Giustizia: “Voglio un carcere più umano”… intervista al ministro Paola Severino di Roberto Zichittella Famiglia Cristiana, 29 novembre 2012 “Sono convinta che la detenzione dietro le sbarre debba essere utilizzata solo quando tutte le altre misure alternative non si possono adottare, a partire dai minori”. Il ministro della Giustizia ci parla del suo piano per rendere i penitenziari a misura d’uomo. Der raggiungere l’ufficio del ministro della Giustizia si percorre un lungo corridoio. Alle pareti sono appesi i ritratti dei Guardasigilli dall’Unità d’Italia a oggi. Alcuni, come quello bellissimo di Giuliano Vassalli, sono più riusciti, altri meno. Paola Severino, prima donna a guidare il ministero di via Arenula, ha deciso che il suo ritratto porterà la firma di un detenuto. “Mi è stato regalato durante una visita in carcere e credo che starà benissimo nel corridoio qui fuori”, annuncia sorseggiando una tazza di tè all’interno del suo studio affrescato con immagini di fine Ottocento. La celebre scrivania di Togliatti (ministro della Giustizia tra il 1945 e il 1946) è in un angolo, troppo piccola e scomoda per essere usata quotidianamente. Signora ministro, lei ha deciso di visitare le carceri fin dai primi giorni del suo mandato: come mai questa scelta? “Pochi giorni dopo il mio insediamento, mi arrivò la notizia del suicidio di una donna nel carcere dì Cagliari. Rimasi molto turbata e decisi di andare sul posto. Mi colpì che in un carcere vecchio, spoglio e privo di mezzi ci fosse tanta umanità. Lì incontrai anche un detenuto che mi regalò un piccolo presepe fatto da lui e mi mise in tasca una lettera. Ritrovai quella lettera, di cui mi ero scordata, quando stavo preparando il discorso per la visita del Papa al carcere di Rebibbia. Era così bella che decisi di leggerla pubblicamente in quell’occasione”. Durante le sue visite nelle carceri qual è l’atteggiamento dei detenuti nei suoi confronti? È mai stata contestata? “Ho sempre trovato un’accoglienza straordinariamente calorosa. Un detenuto mi ha fatto vedere che nella sua cella, invece delle solite foto di attrici, ne teneva appesa una mia. Mi ha detto che lo faceva perché convinto che io potessi fare qualcosa per quelli come lui. Chiedo sempre di farmi vedere i reparti peggiori, non mi piacciono le visite con i pennacchi, voglio vedere che cosa non funziona o crea disagi, anche se capisco l’orgoglio dei direttori che, nonostante tutte le difficoltà, riescono a fare tante cose utili per la vita dei detenuti. A Poggioreale mi aspettavo di trovare un ambiente critico nei miei confronti, invece passando nei corridoi un detenuto cominciò a chiamarmi “ministro, ministro” e gli altri reclusi si sono messi ad applaudire. Quell’applauso in carcere, dove tutto rimbomba, ancora mi mette i brividi”. Quando esce da un carcere come si sente? “Ogni volta esco arricchita dalla straordinaria umanità che incontro. Però c’è anche il senso di avvilimento di chi avrebbe voglia di fare, ma sa che i mezzi sono limitati”. Uno dei suoi primi interventi è il “decreto salva carceri”. È soddisfatta dei risultati? “I risultati ci sono. Il fenomeno delle “porte girevoli”, per cui molti detenuti, dopo l’arresto, restavano in carcere tre giorni si è molto ridotto. Se il giudice verifica che non c’è pericolosità sociale, si può evitare la reclusione. In un anno gli ingressi in carcere per soli 3 giorni sono calati dal 22 al 14 per cento, mentre erano il 27 per cento del totale nel 2009. Inoltre è stata già applicata in 8 mila casi, con il vaglio del giudice, l’estensione da 12 a 18 mesi del periodo di fine pena, per il quale si può ottenere la conversione dalla detenzione carceraria ai domiciliari. Infine è operativo il piano straordinario per l’edilizia carceraria, che aumenta la capienza di alcune carceri. Nonostante un finanziamento tagliato di 228 milioni di euro rispetto al previsto, ci sarà un incremento di 2.273 posti detentivi rispetto ai 9.300 dell’originario piano carceri del 2010”. Lei disse che il legislatore dovrebbe usare un pizzico di fantasia nel catalogo delle pene. Il suo disegno di legge sulle misure alternative alla detenzione va in questo senso? “Sì, sono convinta che la carcerazione debba essere utilizzata solo quando tutte le altre misure alternative non possono essere adottate. Abbiamo felicemente sperimentato, per i minori, la messa alla prova. Si tratta di un programma svolto sotto il controllo del magistrato e degli assistenti sociali, che prevede un piano personalizzato con lavori socialmente utili. Un’altra misura in esame al Parlamento è quella degli arresti domiciliari, previsti come pena principale alternativa alla detenzione vera e propria all’interno del penitenziario. Se il reo ha una bassa pericolosità sociale, potrebbe essere condannato dal giudice non al carcere ma alla detenzione domiciliare”. Riuscirà a far approvare queste norme dal Parlamento? “Tengo le dita incrociate, spero proprio che vengano approvate prima della fine legislatura. Continuerò a vigilare e insistere perché ritengo che siano indispensabili per potenziare il piano di riduzione dell’affollamento carcerario”. Riuscirete a trovare fondi sufficienti per finanziare la Legge Smuraglia, che consente a imprese e a cooperative esterne di assumere detenuti grazie a incentivi fiscali? “Ho molto insistito perché nella legge di stabilità ci fosse una quota destinata proprio al lavoro carcerario. Si deve capire che non si tratta di una spesa, ma di un investimento proficuo e utile. I dati dimostrano che chi lavora in carcere abbatte la recidiva in maniera straordinaria”. Che cosa si può fare per le madri detenute di bambini molto piccoli? “Oggi questi bambini sono una sessantina e si deve fare il possibile per non farli crescere dietro le sbarre altrimenti, come mi ha raccontato un agente di polizia penitenziaria, la prima parola che imparano è “apri!”. Per queste situazioni bisogna estendere gli Icam (Istituti a custodia attenuata per detenute madri), degli spazi accoglienti dove gli agenti sono senza divisa e i volontari portano allegrìa e fantasia. Ne ho visto uno a Venezia, dove l’arredamento è stato tutto donato da Ikea, con un atto di generosità da premiare. Ne ho visitato un altro a Milano, che funziona in maniera egregia grazie al contributo della Provincia. Credo inoltre profondamente nell’importanza delle Case famiglia protette, dove donne e bambini in situazioni difficili possono recuperare un rapporto sereno con la società”. A fine legislatura pensa davvero di tornare all’insegnamento? “Si, gli studenti mi mancano davvero tanto. C’è il desiderio di raccontare loro questa esperienza della mia vita, inoltre insegnare aiuta a restare giovani, perché ti trovi sempre davanti persone la cui fascia di età non cambia mai”. Giustizia: Luisa Prodi (Seac); servono più misure alternative alla detenzione in carcere di Daniele Biella Vita, 29 novembre 2012 Intervista a Luisa Prodi, presidente del Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario alla vigilia del 45° Convegno nazionale, che si tiene a Roma dal 29 novembre all’1 dicembre. “Carcere e sicurezza: le pratiche e le proposte”. Questo il tema del il 45° Convegno Nazionale del Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario), che si terrà dal 29 novembre al 1° dicembre 2012 a Roma, presso l’Istituto suore Maria Bambina in Via Paolo VI 21, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica italiana. Tre giornate in cui magistrati, rappresentati delle istituzioni, esponenti del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), professori universitari e membri di associazioni si confronteranno per fare il punto sul sistema della giustizia, la gestione della sicurezza in carcere e il ruolo del volontariato. Vita.it ha raggiunto Luisa Prodi, presidente del Seac dal 2009, che aprirà i lavori dell’incontro. Quali sono i temi portanti del convegno? La visione a 360 gradi di tutto ciò che riguarda la sicurezza nel mondo del carcere. Sto parlando di quella “sociale”, ovvero rispetto all’esterno delle strutture penitenziarie, ma anche di quella inframuraria, ovvero di cosa accade dietro le sbarre e come vengono gestiti i problemi securitari. La partecipazione di operatori penitenziari, direttori di carceri e altro personale coinvolto in prima persona è un valore aggiunto della tre giorni di lavori. Nello specifico, sono previste sessione pratiche di racconto delle