Ogni detenuto deve avere il suo medico curante Ristretti Orizzonti, 3 novembre 2012 Un confronto della redazione di Ristretti Orizzonti con il senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la tutela della Salute delle persone private della libertà personale. Roberto Di Giovan Paolo è un parlamentare impegnato sul fronte dei diritti umani, e proprio questo impegno l’ha portato ad accettare di fare il presidente del Forum per la tutela della Salute delle persone private della libertà personale, una carica che non dà nessun vantaggio ma solo il peso di dover fare qualcosa perché i pazienti detenuti vengano davvero trattati come qualsiasi cittadino libero. La redazione di Ristretti Orizzonti l’ha invitato a Padova il 29 ottobre proprio per segnalargli una situazione molto carente del servizio sanitario nel penitenziario padovano. Il primo problema sollevato dalla redazione è quello, che sembra elementare, ma è invece estremamente serio e complesso, delle visite mediche. “In tanti anni di detenzione, non mi è mai successo di trovare il medico che ti fa stendere sul lettino dell’ambulatorio, ti sente il respiro e ti chiede dove hai male”, racconta Filippo. Alza la mano e chiede di intervenire Andrea: “Qui i medici mettono sempre i guanti, ma perché non vogliono toccare a mani nude i cancelli, le porte, le sbarre, noi in ogni caso non ci toccano mai”. Prende la parola un altro detenuto, si chiama Paolo e spiega quanto sia imbarazzante dover spiegare i propri problemi ogni volta ad un medico diverso. E poi aggiunge: “Qui vedo ogni sera quello della cella di fronte alla mia che si fa fare la puntura attraverso le sbarre, mi domando perché non si ribella a un modo così poco umano di trattare una persona malata”. Un’altra questione sollevata riguarda i detenuti tossicodipendenti. È sempre Paolo a raccontare: “I tossicodipendenti rischiano di essere emarginati tra gli emarginati. Nel mio reparto ci sono dei ragazzi ai quali vengono dati solo psicofarmaci, a volte è difficile anche avere i farmaci retrovirali”. “La riforma della sanità penitenziaria è una legge fatta dieci anni fa, ma le aziende sanitarie continuano ancora a giustificarsi dicendo che c’è una lentezza nel passaggio del sistema sanitario dall’amministrazione penitenziaria al Sistema Sanitario nazionale”. È il senatore Di Giovan Paolo questa volta ad intervenire, difendendo il passaggio al SSN, perché se ci sono cose che non funzionano, non è perché si stava meglio prima, quando la sanità dipendeva dall’amministrazione penitenziaria, la riforma è stata giusta, ma bisogna fare in modo che le cose funzionino come dovrebbero funzionare. Il dibattito si rivela intenso di esperienze personali, ma non mancano anche le riflessioni generali. Tutti sono convinti che c’è urgente bisogno di una campagna di responsabilizzazione dei medici, e di una assunzione di responsabilità maggiore dei direttori, i quali si dovrebbero rendere conto che la salute delle persone affidate loro in custodia è responsabilità anche del Direttore del carcere. Il primo obiettivo su cui si focalizza il dibattito è che non ci deve più essere il palleggiarsi della responsabilità tra azienda sanitaria e amministrazione penitenziaria, e ci deve invece essere una presa in carico della persona detenuta da parte di un medico preciso, il medico curante. Su questo basterebbe seguire l’esempio del carcere di Verona dove la responsabile per la sanità ha riorganizzato il servizio istituendo la figura del medico di reparto. Questo è un metodo che evita il passare della cartella clinica da un medico all’altro e soprattutto crea quella continuità che alle persone libere è data dal medico di famiglia. Un altro punto importante è bandire le “visite a distanza” in cui il medico non tocca il paziente: la visita medica deve essere fatta in modo effettivo, serio e approfondito. E ci vuole più trasparenza: è diritto di ogni persona sapere tutto sulla sua condizione di salute, sapere che patologia gli è stata diagnosticata e che farmaci gli sono stati prescritti. Il carcere è uno dei posti più controllati in assoluto. Da un lato c’è il controllo esercitato sulle persone private della libertà, e dall’altro c’è il controllo sui controllori e sugli operatori, affinché tutto funzioni all’interno della legalità. Tuttavia, i medici a volte sembrano essere diventati una categoria che sfugge a simili controlli. L’unica forma di protezione al detenuto/paziente è offerta dal ricorso alla magistratura, come è già successo alcune volte in cui i parenti di detenuti morti in carcere (anche nel carcere di Padova) hanno denunciato i medici per negligenza e omicidio colposo, o dalla richiesta al magistrati di Sorveglianza di intervenire a tutela del diritto alla salute. “Ci vuole la Carta dei servizi”, riprende il discorso Ornella Favero. “La legge dice che i detenuti devono avere un ruolo attivo nella stesura di questa Carta che stabilisce quali sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario fornisce. Mentre i detenuti troppo spesso non sono ritenuti degni di sapere nemmeno che tipo di pastiglie stanno prendendo. Allora la Carta dei servizi deve avere all’interno anche degli strumenti di controllo delle prestazioni erogate che coinvolgano sia l’Asl, sia la Direzione del carcere”. Il senatore Di Giovan Paolo ha ascoltato con attenzione le proposte della Redazione e si è impegnato a segnalare in tempi rapidi tutte le carenze dell’assistenza sanitaria alle autorità competenti, vale a dire al Sindaco, al presidente della Regione, ai responsabili dell’Azienda sanitaria, e ad appoggiare la richiesta dei detenuti di incontrare il responsabile della Asl per la sanità penitenziaria e avere un ruolo attivo almeno rispetto a una cosa delicata come la loro salute. “Per fare in modo che la riforma sanitaria venga completata”, conclude, “bisogna che ognuno faccia il proprio lavoro bene, che i dirigenti facciano