Giustizia: un mondo di cattivi di Adriano Sofri La Repubblica, 12 ottobre 2012 Poveri parenti, poveri giudici, poveri esperti, poveri poliziotti. Già: e il bambino? Prendiamo il fotogramma in cui viene trascinato (vi ricordate le due madri e il giudizio di Salomone?). Ci sono quattro persone, maschi, tre sollevano di peso e trascinano: il padre, lo psichiatra, e il poliziotto. Il quarto è lui, Lorenzo. Ha dieci anni. Un bambino di dieci anni ha tre svantaggi enormi nei confronti dei grandi: è più intelligente, è più sensibile, è molto più debole. Può reagire (“in modo violento”, ha detto il dirigente della questura, “a testate, calci, pugni”): anche un capretto portato via può scalciare e belare e mordere. È vero, bisogna usare molta cautela, molta discrezione quando si è tentati di giudicare una famiglia andata in pezzi. Ma molta più occorre usarne quando si afferra un bambino che non vuole. Si legge che i giudici della Corte d’Appello avevano prescritto di farlo in modi discreti, poveri giudici. Si sente il padre che dice che la cosa è avvenuta “con le modalità che la situazione richiedeva”, che il bambino “ora è sereno”. Dice quel disgraziato padre: se un bambino fosse stato sequestrato e la polizia lo liberasse dai rapitori, non dovrebbe farlo anche al prezzo di una colluttazione? Dovrebbe, sì, ma tutte le sindromi di Stoccolma non bastano a far immaginare un bambino rapito che corre a nascondersi quando vengono a liberarlo, e prende i liberatori a testate calci e pugni. Bisogna saperne di più, e giudicare è una tentazione terribile: a meno di essere Salomone, e di avere di fronte almeno una parte che vuole il bene del bambino più del bene che vuole al bambino. Qualcosa si è saputo: una prima sentenza aveva affidato Lorenzo alla madre, e la nuova sentenza si fonda su una supposta sindrome di alienazione parentale, formula cento volte più infida della sindrome di Stoccolma. Dunque non c’era un’urgenza tragica, abusi domestici, sfruttamento, botte. Da otto anni Lorenzo vive con la madre. Sono andati a prenderlo nella classe - modalità: svuotamento della classe da tutti i bambini tranne uno, e quando sono usciti tutti (ridevano? avevano paura? si sono voltati a guardarlo?) suo padre “l’ha abbracciato”. Povero padre. Mentre l’aula si svuotava il solo che restava si sarà chiesto che cosa gli avrebbero fatto; da come ha reagito occorre pensare che essere abbracciato lì, in quel modo, in quel momento, gli sembrasse una bruttissima cosa. Dunque è stato “inevitabile” che lo prelevassero di forza. Un bambino tolto alla casa, alla scuola, al suo banco - quali posti sono più protetti per una persona di dieci anni? - per essere portato “in una struttura protetta”, in “una comunità”. Spiegano: siccome il bambino quando lo cercavamo a casa “si nascondeva” - come un capretto - abbiamo dovuto, su ordine dei giudici, prelevarlo “in territorio neutro”. Aggrappato al suo banco, nella sua classe. Che cattivi ricordi evoca tutto ciò, non si ha nemmeno il coraggio di nominarli. “Ha cominciato a scappare attorno alla scuola e altri agenti lo hanno rincorso”. Quanti agenti erano stati mobilitati per l’impresa? La divisione anticrimine! Poveri agenti. E a nessuno di loro è venuto in mente di abbracciare il padre, discretamente, e telefonare al giudice, che non era possibile fare quello per cui erano stati mandati, e che si vergognavano troppo di continuare a rincorrere un primo della classe spaventato e furioso? “Non dovevamo farlo noi”, ha detto il dirigente anticrimine. Ha detto anche: “Non so che filmato abbiate visto voi. Nel nostro non c’è nessun trascinamento”. Povero dirigente: chi l’ha visto? Era un ordine dal quale non si poteva tornare indietro? Eppure tutte le ordinanze sulla patria potestà (è vero che tradizionalmente si privilegiano le madri, ma la potestà è rimasta patriarcale) hanno a fondamento “l’esclusivo interesse del bambino”. Era per il tuo bene, Lorenzo, che ti abbiamo acchiappato e strattonato, per il tuo esclusivo bene: al diavolo tutti gli altri. I nonni, poveri nonni, “si sono avventati sugli agenti”. La madre non c’era, era al lavoro. La zia ha filmato la scena, e intanto gridava: “Bastardi” - e Lorenzo ripeteva: “Bastardi” - e “Siete come la Gestapo” - questo Lorenzo non l’ha ripetuto, non doveva essergli famigliare. “La zia era lì per filmare”, dice qualche commento diffidente: ma no, ormai tutto si filma, e gran parte del filmato riprende piedi e cose mosse e strilli, “Aiutami, nonno”, “Non respiro”. Povera zia, dunque. “Io sono un ispettore di polizia e lei non è nessuno”, le ha detto l’ispettrice di polizia. Peccato davvero. Chi abbia appena frequentato i luoghi della sofferenza in questi anni ha imparato ad apprezzare la passione e la competenza inedite con cui donne della polizia trattano questioni come queste, di bambini da proteggere, di altre donne da liberare dalla strada e dai padroni. È successo, ormai. Tutti avranno molte cose cui ripensare, fra sé e sé, prima di tutto. Comunque vada, resta Lorenzo, dieci anni. Troppo pochi per aver ragione fisicamente di padri agenti e psichiatri, troppi per non legarsela al dito, invece di un aquilone da far volare col suo compagno di banco perduto. Anche a dieci anni, se non hai fatto niente, e ti fanno il vuoto attorno per abbracciarti, ti rincorrono, ti tirano su di peso e ti deportano dentro una struttura “protetta”, il mondo ti sembra troppo ingiusto, e troppo cattivo. Ho un poscritto. Ho saputo di una legge, in commissione alla Camera dopo essere stata approvata all’unanimità prima alla Camera e poi al Senato, ma con emendamenti che l’hanno fatta tornare indietro, sull’equiparazione dei figli naturali riconosciuti a quelli legittimi. Oggi i figli naturali, cioè nati fuori dal matrimonio, non hanno parenti, al di fuori dei genitori. Per fare l’esempio estremo, se perdano entrambi i genitori, non restano loro per la legge nonni o zii, e diventano figli di nessuno da dare in affido; la stessa cosa vale per l’eredità (quella dei genitori è riconosciuta dal 1975). È una condizione oltraggiosa della ragione civile e dell’affetto. A opporsi al voto finale (senza il quale la legge andrebbe alla prossima legislatura, cioè a farsi benedire) sono sorte due obiezioni, sulla competenza del tribunale dei minori - mentre per i figli legittimi decide il tribunale ordinario - e sul rischio di riconoscere uguali diritti a figli nati da incesto! Quest’ultima obiezione scambia il ripudio dell’incesto per il bando alle persone comunque venute al mondo, e riguarda un numero surreale, mentre il caso generale riguarda un 20 per cento di bambini italiani. Che, quando la tragedia della perdita dei genitori li colpisse, sarebbero tolti ai loro familiari e messi in una “struttura protetta”, “nel loro esclusivo interesse”. Giustizia: Rita Bernardini (Radicali); lo Stato interrompa la mattanza di vite… amnistia! Il Punto, 12 ottobre 2012 Noi radicali lottiamo per conquistare soluzioni capaci di cambiare la realtà che ci circonda. Le immonde e illegali carceri italiane sono solo l’appendice di una giustizia ingiusta che genera sofferenze indicibili a decine di milioni di italiani. Non da oggi ci occupiamo di questo strazio dello Stato di diritto che vede l’Italia condannata da decenni dalla giustizia europea. Il più antico partito operante in Italia, il Partito Radicale, si è sempre battuto, anche con enormi successi popolari, per la “giustizia giusta”. Il caso Tortora ci è stato ricordato in questi giorni da una fiction televisiva. Oggi tutti ammettono che senza i radicali quella vicenda avrebbe avuto tutt’altro esito: nessuno però, all’epoca, voleva compromettersi con il popolare personaggio televisivo ammanettato in Tv e definito dai suoi accusatori “cinico mercante di morte”. Ma non ci accontentammo, da radicali, solo di seguire e restituire alla verità quella tragica vicenda umana: noi sapevamo che gli “Enzo Tortora” erano tantissimi e subito promuovemmo il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati al quale il popolo italiano tributò 1’85% dei consensi. Non bastò. Perché il regime partitocratico e antidemocratico fece subito una legge per tradire quel responso popolare. Un golpe. Uno dei tanti. Credetemi, ancora oggi, il cancro che occorre estirpare è quello dell’antidemocrazia. Anche il carcere è un problema di legalità. Noi abbiamo a che fare con uno Stato criminale che deve subito interrompere questa mattanza di vite, di leggi, di convenzioni e patti internazionali ed europei, di Costituzione. Per questo abbiamo chiamato la nostra campagna “amnistia per la Repubblica”, e la nutriamo con la nonviolenza alla quale diamo vita insieme alla comunità penitenziaria che è fatta non solo dai detenuti, ma da tutti coloro che nel carcere ci lavorano o fanno volontariato. Marco Pannelli che ha ben presente la banalità del male e perciò la combatte con tutte la sue forze, ci dice “ce la faremo”. Dobbiamo farcela, anche per lui. Rita Bernardini, Deputata Radicale Giustizia: Luigi Li Gotti (Idv); per l’amnistia ci vuole una maggioranza qualificata Il Punto, 12 ottobre 2012 Il problema del sovraffollamento carcerario è purtroppo antico e non si vedono soluzioni strutturali. Da tempo i radicali chiedono l’amnistia Questa soluzione, per la quale serve una maggioranza dei 2/3 del voto parlamentare, non risolverebbe il problema, poiché l’amnistia (causa di estinzione del reato), riguarderebbe delitti di fascia bassa, per i quali ben raramente si va in carcere. L’incidenza