Giustizia: contro la vita sconfitta… di Francesco Lo Piccolo (Giornalista, direttore di “Voci di dentro”) www.huffingtonpost.it, 17 ottobre 2012 Dalle carceri italiane escono grida che nessuno sta a sentire. L’ultimo grido è di qualche giorno fa a Belluno ed è l’ennesimo suicido di un detenuto. Aveva solo 27 anni e la sua vita è finita lì, chiusa in un sacco di cerata nero con la cerniera, chiusa e dimenticata come quella di tanti altri detenuti morti suicidi in carcere: 44 dall’inizio del 2012... 100 dal gennaio 2011... 736 morti suicidi dal 2000. Vita-morte condensata e dimenticata con un breve lancio di agenzia, con due righe su qualche giornale locale: “... per togliersi la vita ha usato la cintura dell’accappatoio fissata ad una grata del bagno della sua cella. Si chiamava Mounir Bachtragga, era tunisino”. Non so chi era Mounir, ma posso immaginare che era uguale a tutte le altre 66 mila persone che popolano i 206 istituti italiani, giovane come lo sono l’80 per cento dei detenuti, forse in cella per reati connessi alla droga come la metà dei carcerati, sicuramente senza lavoro come la quasi totalità dei 60 mila e passa detenuti, infine straniero come lo sono un terzo di tutta la popolazione carceraria. Uno che non ce l’ha fatta e che come i tanti altri morti suicidi in carcere ci continua a mostrare l’orrore della vita sconfitta, ci fa sentire l’Urlo di Edward Munch, l’urlo di chi è solo nel mondo, di chi non vede più l’altro, l’amico, il fratello, l’uomo. E neppure vede più se stesso. L’urlo che cade nel silenzio, perché nessuno sta a sentire o al massimo fa subito tacere quella massima richiesta di aiuto dando la colpa alla depressione, convincendosi che a monte di quel gesto estremo ci sono problemi psichici, che era debole, che si sarebbe ucciso anche fuori dal carcere di fronte alla prima difficoltà, che ci sono concause. Magari fosse così, ma così non è. Perché davvero quello che ci mostrano Mounir e gli altri 736 detenuti suicidi non è la follia individuale (e comunque non si capisce perché debbano essere rinchiusi in carcere), ma la follia esteriore, la follia del mondo ordinato, la follia del nostro tempo. Ci mostrano la vita sconfitta. Come me l’ha mostrata un mese fa D.S., detenuto che conosco bene perché scrive per Voci di dentro: dopo due anni di carcere per una serie di truffe, con un fine pena molto lontano negli anni, ha inghiottito 150 pillole tra Tavor e altri farmaci. Una scorpacciata di tranquillanti per farla finita una volta per tutte, per non tirare a campare - mi ha scritto - per smettere di campare in una cella, in un posto di m... , senza futuro. D.S. per fortuna si è salvato, e dopo due giorni di incoscienza, ha riaperto gli occhi. E ha aperto anche i miei se già non lo erano. Lì dentro, chiusi 24 ore su 24, stretti in celle, condannati a star male per riparare a un male che hanno fatto, alla gran parte dei detenuti vengono tolte le speranze di un cambiamento, vengono vietati sogni e desideri di riscatto. Ed è davvero un mare in burrasca quello delle carceri, un mare in tempesta dove la pena, così come ora è, non ha alcun senso rieducativo, è inutilmente coercitiva e mortificante, mette insieme malati e sani, distrugge dignità, e toglie vite umane. E i tanti suicidi o per fortuna tentati suicidi non fanno altro che mostrare la realtà carceraria per quello che è: in troppi casi un posto sbagliato, una costruzione antiquata e barbara. A D.S. giorni fa, ho scritto una lettera, che chiudeva così: “[...] ma, caro amico, arrendersi non serve, tirare la spugna ancora meno. Siamo in ballo e bisogna ballare perché noi sappiamo bene quello che va fatto affinché la vita, anche quella dentro una cella, non sia un tirare a campare e affinché siano altri e non noi gli uomini della resa, affinché siano quelli che pensano ‘fatti la galerà coloro che devono rimangiarsi le loro convinzioni...[...] dammi una mano a vincere, per me, per te, per tutte quelle persone che spesso finiscono in carcere, come ha sostenuto il cardinale Martini, per ignoranza, mancanza di realismo, irresponsabilità, asocialità, istinti negativi, condizioni di abbandono, cattiva educazione. Insomma non sempre per loro colpa”. L’altro giorno quando sono venuto a trovarti ti ho lasciato una frase, “un abbraccio” ho scritto sulla copertina di Voci di dentro. L’ho lasciata a un agente che era di guardia alla tua stanza d’ospedale. Una brava persona. Anche per lui, per gente come lui, non si deve mollare”. Contro la vita sconfitta. Giustizia: eppure il sovraffollamento non è una calamità naturale, né un mostro invincibile… di Franco Corleone Il Manifesto, 17 ottobre 2012 Il Presidente Napolitano ha di recente rivolto l’ennesimo invito al Governo e al Parlamento per approvare misure strutturali e cancellare la vergogna di una condizione carceraria che vanifica l’articolo 27 della Costituzione (oltre a umiliare l’Italia in Europa). La settimana scorsa, i Garanti dei diritti dei detenuti hanno tenuto contestualmente quindici conferenze stampa indicando misure concrete da prendere subito. Silenzio, assoluto e impenetrabile, da parte del governo. Non si sa se attendere rassegnati l’Apocalisse oppure ribellarsi e insistere per senso di responsabilità fino alle estreme conseguenze. Il sovraffollamento non è una calamità naturale né un mostro invincibile: basta decidere di affrontare le cause strutturali, “facendo le riforme”, come si usa dire. È urgente un decreto legge per cancellare le norme più vergognose e “affolla-carcere” della legge sulle droghe, alla radice della crescita incontrollata dei detenuti. Solo l’anno scorso sono entrate in prigione in violazione della normativa antidroga 28.000 persone (fra consumatori e piccoli spacciatori), mentre sono 15.000 i tossicodipendenti ristretti su un totale di quasi 67.000: la metà dei detenuti ammassati e stipati nelle patrie galere hanno a che fare con la legge proibizionista e punitiva del 2006. Legge che, in spregio alle norme costituzionali sulle ragioni di necessità e urgenza dei decreti, fu inserita abusivamente nel decreto legge sulle Olimpiadi. Il Presidente Napolitano ha invocato misure di “prepotente urgenza”: queste parole, se non vengono archiviate come esercizio di retorica, obbligano il Governo (e precipuamente la ministra della Giustizia Severino) a emanare un decreto legge per evitare l’arresto agli accusati di fatti di lieve entità e per far uscire i tossicodipendenti e inviarli a programmi alternativi (oggi per lo più preclusi da vincoli assurdi e dall’applicazione della legge Cirielli sulla recidiva). Un provvedimento giusto, fondato e indispensabile. Non è dignitoso baloccarsi con l’annuncio di misure parziali e ininfluenti, come la messa alla prova e generiche depenalizzazioni, senza aggredire il macigno della normativa antidroga. Se un decreto legge per modificare le norme più discutibili della legge antidroga è la priorità, altre cose buone si possono fare, dall’introduzione del reato di tortura, alla legge per l’affettività in carcere. La riforma del carcere non si realizza con la costruzione di nuove galere ma con l’applicazione del Regolamento del 2000, per garantire condizioni di vita dignitose che favoriscano il reinserimento sociale dei detenuti. È paradossale che il governo non trovi i fondi per la legge Smuraglia sul lavoro in carcere mentre rifinanzia il contratto con la Telecom fino al 2018 per i fantomatici braccialetti elettronici, quando la Corte dei Conti ha denunciato lo spreco di 110 milioni di euro in dieci anni per l’utilizzo di soli15 apparecchi di controllo per la detenzione domiciliare (sic!). Infine, l’agenda della politica in vista delle elezioni. La riforma della giustizia, da terreno di scontro, può divenire il fondamento del patto sociale, con l’approvazione (finalmente!) del nuovo codice penale. Non è immaginabile una stagione di ricostruzione del Paese se non si mette al centro l’affermazione del diritto, dei diritti umani e del garantismo. Giustizia: le richieste dei Garanti dei detenuti al Governo e al Parlamento per le carceri italiane Il Manifesto, 17 ottobre 2012 La piattaforma della mobilitazione dei Garanti dei diritti dei detenuti con le richieste al Governo e al Parlamento per le carceri italiane. L’estate più calda degli ultimi dieci anni sta finendo. Nelle carceri si è sofferto senza aria condizionata in silenzio ed è stato pagato un tributo di morti. Anche in questi giorni si sono verificati numerosi suicidi. Il numero dei detenuti che si era stabilizzato sta ora risalendo in maniera preoccupante. Il Governo si prepara agli ultimi sei mesi di attività. Il carcere deve essere una priorità assoluta. Il Presidente della Repubblica ha denunciato nuovamente l’intollerabilità della situazione delle carceri e ha sollecitato interventi urgenti e indilazionabili per interrompere lo stato di illegalità. Occorre quindi una sessione straordinaria di Camera e Senato per affrontare i provvedimenti che dimostrino una attenzione non di circostanza. La ministra Severino ha annunciato la approvazione del provvedimento sulla detenzione domiciliare e la messa alla prova: non basta. I Garanti chiedono al Governo l’emanazione di un decreto legge per il cambiamento della legge sulle droghe e la legge Cirielli per garantire misure alternative ai tossicodipendenti e per eliminare l’ingresso in carcere per i fatti di lieve entità previsti dalla legge sulle droghe. I Garanti chiedono al Parlamento l’approvazione di cinque provvedimenti immediatamente e senza indugio: 1) Modifica della legge Giovanardi secondo la proposta di legge dell’onorevole Cavallaro n. 4871 e la proposta di legge del senatore Ferrante n. 2798. 2) Ratifica del Protocollo addizionale dell’Onu sulla tortura. 3) Approvazione della legge sull’affettività in carcere. 4) Approvazione della legge sulla introduzione del reato di tortura nel Codice Penale. 5) Approvazione dell’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti dei detenuti. I Garanti chiedono al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: 1) Un Piano per l’applicazione integrale del regolamento del 2000. 2) Garanzie per la territorialità dell’esecuzione della pena. 3) Trasparenza per l’utilizzo dei fondi della Cassa ammende. 4) Esame delle realizzazioni del piano carceri con il Commissario Sinesio. 5) Copertura della pianta organica degli educatori e dei ruoli dei direttori. 6) Finanziamento della Legge Smuraglia e salvaguardia delle mercedi per il lavoro in carcere. 