Quel disumano abbandono che troppe persone oggi subiscono all’interno delle carceri di Luigi Guida Ristretti Orizzonti, 7 novembre 2012 Purtroppo in carcere si continua a morire. Proprio oggi sono venuto a conoscenza che un ragazzo di 26 anni di origine tunisina, che stava nella quarta sezione della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova, è morto per aver inalato del gas. Sono all’interno di questo istituto da due anni, ed è la terza persona che vedo perdere la vita in questo modo, quindi non può essere semplicemente una coincidenza. C’è veramente qualcosa che non va oggi nelle carceri, ci sono troppe persone ammassate senza la possibilità di intravedere una speranza per il loro futuro. Non conosco le motivazioni che hanno spinto questo mio compagno detenuto ad inalare il gas, ma la lunga esperienza detentiva che ho mi porta a pensare che non sempre lo si fa per togliersi la vita, ma molto spesso si cerca uno sballo, e però non uno sballo per divertirsi, piuttosto uno sballo di disperazione, derivato dal disumano abbandono che la persona oggi subisce all’interno del carcere. La cosa che più mi sconvolge in tutto questo è la rassegnazione che si percepisce nelle riflessioni degli altri detenuti, perché, quando se ne discute, lo si fa come se la morte di un detenuto per inalazione di gas fosse un atto di normale vita quotidiana per chi vive un’esperienza carceraria in un periodo di terribile sovraffollamento. Amata Morte di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 7 novembre 2012 “Quando hanno aperto la cella/ era già tardi perché/ con una corda sul collo/ freddo pendeva Miché” (Fabrizio De Andrè) Sul giornale di oggi leggo: “Detenuto morto con il gas. È un tunisino: suicidio o tentativo di sballo finito male?”. Un altro morto in carcere: e non fa però più notizia. Ormai i morti sono troppi. E là fuori dal muro di cinta si sono abituati, ma io non ci riesco perché il prossimo morto potrei essere io o il mio compagno della cella di fronte a me. Molti pensano che il detenuto, se si uccide, non sia normale e che sia malato di mente, oppure che sia un ribelle. Nessuno invece pensa che chi si toglie la vita spesso lo fa perché l’ama troppo per vederla appassire senza fare nulla. O per protesta contro l’ingiustizia, perché non ha altra possibilità per attirare l’attenzione, per farsi ascoltare, oppure per “vendicarsi” contro le prepotenze del carcere o della giustizia degli uomini. Molti non sanno che a volte sono proprio i detenuti più “forti” che si tolgono la vita, perché quelli “deboli” accettano più facilmente di vegetare perché non amano abbastanza la vita. Piuttosto bisognerebbe domandarsi chi sono quelli che si tolgono la vita o chi sono quelli che accettano di vivere una non-vita? Per questo penso che siano i detenuti più buoni quelli che si tolgono la vita. Detenuto suicida nella Casa di Reclusione di Padova, affidata l’autopsia Il Mattino di Padova, 7 novembre 2012 È stata affidata oggi al dottor Claudio Rago l’autopsia con una perizia tossicologica in merito alla morte di Khaled Harakati, tunisino di 26 anni, che si è tolto la vita l’altro giorno in una cella del quarto blocco della Casa di reclusione Due Palazzi, la struttura penitenziaria per chi è stato condannato in via definitiva. Lo straniero aveva inalato il gas contenuto in una bomboletta del fornellino da campeggio utilizzato dai carcerati per preparare un caffè o qualche bevanda calda. Forse il ventiseienne tunisino voleva morire. Oppure voleva solo andare in “sballo”, dimenticando tutto e tutti. Ma perdere i sensi è molto più facile di quel che sembra: basta superare quel confine e, quando si resta da soli in cella e si respira ancora il gas, è ormai quasi impossibile tornare indietro rispetto alla linea di confine che separa la vita dalla morte. Così è successo a quel ragazzo straniero che stava scontando una pena per detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di spaccio. Si trovava in una cella da due ed era rimasto solo: il compagno era uscito per l’ora d’aria. Sono stati gli agenti di polizia penitenziaria a dare l’allarme e a sollecitare l’intervento dell’ambulanza. È stato tutto inutile: è morto dopo due ore. Giustizia: sulle carceri dal Governo dei “tecnici” solo proclami e belle parole di Matteo Mascia www.rinascita.eu, 7 novembre 2012 Depotenziamento del “Piano-carceri” e ritardi nei lavori appaltati. Consiglio d’Europa chiede cambiamento. Il governo tecnico ha deliberatamente ignorato i problemi connessi al sovraffollamento delle carceri italiane. A quasi un anno dal suo insediamento è possibile esprimere un parere sull’operato di Mario Monti e del suo guardasigilli, Paola Severino. Palazzo Chigi si è limitato ai proclami ed ai provvedimenti spot. Il numero di detenuti attualmente presenti nelle strutture nazionali viaggia spedito verso le settantamila unità. Cifra in netto contrasto con la capienza regolamentare, fissata poco sopra le quarantacinquemila presenze. Negli ultimi dodici mesi si è registrato un calo pari a 1.236 presenze. Un’emergenza chiara a tutti ma, nonostante questo, non in grado di far adottare provvedimenti adeguati. Anzi, il “Piano carceri” precedentemente varato è stato costretto una sforbiciata nel finanziamento superiore al 30 per cento. I denari stanziati dal Cipe rischiano di garantire un risultato parziale. Secondo una relazione della Corte dei Conti, il numero dei dipendenti della Polizia penitenziaria sarebbe insufficiente al fabbisogno. Un’evidenza emersa qualche settimana fa in Sardegna. A Oristano la nuova casa circondariale è stata aperta senza badare ad importantissimi dettagli, così come denunciato da diverse sigle sindacali. Le tabelle ministeriali sulle aperture di nuovi penitenziari sono facilmente smentibili. I piani del Dap saranno rovinati da un’altra vicenda sarda. Il dicastero di via Arenula conta di aprire il nuovo sito di Cagliari entro la fine del 2013. Un ottimo proposito, peccato che i lavori nel cantiere siano costretti a continui stop perché il Ministero non paga regolarmente l’impresa appaltatrice. Mancanze più volte al centro dell’agenda del Prefetto del capoluogo sardo e sbarcate in Parlamento con diverse interrogazioni. Analizzando il mero dato sui posti letto, salta all’occhio un’attuazione dell’originario “Piano carceri” pari al solo 15 per cento. Eppure, anche recentemente, si è assistito ad un’impennata nel numero dei suicidi e nei decessi collegati alla detenzione. Vicende denunciate solo da chi lavora all’interno dei penitenziari e dai parlamentari vicini a queste realtà. Politici in molti casi poco disponibili a trattare seriamente un tema delicato e dalla scarsa rendita elettorale. Indulto e amnistia sono parole tabù da cui tutti rifuggono. A dare qualche suggerimento alle Camere ci ha pensato il sindacato autonomo Sappe. Con una lettera aperta gli agenti della Polizia penitenziaria hanno ricordato cosa servirebbe a livello ordinamentale: “Processi più rapidi; espulsione degli oltre 23.500 detenuti stranieri; la detenzione nelle comunità terapeutiche dei detenuti tossicodipendenti, che sono oggi 1 su 4 dei presenti”. I lavoratori hanno ricordato anche la faciloneria con cui certa politica si occupa dell’esecuzione penale: “Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria, con ciò alimentandosi una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentati suicidi”. Anche in sede internazionale si sta pensando ad un’inversione di rotta. “Bisogna ristrutturare al più presto i luoghi di detenzione e intensificare i controlli perché i diritti umani di chi è privato della libertà siano rispettati”. Questa la critica che si legge nel rapporto annuale del Cpt (Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti degradanti) pubblicato ieri a Strasburgo. Si tratta di una carenza comune a tutti gli stati europei. Ecco perché il Cpt intima ai governi una riforma radicale delle prigioni che preveda soprattutto l’istituzione di una struttura di controllo indipendente. Lo prevede anche un protocollo della convenzione dell’Onu entrato in vigore nel 2006 e ratificato da 31 dei 47 paesi aderenti al Consiglio d’Europa. “Un organismo