Giustizia: carceri, la resa dello Stato di Valentina Ascione Gli Altri, 2 novembre 2012 La settimana scorsa è finalmente approdato in aula, alla Camera, il disegno di legge delega al Governo in materia di decarcerarizzazione a lungo rimasto al palo. Il provvedimento che nelle intenzioni del ministro della Giustizia Severino dovrebbe rappresentare la “seconda gamba” del pacchetto di interventi volti a contrastare il sovraffollamento carcerario, dopo il decreto che, con risultati scadenti, ha esteso da 12 a 18 mesi il residuo di pena da poter scontare ai domiciliari. E che tuttavia è rimasto orfano, il ddl, di una materia tra le più urgenti e necessarie: quella relativa alle depenalizzazioni. Stralciata, e quindi dirottata su un binario morto o quasi, perché chiaramente inefficace. Così come era stata formulata, infatti, avrebbe interessato non più di un migliaio di procedimenti l’anno. Mentre un progetto di depenalizzazioni più incisivo avrebbe richiesto un coraggio che alle nostre istituzioni continua ancora adesso a mancare. Quella che emerge dalla discussione tardiva di proposte del tutto inadeguate e prive di forza, rispetto alle riforme di cui avrebbe realmente bisogno la macchina della giustizia, è dunque la resa dello Stato. Come l’ha definita la deputata radicale Rita Bernardini. Che in risposta a questa e a tutte le altre occasioni mancate, e per ribadire la richiesta di un’amnistia, ha dato inizio con la segretaria dell’associazione il Detenuto Ignoto Irene Testa a uno sciopero della fame alternato a quello della sete. Rafia Cucchi si è chiesta come sia possibile che in un paese civile, in una democrazia, si debba arrivare a tanto per scuotere le coscienze e richiamare le istituzioni alla legalità. Lei, che per sollevare l’attenzione sulla morte brutale e assurda del fratello Stefano ha dovuto rendere pubbliche le foto del suo corpo esanime martoriato. Per strapparla al silenzio nel quale quasi sempre sono confinate le vite che giorno dopo giorno si spengono dietro le sbarre, come candele consumate. È accaduto tre volte nell’arco di 24 ore - le stesse in cui la Camera era impegnata nel dibattito sul ddl delega - a Firenze, Prato e Siracusa, dove 2 detenuti si sono impiccati con il filo della tv e uno con un sacchetto della spazzatura. Mentre un quarto è morto sotto i ferri durante un’operazione effettuata d’urgenza al Policlinico Umberto I di Roma. Il suicida di Firenze era uno spazzacamino di 47 anni che in seguito a una trasfusione aveva contratto l’Aids, come ha reso noto l’avvocato. Il suo è il 50esimo suicidio in carcere di quest’anno. 135 è invece il numero totale dei decessi (mentre scriviamo). Giustizia: emergenza suicidi anche tra gli agenti; il Dap “subito monitoraggio più attento” di Davide Re Avvenire, 2 novembre 2012 Sessantadue detenuti suicidi nel 2011 nelle carceri italiane, 45 nei primi 9 mesi del 2012, indice di un disagio ormai dilagante. Numeri da brividi, ai quali vanno aggiunti un numero, inferiore ma altrettanto preoccupante, di episodi analoghi fra gli operatori della Polizia penitenziaria. Ben 8 i suicidi fra gli agenti nel 2011 e altri 8 sono stati registrati nei primi 4 mesi del 2012. Le carceri italiane sono ormai un malato grave che induce a gesti e-stremi non solo i detenuti, ma anche gli operatori del settore, afflitti pure loro da criticità ormai storiche come il problema abitativo. Tuttavia le cause scatenanti sono altre. Gli esperti parlano, sia nel caso dei detenuti sia in quello degli agenti, di un mix di fattori. Tuttavia, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria è corso ai ripari e ha istituito un Gruppo di studio, presieduto dal vicecapo vicario del Dap, Simonetta Matone, che si aggiunge all’attività dell’Unità di monitoraggio degli eventi di suicidio (Umes), creata nel 2000 e ricostituita dopo l’insediamento, a giugno scorso, dal nuovo capo del dipartimento, Giovanni Tamburino. Un riepilogo dei dati è stato fatto sull’ultimo numero della rivista del Dap “Le due città”: “L’incidenza dei suicidi di detenuti in carcere ha un andamento costante negli ultimi 20 anni - si legge sulla pubblicazione -, con numeri che vanno da un minimo di 45, nel 1996 e nel 2007, a un massimo di 69 nel 2001. Stabile anche il numero degli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita: tra il 2007 e l’anno in corso oscillano tra 5 e 8” all’anno. In occasione della giornata mondiale di prevenzione del suicidio, che si è tenuta a Roma lo scorso settembre, Maurizio Pompili, responsabile italiano dell’International Association for suicide prevention, promotore dell’evento insieme con l’Organizzazione mondiale della Sanità, ha sottolineato come il sovraffollamento non sia il solo fattore da considerare per una corretta analisi della situazioni. Piuttosto, bisogna tenere presente alcuni indici di rischio legati alla storia personale dei detenuti. L’unità costituita presso il Dap, infatti, prevede il monitoraggio delle singole situazioni, attraverso la conoscenza dei dati biografici e penali dei detenuti, nonché delle condizioni di detenzione. Nel corso del dibattito per la Giornata mondiale della prevenzione, si è infatti sottolineata una matrice psicologica comune che porta al suicidio dei detenuti e poliziotti penitenziari e, ha spiegato il referente italiano Iasp Pompili, intervistato da Le due città, “c’è quel dolore mentale insopportabile che è comune a tutti i suicidi. Il problema è sempre quello di non riuscire a vedere il futuro, sentirsi disperato, non avere ragioni per vivere e averne molte per morire”. Il lavoro portato avanti della Commissione suicidi, al termine di un’accurata analisi, ha prodotto un report che suggerisce l’istituzione di un numero verde e di una “help line” nazionale riservata agli operatori penitenziari. Il vice capo vicario del Dap, Matone, intervenuta al dibattito, ha sottolineato il rischio che l’attenzione dell’opinione pubblica si concentri tutta sul tema dei suicidi tra i detenuti, disconoscendo la realtà altrettanto grave di quelli tra gli agenti. Entrambi subiscono infatti il contraccolpo psicologico della separazione dall’esterno e di una vita al margine della società. Ma non ci sono nessi, ha chiarito lo studio