Coltivare la terra e sentirsi un po’ liberi, una serra per il lavoro dei detenuti Il Mattino di Padova, 26 novembre 2012 In anni di crisi economica così pesante, le difficoltà che incontra normalmente una persona detenuta per trovare un lavoro, che gli dia la possibilità di scontare la parte finale della pena in una misura alternativa come la semilibertà, sono quasi insormontabili. Eppure, che le persone detenute non stiano a “marcire in galera fino all’ultimo giorno”, ma possano costruirsi una piccola prospettiva di reinserimento è l’unica garanzia, per tutta la società, che quelle persone non escano dal carcere più pericolose di quando vi sono entrate. Il Comune di Padova è fra quelli che meglio hanno capito che investire sul reinserimento è un modo per creare sicurezza per tutta la cittadinanza. Da questa consapevolezza è nata una nuova iniziativa, una serra che darà lavoro a un po’ di detenuti ed ex detenuti, che hanno già dimostrato di apprezzare questa nuova opportunità, perché chi è in carcere ha fame di un lavoro, che sia anche una prima tappa verso la libertà. Il Settore Servizi Sociali di Padova opera con numerose iniziative nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio e per la promozione di stili di vita positivi. All’interno di questo obiettivo generale sono stati realizzati, nel corso degli anni, numerosi interventi rivolti alle persone detenute presso le case di Reclusione presenti in Padova per evitare di isolarli dal contesto cittadino e per concorrere alla iniziativa di rieducazione e di integrazione delle persone recluse. Il dirigente del Comune “Frutta e verdura per gli anziani” Alcuni interventi prevedono il coinvolgimento di centinaia di studenti delle scuole superiori cittadine che partecipano al progetto di legalità “Le scuole entrano in carcere; il carcere entra a scuola” che prevede l’ingresso in carcere dei giovani con i loro insegnanti per discutere dei temi legati al rispetto delle regole, al corretto vivere civile eccetera. In tali incontri gli studenti si confrontano con giudici e operatori sull’istituzione Carcere e con i detenuti che sono disponibili a raccontare le loro esperienze di vita, quale monito per evitare comportamenti negativi. Si pone in questa ottica il recente avvio di una ulteriore iniziativa che ha visto l’attivazione di una azienda agricola in via Righi dove il Comune possiede un terreno agricolo di circa 10.000 mq. Questo terreno viene condotto da alcuni detenuti e ex detenuti che sono seguiti e formati da un insegnante di agraria che insegna loro a coltivare il campo. Le persone lavorano per circa 20 ore settimanali dietro compenso forfettario mensile; l’esperienza consente loro di acquisire strumenti per avviarsi all’autonomia e per beneficiare di una piccola somma al mese. Ciascun incarico dura 6-8 mesi decorsi i quali le persone vengono sostituite con altre nella medesima condizione per consentire al maggior numero di unità l’acquisizione di un’autonomia nel senso in premessa. Il progetto viene realizzato con la collaborazione della Coop. Mercede che ha sede in via Righi e che ha come mission l’assistenza ai detenuti. In una zona del campo inoltre è in fase di realizzazione una serra di circa 300 metri quadri che viene costruita con la guida dei tecnici del Settore verde del Comune e grazie a un importante contributo erogato dalla Fondazione Cassa di Risparmio, che sul mondo del carcere dimostra da sempre una grande sensibilità. Nella serra saranno coltivati fiori e primizie da destinare alla vendita. Di solito la fase legata alla vendita dei prodotti realizzati con queste esperienze di inserimento lavorativo di persone svantaggiate rappresenta un anello debole nel bilancio dell’iniziativa perché richiede l’attivazione di una impegnativa rete di distribuzione, che spesso manca. La soluzione a questo problema individuata dal servizio sociale mette al riparo il progetto dalle difficoltà legate alla vendita dei prodotti; il progetto ha previsto infatti l’inserimento nel capitolato di appalto che regolerà i rapporti con la ditta fornitrice dei pasti a domicilio per gli anziani bisognosi del Comune di una norma che prevede che sia la ditta stessa ad acquistare alla fonte (cioè nella serra/campo di cui sopra) i prodotti agricoli per utilizzarli nella preparazione dei pasti da consegnare agli anziani. Si stima quindi che il controvalore dei prodotti del campo consentirà di avere per svariati mesi all’anno pasti al domicilio degli anziani del Comune. Nelle more del perfezionamento degli atti con la ditta vincitrice della gara si provvede a vendere gli ortaggi alle Case di riposo di Padova. L’ultima fornitura è stata di oltre 400 Kg di verdure di stagione. Si tratta quindi di una iniziativa molto importante che mira all’autonomia delle persone detenute ed ex detenute e che arreca, come valore aggiunto, un contributo in termini di sicurezza cittadina in quanto è ormai acquisito il fatto che la recidiva diminuisce significativamente qualora i detenuti abbiano delle opportunità di lavoro in modo che il loro reinserimento nella vita risulti facilitato. Lorenzo Panizzolo Dirigente Servizi Sociali Comune di Padova Un carcerato. “Dovremmo prendere esempio dai giovani” Quando si parla di lavoro per i detenuti, i lavori proposti sono per lo più quelli che “nessuno vuole fare”, o almeno così era prima della crisi, e forse non sono facili da accettare da parte di persone che fuori spesso hanno vissuto una vita con tanto danaro, ottenuto con atti illegali: delinquere per pagarsi il loro tenore di vita. Io sono in carcere da parecchio, ma quando ero ancora libero devo dire che invece non ho avuto una vita facile, ho cominciato la mia avventura nel mondo del lavoro all’età di 14 anni, quando ancora frequentavo la scuola e nelle ferie estive, per potermi comperare una bicicletta, ho dovuto trovarmi un lavoro. Già allora accettavo lavori molto umili perché non avevo una specializzazione per poter fare dell’altro. Con gli anni un po’ le cose sono cambiate e ho potuto scegliere un lavoro più redditizio, ma non per questo meno faticoso, come quello di autista di camion. Poi sono scivolato nella droga e ora sono in carcere e se mi viene proposta una occasione per rimettere a posto la mia già travagliata vita, come posso non accettare e non esserne ben felice? Proprio qualche giorno fa parlando con dei ragazzi delle scuole, che erano qui in carcere per un tirocinio di studio, si capiva quanta fatica fanno questi giovani per potersi pagare gli studi. Tanto che alla domanda di alcuni detenuti, se loro avrebbero accettato anche un lavoro umile e per pochi soldi, la loro risposta è stata molto chiara e ha fotografato la realtà della crisi esterna: “Magari ci fossero quei lavori! Noi li faremmo subito”. Devo dire che forse dovremmo imparare qualcosa da loro, che con grande umiltà accettano l’idea di dover fare quei mestieri che nessuno vuole fare, anche i più pesanti come andare a pulire i tombini e le fogne, o i fossi lungo le strade, per non pesare sulla famiglia e potersi pagare l’università. Noi carcerati che abbiamo sbagliato