Giustizia: il Csm chiede una svolta per lo stato drammatico del sistema penitenziario di Mauro Palma Il Manifesto, 28 novembre 2012 Domani, 29 novembre, nella cornice del cosiddetto Salone della giustizia, ci sarà un momento importante e serio di discussione. La Commissione mista del Csm per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza presenterà gli esiti del suo lavoro e avanzerà un consistente pacchetto di buone proposte. Il punto di partenza è lo stato drammatico del sistema penitenziario, evidenziato - dice il documento finale - da due indicatori: il numero di detenuti, il numero dei suicidi e dei tentativi di suicidio avvenuti tra le mura del carcere. Quindi, il lavoro si è mosso da quella insopportabilità del carcere attuale, già da tempo evidenziata dallo stesso Capo dello Stato e che finora non ha trovato interventi che siano andati al di là del mero contenimento della crescita, dei piccoli ritocchi, senza incidere sui nodi di fondo. Le proposte si muovono in tre direzioni: favorire le uscite, limitare gli ingressi e incidere sulla durata dei provvedimenti che interessano i singoli detenuti, semplificandone e razionalizzandone i percorsi. Da qui un quadro dettagliato d’interventi, di modifiche normative e di soluzioni organizzative, tenute insieme da alcune ipotesi. La prima è che gli automatismi introdotti quali la preclusione ai recidivi dei benefici penitenziari (la legge ex Cirielli) e l’obbligatoria custodia in carcere di chi è imputato di un reato incluso in un lungo ed eterogeneo elenco, hanno avuto notevole incidenza sui numeri del carcere e hanno sottratto al giudice la possibilità di decidere caso per caso sulla base della propria valutazione. Questa possibilità è ridata al giudice, riaffermandone ruolo e responsabilità. L’automatismo è mantenuto solo per i reati di criminalità organizzata e di terrorismo. La seconda ipotesi individua nell’attuale tendenza a far comunque “passare per il carcere” anche coloro a cui si potrebbero applicare direttamente misure alternative, un fattore d’ingolfamento degli istituti e di ingiustificata sofferenza dei singoli. Da qui alcuni interventi per far sì che il magistrato di sorveglianza possa in via provvisoria applicare da subito tutte le misure alternative e per far sì che vengano valutate prima dell’emissione di un ordine di esecuzione di una condanna tutte le detrazioni applicabili. Infine, giustamente, si individua nell’attuale normativa sulle droghe il motore produttore di carcerazione anche per chi è accusato di reati di lieve entità nonché per chi è bisognoso più di intervento di supporto che di punizione detentiva. Qui l’intervento acquista un respiro più ampio, segnalando la necessità di un’inversione anche culturale. Proposte ragionevoli, quindi, e in grado di dare delle prime risposte concrete a un problema da tutti giudicato grave; anche vincendo le resistenze che possono sorgere tra i giudici - e sono sorte nello stesso Csm - nel riassumere la responsabilità della propria valutazione discrezionale. Sono proposte che devono essere il corpo di un provvedimento urgente da parte governativa: l’emissione di un decreto è fondata sul piano dell’urgenza e su quello della costituzionalità, perché volto a ricondurre la detenzione nel solco delineato dalla Costituzione. Per questo ce lo aspettiamo dal ministro Severino: più volte il governo ha riversato sul Parlamento la responsabilità di andare avanti con l’ipotesi di amnistia. Ora, sull’emissione di un decreto la responsabilità è tutta sua. Giustizia: celle aperte tutto il giorno e sorveglianza “a zona”, una rivoluzione per le carceri di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2012 Il vicecapo del Dap Pagano: “Si torna alla legalità”. Decisi anche circuiti differenziati per condannati e imputati, uso degli spazi per attività, pene da scontare vicino alla famiglia. Celle aperte, spazi da trasformare in luoghi operosi; carceri diverse per imputati e condannati, impostate per abbattere la recidiva grazie a lavoro, scuola, formazione; condanne da scontare vicino alla famiglia: una rivoluzione. In Italia nulla è più rivoluzionario del rispetto della legge. Perciò è una rivoluzione quella in atto nell’Amministrazione penitenziaria: in attesa che la politica faccia la sua parte, il Dap ha rotto l’immobilismo imperante per mandare “un segnale forte all’esterno”. Come? Applicando la legge senza se e senza ma. “Rivoluzionario” è l’ordine di tenere le celle aperte, tranne la notte, perché sono “camere di pernottamento”, dove si dorme e non si mangia né si trascorre la giornata, tanto più in carceri sovraffollate. “Rivoluzionario” è l’aumento delle ore d’aria negli spazi comuni, che devono essere luoghi operosi dov’è bandito l’ozio h24. “Rivoluzionari” sono i “circuiti differenziati”, carceri, per imputati o condannati che garantiscano a tutti un “trattamento”, specie ai detenuti di “media sicurezza” (più numerosi), mirato al reinserimento sociale. “Rivoluzionario” è il rispetto della territorialità, per cui i detenuti scontano la pena nelle carceri più vicine ai loro affetti. “L’amministrazione penitenziaria deve amministrare l’esistente ed è quello che, con tutte le difficoltà, vogliamo fare per essere più credibili” spiega Luigi Pagano vice capo del Dap, che con il presidente Giovanni Tamburino e l’altra vice Simonetta Matone è l’artefice di questa “rivoluzione normale”. A maggio il Dap ha inviato ai Provveditori una circolare per “progettare”, in base all’articolo 27 della Costituzione e al Regolamento penitenziario, un carcere diverso. Emilia Romagna, Piemonte e altre regioni sono già al lavoro e “a marzo in Campania ci sarà un istituto, a Carinola, con 700 detenuti, analogo a Bollate” (“carcere modello” considerato un esperimento) tutto impostato a criteri legali. “Migliorare il regime penitenziario significa vivere meglio” spiega Pagano riferendosi anche ai poliziotti: “In un carcere aperto non serve il marcamento a uomo, tipico degli agenti di custodia, ma basta “la zona”, che è quanto si chiede alla polizia penitenziaria: una sorta di poliziotto di quartiere che controlla il territorio mentre gli educatori seguono direttamente i detenuti dove si svolge la loro giornata. Così si danno al magistrato di sorveglianza elementi più concreti per concedere misure alternative”. Di più: “Un carcere aperto consente alla società di entrare “dentro” senza subire orarie abitudini carcerarie che stridono con i ritmi di vita e di lavoro all’esterno. Perché non va dimenticato - conclude Pagano - che la maggior parte degli elementi di trattamento (lavoro, sanità, istruzione, formazione professionale, attività sportive e ricreative) presuppongono l’intervento di “esterni”: enti locali, regioni, imprese private”. Che in carcere troveranno più spazio per offrire lavoro. Giustizia: Severino; disegno di legge sulle misure alternative approvato entro la legislatura Agi, 28 novembre 2012 “Tengo le dita incrociate, spero proprio che vengano approvate prima della fine legislatura. Continuerò a vigilare e insistere perché ritengo che siano indispensabili per potenziare il piano di riduzione dell’affollamento carcerario”. Così il ministro della Giustizia, Paola Severino, parla della riforma sulle misure alternative al carcere, in un’intervista a “Famiglia Cristiana”. “Sono convinta - afferma il Guardasigilli - che la detenzione dietro le sbarre debba essere utilizzata solo quando tutte le altre misure alternative non si possono adottare, a partire dai minori”. Uno dei temi affrontati dal ministro è il lavoro per i detenuti: “Ho molto insistito - spiega Severino - perché nella legge di stabilità ci fosse una quota destinata proprio al lavoro carcerario. Si deve capire che non si tratta di una spesa, ma di un investimento proficuo e utile. I dati dimostrano che chi lavora in carcere abbatte la recidiva in maniera straordinaria”. Il ministro ricorda i risultati positivi del decreto salva-carceri. “In un anno gli ingressi in carcere per soli 3 giorni sono calati dal 22 al 14 per cento, mentre erano il 27 per cento del totale nel 2009 - sottolinea - inoltre è stata già applicata in 8 mila casi, con il vaglio del giudice, l’estensione da 12 a 18 mesi del periodo di fine pena, per il quale si può ottenere la conversione dalla detenzione carceraria ai domiciliari. Infine è operativo il piano straordinario per l’edilizia carceraria, che aumenta la capienza di alcune carceri. Nonostante un finanziamento tagliato di 228 milioni di euro rispetto al previsto, ci sarà un incremento di 2.273 posti detentivi rispetto ai 9.300 dell’originario piano carceri del 2010”. Un pensiero, poi, va alle madri detenute di bambini molto piccoli: “Oggi questi bambini sono una sessantina - dichiara Severino - e si deve fare il possibile per non farli crescere dietro le sbarre. Per queste situazioni bisogna estendere gli Icam (Istituti a custodia attenuata per detenute madri), degli spazi accoglienti dove gli agenti sono senza divisa e i volontari portano allegria e fantasia. Credo inoltre profondamente nell’importanza delle Case famiglia protette, dove donne e bambini in situazioni difficili possono recuperare un rapporto sereno con la società“. Infine, Paola Severino ribadisce di voler tornare all’insegnamento, al termine della legislatura: “gli studenti mi mancano davvero tanto. C’è il desiderio di raccontare loro questa esperienza della mia vita, e insegnare aiuta a restare giovani, perché ti trovi sempre davanti persone la cui fascia di età non cambia mai”. Giustizia: in Aula Camera norme sulle pene alternative; Idv e Lega contrarie, Pdl spaccato Adnkronos, 28 novembre 2012 Oggi in Aula alla Camera l’esame del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate) Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio dell’articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall’Assemblea il 9 ottobre 2012). Il Pdl si divide, gli ex An dicono no Il Pdl si divide nell’Aula della Camera nelle votazioni sul disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia, Paola Severino, che attribuisce al governo la delega “in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili”. Una nutrita pattuglia di deputati ex An, guidati dal coordinatore Ignazio La Russa, ha infatti votato a favore dell’emendamento soppressivo dell’articolo 1 del provvedimento. La proposta di modifica era stata inizialmente presentata da Angela Napoli, di Fli, e poi ritirata perché soddisfatta delle modifiche apportate al