Giustizia: carcere e legge stabilità, il grido d’allarme del personale penitenziario di Mauro W. Giannini www.osservatoriosullalegalita.org, 9 novembre 2012 A luglio 2012, la Corte dei diritti dell’uomo ha stabilito che lo Stato è responsabile per il suicidio di un detenuto che abbia mostrato problemi psicologici e tendenze suicide ove l’amministrazione non abbia messo in atto adeguate misure di prevenzione e controllo a seguito di segnalazione del servizio medico competente, violando conseguentemente l’articolo 2 (diritto alla vita) e l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È una sentenza da ricordare oggi, nel momento in cui le scelte in materia di personale carcerario contenute nel Decreto Legge 95 del 6 luglio 2012, con la relativa legge di conversione ormai approvata, rischiano di peggiorare una situazione già preoccupante. Proprio per denunciare tale situazione, i dirigenti penitenziari avevano scritto al ministro Paola Severino ed al Capo del Dap Luigi Tamburino per sottolineare che produrrà un effetto devastante nel sistema penitenziario. L’ultima immissione in ruolo di direttori di istituto risale al 1997 e di direttori di Uepe risale al 1998 e che di contro, dal 2005 al 2012, sono stati immessi in ruolo n. 516 commissari di polizia penitenziaria, a cui è stato attribuito il compito di assicurare l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti, avvalendosi del corpo di polizia, composto, al 31 agosto 2012, da n. 37.127 poliziotti penitenziari. In conseguenza di queste scelte, ogni istituto ha in forza uno o addirittura più Commissari, ma neanche un Direttore titolare, per cui il potere di assumere decisioni importanti per la vita di tutto l’istituto e quindi di tutti i detenuti, oltre che degli altri operatori civili presenti (Educatori, Psicologi, Contabili, Amministrativi) viene demandato a professionalità che rappresentano e sono responsabili direttamente soltanto di uno dei compiti dell’istituzione. I funzionari Giuridico-Pedagogici hanno invece appena predisposto una petizione per il Ministro della Giustizia per evidenziare, anche con dati numerici, la netta disparità che attualmente esiste nel sistema penitenziario tra controllo e trattamento. Per Paola Giannelli, Segretario Nazionale Società Italiana Psicologia Penitenziaria, si tratta di “aspetti entrambi necessari che, se fossero in equilibrio, potrebbero produrre: sicurezza per la comunità, riabilitazione per i detenuti. Viceversa, quando si parla dei problemi del carcere si riduce tutto a due punti: il sovraffollamento (problema drammaticamente reale) e la carenza del personale di Polizia Penitenziaria che non sembra essere così grave, o almeno, lo è molto meno rispetto a quella del personale del trattamento e di questa funzione che è in estinzione”. Nella lettera-petizione, i funzionari chiedono il rispetto “delle norme del nostro ordinamento che finalizzano il compito dell’Amministrazione Penitenziaria alla rieducazione del condannato attraverso un’azione tesa da un lato ad accertare “i bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all’instaurazione di una normale vita di relazione” (art 27 Dpr 230/00), dall’altro alla responsabilizzazione del detenuto / condannato, sia rispetto alla condotta che lo ha portato a delinquere, sia rispetto all’assunzione di impegni e comportamenti utili alla “tenuta” sul piano sociale in vista del suo ritorno allo stato libero”. La lettera al ministro Severino chiede quindi “di realizzare la coraggiosa scelta di “educare” l’opinione pubblica, trovando il coraggio di affermare che “certezza della pena” corrisponde a qualcosa di ben più complesso che alla semplice equazione punizione=sicurezza. A testimonianza di questo parlano i fatti. In poco più di trenta anni si è, di fatto, consumata la spinta ideale che aveva prodotto una riforma penitenziaria fra le più avanzate d’Europa. La riforma è datata 1975 e l’immissione dei primi operatori cosiddetti “del trattamento” all’interno degli istituti penitenziari e nell’area penale esterna (educatori e assistenti sociali) è avvenuta nel 1979. Con grande fatica e indicibile spirito di adattamento questi operatori hanno lavorato all’abbattimento delle barriere fra carcere e città, producendo un proliferare di iniziative di civiltà, con il contributo di enti locali, associazioni di volontariato, singoli cittadini, e dei molti operatori amministrativi e poliziotti penitenziari che hanno saputo cogliere l’elemento di progresso ed interesse professionale in una concezione della pena che avesse caratteristiche non solo di umanità ma anche strumento di ricostruzione del patto sociale infranto con il reato. Il clima interno così modificatosi ha permesso fra l’altro la drastica riduzione di situazioni di conflitto e violenza fino a quel momento all’ordine del giorno, relegando ad un passato che appariva remoto le rivolte dei detenuti, i sequestri degli agenti, i fatti di sangue fra gruppi rivali. Un risultato notevole - pertanto - proprio in termini di ordine e sicurezza”. Nel corso degli ultimi anni, ricordano i funzionari Giuridico-Pedagogici, si è assistito invece “ad un nuovo trend ascendente di episodi gravemente conflittuali, sempre drammatici e talvolta sanguinosi, fra i detenuti e fra detenuti e operatori. Il caso Cucchi è diventato emblematico per la crudezza delle immagini e la determinazione dei parenti, ma a nostro avviso la quantità e la qualità delle morti in carcere, il numero crescente di episodi di autolesionismo, la povertà e la disperazione della gran parte della popolazione detenuta, testimoniano di una deriva culturale, morale e sociale di cui il caso Cucchi è la punta dell’iceberg. Sentiamo il dovere - afferma la lettera - di mettere in dubbio l’opinione diffusa secondo la quale il “problema” carcere, di cui oggi si sente parlare più che in passato, sia generato principalmente dal sovraffollamento e dalla carenza di personale di polizia penitenziaria. Il sovraffollamento è un problema serio e reale, che non può che diventare tragico se la vita quotidiana scorre all’interno della cella per oltre venti ore al giorno, dove persone di etnie, religione e cultura diverse condividono uno spazio irrisorio, in cui il divario economico fra detenuti pesa come un macigno e rende i più diseredati ostaggio dei più fortunati, in una dimensione relazionale di forte dipendenza da una autorità vaga e contraddittoria, che pensa e fa troppo spesso il contrario di quello che afferma. In quanto alla carenza di personale di polizia, l’esperienza di altri paesi europei ci dimostra che il rapporto numerico agente / detenuto in Italia è fra i più alti e che forse il problema è piuttosto di tipo culturale ed organizzativo. Ad ulteriore riprova di ciò, si segnala che in l’Italia, di contro, il rapporto numerico personale addetto al trattamento/detenuto è fra i più bassi: ed è proprio quel personale che viene considerato da questo Governo in esubero”. Anche 104 Psicologi Penitenziari operanti in vari istituti di pena avevano scritto al Guardasigilli chiedendo un intervento, ma non vi sono stati ad ora esiti concreti. Giannelli evidenzia che l’apporto della figura dello psicologo “è divenuto ormai virtuale: in media 5 ore al mese!” e pertanto “I detenuti per i quali non è possibile fare un approfondimento psicologico restano in carcere, alimentando il sovraffollamento”. Giustizia: intervista al ministro Severino; dopo l’anticorruzione avanti su pene alternative di Massimo Martinelli Il Messaggero, 9 novembre 2012 Lo hanno chiamato “principio di gravità del reato”. E a tavolino, i ministri Severino, Cancellieri e Patroni Griffi hanno stabilito che chi viene condannato per un reato da arresto in flagranza, esce dalla vita politica del paese. E adesso il ministro della Giustizia guarda oltre. Ministro Severino, dopo l’anticorruzione il governo sta per licenziare il disegno di legge sull’incandidabilità. Qual è il suo prossimo obiettivo? “Senza dubbio il completamento del pacchetto carceri avviato con il decreto salva carceri, che fu il primo atto del governo in materia di giustizia. Ora intendiamo ultimarlo con il ddl sulle misure alternative attualmente all’esame della Camera. Il provvedimento, più nel dettaglio, riguarda l’introduzione di pene detentive non carcerarie, come la reclusione o gli arresti domiciliari, e dell’istituto della messa alla prova” . Quali potrebbero essere le linee guida intorno alle quali fissare l’applicazione della messa alla prova? “La logica è di prevedere, rispetto a delitti che non destano allarme sociale, puniti in astratto con pene sino a 4 anni, che l’imputato, su sua richiesta, possa essere sottoposto a una “prova” consistente nella prestazione di un lavoro di pubblica utilità, in eventuali condotte riparatorie e in un programma di trattamento rieducativo. In definitiva, la filosofia è quella della probation ampiamente sperimentata nel diritto penale minorile, nella quale si viene chiamati a svolgere un percorso personalizzato, volto alla rieducazione e al reinserimento sociale del soggetto”. Questo tipo di misura consentirebbe di evitare il processo? “Certamente sì. La concessione della messa alla prova da parte del giudice comporterebbe la sospensione del procedimento sino al completamento della prova, previa interruzione della