di controllo nazionale - dice Ltif Huseynov, giurista azerbaigianese, presidente del Cpt - potrebbe intervenire spesso e immediatamente, quindi darebbe un contributo considerevole alla prevenzione dei trattamenti impropri”. Su questi temi il nostro Paese è tremendamente arretrato. È noto a tutti il colpevole ritardo nella ratifica della Convenzione Onu sulla tortura (vent’anni!) e l’atteggiamento dei settori più “conservatori” delle Forze di polizia. Forse, per assistere a delle modifiche, dovremmo attendere il precipitare del contesto. Giustizia: sono semilibero e vi racconto perché rischio di non uscire più di prigione di Paolo Persichetti Gli Altri, 7 novembre 2012 Sabato 3 novembre, oggi non si esce alle 7.00. C’è una lista di 15 persone convocate dalla direttrice di reparto. Poco dopo le 8.00 cominciano le udienze. Si sentono delle grida femminili uscire dall’ufficio. Uno alla volta escono i detenuti, i volti sono scuri, alcuni allucinati. - Ma chi è questa? Ma chi ce l’ha mannata? Poco dopo le 10.00 tocca a me. Entro e vengo invitato a sedere. Esito prima di farlo. La direttrice è furibonda, si vede da lontano. Tuttavia all’inizio prova ad usare un tono tranquillo. - Risulta un ritardo nei pagamenti dei suoi stipendi, l’ultima mensilità è di agosto. Me l’aspettavo una domanda del genere perché aveva fatto la stessa osservazione ad altri. Vuoi vedere che non sa nemmeno che i miei pagamenti sono trimestrali? Mi ero detto. Glielo spiego e tutto si risolverà facilmente. Povero illuso! - Dottoressa, il calendario delle mie retribuzioni è in perfetta regola. Come prevede il contratto, i compensi corrisposti dal mio datore di lavoro hanno cadenza trimestrale. A settembre è stato pagato il trimestre estivo. Il prossimo saldo è previsto a dicembre. Che errore madornale! Senza saperlo ho pronunciato la parola indicibile: “contratto”. Cosa sarà mai un contratto? Questo oscuro oggetto dalla natura ormai sempre più evanescente. La responsabile di reparto assume subito un’aria infastidita. - Ma non è regolare, non è indicato nel programma di trattamento. - Non so che dirle dottoressa, ma il contenuto del programma viene redatto dalla Direzione in coordinamento con il magistrato di sorveglianza. La cadenza dei pagamenti non è mai stata specificata in un nessuno dei miei programmi di trattamento, si tratta di un’informazione che è contenuta nel contratto a cui il programma rinvia. A questo punto la direttrice obietta seccata di non aver trovato traccia del mio contratto da nessuna parte, lasciando intendere che è colpa mia perché non lo avrei mai depositato. Abbastanza sconcertato da questa replica, ma tuttavia sempre con un tono garbato, le faccio presente che nel mese di maggio ho presentato un nuovo contratto di lavoro, stipulato con una nuova testata dopo la definitiva chiusura della precedente, accompagnandolo con una richiesta di variazione del programma, il tutto in doppia copia come da prassi, con relativo modello 393 (la domandina) allegato e che tutto ciò ha dato luogo alle verifiche del caso, per giunta con un grosso ritardo e l’intervento risolutore dell’avvocato. La notifica del nuovo programma richiesto a fine maggio è pervenuta solo ad inizio luglio. Verifiche - aggiungo - che hanno coinvolto l’assistente sociale dell’Uepe, venuta sul nuovo posto di lavoro, e la successiva valutazione della Direzione e del magistrato di sorveglianza. Davanti alla mia replica, la direttrice si mostra sorpresa. La sua reazione mi fa capire che non è al corrente del cambiamento di datore di lavoro, dell’esistenza del nuovo programma e persino del contenuto dei miei precedenti contratti, nonostante diriga il reparto ormai da più di due anni, tant’è che mi chiede: - Perché ha un contratto a tempo determinato? - Ho sempre e solo avuto contratti del genere, scritture private rinnovate annualmente e che ho sempre consegnato in copia a questa Direzione. I pagamenti previsti erano sempre trimestrali. Salvo ritardi. - Allora si sarebbero dovuti rinnovare anche i programmi di trattamento ad ogni scadenza di contratto! Posto che probabilmente ciò accade solo se vi è un cambiamento di datore di lavoro o di mansioni, o di altre variazioni qualsiasi; ma se il rinnovo consiste in un prolungamento del precedente rapporto lavorativo, senza cambiamenti, vi è da supporre che il programma resti invariato. In ogni caso una tale questione non riguarda il detenuto ma le scelte della Direzione, che se non lo ha fatto avrà avuto le sue buone ragioni. Infatti rispondo: - Sarà pure così dottoressa, ma cosa c’entriamo noi detenuti? A me competeva soltanto depositare i rinnovi contrattuali e l’ho fatto. - Mi dimostri che lo ha fatto allora! - Come sarebbe a dire, “mi dimostri che lo ha fatto”? Vuole forse insinuare che mi è stata concessa la semilibertà senza contratto di lavoro, che da oltre 4 anni sono in situazione irregolare, a questo punto con l’avallo di ben due magistrati di sorveglianza che si sono succeduti nel frattempo e della Direzione che l’ha preceduta? - No, è lei che insinua che l’Amministrazione ha perso i suoi contratti. La direttrice prende in mano un vecchio programma di trattamento, forse il penultimo, e inizia a leggere il dispositivo iniziale: - “Per svolgere attività lavorativa… offerta le cui modalità sono riportate nel corpo dell’ordinanza di concessione della misura”. Ah, ah, vede, qui si parla di una “offerta”. I detenuti ottengono la semilibertà sulla base di una offerta di lavoro che è altra cosa da un contratto vero e proprio, che poi non portano mai. - Continua ad insinuare che non ho un contratto, dottoressa? Ma lo sa che concessa la misura della semilibertà, nel maggio 2008, arrivato in questo carcere sono rimasto chiuso una settimana in attesa che fosse materialmente consegnato alla Direzione il contratto (che per quel che mi riguarda era già in corso dal gennaio 2007, quando ero ancora chiuso al Nuovo complesso)? Se i miei contratti non li trovate è un problema vostro, mica mio! L’atmosfera è ormai irrimediabilmente compromessa. La direttrice urla, sovrappone nevroticamente le domande, non ascolta le risposte, sbraita frasi scomposte. Testimone della scena è un Ispettore che nel frattempo ha aperto un cassetto e da un fascicolo tira fuori il nuovo programma. Mostra di essere perfettamente al corrente di tutto, perché ricorda il passaggio dalla vecchia redazione, che ha chiuso, alla nuova. È imbarazzato per la situazione, con gli occhi mi suggerisce, quasi mi prega, di non reagire. Sussurra di non rispondere. Ma la direttrice insiste, usa un’aria di sfida. Non è la prima volta. Quando è in difficoltà provoca. - Che fa si scalda? Come mai è così nervoso? C’è qualcosa che non va? Non è in grado di dimostrare che ha i contratti? Ce li porti, se li ha! - A casa ho la collezione, dottoressa. Sono sommerso da carte burocratiche, copie di fax, mobilità, licenze. Posso dimostrare quello che voglio, ma siete voi che dovete ritrovare quelle carte, altrimenti devo cominciare a preoccuparmi se qui dentro spariscono documenti ufficiali. - Sta forse accusando l’Amministrazione? - Veramente, dottoressa, è lei che accusa me di essere un truffatore, e questa è una cosa irricevibile. Lei non può farlo. E sì, ho commesso l’irreparabile senza nemmeno accorgermene. Quello che ai suoi occhi appare il crimine peggiore, la lesa maestà. Una volta l’ha pure scritto: “La sua forma mentis lo conduce ad avere talora, un atteggiamento “paritario” (anche se tale aggettivo rischia di acquisire una valenza negativa) nei confronti di un’Amministrazione verso la quale, comunque, egli deve rispondere del proprio comportamento e non trattare da pari: il tutto, ovviamente, nel rispetto del diritti della persona. Talora però nel soggetto pare vi sia una difficoltà a rendersi conto che, a differenza di quanto accade in un rapporto tra persone fisiche, rapportarsi con l’Amministrazione richiede una diversa “dialettica”, fatta - anche obtorto collo - di una puntuale esecuzione delle direttive o anche, delle sole indicazioni fornite dalla stessa e dai suoi operatori”. Insomma dovevo fare pippa, abbassare lo sguardo, mettere giù le orecchie, prenderla