Giustizia: giovani, carcere, porte chiuse… l’irrisolta questione del reinserimento di Maurizio Patriciello Avvenire, 16 ottobre 2012 Vite stravolte. Destini già segnati. Giovani senza sbocco. Per loro si sarebbe potuto fare tanto e invece sono stati lasciati a se stessi. Tenuti ai margini. Dimenticati. Abbandonati ad amicizie pericolose. Matteo, 26 anni, è stato acciuffato l’altro giorno dalla polizia e trasferito in carcere. In questa terra campana. Poche ore prima aveva rapinato un minorenne del telefonino e altri effetti personali. Gli è andata male. Qualcuno tira un respiro di sollievo. Un pericolo in meno in giro. Il carcere, Matteo, la prima volta lo conobbe che era appena maggiorenne. Era andato, insieme ad Andrea, a rapinare coppiette appartate nelle auto in sosta. Andrea aveva 15 anni appena. La rapina, in una fredda sera di febbraio, finì tragicamente. Incapparono, infatti, in un poliziotto che esplose un colpo di arma da fuoco. Andrea morì pochi minuti dopo. Il dolore dei genitori, delle sorelle, del quartiere fu immenso. Il giorno del funerale la chiesa era strapiena di adolescenti, giovani, mamme addolorati e arrabbiati. “Non si uccide un ragazzino di 15 anni”, gridavano piangendo. Avevano ragione da vendere. Purtroppo, sia lui che Matteo erano alti di statura e nel buio della notte tra le loro mani era sbucata anche una pistola. Che fosse un giocattolo si seppe solamente dopo. In chiesa, tra la folla, c’era un giovane giornalista, Roberto Saviano. Il tristissimo episodio sarebbe poi finito nel suo libro Gomorra. Andrea morì e Matteo iniziò a espiare la sua pena. Conobbe il carcere e le sue regole. Fu dura. Volle vedermi a tutti i costi. Riuscii a raggiungerlo a Poggioreale. Mi corse incontro e mi tenne stretto fra le braccia per un tempo lunghissimo. Le guardie ci guardavano commosse. Piangeva a dirotto, Matteo. Io mi sforzavo di non farlo. La direzione fu così gentile da lasciarci da soli in una stanza. Parlammo a lungo. Il rapinatore che faceva tanta paura era solamente un ragazzone impaurito che mi stringeva le mani fino a farmi male. Dio mio, quanto abbiamo capito poco di questa benedetta gioventù. Fu trasferito a Cagliari, poi ai domiciliari. Andai a trovarlo a casa. Voleva ricevere la cresima e sposarsi in chiesa. Faceva mille propositi buoni. Non si stancava di raccontare. Troppo aveva sofferto in carcere per pensare di ritornarci. Finalmente libero, cercò un lavoro. Un qualsiasi lavoro. Per qualsiasi paga. Sopportando qualsiasi orario. Subendo qualsiasi umiliazione. Niente. Non riuscì a trovare niente. La famiglia gli si stringeva attorno. Non lo lasciava solo. Tremavano i genitori sapendo come si vivacchia in certi ambienti. Sapendo che, dopo aver lottato e pianto, un ragazzo può tornare a sbagliare. Domenica scorsa la sua foto era in prima pagina sui giornali locali. Matteo è finito di nuovo dietro le sbarre. La società civile ancora una volta si è liberata di un pericoloso delinquente? Può dunque stare più serena? No, assolutamente. Pur condannando senza esitazioni il suo comportamento riprovevole, occorre chiedersi che cosa si sia tentato per riportare questo giovane sulla retta via. Lui ha lottato, implorato, chiesto aiuto per non sbagliare più, ma non una sola porta si è aperta al suo bussare. Ha gridato al mondo la sua angoscia, la sua disperazione, la sua voglia di vivere con un lavoro onesto. Inutilmente. E una cosa è certa: da questa ulteriore detenzione non ci guadagnerà nessuno. Alla sofferenza antica si aggiunge altra sofferenza. Alla povertà altra povertà. Giovani in bilico. Equilibristi. Ragazzi che vivono sulla lama di un rasoio. Non so per quanto tempo rimarrà in carcere questo gigante con la barba. Ma una cosa so, e la dico con certezza: dopo aver scontato la sua pena, con il cuore più indurito, si ritroverà al punto di partenza. Finché la società non lo aiuterà a imboccare il binario giusto della vita, Matteo è destinato solamente a soffrire e far soffrire il prossimo. Ed è questa, in un’Italia dove tutto sembra diventare motivo di guerra tra poteri e alibi per niente mai cambiare davvero, l’ingiustizia. L’irrisolta, ma risolvibile, ingiustizia che va finalmente messa sotto processo. Giustizia: a Radio Carcere il punto sulla battaglia per l’amnistia ormai improcrastinabile Notizie Radicali, 16 ottobre 2012 Ancora una volta, sarà “Radio Carcere”, trasmissione di Radio Radicale condotta dall’avvocato e giornalista Riccardo Arena, a dare notizie inedite e fare il punto della situazione della lotta per l’amnistia che, con il passare delle ore, si rende sempre più necessaria per far uscire dall’illegalità il nostro paese in tema di giustizia e carcere. E, anche stasera alle 21, protagonista della trasmissione del martedì (seguitissima nelle carceri) sarà il leader radicale Marco Pannella che da tempo ha ricondotto il suo storico impegno per la giustizia, ad un satyagraha permanente che lo vede coinvolto in prima persona assieme a tutta la comunità penitenziaria e a quei cittadini democratici che credono e si battono per l’affermazione dello stato di diritto. In particolare, stasera, verrà presentata la campagna per il diritto di voto dei detenuti, diritto fino ad oggi negato da ostacoli e complicazioni di tipo burocratico. Come scritto in un’interpellanza radicale rivolta al Presidente del Consiglio Mario Monti, pubblicata ieri alla Camera dei deputati, tale diritto rischia di essere ancora una volta conculcato se è vero come è vero che nelle ultime due tornate di elezioni politiche (2006 e 2008) su una popolazione stimabile in più di 30 mila detenuti aventi diritto di voto, appena il 10 per cento circa ha avuto modo di esercitare tale imprescindibile diritto-dovere. A 453 giorni da quando il Presidente Napolitano disse che quella del carcere e della giustizia “… è una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo”, rendiconteremo anche in merito al “nulla” che sta partorendo la Commissione Giustizia alla Camera che ha già provveduto a stralciare le depenalizzazioni dal ddl delega del Governo e ora si appresta a togliere di mezzo la parte riguardante le pene detentive non carcerarie. Oggi alle 14 e stasera dopo la seduta pomeridiana dell’aula saranno votati gli emendamenti presentati al testo unificato che sarebbe meglio definire “testo mutilato”. Le carceri sono sempre di più - con i detenuti, i direttori, le organizzazioni sindacali degli agenti, il volontariato, gli educatori, gli psicologi, i cappellani, il personale amministrativo - luogo di lotta e di approfondimento, anche militante, di quello che accade nel nostro Paese. Giustizia: appello Assistenti sociali al ministro Severino, per il potenziamento degli Uepe Redattore Sociale, 16 ottobre 2012 In una petizione online la richiesta di rilanciare le misure alternative e gli uffici di esecuzione pensale esterna. “In dieci anni perso il 40% del personale e subito la drastica riduzione delle scarse risorse disponibili”. Rilanciare le misure alternative al carcere e potenziare gli Uffici di esecuzione penale esterna. A chiederlo con forza sono gli assistenti sociali in una petizione online indirizzata al ministro Paola Severino, che ha già raccolto centinaia di adesioni nel modo della società civile. Nell’appello si esprime interesse e soddisfazione per l’inizio dei lavori in Commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie e di altri 6 disegni di legge. Nello stesso tempo, però, gli operatori ribadiscono che l’approvazione di una così importante e attesa riforma non può non prevedere contestualmente il potenziamento degli Uffici per l’esecuzione penale esterna e degli stessi operatori che lavorano in tali servizi, “in continuo decremento a seguito dei diversi provvedimenti di contenimento della spesa pubblica nonchè di mancate sostituzioni (ultimo concorso risale al 1999)”. “Sosteniamo con convinzione la scelta del Ministro di dare priorità alle misure alternative, auspichiamo la rapida approvazione delle proposte all’attenzione del Parlamento e confermiamo il nostro impegno pieno e leale per la realizzazione di tale indirizzo - si legge in una lettera inviata nei mesi scorsi al ministro e al capo del Dap Giovanni Tamburino. Allo stesso tempo siamo consapevoli che l’ampliamento delle alternative al carcere, senza un forte intervento che consenta all’amministrazione penitenziaria di gestire efficacemente tali misure, renderebbe probabile il rischio di eventi critici, a causa della perdurante impossibilità degli uffici di esecuzione penale esterna di assicurare il livello adeguato di presenza nel territorio che caratterizza le misure di community service. Siamo seriamente preoccupati per gli effetti negativi che potrebbero avere, anche nell’opinione pubblica, gravi défaillance nella gestione delle misure, per i danni all’immagine dell’Amministrazione ed al sistema stesso delle alternative alla detenzione”. Pur con la consapevolezza delle scarse risorse a disposizione, gli operatori ritengono che sia possibile un trasferimento di investimenti dal carcere agli Uffici che si occupano di misure alternative. “Solo un reale investimento sull’esecuzione penale esterna potrà avere un positivo esito sulla riduzione del sovraffollamento delle carceri”, sottolineano. Nella lettera si ribadisce che da dieci anni l’Amministrazione non assegna risorse e personale al settore: “nel periodo 2006-2012, siano state assunte 3890 unità destinate solo al settore detentivo; nel frattempo l’esecuzione penale esterna ha perso il 40% del personale e ha subito la drastica riduzione delle scarse risorse disponibili. Siamo consapevoli di quanto la situazione delle carceri sia difficile, né chiediamo di sottovalutare la necessità di porvi rimedio; pensiamo, tuttavia, che non sia utile per l’Amministrazione penitenziaria, né prudente in previsione dell’incremento delle misure alternative, mantenere nell’attuale stato di sofferenza (operativa, organizzativa e direzionale), di