le circolari, ma anche che i controllori controllino, e che gli operatori operino con professionalità, serve quindi anche una seria proposta di formazione e aggiornamento del personale”. Giustizia: elezioni regionali siciliane… la mafia si astiene di Lirio Abbate L’Espresso, 3 novembre 2012 La mafia si è astenuta dal voto in questa tornata elettorale per eleggere il nuovo governatore e rinnovare del parlamento siciliano. Non sappiamo cosa possono aver fatto i mafiosi a piede libero, su quali scelte politiche si sono indirizzati. Possiamo però affermare con certezza che i boss detenuti hanno preferito non votare. E di solito i mafiosi detenuti fanno ciò che viene indicato da quelli ancora liberi. L’astensione così massiccia in tutta la Sicilia non era mai avvenuta anche fra i detenuti, tanto che i seggi aperti nelle carceri sono stati deserti. Nessuno di loro si è presentato a votare. Anche i mafiosi fanno dunque parte del popolo degli astensionisti che ha toccato quota 53 per cento. Per far comprendere meglio ciò che è accaduto in Sicilia basta dire che su 7.050 detenuti hanno votato solo in 46: si tratta di carcerati comuni e non di mafia. All’istituto di pena di Pagliarelli a Palermo dove si trovano rinchiusi i mafiosi, su 1.300 detenuti solo uno si è presentato al seggio elettorale. Stesso identico atteggiamento a Catania, Agrigento e Caltanissetta. Uno scenario che ribalta, anzi trasforma ciò che in passato è stato fatto proprio dai detenuti che facevano la fila in carcere per votare il proprio candidato che in gran parte dei casi risultava essere quasi sempre lo stesso o dello stesso partito. Forse adesso i mafiosi sono rimasti a guardare. Si sono allontanati da questa competizione probabilmente per tanti motivi che forse un giorno qualche collaboratore di giustizia potrà spiegare. Eppure in passato i mafiosi hanno sempre appoggiato il “cavallo vincente”. Perché gli uomini di Cosa nostra hanno sempre avuto l’intuito di puntare sul candidato che avrebbe potuto farcela. I pentiti hanno sempre spiegato che la mafia non ha colore, e sta con chi ha il potere in mano. Forse questa volta i mafiosi hanno intuito che a vincere poteva essere Rosario Crocetta che fin da subito, anche per la sua storia personale, ha tuonato contro Cosa nostra, e allora forse non era il caso di avvicinarlo. Sta di fatto che a questa tornata elettorale dalle carceri arriva un segnale diverso. Stare lontani da questi politici. Forse vogliono stare a guardare alla finestra e imboccare la porta d’ingresso dei politici quando sarà il momento di fare affari. Si spera, in quel caso, che la politica abbia la forza di tenersi lontana dalla mafia. Il pm Ingroia: alle regionali siciliane la mafia si è astenuta (www.articolotre.com) I mafiosi non hanno votato alle Regionali del 2012. I detenuti delle carceri siciliane in altre tornate elettorali erano andati in massa alle urne per sostenere il candidato preferito da Cosa Nostra. Il giornalista Lirio Abbate spiega come “La mafia si è astenuta dal voto in questa tornata elettorale per eleggere il nuovo governatore e rinnovare il parlamento siciliano. Non sappiamo cosa possano aver fatto i mafiosi a piede libero. Possiamo però affermare con certezza che i boss detenuti hanno preferito non votare. E di solito i mafiosi detenuti fanno ciò che viene indicato da quelli ancora liberi. Su 7.050 detenuti hanno votato solo in 46: ma si tratta di carcerati comuni e non di mafia”. E al carcere di Pagliarelli a Palermo, “dove si trovano rinchiusi i mafiosi, su 1.300 detenuti solo uno si è presentato al seggio elettorale. Stesso identico atteggiamento a Catania, Agrigento e Caltanissetta”. Per Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, è evidente che “la mafia non ha investito in nessun candidato che ha vinto. C’è un’astensione molto alta ed è probabile che la mafia abbia preferito in questo momento stare alla finestra in attesa di vedere se riesce a stringere nuovi patti”. Il procuratore aggiunto, intervistato dal Tgr Sicilia ha poi confermato il prossimo trasferimento in Gutemala, dove ha accettato l’incarico Onu. “Sono quasi sulla scaletta dell’aereo ed ora sono occupato negli ultimi provvedimenti - ha detto il pm. Lavorerò fino all’ultimo minuto e lunedì penso che chiuderò i battenti di un’esperienza giudiziaria importante che ha impegnato vent’anni della mia vita professionale. Nessun ripensamento, perché la parte più importante e significativa della mia ultima attività professionale l’ho chiusa con l’indagine sulla trattativa Stato-mafia. È iniziato il processo, ho partecipato alla prima udienza. L’ultimo atto è il deposito della memoria, la summa di questa indagine. Si va in Guatemala per un impegno internazionale importante che ritengo in continuità con il mio impegno in Italia. Solo un arrivederci, non certo un addio”. Giustizia: l’astensionismo della mafia in carcere è una bufala di Sergio Scandura www.linkiesta.it, 3 novembre 2012 Per Lirio Abbate la Mafia in Sicilia si è astenuta non andando a votare in carcere: peccato che a Palermo non esistono sezioni “41bis” e i “picciotti” dietro le sbarre siano minoranza nell’isola. Silenzio: parla Abbate (e Ingroia). La notizia sulla Mafia che a Palermo non è andata a votare ha fatto il giro dei Tg, nessuno escluso. Ne è rimasto pervaso pure Enrico Mentana che dal suo Tg ha definito “inquietante” questa notizia che al momento rimane priva di qualsiasi dato che la possa confermare. Come se non bastasse rilancia la tesi pure Antonio Ingroia: il cui status di magistrato della requirente antimafia palermitana dovrebbe aiutarlo, dati alla mano, a smentire ancora l’ennesimo falso “goebbelsiano” replicato via-via su internet ed approdato sulla stampa in ogni sua forma con l’articolo di Lirio Abbate pubblicato su L’Espresso. Ingroia cavalca pure la cosa andando oltre in una intervista rilasciata a Sky Tg24: prefigurando (ci risiamo) una nuova “aria di trattativa” della Mafia in vista delle prossime elezioni nazionali... Chi ha dato origine alla leggenda, però, non ha fatto i conti con il rapporto tra popolazione carceraria, tipologie di reato e dati endemici di astensionismo nelle carceri che ormai durano da anni anche per via di un tortuoso percorso ad ostacoli che un detenuto deve affrontare per rivendicare il proprio diritto di voto dietro le sbarre. Cominciamo subito con il ricordare a Lirio Abbate (e ad Ingroia) che a Palermo non esistono sezioni “41bis”, non solo al carcere Pagliarelli ma nemmeno allo storico Hotel Ucciardone. Piuttosto: non solo non ci sono sezioni “41bis” in tutti gli istituti di pena della Sicilia ma - come opportunamente ricorda il sovrintendente regionale alle carceri siciliane Maurizio Veneziano - non esistono sezioni 41bis da Lazio in giù. Va detto, peraltro, che la maggioranza dei detenuti in Sicilia sono per reati comuni non riconducibili al 416bis et similia (droga, scippi, rapine, violenza sessuale etc.) e che le carceri siciliane, come nel resto d’Italia, hanno pure una maggioranza significativa di extracomunitari: e non abbiamo ancora fatto la tara di chi, in virtù di alcuni dispositivi definitivi di condanna per reati gravi, ha perso “la capacità di agire” ergo ha oramai definitivamente perso il diritto al voto. “In passato i detenuti facevano la fila per andare alle urne”. Si apre così la proiezione olografica di Abbate nell’articolo sui mafiosi che in carcere si sono astenuti, mandando chissà quale “segnale” (sempre ammesso, poi, che sia sistematicamente la Mafia a cercare la Politica e non viceversa). C’è pure un “piccolo” particolare. Le urne vuote nelle carceri non sono un caso peculiare né di questi giorni, né delle passate tornate elettorali: e non sembra nemmeno a questo punto un riflesso “ad hoc” in virtù della candidatura di Crocetta in Sicilia. L’astensionismo record nelle carceri è una tendenza che va avanti da svariati anni. Lo spiega bene il deputato radicale Rita Bernardini che sul diritto al voto per i detenuti sta conducendo una battaglia parlamentare e legislativa partendo da un inconfutabile dato: tra i 30mila i detenuti con diritto di voto in Italia, ad aver esercitato il diritto-dovere nelle tornate elettorali nazionali del 2006 e del 2008 è stato soltanto il 10 per cento. La corsa ad ostacoli per un detenuto che voglia esercitare il proprio diritto di voto, in virtù di una regolamentazione in vigore dal 1976, la racconta bene Rita Bernardini: “per ogni tornata elettorale il Ministro della Giustizia deve fare una circolare a tutti i Provveditori regionali. I Provveditori regionali devono poi mandare questa circolare a tutte le carceri una-per-una. Una volta ricevuta, i direttori di ogni istituto, devono affiggere la circolare in tutte le sezioni circondariali per annunciare la tenuta delle elezioni e per indicarne la procedura. Una volta affisso “il bando” il detenuto - ammesso che sia riuscito a leggerla quella circolare - deve fare una “domandina”: una istanza al direttore del carcere in cui si trova recluso, manifestando la propria intenzione di recarsi alle urne del penitenziario. Il direttore del carcere, una volta ricevuta la “domandina” dovrà andare a controllare lo status giudiziario del detenuto per certificarne l’esercizio del diritto al voto del recluso. Una volta certificata la piena capacità di agire del detenuto, il direttore invia la richiesta al comune di residenza del detenuto (che quasi sempre non è lo stessa del carcere, financo fuori regione). Il comune di residenza che a sua volta ha ricevuto il nulla osta della direzione, deve rispondere in un tempo utile entro tre giorni prima delle elezioni: inviando la tessera elettorale del detenuto e iscrivendo l’elettore al seggio elettorale speciale previsto in carcere dopo averlo cancellato dal vecchio seggio comunale a cui apparteneva quando era a piede libero, per evitare doppi voti”. Provate dunque ad immaginare l’esito-non-esito finale della “pratica”, ove solo riuscisse ad incardinarsi, per come stanno messe oggi le amministrazioni penitenziarie nei loro organici, nelle loro energie. Che dire? Piuttosto che rispondere via twitter con un piglio che poteva risparmiarsi (“bravo Sergio, la Mafia non esiste”), il giornalista de L’Espresso ha preso (e dato) un abbaglio. Quella di Abbate (e Ingroia) sulla Mafia che si è astenuta per via di un inesistente voto in carcere, dati alla mano, rimane una proiezione olografica e - semmai una “trattativa” al momento esiste - è quella della Bernardini e dei radicali per consentire ai detenuti un diritto che comunque, piaccia o no, ai carcerati spetta: quello del voto. Se poi si scrivono le cose per avvalorare suggestive tesi abdicando alla verità, temo (spero di sbagliarmi) si rischi di solo di fare un favore ad una Mafia che al momento vede in Sicilia i suoi principali Boss assicurati nelle patrie galere del 41bis dal Lazio in su: ed è proprio da Roma in su, peraltro, che la Mafia sta facendo sudare freddo il Nord con la sua Palma di sciasciana memoria (se la memoria ha un futuro). Umbria: nomina del Garante dei detenuti... come uscire dalle sabbie mobili Notizie Radicali, 3 novembre 2012 A seguito della decisione della Presidenza del consiglio della Regione dell'Umbria di aprire un bando per la scelta dei candidati, grazie alla collaborazione con l'ufficio del garante della Regione Emilia Romagna, posto queste note che danno un quadro di come altre amministrazioni locali e regionali agiscono in merito alla nomina. In particolare, va sottolineato il criterio scelto dal Comune di Bologna, di apertura e di trasparenza, che qui sotto viene riportato. Malgrado sia passato più di un mese dall'annunzio che dà seguito a quella decisoine, ancora nessuna norma, ci risulta, sia stata approvata dall'amministrazione regionale umbra. La figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale ha trovato riconoscimento legislativo con la L. 27 febbraio 2009, n. 14, che ha modificato L. 26 luglio 1975, n. 354. Si è così previsto che il garante possa avere colloqui con i detenuti e gli internati, anche al fine di compiere atti giuridici (art. 18) e che il garante possa visitare senza necessità di preventiva autorizzazione gli istituti penitenziari che insistono sul territorio di competenza (art. 67). Sono praticate due modalità di individuazione del Garante: per nomina sindacale (o del presidente della Provincia o del Presidente della regione, come nel caso del sen. Fleres per la Sicilia) o per nomina elettiva del Consiglio (comunale, regionale, non si hanno notizie di nomine dei consigli provinciali). In alcuni casi, come per il Comune di Bologna, si è intervenuti sullo Statuto che ha inserito l’art. 13 bis, di istituzione del Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, “istituzionalizzando” la nuova figura di garanzia: Art. 13 bis (Garante per i diritti delle persone private della libertà personale) 1. Il Comune istituisce il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, al fine di promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone comunque private della libertà personale o limitate nella libertà di movimento. 2. Il Garante svolge la propria azione di tutela nei confronti delle persone che, nelle condizioni di cui al precedente comma 1, siano domiciliate, residenti o comunque presenti nel territorio del Comune di Bologna, con riferimento alle competenze dell’Amministrazione e tenendo conto delle particolari condizioni dei soggetti stessi. 3. Le azioni poste in essere per le finalità di cui al precedente comma 1 sono volte a garantire alle persone private della libertà personale il diritto al lavoro, alla formazione, alla crescita culturale, alla tutela della salute, alla cura della persona, anche mediante la pratica di attività formative, culturali e sportive. 4. L’elezione, il funzionamento del Garante ed i profili procedurali riferiti all’attività da esso esercitata sono disciplinati da apposito regolamento. Successivamente con deliberazione OdG 23 del 26/01/2004 il Consiglio Comunale ha approvato, con apposito Regolamento, la disciplina delle modalità di elezione del Garante, nonché l’organizzazione e le modalità di funzionamento dell’Ufficio di supporto. All’art. 4 sono previste le modalità di presentazione delle candidature, valutazione e modalità di elezione del Garante per i diritti delle persone private della libertà personale: 1. Il Presidente del Consiglio Comunale pubblicizza con adeguati strumenti la possibilità di presentare candidature per l'elezione a Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, informandone la cittadinanza entro congruo termine. 2. I cittadini in possesso dei requisiti indicati al precedente articolo 3 possono presentare le proprie candidature alla carica di Garante, inoltrando apposita istanza al Presidente del Consiglio Comunale, accompagnata da dettagliato curriculum. 3. Le candidature ed i relativi curricula sono messi a disposizione dei Consiglieri comunali. 4. Le candidature ed i curricula sono sottoposti all'esame della I Commissione consiliare "Affari Generali e Istituzionali", la quale provvede, previa definizione dei criteri di valutazione dei curricula, all'individuazione dei soggetti ritenuti maggiormente idonei a ricoprire la carica, definendo una rosa di tre candidati da proporre al Consiglio comunale per l'elezione. (in allegato delibera 23 del 26/01/2004 integrale). Per quanto riguarda il caso specifico della Regione Emilia-Romagna la figura del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale è stata istituita con Legge regionale 3 del 19 febbraio 2008. Successivamente, l’assemblea legislativa con propria delibera n.23 del 21 settembre 2011, in modifica alla L.R. n.9 del 17 febbraio 2005 “garante per l’infanzia e l’adolescenza” e n. 3 del 19 febbraio 2008 “garante della persone ristrette negli istituti penitenziari della regione”, stabilisce nuove norme sugli Istituti di Garanzia. Il Garante che viene scelto tra persone in possesso dei requisiti e di comprovata esperienza almeno quinquennale, viene eletto dall’Assemblea legislativa, con voto segreto. Ciascun consigliere ha facoltà di avanzare una candidatura allegando curricula. La nomina della Garante è avvenuta con deliberazione dell’Assemblea regionale n. 65/2011. Per quanto riguarda il bando di presentazione delle domande per la nomina del garante regionale è previsto per la regione Campania, pubblicato a cura del Presidente del consiglio, sul bollettino ufficiale della regione, entro trenta giorni dall’approvazione della legge di istituzione del garante, ovvero entro 30 giorni dalle dimissioni o scadenza del mandato. Ci risulta essere stata data evidenza pubblica per la presentazione delle candidature per l’individuazione del garante dei detenuti, oltre che per il comune di Bologna ( in allegato in pdf l’avviso come pubblicato nel Comune di Bologna) anche a Rovigo. Bolzano: a gennaio scorso la rivolta in carcere, ora il giudice convoca guardie e detenuti di Susanna Petrone Alto Adige, 3 novembre 2012 Fissata la data per l’incidente probatorio che dovrà fare chiarezza su cosa sia realmente accaduto il giorno della rivolta all’interno del carcere: lunedì il giudice delle indagini preliminari Walter Pelino sentirà dodici agenti della polizia giudiziaria e ventiquattro detenuti, che si sono costituiti parte civile nell’indagine. La rivolta era scoppiata il 23 gennaio scorso: erano stati incendiati materassi, vestiti, cibo e carta. Quattro persone erano rimaste intossicate ed erano state trasportate all’ospedale per essere medicate. Un intero piano era stato dichiarato inagibile e i danni ammontavano a 20 mila euro. Settanta detenuti erano stati spostati in altre strutture carcerarie. Sin dall’inizio il sostituto procuratore Axel Bisignano