e che stiamo pagando per quello che abbiamo fatto, quando verrà il momento di rientrare nella società dovremo confrontarci con la gente fuori e forse non saremo accettati, e avremo sempre addosso l’etichetta di “ex detenuti”. Proprio per questo dovremo faticare molto di più, per far capire che siamo delle persone diverse. Penso che dovremo accettare qualsiasi proposta ci venga fatta, se vorremo tornare da persone ravvedute. Quello del lavoro è un problema anche dentro le mura del carcere, specialmente per me che non avendo aiuti dall’esterno faccio non poca fatica anche sulle piccole spese di tutti i giorni, figurarsi quelle più importanti come per esempio le spese del dentista. Come me cene sono molti altri, in Italia siamo 67.000 e oltre l’80% non fa niente. Una forza lavoro che potrebbe avere una alta produttività se sapessero governarla. Con quei lavori i detenuti potrebbero essere più responsabili e più orgogliosi di partecipare alla vita economica del proprio Paese. Alain C. Giustizia: il ministro continua a dare i numeri, ora i nuovi posti in cella sono “quasi 5mila” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 26 novembre 2012 Il ministro Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino continua a dare i numeri. Riferisce l’Ansa da Ravenna: “Sul fronte carcerario abbiamo ampliato la capienza di quasi 5.000 nuovi posti”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Severino, insignita del premio Guidarello ad honorem. “Quanto all’ipotesi di una amnistia”, ha aggiunto nel suo intervento al Teatro Alighieri di Ravenna, “è un tema spiccatamente parlamentare, occorre una maggioranza dei due terzi del Parlamento e se si vede che non c’è, si cerca di fare qualcosa di altro. Martedì - ha concluso Severino - chiederò al Parlamento di portare avanti progetti su misure alternative”. Per chi fosse curioso, il premio Guidarello è un riconoscimento istituito nel 1971 su iniziativa di un poeta locale, Walter Della Monica, inizialmente pensato per dare risonanza al giornalismo di qualità nell’ambito della regione Emilia Romagna. La Confindustria ravennate ha acquisito la titolarità del premio, la giuria è composta dal presidente Bruno Vespa, affiancato da una Ferruccio De Bortoli, Stefano Folli, Giancarlo Mazzuca, Cristina Mazzavillani Muti, Giuliano Molossi, Piero Ostellino, Antonio Patuelli, Pierluigi Visci. E va bene che se uno scorre la lista dei premiati trova tutti e di più: anche Pippo Baudo, Mike Buongiorno e Paolo Bonolis, che col giornalismo e l’Emilia Romagna non si capisce cosa c’entrino, per non dire di Luca Cordero di Montezemolo, Fiorello, Raul Gardini, Alice ed Ellen Kessler, Simona Ventura; ma a questo punto anche Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino ci sta bene, sia pure ad honorem. Dove sta molto meno bene, è questa sua pervicace reiterazione nel sostenere, senza che nessuno gliene chieda ragione, che sotto il suo mandato ministeriale, sono stati creati nuovi posti in carcere. Quasi 5.000, dice. Nel corso della sua recente visita al carcere veneziano della Giudecca, aveva dichiarato che ne erano stati creati 4.000. Lo avevano colto i curatori del nono rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia: “Secondo i dati ufficiali, al 31 ottobre 2012, la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari era di 46.795 posti. La notizia però incredibile è che due mesi prima la capienza degli istituti era di 45.568 posti. A noi non risultano aperture di nuove carceri, né di nuovi padiglioni in vecchi istituti di pena. A che gioco giochiamo?”. Non è un gioco, purtroppo. Ad ogni modo: da agosto a ottobre 2012, senza costruire carceri o nuovi padiglioni, compaiono dal nulla circa 1.200 nuovi posti. La visita al carcere della Giudecca è del 12 novembre. Se ne ricava che più o meno in un mese, si sono creati altri 2.800 posti. Ma Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino è instancabile. Novembre non è ancora finito, ed ecco che a Ravenna l’annuncio: ci sono altri mille posti in carcere in più, siamo arrivati a quasi cinquemila! Siamo partiti da 46.795 posti regolamentari. Sommiamo i 5.000 di Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino, a quasi 52mila. Con questo ritmo, verso la fine del gennaio 2013 non c’è alcuna necessità di sfoltire le carceri, avremmo sicuramente raggiunto i 68mila posti necessari. A primavera, avremo addirittura più posti che detenuti. E tutto questo senza costruire carceri nuove o padiglioni. Si noti, tuttavia, la finezza: “Abbiamo ampliato la capienza…”, sostiene Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino. Ampliato vuol dire tante cose: dove stanno in due, stiano in tre. Dove stanno in tre, stiano in quattro. Quella stanza adibita a socialità diventi una cella; e via ampliando. Dove Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino si guarda bene dal dire alcunché, è la situazione dei palazzi di Giustizia, degli uffici giudiziari: lo stato comatoso della giustizia italiana nel suo complesso, le ricorrenti condanne dalle corti di giustizia europee per l’irragionevole durata dei processi. Su quel fronte - che il fronte, le carceri sono solo l’epifenomeno della situazione - cosa si “amplia”, ministro Magicabula-bibidi-bobidi-bù-Severino? Ma poi: dal momento che il presidente del Consiglio effettivo, il presidente Giorgio Napolitano, ha detto che non ci sono le condizioni politiche per l’amnistia, come stupirsi se un suo ministro, pappagallescamente ripete la litania? Giustizia: perché non basta la nobile battaglia contro il carcere a vita di Luca Goldoni Quotidiano Nazionale, 26 novembre 2012 Troppe scappatoie per ridurre le pene, troppi criminali liberi di fare nuovamente del male. “Ergastolo mai più, la condanna a vita equivale a una condanna a morte, la ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato che la persona incarcerata non è la stessa vent’anni dopo perché il cervello si rinnova e dunque la condanna per sempre esclude ogni possibilità di ravvedimento e scivola nella pura vendetta”. Un gruppo di intellettuali si batte per eliminare l’ergastolo dal nostro sistema giudiziario e figuriamoci se non ne condivido l’impegno visto che il primo firmatario del manifesto è Umberto Veronesi, lo scienziato della cui amicizia mi onoro. E tuttavia mi insorge qualche incertezza, legata all’indagine che poco tempo fa dedicai su queste pagine al pianeta giustizia, all’inferno delle carceri, alle lacune legislative, ai nonsensi, alle contraddizioni. Per destreggiarsi in questo dedalo propongo un manuale (chiaramente paradossale, ma ispirato a casi concreti). Se in moto, brillo e a luci spente, ammazzate un bambino senza prestar soccorso, dileguatevi e resistete agli appelli a costituirvi della madre straziata. Solo dopo esser stato scoperto, dichiaratevi pentiti e invocate il perdono dell’umanità: presto sarete semi libero e vi offriranno “un percorso di sostegno psicologico”. Al sostegno della madre ci pensino i congiunti. Se avete il problema della casa, massacrate i genitori che la occupano. Sarete dichiarati pazzi “al momento della strage”, ve