varie esperienze, più momenti d approfondimento su temi particolare, come per esempio la situazione delle camere di sicurezza nelle questure, oppure come viene trattato il tema nelle circolari penitenziarie. Dal punto di vista del volontariato, quali sono i problemi più urgenti da risolvere? Seppur ogni istituto di pena sia diverso dall’altro, di sicuro al primo posto nella scala delle questioni da risolvere ci sono le condizioni di vita poco dignitose dei detenuti: il numero eccessivo delle presenze, che non accenna a diminuire, creare problemi di ogni tipo, sanitario in primis: negli ultimi tempi è aumentata a dismisura la richiesta ai volontari di saponette e shampoo da parte dei detenuti. Questa situazione si riflette sulla vita quotidiana delle persone detenute e di chi lavora in carcere. Si figuri che la richiesta che arriva alla maggior parte degli almeno 4mila volontari presenti oggi nelle strutture è quella di vestiti di ricambio: molti non ce l’hanno, soprattutto chi non ha una famiglia di appoggio all’esterno, e ho visto situazioni pessime di persone che non hanno potuto cambiare maglietta per settimane. Lei svolge volontariato penitenziario da 25 anni. Sono peggiorate le condizioni negli ultimi tempi? Sì, molto. La progressiva diminuzione di spazi dedicati alla socialità sta portando a situazione estremamente gravi a livello sociale. Le faccio un esempio del carcere dove sono volontaria, Pisa, che comunque a livello di sovraffollamento non è uno dei peggiori: fino a poco tempo fa avevamo un aula in cui facevamo attività scolastiche. Da un giorno all’altro, quell’aula è diventata una cella, per necessità. Cosi accade sempre più spesso. Pensi che buona parte dei detenuti, a causa della mancanza di spazi e, ultimamente, di attività lavorative dato che anche i lavori inframurari come lo scopino (l’addetto alle pulizie, ndr) sono in decrescita, passa anche 20 ore al giorno nella cella. Anzi, sulla branda, dato che la cella è troppo piccola per muoversi. Quali soluzioni suggerisce il mondo del volontariato penitenziario? In primo luogo, e non siamo i soli a chiederlo, una riforma del codice penale, che preveda misure alternative al carcere per i reati minori: oramai è palese che più custodia non significa più sicurezza. Non sto parlando di indulto o amnistia, attenzione: tali provvedimenti avrebbero un carattere emergenziale, andrebbero bene solo se collegati a interventi più strutturali. In generale, su questi temi come altri sempre legati alle condizioni di detenzione, vorremmo essere più ascoltati dato il fatto che siamo presenti da tanto nelle carceri per collaborare al trattamento rieducativo. Invece da qualche anno, in particolare con il precedente governo, la nostra voce non ha più trovato interlocutori ed è come se fossimo stati dimenticati dalle istituzioni: è ora di invertire la rotta. Giustizia: Ass. Giovanni XXIII; in Italia c’è pena di morte camuffata, è l’ergastolo ostativo 9Colonne, 29 novembre 2012 In occasione della Giornata Mondiale contro la pena di morte di oggi 87 nazioni nel mondo illuminano un proprio monumento in simbolo di opposizione alla pena di morte. Anche in Italia la Comunità di Sant’Egidio promuove la manifestazione, dal titolo “Cities for Life”, il cui evento principale si tiene a Roma, al Colosseo. In questa occasione, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ricorda che in Italia esiste una pena di morte mascherata come l’ha definita il responsabile generale, Giovanni Ramonda, successore di Don Oreste Benzi, incontrando gli ergastolani ostativi ai benefici penitenziari, destinati quindi a morire in carcere. “Da vari anni, incontrando ogni settimana gli ergastolani di vari carceri italiane, ci siamo resi conto che il principio rieducativo della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione viene violato dall’ergastolo e tanto più è violato dall’ergastolo ostativo ai benefici - si legge in una nota. Troviamo ingiusto e disumano che ci siano 1.546 ergastolani in cui il “se” e “quando” dell’accesso ai benefici penitenziari sia assolutamente incerto e ancora più profonda l’ingiustizia è per gli almeno 1.000 ergastolani ostativi ai benefici che non usciranno mai più dal carcere a meno che non collaborino o che sia riconosciuta la collaborazione impossibile, irrilevante o inesigibile”, “la persona che ha commesso reati ha bisogno e deve pagare e riparare il mal fatto, attraverso un percorso rieducativo che porti al pentimento interiore e laddove è possibile verso la richiesta di perdono e l’incontro con le vittime dei reati, favorendo così il reinserimento sociale per un recupero concreto e reale della persona. L’uomo non è il suo errore ma è molto più grande, diceva Don Oreste Benzi”. Giustizia: bambini “innocenti e… condannati”, sono i figli dei detenuti Famiglia Cristiana, 29 novembre 2012 Che le carceri italiane non siano adeguate è un dato assodato: ma a farne le spese sono anche i figli dei detenuti impossibilitati a mantenere il legame affettivo. Irene Grandi e Stefano Bollani stanno girando l’Italia con il tour seguito al lancio dell’album “Irene Grandi & Stefano Bollani”: martedì 18 dicembre saranno a Milano e non sarà una tappa come le altre. Tutti i fans presenti, infatti, si renderanno indirettamente protagonisti di un gesto di solidarietà nei confronti della onlus Bambinisenzasbarre, a cui verranno interamente destinati i proventi dell’esibizione. Presente in Italia da 10 anni e membro della direzione della rete europea “Eurochips”, l’associazione è impegnata nella cura delle relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori, nella tutela del diritto del bambino alla continuità del legame affettivo e nella sensibilizzazione della rete istituzionale di riferimento e della società civile. Attiva su tutto il territorio nazionale con progetti di sostegno alla genitorialità, a Milano è presente nelle tre carceri di San Vittore, Bollate e Opera dove promuove il modello di accoglienza “Spazio Giallo”, il luogo deputato ad accogliere all’interno del carcere i bambini che si preparano al colloquio con il genitore detenuto. Il concerto milanese di Irene Grandi e Stefano Bollani è significativo, al di là degli introiti della serata, anche perché consente di dare risalto alla campagna di sensibilizzazione lanciata da Bambinisenzasbarre il cui spirito è perfettamente incarnato dallo slogan “Non un mio crimine, ma una mia condanna”. Dell’emergenza delle carceri ha recentemente e in modo dettagliato informato l’associazione Antigone: quello dei bambini a cui viene sottratta l’opportunità di mantenere un rapporto affettivo con il genitore detenuto è il classico “danno collaterale” di un sistema che fa acqua da tutte le parti con ricadute negative sugli attori in campo. Sono almeno 100mila i bambini che vivono quotidianamente sulle proprie spalle lo stress e l’angoscia di questa situazione entrando nelle 213 carceri italiane per il “tradizionale” colloquio con mamma o papà: sono in pochi a preoccuparsene, e in questo Bambinisenzasbarre fa eccezione, ma questi minori sono le vittime più facili per fenomeni di discriminazione ed esclusione sociale. Proprio loro, ed è un paradosso, dato che avrebbero ancora maggior bisogno di inclusione, di essere parte, di sentirsi accolti. “Non un mio crimine, ma una mia condanna” poche parole per descrivere la condizione di discriminazione e di emarginazione sociale subita dai figli a causa della detenzione del genitore, e il senso di disorientamento, disagio e paura che provano i bambini ogniqualvolta varcano il portone d’ingresso del carcere - così ha esordito Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre nel presentare la campagna on air a partire dal mese di dicembre. Un fenomeno sconosciuto e dimenticato, che coinvolge il minore sul piano emotivo, sociale e, spesso, economico; che lo rende vulnerabile e esposto a rischi psico-socio-affettivi che richiedono attenzione e cura senza per questo essere stigmatizzato”. La condizione di emergenza in cui versano le carceri italiane non fa altro che acuire il dramma: sono ancora molti, troppi, gli istituti penitenziari che, schiacciati da sovraffollamento e precarietà non sono in grado di mettere a disposizione di questi figli spazi e tempi di colloquio idonei a consentire il mantenimento del legame affettivo. Una caduta del legame che mette a rischio il riconoscimento stesso della figura