prescrizione. In caso di esito positivo, il reato verrebbe dichiarato estinto. In caso invece di revoca della prova, ad esempio per gravi trasgressioni durante il suo svolgimento o in caso di valutazione negativa della prova da parte del giudice, il procedimento riprenderebbe”. Si tratterà di un beneficio che scatterà automaticamente, oppure il giudice avrà la possibilità di valutare caso per caso se concederlo o meno? “Come ho detto prima, abbiamo voluto evitare qualunque automatismo. Sarà sempre il giudice che, sulla base di una valutazione positiva del programma di trattamento oltre che di una prognosi favorevole sulla pericolosità dell’imputato, prenderà la sua motivata decisione”. Torniamo per un attimo all’attualità: anche ieri sono filtrate nuove indiscrezioni su presunti ammanchi imputabili all’ ex cassiere della Margherita, Domenico Lusi. Eppure, almeno per il momento, il reato di appropriazione indebita che viene contestato a lui non è compreso tra quelli per i quali è prevista l’incandidabilità in caso di condanna. Nella riunione di ieri avete affrontato anche queste lacune della delega? “Io e i colleghi Cancellieri e Patroni Griffi abbiamo pienamente concordato sull’idea che non intendiamo e non dobbiamo prendere in considerazione singoli casi, ma cercare tutti insieme un criterio quanto più possibile oggettivo, che delinei categorie di reati da cui è giusto che derivi l’incandidabilità”. Una recente comparazione con gli altri paese europei ha dimostrato che se i detenuti svolgono un lavoro in carcere è meno frequente che da liberi tornino a delinquere. Lei si era impegnata su questo fronte, a che punto è il progetto? “Sono fermamente convinta che il lavoro carcerario rappresenti una delle modalità più serie per affrontare stabilmente il problema penitenziario. Abbiamo predisposto uno studio scientifico, condotta in collaborazione con l’Einaudi Institute for Economics Finance, il Crime Research Economic Group (Creg) e il Sole 24 Ore, volto a validare, con dati puntuali e significativi, l’idea che chi è ammesso a lavorare in carcere incorra in un rischio di recidiva estremamente ridotto rispetto alla media attuale. Sul finanziamento del lavoro carcerario ho trovato ampia condivisione politica, mentre il problema più difficile resta il reperimento dei fondi necessari a far decollare il progetto e a mantenere in vita la cosiddetta legge Smuraglia. Proprio oggi ho avuto un incontro in proposito con il ministro Grilli e sono fiduciosa nel fatto che i risultati auspicati - anche in termini di sicurezza sociale - possano convincere tutti che il reperimento di queste risorse rappresenti una delle priorità”. Che tempi prevede per consentire il lavoro esterno a tutti coloro che ne hanno i requisiti? E per l’approvazione del provvedimento della messa alla prova? “Abbiamo già in atto verifiche con il Dap affinché si adottino tutte le iniziative per valorizzare gli uffici per l’esecuzione penale esterna e, per quanto di competenza del Ministero della giustizia, quelle per il potenziamento del lavoro di pubblica utilità. L’approvazione del provvedimento della messa alla prova l’ho continuamente sollecitato. Ora è fissato per la discussione in aula ma il regolamento dà la priorità alla legge di stabilità. Subito dopo l’approvazione di quest’ultima continuerò ad insistere perché venga votato quanto prima. In ogni caso, metterò tutta la mia ormai nota tenacia perché questo provvedimento sia definitivamente varato entro il termine della legislatura”. Crede che basterà per rendere i nostri penitenziari più civili? “Sarebbe eccessivo pensarlo. Ritengo invece che l’insieme di tutti i provvedimenti varati in materia carceraria, come il cosiddetto salva carceri, le misure alternative e il piano straordinario di edilizia penitenziaria, possa rappresentare una tappa fondamentale di un cammino di civiltà”. Giustizia: lettera aperta di Corleone a Monti “subito decreto legge per svuotare le carceri” Redattore Sociale, 9 novembre 2012 Il coordinatore dei garanti Franco Corleone ha inviato al governo una lettera per chiedere un decreto legge allo scopo di evitare l’arresto agli accusati di fatti di lieve entità riguardo alla detenzione di sostanze stupefacenti. Una lettera aperta al presidente Monti e ai ministri Severino e Riccardi per chiedere al governo un decreto per alleggerire il sovraffollamento delle carceri. Ad inviarla il coordinatore dei garanti nazionali, Franco Corleone, che lunedì 22 ottobre ha cominciato un digiuno collettivo a staffetta. “Il sovraffollamento non è una calamità naturale né un mostro invincibile - si spiega nella lettera - basta eliminare le leggi criminogene che hanno provocato il disastro. Per questo è urgente un decreto legge per cancellare le norme più vergognose e “affolla-carcere” della legge sulle droghe, alla radice della crescita incontrollata dei detenuti. Solo l’anno scorso sono entrate in prigione per violazione della normativa antidroga 28.000 persone (fra consumatori e piccoli spacciatori), mentre sono oltre 15.000 i tossicodipendenti ristretti su un totale di 67.000: la metà dei detenuti ammassati e stipati nelle patrie galere hanno a che fare con la legge sulle droghe”. “Il Presidente Napolitano - prosegue la lettera - ha parlato di una questione di “prepotente urgenza”: questa affermazione, se non la si vuole far diventare un mero esercizio di retorica, obbliga il Governo a emanare un decreto legge allo scopo di evitare l’arresto agli accusati di fatti di lieve entità riguardo alla detenzione di sostanze stupefacenti e per far uscire i tossicodipendenti e destinarli a programmi alternativi (oggi preclusi da vincoli assurdi e dall’applicazione della legge Cirielli sulla recidiva). Chiediamo un provvedimento giusto, costituzionalmente motivato e indispensabile per interrompere uno stato di illegalità, tenendo conto che nel 2006 la modifica della legge sulle droghe fu approvata con lo strumento del decreto legge e il voto di fiducia”. Giustizia: Farina (Pdl); è attuale il messaggio di Giovanni Paolo II, clemenza per i detenuti Agenparl, 9 novembre 2012 A dieci anni dalla visita del Santo Padre Giovanni Paolo II al Parlamento Italiano, l’On. Renato Farina richiama nuovamente i contenuti del suo intervento sollecitando un dibattito parlamentare sul tema della clemenza per i detenuti. “Tra qualche giorno sono dieci anni dalla visita del Papa a questa Camera, sappiamo che ci sarà una celebrazione solenne il 14 novembre, alle ore 11, con la Presidenza della Camera e con il presidente della Conferenza episcopale italiana, Cardinal Bagnasco. Quello che ho chiesto e richiedo tuttora e che ci sia anche ciò che ancora non mi risulta, ossia uno spazio dentro l’Aula, non solo dentro il Palazzo ma dentro l’Aula, per una discussione reale dei contenuti di quella visita. Ecco, vorrei che, si rendessero vive le sue parole con un dibattito su un tema che è più che mai attuale, ossia quello della clemenza per i detenuti, prendendo sul serio il messaggio del Papa invece che appuntare una medaglia alla sua memoria e magari a noi stessi che siamo così bravi da ricordarlo”. Giustizia: Daccò in tribunale con le manette. Il legale: “Violati i diritti dell’uomo” La Repubblica, 9 novembre 2012 Il faccendiere condannato a dieci anni per il crac del San Raffaele è ancora sottoposto a una misura cautelare in carcere decisa un anno fa. L’avvocato: “Una durata quanto meno statisticamente inusitata”. Il caso di Pierangelo Daccò, il faccendiere condannato a dieci anni per il crac del San Raffaele e arrestato anche nell’inchiesta Maugeri, in cui è indagato anche il governatore lombardo Roberto Formigoni, è diventato ormai una questione “di interesse per la Corte dei diritti dell’uomo”. È la dura presa di posizione del suo avvocato, Gian Piero Biancolella, che in tribunale a Milano ha consegnato un comunicato ai cronisti: tre pagine per denunciare la “carcerazione preventiva” che il suo assistito sta subendo “da oltre un anno”, nel silenzio della “società civile” che usa il “garantismo a singhiozzo”. Per la prima volta da quando è finito in carcere per la bancarotta del gruppo ospedaliero fondato da don Verzè, Daccò è arrivato al settimo piano del Palazzo di giustizia di Milano per essere interrogato per rogatoria davanti al gip Laura Marchiondelli nell’ambito dell’inchiesta del procuratore pubblico cantonale di Lugano, Raffaella Rigamonti, che indaga per riciclaggio sui suoi conti e sulle sue società svizzere. “Pierangelo Daccò - c’era scritto nelle prime righe del comunicato dell’avvocato Biancolella - è stato condotto in tribunale con gli schiavettoni, come definì nel 1992 Giuliano Ferrara le manette ai polsi dei detenuti in attesa di giudizio”. Una frase che inizialmente è suonata come una polemica contro il fatto che il faccendiere fosse stato portato in manette - come succede di solito per molti detenuti - fin davanti alla porta del giudice (nessun cronista comunque ha potuto vederlo, perché il corridoio del settimo piano era blindato). “Certo che da cittadino - ha precisato poi l’avvocato - preferisco che i detenuti giungano non in manette, ma questa è un’altra problematica. Il problema è che Daccò sta subendo la carcerazione da oltre un anno e la custodia cautelare non può mai essere, come ha stabilito la Corte costituzionale, una espiazione anticipata della pena, perché esiste il diritto alla presunzione di innocenza”. L’uomo d’affari venne arrestato nel novembre 2011 (nell’ aprile 2012 un’altra misura cautelare per il caso Maugeri, i cui termini di custodia però sono scaduti) e nelle scorse settimane è stato condannato in primo grado a dieci anni. In attesa del processo d’appello, Biancolella ha fatto ricorso al Riesame per chiedere la scarcerazione. Richiesta però bocciata. “Non può farsi affidamento alcuno sulle capacità di auto contenimento” di Daccò, scrivono i giudici nelle motivazioni, “mentre al contrario dagli atti di causa emerge l’esigenza di un rigoroso eterocontrollo”, che non può essere garantito dagli arresti domiciliari, “sulle sue relazioni e contatti, stante la natura degli illeciti contestati”. “Nessuno di quella società civile che è sempre stata attenta alle problematiche della magistratura e delle garanzie per i cittadini - ha detto invece Biancolella - parla oggi di Daccò. Perché?”