mancanza di indirizzi e coordinamento un settore che, nonostante tutto, solo nel 2011 ha assicurato 150.000 interventi e oltre 52.000 giornate di presenza nel territorio”. Inoltre si ricorda che gli Uepe eseguono un numero di misure alternative (22.000) uguale a quello in corso prima dell’indulto, ma hanno il 40% di operatori in meno; “il personale di servizio sociale si reca quotidianamente nei luoghi più rischiosi, quasi sempre da solo e senza auto di servizio: dalle Vele di Scampia, ai campi nomadi delle periferie urbane, da Tor di Quinto a Roma, alle Serre catanzaresi, alle campagne della Locride, alle aree deindustrializzate del nord. Eppure non si lamenta, né protesta, diversamente da altre, ben più tutelate e ascoltate, componenti dell’Amministrazione - concludono. Gli operatori degli Uepe dimostrano ogni giorno lo spirito di servizio che li anima; per tale ragione meritano di non essere lasciati soli nel compiere il loro lavoro. Giustizia: il 23 ottobre ddl per pene detentive non carcerarie in Aula alla Camera Asca, 16 ottobre 2012 In Commissione Giustizia oggi riprende l’ampio confronto sul ddl 5019-b di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Il provvedimento è anche al vaglio della Bilancio per l’approfondimento delle proposte emendative. Il Ministro Paola Severino ha più volte ribadito la necessità ed urgenza di questo intervento normativo anche per attenuare l’emergenza del sovraffollamento carcerario. Per accelerare l’iter è stato predisposto il nuovo testo base dal quale è stato stralciato l’originario articolo 2 riguardante la depenalizzazione. Severino: domani ok commissione Camera ddl messa a prova Si sblocca l’iter del ddl sulle misure alternative al carcere in commissione Giustizia alla Camera. È stata Paola Severino, ministro della Giustizia, ad annunciarlo alla Camera ai cronisti al termine della seduta della commissione: “La presidente Bongiorno - ha spiegato - mi ha garantito che entro domani la commissione voterà il provvedimento”. La guardasigilli ha sottolineato con soddisfazione che il ddl è già calendarizzato per l’aula della Camera il 23 ottobre prossimo, ed ha ricordato che il provvedimento fa parte di un disegno complessivo di attacco al sovraffollamento carcerario in parte contenuto del decreto salva-carceri e in parte in questo disegno di legge. “Questa parte di misure sulla messa alla prova e sulla detenzione domiciliare come pena principale non era nel decreto perché pendevano in Parlamento dei disegni di legge sull’argomento e non sarebbe stato corretto sovrapporsi alla volontà parlamentare. Quindi presentammo un disegno di legge ma chiedemmo una corsia preferenziale”. Il ministro Severino ha anche precisato di aver “pienamente condiviso” lo stralcio delle norme sulla depenalizzazione, perché frutto del lavoro di una commissione insediata prima della nascita del Governo Monti e che riguardava “fattispecie molto limitate. Occorre stabilire - ha aggiunto - cosa deve avere sanzione penale e cosa deve restare fuori, non ci interessano norme manifesto, preferiamo prendere un po’ di tempo in più”. Marcenaro (Pd): bene calendarizzazione ddl su misure alternative “La decisione della Capigruppo della Camera di calendarizzare per il 23 ottobre il ddl di messa alla prova e di misure alternative alla detenzione è una buona notizia, la speranza è che la discussione proceda speditamente e non venga in alcun modo ostacolata”. È quanto afferma il senatore del Partito democratico Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti umani a Palazzo Madama. ‘Le notizie di continui suicidi tra i detenuti impongono che la questione carceri sia affrontata e risolta con interventi strutturali - sottolinea Marcenaro. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza, come evidenziano chiaramente i dati: 67 mila carcerati a fronte di 44 mila posti disponibili, quattro morti nelle ultime 72 ore che portano a 45 il bilancio dei detenuti che hanno deciso di togliersi la vita nel 2012, ai quali vanno aggiunti 8 agenti della polizia penitenziaria. L’urgenza di accelerare sul fronte dell’attivazione di pene non detentive è nei fatti. Ed è per questo che mi auguro l’approvazione del ddl in discussione in tempi rapidi”. “È un quadro questo - conclude l’esponente Pd - che può permettere al Parlamento di prendere in considerazione misure di clemenza”. Giustizia: Uil-Pa; è nei numeri che risiede la prepotenza del dramma penitenziario Agenparl, 16 ottobre 2012 “Nelle ultime 72 ore gli agenti della polizia penitenziaria hanno letteralmente strappato alla morte quattro detenuti (due a Piacenza, uno all’IPM di Airola e a Reggio Calabria), mentre nulla hanno potuto per salvare la vita al detenuto 26enne che ha deciso di evadere dalla vita impiccandosi in una cella di Poggioreale. L’aggiornamento, quindi, del bollettino di guerra porta a 45 il numero totale di auto soppressioni in cella in questo 2012 cui debbono sommarsi gli 8 suicidi di appartenenti alla polizia penitenziaria, le 84 vite salvate in extremis dagli agenti penitenziari in occasione di tentati suicidi, i 246 agenti feriti a seguito di aggressioni da parte dei detenuti, i 14 detenuti evasi e le 7 tentate evasioni sventate all’ultimo istante. Il tutto, ovviamente, in un quadro di affollamento penitenziario che vede presenti circa 67mila detenuti a fronte di 44mila posti disponibili”. Questo è il commento di Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, alle notizie degli ultimi suicidi e tentati suicidi provenienti dagli istituti penitenziari italiani: negli ultimi quindici giorni sei suicidi in cella e cinque salvataggi. “Qualche giorno fa il Presidente Napolitano ha nuovamente parlato, riferendosi al sistema penitenziario, di urgenza e di prepotenza. Evidentemente con cognizione di causa, vista la drammatica situazione. Purtroppo nonostante l’autorevolezza dei pronunciamenti e dei moniti del Capo dello Stato il Governo Monti appare palesemente insensibile e distante dal dramma che si consuma ogni giorno al di là delle mura. Attendiamo ancora - sottolinea polemicamente Eugenio Sarno - che il Governo dedichi un Consiglio dei Ministri alla situazione penitenziaria, sebbene il premier avesse promesso che ciò sarebbe accaduto alla prima riunione del Cdm dopo la ripresa dalla pausa estiva. Ancora una volta avevamo visto giusto nel catalogare quell’impegno nel mero novero delle buone intenzioni”. Proprio ieri al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si è tenuta una riunione sui circuiti penitenziari regionali convocata dal Capo del Dap Tamburino che ha anche anticipato la volontà del Ministro Severino di convocare un incontro con le OO.SS. “Da anni sosteniamo che i circuiti penitenziari rappresentano una delle soluzioni strutturali di cui necessita il sistema. Peraltro è una soluzione senza costi, ma abbisogna volontà e competenze. Ovviamente la sola attivazione dei circuiti penitenziari non può ritenersi esaustiva, ma potrebbe essere lo start-up di una nuova organizzazione penitenziaria. Ciascuno di noi - prosegue il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - è ben consapevole dei problemi che investono il nostro Paese, ciò non può giustificare in nessun caso insensibilità e distanza verso una delle questioni sociali più serie che investono l’Italia. Abbiamo apprezzato, e continuiamo ad apprezzare, l’impegno del Ministro Severino per ridurre gli effetti dei tagli lineari e della spending review. Purtroppo, per lei e per noi, si continuano a tagliare i fondi per la giustizia e a depauperare gli organici dei dirigenti, del personale amministrativo e della polizia penitenziaria. Ciò rappresenta una evidente contraddizione rispetto alla volontà di aprire nuove carceri che, allo stato attuale, rischiano di rimanere cattedrali nel deserto non avendo personale per attivarle. Il rischio concreto - conclude Sarno - è che il sistema carcere affondi nel mare dell’illegalità, del degrado e dell’inefficienza. Come si può pensare di garantire dignità al lavoro penitenziario a fronte delle condizioni degradanti, alla mancanza di mezzi e risorse, alla impossibilità di svolgere il proprio mandato costituzionale. Come si può pensare di garantire civiltà alla detenzione se, per fare un esempio, la quota parte destinata al vitto giornaliero (colazione, pranzo e cena) è di soli € 3,60 per ogni detenuto. Attendiamo, quindi, la convocazione del Ministro per comprendere il nostro futuro, su cui continuiamo a scorgere l’ammassarsi di nuvole nere”. Giustizia: dieci ergastolani a “scuola di diversità”, con corso gestito da volontari-disabili di Daniele Biella Vita, 16 ottobre 2012 Reportage esclusivo di un’esperienza unica in Italia: dieci detenuti con lunghe pene escono dal carcere per frequentare un corso pilota gestito da volontari con disabilità ed esperti di pet e clown therapy. “Possono dimostrare alla società e a loro stessi che sono pronti a rifarsi una vita”, spiega l’organizzatrice. Puoi scegliere di entrare in quell’aula a occhi chiusi. E allora li vedi così: assassini, rapinatori, spacciatori. Senza via di redenzione. Oppure scegli di aprirlo, almeno un occhio. Allora la scena che ti si presenta davanti è da pelle d’oca: dieci persone, uomini, italiani ma non solo, di tutte le età (avanzata compresa) che ascoltano una donna che legge un libro. In sedia a rotelle, a causa di una malattia congenita. Il suo nome è Sara Ranieri, 42 anni, sta leggendo loro un passo emozionante del libro di Candido Cannavò “E li chiamano disabili”. Non vola una mosca, tutti attenti. Ma il meglio deve ancora venire. Dopo, a turno, leggono loro, i detenuti. Ecco che incespicano sulle parole, si fermano, ripartono, dicono di non vedere bene le parole, arrossiscono (e alcuni sono omoni dai quali non ti aspetteresti mai un cedimento emozionale) ma continuano, lottando contro un analfabetismo di rimando che vogliono superare a tutti i costi. Sara li guida, con piglio da