testo dalla commissione. Quindi è stata fatta propria da Lega e Idv e comunque bocciata dall’Assemblea. “Quando il carcere è pieno - ha affermato La Russa - si rimedia costruendo le carceri non liberando i detenuti”. Gli ex Fi, tranne eccezioni come quella di Fabio Garagnani, si sono invece pronunciati a favore del provvedimento. Maurizio Paniz, ricordando di non aver votato a favore dell’indulto, ha ricordato che la giustizia non può essere “emotiva”, ma deve “essere equilibrata e ragionata. Credo che non ci sia nessuna mancanza di rispetto nei confronti di quei cittadini che chiedono giustizia, credo che il rispetto della sicurezza si possa ottenere anche attraverso gli arresti domiciliari, che costituiscono comunque una seria privazione della libertà e un serio deterrente”. “Questo è un provvedimento di civiltà - ha fatto eco Francesco Sisto - che va votato e va appoggiato per un sistema penale più razionale e meno lontano dalla Costituzione”. Beccalossi (Pdl): Governo svuota carceri e tassa italiani perbene “C’è un limite a tutto. Il Governo Monti prima perseguita gli italiani perbene, con tasse e provvedimenti iniqui, poi fa un bel regalo ai delinquenti concedendogli comode pene alternative al carcere. Io a questo gioco non ci sto. E oggi più che mai mi sento orgogliosa di non aver mai dato la fiducia a questo Esecutivo”. Lo afferma Viviana Beccalossi, deputato e vicecoordinatore regionale del PDL in Lombardia, spiegando che “la certezza della pena non va mai messa in discussione” e motivando così il suo no “chiaro, forte e irrevocabile” alla legge delega sulle pene detentive non carcerarie in discussione alla Camera. “Mi fa piacere che la mia posizione - prosegue Beccalossi - sia stata seguita da altri colleghi deputati. È inutile continuare a lamentarsi della mancanza di sicurezza se poi il Governo, con la complicità del Parlamento, decide di svuotare le carceri e riconsegnare i delinquenti alla nostra quotidianità”. “E tutto ciò - conclude - senza mai dimenticare che oltre un terzo della popolazione carceraria è composta da stranieri, per lo più extracomunitari. Bene, rispediamoli nel loro Paese evitando, nel migliore dei casi, di dovergli garantire un letto e due pasti caldi ogni giorno”. Di Pietro (Idv): Camera vuole votare amnistia mascherata “Ancora una volta un provvedimento di amnistia mascherata. Nessuno lo dice, lo diciamo noi, unica forza politica che fa opposizione in Parlamento: in questo momento si sta votando una legge che concede gli arresti domiciliari, invece della galera, a tutti coloro che sono stati condannati per pene fino a quattro anni. Un mare di reati gravissimi”. Lo dice alla Camera il leader di Italia dei valori Antonio Di Pietro a proposito del disegno di legge sulle pene detentive non carcerarie in discussione a Montecitorio. “Se non c’è posto a sufficienza nelle patrie galere - afferma Di Pietro - si aumentino i posti per far entrare i delinquenti e si faccia una grande e seria depenalizzazione per quei reati che non meritano la galera. Ma è inutile che ogni volta che c’è un sovraffollamento delle carceri, invece di risolvere il problema alla radice - conclude Di Pietro - si buttano fuori fior di delinquenti con un giochino, un’amnistia o un indulto mascherato”. Lega: manifestazione contro ddl pene alternative Il Gruppo parlamentare della Lega Nord manifesterà nel pomeriggio in piazza Montecitorio per protestare contro il disegno di legge del Governo sulle pene detentive alternative al carcere, in discussione in aula alla Camera. “No alla legge salva-delinquenti” è lo slogan dell’iniziativa. “È inaccettabile - ha affermato il deputato leghista - Davide Cavallotto, approvare un provvedimento che tira fuori dalle carceri delinquenti che commettono reati che riguardano la violenza e la pornografia minorile.Ci chiediamo se il ministro della Giustizia avrà il coraggio e la dignità di guardare negli occhi i bambini e le donne che hanno subito reati di stalking quando la maggioranza approverà questa legge vergognosa. È bene che la gente sappia chi sta dalla parte dei criminali e chi, come la Lega Nord, difende i diritti delle persone oneste”. Molteni (Ln): Governo vuole il salva-delinquenti “Dopo l’indulto mascherato e lo svuota carceri il governo Monti si appresta a varare il “salva-delinquenti”. Il provvedimento sulle misure alternative al carcere è una norma vergognosa che garantisce l’impunità per legge”. Lo dichiara il capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia alla Camera, Nicola Molteni, in merito alla discussione sulla legge delega sulle pene detentive non carcerarie. “Questa è una norma ingiusta e dannosa, che sancisce la sconfitta dello Stato nei confronti della criminalità. Non è accettabile affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri con politiche indultive o con misure alternative alla detenzione. La Lega Nord è contraria a qualunque provvedimento di clemenza generalizzato e per noi qualsiasi forma d’indulto o amnistia è una proposta irricevibile”. Giustizia: Bernardini (Radicali); Lega e Idv sbraitano, ma da Governo solo fumo negli occhi Agenparl, 28 novembre 2012 “Solo fumo negli occhi”. Così la deputata radicale Rita Bernardini, giunta oggi al 35esimo giorno di sciopero della fame per sollecitare una risposta concreta delle istituzioni allo sfascio antidemocratico e criminogeno della giustizia e delle carceri, ha commentato ai microfoni di Radio Radicale il disegno di legge delega al governo su carcerazione domiciliare, messa alla prova e sospensione della pena per gli irreperibili in discussione alla Camera. “Lega e Italia dei Valori gridano allo scandalo ma è stata la stessa relatrice in Commissione Donatella Ferranti a tranquillizzati spiegando che al momento nelle nostre carceri non si contano più di mille persone condannate per reati che prevedono una pena edittale massima non superiore ai 4 anni di reclusione, limite massimo previsto sia per l’accesso alla pena della detenzione domiciliare che per la messa alla prova: mille su 68 mila! Infatti anche se vogliono far credere, leghisti e Idv, che con questo provvedimento gli scippatori di vecchiette e i ladri di appartamento non finiranno più in galera ma saranno messi alla prova, con la pena edittale massima si intende solo il furto semplice, che nei fatti è inesistente. Per lo scippo c’è l’aggravante della violenza, per il furto di appartamento c’è quello dello scasso e anche quello con destrezza è un furto aggravato, il furto semplice quindi è una fattispecie che nella realtà non esiste. Non si tratta dunque di misure risolutive della flagranza di reato da parte dello Stato italiano rispetto alle condizioni carcerarie, ma soltanto di fumo negli occhi. Anche se - ha aggiunto Bernardini - c’è da scommettere che i telegiornali diranno il contrario, con il rischio che i detenuti in ascolto credano che queste misure in corso di approvazione diventeranno presto applicabili alla gran parte di loro, mentre non è affatto così”. Rita Bernardini ha poi aggiunto che: “È vero che bisogna incidere sulle tre leggi criminogene per eccellenza: la Bossi-Fini sull’immigrazione, della Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva, ma tranne noi radicali nessuno prova a farlo davvero. Lo dimostra il fatto - spiega - che il mio emendamento sulla depenalizzazione della coltivazione di sostanze stupefacenti per uso personale, il solo che avrebbe avuto qualche effetto sia sull’arretrato della giustizia che sul sovraffollamento delle carceri, è stato dichiarato inammissibile. Eppure in commissione era stato giudicato ammissibile, peraltro incassando il voto favorevole solo della sottoscritta e dell’on. Giammanco del Pdl, mentre tutti gli altri, Pd compreso, hanno votato contro: non è strano che quel che è stato considerato regolare in Commissione improvvisamente diventi irregolare in Aula?”, chiede Rita Bernardini, che poche settimane fa ha messo in atto un’azione di disobbedienza civile per chiedere l’accesso alla cannabis terapeutica e la depenalizzazione della coltivazione domestica. “Non mi hanno arrestata, come invece avrebbero dovuto e come fanno ogni giorno con tanti giovani ma anche con i malati che fanno uso della marijuana per curare patologie come la sclerosi multipla. E oggi ci negano di sottoporre al voto questa proposta”. “Allora mi rivolgo al Presidente della Repubblica per dirgli che c’è un abisso tra quanto ha dichiarato un anno e mezzo fa al Senato e l’atteggiamento da lui stesso assunto oggi rispetto alla “prepotente urgenza” giudiziaria e carceraria, e anche se avallerà le dichiarazioni spot che il ministro Severino rilascerà nei prossimi giorni a tutti i tg, la miseria, la tortura e l’illegalità delle nostre carceri continueranno a rimanere tali ancora a lungo”. Detenuto Ignoto: alla Camera populismo giustizialista “Alla Camera, impegnata oggi sul disegno di legge di delega al governo su carcerazione domiciliare, messa alla prova e sospensione della pena per gli irreperibili, Lega, Idv, insieme a troppi esponenti di altre forze, hanno dato vita, con i loro interventi e manifestazioni, al peggio della loro essenza di populismo d’accatto giustizialista”. Lo afferma Irene Testa, Segretaria dell’Associazione Radicale Detenuto Ignoto, giunta al 35esimo giorno di sciopero della fame per l’amnistia e il diritto di voto ai detenuti. “Un monito - prosegue - di cosa possa continuare a essere il nostro Parlamento se la sua composizione dovesse assomigliare a quella attuale. Purtroppo per loro, l’Italia dimostra di essersene accorta, con il populismo si può far presa su certo elettorato, ma non si risolvono i problemi. Il problema della giustizia italiana e della sua appendice carceraria, rappresenta una situazione di illegalità sempre più imbarazzante per la Repubblica. Necessita urgentemente di politiche che vadano nel senso di una ampia depenalizzazione, misure deflative della popolazione carceraria, di un’autentica amnistia e dell’indulto, non di grida sguaiate e tintinnii di manette”, conclude Testa. Giustizia: Sinesio (Commissario Piano Carceri); “stiamo rispettando il cronoprogramma” www.justicetv.it, 28 novembre 2012 La grave situazione del sistema carcerario italiano, con criticità che vanno dal sovrappopolamento all’inadeguatezza delle strutture, con effetti sulla salute e l’incolumità dei detenuti, il Governo italiano ha varato un piano carceri con l’obiettivo di realizzare nuovi istituti di pena. Per monitorare l’attuazione, come prevede