sul sovraffollamento sarebbe limitatissima, a meno che non si trattasse di un’amnistia per reati con pene medio alte. I radicali, in verità, oltre la parola amnistia, non hanno mai indicato a quale fascia di gravità, vorrebbero si applicasse e neanche risulta alcuna iniziativa parlamentare (non ne ho sentito parlare affatto). In conclusione, sul punto, per fare un’amnistia ci vuole una legge e una maggioranza qualificata. Altrimenti sono solo parole. L’Italia dei valori attende di sapere quando verranno consegnati i 17 nuovi padiglioni per cinquemila posti. Il governo ha annunciato che ciò avverrà entro quest’anno. Altro pesante aspetto che incide sul sovraffollamento sono le carcerazioni brevi: un terzo della popolazione carceraria è rappresentata da persone che rimangono in carcere al massimo trenta giorni. Ben ventiduemila rimangono in carcere una settimana. Per le carcerazioni brevi, ben potrebbe applicarsi la detenzione domiciliare controllata con braccialetto elettronico. Questo sistema è costato centodieci milioni di euro dal 2001 al 2011, ma i braccialetti in funzione sono stati meno di dieci. Ora si sa che il Governo ha rinnovato con Telecom il contratto sino al 2018. Attendiamo di saperne di più - dovrebbero essere duemila braccialetti - quanto a messa in funzione e tipologia (ossia forniti del sistema di controllo in caso di allontanamento dal domicilio e tracciabilità). Questi sono gli interventi strutturali che l’Italia dei valori condivide e non provvedimenti temporanei, come è stato il condono del 2006. Luigi Li Gotti, Capogruppo Idv in commissione giustizia al Senato Giustizia: intervista a Alfonso Papa; sono stato all’inferno, ora mi batto contro le manette di Katia Ippaso Il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2012 Ma cosa ne è adesso di Alfonso Papa, nato a Napoli nel 1970? Che vita fa? E perché si batte così tanto per migliorare le condizioni di non-vita dentro le carceri? Che cosa ha visto? Escrementi. Per esempio. Sì, ha visto “liquami ed escrementi”. E non nel carcere. Ma nel sottoscala del Tribunale di Giustizia. Là dove si è in fila per la restituzione della libertà. Non più onorevole, immagino. Come preferisce essere chiamato? Alfonso, mi chiami Alfonso. Prima di schiacciare il tasto “rewind”, e tornare al momento in cui la sua vicenda umana e politica ha subito una plateale incrinatura, partirei dall’oggi. Quale è il suo presente? L’intera mia vita adesso si concentra sull’attività legata al problema delle carceri. L’estate scorsa, assieme a diverse associazioni laiche e cattoliche (tra cui l’associazione “Papillon” e con l’associazione “Recuperiamoci” che ha sede a Prato), abbiamo costituito il “Per la prepotente urgenza” che prende il suo nome da una espressione del presidente Napolitano che un anno e mezzo fa definì in questo modo l’emergenza carceraria. Da quando ho vissuto la mia esperienza penitenziaria, non faccio che visitare istituti penitenziari, raccogliere e scrivere lettere, segnalare disagi. Ha avuto modo di confrontarsi direttamente con Napolitano? Non direttamente. Però è indubbio che dal momento in cui Napolitano si espresse in questo modo in occasione di una manifestazione organizzata da Marco Pannella e dai radicali, il presidente della Repubblica si è distinto per un intervento molto incisivo sulla politica italiana. È intervenuto sul problema delle carceri, è intervenuto sul tema delle intercettazioni, su cui purtroppo ormai cadono i governi. Il governo Prodi cadde su queste vicende, il governo Berlusconi è caduto sulla propagazione di intercettazioni varie. E nessuno ha mai mosso un dito su questo. Che cosa ha visto lei in carcere? Innanzitutto, il carcere italiano ha il ben noto problema di intollerabile sovraffollamento. Poi, oltre il 40 per cento dei detenuti si trova in una situazione di carcerazione preventiva. Ogni cinque giorni, il carcere italiano miete un morto. Questo vuol dire che l’Italia ha abolito la pena di morte ma accetta che vengano messi a morte in questo modo i suoi cittadini. Rispetto ai paesi cosiddetti civili, l’Italia ha tra i più alti tassi di mortalità dentro le carceri. In questo senso, io ho presentato in commissione Giustizia una proposta di legge contro l’abuso della carcerazione preventiva che ha raccolto le firme di circa 300 parlamentari. Quando lei si trovò quella prima notte chiuso in una cella, che cosa provò? Le devo confessare che nella mia esperienza il carcere ha significato l’annientamento della persona. È così, c’è poco da fare. Nel carcere italiano tutto va verso la direzione dell’annientamento dell’essere umano. Come si pratica l’annientamento? Le posso raccontare la mia esperienza nel carcere di Poggioreale. Noi eravamo in 5 in una cella di circa 20 metri quadri. Siccome sono concesse soltanto 2 ore d’aria al giorno, passavamo 22 ore chiusi in cella. Difficile che, dopo aver vissuto una esperienza di questo genere, una persona esca dal carcere migliorata. È la stessa condizione che vivono anche i detenuti in attesa di giudizio quale io ero. Detenuti che nel 50 per cento dei casi vengono ritenuti non colpevoli fin dal primo grado di giudizio. La detenzione preventiva è una risposta che lo Stato dà alla pancia del Paese, non certo alla testa o al bisogno legittimo di giustizia. Lei ha passato 101 giorni in carcere. Più due mesi di detenzione preventiva. Quindi, 161 giorni. Come cambiano un essere umano 161 giorni passati con altri 4 detenuti in una cella di 20 metri quadri? Io sono stato sempre attento ai problemi delle garanzie (come capo gabinetto vicario e poi direttore generale del ministero della Giustizia) e mi sono sempre scontrato con le stesse problematiche, soprattutto culturali... Ma quando poi l’esperienza la vivi sulla tua pelle, capisci cosa vuol dire veramente l’orrore del carcere. Ho denunciato all’autorità giudiziaria le pressioni che ho ricevuto per fare confessioni non vere... Da chi aveva ricevuto queste pressioni? Da parte del pubblico ministero. Lei ha fatto riferimento a piccoli orrori quotidiani anche fuori le carceri... Sì, e mi riferivo per esempio alle camere d’attesa del Tribunale per i detenuti che vanno all’udienza del riesame. La gente non lo sa che esistono questi sotterranei dove per lunghe ore sostano i detenuti, dentro stanze buie con il soffitto che non arriva al metro e settanta: stanze sporche, piene di liquami, di rifiuti organici. Di escrementi. Stanze con un unico servizio igienico (una tazza inavvicinabile). Un orrore nell’orrore. Queste camere d’attesa non sono all’interno della struttura del carcere. Vogliamo parlare poi delle cucine del carcere di Poggioreale? Parliamone. Sono spaventose, sudice. Ti senti in uno stato di prostrazione, umiliato. Eppure sei costretto ad andarti a rifocillare lì. E non puoi decidere di non ammalarti ma se ri ammali è terribile. Le liste di attesa per una visita specialistica raggiungono decine di mesi. E molti detenuti comuni non riescono ad avere dalla Asl neanche i farmaci di base. E lei si era ammalato? Ho subito lo schiacciamento di sette vertebre. Avevo delle patologie pregresse che si sono aggravate a causa delle posizioni a cui si è costretti. Dentro la cella si può stare seduti su degli sgabellini o sdraiati sulla branda. Stare 22 ore così non può che ammalarti. In cella leggeva? Leggevo la Bibbia tutti i giorni. In particolare, ho riletto un racconto di Giacomo Casanova, Storia della mia fuga dai piombi, una lettura adeguata al luogo. Direi che è arrivato il momento di piazzarsi in quel preciso momento del tempo da cui inizia la storia della sua caduta. Immaginiamo di parlare ad un lettore che non sappia niente. Di cosa venne accusato? E a che cosa si alludeva quando si parlava dei suoi coinvolgimenti con la P4? Lei sa che io sono un magistrato e ho avuto sempre una grande fiducia nella giustizia. Preferisco non parlare di questi aspetti e riportarmi invece ai provvedimenti giudiziari. Il 20 luglio 2011 è stato autorizzato il mio arresto da parte della Camera dei Deputati. Già il 7 novembre la Corte di Cassazione ne ha dichiarato l’illegittimità. Successivamente, il Tribunale del Riesame ha fatto cadere la maggior parte delle accuse che mi venivano rivolte. Oggi io sono sostanzialmente a processo per degli episodi di concussione il cui ammontare complessivo raggiunge circa i 5000 euro, e si tratta di soldi non percepiti da me ma da altre persone che la pubblica accusa assumeva fossero legate a me. Il 20 luglio viene comunque autorizzata la sua carcerazione con 319 voti favorevoli e 293 contrari. Se lo aspettava? Le posso ricordare l’incontro che ebbi con Maroni che era allora ministro degli Interni, al quale chiesi di leggere le carte mandate dalla Procura che riguardavano la richiesta del mio arresto. Rimasi colpito nel sentirmi rispondere che a loro la lettura delle carte non interessava e che la Lega avrebbe votato a favore dell’arresto per dare un segnale al Paese. Capii in quel momento che servivo da capro espiatorio. Da conversazioni poco piacevoli che ebbi poi con l’onorevole Bocchino, capii anche che la mia caduta sarebbe stata un forte segnale nei confronti del governo Berlusconi che in quel momento traballava vistosamente. Comunque, in seguito all’inchiesta, lei si autosospese da tutti gli incarichi che rivestiva in quel momento, a partire da quelli interni al suo partito, il Pdl. Pensa che sarebbe andata diversamente se si fosse ostinato a restare dove era? Non lo so. Pensavo che la mia