. È l’unico “in carcere nella vicenda San Raffaele, come fosse unico responsabile di un crac miliardario”. Nell’interrogatorio Daccò ha risposto alle domande, che come ha chiarito il suo legale erano incentrate soprattutto sul ruolo dei suoi due fiduciari, Giancarlo Grenci e Sandro Fenyo (saranno sentiti in Svizzera). Sono indagati con lui nell’ inchiesta svizzera in cui sono coinvolti anche l’ex assessore Antonio Simone, gli ex vertici della Maugeri (Umberto Maugeri e Costantino Passerino) nonché i consulenti Claudio Massimo e Gianfranco Mozzali. Al centro delle indagini dei magistrati elvetici c’è il presunto riciclaggio di quei 70 milioni di euro che, secondo la Procura di Milano, sarebbero stati distratti dalle casse della clinica pavese. “Daccò - ha spiegato Biancolella - ha sempre detto che lui ha usato quei soldi per se e per le sue società. Non sono finiti ad altre società o a politici”. Bologna: il Garante Desi Bruno sul suicidio alla Dozza “così non si può fare prevenzione” Ristretti Orizzonti, 9 novembre 2012 Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, rilascia le seguenti dichiarazioni dopo il suicidio in cella di un detenuto nel penitenziario Dozza di Bologna, avvenuto nella giornata di mercoledì 7 novembre. “Il cinquantaduesimo suicidio dell’anno avviene a Bologna. La capienza regolamentare della Dozza è di 482 posti contro le 894 presenze in questi giorni: già un successo, a fronte delle 1200 di qualche tempo fa. Il decremento è l’effetto positivo del terremoto, che ha imposto un importante spostamento di persone detenute. Perché i numeri non mutano se non per effetto di eventi straordinari, altrimenti resta tutto uguale. Non si fanno riforme legislative, non cambiano il codice penale e la gamma delle sanzioni irrogabili, non cambiano la legge sugli stupefacenti (ed un terzo dei detenuti della Dozza, della regione e del paese sono tossicodipendenti molti con diagnosi psichiatrica) e sull’immigrazione (uguale ragionamento per gli stranieri), restano invece la legge sulla recidiva che ha fatto aumentare la popolazione definitiva e il 40% di detenuti in custodia cautelare, mentre la concessione delle misure alternative alla detenzione dipende da una serie di variabili. La crisi economica colpisce ancora più duramente chi ha già bisogno di tutto: in carcere si lavoro poco, mancano agenti, personale educativo, psicologi, mancano le saponette, i vestiti, i francobolli per gli indigenti (80% della popolazione detenuta). Si uccidono oggi anche gli agenti di polizia penitenziaria con una frequenza sconosciuta. I tagli colpiscono anche le direzioni degli istituti , il servizio sociale che cura l’esecuzione penale esterna. Tutto questo, per inciso, anche a discapito della sicurezza di tutti. Nel carcere di Bologna c’è il servizio “nuovi giunti “, il primo forse istituito in Italia, che tenta di intercettare il disagio e il rischio suicidario prima che esploda. Ci sono volontari , personale che ci prova a cogliere segnali di preoccupazione, c’è un servizio psichiatrico ampliato, anche se non possiamo con tutta evidenza dire sufficiente, visto l’accaduto. C’è una direttrice e una direzione che a fronte di scioperi della fame e situazioni a rischio non ha paura di mettersi in gioco e chiedere aiuto a chi, come chi scrive, ha compiti di tutela delle persone detenute. Ma c’è anche un compito di denuncia, a fronte di un’altra vita che se ne va, e non importa se l’avrebbe fatto altrove. E allora bisogna dire che nella situazione attuale nessuno può pensare a prevenire i suicidi, perché il rischio è in sé, in quella misera vita, per la maggior parte dei detenuti, che si svolge in pochi metri quadri. E allora se la scelta è “tagliare” sempre di più le risorse, la prevenzione del rischio suicidario è un contenitore vuoto. Se non si vogliono amnistia e indulto, si facciano le riforme. Ma intanto si rispettino i numeri, come segno di legalità. Se il carcere di Bologna (ma il discorso vale per tutti gli istituti) può contenere 482 detenuti come numero regolamentare, si faccia come in altri paesi, nei quali si entra in carcere quando c’è posto, e nessuno pensa di superare la soglia, perché sarebbe un atto contro la legge. Allora, forse, potremo pensare di ridurre il rischio suicidario connesso alla privazione della libertà personale”. Lucca: tra l’Usl e la Casa Circondariale siglato un protocollo per prevenire i suicidi www.loschermo.it, 9 novembre 2012 Ogni anno nel mondo si verificano un milione di suicidi (uno ogni 40 secondi, due morti ogni minuto), e solo in Italia si registrano circa 3mila suicidi l’anno. La prevenzione del suicidio è quindi una priorità sanitaria internazionale. Una maggiore incidenza di eventi di questo tipo, o anche di gesti autolesivi, si registra in ambiente penitenziario, visto che nel 2011 si sono verificati 66 casi di suicidio in carcere, di cui 45 da parte di cittadini italiani. Negli istituti di pena il rischio suicidario è di circa 20 volte maggiore rispetto alla popolazione generale ed il suicidio rappresenta la seconda causa di morte. Nella Casa Circondariale di Lucca nel corso dell’ultimo decennio c’è stato un solo caso di suicidio, ma vista l’importanza di attuare un’efficace azione preventiva il Direttore Generale dell’Azienda Usl 2 Lucca Antonio D’Urso e il Direttore della Casa Circondariale di Lucca Francesco Ruello hanno firmato un protocollo che raccoglie le direttive internazionali (“World Health Organization”) nazionali e regionali in tema di “prevenzione del suicidio in carcere” e che rappresenta un’implementazione degli accordi già esistenti tra la Casa Circondariale di Lucca e l’Azienda sanitaria lucchese. I contenuti e gli obiettivi del protocollo, che pongono Lucca all’avanguardia almeno a livello regionale da questo punto di vista, sono stati illustrati oggi (venerdì 9 novembre 2012) presso il centro direzionale dell’Azienda Usl 2 a Monte San Quirico nel corso di una conferenza stampa a cui hanno partecipato i vertici dell’Azienda Usl 2 e della Casa Circondariale di Lucca e rappresentanti della Regione Toscana e del Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria regionale. Il documento nasce dalla considerazione che la carcerazione è un fattore specifico di vulnerabilità che induce ai gesti auto aggressivi, inequivocabili segnali del grave stato di disagio in cui vivono i detenuti. La maggior parte dei suicidi in carcere avviene nel primo periodo di permanenza (3-10 giorni), immediatamente prima e dopo il processo e, in misura minore, nel periodo precedente la scarcerazione e durante pene lunghe. Oltre ai suicidi meritano grande attenzione i frequenti gesti autolesivi, ad esempio con ferite da taglio. L’attività sanitaria in carcere L’attività sanitaria in carcere si fonda su un progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato e integrato, sottoposto a periodiche verifiche. Il progetto costituisce la risposta del Servizio Sanitario alla domanda d’aiuto e viene elaborato e verificato in equipe. Dal 3 maggio 2012 nel carcere di S. Giorgio sono garantite da parte dell’Azienda USL 2 di Lucca 18 ore settimanali di presenza specialistica psichiatrica. È assicurata sulle 24 ore la presenza di un presidio di continuità medica assistenziale (ex Servizio Integrativo Assistenza Sanitaria) e per circa 3 ore al giorno quella di un referente medico per il servizio salute in carcere. È inoltre presente uno psicologo che assicura il servizio, sempre per conto dell’Azienda sanitaria lucchese, per un minimo di tre giorni alla settimana. L’accoglienza L’accoglienza dei “nuovi giunti” (dalla libertà o dai trasferimenti) è multidisciplinare ed è mirata ad individuare con tempestività i bisogni sociali e di salute (generale, psicologica e psichiatrica) dei detenuti ed a coinvolgere in una progettualità condivisa tutti gli operatori. Viene effettuata all’atto dell’ingresso, dal personale di Polizia Penitenziaria, dal medico di guardia e dall’infermiere di turno; queste due ultime figure professionali sono coordinate dal responsabile di presidio. In tale fase vengono individuati precocemente interventi di tipo terapeutico, specialistico, logistico e di sorveglianza. In particolare, il medico di guardia si adopera per l’integrazione funzionale e professionale con il personale che