la caverete con qualche anno fra cure psichiatriche e comunità di recupero e poi, totalmente liberi, potrete rivendicare l’eredità dell’abitazione (per maggiori informazioni rivolgersi a Ferdinando Carretta). Se vi hanno appioppato anni di carcere, cominciate subito ad allevar canarini e a fare Re magi con la mollica di pane. Presto arriveranno i permessi per buona condotta e la semilibertà. (E una misura umanitaria, per l’amor di Dio, adottata in altri Paesi. Ma là c’è una struttura di sorveglianza per i detenuti in permesso, spesso gli applicano un radio-controllo al polso o alla caviglia. Da noi è ritenuto lesivo della dignità del reo). La verità è che, anche dopo le sentenze più severe, interviene una specie di indulgenza plenaria che ne addolcisce l’applicazione. Così anche i giudici di sorveglianza sono diventati dei babbi natale. Nel loro albo d’oro sono iscritti fra gli altri i seguenti nomi: Lorenzo Bozano (ergastolo per aver violentato e ammazzato la tredicenne Milena Sutter): dopo 14 anni è già in semilibertà e ne approfitta per violentare un’altra quindicenne. Maurizio Minghella (ergastolo per aver ucciso quattro donne): dopo 16 anni è in semilibertà e ne ammazza altre quattro. Angelo Izzo, uno dei “massacratori del Circeo” (ergastolo per aver ucciso Rosaria Lopez e seviziato la sua compagna): ottiene la semilibertà e ammazza altre due donne. Antonio Mantovani il “mostro di Milano” (ergastolo per aver ucciso la moglie di un amico): ottiene la semilibertà e uccide altre due donne. Potrei continuare con gli aggressori e stupratori delle cronache quasi quotidiane: patteggiano, incassano indulto, attenuanti varie, e dopo un assaggio ai domiciliari, tornano in pista, fra il terrore delle vittime appena colpite. Il paradosso è che l’Italia, detentrice di uno dei più alti tassi di criminalità (minorile o stagionata, stanziale o d’importazione, organizzata o in balìa di dilettanti allo sbaraglio) reagisce con la giustizia più pigra e tollerante. Ecco qualche perché: fra i legislatori, molti sono cattolici, convinti che, oltre ai tre gradi di giudizio, c’è l’ultimo che conta, il Giudizio universale. Sul fronte opposto, gli esponenti delle varie sinistre sostengono che la colpa è sempre della società. Si aggiunga che oltre il 10 per cento dei parlamentari sono pregiudicati o inquisiti e vale sempre la vulgata dei capponi che non si tuffano in pentola. Ma soprattutto un’anomalia supera la decenza: nel nostro parlamento c’è un alta percentuale di avvocati che, unici nell’Occidente, fanno le leggi di cui si serviranno nella professione. Un intollerabile conflitto d’interesse. Questo è il quadro stra-noto della giustizia in Italia. E allora come la mettiamo con la battaglia contro l’ergastolo “condanna a vita, non meno spietata della pena di morte”? Certo che va condivisa e sostenuta. Ho voluto soltanto ricordare come sia più semplice appassionarsi a una battaglia di civiltà che seguire nella quotidianità incagli e controsensi di un sistema in affanno. Individuarne i guasti e tentare di ripararli è certo meno gratificante che sottoscrivere un nobile manifesto. Giustizia: chiusura Opg; Ministero Salute ha definito riparto fondi per le nuove strutture Ristretti Orizzonti, 26 novembre 2012 Il Ministro della Salute, prof. Renato Balduzzi, ha inviato alla Conferenza Stato-Regioni lo schema di decreto contenente il riparto tra le Regioni dei fondi per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari previsto dall’articolo 3-ter comma 6 del decreto-legge 211/2011. Si tratta di 174 milioni (117 per il 2012 e 57 per il 2013) finalizzati alla realizzazione e riconversione delle strutture, mentre lo stanziamento per il loro funzionamento e per l’adeguamento del personale ammonta a 38 milioni per il 2012 che saliranno a 55 milioni annui a partire dal 2013. Il riparto dei fondi è un passo decisivo nel percorso che porterà finalmente alla chiusura degli Opg e alla nascita delle nuove strutture residenziali che li sostituiranno. I requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi di queste strutture, a garanzia della loro sicurezza per pazienti, personale e territorio che le ospiterà, sono stati definiti da un decreto del Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Giustizia firmato il 1 ottobre scorso e pubblicato lunedì in Gazzetta ufficiale. È da sottolineare il criterio con cui è stato disposto il riparto dei fondi: metà delle risorse verranno divise tra le Regioni in base alla popolazione residente, mentre l’altra metà sarà ripartita in base al numero dei soggetti attualmente internati negli Opg suddivisi per Regione di residenza e non a seconda della Regione attuale di ricovero. L’obiettivo, infatti, è quello di favorire l’avvicinamento di queste persone al proprio luogo di origine: un principio di civiltà decisivo per favorire il recupero e il reinserimento sociale dei pazienti. Giustizia: Sallusti non entra in carcere (per il momento) grazie alla legge “svuota-carceri” Tm News, 26 novembre 2012 Sulla richiesta della procura di espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare per il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, deciderà il giudice di sorveglianza entro 5 giorni, ma i termine non è perentorio, solo ordinatorio. La procura della repubblica ha emesso un decreto di esecuzione della pena in carcere e un altro provvedimento di esecuzione della pena presso il domicilio. Le modalità degli arresti domiciliari, se rigidi o meno saranno decisi esclusivamente del giudice di sorveglianza. La procura di Milano ha applicato la legge svuota carceri e di conseguenza ha emesso sia un provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena in prigione sia uno di esecuzione della stessa presso il domicilio del condannato. In attesa della decisione del giudice di sorveglianza Sallusti resta in libertà. Il procuratore di Milano Bruti Liberati nel secondo decreto ricorda che ricorrono i tre presupposti previsti dalla norma svuota carceri: la condanna di 14 mesi è inferiore a 18 mesi, il condannato non è pericoloso socialmente, c’è un domicilio idoneo. Il procuratore inoltre aggiunge che non c’è pericolo di fuga “e quanto alla prognosi sulla commissione di altri delitti, proprio per le caratteristiche del reato di diffamazione a mezzo stampa non si ravvisa alcuna differenza quanto ad efficacia deterrente tra detenzione in carcere e presso il domicilio”. Sallusti: io fuori dal carcere, ma tanti dentro in attesa giustizia “Io evito il carcere, ma non posso non pensare ai tanti che sono dentro in attesa di un giudizio, e non vorrei essere passato davanti a qualcuno”. Lo ha detto il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che stamattina ha ricevuto il decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione da due agenti della Digos. Sallusti, 55 anni, è stato condannato in via definitiva a un anno e 2 mesi di reclusione il 17 giugno 2011 dalla Corte d’appello di Milano per diffamazione a mezzo stampa, per un articolo pubblicato nel febbraio 2007 su Libero, di cui all’epoca era direttore. Il 26 settembre 2012 la Corte