per il culo come fanno gli altri, riconoscere di essere in torto, ammettere di avere truffato l’Amministrazione, due magistrati di sorveglianza, l’assistente sociale dell’Uepe, la Direzione del carcere, l’area trattamentale, la custodia, la polizia. Tutti presi per i fondelli. Tutti a credere da più di quattro anni che avevo un contratto di lavoro. E pure l’ufficio delle imposte. Fregati tutti. E a quel punto con la coda fra le gambe invocare perdono, intrecciare le dita come Fantozzi davanti al direttore megagalattico seduto su una poltrona di pelle umana nel suo ufficio all’ultimo piano. Ammetto la mia ingenuità. Ci sono cascato! Ho continuato a pensare che non si potesse negare l’evidenza che esiste un principio di realtà. Ma l’evidenza non conta di fronte all’autorità che si ritiene infallibile. Così la direttrice è sbottata. - Come si permette, non può rivolgersi a me in questo modo. Vada fuori di qui! Beh, se nei prossimi giorni non vedrete più la mia firma, ora sapete perché. Be Sociable, Share! Giustizia: Granata (Fli); aderirò allo sciopero della fame e della sete dei Radicali Ansa, 7 novembre 2012 “Domani aderirò allo sciopero totale della fame e della sete promosso da Rita Bernardini e Irene Testa e lo farò sia per solidarietà ai detenuti che agli agenti di polizia penitenziaria”. Lo dichiara il vice coordinatore di Fli, Fabio Granata. “La condizione delle carceri italiane non può più essere ignorata dal Parlamento e nonostante la mia cultura politica radicalmente legalitaria non posso né voglio ignorare come lo Stato si presenti forte solo con i deboli e gli ultimi poiché la stragrande maggioranza della popolazione carceraria è composta da immigrati clandestini e tossicodipendenti. La condizione inumana delle carceri italiane, alle quali si associa la condizione altrettanto insostenibile degli agenti di polizia penitenziaria, merita quindi una rinnovata attenzione da parte della politica italiana e del Parlamento. Al di là delle nostre differenze il mio plauso va quindi alle esponenti del partito radicale sempre in prima linea nella difesa dei diritti civili e dei più deboli. Futuro e Libertà è da tempo impegnata nel sostenere un piano di manutenzione straordinaria delle carceri esistenti: la mancanza di aria, acqua e spazio rende non percorribile l’applicazione della funzione riabilitativa della pena costituzionalmente garantita”, conclude Granata. Giustizia: ddl diffamazione torna in Commissione per riformulare norme più controverse Dire, 7 novembre 2012 Il ddl sulla diffamazione torna per la seconda volta in commissione Giustizia. È quanto ha deciso la capigruppo del Senato dopo che l’aula era stata sospesa a causa delle dimissioni della correlatrice Silvia Della Monica (Pd). Il testo riapproderà in aula martedì prossimo. L’intesa tra tutti i gruppi è quella di cercare di asciugare il ddl dalle norme più controverse e concentrarsi così sulla questione principale, ossia l’eliminazione del carcere. Sulla decisione della capigruppo del Senato, convocata dal presidente Renato Schifani dopo le dimissioni di Silvia Della Monica (Pd) da correlatrice del ddl Sallusti, la Lega (che è stata l’unica contraria al rinvio) protesta. Il calendario, non essendoci stata l’unanimità, viene quindi messo in votazione per l’approvazione definitiva della decisione. Il ritorno in commissione del provvedimento viene quindi confermato. Schifani spiega che alla commissione Giustizia sarà dato tempo per concludere i lavori fino a lunedì 12 e che il ddl tornerà in aula martedì 13: alle 12 di quel giorno è fissato il termine per depositare gli emendamenti in assemblea, mentre dalle 13 riprenderanno le votazioni “dando per acquisita la discussione generale già fatta”. Domani è stata convocata una nuova capigruppo per definire il prosieguo dei lavori dell’aula che è rinconvocata alle 16.30. È tutto il testo questa volta, e non più l’articolo 1, che viene rinviato. Anche per questo la Lega protesta. Chiede lumi anche il presidente della commissione Giustizia, e relatore del testo, Filippo Berselli (Pdl) che annuncia che già “dalla seduta odierna la commissione inizierà i suoi lavori”. Poi, aggiunge, “chiedo però chiarimenti: in commissione dovremo affrontare la questione della depenalizzazione (ossia l’abolizione del carcere per i reati di diffamazione, ndr.), la rettifica e la pena pecuniaria. Ma su questi tre punti l’aula si è già espressa”. Schifani replica: “Ritorna in commissione l’intero disegno di legge”, e quindi anche le parti già votate. Finocchiaro (Pd): serve ddl più snello, ora impossibile votarlo “Il ritorno in commissione Giustizia del ddl sulla diffamazione si rende necessario per asciugare il testo, renderlo più snello. Si tratta di un ‘espiantò, visto che troppe aggiunte sono state fatte da maggioranze occasionali, che impedirebbero al mio gruppo di votare l’articolo 1. È stata una decisione indispensabile perché il testo all’esame dell’aula non corrisponde ad un progetto condiviso”. Lo ha detto Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd, al termine della conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Gasparri (Pdl): rinvio commissione per giusta soluzione “Su una questione così delicata come la diffamazione, ribadiamo la necessità che sia il Parlamento a decidere su due punti fondamentali: eliminare il carcere per i giornalisti, garantirne l’alternativa con rettifiche e sanzioni pecuniarie. Su questi due punti si deve concentrare l’azione legislativa del Parlamento”. Così il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, in riferimento al rinvio in commissione Giustizia del disegno di legge sulla diffamazione. “Riteniamo- aggiunge- che con gli approfondimenti necessari e poi il successivo esame da parte dell’Aula si riuscirà a trovare quella soluzione che una discussione troppo ampia e articolata renderebbe altrimenti lenta e difficile”. Giustizia: indagine Ivri-Ispro su paure italiani; il 60% non è tranquillo in casa né fuori Adnkronos, 7 novembre 2012 Il 60% degli italiani non si sente mai molto sicuro, né in casa né fuori, e addirittura il 16% definisce basso o bassissimo il livello di sicurezza percepito per le vie della sua città. I più timorosi in assoluto sono i pensionati ultra 65enni e residenti nei grandi centri urbani del centro Italia. A rilevarlo è la seconda indagine ‘Gli italiani tra senso di sicurezza e percezione del rischiò, promossa dal Gruppo Ivri, leader in Italia nel settore della consulenza e dei servizi di vigilanza privata, e condotta nell’ottobre 2012 dall’Ispo di Renato Mannheimer. L’indagine è il nuovo risultato dell’Osservatorio Sicurezza Ivri-Ispo, nato nel 2011 con lo scopo di monitorare il livello di percezione del fattore sicurezza in Italia e fornire periodicamente dati in materia. Il risultato dell’indagine, riferisce una nota dell’Osservatorio, “è una nitida fotografia sul livello di allarme che caratterizza e inevitabilmente condiziona il vivere sociale del nostro Paese con un focus su 4 grandi città (Milano, Roma, Torino e Bari)’. Per realizzarla, nel settembre 2012 sono state realizzate cinque ricerche quantitative con interviste telefoniche: la prima su un campione popolazione-italiana di 800 individui, le altre su sovra-campioni di 200 individui ciascuno per ognuna delle 4 città selezionate. “Nel settembre 2011, al debutto, l’Osservatorio Ivri-Ispo rese noti i dati della prima ricerca sulla percezione della sicurezza da parte degli italiani. Oggi presenta la seconda. Nel frattempo ha divulgato altri dati in materia effettuando rilevazioni a livello comunale - spiega Italo Soncini, amministratore delegato del gruppo Ivri. Questo Osservatorio vuole provare a fare chiarezza nello scenario dei nostri timori. L’obiettivo è quello di fornire periodicamente una mappa di ciò che in Italia procura paure e insicurezze. Alle forze dell’ordine, a Ivri e a tutti gli operatori del settore della vigilanza privata - sottolinea Soncini - il compito di trovare le giuste contromisure”. Alla domanda d’esordio, che chiedeva di indicare in una scala da 1 a 10 in che misura ci si sente sicuri nella propria città nella propria casa, la media delle