Figli costretti a diventare grandi in fretta Il Mattino di Padova, 1 ottobre 2012 Per i figli dei detenuti nel nostro Paese si fa poco, pochissimo, non ci pensano quasi per niente le istituzioni, ci pensa poco anche il volontariato, con alcune eccezioni come Telefono azzurro e qualche altra associazione, che organizzano spazi decenti per i bambini che vanno a colloquio da un genitore detenuto. Per il resto, il vuoto. Riempito unicamente dai sensi di colpa dei genitori detenuti, che sono costretti ad affrontare da soli le sofferenze, le domande severe, i giudizi a volte spietati dei loro figli. La medicina più forte che mi ha curato è stata la forza di mio figlio David. Un ragazzino che aveva appena compiuto 10 anni. Mio figlio aveva 10 anni e due mesi quando sono stata arrestata. Nel buio di dolore che attraversavo nella cella d’isolamento pensavo soltanto a come non perderlo. Sono divorziata e correvo il serio rischio di perdere la potestà genitoriale, e avevo paura di perdere anche la sua fiducia. A distanza di 4 anni e 7 mesi, senza mai vederci, David lotta sia per difendermi, sia per conoscermi, sia per darmi forza. Le nostre prime telefonate sono state silenziose e abbastanza “tragiche”, e si sono concluse tra le lacrime. Allora ho trovato una soluzione molto più forte. La posta. E con questa vorrei dare un forte messaggio per far capire che una lettera a un carcerato a volte vale più di qualsiasi medicina. Una lettera può contenere a volte un semplice disegno da un figlio che, nonostante la sua fragilità, prova in tutti i modi a sollevare da un peso la madre rinchiusa nel suo dolore e avvolta nella sofferenza. Questo è stato il nostro primo rapporto epistolare. Parlando con i colori, per ogni suo disegno io gliene mandavo 5 o anche 10. Tutto aveva un significato. Dopo di che si sono aggiunte le prime parole, le prime frasi. Il timore di mio figlio si stava sciogliendo attraverso i colori. Nel momento in cui abbiamo iniziato a scriverci, i disegni per lasciar posto alle parole diventavano più piccoli, come anche la mia paura di perderlo. Quando siamo passati alle parole le nostre sono diventate direttamente lettere molto serie e molto interessanti. Io facevo da medico a lui e lui a me. Questa corrispondenza man mano ci legava. Il coraggio che acquisivo mi determinava a rinunciare a ogni tipo di psicofarmaco e a curarmi con le sue parole. Ma poi passavano gli anni e io mi rendevo conto che iniziavo a conoscere di meno mio figlio. E così mi sono inventata lettere che erano dei veri interrogatori. La prima volta non pensavo che lui avrebbe risposto, invece lo ha fatto. E così sono riuscita a conoscerlo meglio, nonostante ci separino 2000 chilometri e 4 anni e 7 mesi. Non ricordo quante domande gli ho mandato in questi anni, ma l’ultima lettera ne aveva 180, dalla più banale a quelle a cui sarebbe stato davvero difficile rispondere anche per me. Ci sono state anche domande che riguardavano il carcere con il suo mondo, perché volevo capire che idea se ne era fatto lui in questi anni in cui io non ci sono stata. Sono tantissimi i temi che ho toccato e la cosa che mi ha sorpreso è che le sue risposte sono state molto giuste, molto sagge, e mi ha stupito ancora di più proprio il fatto che ha risposto a tutte le domande, anche quelle alle quali non pensavo rispondesse. Non vorrei dire che mio figlio è sorprendentemente diverso dagli altri, però apprezzo la sua capacità di trasformare il dolore in forza, di trasformare la mia disgrazia in un trampolino per sognare un futuro per noi due, sereno e senza ostacoli. E penso che se con i suoi 15 anni ha già questa capacità di affrontare la vita, posso dire di essere una madre fortunata. E lo sono, nonostante non possa dirlo con “formula piena”, perché la metà del mio cuore è spezzato per l’atroce silenzio della seconda figlia. Luminita G. Io non ci sono stato negli anni più importanti della vita dei miei figli Io ho due figli, finché ero a Belluno, più vicino a casa, bene o male li vedevo, da quando sono qui a Padova li ho visti ad agosto dopo tre anni. Prima nelle lettere e nelle telefonate sembravano un po’ sul chi va là, poi invece piano piano mi hanno anche perdonato tutte queste sofferenze che gli ho causato, e se non vengono a colloquio, non vengono perché hanno problemi, non perché non vogliono. Quando li ho visti il mese scorso è stata una bella cosa. Con il più piccolo però non abbiamo un dialogo, perché io non ci sono stato negli anni più importanti della sua vita, quando l’ho incontrato lui mi teneva la mano e poi mi ha dato un grosso bacio, sento che mi vuole bene però manca sia da parte mia che da parte sua quell’approccio naturale tra padre e figlio. L’ultimo colloquio che abbiamo fatto era all’area verde, che effettivamente dà a tutti un po’ meno l’impressione di essere in carcere, il senso di oppressione è minore, anche se il muro di cinta c’è. In quella occasione c’è stata più intimità tra noi, lui mi abbracciava, non parlava però… comunicava con i segni. Invece prima nella sala colloqui con la presenza di altra gente lui stava sempre zitto, impaurito. Gli chiedevo “Come stai?”, lui rispondeva “Bene, bene”, “Come ti senti?” “Bene bene”. Anch’io sono uno che parla poco, e quindi non ce la faccio ad esprimermi neanche con lui, faccio una fatica tremenda, ma spero proprio di poter ricucire presto il nostro rapporto fuori da qui. Più che fare il padre adesso il mio compito è di conoscere questo figlio, perché lui è andato avanti ha le sue amicizie, ha la sua scuola, ha tutto, io ho perso gli anni nei quali aveva bisogno di una figura paterna forte. Il figlio più grande invece ha la sua famiglia, ha avuto una figlia, ha una casa, sta pagando il mutuo e va avanti per la sua strada. Adesso se mi daranno un permesso premio andrò due giorni a casa, la mia ex compagna si è rifatta una vita, però mi ha detto che per me ci sarà posto. Al carcere bene o male ci fai l’abitudine, ma ti accorgi di quanto sia distruttivo nella vita delle persone proprio quando vengono a colloquio i tuoi famigliari. Alain C. Come chiedere perdono ad un figlio per averlo tradito Nella vita gli affetti famigliari ci accompagnano fin dalla nascita, nei momenti più difficili guardiamo a chi ci vuol bene con occhi di speranza, desiderosi di un’attenzione o un gesto d’amore che nella maggior parte delle volte arriva puntuale. Poi cresciamo e siamo noi a diventare padri e madri di altre creature, che con la loro vocina ci chiamano papà o mamma e noi con il cuore pieno di gioia e orgoglio vediamo questi nostri bambini che ci ricambiano con un amore che molte volte non meritiamo. Purtroppo la vita può giocare brutti scherzi e sa essere molto crudele con noi uomini. Una delle peggiori pene è la prigione dove vieni spogliato di tutta la tua dignità d’uomo e diventi un automa alla mercé del sistema. I nostri figli dalla sera alla mattina vedono scomparire i loro padri, si chiedono dove sono finiti perché e cosa hanno fatto di male per essere abbandonati dal loro genitore. Perché non hanno più le loro carezze e perché sono stati allontanati così. Poi crescono e si rendono conto che i genitori sono solo uomini come loro. Con tanti difetti e pochi pregi, però gli rimane dentro un dolore sordo che li accompagna nello sguardo e nell’anima. Questo è il vero motivo di queste due righe: come chiedere perdono ad un figlio per averlo tradito e lasciato solo quando ne aveva più bisogno, come fargli capire che è il carcere stesso ad allontanarci ogni giorno di più ed a far sì che la parola perdono non riesca a uscire dalle tue labbra, ma esploda dal tuo cuore. Come guardare tuo figlio e potergli raccontare tutto il tuo dolore per la impossibilità di abbracciarlo stretto stretto. Come trovare le parole giuste senza cadere nella retorica, senza sembrare un uomo fallito che cerca d’arrampicarsi sugli specchi per sentirsi dire un “ti voglio bene papà”. Senza che i tuoi occhi facciano uscire le lacrime guardando quanto è cresciuto ed è già un giovane uomo. Il perdono di un figlio è la cosa più grande a cui noi uomini dimenticati da altri uomini possiamo ambire, sentire quelle parole sarebbe come rivivere nella speranza di una vita migliore, dove il dolore sia sostituito dalla gioia di far parte della tua famiglia un’altra volta. Federico T. Giustizia: quella vergogna degli umani in gabbia di Adriano Sofri La Repubblica, 1 ottobre 2012 La vergogna carceri e vent’anni di errori perché all’Italia serve un atto di clemenza. Dal flop dell’indulto all’ultimo appello di Napolitano: una sfida per il prossimo Parlamento Che cosa ha detto il presidente Napolitano sullo stato delle carceri, e perché l’ha detto? La domanda non è oziosa, dal momento che c’è chi ha ritenuto di rispondere che l’ha detto perché ha voluto sfruttare il caso Sallusti. E andare al soccorso della casta sotto tiro, o perché è stato reso sensibile dalla divergenza con la procura di Palermo… Napolitano è l’unico interprete di se stesso, ma chi abbia appena seguito la drammatica questione carceraria conosce i precedenti che ridicolizzano, se ce ne fosse bisogno, quelle insinuazioni. Prima di arrivare al Quirinale, nel 2005, Napolitano prese parte alla marcia per l’amnistia indetta dai radicali. Una volta presidente, controfirmò la misura dell’indulto, e, come il primo ministro Prodi e a differenza di troppi altri, non sconfessò mai la fondatezza di quella misura. Oltre un anno fa, in un convegno al Senato che fece scalpore per il rango e il tono degli intervenuti, Napolitano parlò di “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo… Un abisso separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita...”. Allora e poi ripetutamente, Napolitano ha evocato “un’emergenza assillante”, una “prepotente urgenza”, e deplorato “l’incapacità della politica a produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise”. Le forti dichiarazioni dell’altro giorno seguivano l’incontro con un gruppo di giuristi autori di un appello, convocato da tempo - ben prima dei casi giudiziari che riempiono le cronache di questi giorni. Dunque Napolitano ha ribadito una posizione che gli appartiene fermamente. Non c’è dubbio che l’abbia fatto in termini più forti che mai, soprattutto riguardo alla questione spinosissima delle misure di clemenza. Anche qui gli strafalcioni non sono mancati. Si è letto che “i padri costituenti hanno voluto” l’articolo 79 che impone, per il varo di amnistia e indulto, una maggioranza addirittura dei due terzi del Parlamento: ma quella maggioranza così enorme non ha a che fare coi padri costituenti, bensì coi loro storditi pronipoti, che nel 1992 votarono la modifica costituzionale, per coprire le “ultime” misure d’indulgenza destinate alla classe politica in tempesta: era il loro infantile “Ci perdoniamo, e non lo faremo più”, dopo di che hanno continuato in tanti prodigamente a farlo, e hanno chiuso a tripla mandata le galere dei poveracci. Fino al 2006 dell’indulto, episodio decisivo dei nuovi tempi politici, sul quale la lezione non è stata ancora tratta, quando non la si sia tratta alla rovescia. Chiunque avesse un’esperienza vissuta o dottrinale del problema sapeva allora, e avvertì, che l’indulto senza amnistia non avrebbe arrecato sollievo alla crisi della giustizia, perché l’indulto riduce la pena ma non estingue il reato, dunque non tocca la discarica enorme di processi pendenti che intasano i tribunali e si traducono nell’ingiustizia ulteriore delle prescrizioni, a vantaggio degli imputati ricchi, che usano avvocati e pratiche dilatorie. Contro l’indulto si orchestrò una campagna virulenta, facendo leva su un’opinione allarmata dalla sicurezza quotidiana e sui dubbi sinceri che la tradizione stessa della clemenza suscita. Si ottenne che “almeno” all’amnistia non si arrivasse, mutilando così l’indulto del suo complemento necessario: non sarebbe uscito nessun delinquente, si sarebbero svuotati gli armadi. Si ammonì che l’indulto era tagliato sulla misura di Cesare Previti, che ne sarebbe stato