suprema di Cassazione ha confermato in via definitiva la sentenza. Il sito online del quotidiano apre con il titolo “Non c’è carcere ma resta violenza” e pubblica poi una serie di foto del direttore questa mattina a casa sua mentre fa colazione. Il Procuratore: non si può imporre rieducazione a condannato Nel provvedimento col quale dispone la sospensione dell’ordine di esecuzione di carcerazione per Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi, il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati osserva che “è del tutto coerente con i principi di un ordinamento liberaldemocratico non imporre al condannato un percorso di rieducazione che egli abbia espressamente rifiutato, tanto quanto adottare misure contingenti e provvisorie volte a intervenire sul sovraffollamento del circuito carcerario, nella finalità ultima di garantire il rispetto della dignità delle persone che debbono rimanere soggette all’applicazione della pena detentiva in carcere”. “La ratio della legge svuota-carceri, prosegue Bruti - comporta che il pm verifichi, di iniziativa, se ricorrono le condizioni per l’accesso alla modalità di esecuzione della pena, presso il domicilio e, in caso positivo, sospenda l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmetta gli atti al magistrato di sorveglianza”. Queste condizioni, chiarisce poi Bruti Liberati in un altro passaggio del provvedimento, ci sono perché la pena da eseguire è inferiore ai 18 mesi di carcere, non c’è evidenza di pericolo di fuga e “quanto alla prognosi sulla commissione di altri delitti, l’esame dei precedenti e delle pendenze potrebbe condurre a una prognosi non positiva esclusivamente con riguardo al delitto di diffamazione a mezzo stampa, ma proprio per le caratteristiche di tale reato, non si ravvisa alcune differenza, quanto ad efficacia deterrente tra detenzione in carcere e presso il domicilio”. Inoltre, conclude Bruti Liberati, “il domicilio dichiarato dal condannato risulta idoneo ed effettivo, considerata anche la circostanza che il condannato è oggetto di misure di protezione”. Vicenza: il carcere dell’orrore “botte e minacce ai detenuti” di Valentina Ascione www.glialtrionline.it, 26 novembre 2012 Pestaggi, minacce, vessazioni di ogni genere. È un film dell’orrore il racconto dei detenuti di quanto accade tra le mura del carcere di Vicenza: “un feudo medievale” dove “non c’è civiltà”. Dove i reclusi sono “ostaggi”, “in balia degli umori degli ispettori”, e perfino gli educatori “hanno paura”. Testimonianze sconvolgenti riportate dalla deputata radicale Rita Bernardini in un’interpellanza urgente al ministro della Giustizia presentata dopo aver visitato l’istituto veneto solo pochi giorni fa. O.P.M., nigeriano, a due esami dal traguardo della laurea di Lettere e Filosofia, è il primo a denunciare le violenze alla deputata radicale. Vorrebbe tornare a Padova, al carcere Due Palazzi, per ultimare gli studi e scontare i 5 mesi di pena che ha ancora davanti, “ma non mi ci mandano per quello che ho visto”, spiega. Indica il suo compagno di cella, che non parla ma ha il naso rotto per le botte prese dagli agenti, racconta ancora l’uomo a Rita Bernardini. Altri però dopo di lui trovano il coraggio di sollevare il velo su una quotidianità che raccontano come scandita dalla paura: “tanti agenti sono bravi, ma certi ispettori…”. E se nelle celle regna il terrore, dall’altra parte delle sbarre sarebbe l’indifferenza a prevalere. “Il direttore non visita - come dovrebbe - le celle di detenzione e tra i reclusi della terza sezione c’è perfino chi non l’ha mai conosciuto. Neanche il magistrato di sorveglianza visita i reparti per verificare le condizioni di reclusione”, spiega la deputata, sebbene lo preveda la legge. I detenuti, 358 ammassati in 146 posti regolamentari, vivono condannati all’ozio, chiusi in cella 21 ore al giorno mentre nelle restanti tre possono soltanto prendere aria in uno squallido passeggio che chiamano “blocco di cemento”. Al posto di quello che una volta era il campo sportivo sorgerà un nuovo padiglione, scrive la parlamentare ma nell’attesa ci pascolano le capre. Anche la palestra è inagibile e quasi nessuno dei reclusi lavora. “La saletta socialità c’è solo per pestare noi e per il barbiere”, riferiscono a Rita Bernardini i detenuti. E non sarebbero soltanto le botte a rendere insopportabile la vita nel carcere di Vicenza. L’impianto di riscaldamento è acceso solo due ore al giorno: una al mattino e un’altra di pomeriggio, così nelle celle si patisce il freddo, insieme alla fame. Il cibo scarseggia, come i prodotti per l’igiene: un tubetto di dentifricio a testa al mese e una saponetta ogni due, si legge. Alla sporcizia si somma un’assistenza sanitaria del tutto carente, non c’è dunque da meravigliarsi se nel passato recente si siano verificati casi di Tbc tra i detenuti. Del resto, “lo stesso personale ha paura di contrarre malattie infettive”, scrive Bernardini. Il governo ora dovrà rispondere sui fatti gravissimi riferiti dalla deputata radicale ed è facile immaginare che ben presto di muoverà anche la magistratura per far luce su quanto denunciato nell’interpellanza, che porta la firma di più di 50 deputati di diversi gruppi. Lo squarcio di verità su Vicenza si apre pochi giorni dopo la presentazione del rapporto di Antigone sulle condizioni detentive in Italia, dal titolo eloquente “Senza dignità”. Un documento che traccia un quadro sconvolgente dello stato delle carceri italiane, dove il sovraffollamento ha raggiunto il tasso record del 142 per cento che ancora una volta assegna al nostro Paese la maglia nera d’Europa. La situazione descritta da Antigone conferma una volta di più l’insufficienza dei provvedimenti adottati negli ultimi anni da governi e istituzioni per far fronte alla crisi. Dalla dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento carcerario del 13 gennaio 2010 i detenuti sono infatti aumentati di 1.894 unità. E se dal 2007 la popolazione reclusa è lievitata del 50 per cento, le risorse economiche destinate al carcere sarebbero invece diminuite del 10 per cento, denuncia Antigone. La legge Alfano sulla detenzione domiciliare e quella successivamente varata con decreto dal ministro Severino hanno consentito in 20 mesi l’uscita di appena 8 mila detenuti. Risultati irrisori rispetto alle esigenze deflattive di quella che ha ormai tutti i connotati di un’emergenza umanitaria, come dimostrano i dati sulle morti dietro le sbarre: 143 dall’inizio dell’anno di cui 54 suicidi. Il ministro della Giustizia ha annunciato che si impegnerà per far approvare il disegno di legge sulle misure alternative, faticosamente approdato in Aula poche settimane fa, e che però ha ricevuto aspre critiche proprio dai radicali. Secondo Rita Bernardini - che da un mese digiuna per sollecitare una risposta concreta delle istituzioni all’emergenza in corso - il ddl contiene paletti che ne ridurrebbero al minimo la portata. Così mentre il Parlamento si appresta a discutere misure che difficilmente incideranno sul gravissimo stato di sovraffollamento, i detenuti provano a far sentire la propria