la legge, è stato nominato un commissario delegato all’attuazione del piano carceri. Il prefetto Angelo Sinesio è stata la persona scelta per questo ruolo “sensibile”. “Stiamo rispettando il cronoprogramma - afferma il commissario delegato, ospite ad un convegno a Catania - entro la fine di dicembre consegneremo circa 2.300 posti in più in tutta Italia, altri 4.300 entro il 2013 e circa 6.000 posti entro il 2014”. Pensate all’entrata tipica di un hotel, quella con quattro vetri che gira di 360 gradi ininterrottamente. Un immagine presa in prestito per descrivere un particolare trend che interessa il sistema carcerario italiano. In gergo viene definito il fenomeno delle “porte girevoli” quel transito di detenuti che trascorrono dietro le sbarre anche solo tre giorni, fino ad un massimo di sei mesi. Un numero di detenuti che dai dati corrisponde al 42% della popolazione carceraria. Il decreto Svuota-Carceri varato dal Ministro Severino aveva tra i suoi obiettivi primari proprio quello di arginare questo fenomeno, e dalle dichiarazioni del guardasigilli, sembra che in Italia si stiano ottenendo risultati considerevoli. Non tutti sono d’accordo. Dalla procura della repubblica di Catania, il dottor Giovanni Salvi, sostiene che la legge non ha cambiato le cose in quanto era stato già attivato da parte dei magistrati inquirenti catanesi un’azione volta proprio a far diminuire questo fenomeno. “Abbiamo avviato un meccanismo virtuoso grazie alla collaborazione tra Dap, Procura e Istituto penitenziario di Piazza Lanza - afferma il procuratore - che evita di far andare in carcere per pochi giorni quando questo non è necessario, e questo mette un’accelerazione ai procedimenti e si iniziano a svuotare le carceri che sono drammaticamente in sovraffollamento”. Giustizia: Comunità Sant’Egidio; un mondo senza pena di morte è migliore e possibile oggi Redattore Sociale, 28 novembre 2012 Ministri di Giustizia di 20 paesi del mondo al congresso della Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte. Marazziti: “È tempo che pena di morte diventi come una vecchia televisione in un museo”. “Un mondo senza pena di morte è migliore e possibile oggi”. Lo ha detto Marazziti al Congresso internazionale dei ministri della Giustizia che inaugura la giornata internazionale di Cities for life, manifestazione mondiale annuale che ricorre ogni 30 novembre, anniversario della prima abolizione della pena di morte in uno stato europeo a cui aderiscono molte città, che illuminano un proprio monumento simbolo contro la pena di morte. Al congresso “Per un mondo senza pena di morte”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, intervengono i ministri della Giustizia e rappresentanti dei governi di venti paesi del mondo. “Il mondo si sta accorgendo che non c’è giustizia senza vita, ma anche non c’è legge senza vita perché la legge serve per difendere la vita”, ha detto Marazziti, ripercorrendo gli anni di attività per abolire la pena di morte: 20 anni fa Sant’Egidio entrava per la prima volta in un braccio della morte, dieci anni fa nasceva “Città per la vita” e oggi più della metà del mondo vive in questa “città”. “Una scelta - ha detto che aiuta a liberarsi dalla pena di morte”. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International dal 10 ottobre 2003, prima Giornata mondiale contro la pena di morte, 17 paesi sono diventati abolizionisti per tutti i reati, portando a 140 il numero di quanti che non ricorrono più alla pena capitale, il 70 per cento del pianeta. “La pena di morte sembra un dovere per lo stato, quello di eliminare il criminale per conto della comunità, ma non è vero. - ha proseguito Marazziti - È tempo che pena di morte diventi come una vecchia televisione in un museo, oggi che viviamo negli smartphone. Quando lo stato uccide a sangue freddo dopo 20 anni compie un’azione più terribile, perché aggiunge calcolo e scientificità”. Marazziti ha infine ricordato i dati di uno studio Usa su 15.978 esecuzioni dalle origini: “Solo 30 volte hanno riguardato bianchi che avevano ucciso neri, in tutti gli altri casi altri gruppi che avevano ucciso bianchi”. Giustizia: Camera; Bernardini (Radicali) presenta Risoluzione sul diritto voto dei detenuti Public Policy, 28 novembre 2012 Tutelare il diritto di voto per i carcerati. Lo chiede al Governo, con una risoluzione presentata in commissione Giustizia alla Camera, la radicale Rita Bernardini (eletta nelle fila del Pd, prima firmataria). Il testo è stato firmato anche da numerosi altri deputati (Pd, Fli, Udc, Pdl, Pt e del gruppo Misto). La risoluzione impegna il Governo, in vista delle prossime elezioni, “a sollecitare, per il tramite del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i direttori degli istituti penitenziari affinché attraverso i mezzi più adeguati - dall’affissione sulle bacheche delle carceri alla consegna a mano ad ogni detenuto delle istruzioni per esercitare il diritto di voto - le persone recluse siano effettivamente, tempestivamente ed immediatamente informate sugli adempimenti da compiere per essere ammessi al voto in carcere”. Per i deputati è necessario “avviare con largo margine di tempo le operazioni di registrazione nelle liste elettorali dei detenuti elettori e le consegne delle tessere a questi ultimi”, emanando “una circolare affinché si assicuri in modo tempestivo l’esercizio del diritto di voto delle persone recluse che non hanno perso il godimento dei diritti civili e politici, in particolare di quei detenuti interessati dalle prossime elezioni regionali del 10 e 11 febbraio 2013 che sono stati assegnati in istituti penitenziari ubicati in altre regioni rispetto a quella di loro rispettiva residenza”. Infine la risoluzione impegna l’Esecutivo Monti a “individuare e, quindi, a promuovere una modifica dei punti più critici della normativa italiana in materia di esercizio del diritto di voto delle persone detenute così come evidenziati in premessa, in modo da rendere più agevole e meno complicato, e quindi effettivo, l’esercizio del diritto all’elettorato attivo da parte delle medesime”. Giustizia: Associazione Bambinisenzasbarre; campagna a tutela dei bambini figli di detenuti Redattore Sociale, 28 novembre 2012 Iniziativa dell’associazione Bambinisenzasbarre. Lia Sacerdote: “Un modo per descrivere la condizione di discriminazione subita dai figli a causa della detenzione del genitore, e il senso di disagio e paura che provano quando varcano il portone del carcere. “Non un mio crimine, ma una mia condanna” è la campagna di sensibilizzazione lanciata da Bambinisenzasbarre onlus che porta all’attenzione un’emergenza italiana dimenticata: i 100 mila bambini figli di genitori detenuti, che ogni giorno, ogni anno entrano nelle 213 carceri italiane per il colloquio con il proprio papà o mamma, a rischio di discriminazione ed esclusione sociale. L’associazione, da oltre dieci anni, cura, sostiene e difende il diritto di questi bambini alla continuità delle relazioni familiari e affettive durante la detenzione di uno o di entrambi i genitori, secondo quanto riporta l’articolo 9 la Convenzione Onu dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. “Non un mio crimine, ma una mia condanna”, poche parole per descrivere la condizione di discriminazione e di emarginazione sociale subita dai figli a causa della detenzione del genitore, e il senso di disorientamento, disagio, angoscia e paura che provano i bambini ogniqualvolta varcano il portone d’ingresso del carcere - afferma Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre, nel presentare la campagna on air a dicembre. Un fenomeno sconosciuto e dimenticato, che coinvolge il minore sul piano emotivo, sociale e, spesso, economico; che lo rende vulnerabile e esposto a rischi psico-socio-affettivi che richiedono attenzione e cura senza per questo essere stigmatizzato”. La Campagna è una richiesta di riconoscimento e visibilità di questi bambini e dei loro bisogni, per il rispetto del diritto di ogni bambino di essere tale. “Ancora molti Istituti penitenziari in Italia, in una condizione di sovraffollamento e di grave precarietà, non sono in grado di accogliere adeguatamente questi bambini - afferma l’associazione -, offrendo loro uno spazio e un tempo del colloquio col proprio genitore adatto a garantire il mantenimento del legame affettivo, come dimostrato dalla recente ricerca europea di Bambinisenzasbarre. Questa situazione determina, nella maggior parte dei casi, la cancellazione della genitorialità stessa. Una sparizione che spesso viene attuata anche da parte dei figli nell’ambito della propria rete sociale, che li porta a nascondere, fino a negare, la stessa personale storia familiare di figli di genitori detenuti”. Nell’ambito della campagna, un momento di forte sensibilizzazione sul tema: martedì 18 dicembre 2012, alle ore 21, al Teatro della Luna Irene Grandi e Stefano Bollani in concerto, unica tappa milanese del tour. Un concerto reso ancora più speciale poiché l’unico, dell’intera tournée, con un intento sociale a favore dei progetti di Bambinisenzasbarre. Giustizia: caso Sallusti; la rivolta dei pm… pronti a chiedere la “svuota carceri” per tutti Il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2012 Qualora il giudice di sorveglianza di Milano Guido Brambilla dovesse dichiarare ammissibile l’istanza presentata dal procuratore capo Bruti Liberati i pubblici ministeri dell’ufficio esecuzione, in disaccordo con la scelta del capo, sono pronti ad inviare sempre alla sorveglianza i fascicoli di tutti i casi uguali a quelli del giornalista. Il ddl diffamazione per evitare il carcere al direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti ha rischiato per settimane di diventare l’ennesimo bavaglio, con annesse manette, per i giornalisti. Ora il caso del direttore, condannato a 14 mesi per diffamazione, sta provocando due inaspettati effetti: una rivolta in Procura a Milano che potrebbe comportare che lo stesso trattamento, adottato in prima persona dal procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati ovvero la detenzione domiciliare applicando il decreto svuota carceri, per tutti gli altri detenuti. L’avocazione del fascicolo da parte del primo pubblico ministero di Milano ai magistrati dell’esecuzione (in disaccordo con l’applicazione del decreto, ndr), tra cui l’ex aggiunto Dda e Anti terrorismo Ferdinando Pomarici, non è andata giù a nessuna delle toghe che oggi giorno di occupano di centinaia di casi di imputati per cui