7) Applicazione della previsione del rimpatrio come misura alternativa dei detenuti stranieri. I Garanti lanciano una mobilitazione di trenta giorni per il raggiungimento degli obiettivi indicati. In ogni città dove è presente il Garante si organizzeranno momenti di discussione pubblica attraverso la presentazione di libri sul carcere, incontri con il volontariato, con l’avvocatura e con la magistratura di sorveglianza, confronti con le istituzioni locali, Comune e Provincia, e con la Regione per definire progetti per il lavoro e per la riforma della sanità e con i Prefetti per trasmettere al Governo le richieste. Il risultato sarà la definizione di una piattaforma per superare le criticità dei singoli Istituti. Una questione da dibattere e definire sarà quella del superamento e delle modalità di chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Le forme dell’iniziativa saranno decise da ogni singolo Garante e annunciate in una Conferenza Stampa contemporanea in tutte le città. È ipotizzabile un digiuno a staffetta per i trenta giorni di mobilitazione. Un momento eclatante sarà costituito dalla presenza dei Garanti nelle carceri per tre intere giornate, notte e giorno o da altre forme di denuncia dei tempi di attesa per l’ingresso in carcere delle famiglie. Sarà una occasione per verificare la vita negli Istituti nelle 24 ore e soprattutto per un confronto con la popolazione detenuta e con tutti gli operatori presenti, dai direttori agli educatori, dalla polizia penitenziaria ai medici, dai volontari agli infermieri. Il resoconto costituirà un interessante Diario di bordo. I Garanti chiedono buone pratiche e buona amministrazione, ma sanno che non è sufficiente. Occorre mettere mano a una riforma del carcere. Lo stato delle patrie galere è indicativo della crisi della giustizia e tale questione deve essere presente nell’agenda della politica proprio in un momento di definizione dei programmi per la nuova legislatura. Questa iniziativa intende coniugare il miglioramento delle condizioni di vita attuali e il radicamento della cultura dei diritti. L’applicazione delle leggi esistenti e il cambiamento a cominciare da un nuovo Codice Penale. Insomma è il tempo del pane e delle rose. Giustizia: amnistia? è un’idea pericolosa… troppi banditi in giro di Rino Cammilleri Il Giornale, 17 ottobre 2012 Caro Feltri, la tua appassionata perorazione a favore dell’ennesima amnistia è comprensibile, anche perché le ragioni che hai addotte sono sacrosante. Ma ti invito a spingere il tuo sguardo un po’ più in là e scrutare le conseguenze future (nemmeno tanto remote). Un decreto svuota-carceri - non ti sfugge - sarebbe un momentaneo palliativo, come tutti quelli precedenti, e nel lungo periodo non solo riproporrebbe fatalmente la solita situazione ma potrebbe portare a effetti anche peggiori. E non sarebbe la prima volta che, per la legge dell’eterogenesi dei fini (Vico, ripreso da Del Noce), tramuterebbe le buone intenzioni nel loro esatto contrario. Mi spiego. Vedi, ormai non c’è angolo d’Italia che non sia controllato da telecamere e la domanda di sicurezza cresce a ritmo esponenziale, al pari della criminalità spicciola e diffusa, quella che più temono i cittadini comuni (il furto da parte di un pubblico amministratore di un milione di euro indigna, sì, ma è meno percepito dello sgozzamento del vecchietto vicino di casa per una manciata di euro). Svuotando le patrie galere verrebbe rimessa, sì, in libertà un sacco di gente in cella per “carcere preventivo”, quella cosa ignobile di cui giustissimamente ti lamenti; ma anche una spaventosa torma di micro delinquenti, che l’attuale situazione di crisi economica fatalmente reinserirebbe nel circuito criminale. Questi ultimi personaggi, per via del buonismo politicamente corretto (e anche, ma sì, clericale) e di certi magistrati col cuore più grande del necessario, sono quelli che rendono le nostre contrade invivibili e provocano esasperazione. Anche elettorale. Esasperazione che alimenta, in un circolo vizioso, la richiesta di sempre più telecamere, sempre più polizia, sempre più controlli. Prima o poi accadrà che la gente - soprattutto i moderati - ne avrà le tasche piene e a furor di popolo acclamerà il primo che gli prometterà una vita quotidiana finalmente in pace. Questo dittatore (democratico, cela va sans dire) troverà la pappa già pronta e non se la farà sfuggire: telecamere dovunque, polizia dappertutto, leggi e leggine e decreti che hanno già trasformato il nostro Stato in un orwelliano Grande Fratello (per giunta, persecutore fiscale) a disposizione del primo furbo che saprà intercettare la voglia popolare di tranquillità nell’ordine (definizione tomista di “pace”). Se ti piacciono gli esempi storici, eccone uno: la monarchia assoluta francese concentrò tutto il potere nella capitale - in modo soft, ci mise un secolo; così, ai giacobini bastò impadronirsi di Parigi per avere l’intera Francia in pugno e scatenare per tutta l’Europa quel che sai. Altra cosa: può uno scafato marpione come te non sapere che gli abbracci di Pannella tolgono molti più voti di quei pochi che portano? Naturalmente, hai ragione da vendere sullo stato delle nostre carceri, sul loro sovraffollamento e sull’uso non di rado discutibile della carcerazione preventiva. Ma è davvero molto pannelliano il rimedio proposto: tutti fuori. Rendere le celle meno disumane, porre rimedio all’uso disinvolto della detenzione preventiva, attivare i penitenziari costruiti e nemmeno inaugurati, assumere agenti di custodia (che sarebbero nuovi posti di lavoro, di cui c’è fame crescente) è davvero impossibile? Il metodo dei radicali è sempre lo stesso: poiché non si riesce a contrastare il male, liberalizziamolo. Ma i lettori (ed elettori) del “Giornale” (e del centrodestra), quando mai sono stati d’accordo? Come vedi, parlo da cittadino comune, non da scrittore cattolico, e sull’eutanasia mi taccio proprio. Ad essa sono contrario in linea di principio, ovviamente, ma a te lo posso anche dire: per conto mio, se uno si vuole ammazzare, faccia pure. Solo, da credente, è mio dovere avvisarlo che, se l’Aldilà è quello che dico io, potrebbe trovarsi anche peggio, molto peggio. Pure su questo, dunque, rinnovo il mio consiglio a lasciar perdere Pannella e le sue battaglie “civili”. Giustizia: amnistia misura utile a riparare i guasti, criminale è lo Stato che gestisce le carceri di Vittorio Feltri Il Giornale, 17 ottobre 2012 Caro Cammilleri, la tua lettera parte male. Parli di “ennesima amnistia”, quando l’ultima - voluta dai comunisti allo scopo di salvarsi dalla galera per aver ricevuto finanziamenti illeciti dall’Unione Sovietica risale a oltre vent’anni fa. Quindi, ti invito a spingere lo sguardo all’indietro: troverai solo un indulto (che estingue la pena ma non il reato), peraltro sollecitato da Giovanni Paolo II che, mi pare, fosse cattolico almeno quanto te. Ma potrei sbagliarmi. Non mi sbaglio di sicuro se ti dico che i reati in Italia, specialmente gli omicidi, sono diminuiti sensibilmente negli ultimi tempi. Le nostre carceri sono sovraffollate per due motivi: metà della popolazione detenuta è costituita da gente in attesa di giudizio, e oltre un terzo da poveracci extracomunitari entrati nel nostro Paese senza permesso di soggiorno, senza lavoro, senza soldi e datisi ad attività illegali per garantirsi la sopravvivenza. Non ti passa per la mente che lo Stato abbia delle responsabilità in merito all’eccessivo ricorso alla custodia preventiva e in merito agli stranieri che ha accolto indiscriminatamente evitando poi di occuparsi di loro? È intelligente ospitare qualcuno a casa tua trascurando di dargli da mangiare e poi, se ruba il prosciutto dal frigo, mettergli le manette? Certi accoglimenti sono peggiori dei respingimenti. Informati presso la Caritas, conia quale dovresti essere in buoni rapporti, e scoprirai che nulla è stato fatto per far scontare le pene ai carcerati stranieri nel loro Paese anziché nel nostro. Io non sono buonista, ma cattivista. Per questo mi allarmo: lo Stato italiano è fuorilegge, condannato dall’Unione europea per la pessima gestione della Giustizia e del sistema carcerario. Uno Stato criminale come il nostro non ha titoli per amministrare l’apparato giudiziario. Deve riformarsi e adeguarsi alle regole dell’adorata Ue. Per fare ciò, il primo passo che è costretto a compiere è quello dell’amnistia. Essa consente non solo il ripristino della legalità nelle prigioni, dove ti prego di entrare quale visitatore (esperienza istruttiva, pedagogicamente rilevante), ma anche nei tribunali, soffocati da processi arretrati, molti dei quali destinati alla prescrizione, ossia a un’amnistia in maschera. Il “decreto svuotacarceri” (la definizione è tua) è indispensabile anche per un secondo fine: aggiustare i guasti della giustizia, introdurre pene alternative alla reclusione, riscrivere le norme sulla custodia cautelare, rivedere il codice penale. In due battute: azzerare e ricostruire in base alle indicazioni comunitarie. È falso dire che il rimedio pannelliano sarebbe quello del “tutti fuori”. Sono amnistiabili solo certi reati, i meno gravi. Temo che tu non conosca il problema. Prendiamo i tossicodipendenti. Vanno in galera, dove ci costano 200 euro ciascuno al dì, vi si trattengono due, tre, cinque anni e, quando escono, riattaccano daccapo a delinquere perché drogati erano e tali rimangono. Se invece li mandi in comunità costano poco più di 50 euro al giorno e nel 70-80 per cento dei casi sono recuperabili. Cosa conviene fare? Una frase della tua lettera è addirittura offensiva. Dici: “Gli abbracci di Pannella tolgono molti più voti di quei pochi che portano”. A me dei voti non importa nulla. Mi preme il grado di civiltà dell’Italia, un pezzo della quale - le carceri - è sprofondato nell’illegalità. Auspichi la costruzione di nuovi penitenziari. Come se da noi fosse facile. La priorità è far funzionare e rendere vivibili quelli che abbiamo. Due righe conclusive sull’eutanasia. Anche qui fai confusione. Un conto è appunto l’eutanasia (su cui ho già scritto: inutilmente, considerate le tue obiezioni) e un altro è il suicidio assistito. Due cose diverse, ma entrambe proposte non quali obblighi bensì facoltà. Da non credente, ho il dovere di avvisarti che - sia come sia l’Aldilà - sono disposto a difendere i tuoi principi solo a condizione che tu non calpesti i miei, compreso