risposte è stata 7,1 fuori casa e 8 in casa. Un dato però emerge: è soprattutto nei grandi centri urbani che il termometro delle paure fa segnalare i livelli maggiori. Le vie di Roma e di Bari, stando ai loro cittadini, si posizionano sotto il livello della sufficienza. E quelle di Milano e di Torino la raggiungono appena. Accorpando i dati della percezione del livello di sicurezza a casa e fuori casa, il campione disegna un’Italia distribuita in tre macro fasce: il 40% della popolazione si ritiene molto sicuro (voti 8-10), il 43% mediamente sicuro (voti 6-7), il 17% insicuro. Ma la fascia dei fortemente insicuri, ancora una volta, si allarga notevolmente nelle grandi città. A Roma il 52% degli interrogati si dice molto insicuro, a Bari e Torino circa il 40%, a Milano il 23%: in tutti i casi (e di gran lunga) ci troviamo in deficit rispetto alla media nazionale. E rispetto all’anno scorso cala del 10% la quota di coloro che complessivamente rientrano nella fascia “alta sicurezza”. Il sondaggio ha poi cercato di comprendere se le nostre paure tendano a crescere o a diminuire. A livello nazionale la situazione è bilanciata: a quel 43% che concorda sul fatto che il livello di sicurezza in città è rimasto invariato negli ultimi 5 anni fa infatti eco un 44% che invece sostiene che è diminuito (il 12% risponde “aumentato”). Il rapporto cambia quando si punta la lente sui grandi centri urbani: “diminuito” afferma senza ombra di dubbio un buon 60% di milanesi e di romani. Dopo aver esplorato l’ambito dei timori e delle paure degli italiani, il sondaggio ha indagato anche sul loro vissuto, chiedendo agli intervistati se nel corso della loro vita avessero mai subito qualche episodio di microcriminalità. Ben quattro italiani su dieci (36%) ha risposto sì. In particolare due episodi su dieci (23%) sono stati furti e rapine in casa (di più al Nord Ovest) e in un caso su dieci (10%) si è trattato di furti di mezzi di trasporto (più al centro Italia). Ancora una volta, la situazione si presenta più critica nelle grandi città: a Bari le vittime di atti criminosi sono il 55% della popolazione, a Milano il 54%, a Torino il 46% e a Roma il 39%. A Bari e Torino primeggiano gli scippi per strada (33%-27%), a Milano e a Roma invece i furti in casa (32-23%). Ma quali sono le situazioni e i momenti in cui l’insicurezza viene avvertita in modo particolare? Il 34% degli intervistati dichiara di accusare timori (di furti) soprattutto quando la casa è vuota per le vacanze, il 32% non si sente al sicuro quando per strada c’è poca gente in giro, il 29% quando rientra tardi, il 23% quando è solo in casa. Non poteva mancare una domanda sulla crisi economica: cioè se in un periodo in cui sempre più persone faticano a sbarcare il lunario, siano aumentati o diminuiti gli episodi di microcriminalità. In altre parole, se la crisi possa stimolare comportamenti e azioni illegali. Pochi i dubbi, per un’ampia maggioranza di italiani: molti reati sono aumentati a seguito del perdurare della crisi economica: tra tutti i furti nei supermercati e nei negozi, seguiti dai furti in casa e dagli scippi. “Diversi gli spunti di interesse che emergono dalla ricerca - commenta Renato Mannheimer, presidente Ispo - Innanzitutto, è forte la percezione di insicurezza che si registra nelle grandi città rispetto al totale della popolazione italiana. In particolare Roma sembrerebbe detenere il primato della massima insicurezza percepita dai suoi abitanti (52% si dice insicuro), almeno rispetto alle altre città interpellate (Milano, Torino, Bari). A torto o a ragione? - si chiede il sondaggista. Su questo si può aprire il dibattito”. “È anche a mio parere rilevante il numero di italiani che dichiara di aver subito atti di microcriminalità/piccoli reati nel corso della loro vita: quattro su dieci (36%). Nella maggior parte delle volte i reati citati sono furti e rapine in casa. E di nuovo nelle grandi città i numeri sono più alti - ricorda Mannheimer - Ultimo dato che vorrei sottolineare: la quasi totalità degli intervistati (popolazione e commercianti) si trova d’accordo con l’affermazione che in questo periodo di crisi economica/sociale siano aumentati alcuni atti di micro crimine e in particolare i furti nei supermercati o nei negozi”. “In definitiva - conclude - con la crisi sembrerebbe proprio che il senso di insicurezza sia aumentato, almeno nelle percezioni”. Giustizia: Radio Maria entra nelle carceri italiane per arrivare ai dispersi e ai lontani di Daniele Trenca Tempi, 7 novembre 2012 Cinquemila radio consegnate ai cappellani degli istituti penitenziari d’Italia: una speranza per i tanti reclusi nelle carceri del nostro paese, con lo scopo di evangelizzare i lontani “Madre di Misericordia” è il progetto di Radio Maria che porta l’emittente cattolica più ascoltata anche all’interno delle carceri italiane. Una radiolina dal design particolare disegnata proprio dall’Associazione Radio Maria, che rappresenta la maternità. La sua forma è quella di una madonnina che ha sul grembo il piccolo. Oltre 5.000 le radio già consegnate, e altrettante quelle che saranno consegnate nei prossimi mesi. L’emittente da anni svolge una missione intensa di preghiera ed evangelizzazione nelle situazioni più difficili, come le carceri, gli ospedali o le case di riposo. Luoghi dove spesso regna lo sconforto, la solitudine e la disperazione. Grazie alla presenza capillare sul territorio e al mezzo di comunicazione scelto, Radio Maria permette di essere sempre partecipe degli svariati ambiti della quotidianità sia in comunità che nella vita individuale. La voce di Radio Maria entra discreta nelle carceri, spesso sovraffollate da sempre luogo di riflessione, trasformandosi così anche in luogo di conversione, fornendo un aiuto spirituale alle persone bisognose di consolazione e speranza, incominciando così un percorso nuovo che porta alla conversione. Molte sono le lettere che l’emittente riceve settimanalmente dai carcerati. Missive cariche di speranza. “Non so cosa sarebbe stato di me senza Radio Maria in questi anni - si legge in una lettera, poiché mi accompagna da mattina a notte fonda. Prima gustavo solo alcuni programmi, ma più il tempo passa e più seguo praticamente tutto. Cerco anche di diffondere tra i miei “colleghi” la frequenza di Radio Maria, con qualche buon risultato”. Il progetto, partito a luglio 2011, mira ad offrire supporto ai duecentotrenta cappellani delle carceri italiane. Numerosi quelli che hanno accettato ed hanno così aperto una finestra su un piccolo mondo fatto di fatica, di dolore, ma anche di impegno. In questo modo la Madonna si fa presente in questi luoghi di sofferenza e spesso di degrado, dove annualmente crescono purtroppo anche i suicidi. “Abbiamo affidato alla Madonna il progetto nel Santuario del Sacro Monte di Varese. - dicono da Radio Maria - Dopo un primo contatto sono stati molti i sacerdoti che hanno accettato favorevolmente la proposta”. Proprio in carcere dove molte persone sono lontane o disperse, possono cambiare il proprio cuore: “La vostra disponibilità con questo progetto è davvero provvidenziale” è la frase che spesso risuona dai cappellani. C’è soddisfazione dall’emittente radiofonica, felice di poter seminare un piccolo seme e vedere così germogliare anche li dove la grandezza del male sembra enorme. In futuro si intensificheranno i collegamenti di preghiera con le carceri anche per la preparazione della messa o l’ora di spiritualità quotidiana che viene trasmessa dagli istituti penitenziari. Di recente i carcerati hanno anche scritto e musicato un canto dedicato a Maria, ennesimo esempio che c’è fame dell’unica vera Parola di libertà, che salva e cambia il cuore di ogni uomo. Un servizio sociale prezioso perché tende la mano a coloro che sono ai margini della società, ma preziosi agli occhi di Dio. Lettera: una provocazione sul carcere… arrestate tutti i Radicali di Paolo Izzo Pubblico, 7 novembre 2012 Sono irrimediabilmente pericolosi e disobbedienti e in questi giorni se la stanno proprio cercando. Nemmeno uno dei loro vari congressi, appena silenziato dopo essere stato solo sussurrato dalla stampa, li ha fiaccati. Il loro