esperta, lei che, oltre a essere stata consulente per alcuni Comuni del nord milanese in tema di barriere architettoniche, da decenni mette in atto iniziative di divulgazione sul mondo dei diversamente abili, da manifestazioni sportive a trasmissioni radiofoniche. “Sempre come volontaria, naturalmente”, precisa, dato che per lavoro è impiegata aziendale. “Ma questa è una storia del tutto nuova anche per me, una sfida da vincere: erano tanti anni che volevo entrare nel mondo del carcere, finalmente ne ho l’occasione”, ci rivela la donna, che vive alle porte Bollate, lo stesso paese che ospita l’istituto di pena modello d’Italia, per le sue politiche di reinserimento dei detenuti, a livello sociale e lavorativo. La conferma è che proprio da Bollate arrivano i dieci partecipanti al corso organizzato da Sara in collaborazione con la dirigenza del carcere, che è iniziato a ottobre e si tiene una sera alla settimana (otto incontri in tutto) in un’aula di una parrocchia del nord milanese. Il progetto è chiamato “La diversità per una vita diversa” ed è basato su un’idea semplice quanto visionaria: “Vogliamo dare ai carcerati la possibilità di dimostrare alla società e a loro stessi che dopo un percorso di integrazione, sono pronti a rifarsi una vita, e a lavorare anche nel settore sociale”, spiega Sara. “Tutti hanno già alle spalle un percorso di riabilitazione e hanno scelto di partecipare in modo volontario: sono state talmente tante le candidature che questo sarà solo il primo di almeno due-tre scaglioni”. Barriere architettoniche, Pet therapy, clownterapia, disabilità e sport sono il cuore degli argomenti che si trattano durante il corso. La serata in cui è presente chi scrive (e lo è in qualità di clown dottore volontario per l’Associazione Veronica Sacchi di Milano) è colma di contenuti: c’è la lettura del libro di Cannavo, ma c’è anche un giro del quartiere a individuare le barriere architettoniche, tutti dietro alla carrozzina di Sara (i carcerati presenti sono tutti ‘articolo 21’, ovvero in una fase di semilibertà del percorso di detenzione: possono muoversi in modo autonomo, l’unico vincolo è il tornare entro una certa ora in cella). Inoltre, è presente Enzo Panelli dell’associazione Dog4life, anch’egli in carrozzina con al fianco il proprio cane ammaestrato, per una dimostrazione di collaborazione uomo-animale che lascia tutti con la bocca aperta. Infine, è il turno di Roberto Pansardi, istruttore di Clownterapia che svela le tecniche di animazione e giocoleria a fini sociali e riabilitativi per le persone con handicap. I detenuti partecipano alle attività con interesse genuino (fa effetto insegnare a far volteggiare il piatto cinese a un pluriomicida piuttosto noto all’opinione pubblica, e vedere l’impegno che ci mette) e un mix di maldestria e autoironia che rende il corso un’iniziativa disarmante. “Anche perché capisci che il percorso fatto negli anni da queste persone è passato attraverso l’assumersi le responsabilità del male che hanno fatto in passato e del dolore causato ai familiari delle vittime. Per poi ripartire da zero”. Grazie a chi guida il carcere di Bollate, che ha dato loro una seconda e ultima chance per ripianare il debito con la società. “Viviamo in due ghetti, noi disabili e i carcerati”, sentenzia Sara, “avvicinandoci tiriamo fuori il meglio di noi stessi, e l’obiettivo è capire che per certi versi possiamo uscire dalle nostre gabbie mentali, talvolta. Il volontariato è lo strumento principe per superare ogni barriera”. I dieci partecipanti sembrano averlo già capito da soli: al terzo incontro, hanno già stabilito che vogliono creare un’associazione. “C’è già il nome, ‘Un sorriso nella città’, e il sito web, unsorrisonellacitta.altervista.org”, annuncia la donna, “fanno sul serio”. Chissà fin dove si spingeranno. “Lontano, se vogliono e la società li accoglie. Possono esserle molto utili, così come il volontariato e il lavoro nel sociale può far bene anche a loro stessi”. Pur nella consapevolezza, per alcuni, che l’ergastolo (il “fine pena mai”), rimarrà irreversibile. Giustizia: funerali vietati per l’ergastolano morto a Carinola, il figlio non crede al suicidio La Sicilia, 16 ottobre 2012 Il boss ergastolano Pietro Ribisi, 61 anni di Palma di Montechiaro, si è suicidato impiccandosi nella sua cella del carcere di Carinola vicino Caserta. L’episodio - reso noto da Donato Capece, segretario generale del Sappe - è avvenuto lo scorso 11 ottobre. Pietro Ribisi stava scontando il carcere a vita per l’uccisione, avvenuta il 25 settembre del 1988 lungo la Statale 640 del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano. Sul cadavere è già stata effettuata la perizia e già stamane la salma sarà tumulata nel cimitero di Palma di Montechiaro. Il questore di Agrigento Giuseppe Bisogno ha vietato il corteo e il feretro muoverà già alla sette del mattino verso il cimitero. Dubbi sul suicidio sono stati espressi ieri sera dal figlio di Pietro Ribisi, Nicola, che vive a Milano: “Mio padre in quel carcere non stava bene e voleva andare via, ma aveva cambiato avvocato e l’ultima volta che l’ho visto, alcuni giorni fa, era tranquillo e fiducioso”. Pietro Ribisi è stato un personaggio di spicco della mafia agrigentina, così come lo è stata la famiglia Ribisi, da sempre vicinissima ai Corleonesi di Totò Riina prima e di Bernardo Provenzano poi. Secondo gli investigatori Pietro è stato insieme al fratello Gioacchino, poi ucciso in una pizzeria nel 1989, uno dei killer più spietati della mafia agrigentina. Un ritratto confermato dai giudici della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta proprio nella sentenza relativa riguardante il duplice omicidio Saetta: “I componenti della famiglia Ribisi si sono resi protagonisti non solo dei più efferati crimini commessi in provincia di Agrigento, ma sono stati tra i più fidati interpreti della strategia stragista portata avanti dai criminali di vertice della mafia siciliana, commettendo gravissimi delitti anche fuori dal territorio di competenza”. I Ribisi sono stati pressoché sterminati nella guerra di mafia con la Stidda tra gli anni Ottanta e Novanta. Dei sei fratelli sono rimasti vivi in due: Calogero ed Ignazio. Il primo è stato solo sfiorato dalle inchieste antimafia, il secondo è detenuto ed anche per lui una condanna all’ergastolo. Gli altri fratelli sono stati tutti ammazzati: Gioacchino nell’agosto 1989; Carmelo e Rosario il 4 ottobre dello stesso anno all’interno dell’ospedale di Caltanissetta. Il figlio: “Non aveva motivo di uccidersi” (La Repubblica) Il boss mafioso ergastolano Pietro Ribisi, 61 anni, di Palma di Montechiaro (Agrigento), si è suicidato nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta, dov’era detenuto. Pietro Ribisi era stato condannato con sentenza definitiva all’ergastolo nell’ambito del processo per l’omicidio del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano, uccisi lungo la Statale 640 il 25 settembre del 1988. “Mio padre ha trascorso 20 anni in carcere di cui 11 col regime del 41 bis. Non aveva motivo di suicidarsi proprio ora che poteva sperare in qualche beneficio. Anzi per me potrebbe essere stato ucciso. È stata aperta un’inchiesta che non è stata archiviata. Dire che si è suicidato è quantomeno un anticipazione del risultato investigativo che ancora non c’è”. Lo dice Nicolò Ribisi, figlio del bosso morto in carcere. Nicolò Ribisi lamenta il fatto che il prete di Palma di Montechiaro (Ag) non voglia celebrare il normale funerale in chiesa perchè l’uomo si sarebbe suicidato. “Mio padre - aggiunge - non stava bene. Non riusciva a dormire. L’ho visto martedì scorso. Avevamo chiesto di farlo trasferire in un penitenziario con annesso ospedale ma giovedì è morto. Il pm ha sequestrato la cella e tutti gli effetti personali di mio padre. Dicono che si è impiccato. Ma ho visto il suo collo dopo che ci hanno riconsegnato la salma: ha un segno che va verso il basso non verso l’alto. E ha le dita della mano sinistra nere come se avesse tentato di impedire che lo strangolassero”. Assieme a un fratello, era stato condannato anche a 12 anni come capo della cosca mafiosa di Palma di Montechiaro. Quello dei Ribisi è un nome si spicco nella storia della mafia agrigentina. I fratelli, Gioacchino, Rosario e Carmelo Ribisi furono assassinati alla fine degli anni Ottanta nel contesto di una feroce faida mafiosa tra il gruppo storico di Cosa nostra e quello emergente della Stidda. Gioacchino venne ucciso la sera del 5 agosto 1989 all’interno di una pizzeria di Zingarello, mentre Rosario e Carmelo vennero trucidati, il 4 ottobre dello stesso anno, mentre si trovavano all’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta. Altri due fratelli, Calogero e Grazia, sono rimasti coinvolti in gravi vicende giudiziarie dalle quali, però, sono usciti puliti. Calogero prima è stato processato e assolto dall’accusa di omicidio volontario, successivamente è stato sottoposto al soggiorno obbligato perchè ritenuto in qualche modo collegato con le attività criminali dei fratelli. A firmare la richiesta di confino fu il giudice Rosario Livatino, poi anch’egli assassinato dalla mafia. Ma questo provvedimento, emesso dal Tribunale di Agrigento e confermato dalla Corte d’Appello di Palermo, venne annullato dalla Corte di Cassazione. Grazia, infine, venne arrestata agli inizi degli anni Novanta nel contesto dell’operazione antimafia denominata “Gattopardo”. Subì un lungo processo al termine del quale fu assolta con formula piena. Quindi, chiese ed ottenne dallo Stato un risarcimento dei danni per ingiusta detenzione. Il nipote del boss suicida, Nicolino Ribisi, fu arrestato dai poliziotti Squadra Mobile di Agrigento nel 2010 e l’allora presidente della squadra di calcio Akragas gli dedicò una vittoria suscitando molte proteste. Sul caso fu aperta anche un’inchiesta. Secondo quanto riferito da Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Sappe, Ribisi si è