liberato, o dei responsabili dell’Eternit, che sarebbero scampati al processo. Previti era già comodamente installato a casa sua, e passata la campagna nessuno perde più tempo a nominarlo. Quanto all’Eternit, le condanne sono arrivate e hanno fatto scuola. Nessuno se ne è ricordato. Il punto sul quale il bilancio poteva esser fatto più esattamente, quello della pericolosità per la sicurezza sociale dell’uscita di alcune migliaia di persone dal carcere, mostrò che fra i beneficiari dell’indulto la percentuale di recidivi era più bassa - com’è enormemente più bassa per chi sconti una pena alternativa alla reclusione in cella. Se il sollievo atteso al sovraffollamento non durò a lungo, e oggi si tocca un nuovo record di detenuti (67mila, in uno spazio per 45mila), lo si dovette al fatto che l’indulto non fu accompagnato dalle promesse misure di depenalizzazione e di pene alternative, e al contrario si vararono o aggravarono leggi, contro i tossicodipendenti o gli stranieri, fatte apposta per riempire le galere di persone di scarto. Fino alla legge aberrante che esclude dalle misure alternative i recidivi, anche e soprattutto per quei reati suscitati dalla dipendenza ai quali la recidiva è connaturata, dal momento che non ci si buca una sola volta nella vita. La verità è che quella campagna, che inaugurò il tempo che doveva essere nuovo del governo Prodi, gli diede un primo e irreparato colpo politico, e fece molto per risuscitare Berlusconi e berlusconisti, i quali, votato l’indulto, furono ben felici di starsene alla larga e di assistere all’incolpazione degli “inciuci” a sinistra. Quando ci si chiede se una demagogia “giustizialista” valga da nuova cattiva destra, si rifletta a quell’episodio e ai suoi esiti. Quando Napolitano riparla oggi di amnistia e indulto, e sottopone drammaticamente all’attenzione del Parlamento il peso paralizzante della norma costituzionale sui due terzi, sa bene di sollevare un macigno, dal punto di vista della popolarità. “Popolare”, nel senso peggiore, fu quella ipocrita innovazione costituzionale del 1992 - non bastò, del resto, a impedire che buona parte della classe politica che l’aveva inscenata venisse spazzata via. Da mesi i radicali e Marco Pannella personalmente, che hanno il merito di un’attenzione strenua allo scandalo delle carceri e al conflitto fra la giustizia italiana e i pronunciamenti europei, rimproverano duramente a Napolitano di essersi tirato indietro dalle proprie stesse affermazioni, e gli chiedono perentoriamente di rivolgersi al Parlamento attraverso la forma solenne del messaggio presidenziale alle Camere. Napolitano aveva evidentemente valutato che il messaggio alle Camere non potesse aspettarsi alcuna accoglienza concretamente positiva, e potesse anzi tradursi in un affossamento. Le cose che ha detto sono anche un messaggio informale ma esplicito alle Camere, compresa l’allusione al fatto che un impegno adeguato non possa che appartenere al prossimo Parlamento. Questo è il contesto passato e presente dell’intervento del capo dello Stato, anche lui vicino al passaggio di mano. Più importante di tutto è la premura e la vergogna per la condizione degli esseri umani che stanno in gabbia come nemmeno le bestie dovrebbero - e più del 40 per cento sono non giudicati definitivamente; e anche per la condizione di chi sta a guardia delle gabbie, e troppo spesso non ce la fa più. Ma è importante anche riconoscere le implicazioni politiche e prima civili e culturali della discussione sul carcere e la giustizia. Oggi, salve fiammate di cronaca, l’allarme sulla sicurezza si è attenuato, se non altro perché si è attenuato provvisoriamente l’allarmismo; in cambio, il rigetto nei confronti di comportamenti pubblici - dei nuovi ricchi della politica, delle cene di Trimalcione - spinge a invocare la galera. La legge contro la corruzione è un buon modo di trarne la conseguenza. Altri no, e se ne constati un repertorio squadernato nei siti delegati, dove si affollano i commenti a Napolitano, scritti con la penna con cui si scrive, chi non resista, nei cessi della stazione. Giustizia: scontare la pena… ma non in una galera di Giovanni Mastrobuoni www.lavoce.info, 1 ottobre 2012 Come una bomba a orologeria, torna la minaccia dell’insostenibilità del sovraffollamento delle carceri. E il Presidente Napolitano parla di possibili amnistie e indulti. Che tuttavia non sono rimedi duraturi e aumentano i crimini, come mostra l’evidenza empirica. Costruire nuove carceri è necessario, ma le risorse economiche scarseggiano e manca la volontà politica di realizzare opere che nell’immediato non possono dare risultati da spendere elettoralmente. Le valide soluzioni, però, non mancano: dal braccialetto elettronico per i condannati meno pericolosi alla depenalizzazione. Ci risiamo. Passati sei anni dall’ultimo indulto del 2006, il Presidente della Repubblica torna a parlare di indulto e di amnistia. Era prevedibile visto che dal dopoguerra a oggi ci sono stati amnistie e indulti in media ogni cinque anni. Motivo? Il sovraffollamento delle carceri. Ma è dalla metà degli anni 80 che l’aumento del numero di crimini (e quindi di detenuti), quadruplicati dal dopoguerra a oggi senza che venisse aumentata la capienza carceraria, genera uno squilibrio tra ingressi e uscite dalle carceri italiane che porta a un inevitabile sovraffollamento. Indulti e amnistie rappresentano soluzioni di breve periodo che non modificano lo squilibrio tra ingressi e uscite a meno che coloro che escono a seguito dell’indulto siano poi meno propensi a ricommettere dei crimini, cosa di cui non c’è ancora evidenza empirica. È dai tempi delle analisi del giudice Tartaglione che tale evidenza suggerisce invece che la recidiva, cioè la probabilità di finire nuovamente in carcere a seguito di una scarcerazione, non varia in modo sostanziale tra chi viene liberato a seguito di un indulto o di una amnistia e chi invece viene liberato una volta scontata la pena. Che cosa significa questo per il cittadino? Significa che a seguito di indulti e amnistie aumentano i crimini. C’è ampia evidenza di questo effetto, e per un certo verso giustifica la precedente carcerazione. Infatti, se non ci fosse alcun effetto sulla criminalità, andrebbe rivisto l’intero sistema carcerario perché significherebbe che vengono tenute in carcere persone che non rappresentano alcun pericolo per la società. Ma non si può neanche far finta che non ci sia un problema di sovraffollamento e mantenere lo status quo che viola i diritti civili dei detenuti. Un carcere sovraffollato pone dei seri vincoli alla rieducazione dei detenuti: le sale comuni (biblioteche, aule studio, etc.) vengono spesso adibite a dormitori; il lavoro all’interno delle carceri scarseggia; si riduce l’attenzione dedicata a ogni singolo detenuto da medici e personale carcerario proprio quando aumenta il loro malessere, che purtroppo troppo spesso degenera in atti autolesionistici. Anche per questo la costruzione di nuove carceri, concepite con l’intento di creare un ambiente rieducativo, va valutato positivamente. È chiaro che nel breve periodo è alquanto difficile costruire nuove carceri. E qui il problema sta sicuramente nella scarsità di fondi pubblici, ma anche nella miopia dei governi degli ultimi 30 anni. Costruire carceri significa per un governo fare investimenti il cui costo deve essere finanziato oggi ma i cui benefici vengono raccolti solo dopo molti anni e forse da forze politiche di un diverso schieramento. Inoltre il costo derivante da un aumento dei crimini lo paga prima di tutto il cittadino (in quanto vittima), poi lo stato (in quanto tutore dell’ordine pubblico). Tutto ciò genera una propensione al mantenimento dello status quo che si traduce in una bomba a orologeria che i governi si passano e che potrebbe scoppiare in un qualsiasi momento. Che cosa fare? Occorrerebbe affrontare la questione giustizia con un approccio più scientifico e meno ideologico. Costruire nuove carceri non significa essere di destra o di sinistra ma significa riconoscere che c’è uno squilibrio che va risolto. Oltre al Piano carceri messo in atto dagli ultimi due governi (che ha aumentato la capienza carceraria da 43 mila a 46 mila posti letto tra il 2006 e il 2012), c’è la possibilità di incidere sui flussi in entrata e in uscita dalle carceri. È possibile pensare alla depenalizzazione di alcuni crimini (quelli meno costosi dal punto di vista sociale), così come è possibile fare un maggior utilizzo di sanzioni alternative al carcere, magari anche con l’aiuto delle nuove tecnologie, come per esempio il braccialetto elettronico. Tolta la costruzione di nuove carceri, le possibili soluzioni hanno in comune una più efficace separazione dei detenuti meno pericolosi (che usufruirebbero delle pene alternative) da quelli più pericolosi (che rimarrebbero in carcere). Ed è qui che gli indulti e le amnistie dal 1990 in poi hanno mostrato gravi mancanze. Il Codice penale vieta che indulti e amnistie vengano applicati ai recidivi, cioè coloro che hanno dimostrato una certa persistenza nel commettere dei crimini, proprio con l’intento di selezionare i criminali socialmente meno pericolosi. Ebbene, a partire dal 1990 questa norma è rimasta lettera morta e indulti e amnistie sono stati estesi anche ai recidivi. Se indulto e amnistia risultassero le uniche opzioni, auspico che il legislatore mantenga almeno in vita una selezione dei detenuti meno pericolosi. Giustizia: amnistia; a favore Radicali e Udc, Pd e Pdl in ordine sparso, contrari Idv e Lega Ristretti Orizzonti, 1 ottobre 2012 Bonino (Radicali): bene Riccardi, spero anche altri in governo per amnistia “La cosa più rilevante di questi giorni, quasi sottaciuta dai giornali, è la dichiarazione del Ministro Riccardi. Mi pare che in effetti il ministro sottolinei due cose: che la situazione di illegalità delle nostre istituzioni è talmente forte che non si capisce perché il Parlamento e i partiti non intervengano, travolti come sono da altre vicende. Mi auguro che altri esponenti di governo riprendano questo tema”. Lo ha detto Emma Bonino, nella consueta intervista settimanale a Radio Radicale, commentando le dichiarazioni del Ministro Andrea Riccardi, che si è detto favorevole ad una amnistia. “Noi proponiamo una amnistia per la Repubblica, perché si tratta di rendere più agibili le nostre carceri ma soprattuto di liberare le scrivanie dei giudici, per consentire alla giustizia di funzionare”, ha ricordato Emma Bonino. Favi (Pd); no all’amnistia, non risolve gravi problemi “Il Partito democratico è contrario all’amnistia perché non viene inserita in un quadro di misure strutturali che incidano sulla attuale normativa della custodia cautelare, sulle misure alternative alla detenzione in carcere (con l’abrogazione delle norme dell’ex Cirielli del 2005 che ne hanno limitato l’applicazione), con l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e la revisione delle misure penali per i tossicodipendenti autori di reato”. Lo afferma Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd. “Il Pd - ricorda Favi - ha appena promosso una petizione popolare per promuovere e sostenere queste riforme. Anche la Commissione mista Consiglio Superiore della Magistratura - ministero della Giustizia - Rappresentanza della Magistratura di sorveglianza ha dato indicazioni puntuali per linee di intervento sui medesimi aspetti, che incidono così significativamente su una bulimia carceraria che ci allontana dagli standard di civiltà e del diritto per chi è custodito nelle carceri italiane”. “Ci auguriamo che anche le forze politiche oggi presenti in Parlamento, a partire da quelle che sostengono il governo Monti, ma necessariamente anche quelle di opposizione, siano disposte a favorire le possibili misure che potranno essere proposte, in un corretto equilibrio fra le soluzioni dell’emergenza e quelle di riforma degli istituti che hanno generato l’insostenibile stato delle carceri”, conclude Favi. Di Giovan Paolo (Pd): affrontare tema in modo strutturale “Parliamo pure di amnistia, ma facciamo in modo che il sovraffollamento delle carceri sia affrontato in modo strutturale. Misure alternative alla detenzione potrebbero riguardare il 40% dei detenuti”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria, a proposito delle parole del ministro Andrea Riccardi che si è detto favorevole a “un gesto di coraggio” che affronti la crisi del sovraffollamento in carcere. Prevedere “misure alternative al carcere sarebbe un vero atto di civiltà, non solo nei confronti dei detenuti, ma anche di chi lavora nei penitenziari”, aggiunge Di Giovan Paolo: “Mi auguro che davvero si possa arrivare a conclusione dell’iter parlamentare entro fine anno”. Orlando (Pd): Severino abbia più coraggio, la strada è quella giusta “Dobbiamo introdurre pene alternative ma questo significa investire”. Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd, chiede “più coraggio” al ministro Severino sulla depenalizzazione, e non crede che servano ora amnistia o indulto per far fronte all’emergenza carceri. Sarebbe il modo più veloce per alleggerire il carico... Amnistia e indulto li vedo come il condono fiscale o il condono edilizio: sono interventi una tantum di uno Stato che non è in grado di affrontare i limiti strutturali del suo funzionamento. Credo che se si dovesse arrivare al collasso, sfiorato in questi mesi, una soluzione simile sarebbe una capitolazione. Ma ormai siamo al collasso e bisogna intervenire. Bisogna intervenire per modificare le cause strutturali della questione. E allora penso alla necessità di allargare la platea di coloro che possono accedere a pene alternative, dopo le restrizioni dovute alla ex Cirielli. Ma pene alternative significa anche un ritorno a investimenti in materiali piuttosto che investimenti materiali. Che intende? Anziché programmare nuove carceri, sarebbe meglio programmare percorsi di reinserimento e investimenti sulla polizia penitenziaria, su chi deve vigilare sul territorio, anche sull’effettivo svolgimento delle pene alternative, perché c’è il rischio che un’assenza di vigilanza sia una sorta di amnistia mascherata. Si tratta comunque di una strada più rapida. L’importante è che si investa, perché la scelta di pene alternative non deve essere un elemento di deresponsabilizzazione dello Stato rispetto alla pena. C’è la percezione di una pena meno efficace? Il rischio è che nell’opinione pubblica si ingeneri l’idea sbagliata che si vada verso un colpo di spugna. Le pene alternative negli altri Paesi dove si è investito nel corso degli anni comportano che chi ha commesso un errore risarcisce la collettività. Non sono una sorta di scappatoia rispetto al carcere. Anzi, in alcuni casi sono pene molto dure. Il ministro Severino si sta muovendo bene? Sì, ma troppo timidamente. Penso, per esempio, che sulla depenalizzazione si può fare di più, perché è un modo di incidere sia sull’aspetto delle carceri sia sul processo. Noi abbiamo una serie di reati bagatellari che potrebbero essere sanzionati in via amministrativa, magari con u - na multa immediata, senza ricorso in Cassazione, perché chi commette il reato si faccia carico del danno fatto alla collettività. Rao (Udc): saremmo irresponsabili, se non le varassimo adesso È bene essere chiari: il sovraffollamento e gli altri problemi presenti nelle carceri non possono più essere messi sotto il tappeto. Bisogna affrontarli adesso. Saremmo dei veri irresponsabili, se in una situazione come quella attuale, demandassimo alla prossima legislatura interventi che sono possibili ora”. Roberto Rao, capogruppo Udc in Commissione Giustizia alla Camera, è categorico: “Di parole se ne sono dette e sentite fin troppe. Ormai servono azioni concrete”. Quali, onorevole? Credo che si debba trattare l’emergenza carceraria come altre emergenze italiane: se per le questioni economiche il governo e il Parlamento sono stati capaci di varare e approvare in pochissimi giorni provvedimenti complessi, bisognerebbe farlo anche in questo caso. Perché? Perché parliamo di oltre 66mila detenuti, al 30 agosto, su 45mila posti regolamentari. E perché i processi in Italia durano troppi anni, che un detenuto su due trascorre dietro le sbarre in attesa di giudizio. E ancora perché un terzo dei reclusi, si stima, avrebbe problemi di tossicodipendenza, che il carcere non cura ma riesce solo ad aggravare. E poi perché è illusorio cullarsi nell’idea che il sovraffollamento si possa risolvere costruendo nuovo istituti: al momento ciò è diffìcile, perché le casse dello Stato sono a secco. E potrei continuare... Come valuta il monito del presidente Napolitano? Ritengo che quello del capo dello Stato sia da considerare, seppur non formalmente, come un “discorso alle Camere”, per scuotere le coscienze dei parlamentari e convincerli dell’urgenza di porre rimedio a una situazione di profonda e grave inciviltà. Ma in merito ad amnistia e indulto e ad eventuali modifiche costituzionali, qual è il suo parere? Credo che il tema sia alto e vada affrontato con la dovuta serietà, avendo come orizzonte un tempo più ampio di questa limitata fine di legislatura. Invece ciò che si può fare ora, va fatto senza indugi. Come? Partendo rapidamente, in questi giorni, con l’esame in commissione Giustizia, del pacchetto di nuove norme sulle misure alternative presentato dal ministro Severino. Dobbiamo essere in grado di formulare obiezioni ed eventuali emendamenti in tempi brevi, per far sì che approdi presto in aula. E mi auguro che lo stesso si faccia in Senato. Nessuna scusa, dunque? No. Per i provvedimenti anticrisi, Governo e Parlamento stanno dimostrando di sapere fare in fretta e bene. Si dirà: sono decreti che riguardano un’emergenza per 60 milioni di italiani, mentre nelle carceri ce ne sono solo 60mila. Ma è una questione di dignità umana. Non si può far finta di nulla. Paniz (Pdl): finora troppe chiacchiere, tre mesi per nuove norme Onorevole Maurizio Paniz (Pdl), sembra incredibile ma dopo tanto parlare siamo ancora allo stesso punto: carceri sovraffollate e condizioni di detenzione indegne. Non si sente provocato, come avvocato e deputato? È proprio vero, abbiamo fatto troppe chiacchiere. Ma ora è così grave la situazione, e sono così autorevoli gli appelli, che mi sbilancio: in tre mesi possiamo mettere a punto una legislazione precisa sulla depenalizzazione dei piccoli reati, che faccia definitivamente preferire le misure alternative - lavoro diurno, sanzioni amministrative, servizi sociali... al carcere tout court. Tre mesi, avvocato. Non lo dimenticheremo... Fate bene a fare pressione. Però dovete pressare anche i giudici, non solo i politici: vedo una loro riserva culturale nel considerare le misure alternative con la dovuta attenzione. In fondo già adesso potrebbero dare una svolta alla situazione evitando la detenzione a tante persone incolpate di piccoli reati. A questo punto, la pressione andrebbe esercitata anche sulla sua categoria, gli avvocati, che vogliono sempre andare a processo. Non vale per me. Quando ho di fronte un cliente palesemente colpevole, agisco con tutti gli strumenti preprocessuali: patteggiamento, oblazione... Certo, non tutti i colleghi fanno così, ma è una scelta professionale per la quale non li incolpo. Di chi è la colpa? Dei processi lunghi: i difensori valutano conveniente andare a processo perché nel corso degli anni intervengono prescrizioni, modifiche normative, provvedimenti di indulto e amnistia. La giustizia - lumaca aumenta l’incertezza del diritto e della pena, e gli avvocati lo sanno. In fondo, se non interveniamo sui tempi del procedimento, saremo sempre a rincorrere le emergenze. È quello il problema dei problemi. A proposito, lei notoriamente è contrario ad amnistia e indulto... Nel 2006 fui l’unico di Forza Italia a votare contro. E confermo. Sono provvedimenti che aumentano l’incertezza del diritto. Più volte vi ricorriamo, più processi ci saranno. E poi non mi sembra rassicurante il messaggio di un Paese in cui chi sbaglia non paga. Altre idee? Una, basilare: stringere le maglie delle misure cautelative, della carcerazione preventiva. Oggi, obiettivamente, la giustizia se ne serve a larghe mani. Molteni (Lega): Riccardi ministro sanatorie e indulti “Non avevamo dubbi che il ministro Riccardi, autore della vergognosa sanatoria dei lavoratori stranieri irregolari, fosse favorevole all’indulto. Al ministro delle sanatorie, prima degli immigrati irregolari e ora dei delinquenti, rispondiamo che la Lega si opporrà sempre e in ogni modo a qualunque provvedimento di clemenza nei confronti di chi ha commesso reati e sta scontando giustamente la pena in carcere”. Lo dichiara il capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia alla Camera, Nicola Molteni. “L’attenzione deve essere posta nei confronti delle persone oneste che hanno subito i reati nell’affermazione del principio della certezza della pena”, aggiunge Molteni: “Chi sbaglia paga. L’indulto voluto nel 2006 dal governo Prodi, e sostenuto da tutte le forze politiche tranne la Lega Nord, non ha portato alcun beneficio al problema del sovraffollamento delle carceri. Anzi, coloro i quali hanno beneficiato dell’indulto sono tornati immediatamente a delinquere minando ulteriormente la sicurezza delle persone oneste. Il ministro Riccardi si vergogni di proporre soluzioni che vanno contro gli interessi delle persone oneste. Il quaranta per cento dei detenuti presenti nelle nostre carceri sono stranieri, con l’indulto si farebbe un altro regalo agli immigrati che hanno commesso delitti”. Maroni, amnistia? no grazie “Amnistia? No grazie, tenetevela voi. Mai e poi mai la Lega permetterà una cosa del genere”. Lo ha detto il segretario della Lega Nord Roberto Maroni questa sera intervenendo alla serata conclusiva della festa del Carroccio piemontese. “Ho sentito che anche al Colle più alto di tutti sono favorevoli all’amnistia - ha aggiunto Maroni - la Lega non permetterà una cosa del genere. Siamo in grado di bloccare qualsiasi amnistia”. Giustizia: Clemenza e Dignità; l’intervento del presidente Napolitano apre spunti di riflessione Il Velino, 1 ottobre 2012 Le recenti parole del Presidente della Repubblica sulle carceri, sono state una luce, un faro che ha illuminato il buio impenetrabile delle carceri italiane, il buio delle soluzioni politiche al sovraffollamento, il buio della mente e la notte dell’anima di chi è ristretto. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. “Come responsabile di questo movimento, - prosegue - che da anni e nel buio delle difficoltà e della diffidenza, si adopera per i diritti dei detenuti e per il progresso del diritto punitivo, desidero esprimere gratitudine per questo auspicato chiarore, nonché il più sentito apprezzamento per questa nobile iniziativa che è a salvaguardia di diritti costituzionali, di diritti propriamente dell’uomo. A tal riguardo - aggiunge - e proprio su questi aspetti giuridici, sul diritto alla vita, alla salute, sulla dignità dell’essere umano, diritti che appartengono a tutti e anche alle persone detenute, l’occasione dell’intervento del Presidente della Repubblica, mi ha condotto a elaborare di seguito tre generi di riflessioni tra di loro collegate, in cui posso dire di credere fermamente e che ritengo molto utili per una migliore comprensione di questa tragedia che è umana ma anche giuridica”. “Non è sufficiente - osserva - che dei diritti siano formalmente stabiliti e chiaramente delineati, è necessario che questi diritti possano poi trovare una effettiva ed estremamente diffusa manifestazione nella realtà. Se non si assicura adeguatamente quest’ultimo aspetto, se non si garantisce ad una persona l’effettivo esercizio e la concreta realizzazione di un diritto, lo stesso diritto anche qualora previsto in leggi fondamentali, è come se non esistesse.” “Per questo motivo, - sottolinea - come è importante la fase di redazione ed approvazione legislativa, altrettanto importante, al fine di correggere le anomalie e le disfunzioni giuridiche che potrebbero cagionare l’inesistenza fattuale di un diritto, è la fase di attento monitoraggio circa l’effettiva praticabilità dei diritti già previsti”. “La praticabilità di un diritto, - spiega - in un’epoca di consolidata democrazia e che è distante culturalmente dai regimi oppressivi della storia, deve essere necessariamente misurata e testata secondo criteri di stretta verità e per essere misurata e testata in maniera reale, la valutazione della praticabilità di un diritto deve essere effettuata anche quando il sistema complessivo ordinamentale, quello che garantisce i diritti previsti nei testi normativi, va sotto massimo sforzo e fa più fatica”. “In sostanza, - conclude Meloni - la praticabilità di un diritto per essere misurata e testata in maniera reale deve tener conto non solo delle ordinarie e più comuni situazioni ma anche e soprattutto di tutte le possibili circostanze limite ed estreme: della vita nei penitenziari così come delle situazioni in cui si annidano più facilmente povertà, disuguaglianze, sofferenza e grande emarginazione sociale.” Giustizia: Poretti (Ri); la chiusura degli Opg si allontana, inesorabilmente, senza responsabili Notizie Radicali, 1 ottobre 2012 Intervento della senatrice Radicale, Donatella Poretti in occasione della giornata di mobilitazione per la chiusura dei manicomi criminali organizzata dal Comitato StopOpg. La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari entro marzo 2013 sembrava cosa fatta, scritta nero su bianco sulla legge 9/2012. Principio condiviso e - cosa rara di questi tempi - perfino finanziato. Una scaletta chiara prevedeva che entro marzo 2012 un decreto del ministro della Salute fissasse i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi per nuove strutture destinate a chi, riconosciuto pericoloso socialmente a codice penale invariato dovesse restare internato. Strutture completamente sanitarie e al massimo con 20 posti letto, eventualmente sorvegliate all’esterno. Nel frattempo per chi ingiustamente stava scontando proroghe si stanziavano ulteriori fondi per programmi personalizzati di inserimento in comunità o altro. Così recitava la previsione di spesa: per il 2012 120 milioni per strutture e 38 milioni per attività, per il 2013 60 milioni per strutture e 55 per attività. Dalla previsione al primo bilancio: il decreto ministeriale è fermo in conferenza Stato Regioni con un ritardo ad oggi di 6 mesi, nessun fondo è stato stanziato. L’anno 2012 volge al termine e il rischio evidente è i 158 milioni (120+38) tornino nel bilancio pubblico e vengano destinati ad altri fini. La data del 31 marzo 2013 si avvicina e la chiusura degli Opg si allontana, inesorabilmente. Le responsabilità? Diffuse. Il ministero non ha rispettato la data per l’emanazione del decreto, le Regioni esercitano il loro potere e le competenze decisionali in materia sanitaria, il Parlamento vara norme che poi vede svanire davanti a sé imperturbabile. Allo stato dei fatti la cosa più probabile è la proroga della scadenza del 31 marzo 2013 come data di chiusura degli Opg nel Milleproroghe di fine anno. La conseguenza sarebbe devastante, un altro Governo e un altro Parlamento dovrebbe gestire quella proroga e nello scaricabarile collettivo né noi, né loro si assumerebbero la responsabilità di lasciare aperti quelli che anche il presidente della Repubblica ha definito come “estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena, appena civile”. Si può ancora evitare questo disastro solo a patto che ciascuno faccia la sua parte. Per ciò che mi compete rinnovo la richiesta alla Commissione d’inchiesta sul Ssn di dare seguito ai provvedimenti giudiziari nei confronti degli Opg di Montelupo Fiorentino e di Barcellona Pozzo di Gotto, e di utilizzare tutti i suoi poteri affinché il principio costituzionale del diritto alla salute venga rispettato e venga restituita la dignità umana agli internati. Anche chiudendo tutti gli Opg con un provvedimento della Commissione. Giustizia: forti critiche sulla chiusura della Casa di reclusione di Laureana di Borrello Ristretti Orizzonti, 1 ottobre 2012 Riaprire la Casa di reclusione di Laureana di Borrello di Mario Nasone (Presidente Centro Comunitario Agape) Riaprire la Casa di reclusione di Laureana di Borrello La scelta del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria di chiudere una esperienza straordinaria di recupero ed inclusione sociale di giovani detenuti come quella del Luigi Daga rappresenta un grave errore che desta sconcerto anche per le motivazione che sono state date. L’istituto di Laureana era stato definito da ben due Ministri, Castelli ed Alfano, la punta più avanzata in tema di trattamento del sistema penitenziario italiano ed era stato considerato un modello d’intervento esemplare che aveva suscitato attestati di stima e di apprezzamenti a livello nazionale ed internazionale. Per la prima volta si dava l’opportunità a giovani detenuti nelle carceri calabresi, disponibili ad uscire dai circuiti della devianza e della ndrangheta, di potere aderire attraverso un contratto trattamentale ad un progetto pedagogico centrato sulla assunzione di impegni personali e di rispetto di un vero e proprio programma di vita. Le motivazioni legate ai problemi di carenza di personale non giustificano l’interruzione di questo importante che è stato voluto da calabresi con in testa il compianto provveditore Paolo Quattrone anche come piccolo segno di riscatto della nostra terra da fenomeni come la ndrangheta che condizionano la vita delle nostre comunità’ ed il futuro dei giovani calabresi. Lo scrivente, che ha avuto la fortuna di condividere fin dal suo concepimento questo progetto, ritiene che l’amministrazione penitenziaria chiudendo questa esperienza non solo interrompe bruscamente il percorso di risocializzazione iniziato da 50 detenuti oggi trasferiti in altre carceri, ma lancia anche un segnale preoccupante circa la volontà effettiva di volere realmente investire sul recupero e l’inclusione lavorativa e sociale dei giovani detenuti. Una domanda ulteriore sorge spontanea: ma se l’istituto di Laureana fosse ubicato in una delle regioni del nord e non nella vituperata Piana di Gioia Tauro della Calabria quelle istituzioni locali avrebbero lo avrebbero permesso? L’auspicio ora è quello di un ripensamento e della scelta saggia di riaprire e rilanciare il progetto giovani di Laureana apportando le eventuali e necessarie modifiche. Perché questo si avveri è necessaria anche una mobilitazione di tutte quelle forze politiche e sociali dei diversi schieramenti che in questi anni hanno conosciuto ed apprezzato il lavoro svolto a Laureana. Una mobilitazione che deve partire proprio dalla comunità di Laureana che ha accolto i giovani detenuti sostenendo o il loro no facile percorso di riscatto sociale. Laureana di Borrello: reciso il fiore della speranza di Giuseppe Tuccio (Garante dei Detenuti di Reggio Calabria) Nell’autentico marasma in cui decenni di inefficienza e di intollerabili ritardi gli apparati ministeriali hanno fatto piombare l’intero sistema penitenziario si inserisce la incredibile vicenda del Carcere di Laureana di Borrello che assume un rilievo di tragica, negativa esemplarità. I fatti sono noti: per ordine ministeriale - evidentemente di intesa con il Provveditorato Regionale - l’Istituto a Custodia Attenuata (Icat) di Laureana di Borrello viene chiuso dalla sera alla mattina, trasferendo per varie destinazioni i cinquanta detenuti già avviati su un produttivo percorso di risocializzazione attraverso lo strumento più efficace, il lavoro, espressione la più elevata della dignità dell’uomo. Contestualmente venivano destinati i diciannove agenti penitenziari, addetti a tale custodia, alla Casa Circondariale di Reggio per sopperire alla eccezionale situazione deficitaria a fronte dell’incontenibile sovraffollamento per cui la capienza ordinaria di centosettanta detenuti è risultata assolutamente ingestibile per la effettiva presenza di oltre quattrocento detenuti. È comprensibile l’esigenza di un minimo di razionalizzazione dei servizi operativi (per assicurare, tra l’altro, il trasferimento dei detenuti nelle varie sedi giudiziarie, per l’esercizio del diritto di vedere celebrati in tempi logici i rispettivi procedimenti penali) ma è assolutamente assurdo che tale esigenza direttamente riconducibile, a carattere esclusivo, alla inefficienza organizzativa derivante da scelte sbagliate possa essere risolta recidendo in radice il fiore della speranza (proprio di questo si tratta!) alimentato dai detenuti avviati al lavoro ed accanto ad essi da tutti coloro che verso tale obiettivo riponevano legittime aspettative. Diciamolo chiaramente: non abbiamo mai creduto alla segregazione carceraria declinabile in chiave di contrazione dei diritti costituzionali del detenuto; e nemmeno a fronte di esigenze politiche, economiche o di diversa appartenenza a logiche burocratiche. Avvertiamo un profondo disagio a partecipare a convegni in cui parlare di giustizia per il mondo carcerario equivale a parlare di mere idealità a fronte della brutale realtà carceraria. Laureana di Borrello, nel cuore della Piana di Gioia Tauro, con detenuti anche appartenenti alla criminalità organizzata, operante da poco meno di dieci anni, era sotto l’osservatorio ottimistico di tutte le Carceri italiane appunto per le specificità ambientali che non avevano minimamente inciso in senso negativo sull’itinerario lavorativo teso verso una autentica risocializzazione o, per chi è credente, verso una più elevata dimensione riconciliativa sul piano spirituale. È questa la filosofia della certezza della pena, non equiparabile al dato quantitativo, bensì alla sua idoneità a produrre nell’animo del detenuto una responsabile presa di coscienza del suo debito sociale verso un nuovo progetto di vita. Tutto distrutto Laureana deve sparire per colmare i buchi disseminati sul territorio nazionale per il mancato ascolto dei reiterati messaggi della Chiesa (mi permetto di ricordare gli appassionati discorsi di Monsignor Morosini e Monsignor Nunnari) e quello autorevole quanto angosciato del Capo dello Stato in recenti circostanze. Per parte mia, quale Garante dei detenuti e Vice Coordinatore Nazionale dei Garanti, investirò il Coordinamento Nazionale dei Garanti, domani presso la Direzione Nazionale dell’Amministrazione Penitenziaria, per una forte iniziativa a livello ministeriale, sollecitando l’adesione della Chiesa, del mondo politico e del volontariato. I principi fondamentali indicati dalla Carta Costituzionale non possono essere ridotti a carta straccia per sopperire alle inadempienze esclusivamente imposte dalle ataviche inefficienze, ormai decennali, in questo delicato settore che deve testimoniare il livello di civiltà di una nazione. Mi fermo qui, giacché in maniera decisamente più penetrante e convincente si esprime un ex detenuto, già ospite della struttura di Laureana di Borrello nella unità missiva che ritengo possa essere resa pubblica. Sono un ex detenuto… non avete capito cosa si è perso a Laureana Mi chiamo Sergio Valentino Stillitano, son un ex detenuto, ex ospite della casa di reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello, uno di quei giovani che al primo reato commesso ha avuto la fortuna di poter arrivare al sopracitato “carcere”. Grazie al trattamento di quest’istituto, voluto dal grande ormai scomparso, ex provveditore Paolo Quattrone io e centinaia di altri ragazzi siamo stati “salvati” dalle grinfie di chi ci voleva soldati del crimine. Impegnandoci nel lavoro, dove possibile dandoci un lavoro appena finito di scontare la pena (come ho avuto la fortuna io), facendoci seguire dagli operatori e anche dai volontari sempre presenti questo carcere ha cambiato la visione sulla legalità di molti. Purtroppo ieri senza nessun preavviso tutti i detenuti sono stati evacuati con un pullman della polizia penitenziaria in carceri “normali” cioè fatiscenti, sovraffollati, e vere scuole di crimine; Il loro recupero e riscatto