voce. In 30 mila, in più di 80 carceri in tutta Italia, hanno preso parte in questi giorni alla mobilitazione straordinaria promossa dal Partito Radicale per chiedere l’amnistia, ma anche garanzie sul proprio diritto di voto. Almeno su quello, visto che i diritti umani sembrano ormai un lontano ricordo. Verona: lavoro e reinserimento sociale, così il Progetto Esodo “libera” i detenuti di Alessandra Galetto L’Arena di Verona, 26 novembre 2012 Presentati i risultati del secondo anno del percorso sostenuto da Cariverona e coordinato dalla Caritas. La rete di collaborazione creata tra associazioni ha assistito 372 persone, attivando 573 percorsi tra formazione e collocamento. Scontare la pena fuori dal carcere, con misure alternative, non è facile: in media circa la metà delle domande di misura alternativa non trova infatti buon esito. Quando però queste richieste poggiano sul sistema messo in atto a Verona, oltre che a Vicenza e Belluno, dal Progetto Esodo, il numero dei rifiuti scende drasticamente, attestandosi appena al 5%: ovvero, la situazione si capovolge, col risultato che il detenuto ha la possibilità di occupare il tempo della pena lavorando e instaurando una serie di relazioni sociali. È questo uno solo, per quanto fondamentale, dei molti risultati davvero importanti ottenuti dal Progetto Esodo, realizzato a partire dal 2011 grazie al fondamentale contributo di Cariverona e attuato attraverso la collaborazione delle Caritas di Verona, Vicenza e Belluno e del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto per promuovere e sostenere percorsi strutturati e organici di inclusione socio-lavorativa a favore di persone detenute, ex detenute o in esecuzione penale esterna. I dati relativi al secondo anno di Esodo sono stati presentati ieri mattina nella sede di Cariverona dal vicepresidente della Fondazione Giovanni Sala, alla presenza dei direttori delle Caritas di Verona e Vicenza don Giuliano Ceschi e don Giovanni Sandonà, di Angela Venezia, responsabile dell’ufficio dei detenuti del Triveneto, Chiara Ghetti, responsabile dell’ufficio di esecuzione penale, Lorenza Omarchi, magistrato di sorveglianza della nostra città, e del garante dei diritti dei detenuti Margherita Forestan. “La Fondazione ha sposato con convinzione questo progetto, impegnata, come è nella sua natura, in attività di sostegno al sociale. Ma va ricordato che oltre al contributo economico, il progetto è potuto decollare per la buona volontà e la passione che molti hanno profuso”, ha detto Sala. “Tre sono state le aree di intervento”, ha quindi spiegato il coordinatore di Esodo, Franco Balzi. “Formazione, inclusione sociale e lavoro. Complessivamente Cariverona ha stanziato nel 2012 1,6 milioni di euro, di cui 696 mila a Verona, 520 mila a Vicenza e 284 mila a Belluno. I dati si riferiscono al 30 settembre 2012: entro questa data Esodo ha preso in carico nelle tre provincie 372 persone, attivando 573 percorsi di inclusione socio-lavorativa. Gli utenti sono per l’88% uomini, e per il 58% si tratta di cittadini stranieri. Le fasce d’età prevalenti sono quelle dei 26-35 anni e dei 36-45. Nell’area della formazione sono stati attivati 17 corsi, di cui 16 interni al carcere e uno extramoenia, che hanno coinvolto 128 persone. I posti di accoglienza sono saliti a 59 dai 41 del 2011: le persone accolte sono state 57”. “Questo, nato come progetto giudicato senza dubbio ambizioso, si è rivelato una piattaforma illuminata che oggi potrebbe fare da modello anche per altre progettualità”, ha osservato don Ceschi, mentre don Sandonà ha ricordato il ruolo fondamentale della Fondazione Cariverona, perché senza il sostegno economico nulla di quanto fatto sarebbe diventato realtà. Di qui l’auspicio che l’impegno di Cariverona possa proseguire anche oltre il 2013, terzo ed ultimo anno del progetto. Contratti e tirocini per 136 persone Uno dei punti fondamentali del Progetto Esodo verte sul programma di reinserimento lavorativo dei detenuti e degli ex detenuti. Grazie alla collaborazione tra le varie associazioni che hanno partecipato a Esodo, sono stati effettuati 136 inserimenti lavorativi, 16 in laboratori occupazionali, 84 tirocini, con 34 contratti di lavoro avviati. I tirocini (63% dei percorsi di reinserimento lavorativo) registrano una durata media di 4,2 mesi. Gli enti ospitanti sono soprattutto cooperative sociali, amministrazioni comunali e parrocchie. Anche a Verona alcuni detenuti che proprio attraverso il progetto Esodo hanno potuto godere delle misure alternative hanno trovato occupazione, come ha spiegato il garante dei diritti Margherita Forestan, ad esempio nella guardiania dell’Arena e della casa di Giulietta, di alcune chiese, ma pure nella Fiera, mentre è in corso un progetto di collaborazione con Amia. Oristano: Comunità Il Samaritano di Arborea, un modello di “recupero” oltre il carcere La Nuova Sardegna, 26 novembre 2012 Ad Arborea il responsabile Giustizia Pd Andrea Orlando rilancia la legge Gozzini. Ma le strutture alternative alla detenzione denunciano i ritardi nei fondi regionali. Il modello alternativo alla detenzione è straordinariamente attuale nel sistema penitenziario italiano malato del sovraffollamento delle carceri. Lo ha ribadito il responsabile Giustizia del Partito democratico, Andrea Orlando, che qualche giorno fa ha visitato la comunità Il Samaritano di Arborea, unica struttura abilitata in Sardegna ad ospitare reclusi che scontano pene alternative alla detenzione. E proprio Arborea è, in qualche modo, uno dei simboli di una riforma carceraria inattuata, nonostante alcune norme abbiano aperto uno squarcio sulle alternative alla detenzione che possono dare un senso al fine rieducativo della pena. La legge Gozzini, pietra miliare di una concezione diversa della carcerazione e delle possibilità di reinserimento del detenuto nella società, è certamente - ha sottolineato Orlando - da recuperare. “Il sistema securitario inseguito in questi anni dai governi di centro destra ha fallito”, è l’opinione del responsabile Giustizia del Pd. “L’aumento della fattispecie dei reati e dei tempi di carcerazione ha prodotto più alti costi in termini sociali ed economici, ed anche sotto il profilo della rieducazione l’obiettivo costituzionale è mancato: la recidiva risulta in costante aumento”. Sono le strutture come Il Samaritano a poter offrire un diverso percorso per i detenuti. Anche se le difficoltà rischiano di strangolare la comunità, che, dopo i problemi legati alle vicissitudini del suo fondatore, don Giovanni Usai, ha ripreso il suo percorso e ospita attualmente 23 detenuti in stato di semilibertà. “C’è il concreto pericolo che la Comunità debba chiudere rimandare a casa i detenuti”, ha denunciato il responsabile della Comunità Antonello Caria, ricordando che la struttura da due anni non riceve contributi dalla Regione. Mentre l’assessorato alla Sanità non ha mai dato contenuti alla norma (la legge 7/2011) in base alla quale sarebbe possibile attingere ad ulteriori forme di finanziamento. Sul punto è stato più specifico il segretario regionale del Pd sardo, Silvio Lai, che ha