impiccato nella sua cella lo scorso giovedì, ma la notizia si apprende solo adesso. I funerali si svolgeranno domani a Palma di Montechiaro. Dopo “l’ennesimo tragico caso di morte in carcere - ha detto Capece - bisognerebbe darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere”. Abruzzo: interpellanza di Gino Milano (Api), drammatiche condizioni vita nelle carceri Asca, 16 ottobre 2012 “Una mia interpellanza sulla drammatica condizione di vita nelle 8 carceri abruzzesi svolta oggi in aula ha catturato l’attenzione di tutto il Consiglio e della Giunta regionale, che ha voluto rispondere alle questioni sollevate per bocca di ben tre Assessori: quello alla Sanità, alle Politiche Sociali e ai Lavori Pubblici. Un evento senza precedenti”. Lo afferma il Capogruppo di Api Gino Milano, che ha di recente visitato tre istituti detentivi regionali, incontrando detenuti, direttori e personale penitenziario. Nell’interpellanza Milano ha rappresentato le difficoltà legate al cronico sovraffollamento in cui versano almeno 7 degli 8 istituti penitenziari dell’Abruzzo (escluso quello dell’Aquila), ricordando i suicidi inframurari e i gravi episodi di autolesionismo. “Le istituzioni - secondo il Capogruppo API - non possono non raccogliere il grido accorato del Presidente Napolitano, che ha parlato di uno spettacolo indegno che non fa onore all’Italia e ne ferisce la credibilità internazionale. Nonostante un impegno lodevole da parte dei Direttori delle strutture carcerarie nonché del sempre più ridotto personale penitenziario, la situazione delle comunità carcerarie abruzzesi rispecchia quella condizione di grande sofferenza e disagio per le consistenti criticità connesse al grave sovraffollamento e alle emergenze di carattere sanitario, nonché per le condizioni degli stessi edifici penitenziari, spesso del tutto inadeguate. Urge una seria e condivisa riflessione - ha detto l’interrogante - sul ruolo del Consiglio regionale e sulle iniziative che la Regione può mettere in campo in ordine al miglioramento dell’assistenza sanitaria regionale e alla implementazione di una seria politica volta alla formazione e al reinserimento sociale dei detenuti. Su questi ultimi aspetti l’Assessore Gatti ha presentato gli interventi regionali finanziati con i Fas a beneficio dell’inclusione sociale dei detenuti, indirizzati in particolar modo al reinserimento dei minori e dei giovani detenuti, mediante l’attivazione, in quasi tutti gli istituti penitenziari d’Abruzzo, di Corsi di formazione per la certificazione delle competenze in diversi ambiti lavorativi”. Milano ha anche chiesto di dare attuazione alla legge regionale che prevede l’istituzione del Garante dei detenuti, di dar vita a un nucleo di monitoraggio che tenga costanti rapporti con le direzioni delle carceri, al fine di rilevare e prevenire l’insorgere di criticità all’interno delle strutture e di attuare progetti formativi per il personale penitenziario, finalizzati anche all’apprendimento delle lingue straniere. “Per queste unità di personale - continua il Capogruppo dell’Api - ho sollecitato la Giunta, affinché, d’intesa con le varie amministrazioni comunali, preveda l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata e agevolata, in locazione ai dipendenti della polizia penitenziaria, in quanto personale impegnato e coinvolto nella lotta alla criminalità organizzata. Su questo punto l’Assessore ai Lavori Pubblici ha manifestato l’intenzione della Regione di affrontare lo specifico problema allocativo degli addetti penitenziari, prevedendo (nelle maglie di una normativa che non li comprende quali destinatari di tali agevolazioni e nell’ordine della difficile compatibilità finanziaria) una quota di alloggi da destinare alle loro esigenze abitative”. Emilia Romagna: “Raee in carcere”, recuperate 1.700 tonnellate e assunte 18 persone di Anna Tagliacarne Corriere della Sera, 16 ottobre 2012 Il progetto “Raee in carcere” per il trattamento degli scarti elettrici ed elettronici da parte dei detenuti. Diciotto persone assunte: 16 detenuti delle carceri di Bologna, Forlì e Ferrara, e due per la gestione del sito internet. È il bilancio “umano” del progetto “Raee in carcere”, mirato all’avvio lavorativo di persone in esecuzione penale o reduci dal carcere che si sono occupate di smaltimento di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee). Il progetto è nato all’interno dell’iniziativa comunitaria Equal “Pegaso”, grazie alla collaborazione di soggetti pubblici e privati: la Regione Emilia Romagna, Ecolight ed Ecodom (consorzi nazionali per la gestione dei Raee), il gruppo Hera (multi utility nel settore ambientale, idrico ed energetico), le cooperative sociali Gulliver e Il Germoglio. In tre anni dall’avvio, i carcerati occupati nei tre laboratori si sono specializzati nello smontaggio dei rifiuti elettrici ed elettronici, nella separazione dei diversi materiali e nel recupero di materie prime seconde. Oltre 500 tonnellate all’anno il materiale recuperato: 1.700 tonnellate dall’apertura dei laboratori nel luglio 2009. Come funziona il progetto? Per esempio a Forlì si sono organizzati con un laboratorio esterno all’istituto penitenziario. I detenuti si sono specializzati nello smontaggio e nel pretrattamento dei Raee R4, cioè i piccoli elettrodomestici: telefonini, computer, stampanti, giochi elettronici, apparecchi illuminanti, ventilatori, asciugacapelli. A Bologna e Ferrara, invece, funziona diversamente: i locali sono interni agli istituti e, attrezzati con impiantistica e sistemi di sicurezza, comunicano con un cortile dove accedono i camion carichi di Raee R2 (gli elettrodomestici “bianchi”): lavatrici, lavastoviglie, forni, cappe. I consorzi nazionali dei produttori Raee conferiscono e ritirano i rifiuti, stipulano accordi commerciali con le cooperative sociali e forniscono una remunerazione in euro a tonnellata o a tariffa oraria. Ma il risvolto sociale che c’è dietro al recupero delle tonnellate di ferro e di rame, di alluminio e di plastica va oltre le questioni ambientali. I detenuti nel loro sito riportano questi dati sul carcere, definito discarica sociale: “Dal carcere si esce peggiorati e per lo più senza progetti di accompagnamento al reinserimento sociale e lavorativo. La durata delle pene detentive è in aumento, e così il numero dei suicidi”. E tra i progetti messi in Rete, i detenuti attivi nel progetto “Raee in carcere” indicano la “promozione della figura professionale del valorizzatore dei rifiuti, da sperimentare e attivare anche all’interno dei laboratori Raee”. E chiedono “nuove iniziative e unità produttive esterne agli istituti, sul modello dei Centri del riuso, per promuovere e commercializzare materiali e oggetti tramite il lavoro retribuito di persone detenute, in uscita dal carcere ed ex detenute”. Sardegna: arrivo di 24 detenuti condannati per mafia e camorra scatena reazioni politiche www.sardegnaoggi.it, 16 ottobre 2012 L’arrivo di 24 detenuti, condannati per mafia e camorra, nel carcere di Tempio scatena le prime reazioni politiche. Il deputato Mauro Pili (Pdl) e la consigliera regionale Claudia Zuncheddu (Sardegna Libera) denunciano il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata. “Il silenzio e la segretezza con cui ha agito il ministero nel Carcere di Tempio offende la Sardegna e i sardi. Le dichiarazioni dal provveditore sono inaccettabili e vanno respinte senza se e senza ma. Affermare che il luogo ideale per trasferire i mafiosi è la nostra isola è grave e irresponsabile. Il tentativo di minimizzare è ridicolo se solo si guarda la fedina penale dei detenuti già inviati in Sardegna. Il rischio di infiltrazioni mafiose è scritto negli atti del ministero della Giustizia e chi minimizza persegue interessi diversi da quelli della Sardegna e dei Sardi”. Lo ha detto questo pomeriggio il deputato sardo Mauro Pili che ha denunciato ieri l’arrivo a Tempio di 24 mafiosi provenienti dalle carceri di altre regioni italiane. Pili risponde a chi in queste ore ha tentato di minimizzare l’arrivo dei mafiosi nell’isola. Della stessa opinione è la consigliera regionale Claudia Zuncheddu (Sardegna Libera): “Circa il 50% dei detenuti 41 Bis presenti in Italia sono diretti in Sardegna. Come da me denunciato da tempo, il rischio che le carceri sarde potessero divenire ricettacolo di detenuti in regime di 41bis, ormai è divenuto realtà grazie all’ennesimo ‘regalò del Governo Monti alla Sardegna. A Tempio l’arrivo di 24 camorristi e mafiosi, anticipa nelle nostre nuove carceri, l’ondata pericolosa di oltre 300 detenuti 41bis (su circa 650 presenti in Italia). Ancora una volta lo Stato italiano importa nella nostra terra la sua peggiore criminalità, generando nei territori interessati possibili infiltrazioni mafiose nella nostra economia e nel nostro tessuto sociale già fortemente indebolito dalla crisi economica. Questi fenomeni di infiltrazione criminale nella realtà sarda, sono stati già denunciati e accertati dalla stessa Magistratura, nel Nord-Est dell’isola, e non solo. La società sarda deve unirsi e manifestare il proprio dissenso. La Sardegna non può essere la discarica criminale dell’Italia”. Sanciu: detenuti mafiosi e camorristi rimangano nelle zone d’origine “La Sardegna farà la sua parte, ma è meglio che i detenuti della criminalità organizzata stiano prevalentemente nei luoghi di origine. Dire che in Sardegna mafia e camorra non attecchiscono mi sembra un’assurdità bella e buona, si fa finta di non vedere il pericolo reale”. È la presa di posizione di Fedele Sanciu, presidente della provincia di Olbia-Tempio in seguito all’arrivo di 24 detenuti nel carcere di Nuchis. Così il Presidente della Provincia Olbia Tempio, il Senatore Fedele Sanciu in merito alle dichiarazioni del provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Gianfranco De Gesu che sull’arrivo di camorristi e mafiosi negli istituti della Sardegna, a Nuchis in particolare, avrebbe affermato che