sociale è stato stretto è annichilito da quelle manette strette ai polsi che più che le mani gli soffocava la speranza di poter essere cittadini migliori e fedeli alle leggi delle istituzioni, istituzioni che ieri hanno deluso quei ragazzi che ora si ritrovano chissà dove. L’istituto “Luigi Daga” sapientemente gestito dalla Dott. Angela Marcello (nonostante le grosse difficoltà degli ultimi tempi) ha chiuso i battenti, i circa 20 bravi agenti di polizia penitenziaria servono nelle altre carceri calabresi, si in effetti 20 persone risolveranno il problema di centinaia di uomini mancanti tra le fila degli agenti della Penitenziaria. Hanno deciso (il Provveditore Dap) che rieducare e reinserire detenuti per renderli migliori non ha importanza. Spero che la gente della Calabria capisca realmente cosa si sia perso, io lo so ed è questo che mi rattrista. Prc: grave chiusura carcere di Laureana “Dal Sappe è giunta notizia secondo cui la casa circondariale a custodia attenuata di Laureana di Borrello verrà chiusa. La struttura ospitava detenuti in custodia attenuata ed era considerata uno tra i migliori istituti di pena italiana: di tipo cosiddetto “sperimentale”, in quanto forniva i mezzi necessari alle persone detenute per un reinserimento nella società una volta finito di espiare la pena. Il motivo di tale assurda decisione pare sia quello relativo alla carenza di personale di polizia penitenziaria negli altri circuiti carcerari della regione calabrese”. Lo si legge in una nota del Prc di Reggio Calabria. “Spesso, denuncia più volte il Sappe, il personale è costretto a lavorare su doppi turni per far fronte alle esigenze degli istituti, dove la situazione è ormai incontrollabile. Si parla di sovraffollamento, le nostre carceri ospitano il 30% di detenuti in più della capienza consentita, ed il personale non ce la fa a far fronte a tale emergenza. Nello specifico, quello di Laureana può essere un esempio di quanto sta accadendo in Italia - continua la nota del Prc - se non fosse che, in un panorama in cui questa situazione drammatica non trova rimedio nella legislatura, rappresenta l’unico istituto in cui alle persone che vi arrivavano veniva offerta una vera possibilità di riscatto. Il tanto declamato articolo 27 della Costituzione, che prevede la riabilitazione della persona reclusa, in questo istituto aveva modo di essere rispettato. La questione della carenza di personale non può essere considerata una valida motivazione per far chiudere una struttura come quella di Laureana”. Giustizia: Giancarlo Giusti dal carcere di Opera scrisse “devo vedere i figli o posso morire” Ansa, 1 ottobre 2012 “Devo vedere i figli o posso morire”. È questo uno dei passaggi di un fax inviato dal giudice Giancarlo Giusti al suo avvocato, Paolo Carnuccio, poco prima di tentare il suicidio nel carcere milanese di Opera nel quale è detenuto dal marzo scorso con l’accusa di corruzione aggravata dall’avere favorito una cosca della ‘ndrangheta. A renderlo noto è stato lo stesso legale. “Caro Paolo - è scritto nel fax - ti aspetto al più presto per strategie future. Ti affido un compito: per sabato 6 ottobre ho detto alla mamma dei miei figli di portarli. Assicurati che si organizzi (la frase è sottolineata, ndr). Te lo chiedo come un fratello! Devo vedere i figli o posso morire. Invece devo essere forte per la certa vittoria finale! Dillo anche a mia sorella. Fate il possibile. Un abbraccio”. Un fax, che sembra contraddire la volontà suicida tentata poco dopo. L’avv. Carnuccio, al riguardo, non ha voluto fare commenti, sostenendo che il suo assistito soffriva di crisi depressive già prima di essere arrestato. Il legale ha poi voluto ringraziare il direttore del carcere di Opera. “Sono questioni - ha detto Carnuccio - che afferiscono al suo privato. Detto questo, per quello che mi risulta, non ha mai avuto un colloquio fisico con i due figli di 14 e 10 anni, e c’è un’infinità di lettere private tra Giusti e la sorella sulla necessità di vedere fisicamente i bambini”. Carnuccio ha poi detto di essere rimasto sorpreso, così come Giusti, della condanna a quattro anni inflitta dal gup di Milano il giorno prima del tentato suicidio. “Sono sorpreso perché - ha detto il legale - la richiesta di quattro anni è legata anche ad un capo d’imputazione caduto. Il Tdl infatti, ha annullato il capo d’imputazione relativo alla società Indress nel quale Giusti era accusato di avere favorito i Lampada nell’attività della società. Erano rimasti invece i capi d’imputazione di corruzione aggravata dall’art. 7 relativi a due nomine. Per questi due casi è pendente il ricorso in Cassazione”. Per quanto riguarda il bigliettino lasciato da Giusti per spiegare i motivi del suo gesto ed in cui parla di delusione per la giustizia e abbandono della famiglia, l’avvocato ha sottolineato che la sorella del giudice è sempre stata in contatto con il legale sia a livello processuale che per l’assistenza al fratello. Carnuccio, infine, ha commentato alcune dichiarazioni della ex moglie di Giusti, l’avv. Teresa Puntillo, apparse ieri su alcuni organi di stampa, in cui la donna si chiedeva chi non ha vigilato sull’ex marito e ha sostenuto che aveva sentore di frequentazioni del marito con personaggi strani. “Dichiarazione quest’ultima - ha detto Carnuccio - che sorprende e che si pone in contraddizione con la linea difensiva. Ognuno si assumerà le proprie responsabilità”. L’avvocato si è anche lamentato per la diffusione di notizie errate da parte della Uil Penitenziari che hanno creato confusione venerdì scorso (in un primo momento era stato fatto il nome del giudice Giglio) e al riguardo Carnuccio ha detto che valuterà la possibilità di azioni legali. Sardegna: Sdr; urge visita ispettiva Commissione diritti civili nelle carceri della regione Ristretti Orizzonti, 1 ottobre 2012 “Le numerose preoccupanti notizie sulla situazione delle carceri in Sardegna richiedono un’urgente visita ispettiva della Commissione “Diritti Civili” del Consiglio regionale anche per verificare quanto aumenterà la servitù penitenziaria nella nostra isola con la previsione dei nuovi Istituti”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, a nome dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando che quindici giorni fa con il segretario Gianni Massa è stata inviata una lettera al Presidente Salvatore Amadu con specifico riferimento all’incremento di detenuti pericolosi e alle condizioni logistiche della Casa Circondariale nuorese di Bad’e Carros. “L’associazione - osserva - continua a ricevere numerose segnalazioni da parte di familiari e detenuti sulla costante riduzione degli spazi nelle diverse carceri isolane e sulla mancanza di rispetto delle circolari da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in materia di trasferimenti e condizioni di vita dei ristretti. Il continuo trasferimento di cittadini privati della libertà dalla Penisola rende particolarmente difficile garantire una vita dignitosa ai ristretti e condiziona negativamente anche l’attività degli operatori penitenziari sia quelli dell’area trattamentale - rieducativa sia quelli della sicurezza”. “Sono passati diversi anni dall’ultima indagine conoscitiva sulla realtà detentiva della Sardegna e le visite ispettive - conclude Caligaris - potrebbero essere l’occasione per aggiornare i dati acquisiti precedentemente in modo da evidenziare com’è cambiata la realtà sarda offrendo importanti materiali di riflessione. Sarà così possibile proporre opportune iniziative tese a far rispettare il diritto alla territorialità della pena, a ridurre il disagio anche ai familiari dei detenuti che molto spesso sono costretti a rinunciare ai colloqui con i propri cari per le difficoltà a raggiungerli. Ciò vale in particolare per i sardi, detenuti e agenti, da diversi anni lontani dall’isola. Emilia Romagna: “Raee in carcere” trasforma detenuti in webmaster e tecnici dell’ambiente di Pierfrancesco Demilito www.mediapolitika.com, 1 ottobre 2012 Internet e l’attenzione all’ambiente sono divenuti per alcuni detenuti una possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro e soprattutto nella società civile. Questo grazie al progetto Raee in Carcere, iniziato nel 2009, finanziato dalla Regione Emilia Romagna con il Fondo Sociale Europeo all’interno dell’iniziativa comunitaria “Equal Pegaso”. Attraverso la collaborazione tra soggetti pubblici e privati, undici persone svantaggiate in esecuzione penale sono state impiegate nello smontaggio dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) nei laboratori gestiti dalle cooperative sociali Gulliver, IT2 e Il Germoglio, rispettivamente a Forlì, Bologna e Ferrara. Da questa esperienza è nata l’iniziativa per il web che ha trovato il supporto della Regione Emilia Romagna e il sostegno anche finanziario del Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria di Bologna, del consorzio per la gestione dei Raee Ecolight e di Hera spa. In occasione di “Fare i conti con l’ambiente”, la fiera che per tre giorni (dal 26 al 29 settembre scorso) ha trasformato il centro storico di Ravenna nel luogo d’incontro delle eccellenze del settore “green”, è stato presentato il nuovo sito www.raeeincarcere.org. Non solamente un portale per far conoscere le attività del progetto, ma soprattutto un’occasione di reinserimento sociale sia per alcuni detenuti nelle carceri di Bologna, Ferrara e Forlì, sia per condannati in misura alternativa negli stessi territori. In questa fase iniziale il ruolo di webmaster è stato affidato a due persone che eseguono le pene fuori dal carcere. Le agenzie di formazione Techne Forlì - Cesena e Cefal Bologna curano la formazione dei detenuti che si occupano della gestione dei contenuti del sito, offrendo gratuitamente anche i supporti informatici. “In prospettiva, ci proponiamo di coinvolgere tre persone in esecuzione penale, una per ogni territorio, non solo per il mero aggiornamento del sito, ma motivandoli in un ruolo di responsabilità nel diffondere il valore del progetto e nel proporre nuove iniziative di comunicazione sociale”, spiega Lia Benvenuti, direttore di Techne, agenzia cui è stato affidato il coordinamento del progetto. Già, perché il progetto Raee in carcere ha anche un forte valore ambientale. I Raee sono considerati, infatti, come i rifiuti che nei prossimi anni cresceranno con un tasso maggiore rispetto alle altre tipologie di rifiuti e possono contenere pericolose sostanze inquinanti. Inoltre, da un loro corretto recupero è possibile ottenere importanti materie prime seconde. “Alimentare il circuito delle informazioni sul corretto recupero dei rifiuti elettronici è fondamentale per riuscire a migliorare la qualità del nostro ambiente - spiega Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecolight, consorzio nazionale per la gestione dei Raee - e il portale permette di dare ulteriore visibilità al progetto in modo che si possa innescare un circuito virtuoso a tutti gli effetti”. Puglia: il presidente Vendola; un carcere disumano è una fabbrica di violenza e insicurezza www.marketpress.info, 1 ottobre 2012 “Credo che sia opportuno oggi sottoscrivere questo protocollo, all’indomani delle parole forti e severe che il Capo dello Stato ha pronunciato su quella questione che sta diventando uno scandalo internazionale: la condizione dei nostri penitenziari è vergognosa. Siamo dentro un dato strutturale di sovraffollamento che di per sé è un dato che rappresenta una lesione dei diritti fondamentali delle persone detenute”. Così il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola il 28 settembre a margine della sottoscrizione del Protocollo d’intesa contenente le “linee di indirizzo per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale”. Il Protocollo di Intesa Regionale, sottoscritto insieme con il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Giuseppe Martone e la Direttrice del Centro Giustizia Minorile per la Puglia Francesca Perrini, è finalizzato a definire le linee di indirizzo per l’individuazione