partecipato all’incontro di Orlando con i responsabili della comunità. “Appare inaccettabile al circostanze che l’assessorato regionale alla Sanità, con riferimento alla legge 7/2011, non abbia né impegnato né speso ben un milione e 800mila euro sull’annualità 2011 e che la stessa situazione si stia determinando anche per l’annualità 2012”. Brescia: con l’Aifos il Progetto Papillon; detenuti oggi, volontari di primo soccorso domani www.aifos.eu, 26 novembre 2012 La conclusione del percorso formativo e l’importanza della formazione quale strumento di futuro per gli ex detenuti sono stati gli argomenti della conferenza stampa di chiusura del progetto, realizzato da Aifos Protezione Civile. Il corso di formazione per i volontari di primo soccorso, svoltosi presso la casa circondariale di Canton Mombello, nell’ambito del Progetto Papillon e rivolto a chi attualmente sta scontando una pena, si è concluso con un evidente successo di partecipazione e di risultati, come si evince dai dati che sono stati forniti dal Garante dei detenuti, dottor Emilio Quaranta, durante la conferenza stampa conclusiva del progetto, tenutasi presso l’Associazione Aifos Protezione Civile, alla quale hanno partecipato la direttrice dell’istituto di pena, dottoressa Francesca Gioieni, il responsabile didattico del progetto dott. Gregorio Barbieri, il Presidente di Aifos, Rocco Vitale e il segretario generale di Aifos, Francesco Naviglio. A concludere felicemente il percorso formativo, di 60 ore di lezione, per 28 giornate di aula più una dedicata agli esami, sono stati 15 detenuti (sui 24 iscritti) e a sostenere la prova finale, con successo, sono stati in dodici, dei quali due stranieri. Il corso, seguito da persone in una fascia d’età che va dai 25 ai cinquant’anni, ha impegnato quattro docenti, i quali hanno fornito le nozioni necessarie e sufficienti a superare il primo grado di preparazione, atteso che è previsto che alcuni dei partecipanti che hanno superato l’esame possano proseguire il percorso formativo (in parte in aula e in parte come membro di equipaggio di emergenza durante gli interventi di soccorso) presso associazioni di volontariato convenzionate 118 sul territorio bresciano per conseguire il titolo di “Soccorritore Certificato 118”. Il corso è nato dalla considerazione che nell’ambito delle emergenze e delle urgenze derivanti da calamità naturali o sociali una delle maggiori difficoltà sia quella di reperire personale adeguatamente istruito (addestrato) ed in possesso dei titoli per poter operare sui mezzi di soccorso di base. Partendo da tale considerazione - è stato detto durante la conferenza stampa - eravamo convinti che l’addestramento di alcuni giovani, opportunamente selezionati, che stanno scontando una pena detentiva, sarebbe stata una valida soluzione a questa mancanza e i risultati ci hanno dato ragione”. “Il progetto Papillon, nel quale si inscrive il corso - è stato aggiunto - ha l’obiettivo di ridurre le difficoltà che oggi riscontriamo nel reperimento di tali competenze, che ad oggi risultano essere presenti quasi “esclusivamente” nel mondo del volontariato, con i limiti ed i vincoli che il volontariato stesso reca ineluttabilmente con sé”. “Fino a pochi anni or sono - è stato sottolineato - era la presenza degli “obiettori” che colmava tale lacuna a livello di personale. Con l’abolizione della leva obbligatoria queste figure sono ormai un ricordo. Molti obiettori al termine del periodo di “ferma” hanno continuato il servizio attivo. Questo progetto si prefiggeva, come uno dei suoi obiettivi principali, lo stesso principio ma, in questo caso, creando un’occasione per le istituzioni ed una in più per i futuri ex detenuti, che potranno meglio inserirsi nella società. Voler formare dei detenuti ad una professione che possa essere di “soccorso sociale” e quindi tanto nobile, può essere considerato sintomo, da parte delle istituzioni, di una particolare sensibilità nei loro confronti ed anche manifestazione della volontà di affrontare e risolvere il problema di quello che sarà il futuro di queste persone, che hanno precedentemente sbagliato ma che, se ben indirizzate e controllate, potranno reinserirsi a pieno titolo e dignitosamente nella società attraverso l’apprendimento di una professione che tutti i giorni porta al contatto con la sofferenza e che può essere di insegnamento per queste persone”. Il progetto è stato realizzato grazie al contributo dei Lions Club Capitolium, Cidneo e Sebino e Fondazione Comunità Bresciana, in collaborazione con l’Ordine di Malta, sezione di Brescia. Il Segretario di Aifos Protezione Civile Francesco Naviglio ha sottolineato che “ora si deve lavorare per la fase 2 del progetto, che si dovrà svolgere al di fuori del carcere e che sarà un percorso di 120 ore”. Emilio Quaranta, Garante dei detenuti, ha chiarito come “si aspettano importanti risposte dalla Regione Lombardia e la Magistratura di Sorveglianza per il reinserimento per impiegare gli ex detenuti nelle attività di solidarietà”. Monza: una cella in piazza, per denunciare l’inciviltà delle carceri di Stefania Totaro Il Giorno, 26 novembre 2012 Una vera cella in piazza a Monza per capire i disagi dei detenuti. È un’iniziativa degli avvocati della Camera penale di Monza, che hanno anche organizzato un convegno con la partecipazione di un detenuto nel carcere di Opera e dell’onorevole radicale. Una cella per detenuti in piazza per denunciare l’inciviltà del carcere. È un’iniziativa organizzata dagli avvocati della Camera penale di Monza, unitamente alle Camere Penali del Distretto di Corte D’Appello di Milano, con la collaborazione del Comune di Monza. Da venerdì fino a oggi, in occasione della “Cella in Piazza”, nella piazza dell’Arengario di Monza è stata posizionata una cella vera, per dimensioni ed arredi, realizzata dai detenuti e dai volontari della Conferenza regionale del Volontariato Giustizia del Veneto, per essere “visitata” dai cittadini che vogliono rendersi conto di cosa vuol dire vivere come i detenuti in tre in una stanza di quattro metri per due. Un problema, quello del sovraffollamento e dei disagi delle carceri, che affligge soprattutto le case circondariali della Lombardia dove, per una capienza di 5384 detenuti, ne vengono invece “ospitati” quasi 9.450. Per partecipare alla giornata contro l’insostenibilità della condizione carceraria, anche la Camera penale di Monza presieduta da Marco Negrini ha proclamato l’astensione dalle udienze dei suoi avvocati e ha organizzato, all’interno del Coordinamento delle Camere penali del Distretto, un convegno sul tema “Il carcere non può aspettare”, dove un detenuto nel carcere di Opera, Orazio, ha voluto offrire la sua testimonianza. “Ero una persona normale, poi sono finito in carcere e sono detenuto da 16 anni e mezzo - ha raccontato Orazio. Un’esperienza terribile, se ce l’ho fatta è grazie a mia moglie, ai miei 5 figli e ai miei nipoti. Ho ancora davanti agli occhi il primo giorno quando ho visto il cancello del carcere, è stato indescrivibile. Ho sempre cercato di scontare la mia detenzione anche nel rispetto delle