del Dap, tra la scelta di un gesto estremo come il suicidio e 1 attività svolta dalla polizia penitenziaria, e le motivazioni accertate dalla commissione riguardano ragioni e-sclusivamente personali. Nonostante ciò, la commissione ha lavorato per prevenire qualunque situazione di stress e di disagio lavorativo, e ha redatto linee di indirizzo per orientare i responsabili delle varie strutture a identificare ogni possibile segnale indicativo. Giustizia: Pannella; Napolitano “primo garante” intervenga su intollerabile situazione carceri Ansa, 2 novembre 2012 “Giorgio Napolitano è per Costituzione il primo garante del diritto nel nostro paese. È bravissimo ad occuparsi di tutto, ma non può fare il presidente del Consiglio ombra”. Con queste parole Marco Pannella, intervenendo all’undicesimo congresso dei Radicali Italiani, ha criticato il presidente della Repubblica per le condizioni delle carceri e della giustizia che ha un arretrato di 5,3 milioni di processi civili e 4,5 penali da smaltire. Pannella ha esortato Giorgio Napolitano ad insistere per la nascita della federazione degli stati uniti d’Europa ritenendo che “potrebbero essere proprio le burocrazie di Bruxelles a battersi contro l’unità politica europea”. Il leader storico dei Radicali ha parlato poi di Beppe Grillo per dargli un consiglio: “Stai attento, perché senza dialogo si va a sbattere e si rischia di crepare politicamente. Anche per questo ti chiedo - ha sottolineato - di aprire un dialogo con noi”. Pannella ha fortemente criticato l’ipotesi che la legge elettorale possa essere modificata con un decreto legge. Secondo i Radicali bisognerebbe rispettare un principio europeo secondo il quale le regole vanno approvate almeno un anno prima delle consultazioni. Giustizia: Rotondo (Pd): subito amnistia, poi riforme profonde per le carceri 9Colonne, 2 novembre 2012 “È assolutamente urgente un provvedimento di clemenza che intervenga sulla situazione disumana in cui si trovano i detenuti in Italia, con gli istituti penitenziari che rinchiudono oltre 20mila persone in più rispetto alla loro capienza regolamentare”. Lo dichiara Giuseppe Rotondo, coordinatore nazionale della community “Insieme per il Pd” che sta formulando proposte concrete sul tema: “Nel nostro wiki-programma elaborato per le primarie, con il concorso di iscritti e simpatizzanti del Pd - precisa il coordinatore della community - abbiamo auspicato chiaramente una riforma complessiva del sistema penale italiano, a partire dall’elaborazione di un nuovo codice penale, di un nuovo codice di procedura penale e intervenendo profondamente sull’ordinamento penitenziario: solo con un vero cambiamento culturale la pena detentiva potrà avere una diversa funzione e un uso distante da quello di oggi. Il carcere dev’essere il rimedio estremo, le norme devono prevedere un nuovo sistema di pene e di misure alternative alla detenzione, regolando meglio anche la custodia cautelare”. Giustizia: la svolta “green” del lavoro dietro le sbarre Redattore Sociale, 2 novembre 2012 A Rebibbia si smista l’acciaio, all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e in Puglia si installano pannelli solari, in Emilia Romagna e Toscana si tratta il Raee. L’inchiesta del periodico del Dap Gli istituti penitenziari italiani puntano sull’ecosostenibilità per l’inserimento lavorativo dei detenuti. Si moltiplicano nel paese le esperienze “green” in materia di riciclaggio di rifiuti o di energie alternative, alle quali è dedicato un approfondimento nel numero di settembre di “Le due città”, il periodico del Dap. In cima alla lista c’è il programma nazionale di solarizzazione, progetto condiviso con il ministero dell’Ambiente che prevede l’installazione di 5 mila metri quadri di pannelli solari. A livello locale, invece, sono i singoli penitenziari a sperimentare le innovazioni. Come a Rebibbia, dove dallo scorso febbraio è operativo il progetto del Consorzio Nazionale Acciaio e della onlus “Rebibbia Ricicla” per il riciclaggio dell’acciaio. All’interno della struttura è stato allestito l’impianto di smistamento che consente a 10 detenuti, coordinati da un tecnico, di smistare i rifiuti provenienti da parte della provincia romana. Nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto da tempo è in corso il progetto “Luce e Libertà” per il reintegro di 56 internati in regime di proroga, che pur avendo terminato la misura di sicurezza non hanno altro posto dove andare. Attraverso la realizzazione di pannelli solari e grazie all’energia da essi prodotta si punta ad avere un budget di cura per consentire a ogni internato il trasferimento in comunità terapeutiche alternative. Nel 2005 in Emilia Romagna è stato firmato l’accordo quadro territoriale per lo sviluppo di laboratori e attività di pretrattamento di Raee contenuto nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche delle stazioni ecologiche del Gruppo Hera. Il progetto, che impegna detenuti di Ferrara, Bologna e Forlì, è nato nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Equal Pegaso, finanziata dalla Regione Emilia Romagna con il Fondo Sociale Europeo. Il riciclaggio del Raee (rifiuti elettronici) è stato al centro anche del corso attivato a Sollicciano dove da settembre quattro detenuti sono impiegati nel trattamento di questo tipo di rifiuti. Sempre in Toscana, nella casa circondariale Gozzini, sono attivati corsi sulla riduzione e sul riciclaggio dei rifiuti, realizzati in collaborazione con l’azienda Quadrifoglio. Grazie al supporto di Publiacqua si prevede inoltre l’attivazione di corsi sul consumo responsabile di acqua ed è in progetto l’inserimento di filtri da inserire nei rubinetti dei refettori. All’esterno, invece, i detenuti sono impegnati nella pulizia degli argini dell’Arno. In Puglia il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria con la regione ha attivato corsi di formazione in materia di installazione e manutenzione di pannelli solari. Si stanno inoltre studiando nuove iniziative green da applicare alle eccellenze produttive realizzate nei penitenziari, come i taralli di Trani e la panificazione concentrata nella zona di Altamura. Campania: sanità penitenziaria in crisi, detenuti in lista d’attesa un