autosospensione avrebbe messo i parlamentari nelle condizioni di fare le loro scelte fuori dalle logiche di appartenenza. Al di là di come è andata, continuo a pensare che questo sia il contegno da seguire per tutti gli esponenti politici che vengono a trovarsi in queste condizioni. Ha qualche ripensamento? Crede di aver fatto degli errori? Le devo confessare una cosa che non è facile dire. Questa vicenda nasce principalmente da risentimenti personali da parte di alcuni pubblici ministeri della Procura di Napoli. È una vicenda da collocare all’interno degli ambienti giudiziari e di quella che è stata la mia storia all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati. Che cosa le posso dire? Ecco, forse l’unico rimprovero che posso muovermi - ma su un piano personale, non su quello giudiziario-politico - è quello di essermi fidato di qualche magistrato napoletano. Lei ha sempre vissuto a Napoli. Intende rimanerci? Io sono un napoletano verace. Questa è la città in cui sono nati i miei figli e dove vorrei che loro crescessero. Oggi a Napoli si respira un clima di forte demagogia, e di poca libertà, ma è il clima che alla fine si respira non solo a Napoli ma in tutta Italia, dove si avverte la mancanza di ossigeno democratico e liberale. Quale è stato il momento più difficile, quello in cui ha detto: non ce la posso fare? Mia moglie e i miei figli mi sono sempre venuti a trovare in carcere assieme ai familiari degli altri detenuti. Questa vicenda ha provocato dei contraccolpi emotivi molto forti sui miei figli che hanno 13 e 12 anni. Queste sono esperienze assimilabili alla malattia che hanno un effetto positivo in realtà perché solo nelle situazioni di caduta e nelle malattia capisci chi sono veramente i tuoi amici, chi ti vuol bene. Con chi condivideva la cella? Con detenuti comuni. In una situazione come quella, riscopri i valori di civiltà e di convivenza che sono perduti nella società civile. È ancora molto vicino a Silvio Berlusconi? Sì, sono ancora molto vicino a Silvio Berlusconi. Quale è la sua idea della giustizia oggi? La giustizia è l’applicazione al caso concreto dei principi generali e astratti fissati dalla legge. Contrariamente alla legge, che esprime un valore assoluto, la giustizia esprime un valore relativo che è stabilito dall’accertamento dei fatti. Quanto più l’accertamento dei fatti si avvicina a quella che è la realtà dei fatti, tanto più la giustizia si realizza. Aver fiducia nella giustizia significa aver fiducia nello stato di diritto e quindi nella democrazia. Le cose che ci riguardano non devono mai modificare la nostra fiducia nel valore della giustizia. C’è molta differenza tra l’uomo di oggi e il ventenne Alfonso Papa che voleva fare la carriera universitaria alla Federico II? Le risponderò con un esempio chiaro. Nella mia lunga carriera di magistrato, io ho chiesto la carcerazione preventiva solo in quattro casi. Questo per dire che sono sempre stato attento alla questione delle garanzie e dei diritti. Da questo punto di vista, la mia esperienza giudiziaria non mi ha cambiato. Però sono consapevole del fatto che devo la mia sopravvivenza all’umanità degli altri detenuti e di una parte della polizia penitenziaria, cosa che mi rende impossibile non pensare di dedicare il resto della mia vita a questa battaglia per i diritti di migliaia di persone che non hanno volto né nome. Giustizia: Sappe; sostituire Tamburino al vertice Dap, non fa nulla per problemi carceri Agi, 12 ottobre 2012 “La situazione penitenziaria resta allarmante nell’assoluta indifferenza ed apatia dell’Amministrazione Penitenziaria. In tre giorni 1 detenuto è morto suicida a Busto Arsizio, un altro è stato salvato in tempo dai poliziotti penitenziari a Lucca, agenti sono stati aggrediti a Sanremo, Lucca e Monza. In questo contesto è palese e grave l’inefficienza del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria guidato da Giovanni Tamburino, che pensa a risolvere le criticità del sovraffollamento delle nostre prigioni con soluzioni fantasiose e pericolose. Come, ad esempio, le sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità che determina un depotenziamento del ruolo di sicurezza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo la fattispecie penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale). Tutto questo è fumo negli occhi, e mi auguro che la Ministro della Giustizia Paola Severino assuma urgenti provvedimenti per le carceri italiane. A cominciare dall’avvicendamento dell’attuale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria”. Lo dichiara Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria), commentando gli ultimi eventi critici registrati nelle carceri italiane. “La realtà penitenziaria è che nelle carceri ci sono 45mila posti letto e nelle celle sono invece stipate 67mila persone, delle quali quasi 27 mila in attesa di un giudizio definitivo; che la Polizia penitenziaria ha settemila agenti in meno, che i Baschi Azzurri non fanno formazione ed aggiornamento professionale perché l’Amministrazione evidentemente ha altro a cui pensare, come anche per le conseguenze di quell’effetto burnout dei poliziotti determinato dall’invivibilità di lavorare in sezioni detentive sistematicamente caratterizzate da eventi critici - suicidi, tentati suicidi, aggressioni, risse, atti di autolesionismo, colluttazioni. Ma per fronteggiare tutto questo il Dap guidato da Giovanni Tamburino non ha fatto nulla e noi ci chiediamo che senso abbia mantenerlo ancora in quell’incarico. Sono necessarie soluzioni concrete e uomini nuovi per risolvere la crisi penitenziaria: non servono filosofi e teorici”. Giustizia: Osapp; carceri italiane, oltre che sovraffollate e criminogene, anche inquinanti Ansa, 12 ottobre 2012 “Che le attuali condizioni delle carceri possano comportare danni a che vi lavora e all’utenza penitenziaria, in ragione del sovraffollamento esistente ( 66.579 presenze per 45.849 posti-letto esistenti ) e delle tensioni esistenti in celle detentive costruite per alloggiare due detenuti e che in realtà ne ospitano anche più di cinque, è a conoscenza di tutti.” È quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci Segretario Generale Osapp ( Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria ) e indirizzata ai Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. “Altrettanto conosciuti inoltre - prosegue il sindacalista nella missiva - dovrebbero essere i danni per l’ordine e la sicurezza esterni al carcere che derivano dalla promiscuità conseguente al sovraffollamento e quindi dal contatto continuo e senza controllo tra soggetti di varia pericolosità, tant’è che l’ordinaria percentuale di recidive, pari al 68%, per chi sconta fino in fondo la propria pena negli attuali istituti penitenziari si è abbassata al 34 % per chi ha fruito dell’indulto del 2006 e diminuisce ulteriormente fino al 19 % per chi è sottoposto a misure alternative alla detenzione nella c.d. “Area Penale Esterna”. “Quello che, invece, sicuramente si ignora - indica ancora il leader dell’Osapp - è che le attuali carceri italiane oltre che sovraffollate e criminogene sono anche inquinanti, tenuto conto che dalle stesse pervengono all’esterno, ogni giorno, cinque tonnellate di bombolette di gas e pile alcaline usate, queste ultime in grado di contaminare 50 km. di costa in quanto, pur essendo rifiuti speciali, spesso vengono trattati come fossero di tipo ordinario.” “Ci auguriamo quindi - conclude Beneduci - che anche tali ultime considerazioni inducano nei responsabili di una politica che dedica al carcere molte parole e pochi fatti, una rinnovata volontà per l’adozione di tutti gli interventi idonei a riformare integralmente il sistema penitenziario italiano.” Giustizia: Circoli filatelici in aiuto a detenuti, arriva protocollo d’intesa Adnkronos, 12 ottobre 2012 “Per troppi anni la filatelia è stata autoreferenziale: è ora che si unisca al mondo. Il progetto che prevede l’ingresso della filatelia nelle carceri è un buon inizio per questa nuova fase”. Ad affermarlo è Danilo Bogoni, presidente dell’Unione stampa filatelica italiana (Usfi), durante l’inaugurazione di Romafil 2012, l’appuntamento filatelico tenutosi oggi nella capitale, al palazzo dei Congressi. “Quattro anni fa - spiega - era nato un progetto pilota nel carcere di Bollate e Marisa Giannini - responsabile per la filatelia di Poste Italiane - se n’era innamorata. Così, abbiamo deciso di coinvolgere la Federazione delle società filateliche italiane e il protocollo d’intesa che definisce il progetto è quasi pronto”. Il protocollo è infatti nelle mani di Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste italiane, in attesa di ricevere la firma dei Ministeri di Giustizia, Interno e Sviluppo economico. “I circoli filatelici - racconta Bogoni all’Adnkronos - avranno i contatti delle carceri sul loro territorio e inizieranno dei colloqui per capire chi sia interessato alla realizzazione di francobolli per poi fornire assistenza affinché i detenuti si avvicinino a questa passione”. “Nel 2008 - prosegue Bogoni - è stato proprio un detenuto di Bollate a lottare per rendere realtà questa sua idea”. Tra le mura del penitenziario il suo circolo filatelico c’è ancora e si chiama ‘Intramur’. “Lì i carcerati hanno realizzato con il materiale fornito loro delle collezioni sul turismo e sul ciclismo italiano e si sono fatti la loro biblioteca”. Il detenuto che ha lanciato l’iniziativa ha ricevuto poi un encomio dal direttore del carcere di