la sentenza è diventata esecutiva e per cui deve stilato l’ordine di carcerazione. E così qualora il giudice di sorveglianza di Milano Guido Brambilla, noto per essere stato uno dei giudici a latere del processo Sme, dovesse dichiarare ammissibile l’istanza presentata da Bruti Liberati i pm dell’ufficio esecuzione sono pronti ad inviare sempre alla sorveglianza i fascicoli, e sono parecchi, di tutti i casi uguali a quelli del giornalista. L’iniziativa si fonda sul fatto che al giornalista è stato riservato un trattamento diverso rispetto alle altre persone che devono scontare una condanna definitiva. Trattamento che non rispecchia il principio sancito dalla Costituzione secondo il quale “la legge è uguale per tutti”. Ecco allora che dal quarto piano del palazzo di Giustizia i pm del pool guidato dall’aggiunto Nunzia Gatto hanno intenzione di replicare: inoltrare ai vari magistrati di sorveglianza la richiesta-fotocopia a quella firmata dal Procuratore Bruti affinché venga concessa la detenzione domiciliare a tutti i condannati a una pena inferiore a 18 mesi e che, dopo la sospensione dell’ordine di esecuzione, nei 30 giorni previsti dalla legge non hanno presentato domanda di misura alternativa alle sbarre. Il caso era già scoppiato nei giorni scorsi quando Bruti Liberati aveva avocato il fascicolo. Per una volta accanto ai pm si schierano anche i penalisti. La scelta di chiedere gli arresti domiciliari per Alessandro Sallusti costituisce “la dimostrazione di quale binario differenziato venga adottato talvolta, e sempre in favore di chi ha una posizione privilegiata, in evidente contrasto con la scritta “la legge è uguale per tutti” che dovrebbe essere lo scopo cui il governo della Giustizia deve tendere” si legge nella nota della Camera Penale di Milano. I penalisti milanesi chiedono alla Procura della Repubblica di riservare a tutti coloro che devono scontare una pena inferiore ai 18 mesi la stessa attenzione e sollecitudine usata nei confronti del direttore. Nel comunicato gli avvocati, ricordando l’”articolato e raffinato ragionamento” adottato dal procuratore E nei confronti del giornalista (doppia sospensione dell’ordine di carcerazione e richiesta di detenzione domiciliare in base alla legge svuota carceri), hanno sollevato qualche critica e soprattutto hanno osservato: “L’ unico modo per togliere dal vestito utilizzato (…) la polvere del sospetto di una decisione presa solo in considerazione del clamore della vicenda processuale” non può che essere la “generalizzata applicazione di questa linea interpretativa nei confronti di chi - portano ad esempio i penalisti - per mero errore lascia decorrere il termine” o “di chi non può permettersi un avvocato che proponga una istanza per avere i benefici penitenziari dei molti che, purtroppo, contribuiscono ad incrementare quel sovraffollamento delle carceri che lede quotidianamente le dignità della persona. Sarà questa l’unica strada percorribile se si vorrà dare ancora un senso a quella frase che campeggia sulle nostre aule, a volte mostrando chiari sintomi di smarrimento”. Giudici e avvocati in rivolta attaccano il procuratore (Il Giornale) La decisione di Bruti Liberati di chiedere gli arresti domiciliari per il direttore scatena il putiferio. I Pm minacciano la ritorsione: far liberare in massa i detenuti condannati. Una Procura spaccata, scossa da polemiche interne senza precedenti, con il suo capo Edmondo Bruti Liberati in minoranza se non addirittura isolato. I magistrati dell’ufficio esecuzione, in rotta di collisione con Bruti, che minacciano - se dovesse venir accolta la richiesta di arresti domiciliari per Alessandro Sallusti - di sommergere il tribunale di Sorveglianza con centinaia di pratiche di detenuti qualunque, chiedendo anche per loro lo stesso trattamento del direttore del Giornale. E gli avvocati penalisti in rivolta, al punto di chiedere con un comunicato se non sia il caso di rimuovere dalle aule d’udienza la scritta che vi campeggia da qualche anno: “La legge è uguale per tutti”. Se la via d’uscita per il caso Sallusti escogitata dai vertici della Procura milanese, con la richiesta d’ufficio di arresti domiciliari, doveva servire a rasserenare il clima intorno al caso del direttore del Giornale, bisogna ammettere che l’obiettivo è stato vistosamente mancato, e l’intero esito della vicenda torna in discussione. Il provvedimento di Bruti Liberati viene accusato esplicitamente, da parte dei pm, di riservare a Sallusti un trattamento diverso da quello quotidianamente inflitto a condannati qualunque, che si vedono spediti a espiare la pena senza tanti complimenti. E - fatto senza precedenti - un gruppo di magistrati tra cui il procuratore aggiunto Nunzia Gatto, capo del pool esecuzione, e un “grande vecchio” come Ferdinando Pomarici, fanno recapitare a Bruti una missiva formale, registrandola al “protocollo riservato” dell’ufficio, in cui mettono nero su bianco la loro dissociazione dalla decisione del capo. La disposizione di Guido Brambilla, giudice di Sorveglianza competente per la lettera S, non arriverà prima della prossima settimana. Ma saranno giorni tempestosi, a Palazzo di giustizia. Perché quello che poteva sembrare un passaggio burocratico o poco più, ovvero la ratifica della decisione presa dal procuratore Bruti Liberati, si sta trasformando nella nuova battaglia di chi, dentro la Procura, considera un privilegio intollerabile quello riservato a Sallusti. È l’ala intransigente, quella che non ha rinunciato a spedire in cella Sallusti “come qualunque altro cittadino”, e come egli stesso ha ripetutamente chiesto. E se Brambilla dovesse rigettare l’istanza, Sallusti verrebbe subito chiuso in cella. Il quartier generale dei “duri” è in questo momento l’ufficio esecuzione della Procura, quello che si occupa abitualmente di dare attuazione alle condanne, in questa occasione di fatto esautorato da Bruti Liberati che ha deciso e firmato da solo la richiesta di domiciliari. Il pool esecuzione ha a disposizione un’arma psicologica di non poco conto: se Brambilla dichiarerà ammissibile l’istanza di Bruti Liberati, allora i pm potrebbero sommergerlo di decine e centinaia di altri fascicoli. Sono i fascicoli di tutti i condannati che si sono visti chiudere in carcere, una volta scaduti i termini della sospensione della pena. Se può andare ai domiciliari Sallusti, dicono all’ufficio esecuzione, allora ci possono andare anche questi. Lo scontro si gioca intorno a valutazioni tecniche e analisi giuridiche ma dietro c’è la vera accusa che parte dell’ufficio fa a Bruti: quella di essere un magistrato troppo politico, attento a ciò che accade intorno, e non unicamente ad una asettica applicazione delle norme. La Gatto, Pomarici e gli altri dissidenti sostengono che le norme sono talmente chiare da consentire una sola interpretazione: una pena non può essere sospesa due volte. Il decreto di Bruti, dunque, sarebbe figlio di un’inaccettabile interpretazione ad personam. Benissimo, dicono invece gli avvocati milanesi della Camera penale: ammettiamo Sallusti ai domiciliari. Ma non può trattarsi di un privilegio. Il caso Sallusti, scrivono “è la dimostrazione di quale binario differenziato venga adottato talvolta, e sempre in favore di chi ha una posizione privilegiata, in evidente contrasto con quella scritta che dovrebbe essere lo scopo cui il governo della Giustizia deve tendere”. Gli avvocati danno atto al procuratore capo di avere sviluppato “un articolato e raffinato ragionamento” per arrivare a ritenere possibile la concessione dei domiciliari a Sallusti senza una sua richiesta, e addirittura contro la sua volontà. “Non importa - aggiungono - se per accedere a questa soluzione viene percorsa una strada davvero inconsueta”. Ma se vale per uno, dicono gli avvocati, deve valere per tutti: “L’unico modo per togliere dal vestito utilizzato dalla Procura della Repubblica di Milano la polvere del sospetto di una decisione presa solo in considerazione del clamore della vicenda processuale, non può che individuarsi in una generalizzata applicazione di questa linea interpretativa. Nei confronti di chi, esemplificando, per mero errore lascia decorrere il termine, di chi non può permettersi un avvocato che proponga una istanza”. Lettere: il giorno in cui siamo nati… noi detenuti in attesa di nascere un’altra volta L’Eco di Bergamo, 28 novembre 2012 Avviamo la pubblicazione di testi di detenuti e detenute della casa circondariale di via Gleno a Bergamo, che scrivono per la rivista “Alterego”. Sono nato. Era di sabato: non che io me lo ricordi, me lo hanno detto ed era il 3.3.1973. Tutta questa sovrabbondanza di tre avrebbe dovuto portare una gran fortuna a sentire i cabalisti. Invece no. Sono nato. Perché poi? A volte uno finisce per chiederselo forse nel tentativo di gratificare la propria esistenza, di non sentirsi uno qualsiasi in quei sette miliardi d’individui che popolano il pianeta e magari un po’ più utile. Ci ho pensato tutte le volte che ho sofferto, tutte le volte che la fortuna mi voltava le spalle, in tutte quelle occasioni in cui l’essere nato e l’essere vivo sembravano condizioni inutili. Sono morto: succede a tutti quelli che sono nati, ma io non per davvero, non nel modo “tradizionale”. E ora sono qui, in attesa di ricominciare a vivere, di nascere un’altra volta. Giovanni Sono nato un giorno d’estate, dicono che era il 13 di agosto, dicono che sono nato in ospedale. Dico “dicono”, perché io ero così piccolo che non me lo ricordo e quindi mi devo fidare di quanto mi hanno raccontato. Sono nato di venerdì e sempre per sentito dire so che, pur essendo d’estate, pioveva… sarà stato che forse qualcuno voleva avvertire che ero nato io, quello che, diventando grande, ne avrebbe combinate di cotte e di crude? Boh, non lo so. Emanuele Sono nato nel 1985. Ovviamente allora non sapevo cosa stesse succedendo nel resto del mondo, ma di sicuro fu il giorno più felice per i miei genitori. Credo che il primogenito maschio sia il sogno di tante coppie che vogliono avere figli. Io sono nato nel continente che sopravvisse all’invasione degli arabi all’epoca dell’espansionismo islamico. Sono nato nel continente che seppe accogliere ingenuamente, con gioia ed entusiasmo i primi missionari europei e che gli storici e gli archeologi hanno definito la culla dell’umanità. Sono nato nel continente che sopravvisse alla tratta dei neri e alla schiavitù e che venne chiamato Terzo mondo e so per certo che non otterrò mai una risposta