persone che in carcere ci lavorano, come gli agenti di sorveglianza. Ma in cella con me ha provato ad esserci un detenuto sieropositivo che vomitava sangue, un pazzo che si legava al cancello della cella con un sacco della spazzatura. Ora esco il mattino e torno la sera grazie al responsabile del carcere di Opera e ho a che fare con le persone anziane e in queste ore dimentico di essere un detenuto e mi sembra di rivivere. Perché stare in carcere è vita persa e non è vero che è comunque un’esperienza”. Al convegno ha partecipato anche Marco Cappato, consigliere comunale a Milano e presidente del Gruppo Radicale. “L’Europa ci condanna per l’illegalità della situazione delle carceri e la lunghezza della giustizia - ha dichiarato Cappato - Noi chiediamo una soluzione strutturale, quella dell’amnistia, una proposta che va verso l’obiettivo della sicurezza e della legalità ancor prima che verso la dignità dei detenuti”. Milano: 15 detenuti volontari per la Colletta Alimentare “per noi è un gesto di speranza” di Pietro Vernizzi www.ilsussidiario.net, 26 novembre 2012 Sabato una quindicina di detenuti del carcere di Bollate hanno partecipato alla Colletta Alimentare con i volontari dell’Associazione Incontro e Presenza. Pur di donare il loro tempo libero a un’opera che aiuta le persone più indigenti, tra cui gli stessi detenuti, hanno deciso di impiegare i permessi premio che di solito sono loro indispensabili per incontrare le famiglie. “Mia mamma non crederebbe che oggi sono davanti a un supermercato a fare il volontario. Rapinarli era la mia specialità”, rideva di gusto Sergio, un detenuto di Bollate guardando la sua pettorina da volontario del Banco alimentare. Insieme con lui ieri c’erano altri quattro compagni del carcere di Bollate che hanno partecipato all’iniziativa davanti all’Esselunga di Baranzate. Pietro è andato più in là: “Poter donare il nostro tempo, le nostre energie per progetti sociali ci fa sentire vivi, utili, e non dei relitti di una società a cui abbiamo fatto anche molto male. Queste iniziative danno un senso a chi, come me, ha davanti un tempo lunghissimo da scontare, ci danno una speranza”. La vita può continuare, oltre la pena. Francesca è una volontaria di Incontro e Presenza che per la prima volta ha partecipato alla Colletta Alimentare dentro il carcere di San Vittore. Normalmente impiega il suo turno per recarsi nel centro clinico, uno dei raggi di San Vittore dove le persone soffrono di più, perché vi si trovano malati di Aids, malati cronici e pazienti psichiatrici. Come racconta Francesca, “per me fare la raccolta del Banco Alimentare in carcere è stata veramente un’esperienza pazzesca. Mentre passavamo per le celle ho imparato la gratuità dai detenuti. Tanti di loro che non hanno nulla, ma veramente nulla, eppure ci donavano i prodotti alimentari con un entusiasmo che mi ha commosso. Poi quando ci siamo recate a visitare Paolo, un carcerato del centro clinico, che insieme a tre compagni ci ha consegnato tre scatoloni di cibo, lui ha voluto evidenziare come per loro fosse stato importante questo momento. Quest’anno oltre ai detenuti alla raccolta ha partecipato anche l’amministrazione penitenziaria, in quanto la cucina del VII raggio aveva donato anch’essa degli alimenti”. Come aggiunge Francesca, Paolo “era felice del fatto che questa occasione aveva rimosso le barriere tra detenuti e polizia penitenziaria, permettendo loro di trovarsi tutti uguali in questo gesto di carità. Credo ci abbia ripetuto tre o quattro volte proprio questo fatto, che il gesto gratuito del Banco Alimentare aveva fatto sì che non ci fossero barriere”. Inoltre il carcerato del centro clinico “ci ha fatto trovare sopra ogni pacco un foglio con i nomi, il numero di cella e i prodotti che ognuno di loro aveva donato, come per volere esprimere: “Eccomi ci sono anch’io”. Mi è risultato però evidente - sottolinea sempre la volontaria di Incontro e Presenza - che non avevano scritto i nomi per farsi vedere, ma proprio per affermare la loro presenza in questo gesto. Grazie ancora, per questa occasione che mi è stata data”. Ma non è stato soltanto a Milano che i carcerati hanno partecipato alla Colletta Alimentare. Anche alla Casa Circondariale di Chieti i detenuti si sono mobilitati per questo gesto di carità. Come racconta uno di loro, Tarek Sgaieri, “sono in carcere dal 2008. Isolato dai miei famigliari e dagli amici che frequentavo prima, in tutti questi anni trascorsi in vari istituti nessuno ha mai creduto in me o mi ha dato la minima possibilità di reinserirmi. Qui, invece, in questo istituto in cui mi trovo da un po’ di tempo, ho trovato persone che credono davvero in me. Sono immensamente grato a tutti loro che mi stanno dando questa opportunità di essere utili a chi è più bisognoso di noi, ma allo stesso tempo potrà rendere meno pesante il peso delle mie (e delle nostre) colpe”. Mentre, osserva un suo compagno di carcere, Nicola Paradiso “per me la Colletta Alimentare è un evento che segna il mio ritorno alla vita, direi la mia occasione di rinascita; mi esprimo così perché sono un detenuto di lunga data a cui nella precedente manifestazione è stata data l’opportunità di osservare il mondo nei suoi colori, rumori, luci e nei gesti comuni come il fare la spesa. Tutto questo lo avevo dimenticato, avevo negli occhi nelle orecchie e nel naso visioni, rumori e odori che diventavano quelli di detenuto nella vita di ogni giorno. Ricordo ancora l’entusiasmo, la curiosità e direi la bramosia di fare mio, o ancor di più, fissare nella mia mente tutti i momenti che avrei vissuto, perché poi una volta rientrato in carcere vi avrei nutrito la mente e l’anima”. Augusta (Sr): uno Studio sull’utilità delle attività di trattamento nella Casa di Reclusione La Sicilia, 26 novembre 2012 “Le attività trattamentali per un sistema di servizi territorialmente efficaci”. È il titolo del lavoro scientifico di Tiziana Ramaci, augustana docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’Università di Enna. Una ricerca posta a dare una misura all’utilità delle attività di trattamento all’interno della casa di reclusione di Augusta, diretta da Antonio Gelardi. “È stata condotta - spiega l’autrice - su 190 cittadini liberi a cui è stato somministrato un questionario chiuso con cui esplorare la percezione che il territorio ha circa l’importanza delle attività trattamentali, ai fini del reinserimento sociale delle persone marginalizzate”. Punti cardine dell’attività di recupero dei detenuti sono, popolazione carceraria, diritto al lavoro, società civile. “Tra i valori fondanti del nostro Paese - aggiunge la Ramaci - c’è al primo posto il lavoro sancito dalla Costituzione, un diritto e un dovere di ogni cittadino, anche per coloro che sono sottoposti a misure restrittive della libertà personale”. Imperia: incontro “Il carcere visto da chi lo dirige”, ospite il direttore Francesco Frontirrè di Rinangela Faraldi www.sanremonews.it, 26 novembre 2012 Un tema di stringente attualità, visto con l’occhio clinico di un professionista quello affrontato nel convegno organizzato dal presidente del