Bollate e ha avuto anche la possibilità di esporre i suoi lavori alla scorsa edizione del Milanofil. “È stato emozionante - conclude - vederlo mostrare i frutti del suo impegno”. Sicilia: il Seac denuncia “in regione ancora ferma la riforma della sanità penitenziaria” Redattore Sociale, 12 ottobre 2012 Oggi e domani a Palermo il seminario del Seac. In attesa che il passaggio alla sanità regionale sia attuato, “si potrebbe creare in ogni carcere un presidio sanitario in collegamento con gli ospedali”. Esperti, operatori e rappresentanti istituzionali si confrontano a Palermo sulla mancata attuazione della riforma sanitaria penitenziaria in Sicilia, sugli ospedali psichiatrici giudiziari e sui diritti degli immigrati che si trovano nei Cie. In occasione della pubblicazione del volume “Volontariato e carcere oggi”, curato dal Seac (coordinamento nazionale volontariato penitenziario) in collaborazione con il CeSVoP, le due realtà propongono il seminario nazionale su “La riforma della sanità penitenziaria: lo stato di attuazione della legge in Sicilia” che affronterà alcune emergenze dell’attuale situazione carceraria. L’incontro si svolgerà al Centro culturale Biotos di Palermo oggi pomeriggio e tutta la giornata di domani. Nella prima sessione si discuterà proprio sulla mancata attuazione della riforma della sanità penitenziaria che in Sicilia ancora non è stata ancora trasferita alla regione. In questi anni le organizzazioni di volontariato hanno chiesto tale passaggio, ma di fatto, soltanto in Sicilia, non è avvenuto. “Benché l’attuazione del decreto sia diversificata nelle varie regioni e non sia pienamente soddisfacente - dice Bruno Di Stefano, coordinatore del Seac -, di certo costituisce una base di partenza e la Regione Siciliana potrebbe ben fare tesoro dell’esperienza altrui”. Un altro aspetto della sanità riguarda anche gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) di cui è stata disposta la chiusura entro il marzo 2013. “Cessato il clamore delle denunce relative al degrado in cui si trovano, tutto sembra ricadere nel silenzio - scrive il Seac di Palermo, anche per l’inesistenza di strutture alternative e il contemporaneo smantellamento del welfare in Italia”. Il seminario, infine, affronterà la problematica dei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie) che “si manifestano sempre più come luoghi di detenzione ingiustificata, costosa e non utile”. “Si tratta di temi importanti su cui occorre ancora fare piena chiarezza. Il filo conduttore del nostro seminario è sicuramente la condizione del detenuto analizzato in tutti i suoi aspetti - afferma ancora Bruno Di Stefano. C’è in primo luogo lo scoglio dell’assistenza sanitaria penitenziaria su cui ancora la Sicilia è ferma. Oltre ad auspicare il passaggio dell’assistenza sanitaria alla regione l’idea potrebbe essere quella di creare in ogni carcere un presidio sanitario in collegamento con gli ospedali. Il provveditore all’amministrazione penitenziaria spende 13 milioni di euro all’anno per la sanità penitenziaria delle carceri siciliane. Ci chiediamo perché ancora questo trasferimento non è avvenuto”. “Sappiamo ancora che il detenuto come prima cosa vuole capire e sapere qual è la sua posizione giuridica - aggiunge, una cosa che non sempre è chiara quando si parla di persone detenute negli Opg o di immigrati anch’essi detenuti nei Cie”. Nella prima sessione di oggi interverranno, tra gli altri, Bruno Di Stefano, coordinatore Seac Sicilia; Elisabetta Laganà, presidente Conferenza nazionale Volontariato Giustizia; Riccardo Polidoro, presidente dell’associazione “Il carcere possibile”; Fabrizio Scalici, medico al carcere Pagliarelli Palermo; Vanna Bonomonte, presidente associazione AsVoPe; Salvo Fleres, garante diritti dei detenuti Sicilia; Roberto Di Giovan Paolo, commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani; Giuseppe Verde, componente commissione paritetica per l’attuazione dello Statuto siciliano. Inoltre, è stato invitato il ministro della Salute, Renato Balduzzi. Domani 13 ottobre nella sessione dedicata agli Ospedali psichiatrici giudiziari, alle loro condizioni e al percorso per il loro superamento prenderanno la parola Gaetano Interlandi, direttore Dsm Caltagirone-Palagonia ASP3 Catania; Pippo Insana, cappellano Opg Barcellona Pozzo di Gotto; Nicola Mazzamuto, presidente Tribunale Sorveglianza Messina; Maurizio D’Arpa, dirigente Dps-Servizio 9 “Tutela delle fragilità” - Assessorato regionale della Salute e il direttore dell’Opg di Barcellona P.G. Nunziante Rosalia. Mentre nella terza sessione dedicata a discutere dei diritti degli immigrati trattenuti nei Cie il confronto si aprirà con la visione del reportage “Cie: detenzioni arbitrarie” di Enrico Montalbano e Laura Verduci. A seguire interverranno Ferdinando Siringo, presidente regionale MoVI Sicilia; Yodit Abraha, mediatrice culturale; Vincenzo Morgante, caporedattore Rai Sicilia; Enzo Volpe, direttore Centro Santa Chiara Palermo e rappresentante del Tavolo Migrantes volontariato Palermo; Fulvio Vassallo Paleologo, componente del direttivo Associazione Studi Giuridici Immigrazione. Busto Arsizio: detenuto tunisino suicida, terzo morto nell’istituto carcerario da inizio anno Ansa, 12 ottobre 2012 L’uomo sarebbe uscito a giugno del prossimo anno. A denunciare il caso è la Cgil Funzione Pubblica. Dall’inizio dell’anno salgono a tre i decessi tra i detenuti nella struttura tra le più sovraffollate d’Italia. L’ennesima morte in carcere. La terza nella struttura penitenziaria di Busto Arsizio in meno di un anno (negli altri due casi si è trattato di detenuti che hanno inalato gas) mentre questa volta la Cgil Funzione Pubblica di Varese ipotizza un suicidio, attraverso un comunicato stampa. È accaduto martedì nell’Istituto di via per Cassano Magnano, dove un detenuto di 31 anni, di nazionalità tunisina, si è tolto la vita. È stato l’agente di Polizia Penitenziaria in servizio in infermeria che ha dato l’allarme; purtroppo però a nulla è valso il pronto intervento dei sanitari del carcere che non hanno potuto che constatarne il decesso. L’uomo era in carcere da luglio 2011 e sarebbe uscito nel giugno prossimo. È l’ennesima tragedia che si consuma nelle carceri italiane e il 3° decesso in meno di un anno presso il carcere di Busto Arsizio, un carcere quest’ultimo noto alle cronache per lo spaventoso stato di sovraffollamento. Sono infatti 432 i detenuti presenti ad oggi presso il carcere di Busto Arsizio quando la capienza regolamentare sarebbe di 167 detenuti. Solo qualche giorno fa il senatore radicale Marco Perduca aveva fatto visita alla struttura per denunciarne il sovraffollamento. Reggio Calabria: Dap; carcere Laureana chiuso temporaneamente perché sottoutilizzato Comunicato stampa, 12 ottobre 2012 In risposta alle sollecitazioni giunte sulla chiusura temporanea dell’Istituto di Laureana di Borrello, resa nota dal Dap con la nota stampa dello scorso 3 ottobre, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ritiene opportuno fornire ulteriori chiarimenti sulle motivazioni che hanno determinato l’adozione del provvedimento. La casa di reclusione di Laureana, nata come istituto a custodia attenuata e regime di trattamento avanzato, da tempo era costretta a un sottoutilizzo a causa della carenza di opportunità di sicuro valore risocializzante connaturate alle caratteristiche della struttura, tanto da ospitare, al momento, soli 29 detenuti impegnando 25 unità di Polizia Penitenziaria oltre il personale amministrativo. Nonostante le risorse impiegate dall’Amministrazione - continua la nota del Dap - gli obiettivi realisticamente raggiungibili, allo stato, apparivano in larga parte inferiori ai risultati attesi determinando la decisione di chiudere temporaneamente la struttura consentendo, nell’immediato, il recupero di 25 unità di personale di Polizia Penitenziaria per destinarle al servizio traduzioni e permettere il normale svolgimento dei delicati processi in svolgimento in regione. L’intero assetto organizzativo degli istituti e dei servizi penitenziari calabresi - conclude la nota - sarà, in ogni caso, oggetto di una revisione connessa alla creazione, che interessa tutto il territorio nazionale, di circuiti regionali in cui gli istituti penitenziari del territorio dovranno essere differenziati per le varie tipologie di detenuti. Nell’ambito della realizzazione di questi progetti la casa di reclusione di Laureana di Borrello, traducendosi in impegno concreto la disponibilità offerta dalla comunità locale per iniziative di alto contenuto trattamentale, potrà trovare utilizzo adeguato. Assunta Borzacchiello Direttore Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Dap Golfo (Pdl) querela ex sindaco (Ansa) Lella Golfo, deputata calabrese del Pdl, ha reso noto di avere sporto querela per diffamazione nei confronti dell’ex sindaco di Laureana di Borrello, Rocco Domenico Ceravolo. “Ho letto su Calabria Ora - ha affermato in una nota la parlamentare - che durante una seduta pubblica del Consiglio provinciale di Reggio Calabria, Ceravolo avrebbe detto: “oggi hanno portato via dal carcere di Laureana due surgelatori, forse uno serviva per la Golfo. Certi personaggi andrebbero surgelati”. Una vera e propria minaccia. E trovo ancora più grave che una frase del genere sia stata pronunciata in una sede istituzionale, alla presenza del Presidente della Provincia e dei consiglieri. La mia unica colpa, dopo aver ricevuto ampie e più che attendibili rassicurazioni