soddisfacente ed esauriente da nessuno se chiedessi il perché di quell’appellativo. Sì, sono nato nel continente dove fu scoperto il ferro e che ha la mappa a forma di revolver. Sono nato nell’Africa nera occidentale francofona. Sono nato nella comunità Madinga, sono originario del popolo ma-dingo. Il popolo che ha concepito la mentalità espansionistica nel corso dei secoli prima ancora dell’arrivo dei colonialisti europei, grazie ad una situazione geografica particolarmente favorevole. Partito da una piccola area tra il territorio dell’attuale Guinea e il Mali, percorse le alte valli del fiume del Niger e del Senegal, fino alle porte del deserto, insieme ad alcune contrade al margine della foresta tropicale. Questa è la storia della mia gente, del mio popolo con una dimensione rara nella storia di tutti i popoli africani. Sono nato in un piccolo Paese alle porte del Golfo di Guinea, ricco di materie prime, avorio, oro, un pò di petrolio, ma anche cacao e caffè. Una terra battezzata nel 1893 con il nome di Costa d’Avorio. Sì, sono ivoriano e sono nato nel lontano 1985. Adama Il mio nome è Marika e ho venticinque anni, sono di Novara e fin qui nulla di strano. Però sto in carcere e questa è la cosa strana! Non posso dire di non avere commesso “il fatto”, ma sicuramente non mi meritavo di finire qui. Sono sempre stata spavalda, non mi interessava niente di ciò che mi veniva detto e a causa della mia testa dura sono stati più i danni che i guadagni. Nonostante tutto, però, sono una persona leale e sincera con chi se lo merita e in amore e amicizia do tutta me stessa, molte volte sbagliando. Se mi fisso una cosa in testa, non c’è nulla che mi possa fermare, ma molte volte l’indecisione o l’insicurezza mi frenano e quindi preferisco fermarmi e ragionare bene per evitare scelte che mi complichino la vita. Ci sono, però, momenti in cui presa dalla foga del momento, agisco senza pensare troppo e lì, sì, che arrivano i guai! Sono abbastanza lunatica e purtroppo mi annoio in fretta. Ecco questa sono io! Marika Sono nata il 19.04.1970. L’inizio di una vita normale, forse troppo normale, tanto da volerla movimentare. Durante gli anni della mia crescita andare controcorrente era diventato uno stile di vita. Questo mio modo di fare mi ha permesso di adattarmi a qualsiasi situazione, anche a quella che sto vivendo in questo momento. Penso che ogni volta che la mia vita subisce un cambiamento, non è altro che il primo giorno di una mia nuova vita. Stefania Sardegna: Tamburino (Dap); condannati per mafia in arrivo… ma non so quanti saranno di Giampaolo Meloni La Nuova Sardegna, 28 novembre 2012 Nelle quattro nuove strutture carcerarie della Sardegna saranno ospitati anche detenuti in regime di alta sicurezza. Oristano, in particolare? “Non so dire quanti, non so dire quando”, è la risposta di Giovanni Tamburino, direttore del Dipartimento nazionale dell’amministrazione penitenziaria in visita a Massama per l’intitolazione della Casa circondariale (24mila metri quadrati, 250 posti per detenuti, tre corpi: uno per l’amministrazione e la detenzione, uno per mensa, spaccio e caserma, il terzo per l’accoglienza delle ditte esterne di servizio e approvvigionamenti). Il carcere, in questa frazione del capoluogo, è stato già avviato circa un mese fa con il trasferimento dei 120 detenuti dall’edificio della Reggia giudicale che ha avuto questa funzione per centouno anni, nel cuore del centro storico nella città di Eleonora d’Arborea. Il sindaco Tendas chiede la restituzione alla città attraverso le procedure del Demanio. Non è stata quella di ieri una cerimonia inaugurale, anche se ne aveva le connotazioni formali, alla presenza di tutte le rappresentanze istituzionali (ma non si sono visti magistrati della Procura oristanese). L’alto funzionario del ministero della Giustizia non ha quindi escluso l’arrivo di detenuti condannati per reati di mafia e altre forme della criminalità organizzata. La prospettiva c’è: “I detenuti in regime di alta sicurezza sono in Italia seimila. L’arrivo nell’isola dipenderà dal Programma generale che si sta mettendo a punto per ordinare il sistema nell’intero Paese”, ha spiegato Tamburino. La Sardegna ha inoltre un fondamento certo che deriva dai progetti: “Questi istituti - precisa il direttore del Dap riferendosi ai quattro nuovi impianti di Tempio, Cagliari (dovrebbe aprire entro dicembre), Sassari e Oristano - sono attrezzati per garantire la sicurezza per qualsiasi tipo di criminalità”. Ma è anche la mappa attuale della popolazione carceraria a imporre, negli orientamenti ministeriali, un ruolo per l’isola: “La Sardegna - osserva il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Gianfranco De Gesu - ha una percentuale minima: su 65mila detenuti in Italia, l’isola ne ospita poco oltre duemila”. Di questi, mille e cento hanno residenza in Sardegna. Di fronte a questi dati e al sovraffollamento delle altre strutture nella penisola, il ministero ragiona per una diversa dislocazione, che deve tenere conto di tutte le categorie di detenzione. “Ma non c’è alcuna intenzione di fare dell’isola la Cajenna”, ribadisce Tamburino. Le nuove strutture assicurano migliori condizioni di permanenza per gli ospiti e di lavoro per gli operatori”. Il direttore del Dap conferma la priorità del sovraffollamento nel carcere di San Sebastiano a Sassari. Mentre non gli risulta che nella struttura di Massama ci siano infiltrazioni d’acqua piovana, ma conosce il contenzioso con l’impresa che lo ha costruito poi è fallita: la Intini. Il timore della contaminazione mafiosa lo denunciano il presidente della Provincia Massimiliano De Seneen (che affida al capo del Dap un “messaggio” per il ministro: gli dica che non li vogliamo) e l’assessore regionale dei Lavori pubblici Angela Nonnis, già sindaco della città. Diverso il parere dell’avvocatura oristanese. Donatella Pau, presidente dell’Ordine forense provinciale: “L’avvocatura è deputata a tutela di tutti i cittadini e anche dei detenuti. Non ci sono categorie di detenuti a cui dover dire sì altre cui dire no. Non sono scorie nocive. Se la paura è che cosche mafiose vengano qui a fare i loro interessi, possono stare tranquilli, la povertà che c’è qui non consentirà infiltrazioni. Semmai ci si deve preoccupare che la rieducazione della pena avvenga in strutture adeguate”. In testa agli impegni del Dap, dice Tamburino, resta anche il principio della territorialità, sia per i detenuti (che dovranno essere vicini alle loro residenze) e sia per il personale penitenziario: nelle carceri italiane ci sono 650 agenti sardi che aspirano al rientro nell’isola. “Con l’apertura di Cagliari e Sassari contiamo su 130 assegnazioni”, spiega Gianfranco De Gesu, ai quali si aggiungono altri 77 trasferimenti favoriti dall’apertura di Oristano. A Nuchis già presenti 98 esponenti della criminalità organizzata Novantotto detenuti di mafia e camorra delle sezioni di alta sicurezza del penitenziario di Nuchis, i soli che popolano il supercarcere, sono arrivate soltanto le note dell’inno di Mameli intonato dalla banda musicale Città di Tempio, isolati come sono nel loro limbo gallurese. L’inaugurazione della struttura penitenziaria dedicata a Paolo Pittalis, un “secondino” di Muros (come venivano chiamati all’epoca gli agenti di custodia) trucidato con cinque colleghi nel 1945, durante l’evasione in massa di un gruppo di ergastolani dal carcere di Alghero, si è svolta nella “zona franca” del carcere di Nuchis, dieci ettari fortificati che includono il piazzale d’accesso, la palazzina direzionale, l’ala riservata al personale della polizia penitenziaria (30 posti letto in promiscuità, per centoventi agenti) e il cuore pulsante del supercarcere, la centrale operativa dove tutto, e tutti, sono tenuti sotto controllo dall’occhio vigile di una miriade di telecamere a circuito chiuso. Una “sala di regia” dov’è possibile, con il solo tocco di un mouse, blindare settore per settore ogni angolo del carcere. Un penitenziario supertecnologico costato all’incirca 60 milioni di euro per ospitare centocinquanta detenuti sottoposti a regime di alta sicurezza, tanti ne dovrà contenere la struttura una volta a regime che si raggiungerà, ha spiegato il provveditore regionale Gianfranco De Gesu, entro il mese di febbraio. Un carcere dove non troverà posto nessun detenuto comune - eccezion fatta per le quattro celle destinate ai “transiti”, ovvero agli arrestati in attesa di convalida da parte della magistratura, un reparto isolato dal settore ad alta sicurezza - realizzato per alleggerire le sovraffollate carceri italiane (6.500 i detenuti che debbono scontare pene varianti dai 12 ai trent’anni di reclusione) ai quali Giovanni Tamburino - il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che ha voluto simbolicamente tagliare il nastro inaugurale di una struttura già operativa dallo scorso mese di giugno - intende assicurare “una vita da reclusi, secondo la legge, ma dignitosa”. Giovanni Tamburino ha spiegato questo agli agenti della polizia penitenziaria “un corpo che racchiude diverse figure professionali, ad altissima specializzazione”, al procuratore generale della Repubblica di Cagliari Ettore Angioni, al presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari Maria Antonia Vertaldi, al procuratore della Repubblica di Tempio Riccardo Rossi, al presidente del tribunale Gemma Cucca e al sindaco di Tempio Romeo Frediani, in rappresentanza delle amministrazioni galluresi, ricordando che la struttura penitenziaria di Nuchis “è un valore aggiunto per il territorio, sempre che questa venga vista come un luogo dove sono ristrette persone che hanno commesso reati, anche gravissimi, ma verso i quali non deve mai mancare un tocco di umanità”. Romeo Frediani, al quale il provveditore regionale Gianfranco De Gesu ha offerto un cesto contenente i “prodotti del carcere”, alimenti vari curati dai detenuti (una iniziativa, questa, avviata dall’ex provveditore regionale Francesco Massiddaper dare opportunità di lavoro ai carcerati), ha detto che “la presenza del carcere di Nuchis e dei suoi ospiti, non preoccupa la popolazione. La criminalità organizzata non è riuscita ad infiltrarsi nella nostra cultura negli anni del boom economico, figuriamoci ora che la crisi attanaglia tutti i settori produttivi”. Pili (Pdl): Tamburino ha vuoti di memoria “Le dichiarazioni del capo del Dipartimento del Dap Tamburino sono un concentrato di vuoti di memoria e omissioni d’ufficio che preoccupano non