ha aperto due inchieste parallele sulla vicenda: la prima vede tra gli indagati sei detenuti, che dovranno rispondere di danneggiamento aggravato e incendio doloso. La seconda, invece, non è stata ancora conclusa. Lunedì - ma con ogni probabilità anche martedì - il gip sentirà le dichiarazioni di dodici poliziotti, che al momento della rivolta si trovavano in servizio. Infine raccoglierà le deposizioni dei ventiquattro detenuti che si sono costituiti parte civile, denunciando di essere stati maltrattati e picchiati ingiustamente. Il secondo filone era stato aperto proprio dopo che un giovane magrebino aveva dichiarato di essere stato picchiato dagli agenti della polizia penitenziaria prima dei disordini. Aveva spiegato che i detenuti si erano innervositi, dando vita alla rivolta a causa della presunta aggressione. Per il momento, in mano agli inquirenti, c’è solo un certificato medico, che riporta la data della rivolta. Secondo la documentazione, il giovane detenuto sarebbe caduto dalle scale procurandosi ferite alla schiena e al volto. Il giorno dei disordini - in mattinata - il magrebino afferma di essere stato convocato presso l’ufficio matricola. Gli agenti gli avrebbero notificato un’ulteriore sentenza, confermandogli di fatto che la sua permanenza si sarebbe prolungata. Ma il detenuto avrebbe iniziato ad agitarsi, spiegando che doveva trattarsi di un malinteso. Da questo momento le versioni cambiano: il marocchino dice di essere stato picchiato. Gli agenti dicono di averlo riportato in cella. Pisa: Cgil; il carcere cade a pezzi, serve ristrutturazione seria, oppure va chiuso Il Tirreno, 3 novembre 2012 “O si pensa ad una ristrutturazione seria e ai necessari investimenti, o si chiudono i battenti e si va in un’altra struttura”. È la proposta che fanno i sindacati della Funzione pubblica Cgil per gli ormai annosi problemi del carcere Don Bosco, una struttura effettivamente fatiscente, sovraffollata, con personale all’osso e che è reduce da due clamorose evasioni in pochi anni. Evasioni che hanno portato solo alla decapitazione dei vertici - a casa direttore e comandante delle guardie, sotto inchiesta con due agenti che da soli avrebbero dovuto controllare di notte tutto il perimetro del carcere - ma non al ricorso, dicono i sindacati, a soluzioni concrete. Perché uno dei veri problemi del Don Bosco resta proprio la sicurezza, visto che sistemi d’allarme e telecamere sarebbero afflitti da longevi problematiche di funzionamento a singhiozzo. A mettere il dito sulle tante piaghe sulla casa circondariale pisana, ieri, alla Camera del lavoro, il segretario provinciale Cgil della funzione pubblica, Maria Borsò, il coordinatore regionale, Stefano Turbati, e un rappresentante degli agenti di polizia penitenziaria, Piero Colarusso. “Anche entrare nella struttura - ha detto il segretario provinciale - è stata un’impresa e ci siano dovuti riferire alle legge 81 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro per ottenere l’accesso, consentito solo ad Asl e Visag. Le condizioni in cui abbiamo trovato la struttura sono pessime ed erano comunque dai noi monitorate dall’inizio dell’anno. La capienza, problema ormai noto, è di 210 detenuti contro l’attuale media di 340, a fronte di un personale complessivo di circa 300 persone, 258 agenti teorici, cioè sulla carta, perché fra distaccati e malattie sono 188, più una trentina di amministrativi. Gli agenti sono sotto di un 30%, ma l’organico futuro, che si calcola sull’attuale, prevede un’ulteriore diminuzione del 10%, arrivando, fra blocco di turn over, età avanzata e turni ad avere in totale, a breve, un calo che sfiora il 50%. Altri cali si prevedono in amministrativi, educatori e assistenti sociali (-10%), e sui dirigenti (si parla del -20%: in Toscana mancano sei direttori). All’orizzonte lo spettro del decreto privatizzazioni: non vogliamo pensare cosa potrebbe accadere se davvero un carcere andasse in mano a privati dove la legge è quantità e profitto. Ci vuole un piano di investimenti - sottolinea Turbati - che restituisca agli istituti penitenziari la dignità dovuta a chi in quei luoghi vive e lavora. Dei ventuno presenti in Toscana, diciannove non sono a norma, unica alternativa ad una eventuale chiusura. E al problema ci vuole un’attenzione, politica, amministrativa, istituzionale, costante e non strumentale”. “Il Don Bosco - aggiungono i sindacalisti - ha sotterranei semiallagati e con infiltrazioni d’acqua che minano la stabilità della struttura; gli uffici, a parte la mancanza di accessi ai disabili, sono antigienici e angusti, a volte ricavati in sottotetti. La sala colloqui è piccola e vecchia, i servizi igienici incivili (quelli delle detenute sono esposti alla vista di chi passa), le cucine piccole e senza aerazione sufficiente. La sezione giudiziaria ha due docce ammuffite per 56 detenuti, la caserma del personale è piena di infiltrazioni d’acqua, il centro clinico ha cortili bui e allagati. Dulcis in fundo c’è il muro di cinta, con parapetti bassi, pavimenti sconnessi, aree buie e filo spinato a protezione dell’eventuale caduta, e infine cortili nascosti alla vista degli agenti. Nuoro: Sdr; ergastolano detenuto a Badu e Carros denuncia “sono stato deportato” Ansa, 3 novembre 2012 “Badu e Carros, bisogna dirlo, è oggi un carcere proiettato a dare concreta attuazione al principio rieducativo e non a quello repressivo-vendicativo, e la Direzione è sempre aperta alla creazione di progetti, corsi culturali, laboratori artigianali, sebbene siano necessari finanziamenti per dare concreta attuazione al principio rieducativo. Per contro il personale di Polizia penitenziaria è in una condizione di abbandono e sotto organico di decine di unità”. Lo ha scritto in una lettera all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” l’ergastolano Marcello Dell’Anna, 45 anni, ex esponente di spicco della Sacra Corona Unita, recentemente laureatosi