Pisa è l’ennesimo segnale, in ordine di tempo, delle criticità del penitenziario di via Don Bosco. Non più tardi di qualche settimana fa - dice Capece - nell’Istituto di pena pisano due detenuti hanno tentato di ferire alcuni agenti: a settembre un’altra detenuta aveva aggredito una poliziotta e a luglio un detenuto aggredì direttore ed altri poliziotti. Dal 1 gennaio al 30 giugno 2012 nel carcere di Pisa ci sono stati 18 atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provati da lamette -, 9 tentati suicidi sventati dai bravi agenti di Polizia Penitenziaria, 3 ferimenti e 28 colluttazioni, e persino l’evasione di un detenuto”. Forlì: convegno “Con...carcere intorno”… il carcere, un quartiere della nostra città Comunicato stampa, 20 ottobre 2012 Giovedì scorso si è svolto a Forlì il convegno “Con...carcere Intorno” organizzato dall’associazione di volontariato Con...tatto grazie al contributo di Assiprov e con il patrocinio del Comune di Forlì. Il convegno è stato momento conclusivo di un progetto iniziato un anno fa, che ha visto il coinvolgimento di quasi 150 ragazzi delle scuole superiori di Forlì e di 10 studentesse volontarie dell’Università: le volontarie sono entrate in classe e hanno discusso con i ragazzi sul significato di giustizia, sul rispetto delle regole, sulla condizione di detenuti, con l’obiettivo generale di far crescere la consapevolezza sulla legalità e sulla realtà del carcere, superando pregiudizi e false credenze. Hanno aperto il convegno, presenti quasi 150 persone tra cui gli studenti di 4 classi, l’Assessore al Welfare Davide Drei, presentando la situazione del carcere alla Rocca, e Lisa Di Paolo, responsabile del progetto con le scuole, che ha coinvolto i ragazzi presenti in un dibattito sull’origine dei comportamenti devianti e sul senso di responsabilità che serve al rispetto della legalità. La giornata è continuata con due workshop paralleli. Nel workshop “Le due facce della legge”, coordinato dall’associazione LIBERA, insieme agli studenti sono intervenuti il comandante dei Carabinieri di Forlì Fabrizio Fratoni - intervenuto sui modi della partecipazione e della collaborazione tra le forze dell’ordine, i cittadini, gli enti del territorio - e la direttrice del Carcere di Forlì Palma Mercurio, che ha condiviso le difficoltà attraversate dal carcere in questo momento di crisi, che talora e paradossalmente si riflette sulla stessa difficoltà dello Stato a rispettare le regole. Nel workshop “La rieducazione interna ed esterna al carcere”, coordinato da Roberto Bezzi educatore del carcere sperimentale Bollate Milano, si è discusso sulle relazioni tra carcere e comunità nel reinserimento delle persone a fine pena. Sono intervenuti Lia Benvenuti, direttore dell’ente di formazione Techne, che ha presentato il neonato “Coordinamento Carcere” a Forlì, che riunisce le principali associazioni e cooperative che operano con il carcere (Caritas, Papa Giovanni XXIII, Con…Tatto, Amici Sadurano, San Vincenzo, Gruppo Preghiera, Vip Clown, Techne e le coop sociali Gulliver, San Giuseppe, CILS); Daniele Marchi della cooperativa l’Ovile di Reggio Emilia, che ha raccontato come si può accogliere gli ex detenuti e accompagnarli nella società senza mai dimenticare il ruolo fondamentale e l’attenzione da riservare alle vittime di reato. Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, ha tratto le conclusioni puntando ancora una volta sulle misure alternative alla detenzione come l’unica vera “strategia diversificata per contrastare la criminalità”. Per questo, ha ricordato Maisto, dobbiamo considerare il carcere come “uno dei quartieri della nostra città” perché si possa comprendere che sostenere l’inclusione di chi ha finito la pena, come un qualsiasi altro cittadino, equivale a lavorare soprattutto per il benessere di tutta la comunità. Associazione di Volontariato “Con...tatto” Bologna: detenuto ricoverato aggredisce agente e tenta la fuga, ripreso e arrestato subito Adnkronos, 20 ottobre 2012 Un detenuto ricoverato nel reparto detentivo dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna ha aggredito questa mattina un agente della Polizia Penitenziaria e ha tentato la fuga. Ne dà notizia il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria. L’uomo, riferisce la nota, era fuori dal reparto per un esame diagnostico e, nel momento in cui l’agente lo stava riaccompagnando, lo ha aggredito. L’agente è riuscito a riprenderlo subito dopo e ad arrestarlo. “Il detenuto è stato riportato in carcere