genitoriale. Giustizia: Radicali; 43mila detenuti hanno aderito a iniziativa con sciopero della fame Adnkronos, 29 novembre 2012 “Sono 43.400 i detenuti che da 100 carceri italiane hanno aderito ai quattro giorni di sciopero della fame e di battitura promossi dai Radicali, dal 19 al 22 novembre, per la tutela del diritto al voto riconosciuto dalla legge anche a chi è recluso e per i diritti della polizia penitenziaria”. Lo rende noto Riccardo Arena che cura la rubrica Radio Carcere in onda su Radio Radicale. “Questa ennesima lotta non violenta - precisa Arena - è solo una tappa della lunga e difficile mobilitazione per l’amnistia e per la riforma della Giustizi. Lotta, non compresa dalla maggior parte dei parlamentari, ma ben chiara a chi oggi è detenuto, finalizzata al rispristino dello Stato di diritto nel nostro Paese. Stato di diritto - conclude Arena - che è lettera morta se, all’affermazione delle norme non consegue un accertamento giurisdizionale in tempi giusti della loro violazione”. Giustizia: Giostra (Csm); un Decreto per ampliare misure alternative, sì ai “braccialetti” Agi, 29 novembre 2012 Un decreto legge per ampliare le misure alternative al carcere, che recepisca alcune delle conclusioni dello studio condotto dalla Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza. “Ciò servirebbe per affrontare drasticamente il problema del sovraffollamento. Se non si può fare nulla, venga pure l’amnistia - ha spiegato Giostra - ma io preferisco riforme strutturali”. Favorevole a braccialetti elettronici “Io sono favorevole, soprattutto se l’uso dei braccialetti elettronici è rimesso alla richiesta dell’interessato”. Questo il parere del laico di centrosinistra al Csm, Glauco Giostra, interpellato sui braccialetti elettronici, a margine del Salone della Giustizia. “Credo che su questo ci siano però prevenzioni di tipo ideologico e un ritardo culturale, dato che ne sono state attivate solo poche unità“. a Commissione mista, istituita lo scorso anno con una delibera del Csm, ha indicato, tra le possibili soluzioni, la revisione di alcuni punti del codice di procedura penale e della legge sull’ordinamento penitenziario, per “rimuovere gli automatismi carcerari”, quali la “preclusione delle misure alternative” per chi è stato condannato ad alcuni reati” e “il carcere obbligatorio” come custodia cautelare per chi è indagato di alcuni reati gravi. “La Commissione propone di evitare il carcere se non è indispensabile”, ha spiegato Giostra, secondo il quale la strada alternativa al ricorso a un decreto legge, potrebbe essere quella di inserire alcuni di questi suggerimenti nel Ddl sulle misure alternative all’esame del Parlamento. Giustizia: Ministro Severino, grazie al Piano Carceri in un anno meno detenuti e più posti Asca, 29 novembre 2012 Il piano carceri “prevede 11.700 posti, vale a dire 11.700 posti, vale a dire 2.273 in più rispetto al piano carceri originario, e nonostante 228 milioni in meno rispetto agli stanziamenti originari del piano straordinario. I nuovi posti già disponibili al 31.12.2012 sono 2.150, 3.300 saranno disponibili il 31.12.2013 e 6.250 entro il 31.12.2014. Se anche questo vi sembra un fallimento, ditelo tenendo presente questi numeri”. Così il ministro della Giustizia, Paola Severino, intervenendo in Aula Camera, replicando alle polemiche sollevate ieri dalla Lega Nord e da alcuni deputati del Pdl sul disegno di legge recante Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, snocciolando alcune cifre sul piano carceri varato dal Governo a inizio 2012 contestando chi sostiene si sia rivelato un fallimento. Al 31 ottobre scorso, ha detto ancora il ministro, “erano presenti negli istituti italiani 66.687 detenuti rispetto ai 68.047 di dodici mesi prima. La diminuzione c’è stata, ieri ho sentito parlare di aumento del sovraffollamento carcerario e semplicemente non è vero”. Il numero di detenuti usciti dagli istituti in base alle leggi del 2010 e del 2012 “è stato pari a 8.363 unità”. E anche la cosiddetta norma contro le “porte girevoli” per le detenzioni fino a tre giorni “ha dimezzato il fenomeno”, facendolo calare dal 27 al 13 per cento. Di Giovan Paolo (Pd): non fermare percorso misure alternative “Dispiace che sulla necessaria riforma delle pene alternative al carcere, che darebbe risposte alle istanze del presidente Napolitano e del Papa, chi si era sperticato in rassicurazioni oggi parli d’altro”. È quanto afferma il senatore del Partito Democratico Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria, replicando alle polemiche sollevate da alcuni deputati del Pdl sul disegno di legge recante Delega al Governo in materia di misure detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova. “Cirielli è tra i meno titolati a parlare, visti i precedenti di leggi che portano il suo nome - sottolinea l’esponente Pd - È sconcertante che a fronte di un tema così importante, prevalga il furore pre-elettorale a i diritti di individui, tra cui persone con problemi di salute, che stanno già pagando per le loro colpe diventino terreno di scontro politico e di propagandistico”. “Mi auguro che il provvedimento prosegua speditamente - conclude Di Giovan Paolo - e si approvino finalmente queste misure, che non significano rimettere in libertà frotte di detenuti ma garantire una pena più umana e possibilità di recupero”. Cirielli (Pdl): stranieri scontino pena nei loro paesi “Il disegno di legge sulle pene detentive alternative al carcere è un grave errore, un’altra amnistia mascherata, dopo il decreto Severino che, di fatto, ha eliminato il carcere per i reati tipici della microcriminalità“. È quanto afferma Edmondo Cirielli, deputato Pdl. “L’impianto complessivo della norma priva il cittadino di ogni tutela e la persona offesa del reato, scaricando su di essi l’inefficienza dello Stato. Si dà un nuovo colpo alla certezza della pena, con la conseguenza di diffondere un messaggio di sostanziale impunità per chi delinque e commette reati di grave allarme sociale. A ciò si aggiunge il danno arrecato alle forze dell’ordine che dovranno sobbarcarsi miriadi di controlli che si sommano a quelli già imposti in precedenza. Il vero problema - prosegue - è che non si è in grado di intervenire seriamente per risolvere il sovraffollamento carcerario. Non vanno avanti gli accordi con i Paesi extracomunitari per far scontare la pena in carcere agli stranieri nei loro Paesi d’origine. Non si avvia un piano serio di ristrutturazione delle carceri. Nulla - conclude - è stato fatto per la rieducazione dei detenuti che vivono, per colpa del governo, in una condizione subumana”. Testa (Radicali): legge Cirielli è causa sfacelo “Edmondo Cirielli, più che parlare di amnistia mascherata riferendosi al provvedimento sulla messa alla prova, dovrebbe invece rendersi conto che gran parte dello sfacelo del sistema carcerario, che registra in questi tempi il più alto numero di detenuti che affollano le nostre carceri, lo si deve proprio alla legge che porta il suo nome”. Così Irene Testa, segretario dell’Associazione Detenuto ignoto e membro della direzione dei Radicali, replica a Cirielli. “Già nel 2005, quando si approvò la sciagurata legge 251, denunciavamo che essa avrebbe devastato il già disastrato sistema delle carceri italiane, che gli istituti di pena sarebbero ritornati in poco tempo indietro di 20-30 anni, e il numero dei detenuti sarebbe presto quadruplicato, con gli effetti che ciascuno immaginava. nfatti - afferma Testa in una nota - la legge elimina i benefici e le previsioni dell’esistente legge Gozzini per tutti i recidivi (cioè, per oltre i due terzi degli attuali detenuti); aumenta una serie di pene anche per reati di minore gravità; elimina, al terzo reato, qualunque beneficio previsto dalle leggi vigenti. Date le condizioni, di allora e a maggior ragione delle attuali, in cui versano gli istituti di pena italiani, l’aver prodotto una tale normativa è stata un’autentica follia e, come Radicali, eserciteremo le dovute pressioni perché le Camere modifichino quella che è oggi una delle maggiori cause del malfunzionamento del sistema penale”. Giustizia: i seimila “Sallusti” che finiscono in cella ogni anno… a loro niente domiciliari di Stefano Zurlo Il Giornale, 29 novembre 2012 Svuota-carceri uno e due, ma le celle sono sempre piene. Colme di detenuti entrati nelle patrie galere per scontare una pena breve. Brevissima. Quasi seimila, 5.995 