quello di frequentare chi mi garba, anche Marco Pannella, l’unico politico che non mi abbia chiesto favori (semmai me ne ha fatti, e ne ha fatti tanti ai connazionali desiderosi di libertà). Ps: Non per insistere. Probabilmente tu, da cattolico osservante, a suo tempo sai stato contro il divorzio. Che, tuttavia, passò. Non so se i credenti ne abbiano usufruito. Nel caso, nessuno ha imposto loro di rompere il matrimonio. Ma so che se non ci fosse stato Pannella, saremmo rimasti al ripudio che, magari, tu preferisci al divorzio perché è in sintonia con la tradizione. Giustizia: il Sappe annuncia lo stato di agitazione rispetto alla riforma pensionistica Il Velino, 17 ottobre 2012 Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) annuncia lo stato di agitazione rispetto alla riforma pensionistica prevista dal ministro del Lavoro Elsa Fornero per il personale di tutto il comparto Sicurezza e Difesa e parteciperà martedì 23 ottobre a Genova alla manifestazione che si terrà davanti alla sede della Regione Liguria. Spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sappe: “Nessun sistema può funzionare, e ancor meglio perfezionarsi, se gli mancano le risorse necessarie, umane ed economiche, affinché ciò sia possibile. E quale sicurezza potranno garantire uomini e donne in divisa costretti a stare in servizio ben oltre i sessant’anni d’età? Immaginatevi ultrasessantenni a bordo di volanti o in servizio nelle sezioni detentive delle carceri, tra tossicodipendenti, malati psichici, stranieri, assassini e delinquenti abituali. Quale sicurezza sociale si potrà garantire con ultrasessantenni a bordo di mezzi con più di 500mila chilometri? Quale sicurezza si assicurerà se le leggi del Governo Monti hanno persino bloccato le assunzioni collegate ai pensionamenti? I tagli operati negli ultimi dieci anni al comparto Sicurezza, poi, hanno indebolito la funzione e l’azione di polizia, andando ad intaccare l’operatività, come dimostrano i tagli ai fondi nella disponibilità della Polizia Penitenziaria” continua Martinelli, chiedendo: “Questo Governo si vuole assumere la responsabilità morale di dare un colpo mortale al sistema della sicurezza? Manifesteremo martedì 23 ottobre a Genova tutti insieme per impedirlo e per coinvolgere anche la Regione su questi delicati temi”. Giustizia: caso Cucchi; ancora una proroga per perizia causa morte, gli esiti a fine novembre Ansa, 17 ottobre 2012 Ancora una proroga - ed è la terza - per gli accertamenti sulle cause della morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni fermato a Roma il 15 ottobre 2009 per droga e trovato morto una settimana dopo nell’ospedale “Sandro Pertini” della capitale. A fine novembre, il collegio dei periti nominati dalla III Corte d’assise nel processo che vede imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria (a vario titolo e a seconda delle posizioni, sono accusati di favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità) depositeranno gli esiti dei loro accertamenti. “Abbiamo provveduto a decalcificare le ossa e a rimuovere le parti molli dai reperti - ha detto in aula il prof. Marco Grandi, a capo del pool di esperti. Domani mattina incontreremo i consulenti delle parti e tra venerdì e lunedì saranno compiuti gli accertamenti istologici che comporteranno 2/3 settimane di tempo, se non ci saranno intoppi”. Motivi questi che hanno portato alla richiesta di un’ulteriore proroga di 30 giorni, concessa dalla Corte. Oggi in aula c’è stata anche un’ulteriore novità. Si è saputo di un esposto presentato dall’avvocato Diego Perugini, difensore di uno degli imputati, con il quale si è chiesto alla Procura (l’esposto è stato inviato per conoscenza anche alla Corte) di verificare quanto riportato nei giorni scorsi su un sito online e su alcuni quotidiani. In particolare il riferimento è ad una serie di foto e a pubblicazioni di ampi stralci virgolettati della perizia in corso. Si chiede di verificare: se quelle immagini e quelle frasi siano effettivamente riferibili alla perizia; chi ha ritenuto “in violazione del segreto delle operazioni peritali, comunicare all’esterno i documenti” indicati; e se tale condotta “al di là delle valutazioni nel procedimento in corso, non solo sotto il profilo della correttezza processuale, concreti illiceità penale”. La Corte ha deciso il “non luogo a provvedere”, motivato col fatto che “il materiale da cui presumibilmente è ricavata l’immagine pubblicata su internet è stato nella disponibilità sia dei periti nominati dalla Corte, sia dei consulenti di parte - si legge nel provvedimento - e quindi non è possibile attribuire eventuali responsabilità deontologiche ai periti medesimi”. L’ordinanza è stata inviata per conoscenza in copia anche ai pm titolari dell’inchiesta e della pubblica accusa processuale. Ilaria Cucchi: esposto contro di me? sono serena "Mi sento molto serena. Sono costretta ad agire in questa maniera, anche perchè spesso sono state fatte trapelare informazioni prima ancora che mi venissero notificate". Così Ilaria Cucchi commenta la notizia della presentazione di un esposto nei suoi confronti da parte dell'avvocato Diego Perugini, legale di Nicola Menichini, una delle guardie carcerarie rinviate a giudizio per il presunto pestaggio di Cucchi. Alla Cucchi viene contestato di aver diffuso le risultanze della riunione tra i consulenti della Corte d'assise, del pubblico ministero e della famiglia Cucchi dalla quale è emersa la convinzione condivisa dei periti dell'esistenza di una nuova frattura alla colonna vertebrale del fratello Stefano. "Ho visto sui giornali documenti e notizie di cui non ero a conoscenza, che non mi erano state ancora notificate, come pure è mio preciso diritto", ha aggiunto Ilaria Cucchi, parte offesa nel processo per la morte del fratello, deceduto in circostanze misteriose tre anni fa mentre era detenuto per il possesso di qualche grammo di droga. Giustizia: reato di diffamazione; al Senato slitta l’approvazione del ddl anti-carcere Corriere della Sera, 17 ottobre 2012 Il linguaggio è quello diretto di sempre: “Questi politici cialtroni sono ipocriti e codardi”. E poi, passando alla conclusione: “Ora la Procura renda esecutiva la pena e mi venga a prendere”. Il primo a commentare la decisione della commissione Giustizia in Senato, alle 15 e 45 di ieri, è proprio Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, condannato in via definitiva il 26 settembre scorso a 14 mesi per diffamazione. Ma cosa è accaduto, a Palazzo Madama? Ieri è slittata l’approvazione del disegno di legge per la riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa Una riforma che avrebbe “salvato” Sallusti, perché prevede l’abolizione del carcere per i giornalisti e ciò farebbe cessare (in base al principio del favor rei), anche gli effetti sulla sentenza per il direttore del Giornale. La commissione Giustizia avrebbe dovuto riunirsi in sede “deliberante” (quindi con la possibilità di approvare la legge senza un successivo passaggio in aula, per un diretto passaggio alla Camera), ma sei senatori hanno chiesto di far analizzare il progetto dal Senato perché “la materia è troppo complessa”. È quel che sostengono i sei firmatari della richiesta: Franco Bruno (Api-Fli), Marco Perduca (Radicali), Vincenzo Vita, Luigi Vimercati e Gerardo D’Ambrosio (Pd), Luigi Li Gotti (Idv). Risultato: i tempi della riforma si allungano, i giorni che separano Sallusti dal carcere si erodono. Il direttore commenta: “Vorrei capire chi si prende la responsabilità di tenere il mio ordine di carcerazione in un cassetto... evidentemente non hanno il coraggio di renderlo esecutivo. Si vergognano”. Ricostruzione contestata dal senatore del Pd Gerardo D’Ambrosio: “Sallusti - chiarisce - adesso non va in galera neanche se bussa al portone di San Vittore. Se, come lui dice, l’ordine di carcerazione non è stato ancora notificato, allora vuol dire che il termine di trenta giorni per la richiesta dell’affidamento ai servizi sociali deve ancora cominciare a decorrere. C’è quindi tutto il tempo di approvare la legge prima che lui vada in galera”. In serata, dopo qualche incontro di aggiustamento e limatura, si è concretizzata comunque l’ipotesi di votare la legge tra oggi e domani. Gasparri-Cicchitto: rallentamento ddl colpa sinistra “I gruppi parlamentari del Popolo della Libertà sono fortemente impegnati nel varo della legge che eviti il carcere in caso di condanna per diffamazione. Le iniziative che sono state assunte sia alla Camera e sia al Senato, pur riguardando una questione di carattere generale, hanno tenuto gran conto dell’ingiusta condanna subita dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti a 14 mesi di carcere. Il nostro impegno c’è stato già nel passato, ma in maniera più intensa siamo ritornati sulla questione non appena il problema si è posto”. Lo affermano in una nota congiunta i presidenti dei gruppi Pdl al Senato e alla Camera, Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto. “Alla Camera da tempo è in discussione un disegno di legge Costa-Pecorella, notoriamente contestato dalla sinistra, mentre al Senato è stato con rapidità presentato e messo in discussione un disegno di legge bipartisan a firma Chiti (Pd) - Gasparri (Pdl) - aggiungono. Inoltre, visto che la proposta di legge al Senato appariva destinata ad un iter più rapido, si è deciso di comune intesa tra i gruppi di darle precedenza. Invece per il provvedimento alla Camera è stata ipotizzata la richiesta di una calendarizzazione in grado di favorire un rapido iter del disegno di legge Chiti-Gasparri, una volta approvato al Senato. Il problema è nato per colpa della sinistra. Sei senatori hanno ritirato la propria firma per procedere in sede deliberante in Commissione. Quindi il Pdl ha solo meriti, mentre le responsabilità sono tutte della sinistra. Quando si polemizza bisogna distinguere gli obiettivi della polemica. Tra l’altro al Senato proprio oggi si è chiesto, nonostante il rallentamento da parte della sinistra dei lavori in Commissione, di prevedere per la prossima settimana in ogni caso la discussione nell’Aula di Palazzo Madama del disegno di legge Chiti-Gasparri. Si tratta quindi di riconoscere da un lato a ciascuno i propri meriti e dall’altro di attribuire le giuste colpe a chi le ha - concludono Gasparri e Cicchitto. Una polemica generalizzata crea solo confusione oltre che apparire ingiusta”. Cassazione: regolare invio estratto