di procedure omogenee e condivise nell’adozione di misure di prevenzione del rischio suicidario dei detenuti ristretti negli Istituti penitenziari della Puglia e dei minori in carico ai Servizi della Giustizia Minorile, da prevedere nei Protocolli territoriali tra le Direzioni degli Istituti/servizi Minorili e le Aziende Sanitarie locali competenti. Alla firma del Protocollo era presente l’Assessore Regionale alle Politiche per la Salute Ettore Attolini. “Noi - ha spiegato Vendola - stiamo cercando di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, soprattutto sul tema del carcere e dei diritti dei detenuti. In Puglia ci sono stati negli ultimi mesi quattro suicidi e un numero importante di atti di autolesionismo. Perché un detenuto si ferisce, cerca di impiccarsi, si dispera? Perché il carcere è diventato, come risulta dalle denunce di Amnesty International o dalle condanne che subiamo presso la Corte di Giustizia Europea, un luogo disumano e barbarico”. Una delle ragioni principali, secondo Vendola, è il sovraffollamento: “non è possibile, in un carcere in cui possono essere ospitati quarantacinquemila detenuti, collocarne settantamila; significa che è impossibile avere condizioni igieniche, di salubrità e di rispetto della dignità delle persone. Noi dobbiamo sapere che i tribunali condannano alla privazione della libertà personale, non condannano alla privazione del senso della decenza, o alla negazione del diritto alla dignità, all’affettività e a potersi reinserire nella società”. “Un carcere disumano - ha continuato il Presidente della Regione Puglia - è una fabbrica di violenza e di insicurezza, un carcere che rispetta e che offre la possibilità a un detenuto di formarsi per poter un giorno reinserirsi nella società è un carcere che rappresenta un punto di equilibrio e di armonia sociale. Noi ci battiamo contro l’assuefazione a questo scivolamento del circuito penitenziario italiano verso una condizione di ordinaria barbarie”. Vendola ha poi sottolineato il dato pugliese, secondo cui la Puglia ha la più alta percentuale di sovraffollamento pari al 188%. “Non so se negli anni passati - ha evidenziato Vendola - il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, o il Ministero della Giustizia hanno pensato di fare un regalo alla Puglia riempiendo in forma particolarmente intensa le carceri pugliesi, fatto sta che nella nostra regione abbiamo la percentuale più alta di sovraffollamento. È un po’ sospetta questa volontà di mandare tanti esseri umani nelle nostre carceri, considerate, evidentemente, delle discariche e chi le abita dei rifiuti della società. Gli esseri umani, quand’anche avessero commesso dei gravi reati, restano esseri umani e non sono dei rifiuti e le galere non possono diventare delle discariche, ma devono diventare dei luoghi in cui espiare la pena e ritrovare un varco alla speranza di ritornare in società”. “Il sovraffollamento carcerario - ha commentato l’Assessore Attolini - e i casi suicidari e autolesivi dei detenuti sono due fenomeni che hanno una notevole correlazione. Credo sia necessario, quindi, esercitare un’intensa attività di controllo e di monitoraggio che poniamo in essere attraverso la firma di questo Protocollo”. Napoli: Sappe; detenuto si impicca a Secondigliano, anche suo figlio morto suicida in carcere Adnkronos, 1 ottobre 2012 “Un detenuto italiano, A.P., nato nel 1957 e con un fine pena nel 2030 per reati vari, sabato notte si è tolto la vita nel Centro Penitenziario di Napoli Secondigliano”. È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria), spiegando che qualche giorno fa l’uomo “aveva dato fuoco alla sua cella, evidentemente dopo la tragica notizia della morte della moglie, e per questo era stato spostato in altra camera liscia, dove sabato notte si è impiccato con alcuni stracci alla finestra”. L’uomo, aveva perso il figlio quattro anni fa, anch’esso suicida in carcere. Il Sappe torna a denunciare la “tensione nelle carceri italiane, sempre più invivibili. Non è più il tempo delle parole - sottolinea Capece - è il momento di agire concretamente. Denunciamo quasi quotidianamente che quasi tutte le regioni italiane sono fuori legge, ospitano cioè un numero di persone superiore al limite tollerabile delle strutture carcerarie. Tutto questo è inaccettabile”. Il Sappe “da tempo chiede al ministro della Giustizia Severino di sollecitare l’attenzione del Parlamento su ogni utile soluzione legislativa che possa decongestionare concretamente le carceri, a cominciare proprio dalla calendarizzazione del provvedimento sulle depenalizzazioni”. Osapp: tre suicidi in carcere in quattro giorni sono troppi per uno stato moderno “3 suicidi nelle carceri in soli 4 giorni sono molto di più di quanto possa ritenersi ammissibile in uno Stato moderno.” ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Dopo i suicidi di un detenuto di 51 anni a Biella lo scorso 27 settembre e di una detenuta nigeriana di 32 anni a Torino il successivo 29 settembre - prosegue il leader dell’Osapp - ieri 30 settembre un detenuto di 50 anni si è tolto la vita, impiccandosi con le lenzuola in dotazione, mentre era in isolamento presso il centro penitenziario di Napoli-Secondigliano. Da notizie informali che stiamo ancora accertando e che, qualora confermate, darebbero un idea ancora più orribile dell’attuale realtà penitenziaria, sembrerebbe che anche in figlio del detenuto suicidatosi a Napoli abbia perso la vita in carcere. Come se non bastasse - indica ancora il sindacalista - i dati delle detenzioni in atto nelle carceri italiane dimostrano l’irrisorietà delle misure sino ad oggi adottate per deflazionarne il sovraffollamento, tenuto conto che rispetto ai soli 45.849 posti - letto disponibili, negli istituiti di pena sì è passati dalle 66.375 presenze di sabato 29 settembre alle 66.466 di domenica 30 settembre”. “Pur avendo notizia certa che all’avvicinarsi del periodo elettorale, nessuno in Parlamento voglia assumersi l’onere di approvare provvedimenti utili per fa cessare il sovraffollamento quale concausa dell’attuale massacrò penitenziario, da cui l’allungarsi dei tempi, persino, per l’esame dell’ultimo disegno di legge proposto dalla Guardasigilli Severino - conclude Beneduci - come cittadini e come poliziotti penitenziari ci auguriamo che alla Camera dei Deputati ed in Senato prevalgano solidarietà e il senso di responsabilità”. Sassari: detenuto ucciso in cella nel 2007, ministero giustizia risponderà come responsabile civile Ansa, 1 ottobre 2012 Il ministero della Giustizia sarà chiamato a rispondere, come responsabile civile per il ruolo avuto dall’agente della polizia penitenziaria Mario Sanna (accusato di aver aperto la cella), nel processo aperto in Corte d’Assise a Sassari per l’omicidio di Marco Erittu, recluso nel carcere di San Sebastiano a Sassari, ucciso il 18 novembre 2007 perché, sospettano i pm, voleva parlare ai magistrati del ruolo che potrebbe aver avuto Pino Vandi nell’eliminazione del muratore di Ossi Giuseppe Sechi (sparito nel 1993), collegato al sequestro del farmacista di Orune Paolo Ruiu (rapito nel 1992). Lo hanno deciso i giudici della Corte d’Assise accogliendo la richiesta degli avvocati di parte civile, Nicola Satta e Lorenzo Galisai. I difensori del principale imputato, Pino Vandi, gli avvocati Patrizio Rovelli e Pasqualino Federici, hanno chiesto ai giudici il trasferimento in Sardegna del loro assistito, detenuto nel carcere di Vigevano. In aula, oltre a Vandi, era presente Nicolino Pinna, ex detenuto sassarese accusato di aver partecipato all’omicidio e Mario Sanna, agente della polizia penitenziaria di Bonorva che, secondo l’accusa, avrebbe aperto la porta della cella di Erittu e permesso agli assassini di commettere l’omicidio. Gli altri imputati sono gli agenti di polizia penitenziaria Giuseppe Soggiu e Gianfranco Faedda per i quali le accuse sono di favoreggiamento. Ha scelto il rito abbreviato e sarà processato dal Gup di Cagliari, invece, Giuseppe Bigella (falegname di Porto Torres), reo confesso e ora collaboratore di giustizia. Il processo è stato rinviato al 9 novembre. Il processo ripercorre la storia di una morte in carcere e si collega a quella di due sequestrati mai tornati a casa: Giuseppe Sechi e Paoletto Ruiu. Cagliari: nuovo stop a cantiere del carcere Uta, operai senza stipendio protestano in prefettura Agi, 1 ottobre 2012 Gli operai della ditta appaltatrice Opere pubbliche impegnata nei lavori di completamento del nuovo carcere di Cagliari a Uta hanno deciso stamane un nuovo stop del cantiere, Dopo un’assemblea, constatato il mancato rispetto dell’impegno della società a pagare le spettanze, i lavoratori hanno deciso di andare a protestare in prefettura a Cagliari, assieme al segretario regionale della Fillea Cgil, Chicco Cordeddu. “Il terzo trimestre della Cassa edile non è stato pagato”, spiega il sindacalista. “Quindici lavoratori sono stati spostati ad altre opere. Al prefetto chiederemo quali prospettive ci sono, sia per il futuro dei lavoratori, sia per la consegna del carcere nei tempi stabiliti”. Oristano: Confartigianato; imprese attendono pagamento lavori di costruzione nuovo carcere La Nuova Sardegna, 1 ottobre 2012 Non c’è solo il problema del possibile arrivo di camorristi e mafiosi per il carcere di Massama. C’è anche la questione di lavori non pagati che interessa diverse imprese oristanesi. Marco Franceschi, segretario provinciale della Confartigianato, lancia un grido d’allarme legato proprio alla conclusione dei lavori del carcere, tenendo però conto del fatto che le ditte locali hanno raccolto solo le briciole di quanto hanno fatto. Hanno sinora lavorato senza ottenere i compensi che spettano loro. “La cittadinanza e le imprese locali avevano colto l’avvio dei lavori del carcere come un’opportunità di sviluppo, un importante cantiere che avrebbe potuto offrire occasione d’impiego per i lavoratori e di rilancio per le imprese del settore. Tra le imprese locali la struttura di Massama è già tristemente nota, non in funzione del ruolo sociale di detenzione e riabilitazione dei carcerati, ma come drammatico esempio di cattiva gestione del sistema degli appalti che vedono una decina di imprese locali in attesa dei pagamenti di lavori realizzati da ormai troppo tempo. L’impresa incaricata della realizzazione degli scavi o per la fornitura dei materiali per arrivare fino ai lavori specialistici di impianti e delle finiture attendono, da parte dell’impresa aggiudicatrice della costruzione, il saldo di importanti stati d’avanzamento. Responsabilmente le imprese che attendo da troppo tempo di essere pagate per i lavori realizzati e collaudati del carcere non compiono gesti clamorosi, ma chiedono che le stazioni appaltanti si facciano carico del problema consapevoli se non altro di aver omesso la loro opportuna azione di vigilanza e di controllo”. Nel dibattito sull’ipotesi di trasferimento di detenuti in regime di massima sicurezza è intervenuto il segretario provinciale della Cisl. Antioco Patta che ha messo sotto accusa in particolare le scelte unilaterali dello Stato, il silenzio assenso delle istituzioni in cambio dei pochi trasferimenti di agenti sardi nelle carceri isolane. “Quanto sta accadendo mette in evidenza il modo superficiale dello Stato nell’affrontare i problemi legati al mondo carcerario isolano - ha denunciato Antioco Patta. È un baratto dei trasferimenti di mafiosi nell’isola in cambio di pochi agenti di polizia penitenziaria. Ciò che sconcerta è che Roma decide, senza alcuna controparte, di inviare nelle carceri di Massama quaranta mafiosi. Che restino a Napoli. Non è pensabile che Oristano diventi una nuova Caienna - ha tuonato il segretario della Cisl - l’isola e la nostra realtà non se ne fanno niente di questa gente”. Secondo Patta questa vicenda è strettamente legata al disimpegno dello Stato nell’isola, che ha cancellato i servizi essenziali nel territorio. Oltre ad Antioco Patta, protesta Edoardo Tocco, consigliere regionale del Pdl che chiede