per la precisione, solo nel 2012, con una condanna sulle spalle a 2 anni o anche meno. Molto meno. Proprio come il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che però per il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati deve andare ai domiciliari. Gli avvocati di rito ambrosiano protestano contro il presunto privilegio e non hanno tutti i torti: ci sono tanti disperati, e non solo disperati, costretti ad assaggiare il carcere per un periodo lungo come un battito di ciglia. Un pugno di settimane, quattordici mesi, come Sallusti, al massimo ventiquattro. A due anni è fissata per legge l’asticella della condizionale che dovrebbe aprirsi come un paracadute per evitare al malcapitato l’esperienza dietro le sbarre. Ma la condizionale può essere concessa una volta sola e in ogni caso non è automatica e non sempre viene accordata. Il giudice può negarla, proprio com’è accaduto a Sallusti, e allora sono guai. Certo, gli ultimi governi hanno tentato di tutto per sfoltire la popolazione carceraria che attualmente è arrivata a quota 66.500. E così a fine 2010 il guardasigilli Angelino Alfano ha lanciato lo svuota-carceri; per le pene (pure quelle residue) fino a 12 mesi. L’indicazione è quella della detenzione domiciliare. Paola Severino a febbraio si è incamminata sullo stesso sentiero, ampliando l’area della detenzione domiciliare fino a 18 mesi. La legge prova a governare i flussi, ma non impone scelte alla magistratura. Il giudice di sorveglianza che si occupa della pratica Sallusti resta libero di stabilire le modalità di esecuzione della pena: carcere o detenzione a casa. E i numeri, forniti al Giornale dal Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dicono che gli ingressi in prigione, svuota-carceri o non svuota-carceri, sono sempre imponenti. Nel 2009 gli accessi alle galere sono stati in Italia 3.276 per pene fino a 1 anno e 4.031 fino a 2 anni; nel 2010 rispettivamente 3.293 e 3.990. Nel 2011, con la legge voluta da Alfano già operativa, sono finite in cella 2.733 persone con condanne fino a 1 anno e 3.722 fino a 2 anni. E nel 2012? La Severino ha allungato ancora lo scivolo, ma alla fine, per una ragione o per l’altra, gli accessi (aggiornati al 14 novembre scorso) sono stati rispettivamente 2.426 e 3.569. Per un totale di 5.995. Quasi seimila. Cifre che, a spanne, coinvolgono quasi il 10 per cento della popolazione carceraria. Si può rimanere sorpresi da questi dati, ma al Dap offrono un ventaglio di spiegazioni. “Ci possono essere i recidivi, quelli che i giudici di sorveglianza ritengono pericolosi, pronti a delinquere di nuovo”. E in questo caso la misura soft della detenzione domiciliare viene scartata. “C’è poi un secondo girone, composto in buona parte da stranieri, spesso abbandonati a loro stessi, con difensori d’ufficio che sanno poco o nulla dei loro clienti”. E questi poveracci non chiedono nemmeno le misure alternative al carcere e vanno incontro al loro destino, senza porsi domande. Siamo davanti a un piccolo esercito senza voce. La norma darebbe loro un aiuto, la magistratura ha deciso in altro modo, dopo aver pesato i fascicoli e studiato le personalità. Il caso Sallusti li colloca sotto i riflettori. Almeno per oggi. Giustizia: la storia di Lucia… da detenuta a badante di Francesco Lo Piccolo (direttore di “Voci di dentro”) www.huffingtonpost.it, 29 novembre 2012 Chi frequenta il carcere come volontario, un giorno sì e un giorno no, immancabilmente, viene preso da un senso di scoramento di fronte all’abisso che c’è tra le leggi e la loro applicazione. Da una parte sa che il carcere deve tutelare la dignità umana, che c’è la legge 354 del 1975 dell’ordinamento penitenziario (articolo 1: nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale) dall’altra assiste impotente a una realtà che va in direzione opposta: abbruttimento, sporcizia, metadone spesso distribuito in quantità industriale, inedia, sovraffollamento, burocrazia, diritti negati o al più ammessi solo per “domandina” e dove l’uomo è ridotto alla cieca obbedienza. Per fortuna che accanto al giorno no, ti capita anche “il giorno sì”, il giorno in cui, anche se con troppo ritardo, il carcere fa il suo dovere - se così si può dire - e dalla logica del luogo-parcheggio di contraddizioni sociali irrisolte, improvvisamente passa a dare un altro senso al suo essere provvedendo concretamente ad applicare il principio della rieducazione (sebbene principio vecchio e stantio come sostiene Mauro Palma Presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura) e a passare alla fase successiva: la responsabilizzazione. Quel “giorno sì” a me è capitato due settimane fa durante il consueto incontro della redazione di Voci di dentro - gruppo di Chieti - quando ho saputo che la magistratura di sorveglianza, in anticipo su un fine pena fissato a marzo 2014, aveva concesso la semilibertà a Lucia M. di 33 anni. Nessun atto di clemenza, solo un provvedimento frutto della buona condotta della detenuta e dei meccanismi sul conteggio dei giorni da scontare in carcere (meno 45 giorni ogni sei mesi senza rapporti negativi). Ma, come è chiaro, il senso del mio giorno sì, non è stato certo il vedere le lacrime di gioia di Lucia, o di sentire la commozione nelle sue parole (anche se contano), ma il fatto di sapere che Lucia dal giorno dopo, anziché starsene abbruttita in cella (nonostante il tanto impegno e addirittura dedizione della polizia penitenziaria), sarebbe andata fuori ad assistere come badante un anziano del suo paese a Fara Filiorum Petri. Dunque fuori per lavoro (riparazione del danno) ma soprattutto per un lavoro socialmente utile. Altro che concessione dei domiciliari! Altro che indulto o amnistia! (misure che peraltro in questa fase di disastro sono più che necessarie). Qualche giorno dopo sono andato a casa sua. Aveva da poco finito il suo turno di lavoro, mi ha offerto il caffè nella sua casa di campagna con camino acceso, mi ha fatto conoscere sua figlia Helena di 11 anni, sua madre e suo padre. E mi ha raccontato la sua storia. Incensurata, la scuola, il lavoro, una vita regolare, il matrimonio, la malattia, l’asportazione della milza, le medicine, le pillole antiepilessia, le difficoltà economiche...una cattiva compagnia, il viaggio in auto con alcuni chili di droga, il posto di blocco, l’arresto, la condanna a 4 anni di carcere. Prima nel carcere di Chieti, poi Teramo, poi dopo un viaggio di tre giorni (pullman più nave, attese snervanti dentro il blindo, sofferenze disumane, caldo e manette...), la Casa circondariale di Trapani “San Giuliano”, per 15 mesi in una cella da sei con donne dentro per mafia, clima pesante, rapporti difficili, nessuna amica, acqua razionata: dalle 7 alle 9, dalle 11 all’una, dalle 18 alle 20. E ora da meno di un mese di nuovo Chieti. Racconta Lucia: “È stata dura, ma non mi sono arresa, in tutte e tre le carceri ho cercato di fare qualcosa, spesina, scopina, porta vitto, lavanderia. Tutto pur di non morire in cella senza fare nulla...Con quello che ho fatto ho perso la stima di persone per me molto importanti. Ho perso l’amore di mio marito; ho fatto del male a mia madre, le ho tolto dieci anni di vita; ho fatto del male a mia figlia. So che tanti non mi perdoneranno per quello che ho fatto, ma soprattutto sono io che non mi perdono. E che ho sbagliato, l’ho capito subito, non ci vuole certo molto a capirlo. Ma ora posso solo ricominciare, anzi devo, per me e per Helena: con lei faccio i compiti, l’aiuto con l’inglese, la matematica, la storia, la grammatica. E al mattino aiuto Camillo, allettato perché anziano e malato; lo cambio, lo lavo, gli faccio la barba, gli do da mangiare. È il mio lavoro, è faticoso, ma è giusto così. La sera torno in cella a Chieti, mi porta mio padre o mia madre con l’auto e la mattina mi vengono a riprendere. Un sacrificio anche per loro, ma spero di riavere presto la patente e di fare da sola. Comunque sono felice, molto, sono di nuovo una persona”. Una persona viva, che fa qualcosa per gli altri. Qualcosa di buono. Altro che nuove leggi, nuove riforme, nuovi carceri. Il buono di questa storia è che in questo modo, solo in questo modo, viene davvero resa effettiva e concreta la pena. Meglio del carcere dunque che nei fatti, per come è, è quasi sempre inefficace come dimostrano anni e anni di brutta storia. Oltre il carcere dunque. Il buono di questa storia, ancora, è che è replicabile, che