insieme a lui compone lo Staff di Accoglienza e Sostegno, vale a dire la polizia penitenziaria preposta alla sorveglianza generale, gli operatori dell’area educativa e gli specialisti interni ed esterni; rappresenta quindi un importante fattore di intercettazione del disagio e del bisogno di intervento. I componenti dello Staff sono chiamati alla redazione di un sotto fascicolo che consenta nelle varie fasi di valutazione della persona in ingresso (immatricolazione, visita medica, colloquio con educatore, colloquio con psicologo) l’idonea conoscenza dei dati rilevati dagli altri operatori e l’esame in sede di riunione periodica. Tutti i nuovi giunti vengono inoltre visitati dallo psichiatra e dallo psicologo, assicurando una precedenza temporale ai detenuti segnalati nella visita d’accoglienza dal medico di guardia o dagli altri operatori dello Staff di accoglienza dell’istituto. Lo screening d’ingresso è molto articolato e “personalizzato” in base alle caratteristiche del detenuto. A scopo orientativo e per omogeneità di raccolta dei dati, il medico di guardia compila la “Scheda per la valutazione del rischio suicidario” che, nei casi opportuni, sottoporrà all’attenzione dello psichiatra. Nel caso emergano situazioni di rischio o di particolare disagio, i professionisti e gli altri operatori possono richiedere provvedimenti di intensificazione delle misure di custodia (sostegno, grande sorveglianza, grandissima sorveglianza, sorveglianza a vista). Sotto il profilo medico ogni misura particolare deve comportare un innalzamento dell’attenzione anche da parte del servizio sanitario ed in particolare le visite da parte del medico di guardia sono regolate da una frequenza di almeno 48 ore per i detenuti a sostegno, una visita al giorno per i detenuti a grande e grandissima sorveglianza, almeno due visite al giorno per i detenuti in sorveglianza a vista. Il medico valuta comunque la necessità di controlli sanitari anche più frequenti. Se viene rilevata una gravità clinica (ad esempio problemi psicopatologici acuti) ingestibile in carcere o comunque una situazione ad alto rischio, è necessario ricorrere ai centri di osservazione psichiatrica regionali (Case Circondariali di Firenze-Sollicciano e Livorno) o alle strutture di ricovero esterno. La presa in carico I componenti dello Staff di Accoglienza e Sostegno lavorano sempre in stretta collaborazione tra loro: i medici dell’istituto, il personale del Ser.T. operante in carcere, lo psicologo, gli educatori e assistenti sociali presenti, il personale di polizia penitenziaria preposto alla vigilanza. Lo specialista psichiatra in particolare svolge la propria attività clinico-diagnostico-terapeutica attraverso visite programmate e non programmate. Queste ultime possono essere tempestivamente sollecitate dagli altri operatori, qualora venga ravvisata una emergente criticità. La presa in carico si rivolge ai detenuti ritenuti a rischio nella fase di accoglienza, ma anche ai detenuti che già presenti nella struttura abbiano manifestato sopraggiunti stati di disagio psichico. Le difficoltà possono infatti insorgere per situazioni familiari (separazioni coniugali, divorzi, abbandoni, malattie o decessi di congiunti) personali (conoscenza di patologie croniche o di prognosi non favorevoli di gravi malattie, perdita del lavoro) o legate allo sviluppo della condizione giuridico-processuale (condanne definitive di notevole entità, nuove ordinanze restrittive, rigetti di misure alternative). La finalità di questa costante azione di controllo è quella di cogliere in itinere gli elementi di rischio (gli “eventi sentinella”) e di gestire il decorso clinico. Lo psichiatra deve essere in grado di instaurare un rapporto terapeutico con il paziente ponendosi così nella condizione di monitorare costantemente le condizioni psicopatologiche dei pazienti e di apportare così un notevole contributo alla gestione dei casi a rischio suicidarlo. È funzionale in questo senso la collaborazione attiva dello psichiatra con tutti gli altri operatori penitenziari. Occorre inoltre favorire l’integrazione del servizio psichiatrico con quello psicologico. Le riunioni Le riunioni periodiche hanno carattere multidisciplinare e enfatizzano l’importanza della comunicazione strutturata tra le figure professionali sanitarie e penitenziarie. A questi incontri, che permettono di elaborare il progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato e di verificare i risultati raggiunti, partecipano la Direzione dell’Istituto, lo psichiatra, il medico responsabile o medico di guardia, lo psicologo, il comandante di reparto, gli educatori professionali, gli assistenti sociali, con eventuale integrazione del personale del Ser.T. e degli infermieri. Lo staff valuta in sede collegiale l’adozione, la modifica, il mantenimento, la revoca delle misure intensificate di custodia, e le altre azioni di sostegno psico-assistenziale o medico utili alla gestione e graduale riduzione del disagio rilevato. La gestione delle urgenze Le urgenze e le emergenze cliniche di interesse psicopatologico vengono gestite in generale dal medico di guardia. I sanitari possono richiedere provvedimenti di intensificazione della sorveglianza. Se viene rilevata una condizione la cui gravità clinico-psicopatologica non consenta la gestione in carcere, si dovrà procedere ad un ricovero presso i centri di osservazione psichiatrica regionali oppure, in casi di particolare urgenza, presso il Pronto Soccorso dell’ospedale di Lucca, tramite attivazione del Servizio Sanitario di Urgenza ed Emergenza (118). In queste situazioni specifiche al Pronto Soccorso viene effettuata una valutazione specialistica urgente a cui può eventualmente seguire un ricovero temporaneo nella stanza di degenza individuata dalle Direzione Ospedaliera per i soggetti con provvedimenti di restrizione della libertà, che necessitano quindi di vigilanza. Formazione e aggiornamento degli operatori coinvolti La formazione deve essere estesa a tutte le figure professionali. Tale percorso, oltre a fornire una conoscenza di base, può arricchire quelle doti di sensibilità personale e quell’attenzione, essenziali per cogliere i primi, talvolta indefiniti, segnali di una crisi, preludio di un gesto autolesivo. È possibile così mettere in atto in tempi rapidi le misure preventive più idonee. Gli agenti di custodia, in quanto presenti 24 ore al giorno, formano la prima linea di difesa nella prevenzione del suicidio. Per gli agenti, come per il personale sanitario e per quello psichiatrico, è stato predisposto un addestramento iniziale, seguito da corsi di aggiornamento a frequenza annuale. Inoltre per tutto il personale che è regolarmente a contatto con i detenuti è fondamentale una formazione anche al primo soccorso e alle tecniche di rianimazione cardio-polmonare. Previste anche delle esercitazioni di “falso allarme”, per assicurare una pronta risposta in caso di tentato suicidio. I progetti di formazione - indirizzati senza distinzioni al personale penitenziario e sanitario del carcere di Lucca - vengono organizzati dall’Azienda Usl 2 di Lucca. Informatizzazione delle attività In attesa della prossima messa a punto ed estensione a tutti gli istituti penali della Toscana della cartella clinica informatizzata (progetto “Ulisse”), che darà concretezza alla legge regionale numero 64 (integrazione tra Sistema sanitario Regionale e Sanità Penitenziaria) e consentirà di condividere le informazioni su tutto il territorio nazionale, è previsto l’utilizzo di una modulistica uniforme per la valutazione dei nuovi giunti, la presa in carico, il monitoraggio e l’ascolto dei casi a rischio. Ancona: la denuncia del Sappe; a Monteacuto sovraffollamento da record… al 150% di Aldo Di Giacomo (Segretario Sappe Marche) www.vivereancona.it, 9 novembre 2012 L’incontro organizzato questa mattina dal Sappe si è tradotto in un momento di riflessione e di analisi sulla situazione carceraria nelle Marche a fronte delle evoluzioni negative determinate dalla rinuncia alla costruzione della casa circondariale di Camerino e la possibile chiusura di quella già esistente. Ma questo è stato solamente il punto di partenza per poi toccare anche il provvedimento che prevede l’accorpamento del Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria delle Marche con l’Abruzzo. Attenzione inoltre sul sovraffollamento nelle carceri che collocano le Marche al quinto posto rispetto alle altre regioni d’Italia con numeri eloquenti: al carcere di Monteacuto il sovraffollamento registra un 150% con 430 detenuti a fronte di una capienza di 172 posti. Meglio Barcaglione con 37 detenuti su 24 posti e quindi la capienza è sforata del 54,2%. In totale nelle Marche sono 1215 i detenuti nel 2012, circa un 3,5 % in più rispetto alla scorso anno. La lista delle questioni aperte si allunga poi con la carenza di organico infatti a fronte di 764 poliziotti penitenziari previsti, in servizio ce ne sono solamente 575 ovvero meno 33%. Quello preso oggi dagli attori presenti alla conferenza stampa, è l’impegno ad investire le segreterie nazionali dei sindacati sulla sofferente realtà marchigiana. “Sarà il primo passo per trovare poi un aiuto nel mondo della politica” ha rilanciato Aldo Di Giacomo, segretario regionale e consigliere nazionale Sappe. “Poi