nell’isola “non vi è alcuna possibilità di infiltrazioni mafiose”. “Il dottor De Gesu sembra far finta di non vedere il pericolo reale, i tempi infatti sono cambiati - prosegue Sanciu - dimentica inoltre quanto avvenuto in alcuni centri del Sud della Sardegna e dell’alta Italia, dove negli anni passati furono inviati al confino molti esponenti della criminalità organizzata e dove sia nelle carceri che nel tessuto sociale, venne registrata un’impennata nel numero e nella qualità dei reati di matrice mafiosa”. “Al provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dico - prosegue - che noi alla nostra isola teniamo e così alla Gallura, i detenuti pericolosi è meglio che stiano prevalentemente nelle zone di origine dove esistono carceri altrettanto attrezzate per ospitarli. La Sardegna darà il proprio contributo, ma non sobbarcandosi tutto il carico delle emergenze nazionali in termini di criminalità organizzata come paventato dalle ultime notizie apparse sulla stampa, utilizzando le nuove strutture per far tornare a casa agenti e personale impiegati negli istituti e anche coloro che hanno sbagliato e hanno diritto di espiare la pena vicino ai loro luoghi di origine. Compatibilmente con il livello delle strutture e con l’ambiente isolano che non deve essere infiltrato da criminalità di questo tipo”. Pili: il penitenziario di Nuchis nato già vecchio Delle tre nuove strutture penitenziarie sarde, Nuchis è stata la prima a entrare in funzione. A Tempio e nell’Alta Gallura, tutti aspettavano, con una certa curiosità e anche con qualche preoccupazione, l’inaugurazione del nuovo carcere. Si favoleggiava della presenza alla cerimonia inaugurale, di Paola Severino, ministro della Giustizia e di altri esponenti del governo. A inaugurare il carcere, nel senso che andarono a viverci, furono invece, il 17 luglio di quest’anno (in sordina, senza fanfare, bandiere e discorsi), trenta carcerati provenienti da San Sebastiano, a Sassari. Nella struttura, una volta a regime, oltre al personale amministrativo dovrebbero lavorare 120/130 agenti penitenziari (ora sono una novantina quelli in servizio) e si sarebbero potuti ospitare sino a 150 detenuti, sottoposti alla cosiddetta vigilanza attenuata. L’attività del nuovo carcere (pensato, nei primi anni del 2000, e aperto quest’anno, dopo anni di polemiche roventi in consiglio comunale), si è presentata subito carica di problematiche. A denunciarlo, oltre ai sindacati di tutte le sigle, fu il parlamentare Mauro Pili che a luglio al termine di una sua visita, affermò che “il carcere era nato già vecchio”. Qualche giorno dopo anche il senatore, Fedele Sanciu, spezzando una lancia a favore di agenti sardi, rincarò la dose sui problemi parlando di criticità. Il blitz effettuato ieri da Mauro Pili, oltre le solite criticità già più volte denunciate (mancanza d’acqua calda, l’inesistenza di una cappella, di una palestra e di altri spazi per svolgere attività), ha rivelato un’altra incredibile realtà: il carcere di Nuchis da carcere di prima accoglienza e vigilanza attenuata è stato trasformato, in silenzio, in un carcere di alta sicurezza. Con tutte le conseguenze che questo comporta. Lazio: al via progetto “Ragazzi Fuori”, reinserimento socio-lavorativo di giovani detenuti www.agoramagazine.it, 16 ottobre 2012 Al via il progetto “Ragazzi Fuori”. D’intesa col Ministero della Giustizia, Centro per la Giustizia minorile per il Lazio del Dipartimento giustizia minorile, l’Assessorato regionale alla Sicurezza ha avviato questa iniziativa per favorire il reinserimento sociale dei minori “grazie ad attività finalizzate all’accompagnamento per i minori e giovani adulti, autori di reati e in carico ai servizi minorili della giustizia della regione”, come ha spiegato l’assessore Giuseppe Cangemi. Il progetto “Ragazzi Fuori” prevede l’accompagnamento educativo ed il supporto all’inserimento in attività di formazione-lavoro per minori e giovani adulti dell’area penale esterna nel territorio regionale. “Nello specifico, - ha proseguito Cangemi - ribadendo che il presente protocollo d’intesa conferma la ormai consueta volontà di collaborazione istituzionale, il progetto si fa carico di accompagnare, da un minimo di 10 ad un massimo di 15 ragazzi italiani e stranieri, maschi e femmine, tra i 14 e i 21 anni sottoposti a procedimento penale. Inoltre verranno corrisposte 10 borse lavoro di durata trimestrale per i giovani tra i 17 e 21 anni di età. “Ragazzi fuori” si propone, in particolare, di favorire il reinserimento socio-lavorativo, l’affiancamento in contesti di socializzazione ludico e ricreativi, per un numero complessivo di 20-25 ragazzi”. “In definitiva - ha chiarito Cangemi - la Regione Lazio e il Centro della Giustizia minorile del Lazio si propongono, con tale progetto, di prevenire le devianze sociali e i rischi di recidiva; di promuovere l’autonomia attraverso l’esperienza delle borse lavoro, la cultura dell’accessibilità al lavoro e il principio delle pari opportunità non in un’ottica meramente assistenzialistica; di favorire il raggiungimento del benessere individuale, familiare e sociale dei giovani coinvolti”. “La Regione Lazio - ha concluso - finanzierà il progetto con uno stanziamento di 49mila euro. Il Ministero della Giustizia - dipartimento giustizia minorile - centro per la giustizia minorile per il Lazio individuerà i soggetti partecipanti, curerà il coordinamento del progetto e provvederà al relativo monitoraggio”. Trento: lettera-appello per l’istituzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 16 ottobre 2012 Già previsto in molte realtà italiane (12 Regioni, 7 Provincie, 20 Comuni) e in ben 22 paesi dell’Unione Europea (a cominciare dalla Svezia, nel 1809), il garante è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di promuovere l’applicazione dei diritti previsti dalla legge per le persone private o limitate nella libertà personale. Crediamo che i detenuti nel carcere di Trento siano parte della nostra comunità e che sia responsabilità collettiva la salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone ristrette, a cui, pur negando la libertà di movimento, vanno riconosciuti tutti gli altri diritti: salute, istruzione e formazione, esercizio del culto, espressione dell’affettività, percorsi di reinserimento sociale attraverso il lavoro. Crediamo che per la piena affermazione della dignità della persona costruire carceri moderne, funzionali, “ospitali” sia solo il primo passo, una precondizione; deve seguire un convinto investimento anche in percorsi di riabilitazione e reinserimento, per il recupero di chi sta scontando una pena ed a vantaggio anche della collettività che deve poter contare sul fatto che chi esce dalla condizione di detenuto possa darsi prospettive di vita migliori di quelle che lo hanno condotto in carcere. Crediamo che affinché sia pienamente attuato il dettato costituzionale che pretende la pari dignità sociale tra tutti i cittadini, nessuno escluso, che vieta le pene consistenti in trattamenti contrari al senso di umanità ed impone la finalità rieducativa delle stesse, la figura del garante possa essere uno strumento importante, in grado di sostenere la collaborazione tra i diversi attori coinvolti nei percorsi di recupero. Chiediamo che questa figura sia istituita anche in Trentino, come espressione del Consiglio Provinciale e quindi dell’intera comunità, nelle forme più sobrie e rispettose delle difficoltà del momento che stiamo vivendo, ma senza fare sconti sui diritti di chi oggi, certamente anche per responsabilità proprie, vive nel carcere di Trento. Perché i diritti non sono privilegi, per nessuno. Invitiamo la cittadinanza a sottoscrivere la nostra lettera accedendo al sito web www.pergarantedetenuti.tn.it. Per contatti pergarantedetenuti.tn@gmail.com. Primi firmatari: Felice Bocchino, Provveditore del Triveneto, Dip. Amm. Penitenziaria Roberto Calzà, direttore Caritas Diocesana Pietro Chiaro, già magistrato Franco Corleone, coordinatore nazionale garanti dei detenuti Patrizia Corona, presidente ordine degli avvocati Mariano Failoni, presidente Con.Solida Attilia Franchi, presidente Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienza - T.A.A. Francesco Massimo, direttore carcere di Trento Pasquale Profiti, magistrato e sostituto procuratore di Trento Claudio Ramponi, primario Pronto Soccorso, responsabile sanità penitenziaria Fabio Tognotti, direttore Apas Iva Vedovelli, psicologa Sert, responsabile area carcere. Ragusa: detenuto extracomunitario tenta suicidio, salvato dagli agenti Adnkronos, 16 ottobre 2012 Un detenuto extracomunitario ha tentato il suicidio oggi il suicidio nel carcere di Ragusa ma è stato tratto in salvo. A darne notizia è Mimmo Nicotra, Vice Segretario Generale dell’Osapp. “Si è servito delle lenzuola ma è stato grazie allo sgabello su cui era salito per porre in essere l’atto suicida che cadendo a terra ha fatto rumore il poliziotto di turno è accorso salvandolo, è stato immediatamente visitato dal medico e adesso si trova in cella sorvegliato a vista.” “Già da numerosi mesi - continua Nicotra - abbiamo rappresentato la gravità delle condizioni e le difficoltà che il personale della Polizia Penitenziaria deve affrontare ogni giorno - oggi un altro ne abbiamo salvato ma quanto può durare”. “Ancora sentiamo dibattere le alternative - conclude Nicotra - ma non vediamo provvedimenti,- noi avevamo dato le nostre soluzioni chiedendo di accorpare modica a Ragusa e restiamo in attesa di conoscere le altre”. Parma: visita del Garante alle carceri, trova affollamento e altre problematiche irrisolte La Repubblica, 16 ottobre 2012 Il totale dei detenuti ammonta a 617 (tutti uomini, 250 stranieri); le presenze si dividono fra la Casa di reclusione (318) e la Casa circondariale (299), dove è sistemata gran parte dei detenuti in attesa di giudizio (i condannati in via definitiva sono 391). La capienza regolamentare prevede 385 posti, quella “tollerata” 652. I detenuti comuni sono 465, quelli in regime di alta sicurezza 85, altri 69 sono reclusi in regime di 41 bis; 13 in semilibertà, 16 lavoranti esterni in articolo 21 O.P.. Lunedì 8 ottobre, Desi Bruno, Garante regionale dei diritti dei detenuti per l’Emilia Romagna, ha visitato l’Istituto penale di via Burla, a Parma. La Garante segnala positivamente la recente riapertura, dopo quasi due anni, del Centro diagnostico terapeutico, affidato all’Ausl di Parma, che ospita alla data della visita anche detenuti con disabilità motoria, essendo insufficienti gli spazi della sezione (9 celle) dedicata ai detenuti paraplegici. Nella corso della visita, Desi Bruno ha incontrato due ergastolani, uno dei quali ancora in sciopero della fame: chiedono di essere collocati in celle singole, come prevede il Regolamento penitenziario, allo stato non possibile per carenze di spazi; la Garante ha già rivolto una richiesta al nuovo Provveditore delle carceri dell’Emilia-Romagna, Pietro Buffa, che sta procedendo alla riorganizzazione delle presenze negli istituti. La Garante ha poi incontrato le realtà locali che si occupano delle problematiche legate alla condizione carceraria. All’incontro, convocato nella sede del Consorzio di Solidarietà sociale di Parma, hanno partecipato rappresentanze di molte associazioni di volontariato che quotidianamente frequentano il carcere di Parma, portando sostegno e aiuto ai detenuti in maggior difficoltà, e fornendo un sostanziale supporto per il raggiungimento delle finalità istituzionale del carcere; all’incontro erano presenti anche rappresentanti di cooperative sociali di tipo B, che si occupano dell’inserimento lavorativo di detenuti e ex detenuti. La Garante è stata informata delle difficoltà che volontari e cooperative incontrano nella loro attività, legate alla mancanza di risorse per la scuola, alla rigidità di alcuni orari per gli interventi in carcere, agli ostacoli incontrati per organizzare attività lavorative dentro le mura. Il confronto è stato significativamente arricchito dagli interventi di rappresentanti delle istituzioni di Parma, fra cui l’assessore comunale alle Politiche sociali, Laura Rossi, Il direttore delle attività socio sanitarie della Ausl, Paolo Volta, il direttore del Dipartimento cure primarie del Distretto di Parma, Sigismondo Ferrante, il responsabile personale sanitario carcere, Francesco Ciusa; sono inoltre intervenuti la senatrice Albertina Soliani, la deputata Carmen Motta, la consigliera regionale Gabriella Meo, membro dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna. Tutti gli interventi hanno sottolineato la necessità di garantire continuità agli interventi di inserimento lavorativo esterno al carcere, e la richiesta di un coordinamento stabile fra le realtà che si occupano di carcere del nostro territorio e gli uffici della Garante, soprattutto in relazione alle condizioni di vita e di salute dei detenuti. L’Aquila: psichiatri Asl nelle carceri della provincia; c’è accordo tra azienda e penitenziari www.marsicalive.it, 16 ottobre 2012 La salute mentale della Asl entra nelle carceri con la propria equipe di specialisti per dare un’assistenza a 360 gradi ai detenuti. Diagnosi tempestive, percorsi di recupero sanitario ad hoc, riduzione dei suicidi, progetti alternativi al carcere per i reclusi, svuotamento e chiusura degli ospedali psichiatrici. Sono questi, in sintesi, gli obiettivi dell’accordo, previsto da un protocollo d’intesa, raggiunto nei giorni scorsi tra Asl, Direttori delle carceri di L’Aquila, Avezzano e Sulmona e Giudice di Sorveglianza, che introduce un nuovo modello di gestione - una novità assoluta in Abruzzo e con pochi casi in Italia - segnando una rivoluzione copernicana. Presenti, alla firma dell’intesa, Vittorio Sconci, Direttore Dipartimento Salute Mentale Asl, Giuseppe Carducci, responsabile della Medicina penitenziaria aziendale, il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, Laura Longo, i Direttori delle carceri di L’Aquila, Osvaldo Bologna, di Avezzano, Giuseppe Mario Silla, e di Sulmona Massimo Di Rienzo, oltre ai responsabili del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. Pool di specialisti della Asl. L’accordo prevede che, all’interno dei 3 penitenziari della Asl n. 1 , l’assistenza sanitaria e il recupero del detenuto siano affidati non più a sporadici interventi di una figura medica (per lo più lo psichiatra) bensì a una squadra di specialisti appartenenti al Dipartimento di Salute mentale della Asl provinciale, diretto dal dottor Sconci. Psichiatri, psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti e infermieri, solo per citare alcune figure, garantiranno un trattamento sanitario integrato e completo, a livello sanitario, occupandosi delle patologie dei reclusi. L’obiettivo è favorire, attraverso il gioco di squadra della task force sanitaria della Asl, un recupero di tutti i detenuti dei 3 istituti di pena (L’Aquila, Avezzano e Sulmona), dando loro una prospettiva di vita al di fuori delle celle, in particolare ai soggetti socialmente pericolosi, che sono quelli ad alto rischio di suicidio. Costoro, infatti, con l’attuale assetto sanitario, hanno poche possibilità di riabilitarsi e finiscono non di rado nell’ospedale psichiatrico giudiziario (quello di Aversa, in provincia di Caserta). L’obiettivo della nuova organizzazione, imperniata sul nuovo modello di gestione della Salute Mentale, mira ad attivare un percorso di reinserimento a chi si trova dietro le sbarre, dandogli la possibilità, tramite il recupero psicofisico e sulla base dell’assenso del magistrato, di uscire dal carcere e tornare a vivere un’esperienza di rinascita personale e sociale: a seconda delle circostanze, casa-famiglia, struttura protetta o ritorno nel proprio domicilio. Prevenzione dei suicidi. Tra gli obiettivi dichiarati nel protocollo c’è l’attuazione di una strategia di prevenzione anti- suicidi che non di rado sono lo sbocco finale di patologie iniziali non gravi, non seguite adeguatamente per mancanza di incisivi strumenti di assistenza sanitaria carceraria. Assunti nuovi operatori. La Asl, in aggiunta ai propri dipendenti ricompresi nel pool di specialisti della Salute Mentale, si avvarrà in convenzione dell’ attività di 2 psichiatri e 2 psicologi per il carcere di Sulmona; saranno inoltre considerevolmente aumentate le ore di assistenza dello psichiatra nella casa circondariale di L’ Aquila. La Asl n. 1 azienda-pilota in Abruzzo. L’azienda sanitaria Avezzano - Sulmona - L’Aquila, apripista in Abruzzo del progetto, elaborerà le linee-guida nel settore per le altre Asl della Regione. Inoltre, in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, avvierà uno studio teso al superamento delle funzioni e dell’idea dell’ospedale psichiatrico giudiziario nel trattamento del disagio psichico dei detenuti, per nuovi approcci e orizzonti nella gestione sanitaria della popolazione carceraria. “Questo accordo”, dichiara il Direttore Dipartimento Salute Mentale, Sconci, “è la dimostrazione che l’unificazione delle due ex Asl di L’Aquila e Avezzano-Sulmona, non ha indebolito ma rafforzato la sanità nella Provincia, permettendoci di raggiungere risultati ambiziosi. Ciò vale sia per la Psichiatria sia per le altre branche della sanità che stanno traendo grande beneficio dall’allargamento delle possibilità di scelta legate alla qualità”. Cagliari: a Buoncammino vietato l’uso dei tablet, il computer è considerato “pericoloso” L’Unione Sarda, 16 ottobre 2012 I soci di Socialismo Diritti Riforme avevano donato un tablet a un detenuto nel carcere di Cagliari, ma è stato restituito perché ritenuto “pericoloso”. “Un cittadino privato della libertà che ne faccia richiesta può ottenere di utilizzare in cella un computer opportunamente “sterilizzato”, cioè trasformato quasi in una semplice macchina da scrivere, ma non un tablet”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris che avendo donato grazie alla generosità dei soci di Socialismo Diritti Riforme, un tablet ad un detenuto di Buoncammino si è vista restituire il supporto informatico in quanto considerato pericoloso. “La Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento, con un’apposita nota, ha infatti specificato - sottolinea Caligaris - che il tablet è una strumentazione “di regola dotata di dispositivi integrati nel sistema e dunque non asportabili”. Ai soci di SdR è rimasto il rammarico di non avere potuto offrire un nuovo strumento a un detenuto, così come avevano previsto, ma anche la soddisfazione di avere posto all’attenzione del Dipartimento il problema di valutare ed eventualmente rendere fruibili dai detenuti le ultime dotazioni informatiche”. “Certo resta irrisolto il problema del reinserimento sociale dei cittadini privati della libertà - conclude Caligaris - e delle reali possibilità di crescita culturale e adeguamento al mondo che cambia. Appare anche contraddittoria la promozione, attraverso appositi corsi spesso tenuti di volontari, per insegnare ai reclusi l’uso degli strumenti informatici e poi la negazione del loro impiego”. Massa Marittima (Gr): lavori socialmente utili detenuti, convenzione tra comune e carcere Il Tirreno, 16 ottobre 2012 “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Così recita l’art 27 della Costituzione italiana riguardo al comportamento delle istituzioni nei confronti di chi ha commesso un reato. Ed è questo il principio a cui si ispira la convenzione stipulata pochi giorni fa, tra gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna di Siena e Grosseto, il Comune di Massa Marittima e la Casa Circondariale cittadina. Si tratta di un progetto di rieducazione sociale e reinserimento dei detenuti dell’istituto carcerario attraverso la predisposizioni di contratti che consentano agli ospiti della casa circondariale di svolgere attività di volontariato presso associazioni ed enti che operano nel settore della solidarietà. Ciò