anno per il ricovero di Maria Pirro Il Mattino, 2 novembre 2012 Fine pena quando? Sono trecento, i detenuti che aspettano di essere ricoverati al Cardarelli. Hanno patologie diverse, lamentano dolore e silenzi. Hanno mesi di iscrizione in lista d’attesa, per poter entrare in sala operatoria. Trecento reclusi nelle carceri della Campania, trecento nomi segnati nell’elenco custodito nel reparto del padiglione Palermo. Intanto nelle strutture penitenziarie cittadine, a Poggioreale e Secondigliano, è questo il paradosso, il blocco chirurgico rimane inutilizzato. L’essere ammalati dietro le sbarre è così vissuto da molti come un dramma nel dramma. Perché la detenzione non consente di scegliere quando e dove curarsi. Eppure, un uomo privo di libertà deve essere considerato a tutti gli effetti un uomo. Come scrisse Cesare Beccaria, “Dei delitti e delle pene”: “Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”. A giudicare dal monitoraggio dei tempi di attesa realizzato dal Cardarelli, che per la prima volta Il Mattino ha potuto consultare, le richieste di ricovero dei reclusi non sono complesse, nella maggioranza dei casi. Ma si può aspettare circa un anno per gli interventi chirurgici, poiché sono disponibili solo 12 posti letto che vengono utilizzati anzitutto per i pazienti ricoverati tramite pronto soccorso. Un’altra criticità, nei tempi di attesa, è legata anche a motivi di sicurezza, poiché due esponenti di clan rivali non possono stare nella stessa stanza” dice il responsabile del reparto detenuti, Filippo Manzi. Nell’ospedale più grande del Sud, dunque, i 12 posti vengono occupati per i ricoveri di urgenza e di elezione. “Oltre a questi spazi, e alle camere del Cotugno per le malattie infettive, non ce ne sono altri attrezzati per accogliere i reclusi”. Manzi aggiunge: “Si potrebbe far scorrere con rapidità la lista d’attesa, tramite la riattivazione delle sale operatorie dei centri clinici delle strutture penitenziarie, riservando al Cardarelli solo le prestazioni di pronto soccorso e gli interventi più impegnativi” . In teoria, questa soluzione è (quasi) a portata di mano. “Di fatto, a Secondigliano le sale operatorie realizzate vent’anni fa sono rimaste inutilizzate perché non a norma sin dalla costruzione. A Poggioreale sono chiuse da più di tre anni per i lavori di adeguamento dei locali lasciati incompiuti, dopo aver speso 100mila euro di soldi pubblici: con una cifra irrisoria si potrebbe ultimare la ristrutturazione e quindi far ripartire le attività” afferma Vittoriano L’Abbate, rappresentante nazionale dell’Amapi (sindacato specialisti medici penitenziari) e vicepresidente regionale dell’Aaroi-Emac (associazione degli anestesisti rianimatori ospedalieri). Sottolinea: “Riattivare le sale operatorie a Poggioreale consentirebbe anche di fronteggiare le richieste dei reclusi in altre strutture che non hanno i centri clinici, come avveniva in passato, ma anche dopo la visita del ministro Paola Severino, con i vertici del Dap, avvenuta l’estate scorsa, nulla è cambiato”. Il direttore generale dell’Asl Ernesto Esposito, assicura che sta lavorando per dare una risposta alle esigenze dei detenuti e intervenire. Diversi i problemi nell’assistenza segnalati dai volontari delle associazioni. Numerosi gli appelli accorati per migliorare i servizi. Michele Vinzi, cappellano del carcere di Secondigliano, ha gli occhi azzurri come lame. Dentro, trattiene le emozioni vissute tra i detenuti, ricorda il dialogo con un giovane medico precario: “Anche se hanno sbagliato, sono persone. Non come delinquenti, devono essere trattati con umanità”. Affonda lo sguardo, il sacerdote: lontano da dove, già tanto lontano. Fuori dal carcere malato. Il direttore di Secondigliano: c’è un protocollo per migliorare l’assistenza, va subito attuato “Le lunghe liste d’attesa per i ricoveri sono l’effetto di criticità irrisolte nell’assistenza in carcere” dice Liberato Guerriero, direttore del Centro di Secondigliano, che aggiunge: “Le maggiori difficoltà sono dovute alla mancata attuazione della riforma del servizio sanitario”. Dal 1° aprile2008lagestioneèdicompetenza dell’Asl, non più dell’amministrazione penitenziaria, ma “solo il 4 luglio scorso - spiega Guerriero - è stato firmato un protocollo d’intesa per migliorare l’assistenza in quest’istituto e la riorganizzazione rimane da avviare. Ora, l’auspicio è che con il neodirettore generale dell’azienda sanitaria, Ernesto Esposito, si possa realizzare una proficua collaborazione inter istituzionale per arrivare a un piano di azione”. Da dove cominciare? “L’articolo 3 del protocollo d’intesa descrive le figure principali nell’organizzazione dei servizi sanitari in istituto: credo sia il punto di partenza. Significa non più medici e infermieri che non hanno il tempo di imparare i percorsi e già esauriscono il mandato, ma poter contare su professionisti che “conoscano” i pazienti, siano per loro un punto di riferimento e interagiscano con gli altri operatori nell’elaborazione di strategie di intervento, dal monitoraggio epidemiologico alla prevenzione degli atti di autolesionismo. Tutto ciò si sarebbe dovuto fare ma non è stato fatto, lasciando i pazienti-detenuti in una condizione di disorientamento e frustrazione a cui hanno sopperito finora, non senza difficoltà, proprio medici e infermieri al lavoro in carcere: a tutti va riconosciuto il merito di aver gestito comunque il servizio nel miglior modo possibile, nonostante i ritardi dell’Asl di riferimento”. Fondamentale, dunque, la riorganizzazione dei servizi… “Tra i medici, una parte ha il contratto semestrale e, nei periodi estivi e per sostituzione ferie, subentrano altri professionisti persino con incarichi più brevi. Stessa problematica, anzi più grave, tra gli infermieri che provengono anche da Gesco. Cambiano spesso: i loro colleghi sono costretti a spiegare daccapo le peculiarità nell’assistenza in carcere, come il giro terapie, e noi a farli “scortare”, per i primi giorni, perché non si orientano nella struttura”. Sono precari anche gli psichiatri? “Solo uno ha il contratto a tempo pieno, anche se per la legge penitenziaria la figura dello psichiatra è fondamentale. In più, non c’è personale amministrativo