vedremo di coinvolgere anche le altre organizzazioni perché l’ accorpamento del Provveditorato marchigiano con quello abruzzese è una scelta scellerata e la nostra regione è quella che ha pagato di più lo scotto della spending review. Stesso discorso per Camerino dove vogliono chiudere l’attuale carcere e non realizzare la casa circondariale prevista già nel Piano Carceri 2012. Ciò che temo che poi il prossimo passo sarà chiudere pure il carcere di Fermo. Speriamo comunque di riuscire a risolvere questi problemi con l’aiuto dell’Idv. Noi segnaleremo questa situazione agli organi centrali per evitarlo, il Provveditorato resti dove è”. Presenti alla conferenza stampa anche Paola Giorgi, vice presidente Assemblea Legislativa e l’on. David Favia, segretario regionale Idv. “Non si può chiudere un carcere in una regione dove già ci sono i detenuti in eccedenza, non sono questi i provvedimenti da portare avanti”, ha commentato Paola Giorgi che a riguardo ha informato i presenti sulla mozione cui sta lavorando per denunciare la situazione dei penitenziari, dal sovraffollamento alla mancanza di organico tra gli agenti di polizia impiegati nelle strutture. L’atto di indirizzo, che sarà all’attenzione dell’assemblea legislativa, “di cui dovrebbe incontrare il favore”, fa riferimento anche “al pericoloso accorpamento dei Provveditorati dell’Amministrazione Penitenziaria. Le carceri sono un valore positivo della Regione e non danneggiano”. Chiarendo poi che la scelta di non costruire il nuovo carcere a Camerino “incide negativamente anche sull’economia della città inoltre ci sono soldi pubblici che sono già stati investiti e non è opportuno tirasi indietro. Camerino è un sito depauperato”. Dal canto suo l’on. David Favia ha spiegato come il “Governo abbia compiuto degli errori fondamentali, come prendere le risorse nelle tasche dei cittadini più deboli e non investire nella ripresa. Ciò ha creato depressione. Inoltre le risorse non sono state riversate nei settori fondamentali come la sicurezza, con le forze che sono ridotte allo stremo. Siamo molto preoccupati per il sovraffollamento nelle carceri e per il sottodimensionamento degli operatori che lavorano in una condizione di insicurezza. Favia ha inoltre depositato alla Camera un’interrogazione per salvare il già previsto carcere di Camerino. Palermo: a rischio udienze e ricoveri per detenuti… fuori uso mezzi di Polizia penitenziaria Redattore Sociale, 9 novembre 2012 Con una lettera inviata ai vertici degli uffici giudiziari, la direttrice del Pagliarelli, Vazzana, sottolinea lo stato di “paralisi dei servizi operativi”. A rischio lo spostamento dei detenuti in udienza o per i ricoveri. Quasi tutti guasti gli automezzi per il trasporto dei detenuti reclusi nel carcere Pagliarelli. La denuncia arriva dalla direttrice, Francesca Vazzana, secondo la quale - in questo modo - non si potrà rispondere alle esigenze né di tipo giudiziario né di tutela della salute dei detenuti presenti all’interno del carcere palermitano. Con una lettera, inviata ai vertici degli uffici giudiziari, la direttrice sottolinea questo stato di “paralisi dei servizi operativi” specificando che il “rischio di inadempienza delle movimentazioni non potrà essere scongiurato”. “Il nucleo provinciale traduzioni non ce la fa più - scrive il direttore - con particolare riguardo allo stato di fermo degli automezzi in dotazione”. In pratica se le autorità preposte non provvederanno in tempi brevi a rendere nuovamente utilizzabili una buona parte degli automezzi il rischio concreto è quello che non si potranno portare i detenuti in udienza con il conseguente rinvio della stessa e poi si dovrà procedere anche al rinvio dei ricoveri programmati negli ospedali. In questo momento sono infatti garantite soltanto le situazioni di emergenza sanitaria. Il grave disagio è dovuto anche alla mancanza di fondi per i servizi di “traduzione e piantonamento” che riguardano, infatti, i trasferimenti e la sorveglianza dei detenuti da parte del personale dell’amministrazione penitenziaria. Il problema che sta investendo la casa di reclusione palermitana, infatti, è collegabile all’attuale momento di crisi che sta vivendo la giustizia in forza del taglio delle risorse da parte del ministero con le conseguenze più volte segnalate dai sindacati della polizia penitenziaria. La Vazzana, ha informato di questo grave disagio con la sua lettera tutte le massime autorità: il presidente della Corte d’Appello Vincenzo Oliveri, l’avvocato generale Ignazio De Francisci, il presidente del tribunale Leonardo Guarnotta, il procuratore Francesco Messineo, il presidente della sezione Gip Cesare Vincenti, il presidente del tribunale di sorveglianza Alberto Bellet e naturalmente anche il Ministero. Bologna: i Sindacati della Polizia penitenziaria; l’Ipm del Pratello va messo in sicurezza Dire, 9 novembre 2012 Il carcere minorile del Pratello non può più aspettare, serve un intervento di sicurezza dell’immobile, a costo di prendere la decisione di chiudere l’istituto per il periodo necessario a completare i lavori. Ancora una volta, i sindacati della Polizia penitenziaria tornano a denunciare, in modo compatto, la situazione difficile del carcere minorile del Pratello di Bologna. I sindacati Sappe, Cisl, Uil, Cgil, Cnpp e Sinappe, hanno nuovamente scritto una lettera a Caterina Chinnici, capo dipartimento Giustizia minorile, e a tutti i dirigenti generali del dipartimento minorile, chiedendo una volta per tutte “interventi urgenti e decisivi”. Tanto sul piano della situazione strutturale dell’edificio di via del Pratello, sia sul fronte delle risorse e del trattamento del personale. Se, come è stato finora, continueranno a non esserci risposte, i sindacati non potranno che ricorrere allo stato di agitazione, avvertono. Per i sindacati degli agenti, è necessario “mettere in sicurezza la struttura attraverso un intervento importante, prendendo in considerazione anche scelte coraggiose”, il che significa “non escludere a priori la chiusura per il periodo necessario al completamento dei lavori”. Ma il cahiers de doleances è molto lungo, e comprende anche i loro straordinari, che hanno già raggiunto il tetto massimo. “E ora come si pensa di far fronte allo straordinario che dovrà essere fatto durante le serate degli spettacoli teatrali al via a fine novembre?”, si chiedono i sindacati degli agenti. Restano in sospeso, poi, “i mancati pagamenti delle missioni o la difficoltà nelle erogazioni dei buoni pasto”. Su tutti questi temi l’amministrazione tace. Se continua così, “si potrà rispondere solo con l’attivazione dello stato di agitazione”, concludono. Genova: detenuti al lavoro; firmata Intesa tra Comune e direzione del carcere di Chiavari Secolo XIX, 9 novembre 2012 Chiavari, protocollo d’intesa tra Comune e direzione del carcere: i detenuti saranno impiegati in lavori socialmente utili. Il primo progetto ne ha coinvolti quattro nella ripulitura della pista ciclabile di Caperana. Un protocollo d’intesa tra l’amministrazione e la casa circondariale di Chiavari per favorire il recupero dei detenuti attraverso lavori socialmente utili. Il caso è stato presentato in Comune dal sindaco Roberto Levaggi, dall’assessore ai Servizi sociali Fiammetta Maggio e dalla direttrice del carcere di Chiavari Paola Penco. E i lavori nei quali sono stati e saranno impiegati alcuni detenuti sono “utili” innanzitutto per il recupero dei detenuti stessi, ma anche per la città: la prima attività ha infatti riguardato la ripulitura della pista ciclabile di Caperana. Novanta ore di lavoro, sotto la supervisione e il controllo degli agenti di sorveglianza, per sperimentare una detenzione diversa, fuori dalle mura di un carcere. “È un progetto che abbiamo fortemente voluto - ha spiegato l’assessore Maggio - Abbiamo fatto un piccolo corso ai primi quattro detenuti, che sono stati individuati dalla direzione della casa circondariale, e poi il lavoro si è svolto perfettamente”. Tra i requisiti per la selezione, il primo è stato la condanna in via definitiva, la condotta, lo stato di salute e naturalmente la volontà del detenuto di aderire al progetto. Il lavoro di ripulitura di via Entella ha coinvolto persone condannate per reati di varia gravità e con pene da scontare di durata diversa. “Il fatto di essere all’aperto, di scoprire che l’opera delle proprie mani può essere apprezzata da se stessi e dagli altri, è il primo passo per cercare nuovamente questa soddisfazione una volta scontata la pena” ha detto l’assessore. Soddisfatta anche la direttrice del carcere di Chiavari Paola Penco: “Il protocollo di intesa con l’amministrazione ha durata di un anno e quindi abbiamo intenzione di proseguire con altre attività e coinvolgendo nuovi detenuti”. Penco ha commentato anche il dramma del sovraffollamento delle carceri, un fenomeno dal quale la Liguria non è esente: “Il problema c’è, ma ritengo che vada contrastato con attività concrete come questa”. Pisa: detenuti inviano a Ordine Giornalisti Toscana proposte per “corretta informazione” Adnkronos, 9 novembre 2012 Una serie di proposte per migliorare il rapporto tra detenuti e mondo dell’informazione. La “Carta di Pisa” è stata presentata da un gruppo di reclusi (che lavorano come redattori della rivista Kasanza Babbà) al presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana Carlo Bartoli nel corso di un incontro che si è svolto l’ottobre scorso al carcere Don Bosco di Pisa. Lo rende noto oggi un comunicato diffuso Ordine della Toscana. Il documento nasce sulla scia della “Carta di Milano”, adottato dall’Ordine della Lombardia, e chiede al mondo dell’informazione di parlare del “pianeta carcere” non solo per raccontare episodi negativi ma anche per mettere in risalto le notizie positive. Il presidente Bartoli, che nel corso dell’incontro ha ricordato come l’Ordine abbia come preciso obbligo di legge proprio quello di assicurare il rispetto della deontologia, ha inviato una lettera ai direttori delle testate toscane per chiedere attenzione alle esperienze collettive ed ai percorsi individuali che dimostrino la forte volontà di tanti reclusi di utilizzare il periodo di detenzione per prepararsi al reinserimento nella vita sociale. Verbania: il Comune realizza da 10 anni progetti di reinserimento sociale per i detenuti Asca, 9 novembre 2012 L’Amministrazione Comunale di Verbania ha presentato alla Regione Piemonte sul bando, per 10 anni consecutivi, progetti di reinserimento sociale di soggetti detenuti nell’ambito della Casa Circondariale di Verbania. Ottenendo sempre il finanziamento e impiegando con risultati positivi nel corso degli anni alcuni detenuti in opere e servizi d’interesse collettivo. Continuando nell’ormai consolidata esperienza, la Giunta i 5 novembre scorso ha deliberato l’approvazione del progetto “Qualcosa in Comune - 2012”, che prevede l’utilizzo di 3 detenuti in semilibertà od ammessi al lavoro all’esterno per cantieri di lavoro, per un totale di 130 giornate lavorative ciascuno. Ha deliberato altresì di inviare il progetto alla Provincia del Vco al fine di ottenerne la necessaria autorizzazione e accedere al finanziamento regionale a copertura della indennità giornaliera da corrispondere. I costi a carico del Comune di Verbania ammontanti a circa 3.500 euro complessivamente, che trovano copertura sul bilancio 2012 sul capitolo già appositamente previsto per la realizzazione di cantieri di lavoro. Salerno: un appello “Mio marito è un malato grave, fatelo uscire subito dal carcere” La Città di Salerno, 9 novembre 2012 “Mio marito è malato non può stare in carcere”: questo il grido di aiuto di Antonietta, moglie di Matteo Luzzi, un 57 enne di Baronissi affetto da endocarcinoma alla prostata, diabete ed invalido all’80 per cento, che si trova attualmente detenuto nel carcere di Fuorni per una condanna per estorsione. A spiegare la triste vicenda dell’uomo è proprio la moglie: “Matteo è in cella dallo scorso 20 luglio e dovrà rimanerci fino al 25 novembre, si tratta di un residuo di pena di una condanna di cui ha già scontato 2 anni e 5 mesi agli arresti domiciliari in passato. Il giorno della sentenza definitiva, l’11 luglio, mio marito si trovava ricoverato all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno già da tre giorni, perciò il nostro avvocato avevo chiesto il rinvio dell’udienza. Ma i giudici del tribunale di sorveglianza di Salerno non hanno accettato la richiesta”. La famiglia di Matteo Luzzi, nonostante la sua condanna sia oramai giunta quasi agli sgoccioli, si domanda: “Come mai i giudici non hanno dato a Matteo i benefici della legge 199 del 2010, la cosiddetta legge sfolla carceri, per cui una persona che deve scontare meno di 18 mesi della pena detentiva può scontarli presso il domicilio anziché in carcere oppure dedicandosi ad attività di servizio sociale”. “La legge stessa - spiega la moglie di Matteo Luzzi - dice che quest’agevolazione non può esser data a soggetti che si sono macchiati di delitti gravi come mafia o omicidio, oppure se la persona potrebbe fuggire, ma Matteo in quelle condizioni non andrebbe da nessuna parte”. La famiglia incalza: “I giudici da mesi dicono che Matteo è compatibile col regime carcerario ma come può esserlo una persona affetta da tumore?”. E chiede un atto umanitario, affinché l’uomo possa tonare al più presto a casa per essere meglio assistito viste le sue condizioni. “Con il passare del tempo le condizioni fisiche di Matteo si sono aggravate tant’è vero che ora non può più esser operato ma dovrà ricorrere alla chemio terapia - spiega la moglie- A casa l’avrei certamente curato meglio”. L’uomo aveva fatto anche richiesta alla Solidarietà di Fisciano per svolgere attività sociali ed era stato accettato. Ora hanno fissato un’altra udienza il 14 novembre “ma il 25 Matteo uscirebbe e ci vogliono un 10 giorni per sapere l’esito, quindi è una presa in giro”. Antonietta Luzzi conclude il suo sfogo: “Credo che non si dia clemenza a mio marito perché già in passato si è macchiato di altri reati, ma la pena si cancella se viene scontata. I giudici dovrebbero decidere delle pene non della vita e della morte, e della salute, di un uomo”. Carrara: un appello: “Sono ex carcerato e disoccupato… per favore, aiutatemi” Il Tirreno, 9 novembre 2012 È una lettera aperta coraggiosa quella scritta al sindaco e ai servizi sociali da Andrea Asselta, un nostro concittadino che, uscito dal carcere, si trova a un bivio. “Mi chiamo Andrea Asselta, ho 47 anni - racconta, chiedendo esplicitamente di mettere nome e cognome - e sono nato ed ho vissuto da sempre a Carrara. Sono un ex-tossicodipendente, finito in carcere per un piccolo reato nel 2010. Grazie alla mia carcerazione sono riuscito a disintossicarmi, ed a cambiare completamente la mia vita. A questo punto, dopo quasi due anni, nasce spontanea una domanda: cosa fare quando si esce dal carcere? Sembra una domanda banale, o che probabilmente darebbe spazio a risposte scontate. Tuttavia il problema, al di là di ogni dissertazione, rimane insoluto. Una volta usciti, a pena scontata, o in misura alternativa al carcere, si fanno i conti con la società, e vi posso assicurare, che se una persona non dispone di propri mezzi economici, o di una famiglia di supporto, viene praticamente abbandonata a se stessa”. E si chiede: “Cosa fa un ex-detenuto, povero e orfano? Se non ha nessuno, torna a delinquere, o si lascia morire. La società spesso è severa nei giudizi, e poi viene tollerata ogni sorta di ingiustizia. Si chiudono gli occhi su tutto ciò che conviene, o che non tocca direttamente, e poi si spara a zero su chi è più debole. Allora se la società civile, in tutta la sua interezza, non vuole disagio sociale, deve fare di più per impedire che tanti tornino a sbagliare. Mi trovo a due anni dall’uscita dal carcere ancora disoccupato. Aiuti concreti da parte dei servizi sociali non ce ne sono stati. Ho avuto due borse lavoro, ove percepivo un salario minimo di 300 euro al mese. Lascio a voi la riflessione! Poco più di un mese fa è avvenuto il decesso di un mio caro amico, di 43 anni, che appena uscito dal carcere è disgraziatamente ricaduto nella droga, ma che è morto in solitudine. Non solo quella familiare, ma soprattutto quella dei servizi sociali. Spesso aveva chiesto aiuto, già da dentro le mura del carcere, ma le sue aspettative furono tutte disattese. Se n’è andato in silenzio, senza far rumore, nell’ovatta della droga. Allora, è per me stesso e per tutti coloro che si trovano nella mia condizione di disoccupato, e presto sloggiato dal monolocale dove vivo, dato che non ho più soldi per pagare l’affitto, che denuncio una condizione di povertà, al limite del futuro barbonismo. Fino ad oggi sono sopravvissuto con il denaro lasciatomi in eredità da mia madre, che si è praticamente già esaurito, visto il costo della vita al giorno d’oggi. Quindi chiedo attenzione da parte del signor sindaco di Carrara, e dei relativi servizi sociali del Comune di Carrara, al fine di ottenere un concreto aiuto. Grazie. Questa lettera è dedicata alla memoria del mio caro amico Andrea, deceduto il 29 settembre 2012”. Sassari: droga in cella; tre agenti sotto inchiesta, ex comandante Santucciu e due assistenti La Nuova Sardegna, 9 novembre 2012 Tre agenti di Polizia penitenziaria - l’ex comandante Santucciu e gli assistenti Calvia e Del Rio - accusati di concorso esterno in associazione a delinquere, la presunta organizzazione di trafficanti che avrebbe assicurato flussi di eroina e cocaina tra l’esterno e l’interno del carcere di San Sebastiano. Ma non solo. L’inchiesta nata dalle rivelazioni del pentito Giuseppe Bigella, teste chiave (oltre che reo confesso) al processo sulla morte del detenuto Marco Erittu, potrebbero rivelare altre sorprese. Questi sono solo alcuni dei retroscena dell’indagine sul presunto spaccio in carcere, che aveva portato all’arresto di sei persone il 9 giugno. Alla fine degli accertamenti, il pm della Dda di Cagliari Alessandro Pili cala le carte. Ed emerge che il numero degli indagati è molto più alto: sono 45 tra allora detenuti - nomi storici della piazza sassarese - capeggiati da Pino Vandi, a processo perché sospettato di aver commissionato il delitto Erittu. E ancora, tre agenti della Penitenziaria (non più a San Sebastiano), e poi conoscenti e parenti di detenuti che la droga la portavano durante i colloqui. Sono indagati a vario titolo: otto ex reclusi accusati di associazione a delinquere (Vandi, Saba, Iacono, Bigella, Sanna, Deaddis, Carboni, Piga), altri 34 solo per spaccio; i tre agenti, si diceva, di concorso esterno nell’associazione a