sul carattere temporaneo della chiusura del carcere di Laureana di Borrello, è quella aver invitato alla ragionevolezza. E aver sottolineato che senza la chiusura del carcere 12 processi di ‘ndrangheta non avrebbero potuto aver luogo per mancanza di personale di traduzione e già ben nove udienze su dieci erano state rinviate per carenza di personale addetto ai servizi di traduzioni. Se mandare in libertà persone accusate di ‘ndrangheta piuttosto che spostare temporaneamente 29 detenuti e 21 agenti sia preferibile è una valutazione che non ha bisogno di commenti ulteriori”. “Ho ritenuto doveroso difendere la mia persona - ha detto ancora l’on. Golfo - ma soprattutto denunciare senza se e senza ma l’uso di un linguaggio e di atteggiamenti assolutamente inaccettabili e degni di unanime condanna. Ho alle spalle anni di lotta contro la ‘ndrangheta e non posso tollerare che simili episodi coinvolgano palazzi dove la legalità e il rispetto delle istituzioni dovrebbero regnare incontrastati. In gioco c’è il decoro istituzionale e c’è l’impegno quotidiano di forze dell’ordine, magistrati, imprenditori, cittadini e colleghi che contro la criminalità organizzata combattono quotidianamente. A loro dobbiamo tributare rispetto prima di tutto dando l’esempio”. “Sono solidale con l’onorevole Lella Golfo - ha detto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri - vittima di incredibili minacce da parte dell’ex sindaco Ceravolo, che in questo clima diventano ancora di più intollerabili”. Sulla vicenda è intervenuta anche la senatrice Anna Cinzia Bonfrisco, del Pdl, componente dell’Ufficio di Presidenza di Palazzo Madama. “Esprimo solidarietà e sostegno - ha detto - a Lella Golfo, parlamentare e presidente della Fondazione Bellisario. La sua attività politica affonda le radici nel senso civico più prezioso per la società e le Forze dell’Ordine, al fine di liberare il nostro Paese dal flagello dell’attività criminale. Le parole dell’ex sindaco di Laureana di Borrello, Ceravolo, sono un’offesa alle istituzioni della Calabria e a coloro che sono morti per combattere contro la più oscura delle criminalità. Ma nemmeno quelli della ‘ndrangheta sono samurai. Possono essere battuti. Certo occorre attenzione, impegno e senso dello Stato. Non servono di sicuro i finti politici come il sig. Ceravolo. Dei politici di valore fa parte certamente Lella Golfo. Chiedo ai ministro Severino e al ministro Cancellieri di venire a riferire in Parlamento. Presenterò, in merito, un’interrogazione a risposta urgente”. La deputata del Pd Alessia Mosca ha espresso anche lei la sua solidarietà a Lella Golfo “per quanto accaduto al Consiglio provincia di Reggio Calabria. Le minacce che le sono state rivolte - afferma - sono ancora più gravi in considerazione del contesto istituzionale in cui sono state affermate”. Nucera (Pdl): su carcere Laureana protesteremo con governo (Asca) “Sulla vicenda riguardante la struttura carceraria Luigi Daga di Laureana di Borrello il Consiglio regionale farà sentire forte la propria voce verso il Governò. Lo afferma il Segretario Questore del Consiglio regionale della Calabria, Giovanni Nucera, dopo l’approvazione, all’unanimità, della mozione, presentata dallo stesso Nucera, per chiedere interventi presso il Governo centrale per la riapertura dell’Istituto penitenziario sperimentale Luigi Daga di Laureana di Borrello. “Non possiamo, come calabresi, tollerare che uno degli istituti penitenziari definiti all’avanguardia a livello europeo, venga chiuso definitivamente e che in Calabria muoia uno dei progetti sperimentali più innovativi di rieducazione e reinserimento dei giovani detenuti nella società. Progetto Giovani - così ha spiegato nella sua mozione Giovanni Nucera - che ha permesso di sottrarre molti giovani detenuti alla sub cultura tipica del carcere e della criminalità organizzata, incidendo sul fenomeno della recidiva attraverso la prevenzione e l’inclusione sociale”. Nuoro: Pili (Pdl); carcere di Macomer verso chiusura a causa della carenza di personale Agi, 12 ottobre 2012 “Tra il 31 ottobre e il 10 novembre il carcere di Macomer (Nuoro) sarà chiuso. Il provvedimento è alla firma del Ministro La motivazione è legata alla carenza del personale”. Lo rende noto il deputato del Pdl Mauro Pili annunciando “un nuovo atto di sindacato ispettivo dopo quello presentato nei giorni scorsi in seguito alla visita compiuta nel carcere di Macomer dal quale era emersa una situazione gravissima per un numero esiguo di agenti”. Il parlamentare definisce “di gravità inaudita” la decisione “di chiudere una struttura penitenziaria per carenza di personale con le carceri che straripano di detenuti”. “Se la notizia fosse confermata”, sottolinea il deputato, “sarebbe l’ennesima dimostrazione di una gestione improponibile del sistema carcerario sardo minato alla radice da una carenza cronica di personale che non riesce nemmeno a sovraintendere alle strutture esistenti. Rispetto ai giorni scorsi”, ha aggiunto, “il numero di dipendenti si è ulteriore ridotto. Ora a disposizione di quella struttura di sarebbero appena 29 agenti complessivamente, e ne sarebbero necessari almeno 34 per turno ovvero oltre 130. Si tratta di una situazione insostenibile che rischia di pregiudicare sin dall’inizio l’apertura dei nuovi carceri per i quali si tenterà di riempirli oltre le quantità previste dai progetti e dalle capienze di legge. La chiusura di Macomer potrebbe far dislocare sul carcere di Massama anche gli AS2 (Alta sicurezza per terroristi islamici) detenuti nel braccio speciale di Macomer aggiungendo ulteriori problematiche al nuovo carcere oristanese. La chiusura del carcere di Macomer significherebbe”, ha concluso Pili, “anche l’abbandono di una struttura costata milioni all’amministrazione statale e che resterebbe abbandonata a se stessa senza alcun possibile riutilizzo”. Lecce: Dgm; l’Ipm è chiuso dal 2007 per ristrutturazione, ma personale lavora comunque Adnkronos, 12 ottobre 2012 “In merito al servizio sull’Istituto penale per minorenni di Lecce, trasmesso dal tg satirico Striscia la notizia nell’edizione di ieri”, il capo Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero, Caterina Chinnici, precisa che “l’Istituto è stato disattivato nel luglio 2007 per consentire i lavori di ristrutturazione, terminati nel giugno 2012. Nel corso di questi cinque anni il personale di polizia penitenziaria è stato ridotto da 47 a 16 unità, mentre quello civile da 19 a 13 unità”. “Il personale di Polizia Penitenziaria rimasto in servizio durante il periodo dei lavori - viene rilevato - non si è tuttavia limitato a curare la vigilanza delle strutture (Centro di prima accoglienza, Comunità ministeriale, uffici amministrativi) e dell’area demaniale, ma è stato attivamente impiegato nella vigilanza e custodia dei minori nel Centro di prima accoglienza leccese - rimasto sempre funzionante - e ha continuato a compiere servizi di traduzione e accompagnamento dei minori. Gli stessi poliziotti penitenziari sono stati impiegati anche in servizi di supporto al reparto dell’Istituto Penale per i Minorenni di Bari. Quanto al personale amministrativo, ha continuato ad espletare le attività amministrativo-contabili dei servizi minorili collegati all’Istituto di Lecce: Servizi sociali minorenni di Lecce e di Taranto, Centri di Prima Accoglienza di Lecce e di Taranto, Comunità ministeriale di Lecce, Uffici giudiziari minorili di Lecce e Taranto”. Il lavoro straordinario per il personale di Polizia Penitenziaria “è stato utilizzato esclusivamente per lo svolgimento dei compiti istituzionali quali accompagnamento e traduzione dei minori, copertura turni di servizio e supporto operativo all’Ipm di Bari. A fronte di una media annuale di circa 4.450 ore nel periodo antecedente la disattivazione dell’Ipm si è passati alle 399 ore nel 2011”. Infine, il capo del Dipartimento per la giustizia minorile precisa che, “conclusi i lavori di ristrutturazione, si sta lavorando alla verifica delle ipotesi di riattivazione della struttura, da destinare ad interventi rivolti all’area del disagio giovanile”. Oristano: Uil; avviato trasferimento dei detenuti in nuovo carcere, mancano ancora servizi La Nuova Sardegna, 12 ottobre 2012 Ad Oristano sono cominciate all’alba, e proseguiranno per tutto il giorno, le operazione di trasferimento dei 120 detenuti dalla casa circondariale di piazza Manno al nuovo carcere di Massama. Ad accelerare la procedura, anche se il nuovo istituto pare non sia prontissimo per accogliere da subito i detenuti, una sollecitazione del Ministero della Giustizia. Nell’occasione tutta la zona attorno al carcere di Oristano è stata chiusa al traffico con spiegamento di forze dell’ordine (Polizia e Vigili urbani) per garantire che tutto si svolga nella massima sicurezza. Il nuovo carcere si trova a pochi chilometri dalla città, nelle campagne della frazione di Massama, e può ospitare sino a 250 detenuti. Il carcere apre, mentre la fermata dei trasporti urbani è rimasta solo una promessa. La denuncia è arrivata dal segretario provinciale della Uil-Pa, Roberto Pichedda. Il sindacalista ha sollecitato il Comune a realizzare la fermata. “Un sevizio importante non solo per i dipendenti del Ministero della Giustizia, ma anche per i familiari dei detenuti - ha denunciato. Nonostante la promessa del sindaco nulla è stato fatto”. Quindici giorni e in piazza Manno ci sarà il cartello “Chiuso”. Tra oggi e domani inizia infatti il trasferimento dei detenuti dal