poco”. Così il deputato sardo del Pdl, Mauro Pili, in prima linea contro il trasferimento di detenuti pericolosi in Sardegna, replica al direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “L’affermazione secondo la quale non vi è certezza di numero di detenuti e di carceri da utilizzare lascia esterrefatti - attacca il parlamentare - considerato che esiste una comunicazione ufficiale proprio del Dap che annuncia l’arrivo di 125 detenuti di alta sicurezza 1 nel carcere di Massama. Strano che se lo sia dimenticato. Così come è stranissimo che abbia parlato in modo generico e indefinito di 600 detenuti di alta sicurezza che dovrebbero essere ripartiti anche in Sardegna senza accennare ai 41 bis (capi mafia). Il mancato richiamo ai 41 bis, per i quali si stanno allestendo oltre 300 celle nelle carceri di Cagliari-Uta, Sassari-Bancali e Nuoro-Bade e Carros, è un’omissione grave, visto che si tratta del 50% dei detenuti in quel regime di detenzione che verrebbero trasferiti in Sardegna”. Pili contesta anche “il persistente tentativo di minimizzare le conseguenze di una calata di mafiosi nelle carceri sarde e il pericolo infiltrazioni. Non vi è nessun riparto, semmai il tentativo di accentrare nell’Isola il maggior numero di detenuti del 41 bis. Quando un capo dipartimento nasconde dati o addirittura dichiara di non conoscerli - conclude l’ex presidente della Regione - significa che si sta giocando sulla testa dei sardi e della Sardegna”. Bologna: Sappe; detenuto tenta il suicidio nel reparto detentivo Ospedale Sant’Orsola Adnkronos, 28 novembre 2012 Ieri sera, verso le 20, un detenuto tunisino, ricoverato presso il reparto detentivo dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna perché affetto da Tbc, ha tentato il suicidio, impiccandosi con le lenzuola alla finestra”. A riferirlo è Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. “Solo grazie al pronto intervento della polizia penitenziaria - aggiunge il sindacalista - è stato possibile salvare l’uomo”. “I tentativi di suicidio da parte dei detenuti nelle carceri italiane sono circa 1.100 ogni anno - ricorda Durante - e di questi oltre 1.000 vengono salvati dalla polizia penitenziaria, nonostante le difficoltà operative dovute alla carenza di personale: in Italia mancano 7.000 unità, in Emilia Romagna ne mancano sempre 650”. “Dalle assegnazioni che il Dipartimento farà nei prossimi giorni in Emilia Romagna - conclude - arriveranno solo 37 agenti, dei quali 25 a Modena, 3 a Ravenna, 6 a Reggio Emilia e 3 a Rimini. È assurdo che nessun agente venga mandato a Bologna, a Parma, a Piacenza e nelle altre strutture, considerata la grave carenza”. Carinola (Ce): Progetto “Campus Felix”, detenuti al lavoro nei campi dalla terra il riscatto Avvenire, 28 novembre 2012 “Vi ringrazio perché credete che il nostro riscatto è possibile”. È emozionato Massimo Boccolieri, 37 anni, detenuto, della Sacra corona unita. Al microfono non riesce a dire di più ma le sue parole hanno un forte significato. Siamo nel carcere di massima sicurezza di Carinola, alto Casertano, circa quattrocento detenuti, 118 ergastolani, gli altri con condanne pesantissime, mafia, camorra, ‘ndrangheta, terrorismo, traffico di droga. Alte mura, cancelli dopo cancelli, sorveglianza strettissima. Eppure oggi da queste mura esce “un messaggio di speranza e di legalità che parte dal carcere e va sul territorio. Perché il carcere è come un ospedale nel quale si può e si deve guarire”, spiega la direttrice Carmen Campi. Carcere e società civile insieme. Due progetti, uno di dialogo attraverso il concorso letterario “A cuore aperto” indirizzato ai detenuti e l’altro per creare lavoro anche qui, economia sociale, con la coltivazione di 35mila metri quadri di terreno e la nascita di un piccolo, ma di alta qualità, birrificio artigianale. Progetto “Campus Felix”. Occasione di incontro. La grande sala-teatro è piena della tante realtà che in questi anni hanno dato vita all’altro “modello casertano”, dopo quello vincente della repressione, il modello dell’antimafia sociale. Ci sono tutti, dal Comitato don Peppe Diana a FormaAzione Viaggio, da Libera Caserta alle cooperative che operano sui beni confiscati, ci sono anche alcuni familiari delle vittime della camorra, l’associazione antiracket Mimmo Noviello, l’università Federico II. Assieme a un gruppo di carcerati. “Da anni abbiamo aperto un dialogo col nostro territorio, abbiamo parlato e collaborato con tutti. Ora vogliamo dialogare e collaborare anche coi detenuti”, spiega Francesco Diana, del Comitato don Diana. E racconta il primo incontro nel carcere di Carinola. “Ho detto “Ma vi rendete conto di quello che avete fatto? Voi ci avete rovinato”. Uno di loro mi ha risposto: “Hai ragione. Io sono qui da 15 anni. Se vuoi aiutarmi devi dire che qui non ci sono solo mostri. C’è chi è cambiato. Ci date una mano?”. E noi - aggiunge Francesco - abbiamo deciso di fare qualcosa con loro. Vogliamo abbattere questi muri per scalfire la forza del potere criminale. Per annunciare la speranza. È un dovere morale. Lo dobbiamo a chi a pagato, alle tante vittime. Lo dobbiamo a questa nostra terra che malgrado sia stata violentata dà ancora buoni frutti. Il terreno fertile c’è e non solo quello fisico”. Nasce così l’idea di agricoltura biologica sui terreni del carcere mai utilizzati. Per “promuovere economia sociale in carcere e dare un ruolo attivo ai detenuti - spiega Alessandra Tommasino della cooperativa Carla Laudente. Lo abbiamo già fatto coi beni confiscati che sono stati restituiti alla comunità. Ora lo vogliamo fare anche con le persone, quelle che hanno sbagliato. Anche loro devono essere restituite alla comunità. Per contrapporre la logica dell’amore a quella del malaffare”. Partirà così tra poco un corso di agricoltura biologica, “per offrire un’opportunità, la nostra spalla, il nostro cuore”, spiega Salvatore Cuoci che seguirà questa prima fase. Poi sul campo per coltivare prodotti locali e anche la materia prima (orzo e luppolo) per la produzione artigianale di birra. Una birra della legalità, dall’alto valore aggiunto e a chilometro zero. Consulenti, i giovani della cooperativa Pausa caffè di Torino che dal 2008 hanno aperto un birrificio nel carcere di Saluzzo. Un’ottima birra, venduta anche in Usa, Giappone e Norvegia. “Non è solo buona per come la facciamo - sottolinea Andrea Bertola - ma perché dentro ci siamo noi”. Un augurio per l’esperienza che sta per nascere a Carinola: “Che possa partire a tutta birra”. Una birra che il prossimo anno troverà posto nel “Pacco alla camorra”, la bella scatola che contiene i prodotti delle cooperative che gestiscono beni confiscati e da quest’anno anche quelli degli imprenditori “no racket”. Lo annuncia Peppe Pagano, della Nuova cucina organizzata. “Ci sono tutte le condizioni per riprenderci la nostra terra, la nostra dignità. Non ci sono più alibi. Chi è indifferente se ne vada!”. Davvero, come sottolinea Valerio Taglione, scout di don Peppe Diana e responsabile di Libera Caserta, “oggi è una giornata particolare, da qui diciamo che si può cambiare il destino di questo territorio. Facendo un passo in più, dando un segno di speranza anche dal carcere per costruire insieme un percorso in cui ognuno deve fare la sua parte”. Parma: Cgil denuncia; figli dei detenuti penalizzati, rischiano esclusione dagli asili pubblici www.parmatoday.it, 28 novembre 2012 Dopo l’approvazione in Consiglio il sindacato ribadisce la contrarietà al regolamento che abbassa i punti per chi ha un genitore in carcere: “Il requisito dell’anzianità di residenza è limitante e non inclusivo” Ieri in Consiglio comunale è stato approvato il nuovo regolamento per l’accesso alle scuole dell’infanzia, con i voti favorevoli della maggioranza. Già quando la bozza del testo era girata in Commissione aveva suscitato alcune critiche, nei due punti che riguardavano i nuclei mono genitoriali, per intendersi anche le ragazze madri, e i figli dei detenuti. Il primo punto è stato modificato, dopo le pressioni della minoranza mente il secondo è rimasto. I punti scendono da 40 a 24. Solo il consigliere di Parma Unita Roberto Ghiretti in Consiglio comunale ha sottolineato questo punto. “Non mi va giù, è un brutto segnale” ha dichiarato durante il suo intervento in Consiglio. Ora anche la Cgil sottolinea che si tratta di “un’ulteriore penalizzazione”. “Apprendiamo dai quotidiani locali che il Comune di Parma ha approvato a maggioranza il regolamento per l’accesso alle scuole d’infanzia per l’anno 2013, in merito al quale la Cgil provinciale aveva già espresso le proprie perplessità ed alcune contro-proposte. A tale proposito, la segreteria confederale riconferma di ritenere limitante e non inclusivo aver comunque, seppur ridimensionandone gli effetti, confermato il requisito dell’anzianità di residenza come criterio di accesso al servizio. La Cgil osserva inoltre che non sono stati risolti i problemi di quelle famiglie che anche in passato sono state costrette a portare i figli in due strutture diverse. Quanto all’aver ridimensionato il punteggio per i nuclei mono genitoriali in cui il genitore risulta detenuto, il sindacato crede che questo rappresenti una ulteriore penalizzazione per bambini che già vivono una situazione difficile e che rischiano di essere esclusi dal servizio con pesanti conseguenze dal punto di vista educativo e della socializzazione”. “L’unica nota positiva che val la pena di sottolineare per un regolamento che consideriamo limitante è l’aver regolamentato l’accesso per tutti i lavoratori assunti con rapporti di lavoro anche atipici, che prima venivano esclusi. Rimane la convinzione che rispetto a servizi così “sensibili” come quelli educativi sia necessario aprire un confronto più ampio anche con le parti sociali, per poter individuare un sistema che possa dare risposta al vero nodo, che è quello di arrivare ad un forte ridimensionamento delle liste di attesa sia per quanto riguarda i nidi che sulla scuola dell’infanzia”. Pisa: il portale del quotidiano “Il Tirreno” ospita un blog con gli scritti dei detenuti di Antonella De Vito (Volontaria) Ristretti Orizzonti, 28 novembre 2012 I detenuti del carcere di Pisa, grazie alla disponibilità del giornale Il Tirreno, gestiscono (indirettamente, perché l’inserimento è fatto da volontari), un blog con i loro scritti a tema libero. Il blog si chiama “Mi(ni)stero dall’Interno” ed è ospitato sul portale del Tirreno. Il link diretto è http://mi-ni-stero-livorno.blogautore.repubblica.it, oppure