con molte difficoltà, perché non ci sono mezzi a disposizione - denuncia Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe - L’unico furgone che è stato possibile reperire appartiene ad altro istituto penitenziario. A Bologna tutti gli altri blindati sono fuori uso e non ci sono i soldi per ripararli”. Benevento: evade dagli arresti domiciliari, voleva andare in carcere Ansa, 20 ottobre 2012 Un pregiudicato napoletano, detenuto agli arresti domiciliari, si è presentato nella caserma dei carabinieri di Montesarchio - commettendo, quindi, il reato di evasione - con la speranza di essere rinchiuso nel carcere di Benevento. Protagonista della vicenda è Mariano Tuppo, 27 anni di Afragola (Napoli) che ha suscitato l’incredulità iniziale degli stessi militari i quali hanno comunque appurato che il giovane è realmente sottoposto alla misura dei domiciliari, sin dal maggio di quest’anno, in quanto riconosciuto responsabile - e condannato - del reato di furto. Ancora non chiari i motivi dell’insolita proposta: un probabile inasprimento della pena (e, dunque, la conversione dei domiciliari con la detenzione presso il carcere di Poggioreale) o, come sovente accade, l’insofferenza nell’essere obbligati a stare in casa e non avere contatti con alcuno. L’esito, però, non è stato come sperava Tuppo: in virtù della vigente normativa, il giovane, una volta arrestato, è stato trasferito nuovamente a casa, ancora una volta agli arresti domiciliari. Cinema: “L’ultima notte”; in scena professionisti, studenti universitari, volontari, detenuti Famiglia Cristiana, 20 ottobre 2012 A Torino un’affascinante avventura cinematografica che ha impegnato detenuti, volontari, attori professionisti e studenti. La modernità di un personaggio innamorato della giustizia. Girare un film in carcere, coinvolgere i detenuti e parlare di giustizia. Ci sono almeno tre sfide nel progetto “L’ultima notte”, affascinante avventura cinematografica che ha visto impegnato un cast di professionisti accanto a studenti universitari, volontari e detenuti del penitenziario Lorusso e Cutugno di Torino. Tutti insieme per recuperare una storia antica di 24 secoli eppure attualissima: quella del filosofo ateniese Socrate, ingiustamente condannato a morte dai suoi concittadini come blasfemo e corruttore dei giovani. In 28 minuti di immagini e dialoghi serratissimi scorre sullo schermo la vicenda di un uomo braccato da leggi inique eppure ancora innamorato della giustizia, un uomo che potrebbe facilmente mettersi in salvo ma che invece sceglie di vivere i suoi valori fino all’estremo e accettare la condanna, cosa che lo trasforma in un’intramontabile icona di libertà. Il cortometraggio ripercorre l’ultima notte trascorsa in carcere dal filosofo prima dell’esecuzione della condanna. Il set scelto per una storia così intensa è quanto mai significativo: è un carcere contemporaneo, cioè uno di quei luoghi invisibili per definizione, solitamente preclusi a telecamere e obiettivi. È una realtà raccontata con grande rispetto, ma senza censure: sbarre, cancelli, celle e muri sono costantemente davanti agli occhi di chi guarda. Non si tratta di un braccio carcerario qualsiasi, ma del Polo Universitario per studenti detenuti presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, una realtà che offre anche a chi sta scontando una pena la possibilità di sostenere esami e laurearsi. Sei studenti di questa sezione (persone di età diverse che frequentano i corsi di Scienze Politiche e Giurisprudenza) sono diventati protagonisti diretti del racconto: per 12 giorni si sono trasformati in una troupe di ripresa, lavorando fra inquadrature, primi piani, carrellate e altri trucchi del mestiere. Non solo: hanno partecipato anche come comparse in varie riprese. Il film ha inoltre coinvolto alcune detenute del laboratorio “La casa di Pinocchio” (anch’esso attivo all’interno del carcere) che hanno realizzato i costumi di scena. Tutto comincia nell’ottobre del 2010, quando due ragazzi, Federico Chiara e Giovanni Dissegna (entrambi studenti di filosofia a Torino e membri della Società Filosofica Italiana) conoscono il regista Mattia Temponi. È l’inizio di un lungo lavoro in divenire, conclusosi solo pochi mesi fa. Perché proprio Socrate? “Eravamo interessati alla dimensione etica di questo personaggio. Socrate si pone in continuità con quegli esempi di donne e uomini che hanno difeso a qualunque costo i valori di giustizia, democrazia e libertà in cui credevano, pagando di persona, con la gogna