di convocare subito la commissione per i diritti civili. Avellino: la Provincia istituisce la figura del Garante per i diritti dei detenuti www.irpiniareport.it, 1 ottobre 2012 Nel corso dell’ultima riunione del Consiglio Provinciale è stato approvato il regolamento per l’istituzione del garante per i diritti dei detenuti. Il provvedimento è stato proposto dall’assessore alle Pari Opportunità, Linda Mastrominico, ed è stato fortemente voluto dal presidente Cosimo Sibilia. La Provincia di Avellino è la prima in Campania a dotarsi di questa figura. “In Italia non è ancora stata istituita la figura di un garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma nel 2011 è stata assegnata alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, che non ne ha ancora iniziato l’esame, la proposta di legge C. 4004 riguardante “Istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti o persone private della libertà personale”. Proprio a partire dal 2011 numerosissime Regioni, Province e Comuni hanno provveduto ad istituire un proprio “Garante dei detenuti” con funzioni e competenze in linea con la proposta di legge parlamentare - scrive l’assessore Mastrominico nella sua relazione. Una delle prime Regioni a dotarsi di questo importante istituto giuridico è stata la Regione Campania, che, lo ha istituito con Legge Regionale del 24 luglio 2006, n. 18. Quest’iniziativa, inoltre, è stata già realizzata in altre amministrazioni provinciali: essere detenuto, a qualsiasi titolo, non implica un venir meno di quelli che sono i diritti fondamentali di ognuno. È questa, quindi, la figura più idonea per verificare che alle persone private della libertà personale siano garantite ed erogate tutte le prestazioni finalizzate al recupero, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro, assicurando la finalità rieducativa della pena. La nostra Amministrazione provinciale è la prima in Campania ad istituire la figura del Garante, depositando, di fatto, una pietra miliare in materia di tutela e garanzia dei detenuti, una tematica sociale di sempre più stretta attualità a fronte dell’emergenza sovraffollamento delle carceri italiane, non ultima la Casa Circondariale di Bellizzi Irpino, scenario, per gli ultimi anni, di numerose proteste dei detenuti nonché di tragici episodi di malessere da parte degli stessi. Il Garante assicura l’erogazione delle prestazioni e dei servizi inerenti: al diritto alla salute; al miglioramento della qualità della vita; all’istruzione; all’assistenza religiosa; alla formazione professionale e ad ogni altra prestazione finalizzata al recupero, alla reintegrazione sociale ed all’inserimento nel mondo del lavoro. In particolare, relativamente alla provincia di Avellino, ai sensi del regolamento discusso dalla Prima Commissione Consiliare, attraverso di esso, il nostro Ente si impegna a: 1. promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi provinciali delle persone comunque private della libertà personale, ossia limitate nella libertà di movimento, residenti, domiciliate, dimoranti nel territorio della Provincia di Avellino, con particolare riferimento, per quanto attiene le attribuzioni e le competenze della Provincia di Avellino, ai diritti fondamentali, al lavoro, alla formazione professionale, all’assistenza, alla tutela della salute, allo sport, tenendo conto della loro condizione di restrizione; 2. promuovere iniziative e momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e dell’umanizzazione della pena detentiva; 3. promuovere iniziative congiunte e coordinate con altri soggetti pubblici; 4. esaminare e predisporre iniziative rispetto a segnalazioni che riguardino violazioni di diritti e prerogative delle persone private della libertà personale, ricercando ulteriori informazioni presso autorità competenti; 5. informare e confrontarsi con le autorità competenti riguardo alle condizioni dei luoghi di reclusione, con particolare attenzione all’esercizio dei diritti riconosciuti ma non adeguatamente tutelati; 6. promuovere con le pubbliche amministrazioni interessate dei protocolli d’intesa utili a poter espletare le sue funzioni anche attraverso visite al luogo di detenzione; 7. promuovere i rapporti con tutti gli organismi, istituzionali e non, interessati ai problemi penitenziari. Ringrazio il Presidente, sen. Cosimo Sibilia, per l’impegno profuso per il raggiungimento di questo importante risultato politico, amministrativo ed umano, così come ringrazio il Presidente della Prima Commissione Consiliare, Pio Gagliardi e i componenti tutti che hanno mostrato grande sensibilità ed attenzione per la tematica”. Rimini: agente ferito in carcere da un detenuto con una lametta Rimini Today, 1 ottobre 2012 Un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Rimini, sabato pomeriggio, è stato aggredito da un detenuto. Lo riferisce l’Ansa. L’uomo, trasferito dal carcere di Bologna a quello di Rimini, non è nuovo a gesti simili. Sabato era in fila con altri detenuti per uscire in cortile per l’ora d’aria, quando con una lametta per la barba ha tagliato l’avambraccio della guardia. La guardia ha avuto cinque giorni di prognosi e lunedì mattina, il detenuto, si tratta di un giovane di 22 anni più volte denunciato e arrestato per fatti analoghi, è stato portato in tribunale per la direttissima. Il difensore, l’avvocato Marco Lisei, del foro di Bologna, ha chiesto i termini della difesa, mentre l’imputato non ha rilasciato al giudice alcuna dichiarazione. L’accaduto è stato stigmatizzato in una nota da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). “Fatti del genere non sono tollerabili - continua - e non è possibile che gli agenti debbano subire anche queste aggressioni”. Ragusa: detenuto aggredisce due poliziotti penitenziari Ansa, 1 ottobre 2012 Un detenuto extracomunitario ha aggredito due poliziotti nel carcere di Ragusa. Lo ha reso noto il vice segretario generale del sindacato di Polizia Penitenziaria Osapp Mimmo Nicotra, aggiungendo che probabilmente il detenuto si voleva sottrarre alla normale perquisizione per l’immissione nel passeggio e che tutto è tornato in breve alla normalità. “Ma quanto - si chiede Nicotra - può continuare ancora? Lo diciamo da tempo: chiudiamo la Casa circondariale di Modica e rinforziamo Ragusa con urgenza prima che sia troppo tardi. La struttura è notevolmente sott’organico. Ad oggi lavorano con 50 poliziotti in meno”. Ragusa: nel carcere di Modica inaugurata aula multimediale per i detenuti 9Colonne, 1 ottobre 2012 Oggi, nella casa circondariale di Modica, sarà presentata una nuova aula multimediale, espressamente realizzata per i detenuti nell’ambito del Progetto Opensun. Ideato dall’azienda modicana Sudplus, Opensun è realizzato in collaborazione con l’Istituto tecnico commerciale “Archimede”, il Comune di Modica, Legambiente, l’Associazione Solira (Software libero Ragusa) e il Consorzio Raecycle. L’azione pilota punta alla rigenerazione di computer obsoleti a fini di utilità pubblica e sociale. L’obiettivo è stimolare comportamenti ecosostenibili nei cittadini e nelle pubbliche amministrazioni. La nuova aula, allestita all’interno del carcere, consentirà di svolgere varie attività educative e formative per i reclusi, tra cui anche corsi di informatica sui sistemi Open source. Otto le postazioni informatiche realizzate con Pc raccolti nell’ambito del progetto e “rigenerati” grazie all’intervento dei tecnici di Solira che hanno installato sulle macchine una versione del sistema operativo Linux denominata Debian - Edu, provvista di centinaia di programmi Open source a carattere educativo. Nel corso della presentazione, inoltre, sarà distribuito del materiale informativo sul progetto e sarà data notizia delle altre postazioni informatiche realizzate negli uffici del Comune nell’ambito di Opensun, che andranno ad aggiungersi all’aula multimediale inaugurata recentemente presso l’Itc “Archimede”. Chieti: “Back to school”, interventi a sostegno della genitorialità in carcere Comunicato stampa, 1 ottobre 2012 Nell’ambito del percorso di sostegno alla genitorialità di questa Casa Circondariale, si è organizzata un’iniziativa in favore dei figli minorenni dei detenuti intitolata “Back to school” e svoltasi il 12 e 13 settembre 2012, ovvero nelle giornate di colloquio immediatamente precedenti alla settimana di riapertura delle scuole. In prossimità della zona rilascio colloqui è stato allestito un front point opportunamente decorato per l’occasione dove, a turno, vari operatori dell’Istituto hanno omaggiato i bimbi di materiale scolastico. Tale iniziativa ha perseguito il triplice scopo di: valorizzare agli occhi dei detenuti l’impegno scolastico dei figli come imprescindibile momento di crescita culturale e sociale (anche in considerazione della prossima riattivazione dei corsi scolastici interni e rivolti proprio alla popolazione detenuta); rappresentare un segno di vicinanza della Casa Circondariale alle famiglie, che rappresentano la società libera più prossima all’Istituzione penitenziaria e più meritevole di sperimentare la funzione trattamentale della pena; offrire un sostegno economico ai familiari dei detenuti, considerati gli alti costi dei materiali scolastici. L’organizzazione dei momenti sopra descritti è stata realizzata grazie al lavoro di rete territoriale intrapreso in questi anni, dato che sono stati utilizzati buoni spesa offerti dal Centro Servizi per il Volontariato di Pescara. Il Direttore Dott.ssa Giuseppina Ruggero Nuoro: boss della sacra corona rinchiuso a Badu e Carros “noi detenuti come pacchi postali” www.sardegnaoggi.it, 1 ottobre 2012 C’è anche Marcello Dell’Anna, 45 anni, di Nardò, neo dottore in Giurisprudenza, tra i 18 ergastolani che, di recente, sono stati trasferiti da Spoleto nella Casa Circondariale di Bad’e Carros di Nuoro. L’uomo, in carcere da 20 anni, lamenta di essere stato mandato a Nuoro per la necessità di aumentare i posti letto della sezione AS3 del carcere umbro. “Tale assegnazione - ha scritto alla presidente di Sdr Maria Grazia Caligaris - ha compromesso seriamente il mio lodevole percorso rieducativo, i miei studi universitari e i miei affetti familiari. Noi detenuti non siamo considerati persone ma pacchi postali, numeri di matricola, mere pratiche da evadere in spregio di questo Stato che vanta illustri nomi di civiltà e giustizia”. “Il caso dell’ex esponente di spicco della Sacra Corona Unita - sottolinea Caligaris - richiama con evidenza la questione della territorialità della pena e del peso da riconoscere alla rieducazione specialmente quando è attestata da encomi per comportamenti distinti, pubblicazioni di libri e diplomi di laurea. Il principio della rieducazione, sancito dalla Costituzione e dalla legge sull’Ordinamento Penitenziario, non può essere sacrificato per ampliare il numero dei posti letto. In questo modo non solo si demotiva il cittadino privato della libertà ma si ledono i suoi diritti negando la stessa funzione dell’Istituzione carceraria”. Marcello Dell’Anna, che ha ricevuto diversi encomi per meriti diversi dopo un lungo periodo di carcere duro a Novara, è autore di due libri. Lo scorso 25 maggio ha ottenuto 14 ore di libertà, senza scorta, in occasione della laurea che ha conseguito a Pisa con il massimo dei voti. Sposato e padre di un giovane di 24 anni, intendeva proseguire gli studi essendosi iscritto ad un ulteriore corso ma il trasferimento gli impedisce di continuare il percorso riabilitativo e formativo. Ha quindi inoltrato al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria un ricorso gerarchico per un immediato trasferimento in un Istituto dove sia possibile studiare e effettuare i colloqui con i familiari. Sta lavorando a un nuovo libro nonostante negli ultimi sette mesi abbia subito due trasferimenti. Dopo 7 anni a Livorno è stato trasferito a Spoleto e quindi a Nuoro. “Essere detenuto a Nuoro è come se mi avessero riportato indietro di vent’anni e questo mi rifiuto di accettarlo perché il mio passato è per me morto e sepolto. Io