nell’ottica di permettere al detenuto di riprendere i contatti con la comunità esterna e riscattare in modo costruttivo i propri comportamenti contrari alla giurisprudenza e lesivi nei confronti della comunità. Il detenuto può così svolgendo attività a beneficio della comunità, tornare ad essere parte attiva della stessa. Contemporaneamente questo tipo di inserimento può favorire la sensibilizzazione della cittadinanza nei confronti delle persone in esecuzione penale, in fase di rieducazione e reinserimento. Casa Circondariale, Uepe e Comune si impegnano con la convenzione appena firmata, ad intraprendere azioni tese alla sensibilizzazione dell’ambiente sociale in cui i condannati verranno mano a mano inseriti sulla base di un progetto di volontariato personalizzato per ogni detenuto. Allo stesso tempo l’ente e gli istituti si impegnano a svolgere una verifica periodica sull’andamento dell’attività svolta da ogni soggetto inserito, valutando di volta in volta l’opportunità di una prosecuzione, interruzione o variazione dell’attività dello stesso. Infine il Comune terrà contatti su questo tema con le associazioni e cooperative del territorio che collaboreranno al progetto tramite l’affidamento di mansioni di volontariato a detenuti ammessi alle attività all’esterno, in esecuzione di misure alternative o ex detenuti; si è infatti già tenuta una prima riunione a tra i soggetti firmatari ed alcune associazioni di volontariato di Massa Marittima che intendono offrire la loro collaborazione al progetto. La convenzione salvo diverso parere di uno o più firmatari, verrà rinnovata ogni anno. Lecce: troppi detenuti spediti in ospedale; avviata inchiesta sul carcere di Borgo S. Nicola www.ilquotidianoitaliano.it, 16 ottobre 2012 Aperta inchiesta sul Carcere di Borgo S. Nicola. Interruzione di pubblico servizio è l’accusa ipotizzata, per il momento contro ignoti. Gli investigatori hanno preso in esame ben 846 casi di detenuti trasferiti con urgenza all’ospedale “Vito Fazzi” tra il gennaio 2010 e il febbraio 2011. Secondo quanto accertato dagli agenti della Polizia Penitenziaria al comando del Commissario Riccardo Secci, la maggior parte dei casi di detenuti spacciati per codici rossi e mandati all’ospedale ‘Vito Fazzì per essere curati, una volta raggiunto il pronto soccorso del nosocomio leccese sarebbero diventati codici gialli o verdi. In particolare è risultato che: il 13,4% di quelli definiti di estrema urgenza, in ospedale sarebbero stati riconosciuti come tali. In tutti gli altri casi, che rappresentano l’86,6%, per i medici del “Fazzi” il trasferimento risulterebbe superfluo. E ancora, tra i casi presi in esame, gli inquirenti avrebbero accertato poi uno in cui un medico già noto alle cronache e già sospeso per 2 mesi dal servizio. Il professionista avrebbe redatto una falsa consulenza in cui avrebbe sostenuto l’incompatibilità col regime carcerario di un detenuto pluripregiudicato. Per questo specifico episodio, la Procura ipotizza il reato di falsa perizia. Le indagini sono in corso. Firenze: Di Puccio (Gruppo Misto); trovare una sede per i detenuti in semilibertà www.ilsitodifirenze.it, 16 ottobre 2012 “Trovare una sede in centro per i detenuti in regime di semi libertà”. Lo ha detto in Consiglio comunale il consigliere del gruppo Misto di maggioranza Stefano Di Puccio richiamando ancora una volta l’attenzione dell’amministrazione sul problema carceri. “Mercoledì scorso - ha detto Di Puccio- l’onorevole Corleone garante dei detenuti ha tenuto una conferenza stampa in cui ha sollevato nuovamente il problema del sovraffollamento carceri con oltre 20mila detenuti in esubero a livello nazionale. In particolare - ha aggiunto Di Puccio - a Sollicciano la situazione si impone in tutta la sua gravità. La spending review mette in ginocchio tutte le forme di reinserimento come le attività teatrali e scolastiche e anche il lavoro delle associazioni di volontariato è in difficoltà. Le parole del Presidente della Repubblica Napolitano sulla vergogna delle carceri italiane sono state udite da tutti- ha concluso Di Puccio- e pesano come un macigno sulle nostre coscienze”. Potenza: incendio doloso nell’Istituto penale minorile, spento dagli agenti penitenziari Adnkronos, 16 ottobre 2012 Un giovane detenuto marocchino ha appiccato il fuoco nel carcere minorile di Potenza e solo l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, rimasti lievemente intossicati, ha evitato seri problemi. Lo segnala il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, evidenziando che l’episodio è avvenuto giovedì scorso. Il sindacato plaude a tutto il Reparto di Polizia Penitenziaria dell’Istituto penale per minorenni di Potenza, nonostante “una grave carenza di organico”. Per il segretario generale Donato Capece, “oggi - sostiene - abbiamo oltre 500 minorenni detenuti negli Istituti di Pena per minori italiani. Quella della detenzione minorile è una specificità della giustizia di cui si parla, a torto, sempre troppo poco. Eppure è sempre più frequente l’utilizzo dei minori coinvolti in attività criminose. Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, personale specializzato nel trattamento dei detenuti minorenni, fanno davvero un encomiabile lavoro con un’utenza particolarmente difficile e con molte criticità”. Per Capece “ci si deve attivare - afferma - perchè anche nella Giustizia Minorile vengano assegnati stabilmente in servizio Commissari della Polizia Penitenziaria in grado di conciliare al meglio le esigenze di sicurezza a quella rieducative”. Comunicato Ugl sull’incendio nel carcere minorile “Grazie alla provata esperienza del personale di Polizia Penitenziaria si è evitato il degenerarsi della situazione che poteva avere risvolti drammatici. Un incendio verificatosi presso la struttura Penitenziaria per minori di Potenza, provocato da un giovane detenuto che ha appiccato il fuoco nel carcere e solo l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, rimasti lievemente intossicati, ha evitato seri problemi”. È quanto dichiara il segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria di Basilicata, Vito Messina per il quale “nella struttura ospitante tantissimi detenuti minorili , tale episodio poteva creare gravi conseguenza per la loro incolumità e per la salute degli operatori che, grazie all’altissima professionalità e tempestività del personale impiegato si è evitato che la situazione degenerasse. Al personale degli agenti di PP, va la solidarietà e vicinanza di tutta l’Ugl Basilicata per un settore che quotidianamente porta avanti una struttura con tanti sforzi pur avendo anche questa una grave carenza di personale, carenza - conclude Messina - accertata nell’ultimo sopralluogo fatto da questa sigla nella stessa struttura”. Catania: al via i lavori del reparto di degenze per detenuti all’ospedale Cannizzaro www.cataniaoggi.com, 16 ottobre 2012 Un taglio del nastro e un avvio lavori all’ospedale Cannizzaro di Catania: la mattina di giovedì 18 ottobre, dopo il “battesimo” del rinnovato reparto di Neonatologia, si darà inizio alla realizzazione del reparto di Degenze per detenuti. Alla presenza del procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi oltre che dell’assessore Russo, il commissario straordinario Francesco Poli consegnerà alla ditta appaltatrice i lavori per la realizzazione del reparto di Degenze per detenuti, ubicato al terzo piano dell’edificio F3, funzionalmente collegato con gli ambulatori di diagnosi e cura, le sale operatorie e il dipartimento immagini. La nascita dello speciale reparto fa seguito alle intese tra Assessorato regionale della Salute e magistratura al fine di dare risposta al diritto di ogni detenuto a un’appropriata assistenza sanitaria. Lanciano (Ch): progetto “Graffiti 2012 - L’arte per riaccendere la speranza” con il Rotary Il Centro, 16 ottobre 2012 Nel supercarcere di Villa Stanazzo sono arrivati i colori a spezzare il pallore dei muri. Disegni e graffiti che raccontano a chi entra e a chi è già dentro messaggi di libertà e di speranza. Sono 8 i murales realizzati all’interno del penitenziario frentano. Sei sono ad opera di artisti e writers, uno è stato realizzato da un assistente di polizia penitenziaria e uno da un detenuto. Il progetto, ideato dalla casa circondariale di Lanciano in collaborazione con il Rotary club frentano, si chiama “Graffiti 2012 - L’arte per riaccendere la speranza” e si propone di decorare e vivacizzare corridoi, passeggi, zone di colloquio e ale del carcere e, soprattutto, di introdurre l’espressione artistica in quella che i sociologi chiamano “istituzione totale”, un luogo che delimita un sistema qualificato da regole molto rigide, così come ha ricordato la professoressa Eide Spedicato, docente nella facoltà di Scienze sociali all’università D’Annunzio. “Il tempo carcerario è un tempo asfittico”, ha commentato il direttore del penitenziario Massimo Di Rienzo, “è quasi un vuoto pneumatico. Scrivere, disegnare, creare, danno un tono, un colore e un significato a quel tempo”. E un riferimento particolare è stato dedicato al recupero della lentezza, al saper riempire un tempo indefinito e vuoto di colore e di significato. Metafora dell’iniziativa è proprio uno dei murales presentati ieri ad amministratori e scolaresche. Il disegno, ad opera dell’artista e writer Nicola Di Totto, rappresenta un uomo abbarbicato al guscio di una tartaruga. Ha un cerino in mano e si protende per raggiungere e accendere una candela, simbolo di speranza. “L’uomo potrebbe scendere e correre verso la candela”, spiega Di Totto, “e invece decide di aspettare perché sa che è giusto e perché per conquistare la luce deve procedere lento e farsi guidare”. Si chiama invece “L’arte libera” l’opera di uno dei detenuti. Rappresenta un uomo che suona il sax di fronte a una città in fiamme. Il termine “libera” è usato come aggettivo, ma anche come verbo. “Frequentate l’arte”, è intervenuto il sindaco, Mario