esecutivo sentenza La trasmissione alla Procura Generale di Milano, da parte della Corte di Cassazione, dell’estratto esecutivo della sentenza di condanna del direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti è avvenuta nei tempi previsti dalla legge. Lo precisa una nota diffusa oggi dalla Corte Suprema di Cassazione, in cui si fa riferimento “ad un articolo apparso oggi su “Il Giornale” con il titolo “Quell’ordine di carcerazione imboscato a Roma”. “Contrariamente a quanto nel predetto articolo si afferma - prosegue la nota - circa un supposto mancato inoltro dell’estratto esecutivo alla Procura di Milano da parte della Corte di Cassazione dopo la sentenza di condanna del dott. Sallusti pronunciata nell’udienza del 26 settembre 2012 (mercoledì), va evidenziato che il predetto estratto, indirizzato alla Procura Generale di Milano presso la Corte d’Appello, è stato trasmesso in data 28 settembre 2012 (venerdì) dalla Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione all’Ufficio postale, secondo le modalità costantemente seguite. L’ufficio postale ha effettuato la spedizione il primo ottobre 2012 (lunedì). La trasmissione dell’estratto è stata eseguita nei cinque giorni prescritti dall’art. 28 del Regolamento di esecuzione del codice di procedura penale”. Lettere: Paola Severino… una ministra per caso di Franco Corleone Ristretti Orizzonti, 17 ottobre 2012 Paola Severino, ministro della Giustizia pro tempore ha colto l’occasione del dibattito al Senato sulla legge per la corruzione ha fatto l’elogio del Codice Rocco per il suo valore insuperato. Ma quel che è grave è l’affermazione che il merito di Alfredo Rocco era di essere un tecnico e di avere fatto prevalere il suo valore sul tempo politico. Non si può perdonare all’avvocato Severino la sua ignoranza storica. Rocco fu il teorico dello stato etico e il suo Codice fu il fondamento teorico del fascismo e della dittatura. Fu cioè l’esponente massimo del Regime. Qualcuno chiederà le sue dimissioni o dovremo sopportarla fino alle elezioni? A maggior ragione dopo questa provocazione rivelatrice occorre che nel programma della nuova legislatura sia posto per la giustizia al primo posto l’approvazione del nuovo Codice secondo le linea della Commissione Pisapia. Lettere: bene il Garante dei detenuti a Milano Ristretti Orizzonti, 17 ottobre 2012 Caro Sindaco Giuliano Pisapia, siamo lieti di aver appreso la notizia che anche il Comune di Milano avrà presto un garante dei diritti dei detenuti, e per questo la ringraziamo. Come volontari del carcere di San Vittore, non possiamo non ricordare quanto è stato utile il lavoro del garante della Provincia Giorgio Bertazzini e di tutto il suo staff per la tutela dei diritti dei detenuti. Abbiamo sperimentato la sua grande attenzione alle persone detenute e il suo notevole impegno nell’affrontare le gravi difficoltà. Quando non per sua volontà Bertazzini ha dovuto interrompere la sua attività in carcere, molti detenuti si sono trovati in grande disagio, privati del suo prezioso aiuto e con pochissimi mezzi per esprimersi. Ora, con l’occasione della nomina del nuovo garante, ci è sembrato doveroso testimoniare questa nostra esperienza. Gruppo Calamandrana presso il Carcere di S. Vittore Abruzzo: prevenzione suicidi; accordo tra Asl, direzioni carceri e Magistrato di Sorveglianza www.primadanoi.it, 17 ottobre 2012 Con un protocollo d’intesa raggiunto nei giorni scorsi tra: Asl 1 diretta dal manager Silveri, i direttori delle carceri di Sulmona - L’Aquila - Avezzano e il giudice di sorveglianza, si è giunti all’accordo per un “Piano anti suicidi”. Un’equipe di specialisti del reparto salute mentale Asl 1, entrerà nelle strutture detentive per fornire supporto psicologico completo ai detenuti composto da: diagnosi tempestive, percorsi di recupero sanitario ad hoc, progetti contenenti attività alternative, svuotamento e chiusura degli ospedali psichiatrici. All’atto della firma erano presenti Vittorio Sconci direttore Dipartimento Salute Mentale Asl, Giuseppe Carducci responsabile della Medicina penitenziaria aziendale, il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Laura Longo. Tra i direttori degli istituti Massimo Di Rienzo per Sulmona, Osvaldo Bologna per L’Aquila, Giuseppe Mario Silla per Avezzano. All’interno dei tre penitenziari pertanto, l’assistenza sanitaria e il recupero del detenuto verranno affidati d’ora in poi ad una “squadra” di specialisti della Asl provinciale, tutti diretti dal dr. Sconci. Spariranno quindi gli interventi, già abbastanza sporadici, riferiti ad una sola figura, come poteva essere ad esempio quella dello psichiatra. Sardegna: continuano le proteste per arrivo nell’isola di detenuti pericolosi, il Dap minimizza Adnkronos, 17 ottobre 2012 La protesta per l’arrivo di numerosi detenuti ‘mafiosi e camorristì in Sardegna continua dopo l’annuncio del deputato del Pdl Mauro Pili, del trasferimento al carcere di Tempio-Pausania di 24 detenuti in tre giorni. Criticano la decisione del Ministero, che comunque per bocca del provveditore regionale del Dap, Gianfranco De Gesu, minimizza sul trasferimento, anche il presidente della Provincia di Olbia Fedele Sanciu e il Consigliere reginale Edoardo Tocco, componente della Commissione diritti civili. ‘È possibile che la testa di ponte per il trasloco in terra sarda di così tanti mafiosi sia proprio il carcere di Tempio a Nuchis’, ha affermato Pili. ‘Lo Stato vuol trasformare la Sardegna nella peggior prigione del Paesè, ha commentato Edoardo Tocco (Pdl), consigliere regionale della Sardegna e componente della Commissione diritti civili dell’assemblea sarda, che ha sottoscritto la richiesta di un incontro urgente al Ministero della Giustizia, da tenersi “con il ministro Paola Severino, o con un sottosegretario, in merito al trasferimento di numerosi detenuti pericolosi in Sardegna, a partire dal carcere di Tempio”. Ed ha chiesto al Presidente della Commissione diritti civili, Salvatore Amadu (Pdl), di convocare con urgenza il parlamentino perché ormai “necessario andare a Roma, al Ministero della Giustizia, per chiedere spiegazioni al ministro”. La paura dei rappresentanti delle istituzioni sarde, è quella di infiltrazioni mafiose: “Non si può pensare di non essere al sicuro nella propria terra - prosegue Tocco, oppure dobbiamo essere trasformati in una Cayenna o in una Alcatraz italiana?”, afferma Tocco. Smentisce il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Gianfranco De Gesu, che sostiene che nell’isola “non vi è alcuna possibilità di infiltrazioni mafiose”. “È vero che le carceri della Sardegna sono importanti all’interno del sistema italiano, è vero che il carcere di Nuchis ha tutte le caratteristiche per essere potenziato, ma affermare che in Sardegna i fenomeni della mafia, della camorra, della n’ndrangheta e della criminalità organizzata in genere “non attecchiscono” mi sembra una dichiarazione superficiale, pericolosa oltreché fuori luogo”, afferma preoccupato il Presidente della Provincia Olbia-Tempio, il senatore Fedele Sanciu (Pdl). Mauro Pili sostiene che “in poco meno di una settimana sono arrivati 24 detenuti pericolosissimi, condannati per mafia e camorra, 5 ergastolani, altri con pene tra i 48 anni e i 25 anni di carcere. Una vera e propria calata di mafia e camorra nell’isola. Un’azione compiuta nel più totale silenzio con trasferimenti a gruppi di 4 o sei dai carceri di Opera di Milano, di Santa Maria Capua Vetere, di Lanciano e Benevento”. “Il silenzio e la segretezza con cui ha agito il ministero nel carcere di Tempio offende la Sardegna e i sardi. Le dichiarazioni dal provveditore sono inaccettabili e vanno respinte. Affermare - spiega Pili - che il luogo ideale per trasferire i mafiosi è la nostra isola è grave e irresponsabile. In Sardegna - da notizia il deputato - saranno inviati almeno il 50% dei capi mafia in regime di 41 bis. I dati sono facilmente desumibili dalle sezioni dei 41 bis che si stanno realizzando a Bancali, a Uta e a Nuoro. A Sassari i 41 bis previsti sono 150, altrettanti a Cagliari e 97 a Nuoro. I detenuti di massima sicurezza del 41 bis sono ad oggi in tutta Italia complessivamente ad oggi 673”. E prosegue spiegando che “il Ministero ha messo a punto un piano preciso per scaricare in Sardegna la maggior parte dei detenuti mafiosi nella nostra Regione. Il pericolo di questi detenuti è tutto all’esterno del carcere, - sostiene Pili - così come si è dimostrato in tempi non lontani in realtà come il Sulcis dove tre confinati hanno per anni condizionato pesantemente la vita sociale ed economica di quel territorio. Il problema è all’esterno non all’interno del carcere. Le infiltrazioni mafiose sono un fatto reale scritto negli atti del ministero. Prendere sotto gamba, minimizzare o coprire questa deportazione di massa di mafiosi in Sardegna - spiega Pili - significa mettere a rischio il sistema sociale della nostra isola. Per questo motivo continuerò a denunciare questi fatti perché tutti siano consapevoli e possano anche conoscere i complici di queste decisioni inaccettabili”. “È ora di mobilitare chi di dovere e non nasconderci. Serve anche la mobilitazione di tutti i parlamentari sardi, delle istituzioni, affinché - dice ancora il consigliere regionale Edoardo Tocco - si adoperino per tutelare la nostra gente e la nostra sicurezza. Se non fanno questo a Roma non ci fanno niente”. Conclude i presidente della Provincia di Olbia, il senatore del Pdl Fedele Sanciu: “In alcuni centri del Sud della Sardegna e dell’alta Italia, negli anni passati furono inviati al confino molti esponenti della criminalità organizzata e sia nelle carceri che nel tessuto sociale, venne registrata un’impennata nel numero e nella qualità dei reati di matrice mafiosa”. Melis (Pd): no ai mafiosi nelle carceri sarde “Le carceri sarde non possono diventare la pattumiera dove custodire tutti i mafiosi d’Italia”. Lo scrivono, preoccupati, in una interrogazione presentata oggi tutti i deputati sardi Pd alla Camera. “Chiediamo al Governo di darci i numeri, presenti e futuri e di fornirci tutte le informazioni in merito” - dichiara Guido Melis, della commissione Giustizia; “nonché di chiarire che l’apertura di nuovi spazi carcerari a Nuchis, Massama, Badu e Carros - nuovo braccio e domani a Bancali o altrove non può significare l’indiscriminato trasferimento in Sardegna dei detenuti più pericolosi d’Italia”. Secondo Melis, che si rifà anche alle