leader, per esempio, non fa che dare del “Cesare” niente meno che al Presidente della Repubblica, soltanto perché non invia alle Camere un messaggio affinché risolvano la “prepotente urgenza” delle carceri italiane, che egli stesso paventava già un anno e mezzo fa. Ma ciò che dovrebbe fare più paura all’ordine pubblico sono due donne che, assetate e affamate di giustizia, non mangiano altro da due settimane e ora nemmeno bevono. E sono nonviolentemente seguite da tanti militanti radicali e incoscienti. Una di loro, per convinzione che possa essere usata a fini terapeutici, coltiva persino la marijuana a casa sua! Certo è che arrestare queste persone significherebbe portare le loro battaglie da fuori a dentro il carcere, rischiando che siano ancora più efficaci, rischiando che ci trascinino tutti in una società più giusta, democratica e libera... Ma non possiamo permettere che agiscano indisturbati: arrestate tali sovversivi del potere costituito, a cominciare da quelle due. Anzi, arrestateli tutti, questi Radicali. Così vi togliete il pensiero e restate nell’incubo. Calabria: progetti prevenzione sanitaria per detenute in carceri di Castrovillari e Reggio Ansa, 7 novembre 2012 Favorire la cultura della prevenzione in ambito sanitario tra le detenute delle carceri di Castrovillari e Reggio Calabria, attraverso progetti di sensibilizzazione sulle malattie sessualmente trasmissibili e sui tumori della sfera genitale femminile curati da équipe di specialisti delle aziende sanitarie locali. È lo scopo dei percorsi socio-sanitari per la tutela della salute delle detenute presentati, oggi pomeriggio, a Palazzo Alemanni, dalla vicepresidente della Giunta regionale, Antonella Stasi, dalla presidente della commissione per le Pari opportunità, Giovanna Cusumano e dal direttore generale del dipartimento Sanità, Rubens Curia. Il progetto, finanziato dal Ministero della Salute, prevede incontri didattici con le detenute, in gruppo e singoli, per descrivere il quadro degli interventi di prevenzione, l’esecuzione di esami diagnostici citologici, ecografici e mammografici e il miglioramento dell’offerta sanitaria negli ambulatori ginecologici degli istituti penitenziari. “Si tratta - ha detto la vicepresidente Stasi - di un progetto speciale, realizzato in collaborazione con il Ministero della Salute, che dimostra l’attenzione della Regione nei confronti delle detenute in Calabria, dove per la prima volta si realizza qualcosa del genere. Anche se il loro numero è esiguo, 63 in totale, queste donne hanno lo stesso diritto all’assistenza degli altri cittadini e il piano di prevenzione e informazione predisposto va nella giusta direzione”. Per Giovanna Cusumano, “la situazione delle carceri calabresi è difficile ma non drammatica come in altre parti d’Italia. Le donne recluse, per lo più extracomunitarie, non possono essere abbandonate. Questo progetto tende loro la mano, accende i riflettori su una fascia debole della società e rappresenta un esempio di buona politica”. Curia ha spiegato che “il progetto non è a carico del fondo sanitario regionale ma è finanziato dal Ministero della Salute, che l’ha esaminato e approvato dopo un lavoro di due anni svolto dai tecnici del dipartimento regionale. Previsti due gruppi di lavoro, uno per l’Asp di Cosenza e l’altro per l’Asp di Reggio Calabria, che hanno già avviato le loro attività di prevenzione nelle sezioni femminili delle case circondariali di Castrovillari e Reggio”. Friuli Venezia Giulia: dalla giunta Honsell l’ok ai libri gratis e ai corsi per i detenuti Messaggero Veneto, 7 novembre 2012 La giunta Honsell, su proposta dell’assessore all’Istruzione Kristian Franzil, ha dato il via libera al riparto dei fondi per gli interventi di assistenza scolastica e diritto allo studio per l’anno scolastico 2012-2013, sulla base della legge regionale 10 del 1988. I fondi stanziati, pari a complessivi 159 mila euro, riguardano interventi di carattere individuale in favore degli alunni iscritti alle scuole dell’obbligo e residenti nel Comune di Udine, ma anche ad attività educative e di scolarizzazione degli adulti ospitati nelle carceri cittadine. “Di anno in anno - commenta Franzil - adattiamo i contributi alle richieste emerse nell’anno prima in base ai bisogni dei cittadini. Le scelte operate, infatti, si basano sulle richieste ricevute l’anno precedente e sulla base di quelle viene operata la ripartizione dei fondi, la cui parte maggiore, comunque, va sempre a beneficio degli alunni più piccoli e delle loro famiglie”. Nello specifico, dei 159 mila euro a disposizione, 130 mila andranno per la fornitura gratuita di libri di testo alunni delle scuole primarie, 22 mila euro 550 per l’erogazione di sussidi (buoni libro) per la scuola secondaria di 1° grado e 6 mila 450 per i sussidi alle attività educative e di scolarizzazione degli adulti ospitati nelle carceri cittadine. Entro breve verrà pubblicato il bando per la richiesta di contributi e gli stessi bandi saranno distribuiti in tutte le scuole cittadine. Per eventuali informazioni e chiarimenti è possibile rivolgersi all’Unità Operativa Attività Educative e Servizi per l’Istruzione - Unità Semplice Assistenza scolastica e servizi per le scuole del Comune di Udine telefonando al numero (0432) - 271715 o inviando una e-mail all’indirizzo: istruzione(et)comune.udine.it. Roma: Rapporto Antigone; troppe morti a Rebibbia, detenuti lasciati senza cure di Sara Menafra Il Messaggero, 7 novembre 2012 Due morti negli ultimi tre mesi. E moltissimi casi di detenuti con gravi bisogni sanitari, in una situazione di emergenza prima di tutto organizzativa e dunque destinata a peggiorare a meno di rapidi interventi. Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, ha raccolto gli ultimi dati su Rebibbia nei giorni scorsi. E il rapporto parla chiaro: “Negli ultimi tre mesi, da agosto ad oggi, due detenuti del nuovo complesso di Rebibbia, ricoverati presso il reparto di medicina penitenziaria dell’ospedale Pertini, sono deceduti”. Il primo caso è di agosto. Un uomo affetto da grave insufficienza renale e sottoposto a dialisi, viene portato al Perti-ni per la terapia e muore per cause imprecisate. Visto che è straniero, senza famiglia né residenza, nessuno può chiedere la cartella clinica e capire cosa sia effettivamente successo. Quindici giorni fa un nuovo caso: “In seguito a manifestazione di ittero viene ricoverato al Pertini - scrive Antigone - e muore durante un intervento chirurgico per colecistite perforante, patologia che si manifesta precocemente e può essere risolta se affrontata tempestivamente”. Il problema è soprattutto nella riforma della sanità penitenziaria approvata nel 2008. Con l’obiettivo di equiparare l’assistenza sanitaria dei detenuti a quella delle persone libere, la riforma affidava alle regioni e quindi alle Asl il compito di occuparsi totalmente dell’organizzazione della sanità all’interno dei penitenziari. Il che vuol dire non solo mantenere il presidio esistente, ma organizzare una eventuale turnazione di medici e parasanitari, occuparsi della medicina specialistica, sia quella che è possibile gestire all’interno dell’ambulatorio sia quella da svolgere in ospedale. A differenza di quanto accaduto altrove, la Regione Lazio non ha mai attuato la riforma. E dunque la sanità nelle carceri è stata lentamente abbandonata a se stessa: stesso personale, nessun ammodernamento delle strutture salvo alcune eccezioni, nessun piano su come affrontare quotidianità ed emergenze. Sul totale di 1757 detenuti, i casi gravi sono almeno venti. Ma moltissime patologie comuni finiscono per cronicizzarsi a causa della mancanza di interventi. “Il caso più evidente - spiega Antonio Cappelli, medico e volontario di Antigone, tra gli autori dell’ultima relazione - è quello di odontoiatria. L’ambulatorio è rimasto lo stesso da quando è stata approvata la riforma. E questo vuol dire che le strutture si sono via via deteriorate. Attualmente, infatti, se un detenuto ha un problema gli diamo un’aspirina e lo rimandiamo in cella”. Molti dei casi più gravi sono pericolosi anche perché nell’abbandono generale, pure il rapporto tra sanitari e detenuti