Asl: ciò significa aspettare anche 6 mesi per la copia della cartella clinica, e inevitabili lungaggini per le istanze giudiziarie che hanno come presupposto l’accertamento di problemi di salute”. Sarebbe utile far funzionare anche le sale operatorie? “Anche la radiologia e il laboratorio d’analisi non sono utilizzati, imponendo continui trasferimenti all’esterno per accertamenti che potrebbero essere effettuati all’interno. Quest’amministrazione è pronta a valutare progetti per riattivare i servizi e quindi provvedere per quanto di propria competenza, ma non ci è stato presentato, al momento, un piano o un preventivo dall’Asl”. Campania: sanità penitenziaria; Opg verso la chiusura, un’interrogazione sui ritardi Il Mattino, 2 novembre 2012 L’inchiesta sugli Ospedali psichiatrici giudiziari realizzata dal Mattino nelle scorse settimane è all’esame dei ministri della Giustizia e della Salute. Oggetto di un’interrogazione parlamentare a risposta scritta sono i possibili ritardi segnalati nell’applicazione delle nuove norme, che prevedono tra 4 mesi la dismissione degli istituti in Italia, e la condizione degli internati, 25 soltanto nell’istituto partenopeo, sottoposti a una misura di sicurezza provvisoria, status che, al momento, impedisce loro di sapere quando verranno presi in carico dai servizi di salute mentale. In particolare, a catturare l’attenzione è la vicenda di un ragazzo siciliano, “sepolto vivo in questo limbo giuridico”. Secondo quanto denunciato tramite il Mattino da Mario Barone, portavoce dell’associazione Antigone Campania, “A.L.P. da 5 anni in attesa che la sua posizione venga chiarita. Si trova nell’istituto di Secondigliano per aver estorto la somma di 20 euro a un familiare”. I senatori Marco Perduca e Donatella Poretti, dunque, chiedono “quali risultino essere le ragioni della durata di tale trattamento e se il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari avrà effettivamente luogo entro il 31 marzo 2013”, come indicato per legge. “Nell’auspicio che il governo risponda dettagliatamente all’interrogazione presentata dai senatori Perduca e Poretti - afferma Barone, di Antigone, urge sapere, in particolare, se il definitivo superamento degli Opg avrà effettivamente luogo entro le scadenze fissate. Parallelamente, desta preoccupazione il fatto che in diversi istituti di pena campani (Secondigliano, Santa Maria Capua Vetere e carcere femminile di Pozzuoli) sono in corso di allestimento sezioni psichiatriche presumibilmente destinate agli internati. Occorre interrogarsi su di un sistema che chiude gli Opg e apre le porte del carcere ai sofferenti psichici”. “Carceri e Opg sono due ferite aperte”, sostengono Emilio Lupo e Cesare Bondioli, dirigenti di Psichiatria Democratica, l’organizzazione che al Governo e al Parlamento chiede “subito l’istituzione di una task-force: un ufficio speciale, a tempo e a costo zero, in grado di programmare, coordinare e verificare, con Regioni e Asl, il piano di dismissione degli Opg”. Lupo è psichiatra napoletano, con il compianto Fausto Rossano protagonista del tramonto dei manicomi a Napoli: in base a quell’esperienza, sottolinea l’importanza di promuovere “il coinvolgimento dei servizi territoriali socio-sanitari, l’informazione alle famiglie e il raccordo costante con tutte le Agenzie territoriali, dove i pazienti verranno accolti”. Bondioli e Salvatore di Fede, di Psichiatria democratica, incalzano: “L’Ufficio speciale è una necessità irrinunciabile in ragione dei gravi ritardi di Asl e delle Regioni, che non hanno attivato i progetti individuali di dismissione e l’inserimento degli attuali internati”. Liguria: Sappe; i detenuti sono il doppio dei posti disponibili, mentre gli agenti sempre di meno Ansa, 2 novembre 2012 I detenuti liguri potrebbero raggiungere quota 2.000 a fine anno, il doppio rispetto ai 1.088 posti letto regolamentari. Un tasso di crescita costante della popolazione detenuta a fronte di un organico di Polizia Penitenziaria in calo. Il Sindacato di Polizia penitenziaria Sappe si appella al Ministero della Giustizia e chiede ancora una volta l’intervento della classe politica ed istituzionale della Liguria “perché quella della carenza di personale di poliziotti in Liguria e delle criticità penitenziarie regionali è e deve essere una preoccupazione di tutti”. “Ci saranno solo 900 uomini a controllare questo aumento. Una situazione difficile da gestire”. Lo dichiara Roberto Martinelli segretario generale del Sappe. “Alla classe politica ed istituzionale della Liguria, chiediamo un intervento urgente con prevedendo una nuova politica della pena, necessaria che ripensi ad una nuova istituzione organica del carcere in virtù della sostanziale inefficacia degli effetti dell’indulto e della recente legge sulla detenzione domiciliare”. Sardegna: Sdr; tra un anno almeno 1.000 detenuti in più nelle carceri isolane Ristretti Orizzonti, 2 novembre 2012 “Con l’apertura dei nuovi Istituti Penitenziari, la Sardegna vedrà crescere ulteriormente il numero dei cittadini privati della libertà. Aumenteranno così sicuramente disagi e preoccupazioni per tutti”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, facendo osservare che “l’isola, fortemente penalizzata per la condizione di disoccupazione e disagio sociale, non merita di subire da parte dello Stato anche un aggravamento del peso della servitù penitenziaria che si aggiunge a quella militare peraltro particolarmente pesante ”. “I detenuti in Sardegna, in poco più di un anno, raggiungeranno – sottolinea Caligaris – la ragguardevole cifra di circa 4.000 presenze. Sono infatti poco meno di un migliaio quelli previsti in seguito ai lavori con cui sono stati incrementati i posti a disposizione ma c’è motivo di ritenere che presto raddoppieranno rispetto agli attuali 2.000. Basti pensare che nella struttura di Tempio Pausania c’era posto solo per 29 detenuti ora invece sono disponibili 150 posti. Nella Casa Circondariale di Cagliari potevano convivere 345 ristretti mentre con la Casa Circondariale di Uta diventeranno almeno 550. Il Penitenziario di Nuoro con il nuovo padiglione appena ristrutturato è passato da 252 posti a 349 mentre tra due mesi, quando sarà consegnato l’Istituto di