recenti analisi del criminologo ed esperto di mafia Pino Arlacchi, i mafiosi vanno non concentrati ma semmai disseminati in carceri diverse e distanti l’una dall’altra, per evitare che possano ricrearsi in cattività i vincoli e i circuiti decisionali tipici di quell’organizzazione. “Inoltre - prosegue il deputato Pd - ricordiamo bene cosa avvenne non moltissimi anni fa, quando una simile dissennata concentrazione rischiò di introdurre in Sardegna, regione che ne era immune, i germi della mafia e del terrorismo”. “I detenuti, specie se eccellenti, portano con sé i parenti, gli amici e gli amici degli amici: una micidiale mistura sociale che, insediandosi a supporto nelle vicinanze del carcere, diventa una vera e propria coltura di bacilli criminogeni, rischiando di contagiare il territorio”. “Di tutto abbiamo bisogno in Sardegna fuorché della mafia” - conclude il parlamentare democratico anche a nome dei suoi sei colleghi della Camera - “Cerchiamo dunque di non introdurla a cura e per opera del Ministero della Giustizia”. Napoli: così si muore a Poggioreale, nelle celle sovraffollate di Dario Stefano Dell’Aquila (Associazione Antigone) La Repubblica, 17 ottobre 2012 Un uomo di 26 anni si è tolto la vita nel carcere di Poggioreale. In questo carcere era andata in visita, solo tre mesi fa, il ministro della Giustizia Paola Severino, che ebbe parole positive per questa struttura e disse, testualmente, che “quello che si trascina il carcere napoletano di Poggioreale è un mito da correggere nell’immaginario collettivo”. Eppure questo è un posto che lascia davvero poco spazio all’immaginazione. Per chi non lo sapesse il carcere di Poggioreale è uno dei più affollati di Europa, con circa 2.700 presenti (un terzo dei quali tossicodipendenti) rispetto a una capienza di 1.500 posti. Questo si traduce in celle che arrivano a ospitare anche 14 persone, letti a castello impilati per tre, un bagno da dividere in tanti e, per alcuni reparti, una doccia da fare solo due volte a settimana. Malgrado lo sforzo dei pochi operatori penitenziari che ogni giorno lavorano in condizioni impossibili (per dirne una, ogni educatore ha in carico circa 200 detenuti) è difficile anche solo immaginare che il modello detentivo di Poggioreale sia accettabile. La reclusione specie d’estate, si riduce a 20 ore di cella, in spazi angusti e limitati. L’ora d’aria non è che un cortile di cemento e una tettoia di lamiera che con il caldo diventano incandescenti. Il taglio delle risorse destinate ai penitenziari ha aggravato una situazione già critica, ridotto il numero dei lavoranti, ogni possibilità di straordinario per il personale, e la riduzione di quelle attività (corsi scolastici, formazione) che consentono un minimo di apertura. Per non parlare della condizione dei detenuti con problemi psichiatrici, che trascorrono sostanzialmente il loro tempo rinchiusi in isolamento nel reparto di osservazione, cosicché non vi è patologia che non si aggravi. In questa solitudine chi è più fragile perde la vita, ma questo è solo il segnale più forte di un disagio diffuso. I detenuti immigrati, per i quali non vi è servizio di mediazione culturale, interpretariato, di fatto senza aiuto di familiari, sopravvivono solo grazie all’aiuto dei loro compagni di cella. La nostra Costituzione stabilisce che la pena non debba consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato, principio rafforzato dalle convenzioni a tutela dei diritti umani. Vorrei ricordare che nell’aprile del 2010, caso senza precedenti, la dottoressa Angelica Di Giovanni, allora presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli aveva disposto “che la direzione della casa circondariale di Poggioreale si attivi con pronta sollecitudine per eliminare ogni possibile situazione di contrasto con l’articolo 27 della costituzione e con l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani, informandone tempestivamente questo magistrato di sorveglianza”. È evidente che con le poche risorse a disposizione e in queste condizioni generali di affollamento si può fare poco, ma non è vero che non si possa fare nulla. Servirebbero, innanzitutto, una vera riforma della giustizia che abbrevi i tempi dei processi, garantisca davvero le vittime, riduca l’uso della carcerazione, favorendo il ricorso a pene alternative. E, prima di ogni cosa, bisognerebbe ammettere la gravità dello stato di cose presenti, a Poggioreale come negli altri istituti di pena. Dire che le cose vanno bene, che non sono poi così gravi, offende innanzitutto chi quella realtà la vive e la subisce. A cominciare dai familiari che all’alba si dispongono in fila per i colloqui, come ha splendidamente raccontato Gaetano di Vaio nel film “Il loro Natale”. Al di là delle parole di circostanza istituzionale che le cerimonie impongono, chi ha ruoli di governo non dovrebbe mai esitare di fronte alla realtà, specie quando in gioco ci sono diritti e persone in carne e ossa. La distanza che oggi si registra tra i cittadini e la “politica” è figlia anche di questo atteggiamento istituzionale che pensa sia sufficiente ignorare i problemi perché problemi non vi siano. Eppure lo “spread” che misura la distanza tra la sostanza e la forma dei diritti, apparentemente incolmabile per i dannati della terra, andrebbe davvero radicalmente ridotto. Rimini: tre detenuti chiedono i “domiciliari” col “braccialetto elettronico”, ma il tribunale rifiuta www.nqnews.it, 17 ottobre 2012 Il governo D’Alema l’aveva introdotto. Con i governi Berlusconi si è continuato a pagarlo. A fine dello scorso anno, il governo Monti, attraverso Paola Severino e Anna Maria Cancellieri, ha cercato di usarlo, perché tenerlo chiuso nel cassetto è uno spreco disumano. Il braccialetto elettronico per sorvegliare i detenuti ai domiciliari è la classica storia italiana, trasversale, sprecona, anche solo per noncuranza, e della quale nessuno è in realtà responsabile. A Rimini sono già tre le richieste da parte di difensori per poter ottenere i domiciliari col braccialetto elettronico. La prima richiesta in tal senso era stata avanzata, l’estate scorsa, dall’avvocato Tiziana Casali, per un detenuto, condannato per reati di spaccio e traffico di droga alla pena di 7 anni in primo grado (quindi non definitiva). La Corte di Appello però aveva concesso i domiciliari, ma senza braccialetto. A questa iniziale richiesta se aggiungono due molto più recenti, dell’avvocato Ninfa Renzini che ha chiesto per un detenuto tunisino, in misura cautelare per reati legati alla droga, la possibilità di andare ai domiciliari con braccialetto. Domanda posta alla Corte d’Appello di Bologna che, dopo aver ricevuto una nota dalla questura di Rimini, ha respinto la richiesta. Il detenuto quindi resta nel carcere riminese dei “Casetti”, visto che non vi era altra richiesta in subordine. Per un detenuto marocchino, invece, condannato in via definitiva ad una pena superiore all’anno e mezzo, l’avvocato Renzini ha posto la medesima richiesta al magistrato di sorveglianza. Richiesta in attesa, al momento, di risposta. Entrambi gli stranieri sarebbero stati accolti ai domiciliari alla comunità Papa Giovanni XXIII, la stessa associazione che si è resa disponibile ad accogliere fino a 40 detenuti, a patto che siano controllati elettronicamente. Per il braccialetto elettronico, ne sono stati acquistati 450 e usati solo 14, ogni anno lo Stato italiano versa 11 milioni di euro alla Telecom, che deve applicare il dispositivo elettronico nelle questure e nelle abitazioni. Se lo si usa oppure no, alla Telecom quei soldi pubblici vanno. Ora il contratto è in scadenza, ma se almeno lo si usasse gli sprechi - in tempi di spending review - potrebbero limitarsi un po’. Con il dubbio vantaggio di risparmiare soldi (se si pensa a quanto costa un detenuto in carcere, così come ampiamente illustrato a corredo del decreto “svuota carceri”) e di uomini. Perché un detenuto agli arresti domiciliari va controllato dalle forze dell’ordine quotidianamente con l’impiego di pattuglie, sottratte - sia pure per qualche ora nelle prime ore del giorno - al controllo del territorio. Sull’uso a Rimini del braccialetto elettronico si sta pensando di attivarsi attraverso il parlamentare del Pdl, Alfonso Papa, anche con un’interrogazione parlamentare, e con l’apertura di un tavolo di confronto con l’ordine degli avvocati. Pavia: a Torre del Gallo attivati corsi di ragioneria per i detenuti in Alta Sicurezza La Provincia Pavese, 17 ottobre 2012 Detenuti sui banchi di scuola. Anche quest’anno proseguono i corsi scolastici promossi dalla Casa circondariale di Torre del Gallo e dall’istituto superiore Volta. A settembre l’Area trattamentale, con il supporto della direzione del carcere, ha avviato 4 corsi di ragioneria, dalla prima alla quarta classe, per i detenuti in alta sicurezza, un corso di alfabetizzazione per i detenuti comuni e un corso di licenza media. Prosegue dall’anno precedente anche il corso di alfabetizzazione per i detenuti protetti. Questo tipo di percorso è gestito con l’aiuto di un volontario della Caritas, l’ingegner Michele Vaccina, che sta svolgendo due corsi di primo e secondo livello con 22 allievi che, per tipologia e caratteristiche, sono difficilmente inseribili nelle attività ordinarie del servizio trattamentale. Percorsi, quelli didattici, che non sarebbero comunque realizzabili senza la disponibilità del personale del servizio sicurezza. Con l’Università di Pavia è allo studio inoltre un progetto per consentire ai detenuti che si sono diplomati negli anni scorsi la possibilità di proseguire gli studi, accedendo alle facoltà accademiche. Docenti e ricercatori dell’ateneo e delle scuole superiori si sono già interfacciati con il carcere nel corso dell’anno. Sono state infatti organizzate conferenze su temi vari, da quello sull’energia solare a quello sulla legalità e i codici comunicativi. Sempre in collaborazione con l’Università e l’istituto Volta sono stati realizzati corsi per il conseguimento della patente europea (Ecdl) ai quali hanno partecipato 14 detenuti. Oristano: progetto di reintegrazione, dalla cella alle fattorie sociali e agli scavi archeologici di Michela Cuccu La Nuova Sardegna, 17 ottobre 2012 Anziché in cella, gli ultimi diciotto mesi li hanno trascorsi a lavorare: nei campi, per produrre formaggio, allevare api, coltivare ortaggi e fiori nelle serre. Alcuni si sono cimentati da artisti, collaborando alla realizzazione