Giustizia: in Italia è letteralmente un manicomio…. dove i più pazzi sono i medici di Massimo Bordin Il Foglio, 27 novembre 2012 Leggo dal libro di Annalisa Chirico “Condannati preventivi” una breve ricostruzione della vicenda giudiziaria di Salvatore Ferraro, ricorderete sicuramente l’omicidio all’Università di Roma della giovane Marta Russo. In poche pagine la questione di merito non viene nemmeno toccata. La sentenza c’è stata, è definitiva, amen. Non è questo il punto. Il punto sta nella sequenza fra carcere, arresti domiciliari, espiazione pena. Accusato nelle indagini preliminari Ferraro va in carcere e poi ai domiciliari. Condannato in primo grado, torna in libertà. Condannato definitivamente finisce di espiare la pena, dopo di che il suo tentativo di lavorare suscita un moto di indignazione nell’opinione pubblica fedelmente riportato dai mezzi di informazione. Converrete che è una sequenza demenziale. Nessuno si indigna se un tizio, nel momento stesso in cui viene condannato per omicidio, esce dal carcere come se fosse stato assolto. Viceversa è presumibile che se una volta accusato non fosse stato arrestato le proteste sarebbero state fortissime. Come sono state quando, scontata la pena, ha provato a reinserirsi. Bastano queste poche pagine a dimostrare che la giustizia in Italia è letteralmente un manicomio. Dove i più pazzi sono i medici. Giustizia: sul fonte del rispetto dei diritti umani l’Italia è uno “Stato canaglia” di Maurizio Bolognetti Notizie Radicali, 27 novembre 2012 Una volta di più occorre ripetere che la questione giustizia è la più grande questione sociale che abbiamo in questo Paese. Una volta di più affermiamo che le condizioni di detenzione nelle nostre patrie galere sono il riflesso, il putrido percolato di una bancarotta della giustizia che ci procura da oltre trent’anni condanne e richiami da parte dell’Europa. Una volta di più affermiamo che le massime istituzioni di questo Paese, che da anni assistono senza reagire a una strage di legalità che inevitabilmente si fa strage di popoli, devono operare e con urgenza per interrompere una flagranza di reato che va a sostanziarsi nella violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Dettato Costituzionale. Noi diciamo che occorre un costituzionale provvedimento di amnistia, che è “Amnistia per la Repubblica”, per uno stato incapace di rispettare la sua propria legalità. Un provvedimento di amnistia che è provvedimento di riforma e provvedimento propedeutico ad altri indispensabili interventi di riforma della giustizia. E per favore, la nostra non è una protesta, ma proposta. Proponiamo di rimettere sul binario della legalità e del rispetto dello Stato di diritto questo sgangherato Paese. Vogliamo mettere i magistrati in condizione di svolgere al meglio il loro lavoro, considerando la paralisi creata da circa 11 milioni di procedimenti arretrati tra penale e civile, laddove oggi una amnistia c’è già e si chiama prescrizione ed è, a ben vedere, una amnistia clandestina e quasi sempre di classe. Proponiamo di creare i presupposti per garantire davvero a vittime e imputati di poter avere giustizia. Oggi di tutta evidenza non è così. Oggi riusciamo ad offrire a milioni di persone solo piccoli e grandi calvari, ad iniziare da tanti gratuiti e inaccettabili anticipi di pena comminati attraverso la carcerazione preventiva. Oggi il carcere, putrido percolato della bancarotta della giustizia, è per dirla con Marco Pannella luogo di tortura senza torturatori, perché ad essere torturata e afflitta e dimenticata è l’intera comunità penitenziaria. Una comunità che sta manifestando un grado di consapevolezza dello sfascio e del “male” che ci travolge, che non appartiene a chi continua a trincerarsi dietro il “non ci sono le condizioni” o “non è il momento”. L’iniziativa nonviolenta di Rita Bernardini, di Irene Testa, di Valter Vecellio continua ed è iniziativa di lotta e di proposta(basterebbe guardare il lavoro svolto in Commissione giustizia dalla deputata Radicale). Per parte mia continuerò a sostenere i miei compagni e a lottare con loro. Per dirla con Ernesto Rossi: “L’Italia non potrà essere diversa se non siamo noi capaci di volerla diversa. E volere è agire”. Ecco, a chi dice che non ci sono le condizioni vorrei poter dire che le condizioni si creano ed è compito della politica crearle. Di certo ci sono azioni che rientrano nel novero dei doveri, come il dovere e l’obbligo del Capo dello Stato di essere garante del diritto, dei diritti e del Dettato Costituzionale. La prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile, appunto. In questo Paese con le sue storie di ordinaria ingiustizia, di diritti negati e di morti che non fanno notizia occorre che chi ha responsabilità di governo agisca. Noi non vogliamo subire, non possiamo assecondare una evidente resa, ma appunto vogliamo governare per prefigurare un nuovo possibile. Vogliamo governare il territorio, le nostre vite e opponiamo la nostra speranza alla rassegnazione di chi da sempre ci spiega che non è il momento. Diamo corpo a una lotta e a un dialogo. Giustizia: ddl misure alternative; ancora approfondimenti in Commissione alla Camera Adnkronos, 27 novembre 2012 La Commissione Giustizia prosegue oggi, in Comitato dei 9, l’esame degli emendamenti al ddl 5019-b e abbinati di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. La Commissione riprende anche l’indagine preparatoria dei progetti di legge di Delega al Governo in materia di depenalizzazione. Sono previste per domani audizioni del professore di diritto penale all’Università di Milano, Carlo Enrico Paliero, del professore di diritto penale all’Università di Torino, Carlo Federico Grosso, e giovedì quella di Pier Camillo Davigo, giudice della Corte di Cassazione. Il ministro Severino spinge per il voto È stato un impegno assunto con forza dal ministro della Giustizia, Paola Severino, fin dal suo insediamento, un anno fa: affrontare l’emergenza carceri. E dopo il decreto da lei stessa battezzato “salva carceri”, il primo atto del governo in materia di giustizia, riprende domani in Aula alla Camera l’esame, in vista del voto, del disegno di legge sulle misure alternative, ideale compimento del progetto del Guardasigilli, per fare in modo che il carcere diventi davvero, il più possibile, solo l’extrema ratio. Nonostante i tempi stretti, e l’ingorgo di leggi da licenziare tra Camera e Senato, il ministro non ha perso occasione per ribadire, nelle scorse settimane, la sua ferma intenzione di arrivare all’approvazione definitiva del ddl entro la fine della legislatura, insieme con il rifinanziamento della legge per il lavoro in carcere. Due sono i punti importanti contenuti nel ddl: l’utilizzo degli arresti domiciliari come pena che il giudice può irrogare direttamente, per determinati reati, già al momento della sentenza, allo stesso modo della carcerazione o della sanzione amministrativa; e la “messa in prova”, senza l’ingresso in carcere, istituto utilizzato con buoni risultati per la giustizia minorile, che può dare luogo alla sospensione del processo e all’estinzione del resto. La sospensione del processo è rimessa a una richiesta dell’imputato, che non può andare oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Consiste in una serie di prestazioni, tra le quali un’attività lavorativa di pubblica utilità (presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato), il cui esito positivo determina l’estinzione del reato. Le due novità sono previste per delitti che non destano allarme sociale, con pene edittali fino a 4 anni di reclusione. Il ddl contiene anche la misura della sospensione del processo per gli irreperibili. La ratio complessiva del disegno di legge, è quella di una deflazione sia del sovraffollamento degli istituti di pena sia della mole enorme del contenzioso, che paralizza gli uffici giudiziari. Nella sua formulazione originaria, il testo prevedeva anche una delega al governo sulla depenalizzazione dei reati minori, poi stralciata perché giudicata meritevole di approfondimento. Sulla materia il ministro ha avviato un tavolo che, insieme con la revisione della prescrizione, lavorerà, già a partire da questa settimana, su un elenco ragionato dei reati da depenalizzare. Tutti gli operatori del settore concordano sulla necessità di una profonda revisione del sistema sanzionatorio, che valorizzi soluzioni diverse rispetto al carcere. E la recente giornata di sciopero indetta dall’Unione camere penali, per sollecitare interventi immediati, ha visto una partecipazione massiccia e l’unanime. Tuttavia sul contenuto del ddl l’Ucpi esprime qualche perplessità. Le proposte sono buone in via di principio ma scarsamente efficaci dal punto di vista pratico - spiega all’Adnkronos il leader dei penalisti, Valerio Spigarelli - Prevedere le misure alternative per pene edittali fino a 4 anni equivale da una parte ad ammettere il problema e dall’altra non fare nulla per risolverlo. Le persone in custodia cautelare o in espiazione pena per quei reati ce ne sono pochissime, perché in quei casi difficilmente si ricorre al carcere. Sono istituti ottimi ma che dovrebbero essere applicati a una platea di reati molto più significativa. Da questo punto di vista - è l’auspicio di Spigarelli - la legge deve cambiare. Il passaggio in Aula deve prevederne l’applicazione di questi istituti per pene che arrivano a 4 anni, ma in concreto”. Un invito al Parlamento a fare presto, prima che il sistema esploda, arriva dagli operatori della Polizia Penitenziaria, in prima linea a gestire quotidianamente situazioni spesso molto critiche. Lo esprime il segretario del sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Donato Capece. “Mi