delinquere. La posizione più delicata, visto il ruolo di tutela dei detenuti, è proprio la loro, quella degli agenti. Antonio Santucciu, 50 anni, algherese, è ispettore capo in congedo. All’epoca dei fatti contestati - tra il 2007 e il 2009 - svolgeva le funzioni di comandante della Penitenziaria. Dopo le rivelazioni di Bigella, contro di lui ci sono una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre a testimonianze, serviti alla magistratura cagliaritana per contestare accuse pesanti: aver informato in anticipo Pino Vandi di ispezioni e perquisizioni che avevano lo scopo di trovare droga, cellulari, armi. Ma Santucciu avrebbe anche avvisato Vandi della possibile presenza di microspie nelle celle. Il capo di imputazione - che diventerà formale solo dopo l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio - cita anche presunti controlli mancati sui familiari ammessi ai colloqui, “in modo da agevolare l’introduzione di sostanze stupefacenti in carcere”. E poi avrebbe “attribuito le mansioni lavorative a Pietro Saba (bibliotecario), Mario Iacono e Giuseppe Bigella (spesini), Mario Salvatore Sanna e Antonio Pilo (in cucina), Salvatore Mulas e Giampaolo Vacca (in lavanderia) “in modo da consentire loro - è l’ipotesi investigativa - di circolare liberamente nell’ambiente carcerario, di avvicinare i detenuti nei vari bracci, di ricevere le ordinazioni e di consegnare loro le dosi di stupefacente” introdotto in carcere, nelle celle nascosto e pure tagliato. L’elenco degli agenti indagati continua con Antonio Del Rio, sassarese, 38 anni, arrestato nel 2008 nell’ambito della prima tranche d’inchiesta. Sarebbe stato lui, secondo le indagini della Procura, a rifornire di cocaina ed eroina Pino Vandi, il presunto capo dell’associazione a delinquere. E lo avrebbe fatto ogni due settimane, da maggio 2007 fino all’arresto di settembre 2008. Infine, indagato anche l’assistente Giovanni Battista Calvia, sassarese di 49 anni, anche lui in congedo, sospettato di aver portato droga a Vandi nell’inverno 2008. Dopo mesi di accertamenti, i carabinieri di Nuoro e di Sassari sono stati capaci di delineare il profilo della sospetta organizzazione. Al vertice, ci sarebbe stato Vandi, 45 anni, ormai nome ricorrente delle cronache giudiziarie. Lui avrebbe promosso e diretto la presunta associazione mentre era recluso a San Sebastiano, da dove infatti è stato poi trasferito. È a Vigevano, vista la sua alta conoscenza dell’ambiente carcerario isolano. Questa inchiesta non fa che offrire una conferma. Come un vero boss, Vandi avrebbe mantenuto i contatti con l’esterno incaricando gli agenti Calvia e Del Rio dell’approvvigionamento, assicurato anche da alcuni familiari suoi e di altri detenuti. Grazie alla “collaborazione” dei presunti complici avrebbe conservato la droga nelle celle, dove veniva tagliata e poi divisa in dosi. Tutto per essere spacciata lì, tra i bracci di un penitenziario, ai compagni che ne avevano bisogno. Lucca: cerca di portare droga in carcere, bloccata da un agente della Polizia penitenziaria Il Tirreno, 9 novembre 2012 Bloccata da un agente della polizia penitenziaria del carcere di San Giorgio mentre cerca di introdurre droga all’interno della struttura. Nei guai è finita una donna che era giunta in carcere per un colloquio con il convivente brasiliano detenuto nel penitenziario lucchese per il reato di furto con fine pena ottobre 2013. A renderlo noto è il segretario generale del sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. “Ancora una volta, la perspicacia e la professionalità della polizia penitenziaria di Lucca ha evitato che una quantità non irrilevante di sostanza stupefacente giungesse fino alle sezioni detentive. Questi episodi, oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del personale di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Lucca, ci ricordano che il primo compito è stato, è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena e impongono oggi più che mai una seria riflessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento dei detenuti. Tutti possono immaginare quali e quante conseguenze avrebbe potuto causare l’introduzione di droga in istituto”. Capece ricorda che la percentuale di tossicodipendenti tra i detenuti oggi si attesta al 25% delle presenze: uno su quattro, dunque ha problemi di droga: “È allora opportuno agire sul piano del recupero sociale per i detenuti tossicodipendenti, attraverso un circuito penitenziario differenziato che faccia loro scontare la pena nelle Comunità di recupero, ma è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga”. Lecce: da Casarano al carcere di Taranto per suonare con i detenuti di Alberto Nutricati www.leccesette.it, 9 novembre 2012 La “Compagnia cantante” di Casarano sarà nel di Taranto con un concerto che coinvolgerà detenuti Quando la musica incontra la solidarietà nasce un connubio in grado di superare ogni ostacolo. Lo sanno bene i componenti della Compagnia musicante, gruppo di musica tradizionale che sabato 17 novembre farà risuonare i propri tamburelli nel carcere di Taranto. Il gruppo si esibirà infatti in acustico all’interno della casa circondariale del capoluogo jonico, nell’ambito di un progetto musicale che ha interessato i detenuti del carcere. Questi ultimi, infatti, metteranno alla prova le competenze acquisite all’interno del corso di musica al quale hanno partecipato, suonando alcuni brani al fianco dei musicisti della Compagnia musicante. Ma la Compagnia è anche molto altro. Il gruppo, infatti, è “l’appendice musicale” dell’associazione socio-culturale “Centro storico onlus”, che ogni anno è impegnata in attività di solidarietà allo scopo di raccogliere viveri e vestiario da destinare alle famiglie più bisognose. Proprio per questo motivo, l’associazione, in collaborazione con la parrocchia del Sacro Cuore, da 15 anni ripropone l’antica tradizione de “U Santu Lazzaru”, adattandola alle mutate esigenze del territorio. Se anticamente, infatti, i musicisti si recavano nelle masserie delle campagne salentine intonando il tradizionale canto de “U santu Lazzaru” in cambio di uova, formaggio e simili, la Compagnia musicante ha trasformato “U Santu Lazzaru” in una vera e propria carovana musicante che, passando per le vie della città e facendo tappa nelle varie scuole, raccoglie viveri per i bisognosi e fondi da destinare, di anno in anno, alle diverse necessità individuate dal parroco del Sacro Cuore. Intanto, proprio in queste settimane, la Compagnia è alle prese con la registrazione del suo secondo lavoro discografico, contenente pizziche, canti di protesta, canti di lavoro e serenate. Il cd dovrebbe essere pronto per la prossima primavera. Immigrazione: l’Unione Camere penali visita il Cie di Gradisca “peggio del carcere” Adnkronos, 9 novembre 2012 Dopo le carceri, l’Unione Camere penali visita un Cie, quello di Gradisca d’Isonzo a Gorizia. Una delegazione dell’Ucpi, guidata dal presidente Valerio Spigarelli, insieme agli avvocati Annamaria Alborghetti e Antonella Calcaterra dell’Osservatorio Carceri Ucpi, e al presidente della Camera Penale di Gorizia Riccardo Cattarini, hanno verificato le condizioni di vita degli immigrati, le problematiche della struttura e le criticità. “È un luogo di effettiva detenzione - fa notare la delegazione al termine della visita - dove gli stranieri, in vista dell’espulsione, in attesa della sola identificazione, sono trattenuti anche per tempi fino a 18 mesi”. E ciò “in condizioni igieniche desolanti, ammassati anche in dieci nelle celle”. I Cie, per i penalisti, almeno in questo caso, sono “peggiori delle carceri, dove le persone sono private della libertà e delle garanzie minime a tutela della dignità umana”. La delegazione ha constatato che di fatto, si tratta di una “vera e propria detenzione amministrativa, peraltro proibita dal nostro ordinamento, che non gode di alcuna delle garanze giurisdizionali previste dalla normativa penitenziaria”. Droghe: cannabis terapeutica, oggi sit-in Radicali davanti alla Camera Tm News, 9 novembre 2012 Oggi a Roma manifestazione antiproibizionista dei Radicali davanti la Camera dei Deputati per l’accesso alla cannabis terapeutica e la depenalizzazione per uso personale della coltivazione della marijuana. Appuntamento alle ore 11. Nel corso della manifestazione - promossa dal partito Radicale, associazione Luca Coscioni Radicali Italiani, associazione Il Detenuto Ignoto - la deputata radicale Rita Bernardini, che da mesi conduce pubblicamente un’azione di disobbedienza civile coltivando alcune piantine di marijuana sul proprio terrazzo, presenterà la sua mozione firmata da 27 deputati di diversi gruppi per impegnare il governo a semplificare le procedure di importazione, commercializzazione e accesso ai farmaci a base di cannabis e a favorirne la produzione sul territorio nazionale. “Mentre negli Stati Uniti il processo di legalizzazione della cannabis continua la propria marcia, con i recenti referendum che hanno visto approvare la depenalizzazione anche dell’uso ricreativo in Colorado e nello Stato di Washington e proporre la legalizzazione per uso medico in altri tre stati, il nostro Paese resta inchiodato a un proibizionismo criminogeno”, dicono i Radicali. Intervista a R. Bernardini, la Radicale che coltiva marijuana…. senza