è peggiorato. È il caso di un uomo di 50 anni, “invalido gravissimo affetto da grave malattia neurologica. Degente permanente a letto può spostarsi solo in carrozzella con l’ausilio di un piantone”. O di un altro recluso di 31 anni, psicopatico grave, “in preda a deliri di persecuzione - scrive Antigone - con conseguenti atteggiamenti di minaccia per sé e per gli altri. Detenuto in reparto comune, lo stesso personale di sorveglianza lamenta la sua permanenza lì”. Visto che il problema è legato alla mancanza di programmazioni, progetti o investimenti, la preoccupazione dei volontari di Antigone è che la situazione peggiori. “Alcuni giorni prima delle dimissioni, Renata Polverini è intervenuta sull’argomento. Sostenendo - conclude il dottor Cappelli - che visto che la Regione non aveva i soldi per intervenire tanto valeva restituire la competenza al ministero”. Verona: Sappe; carcere Montorio, costruito per ospitare 450 reclusi, ne raccoglie circa 900 di Lorenza Costantino L’Arena, 7 novembre 2012 L’immagine che salta in mente, ascoltando le testimonianze degli agenti di polizia penitenziaria, è quella di una pentola a pressione a rischio esplosione. Parliamo del carcere di Montorio. Ma le condizioni, per chi lavora e per chi è recluso, sono drammatiche in tutti gli istituti detentivi d’Italia, come denuncia Giovanni Battista Durante, segretario nazionale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). Ieri, Durante ha fatto il punto della situazione insieme ai colleghi Giovanni Vona e Giovanni Sicilia, rispettivamente segretario e delegato del Sappe regionale, e a Gerardo Notarfrancesco, segretario provinciale. La loro volontà di “aprire” virtualmente quei cancelli ai cittadini, cosicché si conosca la verità al di là dei proclami di propaganda politica, contiene un appello accorato: “Non si può andare avanti in questo modo. Tutti gli sforzi per garantire la sicurezza dei cittadini sono vanificati a causa di un sistema detentivo colabrodo”. Cominciamo il viaggio all’interno del carcere di Montorio. Innanzitutto, la struttura. “Costruita per ospitare 450 detenuti, ne raccoglie circa 900, in larga parte stranieri. Ciò significa quattro-cinque persone per cella invece di una o due. Inoltre, fognature intasate, e grandi difficoltà di convivenza”, spiega Notarfrancesco. Poi i veicoli a servizio degli agenti. “Auto che hanno già percorso centinaia di migliaia di chilometri. I mezzi rotti spesso restano tali perché non ci sono soldi per pagare il meccanico, come pure scarseggiano per la benzina”. Ma il problema più grave è questo, e lo descrive Durante: “Il personale che lavora nei 206 istituti penitenziari italiani, poco più di 44mila persone, è sottodimensionato di almeno 7mila unità. Che presto diverranno 10mila a causa della drastica riduzione del turnover. Senza contare il blocco dei contratti, che si trascina dal 2010, privando la categoria anche dei giusti riconoscimenti economici”. “Nel caso specifico di Montorio”, s’introduce Notarfrancesco, “ci sono 365 agenti, di cui 40 distaccati. Ma coloro cui compete l’effettiva gestione dei reclusi sono appena 180. Succede quindi che un solo agente si trovi a dover sorvegliare decine e decine di detenuti, talvolta un centinaio. In più, la promiscuità tra le molte etnie è fonte di tensione”. “In compenso”, aggiunge Sicilia, “la direzione ha deciso di tagliare gli straordinari, nonostante i turni di lavoro siano molto pesanti e talvolta pericolosi. Ricordiamo che, tra i detenuti, abbiamo avuto casi di tubercolosi conclamata”. La sproporzione tra controllati e controllori “rende davvero difficile evitare che i detenuti continuino a fare, paradossalmente, quello che facevano fuori. Anche dentro il carcere si formano le bande”, spiega Vona, “e non è inconsueto che riescano a introdurre stupefacenti, attraverso i colloqui coi familiari o ingerendo ovuli durante i permessi d’uscita. Insomma, loro aumentano, noi diminuiamo”. Perciò, dal carcere di Montorio è partita la richiesta di cani antidroga. “Ne abbiamo ottenuti due. Ma solo dopo cinque anni. Comunque, stanno dando buoni risultati”, assicura Notarfrancesco. Riprende Durante: “Come si vede, la carenza di personale mina il servizio operativo. Questa è la situazione peggiore mai raggiunta, eppure si continua a tagliare, nonostante qui sprechi non ce ne siano. Anzi manca l’essenziale. Non condividiamo le scelte dell’attuale governo, come l’innalzamento dell’età della pensione da 60 a 62 anni. Ci vogliono soprattutto personale e strumenti nuovi”, conclude Durante. “E dopo si può pensare ad ampliare le carceri. Infine, si studino misure alternative per i reati minori. Le prigioni non devono essere riempite di ladri di biciclette, ma dei veri criminali”. Marsala (Tp): trasferiti in altre strutture tutti i 56 detenuti, il carcere chiude La Sicilia, 7 novembre 2012 La città è priva delle carceri. Marsala, quinta città della Sicilia, sede di Procura, non ha più quel presidio di legalità per il cui mantenimento in tanti, vanamente, si sono battuti: dagli avvocati alla Camera Penale, dai sindacati alle istituzioni. È scattato nelle scorse ore il momento fatidico per la chiusura dei locali di Piazza Castello, così come disposto dal decreto del 6 maggio del Ministero della Giustizia e da lunedì tutti i detenuti, cinquantadue, sono stati trasferiti presso le altre strutture della provincia - Favignana, Trapani e Castelvetrano - e della Regione; strutture che rimarranno aperte, a dispetto del sovraffollamento verificato e della situazione di emergenza che investe il Paese. Amarezza e delusione è stata espressa dal segretario regionale della Uilpa Penitenziari, Gioacchino Veneziano, che dice: “Nessuno può gioire della chiusura del carcere, e se una cinquantina di reclusi se ne vanno non fanno altro che sovraffollare le altre carceri. La struttura di Marsala è l’unica tra le 206 previste nel territorio a essere soppressa e la sua chiusura non porterà alcun beneficio economico, perché ci saranno costi enormi che si dovranno sostenere per il trasferimento dei detenuti da Castelvetrano, Trapani e Favignana in Procura a Marsala ma anche per lo spostamento dei magistrati nelle altre carceri. In Italia - aggiunge - il 20 per cento delle carceri hanno meno di 100 detenuti, perché chiudono Marsala e non iniziano, ad esempio, dalla Val d’Aosta? È evidente l’aggravio per il personale di polizia penitenziaria che dovrà tradurre i detenuti, e che la decisione del Ministro è stata influenzata da altri organismi del Dipartimento che stanno cercando di rimpinguare gli organici sopprimendo la struttura marsalese, la cui cittadinanza subisce uno sfregio. Noi sappiamo che fino al 31 dicembre il personale resterà nella struttura per la vigilanza del materiale di milioni di euro che speriamo non venga buttato al macero alla faccia della spending reviw, e non demorderemo. Mi dispiace che il sindaco abbia abdicato. Io ci proverei ancora al suo posto, e il personale sarebbe pronto a tornare a Marsala, dove la struttura è perfettamente funzionante”. Solo a fine agosto l’on. Rita Bernardini di Radicali Italiani, in visita al carcere, aveva detto: “La chiusura sarebbe un delitto. Non si può decidere di risparmiare sul rispetto dei diritti umani, perché per un processo di rieducazione la vicinanza alla famiglia è una cosa essenziale, altrimenti stiamo perdendo tempo e violando diritti umani”. Genova: Piredda (Idv); serve un Istituto a custodia attenuata per madri detenute con figli Tm News, 7 novembre 2012 “La presenza di bambini di età inferiore ai tre anni nel carcere genovese di Pontedecimo insieme alle madri detenute è una situazione che dura ormai da troppo tempo e per la quale urge una veloce soluzione”. Lo afferma il consigliere ligure dell’Italia dei Valori e presidente dell’VIII commissione Pari opportunità, Maruska Piredda, che questa mattina ha presentato un’interrogazione urgente al presidente e all’assessore competente in merito all’individuazione, nel Comune di Genova, di uno stabile che possa essere adibito a Istituto di custodia attenuata per madri detenute con figli (Icam). “Secondo i dati del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria - spiega Piredda - oggi nel carcere di Pontedecimo è presente una detenuta con un figlio di due anni e mezzo e a luglio erano addirittura due. Ho avuto modo di constatare, durante un sopralluogo qualche mese fa, quale sia la situazione in cui sono costrette a vivere queste mamme con i propri figli piccoli per i quali solo l’impegno e la cura prestati dagli agenti di custodia rendono meno amara l’esperienza carceraria”. “Tuttavia, anche a causa dell’ormai cronica carenza di organico con 400 agenti in meno rispetto ai previsti 1.300 circa nelle 7 case circondariali liguri e al sovraffollamento, non è più possibile - sottolinea la presidente della commissione Pari opportunità della Regione Liguria- pensare di delegare alla sola sensibilità degli agenti di custodia il compito di alleviare i traumi a cui bambini così piccoli possono andare incontro dopo mesi di permanenza in carcere”. La Lombardia ne ha già uno, altre Regioni se ne stanno dotando “Inoltre - prosegue Piredda - la legge n.62/2011 prevede l’istituzione delle case famiglia protette proprio per madri e padri con figli di età inferiore ai 10 anni. Una legge che ha avuto anche un seguito nell’intesa stipulata nella Conferenza Stato-città e Autonomie locali, con cui si prevede l’obbligo per gli enti locali di individuare edifici con caratteristiche atte a ospitare gli Istituti di custodia attenuata. Regioni come la Lombardia - precisa il consigliere dell’Idv - hanno già un Icam, altre, come Veneto e Toscana, se ne stanno dotando”. “Nell’interrogazione - conclude Piredda - chiedo pertanto quali percorsi la Regione ha intrapreso per individuare, di concerto con gli enti locali, una sede per Icam nel territorio ligure, auspicando un concreto impegno affinché al più presto anche la Liguria attui le disposizioni previste dalla legge, indispensabili per garantire adeguati rapporti familiari tra i genitori detenuti e i figli e, contestualmente, un equilibrato sviluppo del minore”. Roma: Museo del Riciclo; artisti e detenuti insieme in un progetto di reinserimento sociale Dire, 7 novembre 2012 A Ecomondo - Rimini Fiera dal 7 al 10 novembre - il Museo del Riciclo (www.museodelriciclo.it) del consorzio Ecolight mette in mostra le opere di artisti del riciclo assieme a quelle del progetto Raee in Carcere. Da vecchi pc sono nati collier e orecchini; da televisori e computer bracciali e anelli; da bottiglie di plastica preziose spille e da ricercati bottoni dei gemelli. “Sono solamente alcuni esempi di come i rifiuti possono diventare oggetti di design e arte; ma al contempo, questa è l’occasione per stimolare una maggiore sensibilità ambientale ricordando che la buona pratica del riciclo può e deve diventare una forma d’arte quotidiana”, dice Walter Camarda, presidente di Ecolight, consorzio nazionale che si occupa della gestione dei Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), delle pile e degli accumulatori a fine vita. Cinque gli artisti selezionati che espongono le loro creazioni: Maria Chiara Belotti, Ludovica Cirillo, Marta Mongiorgi, Wanda Romano e Cristian Visentin. In più, uno spazio è stato riservato al progetto Raee in Carcere: lo stand del Museo del Riciclo ospita anche alcuni bijoux realizzati all’interno del laboratorio della cooperativa sociale Gulliver di Forlì dove persone in esecuzione penale sono impegnate nello smontaggio di Raee non pericolosi. Si tratta di un progetto sociale con una spiccata finalità ambientale che è sostenuto dal consorzio Ecolight e attraverso il quale è emersa la creatività di alcuni dei detenuti coinvolti. Lodi: presentato Progetto di Rete per sostenere i condannati a pene alternative Il Cittadino, 7 novembre 2012 Sono sempre più numerose le persone che la giustizia condanna a una pena alternativa al carcere, ma la società è pronta ad accoglierle entro le proprie dinamiche umane e produttive? No, secondo le associazioni che sostengono il progetto “La via di uscita”, nato proprio con l’obiettivo di “favorire l’integrazione delle persone che stanno scontando la pena all’esterno del carcere, coinvolgendo istituzioni, servizi, terzo settore e cittadini”. Come è accaduto lunedì in sala Granata, teatro di un incontro volto a sensibilizzare i cittadini sulle problematiche connesse alle misure alternative alla detenzione, ovvero arresti domiciliari, libertà vigilata e condizionale, semi libertà, affidamento in prova ai servizi sociali o a comunità di recupero. Lo hanno organizzato le stesse associazioni coinvolte nel progetto (Loscarcere, comunità Il gabbiano, Lodi per Mostar, Progetto insieme, Bando volontariato Lausvol), con l’aiuto di Ornella Favero e Carla Chiappini, sedute al tavolo dei relatori accanto a Laura Steffenoni di Loscarcere, moderatrice della serata. Il Direttore di “Ristretti Orizzonti” (il giornale del carcere di Padova), Ornella Favero ha sottolineato come la detenzione, oggi, sia vista come “un tipo di pena adatto a sanzionare qualsiasi tipo di reato, e questo perché noi tutti pensiamo di appartenere alla categoria dei buoni e non immaginiamo quanto sia facile finire in galera anche solo per un banale incidente stradale”. Il carcere è un problema che riguarda tutti, e non solo perché nessuno può escludere a priori l’eventualità di entrarci, ma anche per il progressivo diffondersi di misure alternative alla detenzione: “Quando un detenuto sconta la propria pena al di fuori del carcere - ha detto Carla Chiappini del carcere di Piacenza - tocca alla società fare da muro di contenimento, dimostrandosi sensibile verso le tante criticità connesse a questo genere di situazioni. Lo deve fare nel proprio interesse, per la sicurezza dei cittadini: tutti sappiamo ormai che i detenuti che hanno scontato la pena in carcere tornano a delinquere con più frequenza rispetto a chi è stato sottoposto a misure di detenzione alternative. Integrare i detenuti nel tessuto sociale è un percorso di civiltà che tutti sono chiamati a intraprendere”. Da qui l’impegno delle associazioni già coinvolte nel progetto a estendere la propria rete: “La vera scommessa, oggi, è creare un volontariato disponibile a lavorare fuori dal carcere, con i detenuti e loro famiglie, ad accompagnarli verso il reinserimento sociale e lavorativo”. Missione impossibile? Forse, ma “bisogna trovare la forza per combattere anche quelle battaglie che sai già che non vincerai”. Cagliari: il Comitato Stop Opg ha presentato il “Mese per i diritti umani” di Mauro Loddo Sardegna Oggi, 7 novembre 2012 Dal 10 novembre per un mese l’associazione Stop Opg, insieme all’Asarp e Sos Sanità Sardegna, organizzano “Il mese dei diritti umani”. La manifestazione sarà ricca di eventi culturali che mireranno a sensibilizzare i cagliaritani attraverso confronti e conferenze sulla situazione delle carceri e gli ospedali italiani, ma anche con cene sociali e una “pedalata per i diritti umani”. Il comitato Stop Opg ha presentato oggi “il mese dei diritti umani”, la manifestazione che tra novembre e dicembre tenterà di sensibilizzare i cagliaritani sulle tematiche della libertà e dei diritti umani. La manifestazione terminerà proprio il 10 dicembre, il giorno della proclamazione da parte dell’ Onu della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, avvenuta nel 1948. Tuttavia Roberto Loddo, portavoce comitato sardo Stop Opg, ci tiene a sottolineare che la giornata non verrà considerata una festa. “L’Italia non è infatti un Paese che rispetta i diritti umani e civili, non possiamo ritenerci ancora una terra che riesce a convivere con altri popoli”. Il programma è stato patrocinato dalla Provincia di Cagliari e dalla Asl. Il programma. Stop Opg e le altre associazioni hanno preparato un lungo elenco di manifestazioni per tutto il mese: già dal 10 di novembre si potrà partecipare ad aperitivi e cene sociali ed a presentazioni di libri. Da segnalare il 1 dicembre il “confronto con il mondo delle carceri” e la “Giornata nazionale della salute mentale” il 5 dicembre. Il mese dei diritti umani propone inoltre un incontro con la comunità musulmana di Cagliari e la pedalata per i diritti umani, con la partecipazione “amici della bicicletta Cagliari”. Il 24 