di sculture, altri, sono stati fianco a fianco degli archeologi, impegnati a riportare alla luce l’anfiteatro di Fordongianus e il ponte romano di Santa Giusta. In tutto circa 200, un terzo dei quali cittadini che stanno scontando pene definitive nelle colonie penali di Is Arenas e Mamone, in questi due anni hanno fatto i pendolari, dalla cella alle fattorie sociali e agli scavi archeologici. Percependo una borsa lavoro, ma soprattutto, ritrovando dignità, imparando un mestiere, riprendendo il contatto con il mondo. Un progetto di reinserimento che ha già dato i suoi frutti, perché, di coloro che hanno partecipato, quasi nessuno ha nuovamente sbagliato, insomma, per dirlo con il linguaggio penitenziario “poche recidive”. Di questo si è parlato ieri mattina alla Fattoria sociale e artistica la Hormiguita di Santa Giusta, che oltre a essere stato uno dei luoghi di lavoro dei detenuti, ha anche ospitato il convegno conclusivo del progetto di inclusione sociale reso possibile grazie ad una collaborazione diretta con la Casa circondariale di Oristano. Finanziato dalla Regione, ora questo modello, che si è rivelato vincente, sarà esportato anche oltre confine. Per la precisione in Romania, nel carcere di Marceamare, nella regione di Nedoara. L’annuncio è stato dato proprio dal provveditore regionale alle carceri e dal presidente della coop Il Seme, Antonello Comina. Le conclusioni dei lavori sono state affidate al presidente della Commissione parlamentare Federico Palomba. Intanto istituzioni e fattorie sociali sono di nuovo al lavoro per far crescere il progetto, attraverso la nascita di una rete di fattorie sociali. Ancona: domani il Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Tamburino visita Montacuto Ansa, 17 ottobre 2012 Il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia Giovanni Tamburino giovedì 18 ottobre sarà nelle Marche per incontrare il Garante regionale dei detenuti Italo Tanoni, l'Assemblea legislativa, la Giunta regionale e i Parlamentari marchigiani. L'incontro con i rappresentanti istituzionali, dedicato alla situazione delle carceri nella nostra regione, si svolgerà nell'Aula consiliare (via Tiziano, 44) alle ore 11.30, con gli interventi del Presidente del Consiglio Vittoriano Solazzi, dell'Ombudsman Tanoni e dell'Assessore ai servizi sociali Luca Marconi. Nel pomeriggio, accompagnato dal Garante, dal Provveditore regionale del Dap Ilse Runsteni e dal Direttore generale delle risorse materiali Alfonso Sabella, il Presidente Tamburino visiterà la Casa circondariale di Montacuto e l'Istituto penitenziario di Barcaglione ad Ancona. Genova: il Csi promuove una festa dello sport dedicata ai figli ed ai familiari dei detenuti Ansa, 17 ottobre 2012 Il Centro Sportivo Italiano di Genova su invito del Direttore della struttura, il Dott. Salvatore Mazzeo, promuoverà l'iniziativa "A Marassi...si gioca", durante la quale ai figli e familiari dei detenuti sarà data la possibilità di trascorrere insieme ai genitori una mattinata all'insegna dell'attività sportiva e del divertimento. Il Csi Genova metterà a disposizione animatori e allenatori esperti che provvederanno all'organizzazione ed al coinvolgimento dei presenti attraverso giochi di gruppo, in un evento che vuole offrire ai giovanissimi che parteciperanno l'opportunità di recuperare, anche solo per una breve parentesi e attraverso un momento di svago, il rapporto con il proprio genitore, la cui lontananza i bimbi subiscono incolpevoli. Il Csi Genova, Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal Coni e dalla Cei, che nella sola Genova coinvolge circa 200 società sportive, oratori e parrocchie, intende così riaffermare la forza del binomio sport-sociale e la necessità di trasmettere i valori cristiani della tolleranza e della solidarietà. Il Csi premierà, con una attestato di partecipazione, i ragazzi che prenderanno parte all'iniziativa e, grazie ai contributi offerti da Galbusera, Valmora ed Esi Italia, (il cui supporto spero vorrete valorizzare) al termine dei giochi allestirà un rinfresco per i circa cento partecipanti. Alessandria: “Ulivi-Immagini da un universo umano”, detenuti e ragazzi uniti dall’arte Il Piccolo, 17 ottobre 2012 Un incontro impossibile, tra detenuti e studenti delle primarie, sotto il segno dell’arte e di una natura arcaica e senza tempo. Mercoledì, alle 12, viene inaugurata a Palazzo Monferrato “Ulivi-Immagini da un universo umano”, iniziativa che si compone di due mostre assolutamente speciali. Una è fotografica, dedicata agli ulivi del Salento con le loro forme incredibili. L’altra invece espone tele di grandi dimensioni destinate a decorare le pareti della chiesa della Casa di reclusione di San Michele, realizzate da artisti davvero particolari, detenuti dello stesso carcere e 51 allievi del quinto anno della scuola primaria “Galileo Galilei”. Gli ulivi del Salento sono serviti da sfondo per questi dipinti, svolgendo quindi una funzione unificante tra le due mostre. L’iniziativa è stata promossa dall’Istituto per la cooperazione e lo sviluppo (Ics onlus) ed ha avuto come soggetti protagonisti la Direzione della Casa di reclusione di San Michele e l’Istituto comprensivo Galilei di Alessandria. Tra gli enti sostenitori la Camera di Commercio, la Provincia, il Comune, la Diocesi e il Conservatorio Vivaldi. La Bottega di pittura della Casa di reclusione si è occupata di realizzare otto tele, tre per la parete laterale destra e cinque per la travatura superiore dell’altare della chiesa. La fase progettuale ha coinvolto il corso per geometri che si tiene nel carcere per la operazioni di rilievo e disegno. Un contributo significativo è stato dato anche dalla falegnameria della Casa di reclusione per la costruzione dei telai di supporto delle tele. “La gradazione della luce” è il nome del progetto, preso da una frase di Ignazio Silone riferita alla percezione dello stato di coscienza, proprio e altrui, che, come la luce, ha infinite gradazioni: al lavoro hanno, infatti, partecipato persone con fedi religiose diverse e questo ha determinato anche alcune scelte iconografiche nelle opere. La bottega esterna degli allievi del Galilei ha dipinto otto tele per il fondale della chiesa, in pratica otto tasselli di diverse misure che comporranno un unico grande riquadro di cinque metri per cinque. Proprio la sensibilità e la fantasia dei giovani ha determinato alcune modifiche nei soggetti rappresentati, con l’aggiunta di animali e di determinati colori. Detenuti e ragazzi non si sono mai incontrati direttamente, i contatti sono avvenuti sempre a distanza ma hanno lasciato un segno ugualmente profondo. Anima di questa bellissima iniziativa è stato Piero Sacchi, maestro di bottega e presidente dell’Ics onlus, che con la sua esperienza e il suo entusiasmo costituisce certamente un esempio importante per tutti. Le opere saranno esposte nel cortile di Palazzo Monferrato e all’inaugurazione sarà presente il provveditore agli studi Antonino Meduri. La mostra fotografica propone le immagini suggestive e arcaiche degli ulivi del Salento. La maggior parte degli scatti sono del salentino Gianluca Serio, che ha coinvolto anche il figlio Enrico di dieci anni, autore di diverse immagini. Una parte delle foto sono anche di Salvatore Caretto, salentino che risiede in Piemonte da quindici anni. Davvero buona l’idea di proporre su tela le immagini, accentuando così il loro aspetto mitologico e atemporale. Le forme assunte da questi alberi secolari sono le più bizzarre, tra archi, abbracci, animali, aspetti umani. Quasi delle sculture, espressione della potenza e della creatività di una natura fantastica che non cessa mai di stupire. Questo sarà solo il primo appuntamento per la presentazione di ‘Ulivi - immagini da un universo umanò. Il 28 ottobre, tra le 16.30 e le 18,30, è in programma un secondo incontro nel corso del quale si terrà un concerto del coro di voci bianche del Conservatorio Vivaldi, diretto dal maestro Roberto Berzero, e saranno proiettate in simultanea su doppio schermo gli scatti degli ulivi e del lavoro documentato fotograficamente dall’interno delle due botteghe di pittura. In programma anche un dibattito con il direttore della Casa di reclusione, Lombardi Vallauri, e della direttrice dell’ Ufficio esecuzione penale esterna, Santina Gemelli. Il servizio di catering sarà curato dai ragazzi del corso di ristorazione dell’Enaip di Alessandria. Sala Consilina (Sa): laboratorio teatrale “Dal buio alla luce”, protagonisti i detenuti di Antonella Citro www.valloweb.com, 17 ottobre 2012 Si è conclusa l’esperienza di laboratorio teatrale che ha visto coinvolti i detenuti della casa circondariale di Sala Consilina. “Dal buio alla luce” è stato il titolo del singolare progetto promosso dalla Direzione della Casa Circondariale, dalla Presidenza del Consiglio Comunale e dalla Cooperativa Culturale La Cantina delle Arti, un evento realizzato grazie anche alla preziosa collaborazione della Banca di Credito Cooperativo di Sassano, alla Fondazione della Comunità Salernitana Onlus, al Piano Sociale di Zona S/4 e alla Caritas Diocesana. E “Pari e Dispari”, adattamento della drammaturgia del grande Eduardo, è stato il titolo del saggio spettacolo di fine corso che ha avuto luogo il 12 ottobre e che ha impegnato per tutta l’estate sette giovani attori - detenuti della Casa Circondariale sita in Via Gioberti. Un vero successo. “Un’occasione importante visto che per la prima volta i detenuti salesi attuano un progetto di laboratorio teatrale - sottolinea il Presidente del Consiglio Maria Stabile- tre mesi fa è iniziata per loro questa esperienza e non è stata solo un semplice sperimentarsi in un nuovo ambito propriamente artistico ma soprattutto hanno riconosciuto se stessi attraverso un percorso introspettivo. Tutti i partner del progetto hanno voluto fortemente questa cosa, grande attenzione è stata rivolta all’individuo perché una società è tanto più democratica e libera quando più le leggi che essa si è data vengono rispettate. Il carcere punisce chi non rispetta le leggi ma non deve imprigionare la volontà la dignità dell’individuo ma deve arricchirlo e prepararlo ad una più facile integrazione che poi dovrà essere sostenuta dalle istituzioni”. A questo fanno eco le parole pronunciate dal Direttore del carcere Concetta Felaco: “Per noi è un momento molto emozionante perché questa iniziativa ha rappresentato un punto di partenza per avviare un nuovo