vi si può accedere dal portale del giornale www.iltirreno.it andando poi alla sezione blog. In allegato un articolo scritto dai detenuti per spiegare l’iniziativa. La luce dell’Internet - Un blog di reclusi Sembrano voler gridare tutti insieme “Non dimenticateci, anche noi esistiamo”, per contrastare una sensazione che prima o poi assale tutti i detenuti: il timore di essere cancellati dalla mente e dalla vita di chi vive fuori dal carcere. Da qui nasce la grande esigenza di comunicare con l’esterno, di superare le pareti che circondano la detenzione, per continuare ad affermare la propria esistenza ed il diritto d’espressione. Da questa voglia comunicativa nasce un blog, ospitato sul nostro portale www.iltirreno.it, dove i detenuti della Casa Circondariale di Pisa possono pubblicare i loro scritti. Mi(ni)stero dall’Interno è il nome che gli ideatori hanno voluto dare al blog, giocando sul doppio senso di ciò che può essere ufficiale e burocratico, come un “ministero” e ciò che invece resta chiuso nel “mistero”, perché non è possibile accedervi, non è conoscibile da tutti. Certo vi sono delle limitazioni; il blog non è interattivo, chi legge non può rispondere direttamente, ma solo inviando una lettera tramite la posta tradizionale all’indirizzo Redazione Kasanzababbà, c/o Casa Circondariale, via Don Bosco 43, 56100 Pisa, inoltre gli scritti devono prima passare la supervisione del direttore del carcere. Ma nonostante questo, la voglia di comunicare è ancora molta, e il blog è vissuto come uno spazio di libertà, controllata, ma pur sempre libertà, e ha dato vita ad un’esperienza unica nel panorama carcerario italiano. Scrivere, raccontarsi, esprimere, è una necessità forte, ed il blog nasce proprio perché il giornale interno, che già i detenuti del Don Bosco realizzano, intitolato Kasanzababbà, non può accogliere, a causa del limitato numero di pagine, tutti gli scritti che vengono proposti. Ma di cosa scrivono i detenuti del Don Bosco? Abbiamo lasciato piena autonomia alla scelta degli argomenti e ci siamo resi conto che oltre ai testi più politici, a quelli che vogliono continuare a dire la loro su quello che accade nel mondo, la maggior parte, sia uomini che donne, preferiscono concentrarsi su se stessi, ed in particolare sull’affettività. Un diritto che le alte mura di un carcere umiliano, restringono, feriscono. Affettività che comprende i rapporti mancati con mogli, mariti, compagne e compagni, ma anche con figli e amici, insomma, le ristrettezze imposte da una struttura carceraria non ammettono libero sfogo ai sentimenti da vivere e ciò manca molto, più della stessa libertà di movimento. Scrivono gli ideatori nell’introduzione del Blog: “Siamo un gruppo di detenuti che vuol dimostrare come sia possibile aprire e mantenere un dialogo con l’esterno, per evitare la nostra estraneazione dal mondo. Vogliamo ricordarvi che ci siamo anche noi, vogliamo dirvi di non dimenticarci, vogliamo continuare ad esprimere i nostri sentimenti, le nostre emozioni, i nostri progetti, i nostri sogni, dimostrando che tutto questo non comporta alcun pericolo per la società. Il nostro blog non può essere interattivo, non può cioè accogliere i commenti di chi sta fuori, ma continuate a leggerci. Il sapere di essere ascoltati da qualcuno ci dà la forza per proseguire il nostro cammino verso la libertà, verso la voglia di ricominciare a vivere fuori dal carcere, quando arriverà il nostro momento”. Sanremo (Im): Sappe; rimuovere direttore, per personale solo provvedimenti disciplinari www.riviera24.it, 28 novembre 2012 Criticità, problematiche e violazioni nel carcere di Valle Armea: a denunciarle è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, che ha sollecitato un intervento della Vice Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, il magistrato Simonetta Matone. “Sono tante le cose che non vanno nel carcere di Sanremo” spiega il Segretario Generale Aggiunto Sappe Roberto Martinelli. “Nel corso di una recente riunione con i poliziotti in servizio a Valle Armea è emerso che lascia molto a desiderare l’organizzazione del lavoro, in particolare per quanto concerne i turni di servizio dei Sovrintendenti ed Ispettori (quasi sempre impiegati in turni mattutini, con la conseguenza che al pomeriggio ed alla sera importanti e delicati funzioni vengono svolte da Assistenti Capo ed Assistenti). Altrettante critiche sono state rivolte alla funzionalità della Sezione detentiva c.d. Zeta nella quale, pur essendo destinati detenuti “collaboratori di giustizia”, non vi è un Coordinatore e vengono assegnate senza interpelli e senza criteri di trasparenza e funzionalità Agenti neo assunti (senza alcun tipo di esperienza). Reparto, questo, balzato recentemente alle cronache per gravi episodi di aggressione a poliziotti”. Il Sappe denuncia anche “il frequente ed intenso ricorso alle contestazioni disciplinari nei confronti dei poliziotti penitenziari in servizio a Sanremo, metodologia assolutamente disdicevole che di fatto sembra essere l’unico strumento di controllo e gestione del Personale. Nessuna risposta ci è invece pervenuta quando abbiamo chiesto di conoscere se ed eventualmente quante segnalazioni la Direzione di Sanremo ha trasmesso alla Commissione per le Ricompense del Dap per la valutazione di una ricompensa come riconoscimento di applicazione e di impegno professionali che vanno oltre il doveroso espletamento dei compiti istituzionali atteso che nel primo semestre del 2012 nel carcere di Sanremo (dove mancano in organico oltre 80 Agenti di Polizia Penitenziaria rispetto al previsto) ci sono stati 13 atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provati da lamette - di detenuti e 37 colluttazioni e nell’arco del 2011 si sono contati 7 atti di autolesionismo, 3 tentati suicidi, 1 morto per cause naturali, 6 ferimenti e 15 colluttazioni, tutti eventi critici nei quali sono stati coinvolti ed impegnati molte unità Polizia Penitenziaria.” Per tutte queste ragioni il Sappe ha chiesto l’intervento della Vice Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, il magistrato Simonetta Matone, sottolineando anche “se non si ritenga sia giunta l’ora di avvicendare un direttore che è in servizio a Sanremo da ormai vent’anni, coerentemente al criterio di rotazione che dovrebbero interessare i dirigenti dello Stato ed ai nuovi e proficui stimoli professionali che inevitabilmente esso determina”. Agrigento: nel carcere di Petrusa il riscaldamento non funziona, si sta davvero... al fresco La Sicilia, 28 novembre 2012 Dire che in un carcere si stia “al fresco” è un classico senza tempo. Ma nella casa circondariale di contrada Petrusa, da 14 anni almeno hanno preso questo concetto decisamente alla lettera. Inaugurato nel 1997, il penitenziario al confine tra Agrigento e Favara non può vantare un impianto di riscaldamento degno di questo nome. Un paio d’anni dopo l’apertura della struttura detentiva l’apparecchiatura ha smesso di funzionare come avrebbe dovuto e dovrebbe. Il dato incredibile è che gli anni sono trascorsi, ma negli uffici e - ovviamente - nelle celle l’ambiente riscaldato almeno sufficientemente è rimasto una chimera. “Radio carcere” racconta di stanze dove le temperature nei mesi freddi dell’anno raggiungono punte di pochi gradi di ben altri luoghi. Condizioni in cui lavorare è difficile. Al Petrusa, in sostanza si crepa dal caldo in estate e si gela dal freddo in inverno. Sempre da “Radio carcere” si evidenzia come la mancata riattivazione del riscaldamento negli ambienti del penitenziario derivi dalla ben nota crisi economica che attanaglia il Paese Italia e in questo caso il settore detentivo. Non ci sarebbero dunque le risorse adeguate per fare ripartire dopo 14 anni l’impianto di riscaldamento del Petrusa. Per chi lo amministra e ne controlla la sicurezza non resta che dotarsi di stufette di ogni tipo, senza dimenticare quanto emerso nelle scorse settimane: in certi uffici l’acqua penetra dal soffitto. A nemmeno 20 anni dalla sua inaugurazione e apertura dunque, la casa circondariale di Agrigento, nelle sue strutture e impianti, denota inquietanti segnali di precarità. Al Petrusa dunque, oltre ai detenuti, un pò tutti sono stanchi di... stare al fresco. Voghera (Pv): nuovo progetto per i detenuti, puliranno macchinari scientifici liceo Grattoni La Provincia Pavese, 28 novembre 2012 Circa cento macchinari scientifici del liceo classico Grattoni di Voghera verranno ripuliti con l’aiuto dai detenuti del carcere di Voghera. Ieri è partito il progetto di cui si sono fatti promotore l’assessorato alla cultura del Comune di Voghera, il museo di Scienze naturali di Voghera e la casa circondariale. “È una collaborazione che prevede una convenzione per facilitare l’inserimento dei carcerati nel mondo civile - sottolinea l’assessore alla cultura Marina Azzaretti. Si tratta di una rieducazione lavorativa e sociale nei confronti dei detenuti, che acquistano manualità e vengono inseriti nel contesto del territorio”. Ieri una parte dei macchinari del Grattoni sono stati trasportati in via Prati Nuovi per pulizia e manutenzione nel caso in cui ci sia qualche attrezzo scientifico da smontare. Dopo che i detenuti erano stati protagonisti della pulizia dei reperti naturalistici in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, e dopo altri eventi, Maria Gabriella Lusi, direttore della casa circondariale voghe-rese commenta la nuova iniziativa. “Dico grazie alla città di Voghera. Ho ereditato questa collaborazione che abbiamo voluto continuare: quando c’è sinergia fra istituzioni il carcere riesce a restituire al territorio grandi e piccole cose. La scommessa è restituire alla società i carcerati”. A Simona Guioli, direttrice del Museo di Scienze Naturali, è stato affidato il progetto. “Nel 2005 abbiamo iniziato la collaborazione perché le persone possano approcciarsi con il “non pubblico”. È cambiata la prospettiva perché i corsi erano momenti di lavoro all’interno del carcere e i detenuti si sono appassionati. Quest’anno continueremo con i macchinari e ci saranno momenti di incontro tra alunni e carcerati”. Bologna: quell’abbraccio dietro le sbarre tra un detenuto e il suo cane di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 28 novembre 2012 La levataccia, alle quattro e mezzo di notte. Due ore di viaggio in treno, partenza da fuori regione. Altre due ore di attesa, fuori dal cancello del carcere della Dozza. Poi solo il tempo che vola via e emozioni