novembre verrà poi presentato un libro dal titolo “ Un’esperienza in reparto psichiatria”, di Magda Guia Cervesato, per porre l’attenzione sul degrado sanitario italiano. “Questa manifestazione è stata creata per porre l’attenzione sui diritti umani, per evitare che si dimentichi il loro significato”. Commenta così Antonello Murgia di Sos Sanità Sardegna. “I diritti come quello alla salute, quello di espressione ma soprattutto quello allo studio sono fondamentali per la crescita della nostra società. Poter studiare - continua Murgia - tutela tutti perché senza il diritto all’istruzione vengono meno la ricerca medica e accresce l’ignoranza”. Parma: al via torneo di calcio tra detenuti per benessere psicofisico Adnkronos, 7 novembre 2012 Si terrà sabato prossimo negli istituti penitenziari di Parma l primo torneo di calcio “La Burla” che vedrà in campo le persone detenute. L’evento è realizzato nell’ambito del progetto “La promozione del benessere psicofisico negli Istituti penitenziari di Parma”, da Uisp Parma e Ausl, con il contributo di Fondazione Cariparma. Il torneo avrà inizio alle 9 con le finali per il quarto e quinto posto tra le terze classificate dei gironi interni al penitenziario e per il secondo e terzo posto tra le seconde squadre classificate. Le vincitrici di ogni girone saranno premiate e andranno a formare un’unica squadra che si sfiderà con la rappresentativa esterna, composta da studenti dell’istituto Giordani e istruttori Uisp. Arbitro d’eccezione della finale sarà Alberto Michelotti. Le premiazioni sono in programma alle 11 circa e si terranno alla presenza degli assessori allo Sport di Comune e Provincia di Parma, dei rappresentanti della direzione del Carcere e dei soggetti promotori. Genova: Sappe; detenuto tenta il suicidio nel carcere di Chiavari www.ogginotizie.it, 7 novembre 2012 Gli agenti di polizia penitenziaria della Casa circondariale di Chiavari hanno salvato la vita a un detenuto italiano di 39 anni che ha tentato di impiccarsi. “È ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio - dice Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza, tanto che chiederemo all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. Un gesto eroico e da valorizzare che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel solo 2011 la Polizia Penitenziaria ben 1.003 tentativi di suicidio di detenuti ed impedendo che i 5.639 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Dal 1 gennaio al 30 giugno 2012 in Liguria 21 detenuti hanno tentato il suicidio (erano stati 33 in tutto il 2011), 218 gli atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provati da lamette - (che nel 2011 furono 317), 14 i ferimenti e 54 le colluttazioni: 6 sono state le morti per cause naturali. 3 le evasioni dopo aver fruito di permessi premi ed 1 dalla semilibertà mentre oltre 660 sono stati i detenuti della Liguria coinvolti in manifestazioni di protesta contro sovraffollamento, condizioni di vita intramurarie ed a favore dell’amnistia. A Chiavari, nei primi sei mesi dell’anno, abbiamo registrato 2 tentati suicidi e 3 colluttazioni. I nostri Agenti, a Chiavari, pagano ancora una volta in prima persona le tensioni che si registrano nelle carceri. Parliamo di una realtà caratterizzata da un pesante e costante sovraffollamento penitenziario, che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. A fronte di 78 posti regolamentari, sono infatti sistematicamente presenti circa 100 detenuti (erano 96 il 30 settembre scorso, più del 43% stranieri), mentre il Reparto di Polizia Penitenziaria conta la carenza di ben 25 agenti. Il suicidio sventato dai nostri colleghi non deve passare inosservato perché è la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione di Baschi Azzurri è rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità. Potenza: Osapp; il carcere di Melfi ha bisogno urgente di manutenzione Ansa, 7 novembre 2012 È necessario intervenire con urgenza per il carcere di Melfi (Potenza), che presenta gravi criticità strutturali, a cui si aggiunge una carenza di organico di almeno 50 agenti di polizia penitenziaria. È l’appello lanciato al Ministro di Giustizia, Paola Severino, dal segretario nazionale aggiunto dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Domenico Mastrulli, che oggi ha visitato l’istituto penitenziario melfitano. L’Osapp si rivolge contestualmente al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, perché il carcere di Melfi - ha sottolineato Mastrulli - paga l’abbandono degli ultimi anni: le criticità sono tante, nonostante l’ottimo lavoro svolto dal Comandante di reparto. Per il carcere di Melfi sono necessari fondi per la manutenzione ordinaria, per l’impianto di sorveglianza, per il muro di cinta e il sistema anti-scavalcamento. Insomma, servono, con urgenza, risorse per risolvere tutte le situazioni, senza dimenticare - ha concluso Mastrulli, che ieri ha visitato anche il carcere di Potenza e quello minorile dello stesso capoluogo lucano - che a Melfi mancano, oltre agli agenti penitenziari, anche il direttore titolare e altre importanti figure che fornirebbero ulteriori e determinanti garanzie per il personale operante nella struttura. Stati Uniti: California respinge per via referendaria l’abolizione della pena di morte Ansa, 7 novembre 2012 La California ha respinto per via referendaria l’abolizione della pena di morte. Lo hanno annunciato le autorità dopo lo spoglio di circa tre quarti delle schede. Il 54% ha votato no, secondo il ministero dell’interno californiano. Il testo referendario prevedeva la sostituzione della pena di morte con l’ergastolo senza la possibilità di libertà anticipata. In California la pena capitale è stata abolita per un breve periodo nel 1972 dopo che la Corte suprema dello stato aveva ritenuto che fosse incostituzionale, consentendo così al guru psicopatico Charles Manson e alla sua “famiglia” di vedere il loro appuntamento con il boia commutato con la prigione a vita. Dal ripristino della pena capitale, nel 1974, sono state giustiziate 13 persone. Al primo aprile del 2012, 724 persone erano in attesa dell’esecuzione nel braccio della morte della California, il più popoloso degli Stati Uniti, davanti alla Florida (407). L’ultima esecuzione risale al 2006 e causò un putiferio. Il detenuto Clarence Ray Allen aveva 76 anni era cieco, parzialmente sordo, soffriva di cuore ed era immobilizzato sulla sedia a rotelle. Dei 50 Stati americani, 17 hanno cancellato la pena di morte, l’ultimo in ordine temporale è stato l’Illinois. In concomitanza con le presidenziali, vinte da Barack Obama, negli Usa si sono tenuti 172 referendum. Stati Uniti: detenuto messo a morte in Oklahoma, sue ultime parole per Obama Ansa, 7 novembre 2012 Un detenuto americano è stato giustiziato ieri sera in Oklahoma, nel sud degli Stati uniti, in piena serata elettorale, e le ultime sue parole sono state dedicate alla “corsa serrata” tra Barack Obama e Mitt Romney per la Casa Bianca. Garry Thomas Allen, la cui esecuzione era stata rinviata per tre volte, è stato dichiarato morto per iniezione letale alle 18.10 locali, poco dopo la mezzanotte in Italia. “Sarà una corsa molto serrata”, ha dichiarato il condannato prima di morire, secondo quanto riferito dal portavoce dell’autorità carcere Jerry Massie. Allen era accusato dell’uccisione della madre dei due suoi figli, nel 1986, e perse un occhio in uno scambio di colpi d’arma da fuoco con un agente di polizia che tentò di arrestarlo poco dopo l’omicidio. Si tratta del quinto detenuto giustiziato quest’anno in Oklahoma, il 36esimo negli Stati uniti. Iran: a Teheran impiccati 10 trafficanti di droga Aki, 7 novembre 2012 Dieci trafficanti di droga sono stati impiccati a Teheran. Lo riporta l’agenzia di stampa Fars, precisando che la loro condanna a morte è stata eseguita dopo essere stata confermata dalla Corte Suprema. La Fars spiega poi che gli uomini facevano parte di una banda coinvolta nel traffico di centinaia di chili di droga nella capitale. In i reati punibili con la pena capitale sono l’omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata e il traffico di più di cinque chilogrammi di droga.