auguro che il Parlamento voglia dire la parola fine, e che si porti a casa il provvedimento deflattivo del sistema penitenziario. Attraverso il potenziamento delle misure alternative si arriverà a creare istituti penitenziari più vivibili e più sicuri”. Alla ripresa dei lavori parlamentari sul provvedimento fanno da sfondo i dati sul sovraffollamento presentati nei giorni scorsi dall’Associazione Antigone: l’Italia ha un tasso di affollamento del 142,5%, contro una media europea del 99,6%. Delle 66.685 persone detenute al 31 ottobre 2012, il 40,1% (26.804) non sconta una condanna definitiva ma è in carcere in custodia cautelare. E chi sta in carcere, trascorre in cella una media di 20 ore al giorno. Ma per il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, quello all’esame della Camera “è l’ennesimo provvedimento di buon senso, che però nulla a che fare col sovraffollamento. Non un detenuto in meno ci sarà nelle carceri italiane a seguito del ddl. Il ministro Severino, invece, ha in tasca la soluzione prenda la proposta del Csm e la trasformi in legge. Quella proposta tocca i nodi del sovraffollamento: droga e recidiva”. Il ministro, ammonisce Gonnella, “presenti un emendamento governativo che cestini le leggi Cirielli e Fini-Giovanardi”. Giustizia: intervista a Maurizio Bolognetti (Radicali), in sciopero della fame per l’amnistia di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 27 novembre 2012 Con la massiccia mobilitazione nonviolenta di quattro giorni, fatta di battiture in carcere, scioperi della fame, silenzi e sit-in è andata in scena, negli scorsi giorni, una nuova protesta dei Radicali contro “lo stato di illegalità” in cui versa la giustizia nel Belpaese. Il riflesso di tale contesto sulla condizione di vita nelle carceri è davvero pesante. Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali Lucani, ha iniziato lo scorso 24 ottobre lo sciopero della fame - insieme alla deputata Rita Bernardini e Irene Testa, presidente dell’associazione “Detenuto Ignoto” - per ribadire la necessità di “un provvedimento di amnistia”. Clandestinoweb lo ha intervistato per saperne di più. Come mai ha scelto di aderire allo sciopero della fame e della sete iniziato da Rita Bernardini ed Irene Testa? Il motivo è quello che stiamo provando a spiegare da un bel po’ di tempo. C’è una situazione di flagranza di reato in cui versa il nostro Stato che non rispetta i diritti umani e la Costituzione. Tutto questo è testimoniato dal fatto che da 30 anni e più veniamo condannati dall’Unione europea per la durata dei nostri processi e non solo. La questione giustizia ha inevitabilmente riflesso sulle condizioni di vita nelle patrie galere. Le conseguenze sono disastrose: aumentano i suicidi di detenuti e di agenti della polizia penitenziaria, viene continuamente violato l’articolo 27 della Costituzione italiana e il sovraffollamento è a livelli record anche per colpa del fatto che molti ristretti scontano un anticipo di pena ma metà di questi verrà ritenuto innocente dopo i processi. È il caso di Ambrogio Crespi… Rimanendo sul caso Crespi, che idea si è fatto di questa carcerazione preventiva? Già solo il fatto che Rita Bernardini e Giuseppe Rossodivita abbiano preso a cuore questo caso e se ne siano occupati in prima persona mi aveva fatto pensare che ci trovavamo davanti all’ennesimo caso di ingiustizia italiana. Un’idea rafforzata dopo aver avuto modo di guardare la documentazione che lo riguarda. Quello che mi sento di dire al riguardo è che se un cittadino di questa Repubblica può finire in carcere sulla base degli stessi elementi usati dagli inquirenti per tenere dentro Crespi allora dobbiamo considerarci tutti in libertà provvisoria. Le prove per la sua carcerazione preventiva, infatti, non hanno uno straccio di riscontro. Mi auguro e spero che la Cassazione ponga presto rimedio a questo e che restituisca Ambrogio all’affetto della sua famiglia e al suo egregio lavoro. Ne approfitto per ringraziare Clandestinoweb per lo spazio dedicato alla giustizia e al mondo delle carceri, comprese le nostre iniziative. Tornando, invece, al problema “carceri e sovraffollamento”, da segretario dei Radicali in Basilicata, ci spiega qual è la situazione nella sua regione? La situazione delle carceri lucane non è paragonabile di certo a quella di Poggioreale, nonostante le parole pronunciate negli scorsi giorni dal ministro Severino che hanno tentato di sminuire il problema. Certo il sovraffollamento c’è anche in Basilicata e ci sono diverse problematiche da risolvere al più presto. Ad esempio la struttura di Potenza è fatiscente e c’è carenza di assistenza sanitaria. Pensi che di recente un detenuto è stato ricoverato in ospedale perché ha contratto la scabbia. Ci sono situazioni così gravi che hanno spinto la polizia penitenziaria a rivolgersi alla Procura della Repubblica. Per quanto tempo ha intenzione di andare avanti con lo sciopero della fame? Ci tengo a dire che quella portata avanti da me, Bernardini e Testa, non è una protesta ma una proposta. Intendo andare avanti ad oltranza sperando che qualcuno si decida ad intervenire. Ad un anno di distanza dalle dichiarazioni del presidente Napolitano, che ci avevano fatto ben sperare, non è stato dato seguito a quanto detto. Il Capo dello Stato è stato omissivo del suo ruolo di garante della Costituzione. Proprio lui che interviene su ogni questione a reti unificate, compresa quella della legge elettorale, ha tralasciato di occuparsi seriamente di carceri e detenuti. Certo anche il Parlamento ha le sue responsabilità visto che non riesce a prendere un provvedimento serio al riguardo… Quale, secondo Lei, il provvedimento da prendere? L’unico provvedimento in grado di sanare questo stato di illegalità è quello di amnistia e indulto. Per dirla con le parole di Marco Pannella siamo dinnanzi ad una continua “strage di legalità che poi diventa una strage di popoli”. Le morti in carcere, però, non fanno notizia. I media ci ripropongono continuamente casi come quello di Sara Scazzi e Yara Gambirasio fornendo anche dettagli morbosi ma si dimenticano di parlare di chi muore in e di carcere. Giustizia: i nostri bambini non meritano la galera… 70 piccoli vivono in cella con le madri di Paola Tavella Io Donna, 27 novembre 2012 La legge consente alle madri di tenere i figli in cella fino ai tre anni. E poi? Ecco i volontari che si occupano del loro futuro. E che ci hanno portato nel carcere di Rebibbia. Cristian chiedeva alla mamma: “Sei mai stata fuori di qui? Raccontami di prima, dimmi di come sono nato”. Ora l’hanno portato dalla nonna, però lui prega: “Lasciatemi tornare dentro, prometto che sarò buono”. Cristian è nato in carcere. Sua madre, Maria, ha 30 anni e si è costituita mentre era incinta, poi è stata condannata a nove anni. Il bambino è rimasto con lei, perché l’ordinamento penitenziario del 1975 prevede che le madri possano tenere i figli con sé fino a tre anni. Maria giocava con Cristian come Roberto Benigni con suo figlio in “La vita è bella”, fingeva che il carcere fosse un luogo di lavoro come un altro (Maria è cuoca), e Cristian abitasse lì per tenere compagnia alla sua mamma. Ma crescendo non le ha creduto più, anzi ci teneva ad avvertirla, a dirle come stavano veramente le cose. Di notte scendeva dal suo lettino, si avvicinava e le sussurrava all’orecchio: “Questa è una prigione”. Il sabato usciva con i volontari, vedeva il mondo. Fuori dal carcere di Rebibbia femminile c’erano grandi parchi e le strade di Roma, più oltre le spiagge, il mare. Cristian chiedeva a sua madre: “Sei mai stata fuori di qui?”. Le chiedeva: “Raccontami di prima, dimmi di come sono nato”. Adesso Cristian ha compiuto tre anni ed è stato scarcerato, suo padre lo ha portato a Lecce, dalla nonna. “Negli ultimi tempi” dice Maria “gli spiegavo che dovevamo separarci, sembrava accettarlo. Ma se suo padre voleva portarlo a fare un giro lui rifiutava di andare. E aveva tanta paura del suo compleanno”. Adesso, quando torna a trovare sua madre, Cristian si arrampica sulle sue ginocchia e la prega di riprenderlo: “Lasciami stare dentro con te, prometto che sarò buono”. Maria mi racconta questa storia con gli occhi asciutti. Dice: “Ho sbagliato. Devo pagare e pago. Chi non lo capisce non sopporta la galera e dopo non riesce a reinserirsi”. I bambini che vivono in carcere in Italia sono circa 70. Poi ci sono centomila minorenni che hanno un genitore in galera. l’ordinamento penitenziario del 1975 è stato modificato nel 2011 dalla legge 62, che estende fino a sei anni l’età dei piccoli incarcerati con le madri, a patto che stiano in istituti a custodia attenuata. Ma ne esiste solo uno, a Milano. “A Roma speriamo di farcela entro il 2014” dice Gabriella Pedote, vicedirettrice del carcere femminile di Rebibbia. Perché non si è fatto finora? Non ci sono i fondi. E siccome “la pena comunque deve essere eseguita”, a Rebibbia vivono attualmente dodici bambini. Quattro grandi stanze che possono accogliere fino a quattro madri, una ludoteca per i colloqui con i papà, posti riservati ai bambini detenuti negli asili-nido della zona. Ma i piccoli in carcere non dovrebbero starci neppure un secondo, ha ammesso di recente anche la ministra di Grazia e Giustizia Paola Severino. “Chi nasce e cresce in detenzione soffre gravi deprivazioni sensoriali” dice Paola Lamartina, dell’associazione Ain Karin, che gestisce una casa-famiglia nella stessa circoscrizione di Rebibbia. “Abbiamo accolto oltre cinquanta bambini detenuti al compimento del terzo anno, altri hanno vissuto qui con le loro madri agli arresti domiciliari. Certo, devono verificarsi le giuste condizioni. Non deve esserci pericolo di fuga, né di reiterazione del reato. Ma diventare madre cambia profondamente la maggior parte delle donne. In tanti anni, me ne è scappata solo una, e mi ha lasciato qui il bambino”. Mantenere una mamma e figlio in una casa-famiglia costa 2.000 euro al mese, molto meno della retta di un istituto a custodia attenuata per non parlare dei costi del carcere. Ain Karin non ha alcun finanziamento, si regge puramente sul lavoro volontario, e collabora da sempre con l’associazione A Roma Insieme, oggi presieduta da Gioia Passarelli ma fondata dall’onorevole Leda Colombini, che dal 1991 fa interventi di gran valore per le detenute di Rebibbia. L’obiettivo principale di A Roma Insieme è sempre stato portare madri e bambini fuori dal carcere, e intanto provare a farli vivere un po’ meglio. Così, con il contributo economico decisivo di Axa Mps, nel 2009 a Rebibbia è stato inaugurato un giardinetto, si sono tenuti laboratori di musicoterapia e arte terapia, di consumo sostenibile e riciclo per mamme e bambini. Molto recentemente è stato ristrutturato anche uno spazio ricreativo e di gioco. Ma Alisa, 26 anni, cinque figli, è disperata. L’hanno presa per un borseggio in metropolitana, quando aspettava Rodolfo, che è nato in carcere prematuro. “Inutile fingere che non sia prigione” dice “perché quando viene l’ora di serrare le celle gli agenti gridano “chiusura!”, e i bambini poi giocano a gridare “chiusura!”