dovrebbe essere copiata all’infinito e applicata ovunque, sempre e il più possibile. Per questo ne parlo, per questo mi sono trovato pienamente favorevole all’impiego dei detenuti per il terremoto in Emilia Romagna. Come lo sarei ora se qualcuno lo proponesse per dare una mano alle popolazioni colpite dall’esondazioni dei fiumi, e come lo sarei per tutti i lavori di pubblica e sociale utilità di cui l’Italia ha estremo bisogno. E chiudo: dovrebbe essere già il giudice che al momento della sentenza e nella stessa sentenza prevede per reati minori (che sono la gran parte) la pena in lavori di pubblica utilità. Perché diventi una prassi, perché diventi patrimonio della nostra civiltà, l’idea che la sanzione sostituisca il carcere e che il carcere diventi l’extrema ratio. Per tutti, vari Sallusti compresi, soprattutto in questi giorni dopo il voto al Senato che vuole introdurre il carcere per i giornalisti che diffamano. Soprattutto oggi pensando al giorno sì che mi ha fatto vivere Lucia M. 33 anni, capelli neri e lunghi sulle spalle. Post scriptum: naturalmente anch’io ho firmato per l’abolizione dell’ergastolo. Sardegna: Massama, Bancali, Uta; le nuove carceri “affogano”… in un mare di polemiche di Giampaolo Meloni La Nuova Sardegna, 29 novembre 2012 Massama: appena inaugurato è già allagato Nel progetto non era previsto un sistema di apporto naturale dalla pioggia, eppure le infiltrazioni sono abbondanti. La copertura non protegge abbastanza e l’acqua si è ricavata percorsi di penetrazione all’interno della struttura, inzuppa una parte dei pavimenti e attribuisce un abbassamento significativo dell’indice di vivibilità interna. Un appalto da 50 milioni che ora richiede interventi onerosi per la sistemazione delle carenze che si erano rivelate già alla vigilia del trasferimento dei detenuti dalla vecchia Reggia giudicale alla Casa circondariale di Massama, investito dell’attività formale martedì con la cerimonia di intitolazione all’agente della polizia penitenziaria Salvatore Soro, trucidato con altri suoi colleghi nella notte tra il 17 e 18 novembre del 1945 durante un tentativo di fuga organizzato da 6 ergastolani. “Non mi risulta nulla in tema di disfunzioni”, ha detto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino. Ma ha aggiunto: “L’impresa che ha costruito il carcere è tenuta a rispondere delle disfunzioni”. Un’ammissione indiretta sulla verità di un problema denunciato più volte da fonti sindacali e comunque rafforzato dallo stesso Tamburino quando ha sottolineato (seppure ricorrendo alla forma ipotetica) che nel caso vi fossero problemi l’amministrazione non potrà che rivalersi nei confronti della società costruttrice: “Saranno fatte verifiche”, ha voluto ribadire il capo del Dap. Nel periodo precedente la consegna dei lavori (ottobre scorso) la ditta Intini di Bari, che vinse l’appalto nel 2009, aveva manifestato difficoltà di ordine finanziario. Sulla precarietà di alcune opere interne, in prevalenza gli impianti tecnologici, avevano chiesto spiegazioni la scorsa primavera anche i parlamentari del Pd Caterina Pes e del Pdl Mauro Pili il quale ha poi incalzato il ministero accusandolo di voler trasformare l’isola in una Cayenna con il trasferimento di detenuti sottoposti al regime del 41 bis (capi di organizzazioni criminali di tipo mafioso). Non è il solo disagio, quello dell’umidità. L’altra carenza rilevante che incide sul sistema delle comunicazioni interne e con l’esterno riguarda gli impianti di cablaggio e i sistemi telefonici non ancora completati. Il dirigente più alto del Dap non ha voluto sbilanciarsi su un argomento che proprio nel giorno della cerimonia avrebbe stonato, inarcando un neo nel percorso che secondo il ministero della Giustizia è destinato a far progredire il sistema carcerario. “Il fatto rilevante - ha detto Tamburino -è che con le quattro nuove strutture in Sardegna la qualità della vita dei detenuti migliora. È un segno di cambiamento profondo”. Entusiasmo che tuttavia non combacia con la necessità di firmare in tempi recenti una perizia di variante per poter eseguire tutta la manutenzione. Compito affidato all’impresa sarda Cimas, che sta eseguendo gli interventi, compreso il completamento dei sistemi elettronici di chiusura e apertura dei cancelli e ne avrà il controllo per due anni, pur avanzando crediti ingenti per avere mandato a termine i lavori dopo l’uscita della Intini, senza però avere ricevuto le competenze economiche (in parte dalla stessa Intini e in parte dal ministero delle Infrastrutture). Spetterà poi alla stessa ditta effettuare i lavori di impermeabilizzazione, la cui necessità non è sfuggita anche ai componenti della commissione Diritti civili del consiglio regionale che poche settimane fa aveva visitato la struttura. Opere ingenti che alcuni tecnici esperti fanno derivare dalla qualità dei materiali usati. La parte più impegnativa e costosa sarà proprio quella relativa alle pavimentazioni, che dovranno in larga parte essere smantellate e ricostruite (l’area coperta complessiva della struttura è di 24mila metri quadrati), e all’impermeabilizzazione dei solai per bloccare le infiltrazioni. Intanto, pur nelle difficoltà si è dovuta osservare la tabella di marcia con il via al trasferimento. Tanto che allo stesso direttore del carcere Pierluigi Farci avrebbe preferito soprassedere, al momento. “Ma abbiamo imparato a nuotare”, ha commentato con ironia, per dire che anche nei disagi ci si è dovuti adattare. A compensare lo scenario arrivano altri progetti. Il capo del Dap ha appena firmato il secondo e ultimo progetto “Colonia” che finanzia 900mi-la euro per iniziative sul reinserimento dei detenuti nelle colonie di Mamone, Isili e Is Arenas. Ancora: centomila euro destinati alla ristrutturazione di alcuni locali nella Reggia giudicale dove per centouno anni è stato ospitato il carcere e che ora saranno destinati a ospitare i servizi sociali della Casa circondariale. In attesa che il ministero, come richiesto dal sindaco Guido Tendas, avvii le procedure con il Demanio per la restituzione alla città del suo “palazzo dell’amministrazione”. La struttura di Bancali non è pronta, inaugurazione (forse) nella primavera 2013 Il nuovo carcere di Bancali, a una manciata di chilometri da Sassari, non è ancora pronto. La mega struttura, realizzata su 15 ettari, costata sinora circa 86 milioni di euro, dotata di 400 celle, dovrebbe essere inaugurata nella primavera del 2013. Due gli anni di ritardo accumulati: la conclusione dell’opera era stata annunciata inizialmente per giugno 2011, poi per gennaio 2012. Nel frattempo i detenuti sassaresi continuano a scontare la loro pena nel carcere di San Sebastiano, nella centrale via Roma. Qualche giorno fa la struttura è stata oggetto di un sopralluogo da parte dei delegati delle Camere Penali. Il report di quell’esperienza è agghiacciante: i detenuti vengono descritti come animali rassegnati, specie di zombi perennemente sprofondati nelle brande. Stanze di 3 metri per 2, nessuno spazio fisico per fare quattro passi. Quando la sera nella cella viene chiuso il blindo, Il senso di claustrofobia dev’essere devastante. Nelle celle ci sono tre letti a castello impilati uno sull’altro, chi sta su quello in cima deve strisciare o stare rannicchiato per non sbattere la testa sul soffitto. Nessuna privacy: il servizio alla turca è accanto ai letti, separato solo da un muretto di sessanta centimetri e da un telo usato come sipario. E questa è la sistemazione migliore, perché nella casa circondariale c’è chi sta addirittura peggio. Sono gli sfortunati capitati nel terzo braccio, ovvero l’ala che era stata chiusa perché al limiti dell’inagibilità. Qui le pareti e il soffitto grondano di umidità, l’intonaco cade a pezzi e anche provare a ripararlo sarebbe una perdita di tempo. Uta: l’incompiuta dove manca la fognatura Doveva essere inaugurato entro fine anno, ma da settimane mancano i materiali di base per completare parti importanti della struttura. Il carcere di Uta, che nei progetti del Dap sostituirà il vecchio Buoncammino, quasi raddoppiandone la capienza, rimane ancora una incompiuta. Chicco Cordeddu, segretario della Fillea-Cgil, ricorda i ritardi nel pagamento degli stipendi, che per quasi tutto il 2012 hanno visto i lavoratori contrapposti all’impresa Opere Pubbliche di Roma, e conferma che il cantiere a tutt’oggi è praticamente fermo. “E presente materiale per