Bancali, ci sarà spazio per 430 persone (a San Sebastiano il numero regolamentare si fermava a 190). Per quanto riguarda Oristano infine si passerà da 92 posti a 250. Tra questi dati non sono ricompresi i detenuti in 41bis che, solo nella struttura di Uta saranno almeno un altro centinaio. Insomma la Sardegna sarà un’isola in cui la detenzione diverrà un elemento distintivo”. “A preoccupare inoltre – evidenzia la presidente di SdR – sono le condizioni di vita dei cittadini privati della libertà e degli Agenti di Polizia Penitenziaria. Nelle nuove strutture saranno ridotti all’essenziale i rapporti diretti tra personale penitenziario e detenuti. I nuovi dispositivi tecnologici con l’apertura meccanizzata delle celle gestita attraverso video-regie di comando ridurrà ulteriormente la necessità di disporre di personale e favorirà la spersonalizzazione del cittadino. La distanza dai centri urbani e la difficoltà di raggiungere le località da parte dei familiari ridurrà i contatti con il mondo esterno e anche il volontariato penitenziario sarà messo a dura prova”. “Si ha l’impressione – conclude Caligaris – che stiano venendo meno quei principi sanciti dalla Costituzione e concretizzatesi nella legge sull’ordinamento penitenziario, nella Gozzini e nella Smuraglia. Si avvertono infatti segnali contrari al reinserimento sociale, al recupero e alla rieducazione di chi ha sbagliato e ciò induce a riflettere sulla qualità della democrazia”. Sardegna: ancora polemiche dopo trasferimento detenuti per mafia nelle carceri L’Unione Sarda, 2 novembre 2012 Anche il Consiglio regionale si oppone al trasferimento di detenuti ad alto tasso di pericolosità nelle nuove carceri sarde. Tanto che il presidente della commissione consiliare Diritti civili Salvatore Amadu ha deciso di scrivere al presidente dell’Assemblea legislativa sarda per chiedere lumi, mentre il consigliere sardista Efisio Planetta ha presentato un’interrogazione al presidente della Giunta Ugo Cappellacci. La lettera. “Il ministro della Giustizia deve chiarire definitivamente se esiste la volontà di trasferire in Sardegna detenuti legati alla criminalità organizzata e deve dare certezze sulla conclusione e l’operatività dei nuovi istituti penitenziari”, scrive Amadu nella sua missiva indirizzata a Claudia Lombardo. “Occorre sollecitare una risposta del Guardasigilli per sapere con certezza quali siano le reali intenzioni del governo nazionale: se confermato, il problema dello spostamento dei detenuti in regime di 41 bis nelle carceri isolane è gravissimo”. Il riferimento di Amadu è alla denuncia della quale è stato protagonista il parlamentare del Pdl Mauro Pili, a proposito del trasferimento di 24 detenuti pericolosi nel carcere di Nuchis: “C’è il rischio che nell’Isola siano in arrivo altre centinaia di detenuti legati alla criminalità organizzata - aggiunge Amadu - questi trasferimenti, oltre a creare un allarme sociale, aggraverebbero la situazione nelle carceri isolane”. L’interrogazione. Il consigliere sardista Planetta si è invece rivolto al governatore Cappellacci: “Ho chiesto di conoscere le reali dimensioni dei recenti trasferimenti in carceri sarde di detenuti appartenenti alla mafia o alla grande criminalità organizzata, sottoposti a regime di 41 bis o comunque a misure di alta sicurezza, e quali quelli eventualmente in programma nei prossimi mesi - ha detto, rendendo pubblica l’interrogazione - mi domando anche in quali termini la Regione sia stata coinvolta dal ministero dell’Interno, al fine di predisporre sul territorio sardo adeguate misure per evitare che la presenza di carcerati pericolosi e dei loro parenti e amici corregionali, con possibile grave impatto sotto il profilo socio-economico e di pregiudizio dell’ordine pubblico”. Da qui l’invito di Planetta rivolto a Cappellacci “affinché dichiari in quali termini e secondo quali modalità l’amministrazione regionale si stia attivando per respingere quest’ennesimo grave attacco alla sovranità dei sardi, che costituisce una provocazione all’integrità economica e sociale della Sardegna”. Marche: dalla Regione anche nel 2012 risorse per i detenuti pari a 837mila euro Asca, 2 novembre 2012 Confermati per il 2012 gli interventi a favore di adulti e minori sottoposti a provvedimenti dell’Autorità giudiziaria. Le risorse, annuncia una nota della Regione Marche, ammontano a 837 mila euro, a conferma dell’impegno dello scorso anno che aveva visto un raddoppio della cifra per l’avvio di progetti destinati ai detenuti. Inclusione lavorativa, inclusione sociale, attività culturali e attività trattamentali e di prevenzione della recidiva, questi i settori di intervento, accanto ai quali vi è un nuovo progetto a cura dell’Asur finalizzato al potenziamento del supporto psicologico in ambito penitenziario, post penitenziario e minorile nelle Marche. “In pratica - ha spiegato l’assessore regionale ai Servizi sociali, Luca Marconi - si prevede un maggior numero di ore di presenza degli psicologi all’interno degli istituti di pena, funzionale a una migliore gestione della complessità derivante dal sovraffollamento delle carceri o, nel caso dei servizi minorili, dal crescente numero di gravi reati commessi da minorenni”. Gli interventi in materia di inclusione socio-lavorativa sono a cura degli Ambiti Territoriali Sociali, allo scopo di coinvolgere le comunità locali e il più ampio numero di soggetti del territorio. Si tratta di servizi erogati fuori dal carcere, rivolti ad ex detenuti e a detenuti in esecuzione penale esterna o prossimi alle dimissioni. Sono ammissibili sussidi economici di sostentamento e interventi di natura abitativa o di accoglienza temporanea presso strutture residenziali o semiresidenziali, collegati a percorsi di formazione o inclusione lavorativa. Per quanto riguarda le attività trattamentali culturali, l’obiettivo è valorizzare le esperienze di teatro e di diffusione dei servizi bibliotecari in carcere (prestiti librari, letture di gruppo, letture tematiche9 in collaborazione con le biblioteche comunali. Prevista, infine, l’organizzazione del convegno annuale sullo stato di attuazione della legge regionale che regola il sistema integrato degli interventi a favore dei detenuti