. Allora magari ridi, ma dentro sei piena di lacrime”. Ho rubato, ho fatto degli errori, dice. Ma non ho lavoro e ho i figli da mantenere: “E se anche volessi cambiare vita, chi assume una zingara e una ladra?”. È meglio tenere qui i bambini piuttosto che doverli lasciare, però “poi a tre anni te li riprendono, e rimani senza niente. Se non hai una famiglia danno i bambini agli assistenti sociali”. le madri dovrebbero stare agli arresti domiciliari: mi prega di scriverlo, mi prega di rivolgere un appello delle madri di Rebibbia alla ministra Severino. Cinzia ha mandato via la sua bambina di due anni e mezzo da questo reparto, perché non ci voleva più stare: “La mandavo fuori spesso, con suo padre e i suoi fratelli, ma quando tornava era molto aggressiva. E poi era delicata, soffriva d’asma. Ora viene a trovarmi tutte le settimane”. Cinzia sostiene che non è possibile essere davvero madri in una galera: “Rebibbia non è un posto dove puoi gestirti i tuoi figli come vuoi, crescerli secondo i tuoi criteri. I tempi, i modi, le compatibilità sono decisi altrove. E spesso anche le esperienze significative, l’esplorazione del mondo, avvengono con altri”. Questi altri possono essere i volontari di A Roma Insieme o di Axa Mps, che il sabato vanno a prendere i bambini detenuti e li portano in giro. I piccoli aspettano queste giornate con gioia: “Ma poi arrivano le angosce, come quella di non tornare più qui, o quella di non uscire ancora. Sì, noi madri abbiamo sbagliato, ma i bambini che cosa ne possono sapere?”. Giustizia: criminalità, sicurezza, carcere, rieducazione; intervista a Donato Capece (Sappe) Il Sole 24 Ore - Eventi, 27 novembre 2012 Donato Capece è il Segretario Generale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la più grande organizzazione del Corpo. A lui chiediamo di commentare la situazione del paese, con particolare riferimento all’ordine pubblico e alla sicurezza. Oggi giorno ci troviamo di fronte a nuove tipologie di reati, sempre più numerosi che, a causa di aumentato allarme sociale, obbligano la collettività, e quindi le Autorità politiche, ad intervenire con nuove iniziative in grado di dare certezze, Purtroppo, però, gli interventi legislativi non sembrano sempre in grado di contrastare i pericoli che provengono dalla delinquenza organizzata e non. Ad esempio, le ultime manovre finanziarie hanno aggravato la situazione degli organici costringendo il personale a turni di lavoro eccessivamente stressanti, con risorse e stanziamenti insufficienti a conseguire gli obiettivi istituzionali, penalizzando l’efficienza di ciascuna Fora di Polizia. Ritengo che uno Stato serio dovrebbe far corrispondere le parole ai fatti e se vuole che le forze di polizia adempiano ai propri doveri deve potenziarle con uomini, mezzi, strutture e dispositivi. Qual è l’impegno del Sappe su questi delicati temi? Se la “sicurezza” è un bene essenziale - e non ci sono, credo, dubbi al riguardo - ci si deve impegnare a realizzarla. Per quanto attiene al Corpo di Polizia Penitenziaria, fenili restando i problemi comuni con le altre Forze di Polizia, sono indispensabili miglioramenti organizzativi, una razionalizzazione e una migliore distribuzione delle attività e delle risorse. Crediamo in un Corpo di Polizia autonomo dal punto di vista organizzativo, con l’istituzione della Direzione Generale della Polizia Penitenziaria all’interno dell’Amministrazione Penitenziaria. Parlando di sicurezza, inevitabilmente sipario anche di carcere... Sicurezza non vuol dire solo carcere, pena detentiva a tutti i costi. Noi riteniamo che non tutti i reati possono e devono essere puniti con la detenzione, non solo perché non c’è posto in carcere, ma anche e soprattutto perché la detenzione, a volte, potrebbe non essere utile così com’è concepita oggi. La popolazione carceraria cresce con detenuti stranieri, spesso clandestini, che non possono beneficiare degli arresti domiciliari e non possono essere espulsi per difficoltà di individuazione del paese d’origine o per problemi legati ai trattati internazionali. Cresce a causa della custodia cautelare e della lunghezza dei processi. D’altro canto, provvedimenti emergenziali come amnistia e indulto non servono ad affrontare il problema ma solo a rinviarne la riproposizione. Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso più volte la propria preoccupazione per le condizioni insostenibili delle carceri italiane sollecitando Governo e Parlamento ad intervenire sulla questione. Quali soluzioni propone il Sappe? Processi più rapidi (oltre il 40% dei detenuti oggi presenti nelle carceri italiane sono in attesa di un giudizio definitivo); espulsione dei quasi venticinquemila detenuti stranieri oggi in Italia; detenzione nelle comunità terapeutiche dei detenuti tossicodipendenti, che oggi sono il venticinque per cento dei presenti; maggiore ricorso alle misure alternative, soprattutto nella direzione dei lavori socialmente utili. Nonostante l’importante contributo di comunicazione fornito anche e soprattutto dal SAPPE, non sembra che gli italiani conoscono bene la funzione istituzionale e sociale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Gli italiani non conoscono bene la Polizia Penitenziaria perché l’Amministrazione penitenziaria non vuole o non è capace di “comunicare” il duro lavoro delle donne e degli uomini del Corpo che garantiscono la sicurezza 24 ore su 24, per 365 giorni all’anno, nelle carceri italiane. L’opinione pubblica non sa che i poliziotti e le poliziotte penitenziarie, nel solo anno 2011, hanno salvato la vita a più di mille detenuti che hanno tentato di suicidarsi, hanno impedito che più di cinquemila atti di autolesionismo avessero più gravi conseguenze, hanno fronteggiato oltre settecento episodi di aggressione e più di tremila colluttazioni. Piuttosto, va detto che il personale di Polizia Penitenziaria è stato spesso lasciato da solo a gestire le situazioni di disagio sociale e di ostilità, anche per le palesi ed evidenti incapacità di una Amministrazione Penitenziaria che pensa di stemperare le tensioni in carcere solamente attraverso fumosi e fantomatici patti di responsabilità con i detenuti, sottovalutando l’aspetto della sicurezza e dell’ordine pubblico a favore di una indiscriminata politica trattamentale che oggi, con queste strutture e questo sovraffollamento, è pura e semplice utopia. Serve una nuova politica della pena nel nostro Paese? Assolutamente si. Se il carcere è, in larga misura, destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente come lo stato della detenzione non può che essere lo specchio della società degli uomini liberi. Torno a dire che bisognerebbe pensare a un carcere che non peggiori chi custodisce, non lo incattivisca ancor di più, non crei nei detenuti la convinzione di essere vittime. Un carcere così lo si può realizzare con il coinvolgimento del sociale ma, soprattutto, con il lavoro durante la detenzione, anche attraverso progetti concreti per il recupero ambientale del territorio. In questo contesto si dovrà delineare per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego operativo, anche al di fuori delle mura del carcere, con un ruolo di vera e propria Polizia dell’Esecuzione Penale. Il controllo dell’esecuzione penale esterna, oltre che qualificare la Polizia Penitenziaria, renderebbe più efficaci i controlli sulle misure alternative alla detenzione, alle quali sarebbe opportuno ricorrere con maggiore frequenza. Come in un circolo virtuoso, la maggiore efficacia delle misure esterne finirà per aumentare la considerazione della pubblica opinione su questo tipo di detenzione che, attualmente, non viene affatto considerata una vera e propria pena. Giustizia: diffamazione a mezzo stampa; il Senato boccia Disegno di Legge “salva Sallusti” Asca, 27 novembre 2012 Nella seduta di ieri, con 123 voti contrari, 81 favorevoli e 9 astenuti, il Senato ha bocciato l’articolo 1 del disegno di legge n. 3491 e connessi, in materia di diffamazione a mezzo stampa. Il ddl “salva Sallusti” così come sorto, sembra già tramontato: con 123 contrari, 9 astenuti e solo 29 voti a favore l’Aula del Senato, con voto segreto, ha bocciato la norma del disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa che prevedeva il carcere, fino a un anno, per i giornalisti. Ironia della