vecchio carcere, che chiude i battenti per cessata attività, in quello nuovo di Massama. Ancora non è chiaro se i trasferimenti avverranno tutti in una giornata, ma è più probabile che questo accada in vari scaglioni. Contemporaneamente anche il personale inizierà il trasferimento nella nuova sede che dovrebbe essere completato in un periodo non troppo lungo. Si parla di due settimane, al massimo una ventina di giorni. Dopo di che, piazza Manno sarà solo un edificio vuoto, che si porterà dietro secoli di storia, diviso tra gli splendori dell’epopea giudicale e le ombrose giornate vissute da migliaia e migliaia di detenuti che ne hanno conosciuto l’aspetto sicuramente meno regale. Fine della storia, dunque, prima di iniziarne una nuova. Su quel che sarà di piazza Manno è inutile fare scommesse. Le certezze invece le regala Massama, dove al più tardi domani verranno aperte e chiuse le celle. I primi ad abitarle saranno i 121 detenuti che erano ristretti nella casa circondariale del capoluogo. Pochi per riempire un carcere che ne accoglierà molti di più. E siccome quelle celle non rimarranno vuote a lungo, si sa già che a Massama saranno riempite di detenuti che provengono da lontano. Molti di questi saranno camorristi, mafiosi o affiliati a cosche della ‘ndrangheta, fatto che ha già innescato reazioni politiche e preoccupazioni varie. Assieme ai detenuti, ovviamente, inizierà anche il trasferimento dei dipendenti del Ministero della Giustizia, divisi tra agenti ed educatori. I primi, dopo il recente massiccio trasferimento verso Oristano dovrebbero essere in numero sufficiente. Gli educatori sono invece appena tre e vanno bene per un numero di 121 detenuti, non certo per una cifra che dovrebbe salire a 150 nel giro di poche settimane per arrivare al tetto massimo di 250 per cui è collaudata la struttura di Massama. Al momento l’unica cosa che ha destato un attimo di disorientamento è stata l’accelerata che si è registrata in queste ultime settimane, per cui forse non tutti e tutto erano pronti al trasferimento. Ad ogni modo le direttive del ministro Paola Severino erano state più che chiare. Così dopo anni di attesa la vecchia reggia giudicale degli Arborea diventerà solo un edificio dall’altissimo valore storico e architettonico. Per i detenuti che invece vivevano in condizioni impossibili, il nuovo carcere sarà più rispondente ai dettami della Costituzione. E lo stesso varrà anche per chi nel carcere lavora. Gli anni delle difficoltà logistiche dovrebbero essere alle spalle. Forse, però, l’arrivo dei detenuti dalla penisola cambierà le carte in tavola. Lamezia: Uil; vecchio carcere è da chiudere, Sindaco si impegni per edificazione nuovo www.newz.it, 12 ottobre 2012 “Il Sindaco di Lamezia Terme, piuttosto che cercare di difendere l’indifendibile, rispetto ad una triste ed improduttiva realtà dove quotidianamente si oltraggiano i diritti e la dignità umana sia degli operatori sia di coloro che vi scontano la pena, farebbe bene ad impegnarsi compiutamente e tangibilmente ed a tentare di impegnare le istituzioni per l’edificazione di una nuova, moderna ed efficiente struttura carceraria nella città della piana”. A dichiararlo e Gennarino De Fazio - da poco eletto Segretario Nazionale della Uil Penitenziari e che a Lamezia è nato e risiede - a proposito delle notizie di stampa circa le iniziative del sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, finalizzate ad evitare la paventata chiusura del carcere cittadino. “La Casa Circondariale di Lamezia Terme - spiega De Fazio - è ospitata in un convento costruito nel 1300 e, sebbene inopportunamente ristrutturata qualche anno addietro, sconta tutte le conseguenze della vetustà dell’edificio, ha capienza per trenta detenuti e punte di sovraffollamento talvolta superiori al 100%, non offre alcuna possibilità per le attività di recupero o anche di solo svago per i reclusi e non garantisce condizioni accettabili di sicurezza e canoni minimi di vivibilità per la Polizia penitenziaria e gli altri operatori del settore. Persino gli automezzi della Polizia penitenziaria devono essere parcheggiati e custoditi presso autorimesse di altre Forze di polizia, non disponendo il carcere lametino neppure di un parcheggio dedicato. Inoltre, in epoche di eccezionali tagli alla spesa e continui prelievi forzosi dalle tasche di lavoratori, pensionati e cittadini, non è assolutamente plausibile pensare di mantenere in vita una struttura i cui soli costi per i canoni di gestione superano quello che riesce produrre, sempre che qualcosa produca oltre che mortificazioni e tristezza”. “D’altronde - conclude il sindacalista, appena rientrato da una Tavola Rotonda tenutasi proprio sul tema delle “(S)torture dell’Esecuzione Penale in Italia e i loro costi sociali” a cui hanno preso parte il Ministro della Giustizia Paola Severino, il Vice Presidente del Senato Emma Bonino, il Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Valerio Spigarelli, il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Rodolfo M. Sabelli ed il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino - una città ed un hinterland come quello lametino non possono fare a meno di un presidio di legalità, ma anche di un discreto propulsore economico, come quello rappresentato dal carcere. Pure per questo mi sono fatto ripetutamente promotore nel recente passato di iniziative volte alla costruzione di un nuovo penitenziario sia in città sia in comuni limitrofi, come quello di Maida dove era stato effettuato persino un sopralluogo dall’Amministrazione penitenziaria su un terreno (contiguo al centro commerciale “Due Mari”) offerto gratuitamente dall’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Natale Amantea che, devo aggiungere, sulla questione è comunque parso molto più attivo e fattivamente interessato del primo cittadino lametino”. Uil-Pa Penitenziari Coordinamento Regionale Calabria Belluno: sit-in dei Radicali davanti al carcere… e i detenuti gridano “qui è come Alcatraz” Corriere delle Alpi, 12 ottobre 2012 In una serata grigia e piovosa un piccolo gruppo di Radicali insieme con alcuni esponenti dell’associazione Extra Moenia ha manifestato pacificamente (scortati da agenti della Digos) davanti al carcere di Baldenich contro lo stato in cui vengono tenuti i detenuti all’interno delle case circondariali, non solo nel capoluogo bellunese ma in tutta Italia. Questo piccolo manipolo, munito di fiaccole e di candele è però riuscito a risvegliare e tenere desti ieri sera i molti carcerati di Belluno, che da dietro le sbarre delle loro finestre hanno cercato di far arrivare il loro malessere. La veglia è stata organizzata dal gruppo radicale dopo che nei giorni scorsi un tunisino si era tolto la vita impiccandosi, mentre un altro detenuto di origini magrebine era stato salvato in tempo da un agente penitenziario. Mentre con l’altoparlante Maria Grazia Lucchiari, di Veneto Radicale chiedeva “amnistia” e parlava di “diritto alla vita e per la vita del diritto”, dall’ultimo piano di Baldenich i detenuti cercavano di far arrivare anche la loro voce richiamando l’attenzione dei manifestanti battendo sulle sbarre alcuni oggetti e chiedendo anche loro amnistia. Qualcuno poi ha anche urlato: “Belluno come Alcatraz”. “È una veglia per ricordare una vita spezzata in uno dei tantissimi istituti di reclusione italiani sovraffollati da 67 mila detenuti in una capienza di 45mila”, ha detto Lucchiari che ha ricordato anche le parole di denuncia dello stato di crisi della giustizia del presidente della Repubblica. “Siamo davanti allo sfascio della giustizia italiana per il quale il partito Radicale chiede un provvedimento di amnistia urgente, non più prorogabile”. Tra gli esponenti di Extra Moenia, anche Luisa Ferrarini. “Sentire stasera le voci dei detenuti è davvero toccante. Siamo consapevoli di essere una goccia in mezzo al mare, ma non possiamo lasciar perdere e non possiamo non chiedere su questo argomento un confronto civile con le forze politiche. Questa protesta ci dà il senso della situazione in cui sono costretti a vivere i carcerati”. La veglia è durata fino alla mezzanotte. Lucca: Sappe; in carcere situazione insostenibile intervengano prefetto provincia e comune Il Tirreno, 12 ottobre 2012 Il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria, ha inviato questo comunicato sul carcere di Lucca. “È ormai diventata insostenibile la condizione lavorativa in cui si trova ad operare il personale della Polizia Penitenziaria in servizio alla Casa Circondariale di Lucca. A fronte delle numerosissime segnalazioni ai vari organi nazionali e locali, Dipartimento Provveditorato Firenze, Direzione Lucca, gli annosi e provati problemi non solo sono rimasti tali, ma addirittura sono aumentati oltremisura. La persistente situazione, diventa giorno dopo giorno sempre più drammatica. il sovraffollamento, determina forti problemi sia per il regolare mantenimento dell’ordine, sicurezza e disciplina dell’istituto stesso nonché per la stessa convivenza intramuraria dei detenuti. A ciò si aggiunge la carenza di Poliziotti Penitenziari, meno 45 unità, con carichi di lavoro estenuanti. Proprio oggi, un detenuto extracomunitario si è procurato ferite da taglio alle braccia con delle lamette, ed è lo stesso che si è reso responsabile della rissa di venerdì scorso , dove armato di badile, ha tentato di aggredire i colleghi accorsi per sedare una rissa tra detenuti di varie etnie. Il personale di Polizia Penitenziaria ha dato