poche settimane, al massimo c’è cemento per qualche solaio, ma non certo materiale necessario a completare l’opera, tantomeno entro fine anno. Riteniamo che Opere Pubbliche a questo punto abbia problemi anche nel rifornirsi di materiali, nonostante vi siano 4 milioni di euro di lavori contrattualizzati, ma non ancora eseguiti. Vorrei solo ricordare che il sistema di allaccio e scarico idrico e fognario è assente, per cui l’intera struttura, a differenza di quanto hanno asserito in passato gli alti vertici del ministero della Giustizia, non sarà agibile entro fine anno”. I trasferimenti previsti per i primi dell’anno a questo punto rischiano di saltare perché il carcere non è nelle condizioni di essere agibile in breve tempo. I detenuti che dovrebbero andare a Uta sarebbero circa 200 in più di quelli reclusi a Buoncammino, ma anche se il carcere venisse completato entro i primi mesi del 2013 passerebbero ancora diversi mesi prima che il vecchio carcere del colle cagliaritano verrebbe svuotato dai suoi ospiti. A questo punto non è detto che la chiusura definitiva del vecchio carcere avvenga nel 2013. Sardegna: Sdr; nuove carceri nel caos, si pagano effetti omessi controlli negli appalti Ristretti Orizzonti, 29 novembre 2012 “Non possono sorprendere né i problemi di infiltrazioni di acqua nel carcere di Oristano-Massama né l’ennesima sospensione dei lavori a Cagliari-Uta né tantomeno l’ulteriore slittamento della consegna dell’Istituto di Sassari-Bancali. Sono le ovvie conseguenze dell’avere assegnato i lavori con procedura d’urgenza, senza asta pubblica e con secretazione degli atti. L’assenza di trasparenza peri opere costate complessivamente oltre 160 milioni di euro volute dai Ministri Pietro Lunardi e Roberto Castelli non poteva dare risultati migliori”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso dell’ulteriore denuncia dei sindacati nelle diverse strutture penitenziarie e facendo osservare che “occorre effettuare un accurato controllo a Uta per evitare successive sorprese”. “Purtroppo - sottolinea - non si possono affidare lavori così importanti a imprese o gruppi ritenendo che la rapidità nell’assegnazione dei lavori e nell’apertura dei cantieri corrisponda ad altrettanta velocità nella loro realizzazione e ad un alto livello qualitativo nell’esecuzione delle strutture. Fino ad ora il Piano carceri Sardegna ha mostrato solo aspetti negativi perfino nella scelta delle aree in cui stanno sorgendo gli Istituti”. “A Oristano-Massama come a Cagliari-Uta - evidenzia la presidente di SdR - sarebbe opportuna un’inchiesta anche per verificare fino a che punto i progetti iniziali sono stati modificati e per conoscere l’esatto ammontare delle spese. L’iniziativa potrebbe essere assunta dai Parlamentari sardi che hanno un ruolo di controllo sull’operato del Ministero delle Infrastrutture. Se non si interviene subito quello che si sta palesando a Massama dove sono stati utilizzati materiali non idonei potrebbe essersi verificato anche a Bancali e Uta con conseguenze che si faranno sentire, qualora i lavori dovessero concludersi, non appena gli Istituti saranno consegnati. Così raddoppieranno i costi a carico dei cittadini e non si risolverà - conclude Caligaris - il problema del soprannumero dei detenuti nelle carceri della Sardegna”. Puglia: accordo tra Prap e Volontariato per rafforzare l’inserimento dei detenuti Redattore Sociale, 29 novembre 2012 È stato sottoscritto nei giorni scorsi tra Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Csvnet Puglia e Conferenza regionale volontariato e giustizia per promuovere l’inserimento di volontari nell’esecuzione penale esterna. È costante l’impegno del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria pugliese per rafforzare l’inserimento delle persone detenute in percorsi alternativi rispetto alla detenzione. Un percorso che spesso è auspicato ma altrettanto spesso è trascurato, soprattutto a causa dell’impegno che richiede da parte di tutti i soggetti potenzialmente coinvolti. È con questo spirito che nei giorni scorsi il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha sottoscritto un accordo con Csvnet Puglia e Conferenza regionale volontariato e giustizia, per promuovere l’inserimento di volontari nell’esecuzione penale esterna di tutto il territorio regionale. L’accordo tra i tre soggetti intende rafforzare e supportare i percorsi di rieducazione e di reinserimento sociale nel territorio di residenza degli adulti che scontano una condanna penale in misura alternativa alla detenzione. Il meccanismo è semplice: le associazioni di volontariato contribuiscono alla costruzione di progetti individualizzati di trattamento anche con l’obiettivo di contribuire alla sicurezza della collettività, grazie alla diminuzione del rischio di recidiva che un effettivo inserimento sociale porta con sé. Oggetto dell’accordo, quindi, è l’organizzazione delle attività di volontariato da svolgere sul territorio regionale in collaborazione fra organismi di volontariato e uffici locali di Esecuzione Penale Esterna (Uepe), mediante l’azione di coordinamento svolta dal tavolo permanente costituito presso il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria. “Alla sottoscrizione dell’accordo operativo - ha spiegato Giuseppe Martone, provveditore regionale pugliese - si è giunti dopo un percorso di condivisione e di progettazione congiunta, avviato nel 2011 su impulso del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il percorso è partito dalla rilevazione dei bisogni della popolazione in esecuzione penale esterna e delle risorse del territorio, condotta da ciascun Uepe locale, per giungere alla programmazione partecipata, con le associazioni disponibili, degli interventi più opportuni per venire incontro a tali bisogni. La programmazione locale è stata poi integrata, rispettandone le specificità di merito, in un disegno di metodo omogeneo a livello regionale, relativo ai tempi di implementazione, alle modalità di ampliamento della rete, al percorso formativo congiunto e alle modalità operative per il successivo coinvolgimento dei singoli volontari nelle attività concordate”. Piacenza: suicidio al carcere delle Novate, si toglie la vita un ragazzo di 22 anni Adnkronos, 29 novembre 2012 “Un altro morto nelle carceri italiane. Ci hanno appena riferito che oggi, nel carcere di Piacenza, un giovane detenuto italiano di 22 anni si è tolto la vita”, scrive in una nota il segretario generale aggiunto del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante. “È l’ennesima tragedia nelle sovraffollate carceri italiane dove ormai è un vero e proprio bollettino di guerra”, aggiunge, come riporta l’Adnkronos. “Questa volta, purtroppo, non c’è stato niente da fare, per la polizia penitenziaria che, ogni anno, riesce a salvare la vita a oltre mille detenuti, nonostante le gravi carenze di personale. Ricordiamo - denuncia Durante - che mancano settemila unità e con i tagli alla spesa pubblica nei prossimi tre anni perderemo altri tremila agenti”. Durante ricorda poi alcuni dati: nel primo semestre del 2012 “ci sono stati 3.617 gesti di autolesionismo, 637 tentativi di suicidio, 25 suicidi, 51 decessi per cause naturali, 541 ferimenti e 2.322 colluttazioni. In vent’anni, dal 1992 al 30 giugno del 2012 - conclude il segretario del Sappe - ci sono stati 112.844 atti di autolesionismo, 16.388 tentativi di suicidio, 1.097 suicidi e 1.924 decessi per cause naturali”. Palermo: report finale di “Buoni Dentro”, progetto per formazione professionale detenuti Ansa, 29 novembre 2012 Per i detenuti la formazione culturale e professionale e il miglior sistema di inclusione sociale, la loro aspirazione prioritaria. Il dato emerge dal report finale di “Buoni Dentro”, un progetto realizzato da Infaop (Istituto nazionale per la formazione, l’addestramento e l’orientamento professionale). La ricerca dal titolo “Uno sguardo tra i pianeti della popolazione detenuta presso la casa circondariale Pagliarelli di Palermo” e stata presentata nel corso di un convegno nel teatro dell’istituto penitenziario. Il progetto è nato con lo scopo di dare una nuova immagine della struttura carceraria e dei detenuti attraverso un programma di formazione durato 24 mesi per riqualificare professionalmente un gruppo di detenuti e detenute del carcere palermitano al fine di ampliare le loro possibilità di accesso al mondo del lavoro, per mezzo di