forti. Per il ragazzo fragile in cella da più di un anno, condannato in primo grado per una storia sbagliata, lasciato in custodia cautelare in attesa del processo d’appello. Per la giovane compagna Nicole, poco più che una bambina. E per lei, Caterina, il primo cane ammesso nel carcere bolognese per un “colloquio familiare straordinario e allargato”. “È andata bene, benissimo. Siamo contenti, tutti e tre - racconta l’accompagnatrice di Caterina, due anni, mansueto esemplare femmina di american staffordshire terrier. Lei e il mio ragazzo non si vedevano da sedici mesi, da quando è stato arrestato”. Le due ore all’interno del complesso, nel giardino con le giostrine per i bambini in visita e il verde ben curato, “sono passate in un lampo, troppo in fretta. Spero di poter rifare questa esperienza”. Spera anche, Nicole, che il colloquio allargato si possa ripetere, che diventi la regola e non sia l’eccezione. “Non vogliamo essere dei privilegiati, anzi. Mi piacerebbe che la stessa opportunità venisse data ad altre persone, dopo aver rotto il ghiaccio con noi. È una cosa che fa bene, non particolarmente complicata. È un modo per consentire il diritto all’affettività”. Per il padrone della terrier pezzata - “in realtà lui sente come un padre, perché l’ha vista crescere nei primi mesi di vita” - “è stato come incontrare uno di famiglia”. Era preoccupato, il ragazzo. “Temeva - spiega Nicole - che Caterina non lo riconoscesse più, dopo tutti quei mesi di lontananza. Impossibile. Quando lui è arrivato in giardino, all’inizio, lei si è messa a correre. Ma è stato il suo modo di manifestare gioia e contentezza. Dopo gli è saltata in braccio. Pure gli agenti dell’istituto, molto disponibili, le hanno fatto festa. Credo sia stato un esperimento positivo anche per loro, per il carcere”. Ma quando è arrivato il momento di salutarsi, quando il giovane detenuto e le ospiti a lui care sono stati separati, “il cane ha capito e piangeva”. Adesso, all’uscita, Caterina ha paura della pioggia cominciata a cadere negli ultimi minuti dell’incontro. Guarda con curiosità le macchine della polizia penitenziaria che entrano nel cortile circondato dai muraglioni, uomini e donne in divisa, gli altri familiari in visita, mogli, figlie, madri, fratelli. Fa resistenza. Non vorrebbe andare via. E chissà se è solo per il tempaccio o per il pelo che si bagna. “Il loro - racconta sempre Nicole - è un rapporto speciale. Il mio ragazzo può telefonare a casa, una volta al mese, come da regolamento. Quando lo fa, chiede sempre di parlare con Caterina. Io metto il viva voce. Lei lo sente. E lo cerca, girando per tutta la casa”. Avellino: busta contenente proiettile recapitata a un detenuto nel carcere ad Ariano Irpino di Gianni Vigoroso www.ottopagine.net, 28 novembre 2012 Destinatario della lettera era uno dei componenti della banda arrestato qualche giorno per rapine. Un proiettile da pistola calibro 7,65 indirizzato ad un detenuto è stato intercettato nella block house del carcere di Ariano Irpino, luogo in cui si svolge il primo filtro per l’accesso ai colloqui. È stato grazie al fiuto e alla perizia della squadra di polizia penitenziaria, reparto colloqui coordinata dal vice comandante ispettore Nicola Limone se si è riusciti ad individuarlo. Destinatario del plico da parte di un familiare, era uno dei componenti della banda arrestato qualche giorno fa dai carabinieri, nel corso della brillante operazione che aveva portato alla cattura di tredici persone accusate, sette delle quali della provincia di Avellino, quattro della provincia di Foggia e due di Potenza, resesi responsabili di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di rapine. Della vicenda è stata subito informata la procura, che ha aperto un’inchiesta. Un episodio che per ora resta avvolto dal mistero, si sta cercando di capire cosa voglia significare questo gesto. Lo stesso personale della polizia penitenziaria che sta indagando sull’accaduto, ha immediatamente eseguito una perquisizione esterna, all’interno della vettura di proprietà della persona che aveva portato quel pacco da introdurre in carcere durante i colloqui sui cui esiti vi è il massimo riserbo. Non è la prima volta che viene scoperto materiale sospetto destinato ai detenuti. In passato gli agenti del carcere arianese erano riusciti a bloccare, anche l’introduzione di piccoli quantitativi di droga. Segno questo che nulla viene lasciato al caso e l’attività di controllo e prevenzione risulta sempre costante e incisiva all’interno e all’esterno della casa circondariale arianese, grazie alla professionalità e solerzia del personale. Ne parla con soddisfazione il direttore del carcere Gianfranco Marcello: “Non posso che complimentarmi con la polizia penitenziaria e in modo particolare con l’ispettore Limone e il reparto colloqui, che pur essendo sotto organico, con decine e decine di familiari da controllare, riescono comunque ad espletare in toto l’attività istituzionale della polizia penitenziaria. Questo va a vanto di tutto il reparto ed anche della casa circondariale di Ariano Irpino che negli ultimi tempi credo soprattutto grazie al personale si sta distinguendo sia per quanto riguarda le attività prettamente trattamentali, che di repressione e perseguimento dell’ordine e disciplina. Da una parte dunque il trattamento per il reinserimento sociale, per chi si comporta bene e vuole avere un’altra occasione e dall’altra anche la durezza e la severità nei confronti di chi invece continua a comportarsi non bene contro la legge”. Stati Uniti: caso Wikileaks, Manning va alla sbarra, “detenuto in condizioni inumane” di Paolo Mastrolilli La Stampa, 28 novembre 2012 Parte il processo al soldato Usa che passò i documenti riservati a Julian Assange. L’avvocato: “Annientamento fisico e mentale”. Bradley Manning chiede di essere scarcerato, perché le condizioni in cui è stato detenuto dall’inizio del caso Wikileaks sono inumane, e rappresentano già una punizione sufficiente per le sue colpe. È la linea che il soldato americano, complice di Julian Assange, sostiene nella sua testimonianza davanti alla Corte Marziale di Fort Meade, prevista tutta questa settimana, fino a domenica. Manning, che ha 24 anni, è la persona all’origine dello scandalo che ha fatto tremare le diplomazie e le cancellerie di mezzo mondo. Dal 2009 al 2010 era stato inviato a Baghdad, per lavorare come analista di intelligence. In questa posizione, era entrato in contatto con molti documenti segreti. Durante il servizio si era convinto che la politica americana in Iraq e Afghanistan era sbagliata, e quindi aveva deciso di collaborare con Wikileaks, fornendo migliaia di rapporti militari classificati e oltre 250.000 dispacci diplomatici. Assange aveva deciso di pubblicare tutto questo materiale, con la collaborazione di alcuni media internazionali, e quando il ruolo di Manning è stato scoperto il Pentagono lo ha fatto arrestare. All’inizio Bradley è stato detenuto in un carcere gestito dai Marines a Quantico, in Virginia, dal luglio del 2010 all’aprile del 2011. Qui è stato sottoposto ad un trattamento molto duro, e ad un regime di controlli molto severi. Spesso era costretto a dormire nudo, e le guardie lo svegliavano ogni cinque minuti per controllare che tutto fosse a posto. Il trattamento era giustificato con i suoi presunti problemi mentali, e il rischio che cercasse di togliersi la vita. Secondo il suo avvocato, invece, queste erano solo scuse, che servivano a coprire il vero scopo di piegarlo mentalmente e fisicamente. Anche un ispettore dell’Onu aveva giudicato crudeli e inumane le condizioni di detenzione a Quantico, pur senza definirle torture. In seguito a queste denunce, Manning era stato trasferito a Fort Leavenworth, in Kansas, e sottoposto ad un regime più leggero. La sua testimonianza in corso a Fort Meade è un’audizione pre processuale, la prima che Bradley fa dall’inizio del caso. Lo scopo è dimostrare che è stato vittima di un trattamento ingiustificato, e ottenere su questa base l’annullamento del processo. Manning ha ricevuto 22 capi di imputazione e il più grave, cioè l’accusa di aver collaborato col nemico, prevede la condanna all’ergastolo. Il suo avvocato ha detto che il soldato è pronto ad ammettere alcune delle colpe più leggere, pur di evitare una condanna così pesante. L’ultimo caso in cui la denuncia del regime di detenzione aveva portato alla scarcerazione nel sistema militare americano era avvenuto nel 1956, durante il procedimento U.S. v. Bayhand, perché il prigioniero era stato costretto ai lavori forzati. Da allora in poi, al massimo queste situazioni hanno consentito una riduzione della pena, o uno sconto basato sugli anni già passati in carcere. Iran: denuncia marito di Nasrin Sotoudeh; sta male, portata in ospedale, autorità negano Ansa, 28 novembre 2012 Sono preoccupanti tanto da necessitare di quotidiane visite in ospedale le condizioni di salute di Nasrin Sotoudeh, la dissidente iraniana Premio Sakharov al 41/o giorno di sciopero della fame in carcere a Teheran: nonostante le smentite ufficiali, lo ha denunciato sul proprio sito Facebook il marito Reza Khandan. Lo riferiscono da ieri sera siti di opposizione iraniani. “È stata portata in ospedale ieri e ci deve essere trasportata ogni giorno”, ha scritto il consorte dell’avvocatessa che si batte per il rispetto dei diritti umani in Iran che per questo sconta una pena a sei anni di carcere per il suo impegno a fianco del Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi. “La sua pressione - ha aggiunto Khandan - era così bassa che il dottore non è stato in grado di misurarla”. “I responsabili giudiziari negano tutto, ma questo non risolve il problema”, ha scritto fra l’altro il marito della Sotoudeh. Proprio ieri il capo del Dipartimento per i diritti dell’Uomo nell’ambito della Giustizia iraniana, Mohammad Javad Larijani, aveva sostenuto che la reclusa è in buona salute e ha potuto incontrare la propria famiglia. Già il primo novembre scorso però il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed, si era detto “particolarmente inquieto” per lo stato di salute di Sotoudeh nel carcere di Evin. L’avvocatessa, insignita del Premio Sakharov 2012 in ottobre assieme al regista iraniano Jafar Panahi, è una delle maggiori figure del dissenso in Iran e nel gennaio 2011 era stata condannata a 11 anni di reclusione per “azioni contro la sicurezza nazionale e propaganda” contro il regime, pena poi ridotta a sei anni in appello.