sorte, la censura di Palazzo Madama giunge proprio nel giorno in cui al direttore del “Giornale” viene notificato l’ordine di arresto domiciliare. Il provvedimento è sostenuto ormai ufficialmente solo dal Pdl e dalla Lega, mentre si sono dichiarati contrari oltre al Pd e all’Idv, anche l’Api e l’Udc. Astenuti i Radicali (al Senato l’astensione vale come voto contrario). Cassato l’articolo 1, casca di fatto il resto della riforma, sulla quale si è a lungo combattuto per l’urgenza dettata dalla condanna definitiva proprio per diffamazione a carico del direttore del Giornale Alessandro Sallusti che oggi per effetto della legge “svuota-carceri” per 14 mesi sarà agli arresti domiciliari. Giustizia: Penalisti; trattamento a Sallusti lede principio di uguaglianza di fronte alla legge Tm News, 27 novembre 2012 Per la Camera penale di Milano al direttore del Giornale Alessandro Sallusti è stato riservato un trattamento di favore, non richiesto, che lede il principio di uguaglianza di fronte alla legge. “In ogni aula di giustizia dei Tribunale d’Italia - scrivono i penalisti in una nota - vi è scritta la frase “La giustizia è uguale per tutti”. A ciò deve tendere l’amministrazione della Giustizia e, nel tentativo di affermare questo principio, anche noi avvocati ogni giorno portiamo nelle aule il nostro impegno. Purtroppo accade anche che tali tentativi siano a volte frustrati da diseguaglianze di trattamento cui il sistema non è esente nei confronti di alcuni imputati. Succede così, a proposito degli effetti negativi della eccessiva esposizione mediatica di alcune vicende processuali, che tale diseguaglianze vengano all’attenzione dell’opinione pubblica con maggiore evidenza. È avvenuto così per il trattamento riservato al giornalista Sallusti”. Il suo caso, proseguono i penalisti milanesi, “È la dimostrazione di quale binario differenziato venga adottato talvolta, e sempre in favore di chi ha una posizione privilegiata, in evidente contrasto per quella scritta che dovrebbe essere lo scopo cui il governo della Giustizia deve tendere. La Procura di Milano, a fronte della espressa dichiarazione del giornalista Sallusti, fatta pervenire nel termine di 30 giorni, di non voler richiedere alcuna delle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento, decorso il termine di legge, ha emesso una ulteriore e seconda sospensione dell’ordine di carcerazione con richiesta di applicazione della cosiddetta svuota carceri. Ciò sulla base di un articolato e raffinato ragionamento sulla differenza di presupposti necessari per i trattamenti previsti dall’Ordinamento penitenziario (ovvero l’adesione e la condivisione del percorso trattamentale) e di quelli, più stringati, richiesti per la applicazione della detenzione domiciliare prevista dalla legge 199/2012”. Giustizia: Sallusti; non ho chiesto domiciliari e non ne ho requisiti… giornalisti sono infami Tm News, 27 novembre 2012 “Quello che potrebbe succedere è che io passi dai domiciliari al carcere”. Lo ha affermato il direttore del “Giornale” Alessandro Sallusti, ospite stamani a “Mattino Cinque” su Canale 5 Mediaset. “Io - ha sottolineato Sallusti - non ho chiesto di andare ai domiciliari” e “tantomeno avrei chiesto di scontarli a casa Santanché” perché “ritengo questa decisione della Procura un’ingiustizia” poiché “credo di non avere i requisiti per andare ai domiciliari” e dunque “dovrei andare in carcere”. Duro anche il suo commento sul comportamento dell’informazione circa la vicenda giudiziaria che lo riguarda e la riforma del reato di diffamazione. “I miei colleghi - ha sentenziato - sono degli infami: dovrebbero giocare con le loro vite, non con la mia”. Sardegna: Tamburino (Dap); parte detenuti in regime 41-bis trasferito in carceri isolane Agi, 27 novembre 2012 “Una parte dei detenuti in regime di 41 bis sarà destinata in Sardegna. Sia perché lo prevede espressamente una legge del 2009, sia perché è logico che questi detenuti non siano concentrati in un’unica regione ma collocati nei luoghi dove è possibile garantire la massima sicurezza”. Lo ha detto a Tempo Pausania il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna, Giovanni Tamburino, a margine della cerimonia per l’intitolazione del nuovo carcere di Nuchis all’appuntato Paolo Pittalis. Quanto alla scelta del carcere dove saranno reclusi i detenuti in regime di 41 bis, Tamburino ha dichiarato: “La scelta non è stata ancora fatta. La si farà nel giro di pochi mesi”. Nuovo carcere Tempio Pausania intitolato ad agente ucciso Il nuovo carcere di Nuchis, a Tempio Pausania, è stato intitolato all’appuntato Paolo Pittalis, agente di polizia penitenziaria originario di Muros (Sassari) ucciso, nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1945, da sei ergastolani durante un tentativo di evasione dal carcere di Alghero. La cerimonia si è svolta stamani, nel penitenziario gallurese, alla presenza della figlia di Pittalis, Giovanna. “Lei”, ha detto il direttore del carcere, Antonio Galati, rivolto alla donna, rappresenta i sacrifici che le famiglie sono costrette ad accettare nel silenzio”. Umbria: sul Bollettino ufficiale l’avviso per selezione di candidati a “Garante dei detenuti” Agi, 27 novembre 2012 È consultabile da oggi sul Bollettino ufficiale della Regione Umbria l’avviso pubblico per la selezione di candidature per la designazione della figura del “Garante dei detenuti”. L’atto è stato approvato dall’Ufficio di presidenza del consiglio regionale il 12 novembre scorso. I requisiti individuati sono relativi alla comprovata competenza nel campo delle scienze giuridiche, scienze sociali e dei diritti umani e l’esperienza in ambito penitenziario. In particolare, i candidati dovranno quindi indicare nel proprio curriculum: di essere iscritti e partecipare attivamente ad organismi di servizio e associazioni che operano nel campo del volontariato; la conoscenza dell’ordinamento e del contesto penitenziario e di quelle istituzioni e associazioni con le quali è prevista l’interazione delle attività del Garante; l’esperienza nell’organizzazione di iniziative di informazione, promozione culturale e sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti e delle garanzie dei detenuti. Al Garante dei detenuti, spetta un’indennità mensile pari al venti per cento dell’indennità mensile lorda assegnata ai consiglieri regionali. Campania: Protocollo Regione-carcere di Secondigliano per nascita cooperativa detenuti Il Velino, 27 novembre 2012 “L’approvazione da parte della Giunta regionale del protocollo di intesa tra la Regione e il carcere di Secondigliano per la costituzione di una cooperativa sociale formata dai detenuti che, all’interno della struttura penitenziaria, coltiveranno l’appezzamento agricolo, composto da un orto di circa un ettaro e da due serre, e avvieranno un percorso di reinserimento sociale e lavorativo, è una risposta importante all’esigenza, da tutti sostenuta, di carceri a dimensione più umana”. Così Daniela Nugnes, consigliere del presidente Caldoro per l’Agricoltura. “I detenuti - spiega - grazie al supporto tecnico fornito dai funzionari dell’assessorato all’Agricoltura, già nel corso di quest’ anno sono stati impegnati nella sperimentazione di un progetto di coltivazione, lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli estivi. Ora, con la sottoscrizione del protocollo di intesa sarà possibile costituire una cooperativa sociale e, quindi, anche commercializzare i prodotti”. Nell’orto saranno coltivate principalmente le varietà orticole tipiche della Campania: per il periodo invernale saranno prodotti tra l’altro fave, piselli, la cipolla bianca di Pompei, il cavolo bianco di Napoli e i friarelli. “Per le coltivazioni è stato scelto il metodo biologico. Il prossimo passo sarà quello di ottenere la certificazione biologica delle produzioni. Si tratta di una iniziativa che offrirà a queste persone la possibilità non solo di imparare un mestiere, ma anche di potersi reinserire nella società una volta espiata la pena detentiva. È sicuramente un progetto con un forte impatto sociale che punta a ridare agli istituti di pena il vero ruolo di struttura di riabilitazione”, conclude la Nugnes. Lazio: Delegazione di Futuro e Libertà in visita nelle carceri “no a bimbi dietro le sbarre” Dire, 27 novembre 2012 È iniziato stamattina il giro di ispezione congiunto del deputato Francesco Proietti Cosimi e del consigliere regionale del Lazio Francesco Pasquali nelle carceri del Lazio. La visita a sorpresa di stamane ha riguardato la sezione femminile del carcere di Rebibbia, per verificare le condizioni di detenzione delle donne e dei minori, riscontrando che questi ultimi sono per la maggior parte di etnia rom. È quanto si legge in una nota dei due esponenti di Fli. Per Pasquali “è perfettamente vero ciò che diceva Charles Dickens a proposito delle carceri, ovvero che sono l’indice del grado di civiltà di un Paese, e l’Italia si conferma nelle sue ipocrisie. Siamo il Paese in cui anche quando ci sono delle buone leggi, restano spesso inapplicate, come nel caso delle misure alternative al carcere per le madri detenute con figli minori di 3 anni. Vedere dei bimbi in carcere è una vergogna per un Paese che si considera civile e nonostante la legge recentemente approvata, i piccoli restano dietro le sbarre”. Anche secondo Proietti Cosimi, “a nulla serve una legge vuota carceri, se non si affronta allo stesso tempo il nodo del reinserimento nella società delle persone che hanno sbagliato, ma vogliono riprendere in mano la propria vita”. Nonostante la visita non fosse stata comunicata in anticipo, spiega ancora la nota, si è potuta verificare la pulizia e la buona gestione della struttura. I due esponenti