essere arrestata Per denunciare la gravissima situazione carceraria e giudiziaria del nostro Paese, la deputata radicale Rita Bernardini è al 16° giorno di un nuovo sciopero della fame, insieme a Irene Testa, Segretaria dell’Associazione “Il detenuto ignoto” e a centinaia di militanti e dirigenti radicali, che le affiancano in ordine sparso. Mercoledì scorso le due Radicali hanno aggiunto anche una giornata di sciopero totale della sete (è già la seconda volta), sempre in nome della loro “sete di legalità” e affinché “lo Stato italiano esca finalmente dalla flagranza criminale”, come sottolinea spesso Marco Pannella, con una amnistia e con un indulto. Quando l’abbiamo intervistata, Rita Bernardini era al suo primo felice bicchiere d’acqua dopo 24 ore di astinenza e già preparava il nuovo atto di “disobbedienza civile” di cui parla a Cronache Laiche. Onorevole Bernardini, il vostro sciopero della sete doveva coincidere con la discussione, alla Camera dei deputati, di una serie di provvedimenti in tema di giustizia penale: messa alla prova, arresti domiciliari e procedimenti contro imputati irreperibili… Sì, ma il dibattito è stato rimandato e slitterà anche questa settimana, perché in realtà non frega niente a nessuno di questi temi. E comunque si tratterebbe di provvedimenti quasi inutili e sicuramente inadeguati ad affrontare sia il problema delle carceri-catacombe sia il problema della giustizia in genere, che rimane ingolfata da oltre dieci milioni di procedimenti penali e cause civili. Anche il recente decreto cosiddetto “svuota carceri” non servì a molto… Appunto. Loro - e quando dico “loro” intendo governo, parlamento e presidenza della Repubblica - non vogliono accettare il punto di vista radicale che è quello di dovere uscire dall’illegalità. Un provvedimento di amnistia e di indulto pulirebbe l’arteria intasata della Giustizia - di cui le carceri sono un’appendice - e soltanto una volta pulita quell’arteria si faranno - necessariamente - le riforme giudiziarie su cui da quarant’anni ci prendono in giro. E voi rispondete con il digiuno e la nonviolenza, ma anche con la “disobbedienza civile”: venerdì mattina (per chi legge: oggi dalle ore 11 alle 14, ndr.) lei sarà davanti a Montecitorio con le sette piante di marijuana che ha coltivato, con tanto di documentazione fotografica, in questi mesi. Ora che sono ben cresciute, le porta davanti al Parlamento. Per chiedere cosa? In base alla legge vigente teoricamente ci sarebbe l’accesso alla cannabis terapeutica, ma il problema è che nei fatti la stragrande maggioranza di malati non ha veramente la possibilità di utilizzare i farmaci a base di thc (tetraidrocannabinolo, ndr.). Quei malati ci scrivono continuamente lettere disperate, perché sono costretti a coltivarsi le piante rischiando da uno a sei anni di reclusione oppure a rivolgersi al mercato clandestino. Quindi, innanzitutto, la nostra azione è volta a chiedere che il governo produca presto una circolare esplicativa che chiarisca quali sono i termini della questione. Sull’altro versante, noi chiediamo anche e subito la depenalizzazione per la coltivazione per uso personale. Perché la coltivazione della cannabis da noi è ancora un reato penale, non è così? Esattamente. Se uno viene fermato con un quantitativo di hashish o marijuana che sia ritenuto per uso personale, è sottoposto a una sanzione amministrativa. Mentre se uno coltiva le piante, anche per solo uso personale, va a finire nel penale e quindi in galera. Sono molti i procedimenti giudiziari legati all’uso di droghe? Sono migliaia e migliaia. E gravano fortemente sull’amministrazione della Giustizia. Anche per questo ci vorrebbero vere depenalizzazioni, non come quelle che aveva proposto il ministro Severino, che poi ci ha pure ripensato, stralciandole dai provvedimenti in discussione alla Camera di cui dicevamo all’inizio. Alla depenalizzazione stanno arrivando anche gli americani, con i referendum votati e vinti in alcuni Stati dell’Unione (Washington, Colorado) in concomitanza con l’elezione del Presidente. Tanto che il il Manifesto ha titolato, con un occhiolino a Barack Obama: “Yes we cannabis”. Addirittura negli Usa hanno votato per l’uso ludico di alcune droghe leggere, stabilendo una soglia nemmeno troppo modica della quantità (più di 28 grammi) che si può detenere a uso personale. Mentre qui da noi stiamo ancora a foraggiare il mercato clandestino e quindi la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. In che modo la battaglia antiproibizionista e la sua manifestazione di fronte a Montecitorio sono legate alla questione carceraria? I collegamenti da fare sono tanti. A questa manifestazione di “disobbedienza civile” partecipano anche tanti altri compagni radicali che stanno “disobbedendo” o attuando lo sciopero della fame per altre vicende altrettanto importanti: perché lo scopo comune è quello di chiedere allo Stato di diventare finalmente democratico, a partire dal ruolo che dovrebbe svolgere il nostro presidente della Repubblica. In questo caso la sua “disobbedienza” è configurabile di fatto come un reato… Mi sono persino autodenunciata in una interrogazione parlamentare, che prima di essere pubblicata sarà pure stata letta dagli Uffici parlamentari e quindi magari segnalata agli organi competenti. Inoltre, nel mio caso non ci sarebbe nessuna immunità da invocare, perché c’è flagranza di reato e quindi l’arresto sarebbe diretto... Ebbene, a fronte di tutto questo, è evidente che non vogliono che scoppi il caso di una parlamentare che va in galera per una “disobbedienza civile” contro una legge assurda, perché ciò aprirebbe un dibattito enorme. Non la arrestano perché hanno paura che “da dentro” il carcere la battaglia dei Radicali per l’amnistia sarebbe ancora più “rumorosa” ed efficace? Io le carceri già le visito molto spesso nelle mie continue ispezioni per l’Italia, anche se sarebbe un altro conto starci effettivamente dentro. Se mi arrestano come dovrebbero, andrei nel reparto femminile di Rebibbia, dove incontrerei tutte quelle donne rom che stanno dentro perché non hanno un bravo avvocato. Oppure quelle immigrate, che pur destinate agli arresti domiciliari, rimangono in carcere perché un domicilio non ce l’hanno o il loro domicilio non risulta idoneo (e questo vale ovviamente anche per le rom). Vedrei ancor più da vicino, insomma, quello che purtroppo già so. Iran: giustiziate 8 persone nelle carceri di Shiraz e Mashad Aki, 9 novembre 2012 Otto persone sono state giustiziate nelle carceri di Shiraz e Mashad, in Iran. Lo ha riferito il sito web di Iran Human Rights (Ihr), un’Ong che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica, precisando che le condanne sono state eseguite ieri. Secondo l’Ong, 7 persone sono salite al patibolo nel carcere di Shiraz, nell’Iran centro-meridionale, e una a Mashad, nel nord-est del paese. L’agenzia d’informazione semi-ufficiale Fars ha precisato che a Shiraz 5 condanne sono state eseguite in pubblico e 2 nella prigione di Adelabad. Tutti i detenuti erano stati condannati a morte per traffico di droga. Sri Lanka: rivolta in carcere a Colombo, 9 detenuti uccisi Adnkronos, 9 novembre 2012 Almeno nove detenuti sono stati uccisi e 35 persone sono rimaste ferite, tra le quali alcuni poliziotti, a causa di una rivolta nel carcere di massima sicurezza di Welikada a Colombo, la capitale dello Sri Lanka. Le autorità hanno riferito che i disordini sono scoppiati dopo il tentativo degli agenti carcerari di effettuare delle ispezioni nelle celle dei detenuti. I rivoltosi sono riusciti a entrare nell’armeria del carcere e impadronirsi di fucili e pistole con le quali hanno aperto il fuoco contro gli agenti. Sulla scena sono intervenuti i commandos dell’esercito che hanno impiegato oltre quattro ore per riprendere il controllo del carcere. Si tratta della più grave rivolta carceraria nello Sri Lanka dal 1983, quando 35 detenuti furono uccisi a causa dei disordini scoppiati nella stessa prigione di Welikada. Norvegia: detenuto Breivik si lamenta “violati miei diritti umani” Agi, 9 novembre 2012 Anders Behring Breivik, l’autore delle stragi di Oslo e Utoya in cui morirono 77 persone, ha scritto una lettera alle autorità penitenziarie norvegesi per protestare contro il trattamento ricevuto in carcere che considera una violazione dei suoi diritti umani. Nella lettera risalente ad alcune settimane fa, di cui ha dato notizia il giornale Vg citando il suo avvocato Tord Jordet, Breivik denuncia che il fatto di esser stato completamente isolato viola la legge norvegese, la Convenzione Europea dei Diritti umani e la Convenzione contro la Tortura dell’Onu. Pur non trovandosi in regime di isolamento, il 33enne estremista norvegese è l’unico detenuto sottoposto a un regime di massima sicurezza nel carcere di Ila, a ovest di Oslo. Di fatto Breivik vive da 15 mesi completamente isolato e i suoi contatti con altre persone sono limitati a quei pochi minuti al giorno in cui vede i secondini. Rimane solo sia durante l’ora d’aria in cui può uscire in un patio che quando si trova nelle tre celle a sua disposizione. Breivik si è anche lamentato perché da mesi non può ricevere, nè spedire corrispondenza e quindi non può rivolgersi ai suoi seguaci in quella che considera “una privazione della sua libertà di espressione”.