Pupillo, “significa costruire un progetto e creare una ramificazione con la società che è poi l’essenza della nostra vita”. India: accordo con l’Italia per trasferire detenuti condannati, mentre è stallo sui marò Agenparl, 16 ottobre 2012 Permettere il trasferimento dei condannati tra Italia e India. Questo lo scopo dell’accordo siglato dai due Paesi lo scorso 10 agosto, il cui disegno di legge di ratifica parlamentare è da pochi giorni all’esame della Commissione Affari Esteri della Camera. Sono venti - si legge nella documentazione del ddl - attualmente i cittadini italiani detenuti in India e quarantadue, viceversa, quelli indiani presenti nelle nostre carceri. L’accordo arriva nel mezzo della controversia tra Italia e India sulla sorte dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, attualmente ancora detenuti in India perché accusati di aver ucciso due pescatori locali, mentre lo scorso 15 febbraio erano in servizio sulla petroliera Enrica Lexie. Il loro processo è stato recentemente rinviato all’8 novembre e non si prospetta ancora, per il momento, una soluzione positiva. Appello a Montezemolo: coccarda sulle Ferrari (Ansa) “Riporta a casa i marò in Ferrari”. “Il primo passo da leader? Far correre le rosse in India con un fiocco per i due soldati”. È l’appello in favore dei due militari italiani detenuti da oltre otto mesi in India che dal Web, dove sta già circolando e crescendo da giorni, il quotidiano il Giornale rilancia al presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo, in vista del gran premio che si terrà il 28 ottobre nel Paese asiatico. “Caro presidente Montezemolo - scrive in prima pagina il Giornale, sappiamo quanto lei abbia a cuore il nostro Paese e la nostra immagine nel mondo, per questo motivo la invitiamo ad accogliere il nostro appello e quello di migliaia di italiani per un’iniziativa in favore di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone”. Al Gran premio del 28 ottobre, prosegue l’articolo, “non ci sarebbe occasione migliore per lei, non solo in qualità di presidente della Ferrari, ma come uomo che vuole scendere in campo per rinnovare la politica italiana, di dimostrare che anche dei piccoli gesti possono produrre grandi risultati. Ciò che le chiediamo è di manifestare la solidarietà della Ferrari, e quindi dell’eccellenza italiana, ai nostri soldati prigionieri applicando dei fiocchi gialli adesivi sia sulle rosse sia ai box”. “Nel momento in cui la dignità di una nazione è finita sotto i tacchi - spiega il Giornale - un gesto della Ferrari, simbolo vincente del nostro Paese, riempirebbe di nuovo d’orgoglio tutti gli italiani”. Usa: in South Dakota giustiziato 50enne, condanna per omicidio di una guardia carceraria Tm News, 16 ottobre 2012 Un americano di 50 anni, che chiedeva di essere giustiziato per l’omicidio di una guardia carceraria, è stato messo a morte ieri sera nel South Dakota, appena un anno dopo la sua condanna. Si tratta, hanno riferito fonti penitenziarie, della prima esecuzione degli ultimi cinque anni in questo stato. Numerosi voci, compresa quella dell’Unione Europea, si erano alzate contro questa pena capitale e quella prevista nello stesso stato americano nella settimana del 28 ottobre; il governatore Dennis Daugaard aveva però annunciato che “non sarebbe intervenuto per impedirla o ritardarla”. Eric Robert è stata giustiziato poco dopo le 22 di lunedì - le 5 di questa mattina in Italia - con un’iniezione letale. “È un giorno triste”, ha dichiarato il governatore in un comunicato pubblicato ieri sera, “Le esecuzioni sono rare nel nostro stato e sono riservate ai casi di estrema premeditazione”. Messico: “La corruzione è ovunque”, intervento della Chiesa sulla gestione delle carceri Agenzia Fides, 16 ottobre 2012 “La corruzione e la violazione dei diritti umani sono diffuse in quasi tutte le carceri del Paese. La corruzione mostruosa che prevale in queste istituzioni rivela chiaramente che con questo sistema e con il personale che lo gestisce, non si elimina certo la delinquenza e sarà difficile trovare la strada per un vero e proprio reinserimento sociale dei detenuti”. È quanto si legge nell’editoriale del settimanale dell’arcidiocesi di Mexico “Desde la Fe”, inviato all’Agenzia Fides, dove la Chiesa cattolica sottolinea che i legislatori, ricorrendo con eccessiva frequenza alla carcerazione, hanno contribuito a far sì che il circolo chiuso “reato-carcere-contaminazione-reato” si rinnovi in un vicolo cieco. Pertanto si ritiene che oggi sia più che mai necessario trovare nuovi metodi: sanzioni per i reati minori, l’uso dei progressi tecnologici in carcere, qualificare professionalmente e selezionare il personale delle carceri. Il sistema carcerario in Messico è crollato da tempo. Ci sono 225.000 prigionieri nei circa 500 centri di detenzione, e altri 100.000 circa con la sospensione condizionale della pena, rilasciati sotto controllo. Bisogna comunque considerare che si parla di 325.000 famiglie che vivono, in un modo o nell’altro, l’esperienza del carcere, perché vengono additate nelle loro comunità e, in molti casi, sono escluse dai programmi sociali. Il messaggio dell’arcidiocesi è chiaro: “Tutti dobbiamo avere una responsabilità sociale, perché tutti possiamo contribuire alla prevenzione della criminalità e alla costruzione della pace e della non-violenza”. Inoltre il settimanale arcidiocesano definisce “inconcepibile” ciò che succede: la fuga massiccia di detenuti davanti agli occhi dei dirigenti dei centri penali. In alcuni casi, i veicoli utilizzati per la fuga tornano indietro diverse volte, nello stesso stabilimento penale, per raccogliere altri detenuti che vogliono fuggire. “Ancora più assurdo e inaccettabile - sottolinea l’editoriale - è il fatto che, dopo tutto ciò, le autorità dicano all’opinione pubblica che si sta studiando come questo sia potuto avvenire”. Albania: peggiorato lo stato di salute degli ex detenuti politici in sciopero della fame Nova, 16 ottobre 2012 È peggiorato lo stato di salute degli otto ex detenuti politici albanesi che hanno iniziato uno sciopero della fame tre settimane fa per ottenere i risarcimenti promessi dal governo. Si tratta di rimborsi finanziari previsti per chi stato nelle carceri della dittatura comunista. “Alcuni sono più gravi, ma in tutti c’è un calo della pressione arteriosa e una riduzione dei valori degli elettroliti che porta di conseguenza anche al calo dell’ossigeno nel sangue”, ha spiegato Besim Lamce, medico dell’unità di pronto soccorso che presta servizio 24 ore su 24 presso le tende dove si svolge lo sciopero. Alcuni degli scioperanti rifiutano di andare in ospedale. Uno di essi stato ricoverato ieri, ma, nella giornata di oggi, si unito nuovamente agli altri. Gli ex detenuti si sono detti delusi dell’atteggiamento delle autorità che hanno respinto il dialogo dichiarando che dietro lo sciopero ci sono “motivazioni politiche”. Gli ex detenuti per ribadiscono che non rinunceranno alla protesta finché le loro richieste non saranno soddisfatte. Libia: evasi 120 detenuti da carcere di Tripoli, servizi di sicurezza in stato di allerta Tm News, 16 ottobre 2012 Circa 120 detenuti per reati comuni sono evasi oggi dalla prigione di Jedaida, a Tripoli. Lo ha detto all’Afp il capo della guardia nazionale, sottolineando che i servizi di sicurezza sono stati messi in stato di allerta. “Circa 120 detenuti per reati comuni sono evasi oggi dalla prigione di Jedaida, i servizi di sicurezza sono in stato di allerta e stanno cercando di arrestarli”, ha detto Khaled al-Sherif. Arrestati 64 dei 120 detenuti evasi Le forze di sicurezza libiche sono riuscite ad arrestare 64 dei 120 detenuti evasi ieri dal carcere di Tripoli. L’evasione scattata dopo una rivolta carceraria che ha scatenato un incendio all’interno del centro di detenzione. Oggi le fiamme sono state domate ed ritornata la calma nella prigione, mentre le forze di sicurezza di Tripoli restano ancora in stato d’allerta alla ricerca degli altri evasi. Nel corso della rivolta di ieri i residenti che vivono intorno al carcere hanno sentito diversi colpi d’arma da fuoco. Una rivolta carceraria analoga era avvenuta lo scorso agosto provocando il ferimento di due persone. Israele: ex presidente Katsav, ora in carcere, perseguitato da detenuto a cui negò la grazia Adnkronos, 16 ottobre 2012 Un tempo capo dello stato israeliano, il detenuto Moshe Katsav è stato vittima delle angherie di altri carcerati, fra cui un pluriassassino a cui aveva negato la grazia quando era presidente. La vicenda è stata denunciata dalla moglie Gila, nell’ambito di una richiesta di grazia al presidente Shimon Peres. Se la concessione del perdono presidenziale appare difficile, le autorità israeliane hanno però reagito trasferendo in un altro carcere Ami Popper, il principale persecutore di Katsav. Kuwait: tensioni politiche, arresti e feriti durante proteste Aki, 16 ottobre 2012 Sale la tensione in Kuwait. Centinaia di persone, migliaia secondo alcune fonti, sono scese in piazza nella tarda serata di ieri a Kuwait City per protestare contro il governo e chiedere una data certa per le prossime elezioni parlamentari. La manifestazione è stata interrotta dalla polizia e presto sono scoppiati scontri. Secondo l’iraniana Press Tv, almeno sei persone sono state arrestate e quattro sono rimaste ferite. Alla manifestazione hanno partecipato esponenti dell’opposizione e attivisti politici, che hanno chiesto all’emiro, Sheikh Sabah al-Ahmad al-Sabah, di fissare una data per le parlamentari nel timore di modifiche alla legge elettorale a favore dei candidati filogovernativi. “Non temiamo i vostri manganelli né le carceri che avete costruito”, ha detto durante la protesta Musallam al-Barrak, uno dei leader dell’opposizione che minaccia di boicottare il voto. La scorsa settimana l’emiro ha sciolto il Parlamento dopo mesi di stallo politico. La Costituzione prevede che le elezioni si tengano entro 60 giorni......