rappresento la vittoria del sistema carcerario sul crimine”. Perugia: Ispettore di Polizia Penitenziaria accusato di stupro nel carcere di Capanne Ansa, 1 ottobre 2012 “L’ispettore della polizia penitenziaria del carcere perugino di Capanne, R. A., ex vicecomandante del Reparto, è accusato di violenza sessuale con l’aggravante di aver agito su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale e di concussione nei confronti di una vigilessa di Milano, arrestata ma poi scarcerata e assolta”. Lo rivela l’edizione umbra del quotidiano fiorentino “La Nazione”. “I fatti al centro dell’inchiesta svolta dalla polizia della sezione di polizia giudiziaria di Perugia”, si legge ancora sulle pagine de La Nazione, “coordinati dal pubblico ministero Massimo Casucci - sarebbero avvenuti nella sezione femminile della Casa circondariale tra dicembre 2006 e gennaio 2007. A denunciare il poliziotto è stata la stessa vittima degli abusi dopo il “caso - Amanda Knox”. “Quando ho letto il nome di A. quale presunto autore delle molestie in danno di Amanda ho pensato che era arrivato il momento giusto per riferire quanto accadutomi. Ho il desiderio che una persona che approfitta di situazioni di soggezione psicologica non possa farlo più”. Nel corso delle indagini la polizia ha sentito come persone informate dei fatti anche le agenti della sezione femminile: alcune avrebbero confermato e continue visite dell’Ispettore nel braccio e di essersi allontanate per qualche minuto. L’ispettore, da qualche mese in pensione, è difeso dall’avvocato Daniela Paccoi. Milano: sport terapeutico per i detenuti del carcere di Opera di Sonia Carrera www.2duerighe.com, 1 ottobre 2012 Il movimento fisico, oltre ad apportare benefici evidenti sul corpo, può essere considerato un “toccasana” per la mente. Lo sport, se praticato con regolarità e senza eccessi, agisce positivamente anche sull’umore. Fare attività fisica, infatti, aiuta a rilassare le tensioni muscolari, favorendo il sonno, uno degli alleati più importanti del buon umore. È della per questo che all’interno struttura carceraria di Opera, nel teatro di Massima sicurezza, si è scelto lo sport come protagonista dello spettacolo di quest’anno, organizzato dall’Associazione Cisproject, nell’ambito della propria programmazione dei Laboratori di Leggere Libera - mente. È stata selezionata uno disciplina sportiva, in particolare: la pallacanestro. L’evento, che si è ispirato al libro di Gianfelice Facchetti “Se no, che gente saremmo?” (che tutti i partecipanti al corso avevano letto approfonditamente prima dell’incontro), ha invogliato particolarmente a praticare attività fisiche, a giocare, resistere e non abbattersi mai. Lo sport come un pretesto per approfondire i pensieri di quelle persone un pò dimenticate dalla realtà della società. L’individuo che conduce una vita all’interno di una struttura carceraria, ha poche occasioni per poter sfogare le proprie energie e liberare i suoi sentimenti. Nessuna valvola di sfogo più efficace del movimento fisico, per esprimere la propria forza e fare delle energie che risiedono in esso un appagante strumento liberatorio. Le situazioni di disagio fisico e psicologico che devono affrontare i detenuti è di notevole portata e degno di interesse per il loro sano reinserimento nella società, o anche per salvaguardarli in un futuro in cui probabilmente non avranno più possibilità di scegliere. L’aggressività, la più diffusa reazione del carcerato, “vittima” di una vita monotona e limitata, è comunque l’energia che, se ben indirizzata può aiutare a strutturare la propria personalità. Un accumulo di forze che, attraverso le giuste attività e modalità di liberazione, possono aiutare a creare responsabilità ed entrare in contatto con gli altri e la società. L’incontro, condotto da Barbara Rossi - presidente di Cisproject - con la collaborazione di Silvana Silvana Cerruti, ha goduto, non a caso, della preziosa presenza dell’ex campione olimpico Pier Luigi Marzorati (oltre che leggenda del basket italiano, primatista assoluto di presenze in nazionale, ambasciatore Unicef, Presidente Regionale del Coni e Presidente della Fondazione Casartelli) e del giornalista sportivo Alberto Figliolia. Come in un incontro di basket, in cui il “Pierlo” ha descritto la sua vita con quatto semplici parole chiave: sogno, squadra, errori ed emozioni. “Sogno: perché tutti hanno un sogno che come i grandi campioni devono inseguire. Squadra e errore: per capire e riconoscere gli errori e da questi stessi ricostruire sia la squadra che metaforicamente la vita. Emozione, perché comunque lo sport, qualsiasi sport è un circolo virtuoso di costanza, coerenza e emozione che più ti diverte, più ti alleni; più ti alleni, più migliori; più migliori, più ti diverti”, ha detto l’ex campione olimpico. E a proposito di emozioni, che nel Teatro del carcere di Opera non sono mancante, un momento particolare durante lo spettacolo è stato il più commovente: alcuni detenuti hanno lette delle poesie, racconti, o note biografiche, dei corsisti sul tema dello sport. Un’iniziativa fuori dal comune, che ha dato spazio ad una realtà di vita abbandonata dal mondo, degna di un meritevole riconoscimento di sensibilità. Immigrazione: LasciateCIEntrare; gravi violazioni nel Cie si Lamezia Terme Adnkronos, 1 ottobre 2012 Le indegne condizione di trattenimento di migranti rivelate dalle immagini fotografiche realizzate da un team di Medici per i Diritti Umani (Medu) durante una visita nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Lamezia Terme, confermano quello che la campagna LasciateCIEntrare denuncia da mesi: i CIE sono luoghi di continue e sistematiche violazioni dei diritti e della dignità umana e vanno chiusi immediatamente. Il Cie di Lamezia Terme era già a molte riprese stato definito come uno dei peggiori d’Italia poiché privo dei minimi requisiti di vivibilità. Alla luce della visita effettuata dai medici dell’organizzazione Medu, “la struttura appare del tutto inadeguata a garantire la permanenza dignitosa dei migranti “reclusi” per detenzione amministrativa. La mancanza di qualsiasi attività ricreativa, la carenza di servizi essenziali per i trattenuti, la chiusura pressoché totale all’apporto di organizzazioni esterne, alcune pratiche francamente sconcertanti e lesive della privacy della persona rendono la struttura priva dei requisiti minimi di vivibilità in condizioni di capienza a regime”. Desta particolare allarme la difficoltà a garantire in modo adeguato il diritto alla salute al suo interno (come dimostra il caso clinico dell’immigrato costretto in assenza di visite e cure specialistiche ad inventarsi una fisioterapia fai da te). Queste strutture rappresentano, infatti, una grave violazione del diritto alla salute, come denunciato da Medu e dalle organizzazioni che hanno aderito alla campagna LasciateCIEntrare. Al suo interno sono state inoltre riscontrate pratiche di umiliazione dei detenuti (si veda la gabbia per la rasatura della barba) assolutamente sconcertanti che non sono casi isolati o limitati al Cie di Lamezia Terme, ma sono stati riscontrati in altri centri. Alla luce di quest’ennesimo rapporto sulla violazione della dignità umana e sulla base di un monitoraggio sistematico delle condizioni di vita nei Cie, ribadiamo che il sistema dei Cie è inefficace e fallimentare ed è perciò impellente rivedere l’attuale normativa sul tema della detenzione amministrativa. Solo dieci giorni fa il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks, a seguito della sua visita a Roma dal 3 al 6 luglio 2012, aveva presentato un rapporto rivolto alle autorità italiane in cui le esortava “a eliminare gradualmente la pratica della detenzione amministrativa dei migranti irregolari in strutture simil-carcerarie, favorendo piuttosto misure alternative più idonee, e a promuovere il ricorso ai programmi di rimpatrio volontario”. Medio Oriente: Organizzazione per i diritti umani; 1.400 malati tra i detenuti palestinesi InfoPal, 1 ottobre 2012 Un’organizzazione per i diritti umani ha affermato che 1.400 prigionieri palestinesi nelle carceri dell’occupazione israeliana stanno soffrendo a causa della “deliberata negligenza medica che contribuisce a peggiorare le loro condizioni di salute”. L’organizzazione Sostenitori dei prigionieri, in un rapporto pubblicato sabato 29 settembre dal titolo “I prigionieri malati, tra la morte e il ricatto”, ha lanciato l’allarme sulla gravità delle condizioni di salute dei detenuti, e il peggioramento della loro sofferenza nell’ultimo periodo. E ha affermato che “se non si intraprenderanno delle azioni immediate sia a livello arabo che internazionale, per premere sul governo israeliano perché fornisca velocemente tutte le cure necessarie ai malati, e si fermino tutte le forme di ricatto e di estorsione nei loro confronti, alcuni prigionieri usciranno dalle carceri dentro alle bare”. Nel rapporto si legge: “Nel cosiddetto ospedale di Ramleh, che ospita attualmente 22 prigionieri malati e sottoposti a continue sanzioni, assalti e ispezioni, mancano le cure mediche elementari. “Inoltre i detenuti sono trasferiti in furgoni speciali, con le mani e i piedi legati e sotto stretta sorveglianza. Nelle prigioni israeliane, in generale, manca il personale medico competente, e spesso quest’ultimo è formato solo da un medico di medicina generale, presente solo per due ore a settimana nella cosiddetta clinica della prigione. Tutto ciò, in aggiunta alla scarsità di medicine - spesso si trovano solo degli anti - dolorifici - , evidenzia l’esasperazione dei prigionieri malati”. Il rapporto ha anche sottolineato che “un gran numero di prigionieri malati di diabete, pressione alta, complicazioni cardiache e renali, e problemi respiratori, sono stati arrestati. Inoltre, nelle carceri israeliane ci sono 18 detenuti affetti dal cancro che avrebbero bisogno di cure specifiche, ma l’amministrazione carceraria ritarda in modo sistematico le visite mediche, le analisi cliniche e le risonanze magnetiche necessarie, con il conseguente propagarsi del tumore nei corpi dei pazienti”. Il rapporto ha aggiunto che “alcuni prigionieri soffrono di disturbi psicologici dovuti alle torture subite nei centri per gli interrogatori sotterranei, o ai lunghi periodi trascorsi nelle celle di isolamento”. La relazione ha osservato che “i prigionieri malati “vengono ricattati e vengono loro estorte confessioni dai servizi segreti israeliani e dalle varie direzioni carcerarie in cambio delle cure mediche. Ciò dimostra che queste ultime sono disponibili, ma vengono fornite solo dopo aver ricattato i pazienti”. Bahrein: condannati medici e infermieri, accusati di avere trasformato ospedale in centro rivolta Ansa, 1 ottobre 2012 La Corte di Cassazione del Bahrein ha confermato oggi le condanne da 5 anni a un mese di reclusione per nove medici e infermieri di un ospedale di Manama riconosciuti colpevoli di avere trasformato il nosocomio in un centro per l’organizzazione delle proteste e atti illegali contro il regime, durante le manifestazioni dell’opposizione del febbraio 2011. Ne dà notizia l’agenzia ufficiale Bna dell’emirato. Uno degli imputati è stato condannato a cinque anni di reclusione, un altro a tre anni e altri sette a pene da un anno a un mese. È stata così confermata la sentenza del giugno scorso contro i nove imputati, tutti ex dipendenti dell’ospedale Al Salmaniya. Altri nove erano stati assolti, mentre due, condannati ciascuno a 15 anni di reclusione, hanno rinunciato a presentare appello e si sono resi irreperibili, probabilmente riparando all’estero. Gli imputati erano stati rilasciati lo scorso anno, dopo proteste internazionali e denunce di torture in carcere. Le proteste contro la casa regnante sunnita del Bahrein, che hanno visto protagonista la maggioranza sciita della popolazione, sono state stroncate nel marzo del 2011 con l’intervento delle truppe dell’Arabia Saudita. Il Bahrein ha accusato l’Iran, principale Paese sciita, di avere fomentato le proteste.