tutto se stesso, ora L’Amministrazione penitenziaria deve, risolvere i problemi cronici di questa struttura dimenticata da tutti, e fatta passare come un’oasi felice. Per questi motivi, il SAPPE chiederà un incontro urgente con il Neo Prefetto di Lucca, con il Presidente della Provincia, e con Il Sindaco di Lucca. Siracusa: appalti per le carceri, firmato protocollo d’intesa per la legalità La Sicilia, 12 ottobre 2012 Prevenire eventuali infiltrazioni malavitose negli appalti per allargamento delle carceri di Siracusa. È questo l’obiettivo del protocollo d’intesa che si firma questa mattina in prefettura. Il rappresentante di Governo Renato Franceschelli ha convocato tutte le parti interessate che dovranno apporre la firma nell’accordo. Si tratta di uno strumento già collaudato in precedenti lavori pubblici di particolare importanza, come nel caso del completamento della tratta autostradale Sr-Ct o per la zona industriale, e che hanno dato esiti quantomeno incoraggianti. Con il protocollo si inserisce un sistema di sicurezza ad ampio raggio. Da una parte, infatti, scatteranno le verifiche antimafia (con i controlli incrociati delle forze dell’ordine, con la Dia in prima fila) su ogni impresa che parteciperà ai lavori sia in appalto diretto che in sub-appalto, dall’altra i controllo riguarderanno la regolarità contrattuale del personale ingaggiato e la corretta applicazione della legge 626, ovvero l’adozione dei sistemi di sicurezza sul posto di lavoro. Siracusa è stata pioniera in questo percorso di legalità, proprio con il protocollo d’intesa sull’autostrada, e poi esteso all’area petrolchimica. Ora arriva l’applicazione alle nuove opere pubbliche che, proprio perché riguardano il sistema detentivo, sono ritenute di particolare importanza. Si tratta di lavori particolarmente delicati, in cui il rispetto della legalità deve, per ovvi motivi, raggiungere i massimi livelli. Ed è a questo che punta il prefetto Franceschelli, senza trascurare però l’aspetto sociale della vicenda. L’attenzione, infatti, sarà rivolta anche ai progetti stessi di ampliamento delle strutture penitenziarie, perché rispondano ai criteri di recupero della popolazione carceraria. L’edificazione di nuove ali delle case di reclusione è stata prevista a seguito delle reiterate denunce non solo degli stessi detenuti, ma anche da parte degli agenti di polizia penitenziaria che da anni lamentano come il sovraffollamento sia tra le cause principali delle aggressioni che si verificano tra le mura delle prigioni, e di conseguenza dei rischi a cui sono soggette le stesse guardie carcerarie. Una questione poi ratificata anche dalle verifiche fatte eseguire dal Dipartimento regionale dell’Amministrazione penitenziaria. Cagliari: Sdr; medico 118 Buoncammino salva vita a detenuto in arresto cardiaco Comunicato stampa, 12 ottobre 2012 “La presenza a Buoncammino di un medico del 118 ha salvato la vita a G.M., 65 anni, detenuto. L’uomo, in arresto cardiaco, è stato rianimato dal dott. Filippo Podda in servizio nella Casa Circondariale cagliaritana. G.M., fuori pericolo, è attualmente ricoverato nella unità coronarica del Santissima Trinità”. Ne da notizia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando “l’indispensabile presenza nell’Istituto di Cagliari di personale altamente professionalizzato”. “Il tempestivo intervento degli Agenti di Polizia Penitenziaria e del dott. Podda, che ha effettuato un prolungato trattamento con il defibrillatore, sono serviti - afferma Caligaris - a riattivare il cuore dell’anziano detenuto che peraltro si era sentito male improvvisamente. Il sovraffollamento nella struttura penitenziaria, dove in media si trovano reclusi 560 detenuti per 345 posti regolamentari, impone - conclude la presidente di Sdr - una particolare attenzione verso il servizio medico e infermieristico. Nel caso specifico l’assenza di un professionista dell’emergenza avrebbe quasi sicuramente fatto registrare purtroppo una nuova tragedia. Non è pensabile quindi che in una realtà, corrispondente a un paese, non debba permanere stabilmente un medico specializzato nella rianimazione”. Livorno: il carcere di Gorgona è senza acqua potabile, in arrivo una nave cisterna Ansa, 12 ottobre 2012 Il carcere di Gorgona non ha l’acqua potabile e per sopperire a questa emergenza, verrà inviata una nave cisterna. Le analisi, eseguite sull’acqua, la rendono non idonea ad essere ingerita. Il Comune di Livorno ha emesso un’ordinanza “di non potabilità”, firmata dal sindaco Cosimi, che vieta l’uso dell’acqua dell’isola di Gorgona per l’alimentazione umana. Domattina, in collaborazione con i volontari della Svs, il Comune invierà un carico di acqua potabile con nave cisterna ai residenti dell’isola e per i detenuti del carcere. Dalle ultime analisi effettuate dall’Asl 6 risulta infatti che alcuni parametri chimici sono fuori limite rispetto alla normativa vigente. Pertanto l’acqua non può essere utilizzata nemmeno per la cottura, ma solo per scopi igienici (pulizia degli ambienti e pulizia personale). L’ordinanza sarà in vigore fino a quando i valori delle analisi non rientreranno nella normalità. Il Comune, si legge in una nota, confida comunque in una risoluzione del problema in tempi stretti grazie alla manutenzione straordinaria (in capo alla Direzione del carcere) degli impianti di filtraggio del dissalatore che rifornisce le strutture carcerarie e la fontanella utilizzata dai residenti. Napoli: Diritti Umani; presentazione report in Consiglio regionale campano Il Velino, 12 ottobre 2012 Nel 2011 su un totale di 186 persone decedute nei penitenziari italiani 63 sono stati suicidi. Un numero elevato dovuto anche al fatto che l’Italia occupa fra gli ultimi posti in Europa quando si viene al rapporto fra detenuti e posti in carcere. A fine febbraio su una capienza complessiva di 45.742 posti, nelle carceri italiane i detenuti erano 66.632, di cui solo 38.195 con condanna definitiva. Di questo e di altri temi come quello degli immigrati nelle carceri e nei Cie, dei bambini reclusi con le detenute madri e della necessità dell’introduzione del reato di tortura parlerà Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti umani del Senato, nel presentare alla stampa il rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti a cura della Commissione Diritti Umani del Senato. Il Rapporto dedicato alla figura di Antonio Cassese, è stato approvato con il voto unanime di tutti i gruppi parlamentari il 6 marzo 2012. La presentazione ci sarà lunedì 15 ottobre alle 11.30 al Consiglio Regionale della Campania (Centro Direzionale, Isola F/13, sala “schermo” I piano), vedrà la partecipazione di Annamaria Carloni (Promotrice iniziativa e componente Consiglio d’Europa Commissione Uguaglianza e Antidiscriminazione), Carmine Antonio Esposito (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli), Paolo Romano (Presidente del Consiglio Regionale della Campania), Adriana Tocco (Garante dei Detenuti Regione Campania), Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus” - Camera Penale di Napoli), Antonio Mattone (Comunità di Sant’Egidio). Alba: successo di mercatino “Vale la Pena”, “Mercato della Terra” e “Campagna Amica” www.targatocn.it, 12 ottobre 2012 Domenica 7 ottobre il Sindaco di Alba Maurizio Marello, l’Assessore all’Agricoltura e all’Ambiente Massimo Scavino e l’Assessore alla Cultura e Turismo Paola Farinetti hanno visitato il mercatino “Vale la Pena”, allestito in collaborazione con il “Mercato della Terra”, in piazza Pertinace ad Alba. Fortemente voluto dall’Amministrazione comunale all’interno della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba 2011, dopo il successo dell’anno scorso, il mercatino con i prodotti del carcere dal nome del vino prodotto con le uve della Casa Circondariale “Giuseppe Montalto” di Alba è stato riproposto con successo anche quest’anno nella prima domenica di Fiera. Sui banchi, oltre alle bottiglie del rosso da tavola, quest’anno anche gli ortaggi e il miele prodotti nella stessa casa di reclusione albese accanto ad altre eccellenze di altri istituti di Pena italiani come il caffè e la birra dei carceri di Torino (Casa Circondariale “Lorusso e Cotugno”) e Saluzzo, i prodotti dolciari di “Banda Biscotti” realizzati all’interno delle carceri di Verbania e di Saluzzo, i “Dolci Libertà”, della Casa Circondariale di Busto Arsizio, gli ortaggi e i quadri della Casa Circondariale di Asti, gli arredi in ferro battuto di “Ferro & Fuoco” del Carcere di Fossano. Accanto anche lo stand di “Libera” con i prodotti enogastronomici coltivati dai ragazzi delle cooperative di “Libera Terra” sui terreni confiscati alle mafie. Il Sindaco e gli Assessori si sono intrattenuti con gli educatori del carcere albese Sergio Pasquali e Raffaella Messina, accanto a Italo Seletto fiduciario della Condotta Slow Food Alba Langhe e Roero per il “Mercato della Terra”, a Elena Saglietti Vice Presidente della Cooperativa O.R.SO., insieme a Bruno Mellano esponente della stessa Cooperativa. Il Sindaco e l’Assessore Scavino hanno anche visitato il mercato “Campagna Amica” della Coldiretti in piazza Medford. “Nel corso della Fiera - ha dichiarato Maurizio Marello - oltre al Mercato mondiale del Tartufo Bianco abbiamo due mercati importanti come il Mercato della Terra e Campagna Amica della Coldiretti dove ci sono i produttori ad esporre e vendere le eccellenze non soltanto del nostro territorio albese ma di tutta la Provincia di Cuneo. Sono molti anni che