politici di Fli hanno voluto inoltre sottolineare “la grande professionalità del personale penitenziario, che nonostante sia cronicamente sotto organico, fa del suo meglio per rendere più sopportabile la vita in carcere delle donne e dei bimbi”. Alghero: “Troppi detenuti e pochi agenti”, il Sappe scrive al provveditorato regionale di Andrea Massidda La Nuova Sardegna, 27 novembre 2012 Troppi detenuti, pochi agenti. Le celle della casa circondariale di via Vittorio Emanuele scoppiano. E come se non bastasse a controllare gli attuali 175 ospiti (un numero di gran lunga superiore al limite di sicurezza fissato dallo stesso ministero della Giustizia) c’è un organico in divisa insufficiente, che al netto degli indisposti non supera le 61 unità. Un’emergenza da tempo diventata ordinaria amministrazione che però ora rischia seriamente di toccare livelli di assoluta intollerabilità. La denuncia arriva dal Sappe, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, dove si sottolinea che al problema del sovraffollamento cronico ora si è aggiunto quello dei lavori previsti per l’adeguamento dei servizi igienici nella “Sezione A”. Una ristrutturazione che durerà non meno di sessanta giorni e ha costretto Antonio Cannas, che del Sappe è il segretario provinciale, a scrivere una lettera al Provveditorato regionale dei penitenziari per chiedere che non solo vengano immediatamente trasferiti i reclusi in esubero, ma nel contempo vengano bloccati nuovi arrivi sino alla termine delle opere di rifacimento di bagni e docce. “Ad Alghero - chiarisce il sindacalista - l’attuale popolazione carceraria, così elevata rispetto al numero degli agenti disponibili, non consente di garantire condizioni di sicurezza né per gli uni né degli altri. Andare avanti in questo modo è troppo rischioso”. Parole in qualche modo condivise anche da Giampaolo Cassitta, a Cagliari capo dell’Ufficio detenuti e trattamento del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che in una lettera inviata al ministero della Giustizia chiede già nell’oggetto di sospendere temporaneamente l’assegnazione di nuovi detenuti nel carcere di San Giovanni, ma chiede anche alla direzione dello stesso istituto di aggiornare il cosiddetto applicativo “monitoraggi celle e spazi detentivi”, riservandosi di predisporre un eventuale sfollamento qualora la chiusura della sezione sottoposta a restauro pregiudicasse la corretta gestione dei detenuti. Il timore è che per l’assenza di spazi idonei, mista alla carenza di personale, si possano ripetere episodi inquietanti come quelli verificatesi nel corso dell’anno, con risse, tentati suicidi e persino aggressioni a i danni degli agenti della polizia penitenziaria. L’ultimo caso risale ai primi di luglio, quando un detenuto ha prima cercato di dar fuoco alla propria cella scatenando il terrore tra i compagni, poi con la gamba di un tavolino ha minacciato gli agenti che gli andavano incontro con l’estintore. Oristano: oggi l’inaugurazione del nuovo carcere, dedicato ad agente ucciso da ergastolani L’Unione Sarda, 27 novembre 2012 Sarà intitolato a Salvatore Soro, un agente di custodia ucciso da pericolosi ergastolani il nuovo carcere di Massama. Oggi cerimonia ufficiale per il penitenziario, aperto qualche settimana fa: alle 15 sarà il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, a inaugurare la struttura alla presenza delle autorità militari, civili e religiose. Ma non si placano le polemiche sull’arrivo di mafiosi e camorristi nella struttura e sulla carenza di personale tra gli agenti di polizia penitenziaria. Il ricordo. Il carcere sarà intitolato a Salvatore Soro, agente di custodia che nel novembre 1945, insieme al collega Paolo Pittalis (a cui è intitolato il carcere di Tempio) venne ucciso da detenuti nel carcere di Alghero. I carcerati avevano tentato di evadere e i due agenti erano morti cercando di bloccare la fuga. “Diedero un esempio di altissimo senso del dovere spinto all’estremo sacrificio” si legge in una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Oggi alla cerimonia di inaugurazione del nuovo carcere parteciperanno anche i familiari delle vittime. “Il penitenziario di Massama risponde alle necessità di migliore vivibilità affinché la pena raggiunga la finalità prevista dalla Costituzione” va avanti. Le polemiche. Per il nuovo carcere però ci sono state da subito accese contestazioni. A iniziare dall’allarme per l’arrivo di camorristi e mafiosi: l’arrivo era previsto nelle settimane scorse, poi è stato fatto slittare. Adesso l’allerta è sempre alta, con il personale che però rilancia la preoccupazione per la carenza dell’organico. “Nella nuova ripartizione degli agenti non sono previsti trasferimenti a Massama - sostiene Salvatore Argiolas, segretario regionale Ugl - Aspettiamo chiarimenti, è indispensabile un potenziamento degli agenti”. C’è poi una serie di carenze logistiche e strutturali che, soprattutto all’indomani dell’apertura, hanno creato disagi sia agli agenti sia ai detenuti. Senza contare che con le prime piogge sono state segnalate infiltrazioni d’acqua nei corridoi e nelle celle. Roma: al Salone della Giustizia incontro del Csm su lavoro e reinserimento dei detenuti Adnkronos, 27 novembre 2012 Si parlerà di reinserimento dei detenuti attraverso il lavoro nell’incontro sul tema: “Carcere oltre le sbarre: si può, si deve. I provvedimenti di apertura della Magistratura; le prassi deflative della Magistratura, d’intesa con l’Amministrazione Penitenziaria; il reinserimento attraverso il lavoro”, che si terrà giovedì alle 12.30, nell’ambito della quarta edizione del Salone della Giustizia. Coordina i lavori del convegno, che si svolgerà nella Sala Cecilia del Padiglione 9 della Nuova Fiera di Roma, Giovanna Di Rosa, componente del Csm e della Commissione Mista per lo studio dei problemi della Magistratura di Sorveglianza e intervengono Giovanni Tamburino e Simonetta Matone, capo e vicecapo del Dap. Sono inoltre previsti gli interventi di Daniela Scarlatti, attrice e autrice dello spettacolo teatrale “I giorni scontati”, nella sessione dedicata al teatro, e di Valentina Meloni, della Cooperativa “Men at work catering-food” presso il carcere Rebibbia di Roma, sul tema del lavoro. Verranno poi esposte alle alcune attività: una simulazione del call center 1254, la presentazione della troupe dell’Ospedale Bambin Gesù e l’illustrazione dei corsi di formazione d’arte e dei lavori per la collettività di pulitura dei siti archeologici di Roma, d’intesa con la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma. Oltre a Giovanna Di Rosa e Simonetta Matone, saranno presenti gli altri componenti della Commissione Mista per lo Studio dei Problemi della Magistratura di Sorveglianza presso il Consiglio Superiore della Magistratura: per il Csm i consiglieri Glauco Giostra e Alberto Liguori; per il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Francesco Cascini e Federico Falzone; per la Magistratura di Sorveglianza Carminantonio Esposito, Fabio Fiorentin; Francesco Maisto; Giulio Romano; Paola Stella e Luigi Tarantino. Nuoro: domani a Isili presentato Progetto detenuti-autori… storie dalla cella con emozione L’Unione Sarda, 27 novembre 2012 Chi ha una storia da raccontare “non sempre ha gli strumenti per raccontarla, mentre, viceversa, lo scrivano che ha i mezzi non sempre ha i materiali. Qui si tratta di adottare storie orfane che nessuno conoscerebbe se qualcuno non si prendesse la briga di trascriverle e trasfigurarle” scrive Marcello Fois nell’introduzione alla raccolta “La Cella di Gaudì. Storie di galeotti e di scrittori” che domani alle 10 sarà presentata alla Casa di reclusione di Isili, in collaborazione con l’associazione Il Colle Verde, Arkadia Editore, il presidio del libro Carpe Liber, il marchio Galeghiotto del progetto Colonia. L’antologia è la fase conclusiva del progetto “Adotta una Storia” in cui dodici scrittori hanno incontrato altrettanti detenuti che si confrontano col proprio passato e diventano i protagonisti e primi critici dei racconti. Vite all’estremo, episodi di disperazione, frammenti di passato che si intrecciano e sono rielaborati con la mediazione dell’arte letteraria. Uno scorrere di emozioni, ricordi, a volte struggenti, a volte simpatici, che ci introducono a un mondo sconosciuto, in un flusso continuo e ritmato in cui passiamo dalle vicende del bulgaro o del rumeno a quelle di Mohamed, in un melting pot che ci accompagna in giro per il mondo, tra fedi e popoli di ogni natura. “La cella di Gaudì. Storie di galeotti e di scrittori” si annuncia insomma come un libro di facile lettura ma carico di emozioni. Per l’occasione saranno presenti i detenuti, gli scrittori (Salvatore Bandinu, Michela Capone, Giampaolo Cassitta, Fabrizio Fenu, Michele Pio Ledda, Savina Dolores Massa, Paolo Maccioni, Nicolò Migheli, Anthony Muroni, Claudia Musio, Pietro Picciau, Gianni Zanata), i partner e gli operatori coinvolti nel progetto, lo stesso Marcello Fois, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, il Provveditore regionale Gianfranco De Gesu. Caserta: al via il progetto “Birra della legalità”… prodotta dai detenuti di Carinola Vincenzo Viglione www.campanianotizie.com, 27 novembre 2012 Volendo sintetizzare in un ossimoro il progetto presentato ieri nella sala teatro del carcere di Carinola, dal titolo “Birra della legalità”, si potrebbe parlare tranquillamente di carcere senza sbarre. “Un carcere che oggi vuole lanciare un forte messaggio di educazione alla legalità - queste le parole di Francesco Diana, presidente dell’associazione FormAzione Viaggio - e che attraverso la realizzazione di un birrificio consente di aprire un nuovo orizzonte di economia sociale