due corsi di formazione professionale paralleli: “mastro pastaio” per gli uomini e “operatrice socio assistenziale” per le donne. Partner di Buoni Dentro sono il Pastificio Giglio per la formazione dei detenuti e la Cooperativa Sociale Isola, per quella delle detenute. Novara: inaugurato il nuovo centro stampa digitale del carcere di Monica Curino www.oknovara.it, 29 novembre 2012 “Quelli di via Sforzesca”. È questo il nome della nuova tipografia attiva all’interno del carcere di Novara. Un’attività rinata dopo 12 anni e che, ora, con i nuovi tempi, si è adattata alle nuove tecnologie. Il tutto grazie all’ausilio del digitale e, soprattutto, con costi competitivi per il mercato di riferimento. All’inaugurazione del progetto, ieri mattina, mercoledì 28 novembre, la direttrice del carcere, Rosalia Marino, il magistrato di sorveglianza, Monica Calì, il parroco del carcere, don Franco Belloni, il sindaco di Novara, Andrea Ballarè, il prefetto Francesco Cataldo, i rappresentanti delle Forze dell’Ordine e altri rappresentanti delle realtà che hanno sostenuto il progetto rinnovato e contraddistinto da una libellula che torna a volare e a dare un’importante possibilità di reinserimento per i detenuti. A lavorarci, infatti, sono alcuni detenuti, grazie al supporto di una cooperativa novarese, “La terra promessa”. L’impegno per la riapertura della tipografia parte quattro anni fa. Poi, lo scorso anno, l’input definitivo, quando la Fondazione Casa di Carità e la direzione dell’istituto hanno dato il via all’azione volta alla realizzazione di un progetto di rilancio complessivo delle officine tipografiche, che ha visto ne “La terra promessa” il partner più adatto alla concretizzazione del piano di rilancio. Durante il 2012, il laboratorio cambia volto anche e soprattutto grazie ai mezzi messi a disposizione dalla Compagnia di San Paolo e dalla Cassa delle Ammende. L’acquisto di una nuova macchina per il centro stampa digitale, la revisione dei macchinari per la confezione del prodotto, la sostituzione dei sistemi informativi e l’allacciamento al web hanno contribuito in maniera sempre più concreta al rilancio del progetto. Attualmente la tipografia impiega due persone ospitate all’interno dell’istituto. A garantire il progetto, come anticipato, la cooperativa “La terra promessa”, onlus attiva all’interno del carcere da ben 25 anni, come rilevato dalla stessa Marino e da don Franco Belloni. “Il progetto - ha spiegato la direttrice - è partito due anni fa. Un’iniziativa difficile, complicata da realizzare in un carcere, ma ci siamo riusciti. E ci siamo riusciti grazie al sostegno dei diversi sodalizi e del Ministero. Una collaborazione importante, per cui ringrazio tutti. Anzi invito tutti a farsi avanti: qui i prezzi sono molto concorrenziali e i prodotti ben fatti”. “Promuoviamo attività interne per i detenuti - ha spiegato Maurizio Cerina, presidente de La Terra promessa - riaffermando la nostra vocazione. Si riacquista dignità con quello che si fa, col lavoro svolto. Un progetto importante per i detenuti coinvolti”. “C’è soddisfazione e una grande gioia - ha aggiunto Calì - per questa forma di apertura, per un trattamento non fine a se stesso. Si tratta di un’opportunità di lavoro vera e molto utile al recupero dei detenuti”. In una città, tra l’altro, dove il settore è molto forte. “Il primo lavoro compiuto in carcere con La Terra Promessa - ha spiegato don Franco - nel 1987-88, è stato un corso di agronomia per alcuni brigatisti che voleva assolutamente avere conoscenze di agraria. Da allora la nostra presenza all’interno del carcere si è sviluppata su altri percorsi e altre strade, sempre per offrire opportunità ai detenuti”. Dopo la visita del laboratorio e una dimostrazione della stampa digitale, la benedizione del nuovo centro stampa digitale. Per informazioni e contatti con “Quelli di via Sforzesca”: 0321463887/3496354530, oppure alle mail tipografia.novara@casadicarita.org info@quellidiviasforzesca.org. Teramo: tenta il suicidio infilando la testa tra le sbarre, arrivano vigili del fuoco a salvarlo www.primadanoi.it, 29 novembre 2012 Il fatto è successo nel pomeriggio di ieri. Il tunisino, 35 anni, recluso per reati legati allo spaccio di droga, ha infilato la testa tra le sbarre della feritoia della porta blindata della sua cella. Vano il tentativo di estrarla da parte degli agenti: è stato necessario l’intervento dei Vigili del fuoco che hanno dovuto segare le sbarre. L’uomo è stato quindi trasferito in infermeria. Non è la prima volta che il tunisino si rende protagonista di simili gesti: trasferito da un mese e mezzo a Teramo, dove è presente un reparto per detenuti con patologie psichiatriche, ha tentato altre due volte il suicidio. Prima si è tagliato una vena, in un secondo tentativo ha ingoiato lamette da barba e due batterie: in quest’ultima occasione è stato necessario trasferirlo in ospedale per un intervento chirurgico. Era rientrato da pochi giorni dal trattamento sanitario obbligatorio. Sull’episodio interviene il segretario provinciale del Sappe, il sindacato più rappresentativo degli agenti di Polizia penitenziaria, Giuseppe Pallini, che accusa l’amministrazione regionale penitenziaria di non prendere in giusta considerazione l’emergenza assistenza sanitaria psichiatrica per i detenuti del carcere di Castrogno, ma nello stesso tempo critica anche la Asl di Teramo che, all’indomani della convenzione stipulata con l’amministrazione penitenziaria, non ha ancora attrezzato adeguatamente le celle per ospitare detenuti con patologie a rischio suicidio. Sulmona (Aq): ex detenuto reclama stipendi pregressi, fa pignorare i beni del supercarcere Asca, 29 novembre 2012 Il tribunale sulmonese ha condannato il carcere di via Lamaccio a pagare lo stipendio pregresso ad un detenuto che aveva lavorato nella cucina della casa di reclusione. Con una delle prime sentenze in Italia del genere è stato disposto anche il pignoramento preventivo dei beni dell’istituto di pena. A vincere la sua battaglia legale, tramite l’avvocato Fabio Cantelmi, è Pasquale Contini. L’uomo venne arrestato nel 2001 quando, volendo colpire il fratello con una coltellata, prese la mamma uccidendola, accorgendosene solo al momento del fermo. La pena fu di 18 anni, poi ridotti a 15 per il patteggiamento e a 8 per buona condotta. Ora l’uomo vive con una pensione di invalidità di 260 euro. “Ho dovuto fare causa al carcere perché con i pochi soldi della pensione non ce la faccio a vivere”, ha detto durante un’intervista televisiva. Palermo: Cisl-Fsn; nuovo caso di violenza in carcere, calci e pugni a due agenti Ansa, 29 novembre 2012 A ricorrere alle cure mediche, due agenti della polizia penitenziaria. È il secondo caso in ventiquattro ore: i sindacati: “Le carceri siciliane sono delle bombe ad orologeria”. Un nuovo episodio di violenza si è verificato oggi nel carcere dell’Ucciardone, dove un detenuto extracomunitario si è scagliato contro due agenti della polizia penitenziaria e li ha colpiti con calci e pugni. I due poliziotti sono dovuti ricorrere alle cure di un medico, proprio come precisa la Cisl Fns Sicilia, il cui segretario generale, Domenico Ballotta, precisa: “Le ventisette strutture carcerarie presenti in tutta la regione, e anche il carcere dell’Ucciardone, sono ormai una bomba ad orologeria”. Sono necessari interventi risolutivi - ha aggiunto - il personale non può continuare a pagare le conseguenze”. L’ultimo episodio si era verificato soltanto ieri, sempre all’Ucciardone: due agenti in servizio sono rimasti feriti in seguito ad un’aggressione subita durante un intervento per evitare l’incontro tra due detenuti. “In diverse circostanze ho evidenziato la necessità e l’urgenza di un intervento legislativo - ha detto Salvo Fleres, garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale - utile per affrontare e superare questo momento d’emergenza ma, sino ad oggi, nessuna iniziativa governativa concreta è stata sottoposta al vaglio del Parlamento”. Immigrazione: Oim; elaborare codice per tutelare detenuti nei Cie Adnkronos, 29 novembre 2012 Elaborare un codice che regoli gli aspetti fondamentali della vita dei migranti all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione, come le visite dei familiari, l’assistenza legale e la possibilità di comunicare con l’esterno. Questo uno dei temi sollevati dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (Oim) di