ed ex detenuti. Parma: la denuncia dei Radicali; detenuto 37enne dializzato rischia di morire in cella di Luigi Colombo La Città di Salerno, 2 novembre 2012 È in dialisi e in condizioni di salute gravissime che non sono assolutamente compatibili con il regime carcerario. È un appello disperato quello che i legali di Paolo Maggio, 37enne di Battipaglia, rivolgono alle istituzioni. In una lettera indirizzata al deputato dei Radicali Rita Bernardini e al presidente dell’associazione Antigone Pietro Gonnella, gli avvocati Rosanna Carpentieri e Paolo Vocca descrivono le sofferenze del 37enne battipagliese e parlano di un nuovo caso di “malo carcere”. L’esponente dei Radicali ha già annunciato la presentazione di un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, Severino. Paolo Maggio è detenuto a Parma, dove sta scontando una pena a 23 anni per omicidio. Dopo un lungo periodo di detenzione presso il carcere di Avellino, è stato trasferito lo scorso inverno a Spoleto. A febbraio, all’improvviso, ha presentato dei “sintomi quanto mai allarmanti”, scrivono gli avvocati: pressione ad oltre 200, fortissimi mal di testa, difficoltà a urinare. “È rimasto in terapia intensiva fino a luglio e, sin dai primi accertamenti, ha iniziato a fruire di trattamento di dialisi - raccontano i legali del giovane - Pare, infatti, che per cause non ancora definitivamente accertate, i suoi reni abbiano smesso di funzionare ed il giovane, oltre a sottoporsi a lunghissima e snervante dialisi trisettimanalmente, è in attesa del trapianto di rene”. Nel giro di pochi mesi Maggio ha perso peso, ha difficoltà a camminare, parla con fatica ha difficoltà a seguire in carcere una dieta che per lui è vitale. Ora, è in cella con un detenuto che è riuscito a far pervenire ai familiari messaggi allarmanti. “Il nostro assistito sta sempre peggio - raccontano i legali - Da quanto ci risulta ormai il compagno di detenzione deve aiutarlo a vestirsi, a lavarsi, a mangiare e pare che la dialisi non gli giovi più affatto”. Lo scorso 20 settembre il tribunale di Sorveglianza di Perugia ha sottoposto al suo vaglio la richiesta di sospensione pena. “Noi difensori credevamo di avere serie speranze di ricondurlo a casa a Battipaglia -spiega Carpentieri - Avevamo prodotto al Collegio anche la documentazione inerente agli innumerevoli e validi centri dialisi dove il giovane avrebbe potuto continuare a curarsi. La nostra richiesta non è stata accolta perché rispetto a prima oggi viene sottoposto “solo” 3 volte a settimana a dialisi, sintomo per il tribunale dell’enorme miglioramento del Maggio”. Il giorno stesso dell’udienza, il 37enne è stato trasferito a Parma. Inoltre, il 4 ottobre scorso doveva presenziare a Salerno ad un’udienza preliminare che lo vedeva imputato, nonché ad un’udienza civile, per sottoscrivere il divorzio dal coniuge. “Il giorno prima dell’udienza - si legge ancora nella lettera - noi difensori abbiamo ricevuto per fax il provvedimento del Dap, dal contenuto a dir poco incredibile e offensivo per un giovane le cui condizioni di vita sono a quanto mai allo stremo: il dipartimento asseriva, infatti, che la traduzione non sarebbe stata disposta per motivi di “sicurezza”. È comparso così, con enormi difficoltà, in videoconferenza. “In video è apparso un giovane in condizioni disperate: non riesce a parlare che con un flebile filo di voce, terreo in viso, magrissimo, ha dovuto farsi aiutare da un agente di custodia ad avvicinarsi al microfono e a sedersi”, denunciano i legali. “È necessario - concludono i due avvocati - salvare la vita a questo ragazzo”. Parma: l’On. Papa (Pdl); domani in carcere visito Tanzi, contro “magistratocrazia” Agi, 2 novembre 2012 Domani il deputato Pdl Alfonso Papa si recherà in visita ispettiva presso il carcere di Parma e annuncia che “nel corso della visita intendo incontrare Calisto Tanzi, le cui condizioni di salute sono sempre più preoccupanti, in ragione anche dell’età avanzata e della malattia”. Papa terrà alle ore 13 una conferenza stampa davanti alla casa circondariale con i rappresentanti di diverse associazioni impegnate nel settore, tra cui il presidente della Papillon, Claudio Marcantoni, i City Angels di Parma, il presidente dei Radicali di Parma, Luca Marola, una delegazione del Psi locale, il pastore della Chiesa Evangelica, Paolo Faia, e quello della Chiesa Metodista, Mirella Manocchio. “L’istanza per gli arresti domiciliari di Tanzi è stata più volte respinta in ragione di un presunto mancato pentimento da parte di Tanzi. Ritengo che così facendo - dice ancora il deputato Pdl - si sia finora sottovalutata la questione principale: è o non è il regime carcerario compatibile con le condizioni di salute di un signore ultrasettantenne e già costretto al ricovero ospedaliero per diverse settimane? La giustizia per essere giusta deve essere umana. Come ha ribadito il presidente Silvio Berlusconi, la battaglia contro la magistratocrazia torna ad essere il vero perno della nostra missione politica”. Catanzaro: Sappe; detenuto minorenne incendia cella, aveva già fatto autolesionismi Adnkronos, 2 novembre 2012 Nel carcere minorile di Catanzaro un detenuto minorenne ha incendiato la cella dopo che il giorno prima aveva compiuto gesti di autolesionismo. Lo denunciano, in una nota, Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. I fatti si sono verificati nella notte appena trascorsa e fanno riferimento ad un detenuto di origine magrebina che, riferisce la nota, si era già reso responsabile di un’evasione dal carcere minorile di Milano e di altri gravi episodi. “Questo testimonia ancora una volta la grave situazione delle carceri minorili, dove gli eventi critici si susseguono con ritmi non inferiori a quelli degli adulti. È giunto ormai il momento di riformare tale istituzione, ma ancora una volta sembra che nulla si faccia per cambiare le cose”, dice il Sappe. Rimini: il 9 novembre si terrà l’incontro “Percorsi riabilitativi dentro e fuori le carceri” Adnkronos, 2 novembre 2012 Venerdì 9 novembre alle 17.00 presso il Teatro degli Atti incontro dal titolo “Storie da dentro - Percorsi riabilitativi dentro e fuori le carceri: le misure alternative alla pena”. Sulla scia del libro “Storie