in Giurisprudenza, con riferimento alla visita effettuata lunedì 22 ottobre al carcere di Nuoro dalla Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani. “Chi dispone di un diritto ispettivo - sottolinea Dell’Anna - lo eserciti appieno. Nell’occasione della visita ho avuto modo di parlare con alcuni Senatori anche se parlare a dietro delle sbarre non ha nulla di “diritto umano”. Ho voluto sollevare il problema della territorialità della pena, nonché il diritto di espiare la pena dell’ergastolo in celle singole e non multiple, atteso che uno deve starci per tutta la vita. Sono stato per 20 anni ristretto in cella singola perché ritenuto pericoloso ma credo che non lo si possa essere a convenienza dal momento che oggi per esigenze di struttura dell’Istituto di Nuoro vengo allocato in cella multipla con altre persone con conseguenze psicologiche ben immaginabili. Delle due l’una: o sono pericoloso e non lo sono più. Mi ha fatto sorridere uno dei Senatori che mi ha sussurrato andando via “…ha ragione. Molto spesso anch’io voglio stare da solo a casa perché non sopporto nemmeno mia moglie”. “Il Capo del Dipartimento dovrebbe comprendere - afferma ancora Dell’Anna - che non si può espiare una condanna a morte in una cella multipla condivisa con altri ergastolani e lontani dalla propria famiglia senza effettuare i colloqui per la notevole distanza. Sono stato “deportato” in Sardegna perché ho avuto il coraggio e la volontà di prendere le distanze dal mondo criminale recidendo ogni rapporto col passato. Perché sono stato insignito con diversi encomi, perché ho scritto due libri e ho donato in beneficienza il ricavato, per avere studiato e conseguito la laurea in Giurisprudenza e di avere ottenuto in quella circostanza un permesso di 14 ore senza scorta e rientrato in carcere”. “La vicenda di Marcello dell’Anna - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR - evidenzia i tratti contraddittori di un sistema che assegnando i detenuti nei diversi Istituti secondo criteri spesso orientati a risolvere problemi logistici che per motivazioni che tengano conto delle norme dello Stato. In particolare la presenza di ergastolani in Alta Sicurezza deve essere garantita nelle Case di Reclusione e non nelle Case Circondariali com’è Badu e Carros. Devono inoltre poter espiare la pena prevalentemente in una cella singola evitando situazioni di incompatibilità. La questione della territorialità della pena è inoltre ancora irrisolta inducendo a ritenere che l’allontanamento dal luogo di origine - conclude Caligaris - sia piuttosto suggerita da atteggiamenti puntivi anziché rieducativi. Una barbarie che provoca conseguenze gravissime sulle famiglie non colpevoli dei reati”. Palermo: Osapp; al carcere di Pagliarelli agenti protestano per scarsa qualità cibo Ansa, 3 novembre 2012 “Gli agenti di Polizia penitenziaria in servizio nel carcere Pagliarelli di Palermo hanno protestato, decidendo di non avvalersi della mensa a causa dell’inadeguatezza qualitativa dei pasti somministrati dalla ditta appaltatrice del servizio”. Lo rende noto il vice segretario generale dell’Osapp Mimmo Nicotra. “Sembrerebbe - dice Nicotra - che sia stato somministrato del pane preparato giorni addietro e per il quale anche il medico dell’istituto ha sconsigliato la distribuzione al personale”. Il vice segretario generale dell’Osapp ha sottolineato “il disagio che è costretto a subire quotidianamente” il personale di polizia penitenziaria in servizio nella struttura, e che “solamente da pochi giorni ha visto nuovamente la possibilità di fruire di un pasto decente durante l’espletamento del proprio mandato istituzionale”. “È impensabile - afferma Nicotra - che ai poliziotti penitenziari, che assicurano turni di servizio che spesso superano anche le 12 ore continuative, venga propinato del cibo, a quanto pare, assolutamente inadeguato rispetto agli standard di qualità e quantità”. Voghera (Pv): cittadino argentino pestato dai carabinieri, in sei rinviati a giudizio di Chiara Paolin Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2012 I cavalli sono la vita di Isidro Luciano Diaz: cittadino argentino di 41 anni, di cui 23 passati in Italia, un allevamento tutto suo, El Gaucho, e una brutta storia che gli ha rovinato l’anima. Il 5 aprile del 2009 stava tornando da un rodeo, dove aveva gareggiato e vinto, per tornare al suo ranch vicino Lecco: una cavalla doveva sgravare, lui voleva esserci. Una pattuglia dei Carabinieri ferma il suo Suv che fila veloce, e qui la verità comincia a smarrirsi. Secondo i militari l’uomo li minaccia con un coltello, è ubriaco, bisogna ammanettarlo con la forza e portarlo in caserma a Voghera. Secondo Isidro, invece, è lui a consegnare spontaneamente il coltello che tiene in macchina, protetto dalla fodera di sicurezza: gli serve per lavoro, ma ha avuto in passato una condanna per minacce e non vuole altri guai. La reazione dei due carabinieri, secondo Isidro, è subito violenta: botte, minacce e insulti. Trattamento che continua in caserma. Una notte da incubo, sbattuto contro le pareti e preso a calci, spaventato a morte. “Chiedevo di vedere un medico, di chiamare il pronto soccorso, non mi hanno neanche mandato in bagno - ha raccontato Isidro. Ho urinato sul pavimento, e il giorno dopo la guardia mi ha detto: “A casa tua fai così”? Ha avuto anche il coraggio di dire questo...”