Roma in una lettera inviata, nei giorni scorsi, ai ministri dell’Interno, degli Esteri e della Giustizia. Le osservazione dell’Oim sono frutto del lavoro svolto all’interno dei Cie nell’ambito del progetto Praesidium, finanziato dallo stesso ministero dell’Interno. Non solo: per l’Oim è necessario garantire l’effettiva applicazione della Direttiva sui Rimpatri, promuovendo la partenza volontaria e cancellando il divieto di reingresso nel caso di collaborazione del migrante nella sua identificazione. Ancora: limitare l’utilizzo dei luoghi di trattenimento informali, come palestre, tensostrutture e simili, dove vengono trattenuti per diversi giorni i migranti appena sbarcati. Infine, distaccare personale di polizia degli uffici immigrazione presso i maggiori istituti di pena, così da facilitare un collegamento tra le amministrazioni della Giustizia e dell’Interno. Le criticità rilevate dall’organizzazione nei Cie, scrive l’Oim nel suo Report settimanale, sono varie: dall’ozio forzato a cui sono costretti gli immigrati e dall’eccessiva vicinanza di ex detenuti condannati per reati di vario genere con immigrati incensurati, alla diversità di trattamento nei centri e alla necessità di ridurre i tempi di trattenimento. “È stato inoltre rilevato - continua l’organizzazione - come sia importante effettuare dei training ad hoc per i reparti mobili che si occupano della vigilanza e che non hanno una formazione specifica sul fenomeno della migrazione e nella gestione di soggetti privati della libertà personale”. “Sempre più spesso i migranti che hanno terminato il loro periodo di detenzione devono subire un ulteriore lungo e inutile trattenimento a scopi puramente amministrativi”, ha dichiarato Josè Angel Oropeza, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento Oim per il Mediterraneo. “Tale pratica - ha aggiunto - non soltanto ha un impatto negativo sul rispetto dei diritti umani degli migranti, ma allo stesso tempo fa aumentare i costi di mantenimento delle strutture”. Messico: turista italiano morì in carcere; oggi processo a Lecce, imputati 8 funzionari Ansa, 29 novembre 2012 Si è tenuta oggi a Lecce davanti ai giudici della Corte d’Assise di Lecce la seconda udienza per l’omicidio di Simone Renda, il bancario leccese di 34 anni deceduto in circostanze misteriose il 3 marzo 2007, mentre si trovava in vacanza in Messico. Imputati otto rappresentanti delle istituzioni messicane, tra cui un magistrato, poliziotti e dirigenti del carcere accusati di omicidio volontario e violazione dell’articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. “Si tratta del primo processo del genere in Europa celebrato in violazione della Convenzione Onu di New York contro la tortura, firmata nel 1984 e ratificata dallo stato italiano - precisa l’avvocato Fabio Valenti che assiste la famiglia Renda con Pasquale Corleto. È un processo alle istituzioni messicane, e per la prima volta proprio in applicazione della Convenzione di New York, si celebra non nel paese dove è stato commesso il reato, ma nel paese della vittima”. Oggi hanno testimoniato la mamma di Simone, Cecilia Greco, e l’allora ambasciatore italiano in Messico Felice Scauso. La prossima udienza si svolgerà l’11 febbraio 2013. Simone Renda fu arrestato due giorni prima del decesso dalla polizia turistica con l’accusa di ubriachezza molesta e disturbo della quiete pubblica, e rinchiuso in una cella di sicurezza. In realtà Simone doveva partire per l’Italia ma non si svegliò e quindi non liberò la stanza all’ora prevista. Il personale dell’albergo entrò nella sua stanza con il passe-partout e a quel punto Renda, consapevole di aver perso l’aereo, si alzò in forte stato di agitazione, uscendo nel corridoio dell’albergo urlando. A quel punto il personale dell’albergo chiamò la polizia turistica. Renda venne arrestato in evidente stato confusionale e al momento dell’arresto il medico in servizio presso il carcere municipale gli aveva diagnosticato un grave stato clinico dovuto a ipertensione e un sospetto principio d’infarto, prescrivendo immediati accertamenti clinici in una struttura ospedaliera. Inspiegabilmente, però, le richieste del medico non furono ascoltate e il turista salentino fu trattenuto in stato di fermo senza ricevere assistenza sanitaria, abbandonato a se stesso. Senz’acqua e senza cibo per 42 ore, morì completamente disidratato. Stati Uniti: Rapporto Congresso; da chiusura Guantánamo nessun rischio per sicurezza Apcom, 29 novembre 2012 Il carcere di Guantanámo può essere chiuso senza mettere in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti. Lo assicura un rapporto governativo, secondo cui i 166 detenuti potranno essere trasferiti nelle prigioni americane, senza che questo si riveli un pericolo per il Paese. Molti dei detenuti sono accusati di aver pianificato attacchi terroristici contro gli Stati Uniti. “Questo rapporto dimostra che possiamo finalmente chiudere Guantánamo senza mettere in pericolo la sicurezza nazionale” ha dichiarato la democratica Dianne Feinstein, che guida la commissione d’intelligence al Senato, che ha rilasciato lo studio del Government Accountability Office (Gao), una sezione investigativa del Congresso. Il rapporto mostra anche che 98 prigioni statunitensi già hanno accolto 373 persone accusate di terrorismo. “Per quello che so, non c’è stato alcun problema, in termini di sicurezza” ha aggiunto Feinstein. “Questo non solo mette ancora più in risalto gli alti costi per il mantenimento di Guantánamo (114 milioni di dollari all’anno) ma (dimostra che le prigioni statunitensi) forniscono lo stesso grado di sicurezza”, senza la necessità di ricorrere a “una prigione militare in una zona isolata”. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, firmò all’inizio del suo primo mandato un ordine esecutivo per chiudere entro un anno la struttura, ma la sua decisione fu bloccata dai repubblicani proprio in nome della sicurezza nazionale. Russia: video con detenuto picchiato, arrestate 3 guardie e altre 3 sotto inchiesta Ansa, 29 novembre 2012 Tre guardie carcerarie sono state arrestate, ed altre tre sono sotto inchiesta, per aver picchiato un detenuto nella città meridionale di Novocerkass: un ennesimo episodio di brutalità nelle carceri russe. Le autorità del sistema penitenziario sono intervenute dopo la diffusione su internet di un video che mostra alcuni uomini in uniforme che colpiscono con calci e pugni un prigioniero con le mani legate dietro la testa e i pantaloni abbassati. Alcuni spezzoni, nei quali si vede il detenuto cadere a terra e invocare inutilmente clemenza, sono stati fatti vedere anche in tv. I difensori dei diritti umani sostengono che tali abusi sono diventati quasi routine. La direzione del carcere sostiene che comunque il prigioniero, condannato per rapina, si era comportato in modo estremamente provocatorio, disobbedendo agli ordini e rifiutando di scambiare abiti civili con l’uniforme carceraria. Svizzera: scultura da 100mila franchi per abbellire un carcere, è polemica www.tio.ch, 29 novembre 2012 La struttura metallica di 18 metri accanto alla futura estensione del carcere Bellevue di Gorgier nel Cantone di Neuchâtel fa molto discutere. Il progetto di erigere una palma metallica di 18 metri e dal costo di 100.000 franchi accanto alla futura estensione del carcere Bellevue di Gorgier (Ne) solleva una polemica di vaste proporzioni nel cantone di Neuchâtel. Esprimendosi oggi sulle colonne di “20 minutes”, il consigliere nazionale Udc Yvan Perrin - candidato al rinnovo dell’esecutivo cantonale la prossima primavera - definisce il progetto “il passo falso di troppo di una legislatura che li ha accumulati”. Pochi giorni fa, il Cantone ha annunciato di aver scelto l’opera artistica che completerà l’ammodernamento e l’estensione del penitenziario di Gorgier: una palma metallica, composta di un’asta di 18 metri e di foglie di un diametro di quattro metri. Situata all’esterno del carcere, ma visibile dall’interno, l’opera rappresenterà per i detenuti “un’apertura virtuale sul sogno” secondo l’autore, l’artista ginevrino Christian Gonzenbach. Il Cantone precisa che il progetto è conforme ad una pratica corrente: nell’ambito della costruzione o l’ammodernamento di uno stabile pubblico, dall’1 al 2% dell’importo è devoluto generalmente ad una decorazione artistica. Date le reazioni, la spiegazione non sembra tuttavia convincere la popolazione.