volto al recupero dei detenuti e nel contempo, di immettere sul mercato un prodotto dall’alto valore simbolico tra i giovani, ai quali è rivolto il messaggio, come la birra”. “Un progetto - secondo Alessandra Tommasino, responsabile della cooperativa sociale “Carla Laudante” di Villa di Briano - che punta ad ampliare le già consolidate esperienze di recupero e assistenza dei soggetti svantaggiati condotte sui beni confiscati, coinvolgendo i detenuti e offrendo loro reali opportunità di riscatto sociale volti alla costruzione di percorsi di recupero non solo materiali, ma anche e soprattutto delle coscienze di quei tanti protagonisti di una criminalità organizzata che nel passato hanno devastato questo territorio”. “Un recupero - così Nicola Salvi, project manager di Invitalia - che non può prescindere dall’esigenza di superare la troppa sufficienza che spesso si adopera nel giudicare in maniera negativa queste terre. Un percorso di crescita che si potrebbe paragonare al fiore di loto, un fiore celebre per la sua bellezza, per il candore dei propri petali, ma che affonda le radici nel fango. Un fiore che in questa circostanza rappresenta la possibilità per i 118 ergastolani presenti a Carinola di trasformare i loro errori e le loro condanne in un punto di partenza per la rinascita sociale e umana di questo territorio”. Rinascita testimoniata dall’esperienza di Andrea Bertola, mastro birraio della cooperativa torinese PausaCafè, che ha condiviso con la platea il racconto di come il lavoro coi detenuti ha portato alla realizzazione di un micro birrificio del carcere di Saluzzo e di un’ampia area di produzione di caffè e cacao nel carcere delle Vallette di Torino, e di come gli stessi detenuti hanno saputo cogliere in questo lavoro una vera e propria lezione di vita imparando ad anteporre alla logica della competizione, tipica della criminalità, quella della cooperazione, necessaria al benessere della comunità. Significative sotto questo aspetto le testimonianze oramai storiche di Peppe Pagano e di Giuliano Ciano della Nco (Nuova Cucina Organizzata) che grazie al contributo di ben 16 cooperative sociali quest’anno hanno arricchito notevolmente quel Pacco alla camorra che proprio in queste ore approda al parlamento europeo per testimoniare una volta in più la quotidiana lotta alla criminalità condotta nelle terre dei clan attraverso i mezzi dell’economia sociale. A completare il quadro della giornata, la premiazione dei vincitori del concorso letterario “A cuore aperto”, iniziativa condotta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica che ha raccolto numerose lettere di altrettanti detenuti tra le quali è risultata vincitrice quella scritta da Massimo Buccolieri, letta per l’occasione da Filiberto Imposimato, figlio di Franco, sindacalista di Maddaloni ucciso nel 1983 dalla camorra nell’ambito di azioni intimidatorie nei confronti del giudice Ferdinando Imposimato, fratello di Franco, titolare di importanti inchieste sull’omicidio Moro e sulla banda della Magliana, anch’egli presente alla mattinata per portare la propria testimonianza di impegno nel contrasto alla criminalità organizzata. Ad impreziosire la lunga mattinata di interventi condotta dalla giornalista de “Il Mattino” Tina Cioffo, da registare gli interventi di Vincenzo De Angelis, ex sindaco di Cesa e figlio di Gennaro, agente di polizia penitenziaria ucciso dalla camorra per essersi opposta al progetto di far entrare armi nelle carceri voluto da Raffaele Cutolo, e di Federico Cafiero De Raho capo della Dda di Napoli che ha salutato con soddisfazione il concorso letterario in quanto testimonianza concreto del pensiero di Paolo Borsellino quando diceva che “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Terni: Federazione della Sinistra; carcere sovraffollato, occorre intervenire subito www.terninrete.it, 27 novembre 2012 L’allarme giunge dal consigliere della Fds Mauro Nannini che parla di una possibile “bomba sociale”. Il consigliere comunale ternano della Fds, Mauro Nannini, chiede un immediato adeguamento del personale di vigilanza presso il carcere di Vocabolo Sabbione. “Con la costruzione del nuovo padiglione, capace di ospitare 250 detenuti - spiega - la situazione alla casa circondariale di Terni sta diventando insostenibile”. “Già da tempo le organizzazioni sindacali avevano denunciato il sovraffollamento delle carceri, con personale di vigilanza ridotto al minimo. Degli 80 agenti richiesti all’amministrazione penitenziaria, ne sono arrivati soltanto 20, che hanno migliorato solo parzialmente il servizio di vigilanza, ma la notizia di oggi è che stanno per arrivare 70 detenuti da sistemare nel nuovo padiglione”. “Per questo - conclude Nannini - chiederò oggi stesso al sindaco, con un atto, di farsi portavoce presso il ministero di grazie e giustizia, per cercare di trovare soluzioni adeguate a questo problema che potrebbe diventare una “bomba sociale”. Palermo: il Garante Salvo Fleres; nel carcere dell’Ucciardone detenuti feriscono due agenti Ansa, 27 novembre 2012 Due agenti in servizio all’interno del carcere Ucciardone di Palermo sono rimasti feriti mentre tentavano l’incontro fra due detenuti. Lo rende noto il garante dei detenuti Salvo Fleres. “L’elenco di quelli che vengono definiti eventi critici all’interno delle strutture penitenziarie della Sicilia è in continuo aumento - afferma. Questa volta è toccato a due agenti in servizio presso la Casa Circondariale di Palermo Ucciardone i quali, a seguito di un intervento necessario per evitare l’incontro tra due detenuti, hanno riportato diverse ferite. Purtroppo, la carenza di personale di Polizia Penitenziaria, insieme ad un sovraffollamento ormai divenuto insostenibile, sono le cause principali del moltiplicarsi di questi fenomeni - continua Fleres. In diverse circostanze ho evidenziato la necessità e l’urgenza di un intervento legislativo utile per affrontare e superare questo momento d’emergenza ma, sino ad oggi, nessuna iniziativa governativa concreta è stata sottoposta al vaglio del Parlamento”. Sulmona (Aq): Uil-Pa; automezzi della Polizia penitenziaria fuori uso, a rischio i processi www.rete5.tv, 27 novembre 2012 “Pochissimi risultano essere, allo stato attuale, i mezzi in dotazione della polizia penitenziaria ancora in funzione nelle tre realtà penitenziarie della provincia dell’Aquila. Giusto per fare un esempio delle quasi 20 unità in forza alla CR di Sulmona solo 2 sono quelli allo stato funzionanti una delle 2 addirittura è stata presa in “prestito” dalla casa circondariale dell’Aquila”. Mauro Nardella, vice segretario regionale della Uil penitenziari, torna a rilanciare le emergenze legate al penitenziario sulmonese e in questo caso quelle legate alla carenza di mezzi per il trasporto dei detenuti che mettono a rischio il corretto svolgimento dei processi. “Delle decine e decine di automezzi messi a disposizione degli uomini della polizia penitenziaria di stanza negli istituti di Sulmona, l’Aquila e Avezzano - spiega Nardella - solo pochissime unità sono utilizzabili per il trasporto di detenuti, mentre addirittura quasi del tutto fuori uso risultano essere quelli per l’effettuazione dei servizi amministrativi ordinari. Tra le altre cose molti di questi automezzi sono fermi perché non ci sono fondi per pagare finanche il cosiddetto certificato di affidabilità (la più familiare revisione). In sostanza mancano addirittura i 70 euro previsti per il pagamento della prestazione da parte della officina autorizzata. Per quanto riguarda il trasporto dei detenuti sola un’ unità blindata dovrebbe garantire il trasporto delle centinaia avente elevata capacità criminali (41 bis, AS1,AS3 e e/o collaboratori di giustizia che notoriamente occupano le celle degli istituti dell’Aquila e di Sulmona). Sembrerebbe addirittura che il trasporto di quest’ultimi, seppur con una scorta potenziata e che inevitabilmente va a contribuire a sottrarre ulteriori unità di polizia penitenziaria nelle già falcidiate strutture carcerarie, venga disposto con l’utilizzo di mezzi non blindati. Il tutto a rischio e pericolo di uomini che non ne possono più di un trattamento così remissivo da parte dell’amministrazione che li rappresenta seppur molto condizionata dalla mancanza assoluta di fondi per la sistemazione e la riparazione delle decine di mezzi fermi nell’autoparco e frutto della massacrante politica in fatto di spending review voluta dall’attuale nonché precedente governo. La Uil penitenziari dice no al prosieguo di questa politica pericolosa invitando le rispettive e responsabili Direzioni a farsi carico della situazione intanto non autorizzando la partenza delle scorte che non abbiano mezzi dotati delle prescritte caratteristiche in tema di sicurezza e salubrità, così come tra l’altro previsto dalla normativa vigente, e, contestualmente, evidenziando agli organi competenti in tema di bilancio dello Stato che non si può e non si deve risparmiare facendo perno sulla vita dei lavoratori. Una cosa comunque è certa: Considerati i pochissimi mezzi ancora funzionanti, qualora dovessero ulteriormente venir meno, allora l’effettuazione dei processi e non solo sarebbe veramente messa a rischio”. Livorno: il veterinario dell’isola-carcere di Gorgona e la Carta dei diritti degli animali di Chiara Beria di Argentine La Stampa, 27 novembre 2012 “Gli animali non sono cose, né sono macchine”, è il primo dei 36 articoli della “Carta dei diritti degli animali”, concepita in una splendida un’isola in mezzo al mare tra 40 bovini, 140 pecore e capre, 20 maiali, 150 animali da cortile, 5 cavalli, 2 asini, 15 famiglie di api allevati e curati da detenuti. “Non sono un esperto di problemi penitenziari né m’illudo