percorso di collaborazione con la comunità esterna che, la vede per la prima volta in maniera concreta, partecipe e soggetto attivo per consentire a noi la realizzazione di un’attività che, finora, non era stato possibile realizzare anche per difficoltà derivanti dalla limitatezza della struttura. Si tratta di un progetto importante perché fare teatro in carcere significa fare cultura, offrire ai detenuti un’occasione di socializzazione, un’occasione di crescita personale tanto è vero che è bellissimo raccogliere le emozioni degli allievi - detenuti che hanno partecipato con grande interesse e motivazione. E noi tutti ci auguriamo che questa iniziativa possa proseguire nel tempo per sperimentare diverse forme di lavoro con la comunità esterna. Si tratta pertanto di momenti particolari in cui c’è la consapevolezza soprattutto da parte della nostra utenza di non trovarsi in una condizione di isolamento inteso come lontananza dagli affetti familiari del detenuto ma anche e soprattutto una separazione dalla società esterna. Questo per loro rappresenta un’occasione importante di vicinanza anche per quello che è stato il loro vissuto fuori. È un esperienza molto forte e significativa e rappresenta un’occasione di speranza perché nel momento in cui viene superata la condizione di isolamento psicologico, cresce e si coltiva dentro di sé la possibilità di rivedere il proprio percorso e di poterli indirizzare diversamente in modo da non ricadere nella delinquenza”. Guido Piergallini, Commissario in forza al carcere salese, ribatte: “Per noi il laboratorio teatrale e il saggio finale è stato un evento importantissimo in quanto si sensibilizza il detenuto al rientro nella vita sociale, il trattamento va sempre di pari passo con la sicurezza e il corpo di polizia penitenziaria è l’unico ad avere questa peculiarità. Per noi questo è un compito istituzionale da perseguire ad ogni costo. Siamo più che contenti che nella Casa Circondariale di Sala Consilina si faccia questa bellissima iniziativa nel pieno rispetto di quanto recita l’art. 27 della nostra Costituzione”. Anche Enzo D’Arco, attore regista nonché curatore materiale dell’evento afferma: “Dal saggio finale ci auguriamo che sia venuto fuori tutto l’entusiasmo degli allievi che hanno preso parte al corso, grazie ai partner che hanno creduto fortemente in questo progetto si è trattato di un evento unico per il nostro territorio. Tutti hanno remato in un’unica direzione per raggiungere un unico obiettivo: il potersi confrontare a teatro. Il teatro è terapeutico e qui abbiamo dato l’opportunità di un confronto per capire i lati positivi e negativi, cose che possono aiutare nel momento in cui si ritroveranno, nella vita sociale”. Cinema: “Cesare deve morire”, intervista al detenuto-attore Cosimo Rega di Raffaella Fanelli Panorama, 17 ottobre 2012 “Il teatro in carcere diventa una terapia”, dice l’ergastolano che interpreta Cassio nel film dei fratelli Taviani. La candidatura all’Oscar? “La soddisfazione più importante è vedere i miei figli orgogliosi dopo anni di sottili umiliazioni”. “Non mi bastava sopravvivere al carcere. Volevo vivere. Per questo ho fatto teatro. Perché un detenuto è prima di tutto un uomo, con le sue emozioni, le sue paure. E i suoi dolori. Siamo persone che hanno il diritto e il dovere di riscattarsi, di dimostrare, al di là di quello che abbiamo fatto, tutta la nostra umanità”. Cosimo Rega è protagonista del film Cesare deve morire dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani. È detenuto nel carcere di Rebibbia con una condanna all’ergastolo per omicidio e associazione camorristica. “Facevo parte del clan Alfieri-Galasso… merito gli anni di carcere che ho fatto ma merito anche la possibilità di vivere ancora”. Una vita ricominciata lo scorso luglio grazie ad Angiolo Marroni, il garante per i detenuti della regione Lazio, che lo ha accolto nella sua struttura all’Eur. “Conosco Cosimo da oltre trent’anni, da quando è arrivato a Rebibbia. In carcere ha lavorato e studiato, si è laureato in lettere e filosofia. Ricordo ancora il suo primo permesso all’esterno, ottenuto dopo una lunga detenzione in alta sicurezza: mi chiese di accompagnarlo dalla madre ad Angri, nel salernitano. Un incontro drammatico. Sarò accanto a lui anche il prossimo 13 novembre, in tribunale, quando decideranno sulla richiesta di semilibertà”. Una richiesta avanzata dai legali di Rega dopo i successi di Cesare deve morire, candidato italiano all’Oscar come miglior film straniero e già vincitore di cinque David di Donatello e dell’Orso d’oro al festival di Berlino, un riconoscimento che mancava all’Italia dal 1991 quando il premio venne vinto da La casa del sorriso di Marco Ferreri. “Non sono stati i fratelli Taviani, né i premi o le candidature a darmi questa possibilità, ma un percorso fatto in carcere e durato anni. È un appuntamento naturale per chi, come me, è recluso da 34 anni... Per chi ha chiuso con il suo passato e spera solo di vivere i prossimi anni con le persone che ama. Fuori ho ancora una moglie, una donna coraggiosa che ha cresciuto da sola i nostri due figli. E che nonostante il carcere mi sta ancora aspettando”. Come vive la candidatura all’Oscar? “Per me è difficile realizzare tutto quello che sta accadendo… La soddisfazione più importante è vedere i miei figli orgogliosi dopo anni di sottili umiliazioni. Non è facile vivere con un padre in carcere. Sono felice di vedere nei loro occhi gioia e soddisfazione. È questo il premio più importante. Lei è stato “provinato” in carcere da Paolo e Vittorio Taviani, così come gli altri detenuti… “È stato il canto di Paolo e Francesca che recitavo in napoletano ad entusiasmare… mi hanno subito visto nei panni di Cassio. L’episodio infernale di Dante mi è valso il ruolo di protagonista nel film Cesare deve morire”. Da quanto tempo recita? “Sono 12 anni che facciamo teatro a Rebibbia, ma la mia passione per il teatro è precedente… c’è sempre stata. Ero solo un ragazzo quando mia madre mi accompagnò al mio primo casting. Andò anche bene, peccato che ci chiesero soldi. Una “truffa napoletana”, niente di più… Adoro le commedie di Eduardo De Filippo e Natale in casa Cupiello è stata la prima che abbiamo messo in scena a Rebibbia. Ci siamo guadagnati uno stanzone per le prove e l’applauso del direttore, Carmelo Cantone, un uomo straordinario che crede profondamente nella funzione rieducativa del carcere. Cosa significa per lei il teatro? “Il teatro in carcere diventa una terapia. Apre alla comunicazione attraverso un linguaggio diverso da quello malavitoso. Recitare porta a un’analisi della propria anima... Per me è stato terapeutico. Sono riuscito a fare i conti con me stesso, ho imparato ad accettarmi e a volermi bene. Ho imparato a comprendere gli altri. A non giudicarli. Il mio sogno? Quello di riuscire un giorno a formare una compagnia di attori composta da detenuti ed ex detenuti. L’arte per chi ha commesso gravi crimini diventa non solo uno strumento di crescita e rinascita ma può essere anche uno strumento di lavoro per il futuro. Una speranza in più”. Televisione: il regista Werner Herzog presenta a Torino la miniserie carceraria "Death Row" Adnkronos, 17 ottobre 2012 In attesa della 30esima edizione del Torino Film Festival, ieri sera al Museo Nazionale del Cinema Werner Herzog ha presentato Death Row, la miniserie televisiva sulla pena di morte girata per il canale Investigation Discovery. La serie Tv, insieme al doc Into the Abyss - A Tale of Death, A Tale of Life, propone le riflessioni di un uomo europeo e quindi, per tradizione, lontano dal concetto di pena di morte, di fronte a uno dei sistemi penali più rigidi del mondo, quello statunitense. “Ho girato questo film - racconta il regista tedesco - e soprattutto il primo episodio per le donne: le Crime Series americane sono seguite da un pubblico composto al 70% da donne - lo si capisce dal tipo di pubblicità presente tra i vari blocchi - e questo mi ha incuriosito perché dovrebbero essere proprio loro le prime a temere uomini come James Barnes... Io ho voluto mostrare al mio audience la reale brutalità di questo uomo, ma al tempo stesso tranquillizzarle: ora è in prigione e non farà più male a nessuno”. I quattro episodi offrono i ritratti di detenuti nel braccio della morte, ma hanno l’obiettivo di restituire al pubblico l’umanità di questi assassini (o presunti tali). “Quando li ho incontrati, sono stato molto franco con loro: io sono contro la pena di morte e sono certo che anche in queste persone ci sia un’anima, ma questo non significa avere simpatia nei loro confronti o giustificare quello che hanno fatto”. I personaggi delle 4 storie (Barnes, Joseph Garcia, George Rivas, Hank Skinner e Linda Carty), sono stati incontrati per non più di un’ora a testa dal regista, che non ha quindi potuto compiere un lavoro di avvicinamento al personaggio, come abitualmente si fa per entrare in confidenza con gli intervistati. In compenso Herzog ha potuto svolgere una sorta di editing casting sul sito della prigione texana Polunsky Unit, dove i 5 sono incarcerati. “Ho scelto delle storie emblematiche per riassumere la varietà umana che c’è nel braccio della morte... Avessi avuto più tempo, sarei riuscito ad andare più in profondità, ma sapevo che quei sessanta minuti con loro sarebbero volati in un attimo. Il reale peso delle loro parole e della loro condizione lo ho avvertito in un secondo momento, mentre ero in fase di montaggio... È a causa di questa pesantezza che sia io sia il mio montatore abbiamo ripreso a fumare!”