. La mattina dopo, davanti al giudice di Tortona che doveva valutare la sua posizione, Isidro accetta il patteggiamento a un anno di reclusione con arresti domiciliari, e pure la condanna a resistenza a pubblico ufficiale. Ma, una volta uscito dal tribunale, Isidro capisce che la storia non può finire così. Ha i timpani sfondati, gli occhi tumefatti, la schiena abrasa. Da casa sua chiama il 118, ma l’ambulanza non arriva: sappiamo chi sei e cosa hai fatto, devi arrangiarti. Decide quindi di andare all’ospedale da solo, gli dicono che dovrà curarsi, operarsi: i danni all’udito e alla vista saranno permanenti anche dopo sei interventi chirurgici e tre anni passati da un dottore all’altro. Isidro decide di sporgere denuncia, e cominciano le indagini. Inizialmente i due carabinieri che l’avevano fermato in auto sono accusati di lesioni, violenza, omissione e falso in atto pubblico, ma vengono rinviati a giudizio solo per il falso. Tutte le altre accuse decadono, caso archiviato. Il pm però ricorre in Cassazione, e la corte decide per un nuovo processo. Si torna a ricostruire quella giornata, si guardano le foto, i referti medici, le cartelle cliniche di Isidro. Intanto, lo scorso gennaio, uno dei due militari viene condannato a due anni e tre mesi di reclusione per lesioni: è un procedimento che viaggia in parallelo, un verdetto che delude Isidro. “Perché solo un condannato? E l’altro?” si domandava temendo che la giustizia italiana si fermasse lì. Invece ieri qualcosa è cambiato. Il processo scaturito dalla decisione della Cassazione ha portato a un risultato che l’avvocato di Isidro giudica importante: i sei carabinieri che componevano il Norm, nucleo operativo radio mobile, sono stati rinviati a giudizio per lesioni e falso. “Speriamo stavolta si faccia chiarezza fino in fondo” dice Fabio Anselmo, legale che, oltre al caso Diaz, ha seguito le vicende Cucchi e Aldrovandi. L’Associazione A Buon Diritto è stata ammessa come parte civile al processo, e anche questa è una novità, perché i pestaggi in caserma e la violenza per manovelle forze dell’ordine sono diventati temi sensibili. A Vigevano però il clima è ostile alle indagini. Chiudere la storia con una singola condanna poteva essere un buon compromesso, ora il discorso si riapre. I sei carabinieri sono tutti in servìzio effettivo, e uno di loro opera direttamente per la Procura di Vigevano. Volterra (Pi): studenti e detenuti fianco e a fianco nella nuova scuola alberghiera Il Tirreno, 3 novembre 2012 Detenuti e studenti fianco a fianco, in un nuovo corso di studi che valorizzerà risorse umane e potenzialità del territorio. Dal prossimo settembre l’Itcg Ferruccio Niccolini potrebbe rafforzare la propria collaborazione con la casa di reclusione volterrana, attraverso l’attivazione di un nuovo corso di studi a indirizzo alberghiero. “Si tratta di un’idea nata da poco - spiega la dirigente scolastica dell’istituto tecnico, Ester Balducci - che dunque ha appena iniziato la procedura di realizzazione, ma che ha già raccolto molti consensi. Un corso di studi superiore in ambito alberghiero coprirebbe un buco nella zona della Valdicecina, non solo per i detenuti, ma anche per gli studenti esterni. Anche loro infatti potranno iscriversi, seguendo nei locali della casa di reclusione i corsi insieme ai detenuti. Un vantaggio per i residenti, finora costretti a emigrare fino a Cecina o a Pisa per frequentare questi corsi, ma anche per le attività di ristorazione locali, in cui i diplomati potranno essere reinseriti con più facilità. Resta inteso che tutti gli altri corsi, compreso quello di geometra, non subiranno cambiamenti”. Manca ancora l’ufficialità, dato che l’Ufficio scolastico regionale si pronuncerà nelle prossime settimane, ma le prime sensazioni sono più che positive. “Le istituzioni e le associazioni di categoria locali - spiega la direttrice del carcere, Maria Grazia Giampiccolo - hanno offerto il proprio sostegno: iniziative come queste infatti danno la possibilità al nostro territorio di investire in vocazione turistica, tra l’altro attraverso una collaborazione unica nel suo genere a livello nazionale. È un tassello che mancava nel panorama educativo della zona, che tra l’altro si inserisce nel percorso già intrapreso con le cene galeotte: la casa di reclusione mette a disposizione le sue cucine e i suoi locali per le lezioni. Anche Leonardo Romanelli, noto critico culinario legato da tempo alle nostre iniziative, si è detto entusiasta del nuovo progetto nato proprio da una nostra idea”. Genova: lunedì 5 manifestazione davanti al carcere di Marassi per l’amnistia Notizie Radicali, 3 novembre 2012 Lunedì 5 novembre ore 10 davanti al carcere di Marassi manifestazione per l’amnistia e l’indulto organizzata dal Gruppo Facebook Carcerato Indignato con l’adesione di Radicali Genova e Gruppo Referendum e Democrazia di Camogli. Presso il Circolo Arci accanto al carcere sarà possibile firmare = Amnistia Subito! “Una questione di prepotente urgenza” sempre più prepotentemente urgente… lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Signor Presidente della Repubblica, ci rivolgiamo a Lei quale primo garante della legalità costituzionale del nostro ordinamento, con la massima fiducia in un Suo immediato ricorso al potere di messaggio alle Camere, affinché il Parlamento eserciti finalmente le proprie prerogative per dare una contestuale risposta, concreta e non più dilazionabile, sia alla crisi della giustizia italiana che al suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri. Bollate (Mi): filatelia nelle carceri, il protocollo d’intesa ancora in attesa della firma www.vaccarinews.it, 3 novembre 2012 Più volte negli ultimi tempi citato nei discorsi ufficiali, il progetto “Filatelia nelle carceri” sta prendendo corpo. Già una bozza di lavoro è in mano ad alcune associazioni dei collezionisti, perché saranno loro le principali interlocutrici. “I contenuti del protocollo con il ministero della Giustizia e con il ministero dello Sviluppo economico -spiega a “Vaccari news” la responsabile per la filatelia di Poste italiane, Marisa Giannini- sono stati definiti”. Occorre solo trovare un giorno in cui i relativi rappresentanti, Paola Severino Di Benedetto e Corrado Passera, possano sottoscriverlo insieme ai delegati degli altri partner, ossia Poste, Federazione fra le società filateliche italiane ed Unione stampa filatelica italiana. Poi, si passerà alla fase operativa. “I formatori - prosegue Marisa Giannini - saranno forniti soprattutto dai circoli, che in tanti hanno aderito, a cominciare dalla Liguria. Decideranno loro se interfacciarsi direttamente con i carcerati o con gli assistenti sociali. Dobbiamo partire al più presto, per vedere cosa fare nello specifico e come muoversi”. In una quindicina di pagine, l’essenza dell’iniziativa, originata da quanto realizzato, grazie in particolare a Danilo Bogoni, nel penitenziario di Bollate dal 2010. Qui venne fondato il Circolo filatelico “Intramur”, arrivando, l’anno successivo, ad esporre durante “Milanofil” la propria esperienza. Essa - si legge nel prospetto - “ha dimostrato che i detenuti, spinti inizialmente dalla curiosità e dal desiderio di sottrarsi alla monotonia della cella, hanno trovato nella filatelia le giuste motivazioni per approfondire - divertendosi - argomenti e tematiche di forte impatto culturale, realizzando quella rieducazione che è alla base dello stesso sistema carcerario italiano”. Da qui, l’impulso a sviluppare un progetto adeguato di orientamento al collezionismo filatelico. In base alle aspettative, i beneficiari potranno sviluppare abilità trasversali, quali l’osservazione, la riflessione, l’ordine e la collaborazione; apprendere conoscenze storiche, geografiche, scientifiche ed artistiche; ottenere un aiuto nella socializzazione. Tra gli obiettivi più generali, creare gruppi filatelici interni, realizzare collezioni collettive, organizzare corsi di formazione per tutor (cioè per detenuti con particolare interesse e sensibilità) ed eventi, mostrare all’esterno -laddove possibile- gli esiti raggiunti. Televisione: questa sera a “Tg2 Storie” detenute e poliziotte del carcere di Trento Agi, 3 novembre 2012 I racconti della settimana del Tg2 Storie, con Maria Concetta Mattei, sabato 3 novembre alle 24.15 su Rai 2. In Giordania accolgono decine di migliaia di fuggiaschi dalla Siria in fiamme, fra umana solidarietà o limiti pratici oggettivi, con gli inviati Carlo Maria Lo Savio e Alessandro Filippini. Per la prima volta dalla morte dell’artista gli eredi mostrano gli oggetti appartenuti all’artista e lo studio di registrazione privato dove componeva nel servizio di Daniela Bisogni. Detenute e poliziotte del carcere di Trento, raccontano i sentimenti di chi è costretto - o lavora - al di qua delle sbarre, con Sandra Bortolin. Si esibisce nel penitenziario di Volterra, ma i suoi attori calcano i palcoscenici dei maggiori teatri italiani e il più famoso è Nello Aiello, protagonista di “Reality”. Maledetta Mafia è il titolo del libro scritto a quattro mani con Umberto Lucentini da una delle prime donne testimone di giustizia contro la mafia, nel servizio di Andrea Silla. A Campi Bisenzio aperto al pubblico l’archivio storico di Linea Più, e a Prato una mostra ricorda Enrico Coveri. Il servizio di Franco Fatone. Infine un ricordo di Werner Henze, compositore tedesco scomparso pochi giorni fa. Da 50 anni viveva in Italia, perché qui - diceva - aveva trovato l’armonia. L’intervista di Luciana Capretti. Cinema: la provincia di Pisa premia Aniello Arena, il “suo” detenuto-attore Ansa, 3 novembre 2012 La Provincia di Pisa festeggia Aniello Arena, il detenuto attore della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra protagonista di “Reality”, l’ultimo film di Matteo Garrone, che a Cannes ha vinto il gran premio della giuria. Martedì prossimo alle 18.30, in occasione di una seduta aperta della Commissione Cultura, Arena sarà ricevuto nella sala consiliare della Provincia e riceverà dal presidente Andrea Pieroni e dall’assessore alla Cultura, Silvia Pagnin, uno specifico riconoscimento. “Il successo di Reality - spiega l’assessore - è senz’altro dovuto anche all’intensa interpretazione del suo volto principale, voluto fortemente dal regista dopo averlo visto all’opera con la Compagnia della Fortezza, che, in oltre vent’anni di attività in nome della cultura, è divenuta punto di riferimento importante sulla scena italiana e internazionale”. In serata al cineclub Arsenale di Pisa si svolgerà una serata-evento con Arena e la proiezione del film e il direttore artistico del teatro-carcere, Armando Punzo. “Si tratta - conclude Pagnin - di una giornata speciale, voluta per conoscere e far conoscere l’esperienza di Arena e, in generale, il percorso teatrale seguito in questi anni all’interno dell’istituto penitenziario volterrano, al quale la Provincia non ha mai fatto venire meno il proprio sostegno”. Albania: muore in ospedale a Bari ex detenuto politico che si era dato alle fiamme www.agenzianova.com, 3 novembre 2012 Lirak Bejko, 49 anni, il secondo ex detenuto politico che lo scorso 10 ottobre si era dato fuoco per protestare contro il mancato risarcimento da parte del governo per gli anni trascorsi nelle carceri della dittatura comunista, si spento oggi nel policlinico di Bari dove era stato ricoverato per cure specializzate. La sua morte stata annunciata dai famigliari, i quali hanno spiegato che Bejko sarebbe deceduto in seguito alle complicazioni provocate dalle gravi ferite riportate. Bejko era tra i 20 ex perseguitati politici che alla fine di settembre hanno indetto uno sciopero della fame, durato 30 giorni e sospeso su decisione degli stessi scioperanti, dopo che il governo non ha voluto prendere in considerazione le loro richieste, insistendo, invece, di aver rispettato la legge per il loro rimborso finanziario. Bejko, si era dato fuoco a Tirana il 10 ottobre scorso ed era stato trasferito presso il policlinico di Bari. È stato il partito socialista all’opposizione, guidato da Edi Rama, ad aver sostenuto le spese per garantire il trasporto con un aereo sanitario privato, mentre l’ambasciata d’Italia a Tirana, si attivata per facilitare le procedure, visto che si trattava di un caso umanitario. Anche Gjergj Ndreca, l’uomo che per primo si era dato fuoco, era stato trasferito presso un ospedale in Grecia.