mediatica e a volte con la vita - spiegano gli autori - Così abbiamo deciso di partire dalle fonti di questa storia, cioè i testi di Platone, in particolare Critone, Fedone e Apologia di Socrate. Ma abbiamo scelto di dare anche voce a “Le nuvole”, commedia di Aristofane in cui, al contrario, il filosofo viene messo in ridicolo, descritto come un vecchio sofista attaccato al denaro”. Il risultato è di sorprendente attualità e alcuni termini come “diffamazione” o “fango” non possono che evocare immagini contemporanee. “La sola licenza che ci siamo concessi rispetto alle fonti - proseguono Chiara e Dissegna - è quella di raccontare un Socrate più inquieto. Laddove i testi antichi lo ritraggono sereno e granitico nella sua determinazione, noi lo abbiamo immaginato in preda a pensieri e fragilità, a tratti sul punto di cedere”. Così quello interpretato da Bob Marchese, attore navigato, è un Socrate umanissimo, che fa riflettere e sa anche commuovere. Accanto a lui due giovani: Mattia Mariani (nei panni dell’amico Critone) ed Eleonora Gusmano (personaggio evanescente e insidioso). E il rapporto con i detenuti? “All’inizio abbiamo dovuto scontrarci con alcuni muri burocratici - proseguono gli autori - poi superati grazie anche al sostegno degli operatori del carcere e dell’allora direttore Pietro Buffa, che si innamorò del progetto. I detenuti hanno aderito con passione e spesso ci siamo resi conto di quanto temi come giustizia, responsabilità e libertà abbiano il potere di toccarli nel profondo. Forse non emergeva a parole, ma era comunque tangibile”. “L’ultima notte” ha coinvolto un gran numero di persone. Soprattutto tanti giovani: oltre ai diretti protagonisti vi hanno lavorato volontari del carcere, assistenti sociali, docenti, ragazzi in servizio civile e perfino gruppi della scena pop rock che hanno composto le musiche. Il film è promosso dalla Società Filosofica Italiana, con il contributo del Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e del Rotary Club. Francia: caso Franceschi; Radicali, il “marcio” dietro scelta di non restituire organi Adnkronos, 20 ottobre 2012 “C’è del marcio in questa decisione delle autorità francesi di non restituire alla madre di Daniele Franceschi gli organi del figlio il cui corpo le fu consegnato, peraltro con molto ritardo dopo la misteriosa morte in carcere, privo di quelle parti interne del corpo che, se esaminate, avrebbero potuto dire molto sul suo prematuro decesso”. Lo ha dichiarato Rita Bernardini, deputata Radicale in Commissione Giustizia. “Questa decisione, comunicata dal Console d’Italia a Nizza alla madre di Franceschi, Cira Antignano, appare come la firma posta in calce a un assassinio con tanto di copertura dello Stato; in questo caso, la Francia. Le rassicurazioni che mi erano state fornite l’11 settembre scorso dalla sottosegretaria agli Esteri Marta Dassù, in risposta a una mia interpellanza, si sono dunque rivelate prive di forza e contenuto. Per quanto difficile, con Cira Antignano e il Partito Radicale continueremo a lottare insieme per i diritti umani -conclude Bernardini- delle persone detenute in Italia, in Francia e nel mondo”. Albania: ex detenuti politici in sciopero fame “moriremo se non avremo risarcimento” Nova, 20 ottobre 2012 Gli ex detenuti politici in Albania, che da quattro settimane ormai hanno indetto uno sciopero della fame in segno di protesta contro “i mancati rimborsi economici” per gli anni trascorsi in carcere, hanno dichiarato oggi di “aver deciso di morire uno dopo l’altro se le nostre richieste non vengono prese in considerazione”. Gli scioperanti hanno affermato ai giornalisti di aver già tirato a sorte chi dovrebbe morire per primo, senza offrire ulteriori dettagli sulla tragica decisione. Già nei giorni scorsi due di loro si sono dati alle fiamme, dopo i ripetuti rifiuti del governo di negoziare con loro. Le autorità sostengono di aver rispettato la legge che prevede il risarcimento a oltre 11.500 ex detenuti politici. “Tutti hanno ricevuto la prima rata, mentre in corso la distribuzione della seconda”, hanno spiegato pochi giorni fa sia il ministero della Finanze che quello della giustizia. La legge approvata nel 2007 entrata in vigore nel 2009 e prevede un totale di circa 430 milioni di dollari da distribuire agli ex detenuti e le loro famiglie in otto rate nell’arco di otto anni. “Fino adesso avremmo dovuto ricevere almeno quattro rate”, sostengono gli scioperanti, accusati dal governo di essere stati “manipolati politicamente”.