che il ministro Paola Severino, con tutti i problemi che deve affrontare, possa ascoltarmi”, sorride Marco Verdone, autore di questa inedita Costituzione dei non umani. “Sono un semplice veterinario che da 23 anni lavora nella Casa di Reclusione di Gorgona, l’ultima isola-carcere in Italia. A Gorgona, officina di idee ed esperienze, avvicinando i detenuti alle leggi fondamentali della natura, ai ritmi degli animali e alle loro esigenze sono stato testimone di relazioni virtuose. Il carcere è un luogo che ha fame di queste armonie! Per chi vive in una situazione di profonda privazione anche sensoriale qualsiasi essere vivente è fonte di salvezza. A Gorgona gli animali sono compagni di vita dei detenuti: loro non giudicano, la loro diversità aiuta a riflettere, a mettersi in discussione. Sono i migliori terapeuti; io li chiamo “educatori non istituzionali”. Ma, come gli umani, sono esseri “senzienti” hanno diritto a una vita degna e a non soffrire”. Promiscuità, ozio, isolamento. Dal 2000 al giugno 2012 nelle nostre carceri 716 detenuti si sono suicidati; i dati sull’affollamento (oltre 66mila persone per 45.558 posti letto) sono una vera vergogna per un Paese civile. In questo terrificante scenario la storia di Marco Verdone, 50 anni, uno dei4veterinari che lavora in una colonia penale (gli altri sono in Sardegna) offre non pochi spunti di riflessione. Spiega Verdone: “Se lo scopo del carcere è aiutare le persone a riflettere sul loro passato offrendo anche prospettive future, insegnare ad avere rispetto per la vita degli animali, i più deboli, ha un grande valore etico”. La Carta dei diritti, è il capitolo centrale di “Ogni specie di libertà”, il libro scritto dal veterinario con le testimonianze anche di ex reclusi (Altraeconomia Editore) per narrare la sua avventura sulla isola, 18 miglia dalla costa, gioiello del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Tra olivi secolari e oltre 500 specie censite dal 1869 ha sede una colonia penale a indirizzo agro-zootecnico; oggi ospita 70-80 detenuti che hanno meritato un carcere senza sbarre; a tutti è garantito un lavoro; tutte le produzioni sono biologiche. Sbarcato sull’isola nel 1989 Verdone ha iniziato la sua rivoluzione - così l’ha definita Carlo Mazzerbo per 17 anni direttore della prigione - aprendo le gabbie. “Le galline ovaiole erano tenute in batteria, le mucche legate in una specie di stalla: uno strazio! Gli animali devono muoversi altrimenti si ammalano. A poco a poco, negli anni, siamo riusciti a farli vivere liberi, sulla terra e in gruppo”. Ostacoli? “Ho dovuto lottare molto ma non con i detenuti! Del resto, la filosofia del carcere si basa sul controllo dei corpi”. Altra tappa, nel 1993: quando Verdone ha deciso di curare con l’omeopatia. “Altre resistenze! Ma, alla fine, ho dimostrato che faccio risparmiare molti soldi all’amministrazione, negli alimenti non finiscono più residui chimici e, soprattutto, questo diverso approccio ha coinvolto alcuni medici dell’isola. Risultato: ora anche i detenuti hanno il diritto di scegliere medicine complementari, dalla fitoterapia all’agopuntura”. Infine, approdo naturale di questo percorso, la Carta dei diritti. Articolo 15: stop alle terribili sofferenze degli animali destinati al macello. Spera il mite Verdone di risparmiare una brutta fineaisuoi amati animali sensibilizzando la gente e anche con una campagna di adozioni. Peccato che ora, causa mancanza fondi, spira una brutta aria sull’isola dove tutti gli animali hanno un nome e molti detenuti la notte hanno un gatto in cella come amico. Persino Verdone, dopo anni di appassionato lavoro, non ha certezze per il suo futuro. Ma avverte: “A costo di fare il volontario io gli animali di Gorgona non li abbandono”. Gran Bretagna: voto ai detenuti? no grazie… siamo inglesi di Claudio Radaelli Notizie Radicali, 27 novembre 2012 Londra. In soli sette minuti e quindici secondi, il 22 novembre il Segretario di Stato alla Giustizia inglese, Chris Grayling (Conservatore) ha messo in scena a Westminster una perfetta celebrazione della democrazia reale, farsesca nella rappresentazione e tragica nelle conseguenze. I fatti: per il governo inglese, il 22 novembre era l’ultima data possibile per rispondere a una serie di decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo concernenti l’illegalità del divieto di voto generalizzato ai detenuti vigente nel diritto penale inglese. Una storia, quella della Cedu contro il governo di sua maestà, che va avanti dal 2004. In extremis, dunque, Grayling si è presentato in Parlamento. Con una soluzione? No, con un raggiro. Invece di prendere il toro per le corna, e affrontare il tema del diritto di voto, Grayling ha offerto al Parlamento un comitato bi-camerale per indagare diverse opzioni. In una parola, ha chiesto e ottenuto tempo. In Inghilterra come in altri Paesi, il governo può dare al Parlamento la possibilità di fare un esame preventivo di proposte governative che non hanno ancora assunto la forma di vere e proprie proposte di legge. Si tratta del cosiddetto pre-legislative scrutiny. Grayling ha quindi dato a Westminster la facoltà di utilizzare questa procedura attraverso un comitato bi-camerale (joint committee). Anche se il pre-legislative scrutiny ha intenti nobili, in questo caso non fa che dilatare vergognosamente i tempi. Sui contenuti Grayling ha parlato come un perfetto rappresentante della democrazia reale di cui da diverso tempo parla Marco Pannella. Dribblando il nodo centrale dell’illegalità internazionale del divieto vigente, Grayling ha suggerito al comitato di considerare diverse opzioni. La prima sarebbe quella di dare il diritto di voto a chi sta in prigione con una sentenza inferiore ai quattro anni. Il secondo approccio sposterebbe il limite a sei mesi - dunque molto vicino a un divieto totale. La terza via secondo Grayling potrebbe essere di ribadire la posizione esistente, cioè che chiunque stia scontando una punizione in carcere non abbia diritto di voto. Che questa terza ‘soluzionè fosse proprio quella considerata illegale dalla Corte Europea, una ‘soluzionè totalmente inconcepibile, Grayling non lo ha detto. E infatti apposta non l’ha detto, per sottolineare, in un attacco sgangherato alla Cedu, che le scelte di policy su questa materia le fanno i Parlamenti, non le Corti, vigendo l’assioma democratico della sovranità delle assemblee elettive. In un crescendo da teatro dell’assurdo, il prode Segretario ha rincarato la dose, invitando i parlamentari a riflettere anche su una (quarta?) soluzione Italian style. In Italia infatti il diritto di voto si perde per sempre, in casi d’interdizione dai pubblici uffici motivata dalla serietà del reato oppure in ogni caso per condanne definitive di almeno quattro anni di carcere. In questo modo il governo di coalizione ha cinicamente giocato col fuoco con mosse diverse ma convergenti nei risultati. In primo luogo, invece di rispondere alla Corte Europea, ha aspettato l’ultimo giorno possibile per guadagnare tempo. E ha guadagnato più tempo possibile, con la non-decisione di affidarsi a un comitato bi-camerale che molto probabilmente metterà la questione in frigorifero fino alle prossime elezioni politiche nazionali. Un tempo quindi lunghissimo, e un affronto alla Corte Europea che si aspettava una decisione entro questa settimana. In secondo luogo, Grayling, in questo seguito da un’aula tutta dalla sua parte, come mostra il video della Bbc, ha brandito il totem della sovranità del Parlamento dicendo che su decisioni di policy non possono essere le Corti a dare le istruzioni per l’uso. Un totem, questo della sovranità delle patrie, sempre buono per ogni occasione. Peccato che la sovranità parlamentare totale e incondizionata come la immaginano a Westminster, nel mondo contemporaneo, sia incompatibile con fatti incontrovertibili che si chiamano organizzazioni internazionali, governance multi-livello e interdipendenza economica. Non ci pare che Westminster possa decidere in materia di sanità o di politica economica senza tener conto della giurisprudenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio o dei mercati finanziari. Propagare il mito che il Parlamento e il governo siano unici sovrani quando sono i fatti a smentire l’assunto non sposta i termini del problema ma getta altra benzina, retorica, sul fuoco delle passioni elettorali. Ricordiamo che lo scorso anno questa benzina ha fatto votare a 234 deputati (contro 22) per il mantenimento del divieto di voto ai detenuti inglesi. In terzo luogo, gli eventi di questa settimana hanno preso corpo in una cornice caratterizzata dagli echi del Primo Ministro Cameron, per il quale il solo pensare ai detenuti che votano lo fa star male fisicamente, poverino (it makes my phisically sick). Sul fronte del giornalismo liberal le cose non vanno del resto benissimo, se anche giornalisti e commentatori del Guardian - pur favorevoli al voto dei detenuti - parlano di “un gruppo di giudici aiutati da un esercito di lobbisti dei diritti umani a Strasburgo” - tale e quale si esprime Simon Jenkins sul Guardian del 23 novembre. E via discorrendo, ricordando pareri di giuristi, ovviamente insigni, che lamentano uno scivolamento dai diritti politici ai diritti umani, o addirittura una “banalizzazione” dei diritti umani - chissà poi per quali ragioni, lo chiediamo ai detenuti? Infine, tornando ai sette minuti e quindici secondi in Parlamento, la stoccata finale, con quel rimando alla soluzione italiana. Qui Grayling ha manipolato l’intreccio fra due casi celebri, il caso Hirst inglese e quello italiano di Franco Scoppola (anzi, quelli su Scoppola, dato che sono oramai tre i giudizi). La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti ragionato a maggio che la posizione italiana del divieto di voto ai carcerati non possa essere considerata assoluta e illimitata, dato che il divieto si applica oltre una certa soglia di pena o di tipo di reato e cade quando esistono condizioni di riabilitazione del detenuto. Quindi secondo la Cedu in Italia il divieto di voto, almeno in linea di principio, resta calibrato sul caso singolo. In questo suo pronunciamento la Cedu pare essersi preoccupata soprattutto di ribadire il senso di decisioni prese in precedenza, anche a costo di arrampicarsi sugli specchi della logica. Ma ha comunque detto che un divieto generalizzato, indipendentemente dalla serietà del reato e dall’entità della pena, risulta contrario ai diritti umani. Non a caso il governo inglese ha messo lo zampino anche nel caso Scoppola di maggio, intervenendo come parte terza nel tentativo di aprire spazi che la sentenza Hirst sembrava aver chiuso - in pratica accusando la Corte di aver serrato il proprio metro di giudizio espandendo il “test dei diritti umani” da una sentenza all’altra. Resta il fatto che oggi, annoverando la “soluzione italiana” fra quelle possibili per uscire dal vicolo cieco, Grayling pensa addirittura a un passo indietro: da un diritto di voto che almeno esiste quando si esce dal carcere a un diritto di voto negato per sempre, all’italiana. In conclusione, nel dibattito a Westminster, governo e deputati hanno parlato di tutto pur di guadagnare tempo elettoralmente prezioso. Hanno alzato voci commosse per ricordare la sovranità del Parlamento, dimenticandosi di dire che anche i Parlamenti, anche i Governi, sono soggetti alla legalità internazionale. Evidente che spiaccia a qualunque governante o parlamentare, ma non si tratta di un principio opinabile. E che dire dei possibili approcci, all’italiana o meno, pur di non dare il diritto di voto ai detenuti? Democrazia reale: Roma chiama, Londra risponde! Russia: rivolta detenuti porta alla luce abusi nelle carceri, 200 protestano contro violenze Tm News, 27 novembre 2012 È ancora tutt’altro che chiara e tranquilla la situazione di una prigione degli Urali dove nel fine settimana più di 200 detenuti si sono ammutinati per protestare contro le torture e le estorsioni da parte delle guardie carcerarie, portando sotto i riflettori dei media gli abusi abituali nel sistema penitenziario russo. Circa 250 prigionieri, sui circa 1.500 ospitati nella prigione numero 6 di Kopeisk, nella regione di Cheliabinsk, si sono ribellati contro violenze ed estorsioni e per esigere la liberazione dei compagni messi in isolamento. Decine di detenuti sono saliti sul tetto della prigione e hanno issato uno striscione con la scritta “Aiuto!”. Varie centinaia di persone, apparentemente parenti dei carcerati, si sono riunite davanti al penitenziario a sostegno della protesta. Le forze antisommossa sono intervenute nelle notte tra sabato e domenica per disperderle, usando violenza, secondo gli attivisti per i diritti umani e i dimostranti intervistati dalla tv, a volte con il viso tumefatto. Secondo il ministero degli Interni invece otto poliziotti sono stati feriti negli scontri, al termine dei quali una quarantina di persone è stata fermata. C’è ancora tensione attorno alla prigione oggi, anche se il Servizio federale per l’esecuzione delle pene afferma che la situazione è “stabile” e “sotto controllo” dopo l’intervento degli Omon. Oksana Trufanova, attivista per i diritti umani che si trova sul posto, ha detto all’Afp che ci sono molti poliziotti attorno all’edificio e che i parenti dei prigionieri non se ne sono ancora andati. Il delegato locale per i diritti umani, Alexei Sevastianov, ha detto ieri che più di 200 detenuti proseguono la loro protesta con uno “sciopero del sonno e della fame”. La protesta ha rilanciato il tema degli abusi sul sistema carcerario russo, che conta in totale 640.000 detenuti su una popolazione di 143 milioni di abitanti. Secondo Valeria Prikhodkina, membro della locale commissione di sorveglianza sulle prigioni, i problemi le carcere di Kopeisk erano noti da tempo. “Ci sono stati dei pestaggi e una persona è morta nel carcere” ha raccontato all’Afp. “Abbiamo montagne di prove da parte di detenuti e parenti di torture, umiliazioni ed estorsioni di denaro” ha aggiunto, affermando che la procura evita di occuparsi di queste vicende. Il delegato federale per i diritti umani Vladimir Lukin ha detto a Interfax di non essere sorpreso da questi avvenimenti e di disporre di “testimonianze secondo le quali la corruzione prospera e i parenti sono vittime di estorsione”. Per il militante Valeri Borshchev, che abitualmente compie visite nelle prigioni, ci sono abusi anche in altri penitenziari, ad esempio nella regione di Rostov e in quella di Sverdlovsk. A luglio, un centinaio di detenuti era entrato in sciopero della fame e cinque si erano tagliati le vene in una prigione del Bashkortostan, dopo il decesso in circostanze poco chiare di un compagno. A inizio novembre il Consiglio d’Europa nel suo rapporto annuale ha sottolineato che la Russia è sempre l’ultimo stato membro a opporsi sistematicamente alla pubblicazione di rapporti sulle torture nelle sue prigioni. Secondo l’Ong Amnesty International, nonostante qualche progresso, torture e maltrattamenti sono all’ordine del giorno nelle carceri russe. “I problemi di Kopeisk e di altre prigioni mostrano che il Gulag (il sistema di campi di detenzione di epoca staliniana) esiste ancora in Russia” scrive stamani il quotidiano Vedomosti. Palestina: riconciliazione politica, l’Anp rilascerà detenuti di Hamas di Luca Pistone www.atlasweb.it, 27 novembre 2012 L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) rilascerà i prigionieri di Hamas nelle carceri in Cisgiordania come “gesto di buona volontà” per favorire la riconciliazione politica tra il movimento islamista e il nazionalista al-Fatah. Nei prossimi giorni torneranno in libertà decine di affiliati di Hamas detenuti per motivi politici, informa l’agenzia di stampa palestinese Màan, che cita il dirigente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e aiutante presidenziale Nabil Shaath. Inoltre, l’Anp, assicura Shaath, inviterà i leader di Hamas a vertici politici a Ramallah, inclusi gli incontri del comitato esecutivo Olp, di cui non è membro: “Fanno parte del popolo palestinese e saranno consultati su questioni politiche”. In risposta, Hamas ha dichiarato di essere disposto a rilasciare i detenuti affiliati di al-Fatah in Gaza. Nigeria: ad Abuja assalto armato a caserma della polizia, evadono 30 detenuti, 25 ripresi Tm News, 27 novembre 2012 Trenta detenuti hanno approfittato di un assalto armato contro un reparto della polizia speciale di Abuja per evadere, ma gli agenti ne hanno immediatamente riacciuffati venticinque. Lo hanno annunciato le forze dell’ordine. “Nella confusione che è seguita all’attacco (da parte di uomini armati), una trentina di sospetti che si trovavano nei locali di detenzioni sono fuggiti dalla loro celle e hanno cercato di scappare”, ha spiegato la polizia in un comunicato. Gli agenti, ha indicato la nota, “hanno ripreso venticinque sospetti”, mentre altri cinque “restano ricercati”. Iran: Governo; Nasrin Sotoudeh in “buona salute”, sta scontando undici anni di reclusione Tm News, 27 novembre 2012 Nasrin Sotoudeh, avvocato iraniano difensore dei diritti umani detenuto nel suo Paese, è “in buone condizioni di salute”. Lo ha affermato il presidente del Consiglio superiore dei diritti umani della repubblica islamica. “Sulla base delle informazioni che abbiamo ricevuto, ha incontrato la sua famiglia ed è in buona salute”, ha dichiarato Mohammad Javad Larijani durante una conferenza stampa, rispondendo a una domanda sullo sciopero della fame attuato dalla donna. Il relatore dell’Onu sulla situazioni dei diritti umani in Iran, Ahmad Shaheed, si era detto il 1 novembre “particolarmente preoccupato” per le condizioni di salute di Sotoudeh, detenuto in un carcere di Evine a nord di Teheran. L’avvocato sconta una pena di undici anni di reclusione per la sua difesa dei prigionieri politici e la sua azione a favore dei diritti umani a fianco del premio Nobel per la pace, Shirin Ebadi. Nazioni Unite, Unione europea e principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani hanno chiesto la sua liberazione. Bolivia: denutrizione e carenze igienico-sanitarie per i bambini in carcere coi genitori Radio Vaticana, 27 novembre 2012 La Bolivia è uno dei pochi paesi dove i detenuti possono vivere nelle celle con i rispettivi figli. Si tratta di una situazione irregolare che, oltre ad essere pericolosa per l’integrità dei bambini, li sottopone a carenze sanitarie, educative e alimentari che penalizzano il loro normale sviluppo. Infatti - riferisce l’agenzia Fides - oltre a dover convivere con i delinquenti, in un ambiente pregno di violenza, dove molte volte vige la legge del più forte, la maggior parte dei figli dei detenuti riesce a mangiare appena una volta al giorno. Non esiste un fondo destinato a coprire le loro necessità alimentari, e se i genitori non producono un reddito, devono accontentarsi degli avanzi. Inoltre i piccoli devono aspettare almeno due settimane per potersi lavare, manca assistenza medica qualificata, e molti di loro dormono sotto i lettini dei genitori o in angoli attrezzati alla meglio per lo scopo. Non esistono spazi per la ricreazione o materiale scolastico per farli studiare. Centinaia di bambini sono così condannati a vivere tra la violenza, proiettati verso un futuro di sofferenza aggravato anche dalla denutrizione che, nei piccoli con meno di 5 anni, causa danni irreversibili, ritardo nella crescita fisica e mentale.