Campagna Amica è presente alla Fiera del tartufo. È una bella collaborazione con la Coldiretti e un momento di richiamo importante per la nostra città”. “Il Mercato della Terra - ha aggiunto l’Assessore Scavino - è ormai una felice realtà del settore primario albese oltre ad essere sempre più una bella vetrina delle eccellenze di Langa e Roero per i numerosi turisti che vi fanno visita. E con Vale la Pena si candida a diventare luogo di eccellenza anche della solidarietà”. Per l’Assessore Paola Farinetti “Il mercatino Vale la Pena è una vetrina dei prodotti d’eccellenza made in carcere che, oltre ad essere belli e buoni, hanno il pregio di far riflettere sull’importanza fondamentale del lavoro e dei processi di reinserimento per i detenuti. Il carcere non è argomento da prima pagina dei giornali, non fa notizia, ma sapere che oltre il 65% dei detenuti che hanno seguito, durante il periodo detentivo, un programma di avviamento al lavoro non torna a delinquere, forse può far vedere le cose da un altro punto di vista. Iniziative come il mercatino Vale la Pena, oltre ad altre che il Comune di Alba ha sostenuto (penso, ad esempio, alla bella e recente esperienza del pic-nic in carcere con la cucina di Maurilio Garola), servono appunto a sensibilizzare i cittadini su un tema scomodo, ma assolutamente da affrontare anche in tempi di ristrettezze come questi”. Milano: moda 2012; la collezione autunno-inverno di Sartoria San Vittore Asca, 12 ottobre 2012 Una sartoria molto particolare quella di San Vittore, nata per merito della cooperativa Alice. A permettere alle detenute dei carceri milanesi di coltivare questa passione ecco il negozio di via Terraggio, che ha presentato i suoi ultimi modelli. Il carcere come vero percorso riabilitativo e di lavoro è possibile. Lo dimostra la cooperativa Alice, che a Milano ha presentato la nuova collezione moda autunno-inverno alla presenza di Cristina Tajani, assessore della metropoli lombarda. A Milano è andata in scena una specialissima collezione moda autunno-inverno 2012-2013, anche se in questo ci si è tenuti distanti dallo storico quadrilatero di via Montenapoleone e dintorni. Alla sartoria San Vittore, il nome è già indicativo, fari puntati sul lavoro prodotto dalla cooperativa Alice, legata alle detenute delle carceri milanesi, e su un progetto nato molti anni fa, come spiega Alice Della Morte, responsabile della boutique. “Questo negozio è nato dalla cooperativa Alice, che è una cooperativa che lavora nel sociale, in particolare all’interno delle carceri di San Vittore e di Bollate, da vent’anni, gestendo delle sartorie. Poco più di due anni fa ci hanno dato l’opportunità di aprire questo punto vendita, che è il primo punto vendita di tutta la collezione e di tutto il lavoro della cooperativa”. Presente alla giornata anche Cristina Tajani, assessore alle Politiche per Lavoro, Sviluppo economico e Università del Comune di Milano. “Siamo convinti che l’attività lavorativa, anche l’attività d’impresa, siano un importante strumento riabilitativo per chi è in carcere, e lo dimostrano i tassi di recidiva, che scendono notevolmente tra i detenuti che lavorano rispetto a quelli che non lavorano”. Immigrazione: Garante detenuti Desi Bruno visita Cie Modena con nuova gestione Comunicato stampa, 12 ottobre 2012 La Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale dell’Emilia-Romagna, Desi Bruno, ha visitato ieri il Cie di Modena, che dopo il cambio di gestione all’inizio di luglio è ora affidato al consorzio Oasi: hanno accompagnato la Garante Massimo Cipolla, già referente per lo sportello del Cie di Bologna, il nuovo direttore della struttura di Modena e i rappresentanti della Questura e della Prefettura. Al momento sono trattenuti presso la struttura, di fronte a una capienza di 65 persone, 39 stranieri, tutti uomini e provenienti principalmente dal Maghreb: il 40,7% di loro è di origine tunisina, il 28,8% marocchina, mentre il restante 30,5% arriva da 17 differenti paesi. Secondo i dati forniti dal consorzio gestore, riporta Bruno, dall’inizio di luglio al 30 settembre sono arrivate nel Cie 105 persone (il 21,2% di loro proveniva dal carcere, il 78,8% dal territorio), di cui 99 uscite, per una permanenza media di 30 giorni e nessuna proroga oltre i sei mesi: si sono registrate 48 proroghe disposte in attesa di identificazione, 50 espulsioni effettuate, 10 rilasci senza espulsione e104 convalide dal giudice di pace. La Garante segnala come “continua ad evidenziarsi la presenza di persone irregolari con permesso di soggiorno scaduto e che non è stato possibile rinnovare, ad esempio per perdita del lavoro, o che non hanno mai avuto permesso di soggiorno”. Da luglio ad oggi, dichiara la direzione, si sono registrati 5 episodi di autolesionismo, e l’ultimo tentativo di fuga è avvenuto all’inizio del mese di ottobre, utilizzando un materasso bruciato: per questo è intenzione del gestore sostituire i letti con strutture in muratura per evitare danneggiamenti in caso di rivolta. La struttura, comunque, alla visita si presenta pulita e nei letti ci sono “veri materassi”. La Garante auspica che “la nuova gestione possa dare inizio a proficue collaborazioni e ingressi dal territorio per migliorare le condizioni di vita all’interno del Cie”, dal momento che “le persone ospitate nel centro sono provate dallo stato di restrizione della libertà senza essere impegnati in alcuna attività”, ma riconosce alla gestione la volontà di migliorare l’accoglienza: oltre alla realizzazione di un opuscolo multilingua, è in programma l’accordo con alcune realtà del volontariato locale “per l’avvio di una convenzione che prevede alcuni servizi di tipo patronale e attività, quali l’alfabetizzazione, il sostegno ad una progettualità di vita e lavorativa e impegni ludico-ricreativi”, sarà aperto un tavolo con questura e prefettura per la gestione unitaria del Cie, e verrà perseguita, grazie a un accordo con l’azienda Usl, la razionalizzazione dei percorsi assistenziali per le persone trattenute e, infine, sono stati presi contatti con l’Imam e il Vescovo del territorio per garantire i servizi religiosi. Da segnalare inoltre come, dopo il parere favorevole del Ministero, sia sempre più vicina la realizzazione di uno sportello di informazione giuridica, analogo a quello già avviato con esiti positivi a Bologna. In ogni caso è ora di riflettere, sostiene Bruno, “sulla necessità di avere due centri di identificazione e espulsione, Bologna e Modena, nella stessa Regione” non solo perché entrambi sono “non pienamente utilizzati da mesi” ma perché “spesso non riescono neanche ad assolvere alla funzione per la quale sono stati istituti perché una parte delle persone trattenute non riuscirà ad essere identificata in quanto il paese di provenienza non li riconosce”. Infatti, secondo la Garante, “è necessaria arrivare al superamento di centri di detenzione amministrativa, frutto di una legislazione sull’immigrazione inadeguata - ragiona Bruno-, seconda la quale gli stranieri vengono privati della libertà personale senza avere commesso reato alcuno ma per il semplice motivo di non essere in regola con il titolo di soggiorno, anche dopo avere per lunghi anni abitato e lavorato in Italia”. Questo continuo “uscire e poi rientrare di molte persone, in un girone infernale che le rende prive di ogni riferimento” segna nei fatti, conclude la Garante, “il fallimento dell’esperimento Cie”. Albania: ex detenuto politico in gravi condizioni sarà trasferito al Policlinico di Bari Nova, 12 ottobre 2012 Lirak Bejko, l’ex detenuto politico che due giorni fa si dato fuoco a Tirana mentre protestava contro i mancati rimborsi finanziari promessi dal governo albanese, sarà trasferito oggi presso il policlinico di Bari. Gli ex detenuti chiedono al governo di ricevere la ricompensa finanziaria prevista per chi ha sofferto nelle carceri della dittatura comunista in Albania prima degli anni Novanta. È stato il partito socialista all’opposizione, guidato da Edi Rama, ad aver sostenuto le spese per garantire il trasporto con un aereo sanitario privato, giunto all’aeroporto di Tirana verso le 15.00, mentre l’ambasciata d’Italia a Tirana, si attivata per facilitare le procedure, visto che si trattava di un caso umanitario. In giornata, anche Gjergj Ndreca, l’uomo che per primo si era dato fuoco, stata trasferito presso un ospedale in Grecia. India: il ministro Terzi; caso marò, preoccupati per inspiegabile ritardo sentenza Adnkronos, 12 ottobre 2012 Sul caso dei marò italiani, tuttora detenuti nel Kerala, esistono “motivi di preoccupazione per l’inspiegabile prolungarsi dei termini della sentenza” che dovrà emettere la Corte Suprema indiana. Con queste parole il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha manifestato la sua perplessità rispetto ai ritardi di una sentenza che, alla luce del diritto internazionale e delle convenzioni esistenti, dovrebbe confermare “l’assoluta correttezza delle nostre posizioni” ha ribadito Terzi. “Per motivi tecnici”, tuttavia, “dovremo aspettare ancora settimane” per una sentenza che, ha sottolineato il ministro, “se dovesse rivelarsi sfavorevole” e cioè non permettere di riportare immediatamente a casa i due fucilieri, “aprirebbe evidentemente la strada a una controversia internazionale”. In quest’ultimo caso, ha concluso il titolare della Farnesina, “non escluderemmo l’avvio di tutta un’altra serie di misure nei confronti del governo indiano” comunque nell’ambito dei principi del diritto.