da dentro”, scritto da Claudio Fabbrici e Franca Berti, si parlerà del trattamento del condannato in ambiente libero, se costituisce un efficace strumento per decongestionare le carceri e se esprime soprattutto la presa d’atto della necessità di specifici interventi di aiuto e sostegno psicopedagogico, dentro e fuori l’istituto penitenziario, attraverso personale con competenze rieducative finalizzate a ridurre il rischio di recidive. Dalle 17 alle 19.30 interverranno tra gli altri il vicensidanco di Rimini Gloria Lisi, Rossella Talia presidente Tribunale di Rimini e Lucia Mantuano, responsabile ufficio minori Questura di Rimini. A seguire ore 21.00, proiezione del film “Cesare deve morire”(2012) di Paolo e Vittorio Taviani. Turchia: critiche le condizioni dei detenuti curdi da 52 giorni in sciopero della fame Nena News, 2 novembre 2012 Circa 700 prigionieri politici curdi rifiutano il cibo in decine di carceri sparse per il paese. Per il premier islamista Erdogan è tutto uno “show”. Tra una decina di giorni potrebbero cominciare a morire i 683 detenuti politici curdi che da 52 giorni attuano lo sciopero della fame in 66 carceri sparse per la Turchia. A lanciare l’allarme è la principale associazione medica turca ma per il premier islamista Tayyip Erdogan “è tutto uno show”. “Dopo 40 giorni (di sciopero della fame) cominciano ad emergere nell’organismo i primi gravi danni, dopo 60 si può arrivare alla morte”, ha avvertito il dottor Ozdemir Aktan, capo dell’Associazione medica turca che rappresenta l’80% della categoria. Per Erdogan invece le condizioni dei detenuti curdi sono buone, soltanto uno di essi sarebbe in uno stato critico e verrebbe monitorato costantemente dai medici. “In realtà non è in corso alcuno sciopero della fame, i prigionieri sono manipolati dai “mercanti della morte”, sostiene il premier turco. Diversa sembra essere la posizione del presidente turco Abdallah Gul che in un’intervista al quotidiano Milliyet ha detto che la questione curda e lo sciopero della fame richiedono attenzione. I prigionieri in sciopero della fame - molti dei quali appartengono al partito politico legale a maggioranza kurda, il BDP (sindaci, amministratori locali etc), accusati di avere legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk, illegale e considerato “terrorista” da Ankara) - chiedono il miglioramento delle condizioni di vita in carcere, in particolare per il loro leader Abdallah Ocalan, in prigione su di un’isola a sud di Istanbul. La protesta segue l’intensificarsi, dallo scorso luglio, dei combattimenti tra i guerriglieri del Pkk e l’esercito turco nel sud-est del paese. In Turchia nel 2000, durante uno sciopero della fame proclamato dai prigionieri politici di sinistra contro la pratica dell’isolamento, morirono 122 detenuti, 30 dei quali uccisi dalle guardie carcerarie durante una sommossa. Turchia: Giornata europea per difesa giornalismo dedicata a reporter turchi detenuti Tm News, 2 novembre 2012 La giornata europea per la difesa del giornalismo (“In piedi con il giornalismo”) organizzata per il 5 novembre prossimo dalla Federazione europea dei giornalisti (Fej) sarà dedicata alla solidarietà con i giornalisti turchi, settantasei dei quali sono detenuti in virtù di una legge anti-terrorismo. In una lettera all’ambasciatore della Turchia presso l’Unione europea, Mehmet Hakan Olcay, la Fej, che rappresenta circa 310.000 giornalisti provenienti da oltre 30 paesi, afferma di voler “sollecitare il governo turco a rilasciare tutti i giornalisti incarcerati, che sono trattenuti sulla base delle loro attività giornalistica” e di “mettere fine all’uso delle leggi antiterrorismo contro i giornalisti, in violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. La manifestazione, che si svolge in contemporanea in tutti i Paesi d`Europa, intende richiamare l`attenzione dell`opinione pubblica sulle questioni che attengono il libero esercizio della professione giornalistica a garanzia di un bene fondamentale per la democrazia qual è quello della libertà di stampa. Iran: Amnesty International; nove detenute in sciopero della fame contro abusi Tm News, 2 novembre 2012 Nove prigioniere politiche e di coscienza detenute nel carcere di Evin, nella capitale iraniana Teheran, hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro i trattamenti degradanti e le perquisizioni corporali cui sono sottoposte dal personale femminile della prigione, che ha anche sequestrato effetti personali. Le nove detenute intendono proseguire lo sciopero della fame fino a quando la direzione del carcere non presenterà scuse formali, garantirà che trattamenti del genere non si ripeteranno e restituirà i loro effetti personali. Amnesty International ha chiesto alle autorità iraniane di proteggere tutti i detenuti dalle vessazioni e dai trattamenti degradanti, indagare sulle denunce delle nove donne e chiamare a rispondere i responsabili. Un altro sciopero della fame è intanto in corso nella prigione di Evin. Nasrin Sotoudeh, avvocata per i diritti umani condannata a sei anni di carcere, rifiuta il cibo dal 17 ottobre per protestare contro il divieto di incontrare i parenti, compresi i suoi due figli, senza vetro divisorio, e di fare telefonate alla famiglia. “Le autorità iraniane devono annullare il divieto di visite dirette in carcere e non adottare misure punitive nei confronti delle detenute in sciopero della fame, che hanno diritto a cure mediche fornite da personale medico competente in accordo coi principi di etica medica relativi alla confidenzialità, all’autonomia decisionale e al consenso informato” - ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Nordafrica di Amnesty International. Tra le detenute in sciopero della fame, vi sono Bahareh Hedayat, Zhila Bani Yàghoub, Shiva Nazar Ahari, Mahsa Amrabadi e Zhila Karamzadeh-Makvandi. “Queste donne sono in carcere solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà d’espressione, riunione e associazione. Non solo non dovrebbero subire trattamenti degradanti, ma non dovrebbero neanche stare in prigione. Devono essere rilasciate immediatamente e senza condizioni” - ha commentato Harrison. Bahareh Hedayat, attivista del movimento studentesco ed esponente