. Un ruolo importante nei 4 episodi lo ricopre il sogno, unica possibile evasione per i condannati a morte e tema ricorrente nei film di Herzog. “Sono da sempre affascinato dai sogni, ma non ne faccio mai! Sarà perché sono troppo impegnato a inventarli per i miei film!”, scherza il regista, portando in sala lo stesso delicato tocco di umorismo che, nonostante il tema impegnato, è presente nei quattro episodi. “La cosa interessante - continua - è riflettere su cosa sognano i detenuti: chi di poter mangiare quel che più ama, chi di camminare in libertà, chi di bere un bicchiere di vino, chi di spegnere le candeline del suo 99esimo compleanno. Questo dovrebbe farci capire quanto fortunati siamo noi altri, uomini liberi, che possiamo fare quel che ci pare: guadare il cielo, abbracciare un albero e rimanere a bagnarci sotto la pioggia... È importante ricordarcelo, ti dà la misura di quel che davvero conta”. Immigrazione: delegazione parlamentare visita Cie Gradisca, detenuti urlano “meglio la galera!” di Giuseppe Pisano Messaggero Veneto, 17 ottobre 2012 “Ho visto tanti Cie, ma questo è in assoluto il più simile a un carcere, se non peggio. Ho sentito gente dire che preferirebbe tornare in galera piuttosto che restare qui”. Con queste parole la struttura governativa di via Udine viene sonoramente bocciata da Andrea Sarubbi, deputato romano in quota Pd recatosi ieri in visita al Centro di identificazione ed espulsione insieme a Carlo Monai, esponente di Idv alla Camera e a numerosi amministratori locali, fra cui i consiglieri regionali Antonaz, Codega e Kocijancic, l’assessore provinciale alle Politiche sull’immigrazione Della Pietra, il consigliere provinciale Zanella, i sindaci di Sagrado Pian e Mariano Visintin, l’assessore alle Politiche sociali di Cervignano, Gratton e i consiglieri di Romans, Godeas e Guadagnini. Presenti nella folta delegazione anche Corazza del Centro salute mentale di Gorizia e alcuni rappresentanti di Tenda per la Pace, Asgi - studi giuridici sull’immigrazione - e Consiglio italiano per i rifugiati. Sarubbi, che di Cie ne ha visitati parecchi lungo lo Stivale, critica aspramente quello di Gradisca e argomenta con esempi concreti. A Trapani si può entrare con un iPhone, a Roma il cellulare è consentito ma senza fare foto, in riva all’Isonzo il telefonino è vietato del tutto. Oppure la mensa: “Perché a Gradisca è considerata pericolosa e a Roma invece no?” È l’interrogativo del parlamentare capitolino, che auspica nuove leggi sull’immigrazione, ricorda i costi eccessivi di queste strutture e la discrezionalità delle Prefetture. In chiusura Sarubbi sottolinea che dentro il Cie “non ci sono vittime e carnefici, ma solo vittime, perché poliziotti e operatori lavorano in condizioni poco agevoli” e conferma l’indiscrezione secondo cui gli operatori di Connecting people siano senza stipendio da quasi due mesi. L’ingresso al Cie gradiscano non è stata una novità per il deputato cividalese Carlo Monai. “Eppure ogni volta devo constatarne l’inutilità. Da un paio d’anni gli impianti sportivi e ricreativi sono inaccessibili, eppure sembra sempre che il ripristino sia imminente. Resta il fatto che i cosiddetti “ospiti” vivono condizioni di segregazione tali da essere trattati peggio dei detenuti delle patrie galere: c’è chi mi ha chiesto di poter tornare in carcere perché lì stava meglio”. Prima volta al Cie, invece, per l’assessore provinciale Bianca Della Pietra, apparsa quasi sotto choc: “È un Centro dove i diritti sono sospesi, se non negati. La persona andrebbe messa al primo posto, invece ho visto un’istituzione negante l’identità personale”. Il consigliere regionale Roberto Antonaz si dice pronto a lanciare una proposta: “Una sorta di staffetta per entrare al Cie anche una o due volte a settimana”. India: alla Camera si tratta “a fari spenti” su un ddl per riportare in Italia i due marò di Marco Sarti www.linkiesta.it, 17 ottobre 2012 Montecitorio approva in tempi record un trattato firmato lo scorso agosto con Nuova Delhi. L’intesa autorizza il rimpatrio degli italiani condannati in India. Ma il rappresentante del governo spiega ai deputati: “L’accordo è molto utile - ripeto molto utile - per risolvere casi complessi che ci riguardano da vicino”. Un disegno di legge per riportare in Italia i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ancora detenuti in India. Un trattato internazionale tra Roma e Nuova Delhi firmato lo scorso 10 agosto e approvato questa mattina con inusuale velocità dalla Camera dei deputati. Così procede a fari spenti e lontano dal clamore la trattativa del governo per rimpatriare i militari italiani. In linea teorica il trattato approvato poche ore fa a Montecitorio non riguarda direttamente il caso dei fucilieri di marina arrestati lo scorso febbraio - con l’accusa di aver ucciso alcuni pescatori indiani - mentre erano in servizio antipirateria su una nave italiana. Eppure il governo è sicuro che l’approvazione del documento servirà a sbloccare la situazione e riportare in Italia i due militari. Il disegno di legge approvato a larghissima maggioranza - 428 sì e un astenuto - introduce la possibilità di trasferire in patria i condannati dei due paesi. Un accordo siglato due mesi fa dal capo del dipartimento giustizia del nostro ministero e l’ambasciatore indiano a Roma. Come ricordato dal sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura i diretti interessati sono 18 cittadini italiani attualmente detenuti nelle carceri indiane e oltre 100 indiani che stanno scontando la pena nel nostro Paese. “In tal modo - ha spiegato il relatore del provvedimento, il presidente della commissione Esteri di Montecitorio Stefano Stefani - sarà possibile che i cittadini italiani reclusi nelle carceri indiane possano tornare in Italia, evitando di essere sottoposti a quella “pena nella pena”, rappresentata dalle difficoltà di ambientamento, di comunicazione e di socializzazione che incontra chi è detenuto fuori dal proprio Paese”. È chiaro l’obiettivo dell’accordo, ratificato in tempi record dalla Camera e già trasmesso al Senato per il definitivo via libera. Stefani spiega: “Ritengo che non possa sfuggire a nessun collega l’importanza di migliorare, in questa materia delicata, il quadro giuridico pattizio bilaterale al fine di accrescere il livello di fiducia reciproca tra i due ordinamenti, chiamati in questa fase a dirimere la nota controversia dei marò italiani sotto processo nello Stato indiano del Kerala, che è seguita con apprensione e partecipazione non solo dal Parlamento, ma da tutta l’opinione pubblica”. “Bisogna lavorare con la giusta sensibilità - ha chiarito il dipietrista della commissione Difesa Augusto Di Stanislao - con la giusta determinazione, facendo sì che questa ratifica segni un passo importante nei rapporti tra i due governi e, soprattutto, che faccia conseguire quel risultato utile che tutti noi auspichiamo”. Non solo buoni propositi. È lo stesso governo a mostrare fiducia sulla buona riuscita dell’operazione. “L’accordo - ha spiegato in Aula il rappresentante della Farnesina De Mistura - come ha detto giustamente il relatore potrebbe essere molto utile - Lo ripeto, molto utile - per risolvere e affrontare casi complessi che ci riguardano da vicino”. Del Vecchio (Pd): ok accordo con India, ma prevalga diritto internazionale “L’approvazione dell’accordo con l’India sul trasferimento delle persone condannate è un utile paracadute ma mi auguro sia solo l’ultima istanza”. È quanto afferma il senatore del Partito democratico Mauro Del Vecchio in merito alla vicenda dei due marò detenuti in India da 8 mesi con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani. “È certamente auspicabile che entri in vigore una legge che stabilisca la cooperazione bilaterale per il trasferimento delle persone condannate, al fine di facilitarne la riabilitazione sociale - sottolinea l’esponente Pd - ma mi auguro che, almeno in questo caso, non sia necessario dovervi ricorrere”. “Il comportamento delle Autorità indiane è del tutto contrario al principio dal codice penale internazionale il quale stabilisce che gli organi dello Stato sono immuni dalla giurisdizione penale dello Stato straniero quando svolgono attività iure imperii. Se la Corte Suprema si pronunciasse contro la richiesta di potestà giudiziale dell’Italia - conclude Del Vecchio - sarebbe una sconfitta per il nostro Paese che, in base al diritto internazionale, ha la piena giurisdizione sul caso”. Albania: Corte di Tirana dichiara illegittimo lo sciopero della fame degli ex detenuti politici Nova, 17 ottobre 2012 Una corte di Tirana ha deciso oggi di considerare illegittimo lo sciopero della fame indetto da oltre tre settimane da un gruppo di ex detenuti politici che chiedono al governo albanese il risarcimento economico per gli anni trascorsi nelle carceri della dittatura comunista. La corte ha emesso il suo giudizio dopo che la polizia ha denunciato gli ex detenuti politici per non aver chiesto il permesso per l’organizzazione dello sciopero. Immediata la reazione dei diretti interessati, secondo i quali “anche i giudici hanno dimostrato di non essere indipendenti, ma di obbedire agli ordini del premier Sali Berisha”. Gli scioperanti hanno dichiarato che la loro protesta continuerà, senza precisare se rispetteranno o no la decisione della corte. Le autorità considerano la protesta un atto politico e hanno sostenuto di aver rigorosamente rispettato la legge sul risarcimento economico destinato agli ex detenuti politici. Amnesty International chiede a Governo di avviare dialogo L’organizzazione per la tutela dei diritti dell’uomo Amnesty International ha chiesto al governo albanese di avviare un dialogo con gli ex detenuti che da oltre tre settimane hanno indetto uno sciopero della fame per chiedere il risarcimento finanziario previsto dalla legge per gli anni trascorsi nelle carceri della dittatura comunista. L’Ong ha rivolto un appello al premier Sali Berisha perché “offra una soluzione ai loro problemi e garantisca l’immediato risarcimento finanziario”. Il governo, per, ritiene che lo sciopero sia motivato da scopi politici e ha più volte dichiarato di aver rispettato rigorosamente la legge che stabilisce le procedure del risarcimento. La normativa entrata in vigore nel 2007, prevede la distribuzione del risarcimento finanziario in otto rate per un periodo di otto anni. Dal 2009 sino ad oggi stata interamente concessa la prima rata, mentre la procedura per l’erogazione della seconda in corso. In tutto, il governo ha destinato a oltre 11 mila ex detenuti politici circa 65 milioni di dollari. Il totale del risarcimento ammonterebbe invece a circa 430 milioni di dollari. Anche l’ambasciatore degli Stati uniti a Tirana, Alexander Arvizu, ha dichiarato in un’intervista all’emittente albanese “Abc News” che “il governo deve dialogare ed ascoltare gli ex detenuti”. Secondo Arvizu “ogni governo ha l’obbligo di dialogare anche con chi vorrebbe magari strangolarlo. E questo non un segnale di debolezza, ma anzi uno di forza. Chi sta al potere non governa solo per quella parte dei cittadini che lo ha votato”, ha ribadito Arvizu. Da giorni il diplomatico statunitense e l’ambasciatore della delegazione dell’Unione europea a Tirana, Ettore Sequi, stanno lavorando per negoziare una soluzione al problema.