della Campagna “Un milione di firme”, per porre fine alla discriminazione contro le donne nelle leggi iraniane, sta scontando una condanna a 10 anni di carcere per “offesa al presidente”, “offesa alla Guida suprema” e “riunione e collusione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale”. Zhila Bani Yàghoub, giornalista pluripremiata e attivista per i diritti delle donne, ha iniziato a scontare il 2 settembre una condanna a un anno di carcere per “propaganda contro il sistema” e “offesa al presidente”. Al termine della pena, scatterà il divieto di svolgere attività giornalistiche per 30 anni. Shiva Nazar Ahari, giornalista, attivista per i diritti umani ed esponente del Comitato dei giornalisti per i diritti umani, sta scontando una condanna a quattro anni di carcere a causa del suo impegno in favore dei diritti umani. Mahsa Amrabadi, giornalista, già finita in carcere per due mesi dopo le contestate elezioni presidenziali del 2009, sta scontando una condanna a un anno di carcere per “propaganda contro il sistema attraverso interviste e rapporti”. Zhila Karamzadeh-Makvandi, attivista del movimento delle Madri di parco Laleh (precedentemente conosciute come le Madri a lutto), sta scontando una condanna a due anni di carcere per “aver fondato un’organizzazione illegale con l’obiettivo di danneggiare la sicurezza dello stato”. Le Madri di parco Laleh si battono contro le violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni illegali, arresti arbitrari, torture e sparizioni forzate, che hanno colpito molti dei loro figli nel corso delle proteste seguite alle elezioni del giugno 2009. Svizzera: detenuto 27enne muore dopo malore, nonostante il ricovero all’ospedale www.cdt.ch, 2 novembre 2012 Un carcerato di 27 anni è morto la scorsa notte all’ospedale cantonale di Delémont, dopo essere stato trasportato lì dalla prigione di Porrentruy (nel Giura) dove stava scontando una pena. Il detenuto aveva dato l’allarme per via di un malessere ed era stato inizialmente soccorso dal medico dell’istituto. Non essendovi alcun miglioramento è stato poi trasportato all’ospedale, dove è spirato poco dopo la mezzanotte. Per stabilire le cause del decesso è stata ordinata un’autopsia, indicano oggi gli inquirenti giurassiani. Medio Oriente: video al Qaeda denuncia torture nelle carceri di Hamas a Gaza Nova, 2 novembre 2012 Per la prima volta un video di al Qaeda attacca direttamente il governo di Hamas nella Striscia di Gaza, denunciando che suoi esponenti hanno subito pesanti torture durante la loro detenzione nella striscia palestinese. Con un documento della durata di undici minuti diffuso dalla casa di produzione “Ibn Taimiyya”, le cellule jihadiste di Gaza hanno diffuso oggi un video testamento dello sceicco Ashraf al Sabah, noto col nome di battaglia di Abu al Bara, ucciso il 13 ottobre scorso in un raid aereo israeliano su Gaza insieme ad un altro leader jihadista, Abu al Walid al Maqdisi. “Sono stati rapito dagli uomini di Hamas mentre uscivo da una moschea di Gaza - ha spiegato Sabah - sono stato portato nel carcere di Jabalia nella Striscia dove sono stato in isolamento per due mesi. Spesso mi interrogavano e mi chiedevano dove nascondevo le armi e perché lanciavamo razzi contro Israele. Nel carcere ho visto le torture perpetrate ai danni dei detenuti”. Lo sceicco salafita ha attaccato in particolare il governo di Hamas del premier Ismayl Haniyeh: “I loro capi dicono di essere il governo della resistenza. In realtà solo alcune componenti fanno parte davvero della resistenza, mentre per il resto il governo delle carceri, dell’uccisione, della tirannia e della tortura. La verità che i mujaheddin in Palestina non sono al sicuro n dagli israeliani n dalla sicurezza interna di Hamas”. Il suo messaggio si conclude con un appello agli uomini di Hamas affinché “ritornino al vero Islam e alla Jihad sostenendo i mujaheddin”. Il filmato ricorda come lo sceicco Abu al Bara si sia rifiutato di consegnarsi spontaneamente alla polizia di Hamas due mesi prima di morire ed ha mostrato alcune immagini del funerale del leader salafita, al quale hanno partecipato circa un centinaio di jihadisti a Gaza il 14 ottobre scorso. Lo sceicco Abu al Bara era il leader del gruppo Ansar al Sunna di Gaza, gruppo jihadista attivo da alcuni anni nella striscia palestinese. Dopo la sua morte diversi gruppi di al Qaeda, tra cui lo stato islamico iracheno e la formazione denominata “Jeish al Umma”, hanno diffuso sul web comunicati per celebrarne la figura. Prima di formare il gruppo jihadista ha fatto parte di Hamas. Ha deciso di abbandonare il gruppo di Haniyeh accusandolo di “aver deviato dalla retta via. Il suo obiettivo ora lo stesso degli ebrei”. Cina: in futuro non più donazioni organi da parte condannati a morte Adnkronos, 2 novembre 2012 La Cina annuncia un nuovo sistema per la donazione degli organi, cercando di mettere fine alla prassi dell’espianto degli organi dei condannati a morte entro i prossimi cinque anni. “Il nuovo sistema nazionale prenderà il via al massimo l’anno prossimo”, ha spiegato, Wang Haibo, direttore del centro nazionale di ricerca per i trapianti del ministero della Salute. Secondo i dati dello stesso ministero, infatti, nel 2009 i due terzi degli organi usati per i trapianti erano stati espiantati da detenuti giustiziati. In un’intervista al bollettino mensile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Wang Haibo ha definito questa decisione “un grande cambiamento” per la Cina, proprio perché “la donazione degli organi non è solo un problema scientifico, ma anche culturale e sociale”. Il viceministro della Sanità cinese, Huang Jiefu, ha comunque voluto sottolineare che vengono utilizzati solo gli organi dei detenuti che hanno dato il loro consenso, oppure con l’autorizzazione dei loro familiari. Il ministero della Salute ha fatto sapere che ogni anno in Cina vengono effettuati 10mila trapianti, ma che circa un milione e mezzo di persone ne hanno bisogno, alimentando così il mercato nero ed il traffico illegale di organi. Anche se non si sa quale siano i dati effettivi, secondo Amnesty International, le esecuzioni in Cina superano quelle che avvengono complessivamente nel resto del mondo.