Club Arma e Taggia Giacomo Casagrande: “Il carcere visto da chi lo dirige” al quale ha partecipato il Direttore della Casa Circondariale di Sanremo e Imperia, dottor Francesco Frontirrè, giovedì 22 novembre presso il ristorante Giuan. La realtà delle carceri in Italia e le condizioni attuali sulle quali spesso si spendono troppo facilmente luoghi comuni ed errate osservazioni, sono state trattate non solo con la professionalità e la competenza che lo contraddistinguono, ma anche con la sensibilità di chi fa del proprio lavoro una missione, dal dottor Frontirrè. Una relazione esaustiva, quella del Direttore Frontirrè, con alle spalle una carriera ricca di esperienza, il quale ha affrontato la panoramica carceraria non da un punto di vista passivo, come potrebbero essere le sole problematiche, ma si è invece addentrato particolarmente su un punto di vista propositivo affrontando le opportunità di recupero legate al mondo carcerario e dando spazio alle numerose domande che gli sono state poste dai soci Lions. Un argomento di tale portata non poteva che portare allo sviluppo di un altrettanto interessante dibattito, che ha animato il pubblico dei Lions , con grande soddisfazione del Presidente del Club e del relatore, dando vita ad un confronto diretto con una platea attiva tesa ad una valida opportunità di approfondimento e riflessione. L’impegno appassionato del dottor Frontirrè per il suo lavoro, gli ideali rivelati, esposti con molta semplicità e chiarezza, pur nella complessità della loro essenza, hanno lasciato un segno in tutti i presenti che hanno avuto la possibilità di conoscere da vicino una realtà spesso conosciuta solo attraverso luoghi comuni. Roma: da giovedì a sabato Convegno del Seac su sistema giustizia e ruolo del volontariato Adnkronos, 26 novembre 2012 “Carcere e sicurezza: le pratiche e le proposte”. Questo il tema del il 45° Convegno Nazionale del Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario), che si terrà da giovedì a sabato a Roma, presso l’Istituto suore Maria Bambina, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. Tre giornate in cui magistrati, rappresentati delle istituzioni, esponenti del Dap, professori universitari e membri di associazioni si confronteranno per fare il punto sul sistema della giustizia, la gestione della sicurezza in carcere e il ruolo del volontariato. Apriranno i lavori, giovedì alle 14.30: Luisa Prodi, Presidente del Seac; Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria; Giovanni Maria Flick, Presidente Emerito della Corte Costituzionale; Maria Claudia di Paolo, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria Lazio; Virgilio Balducci, Ispettore Capo Cappellani Penitenziari. Arabia Saudita: giustiziate 3 persone accusate di omicidio, da inizio anno 70 esecuzioni Aki, 26 novembre 2012 Tre persone accusate di omicidio sono state giustiziate tramite decapitazione in Arabia Saudita. Lo ha riferito una nota del ministero dell’Interno di Riad, citata dall’agenzia d’informazione ufficiale “Spa”. Stando al comunicato, Mubarak al-Harithi e Obaidallah al-Harithi, la cui nazionalità non è stata rivelata, sono stati giustiziati nella provincia di Mecca per aver pugnalato un uomo identificato con il nome di Ayedh al-Harithi. Il terzo detenuto salito al patibolo si chiamava Majed al-Dosari ed è stato decapitato per aver sparato a un saudita, Mehmas al-Dosari. Sono circa 70 le persone giustiziate in Arabia Saudita quest’anno, mentre secondo Amnesty sono state 79 le condanne eseguite lo scorso anno. Stupro, omicidio, apostasia, rapina a mano armata e traffico di droga sono reati punibili con la pena di morte nella monarchia del Golfo. Tunisia: quaranta detenuti islamisti ancora in sciopero fame Tm News, 26 novembre 2012 Almeno quaranta detenuti islamisti sono ancora in sciopero della fame in Tunisia. Lo ha chiarito il ministero della Giustizia del Paese, dopo aver annunciato che la protesta partita quasi due settimane fa era conclusa. “Dopo un controllo, soltanto alcuni prigionieri hanno messo fine alla protesta. Non abbiamo dati precisi perché la situazione cambia continuamente”, ha dichiarato il responsabile del ministero Fadhel Saihi. “Di circa 120 persone che hanno aderito alla sciopero all’inizio, quasi ottanta persone lo hanno interrotto, quindi ne restano all’incirca 40”, ha aggiunto. In precedenza, Saihi aveva annunciato la conclusione dello sciopero ad eccezione di una persona, portata in ospedale per le sue precarie condizioni. Russia: rivolta carcere Kopeisk sedata da polizia, scontri anche con i familiari dei detenuti Tm News, 26 novembre 2012 Le autorità russe hanno annunciato di aver sedato una rara rivolta in un carcere nella regione degli Urali, dove i detenuti sono saliti sul tetto e i loro sostenitori all’esterno si sono scontrati violentemente con la polizia. Centinaia di detenuti della prigione numero 6 a Kopeisk, nella regione di Chelyabinsk, hanno inscenato sabato una protesta che secondo le autorità era mirata a ottenere il rilascio di alcuni prigionieri dall’isolamento e al miglioramento delle condizioni di detenzione. Secondo gli attivisti invece il reale motivo delle protesta sono i pestaggi da parte delle guardie carcerarie. In un’immagine ampiamente trasmessa dalle tv russe un grosso gruppo di prigionieri sale sul tetto del carcere spigando uno striscione con la scritta “Gente, aiuto!”. Stamani però “tutti i detenuti sono tornati alle loro celle” e la situazione è “stabile e sotto il pieno controllo dell’amministrazione carceraria”, ha annunciato il direttorato locale del Servizio federale russo per l’esecuzione delle pene. Centinaia di persone, tra cui i parenti dei carcerati, si sono raccolte fuori dal carcere di Kopeisk a sostegno della protesta e sabato sera si sono scontrati pesantemente con gli agenti antisommossa, gli Omon, che cercavano di disperderli. Secondo il ministero degli Interni locale 38 persone sono state arrestate e otto Omon feriti. Le immagini pubblicati dai media locali mostrano i manifestanti coperti di sangue. L’amministrazione penitenziaria ha però attaccato le “informazioni negative su internet” a proposito della protesta, “mirate a destabilizzare la situazione nell’istituzione penale”. La locale rappresentante dell’autorità di sorveglianza sulle carceri Valeria Prikhodkina ha detto che la prigione di Kopeisk è considerata da tempo “problematica” alla luce di una serie di pestaggi di detenuti e di incidenti fatali. “Abbiamo una serie di prove dai prigionieri e dalle loro famiglie di torture, umiliazioni e furti di denaro dei parenti” ha detto all’Afp, spiegando che la procura non ha voluto accetterà le denunce. “I problemi di Kopeisk e di altre prigioni mostrano che il sistema dei Gulag è stato conservato in Russia” scrive il quotidiano Vedomosti in un commento. Afghanistan: Human Rights Watch; niente amnistia a talebani, nemmeno chi negozia pace Aki, 26 novembre 2012 Niente amnistia per i Talebani, nemmeno per coloro che decidono di partecipare ai negoziati di pace. A chiederlo è il gruppo Human Rights Watch, che da New York rivolge un appello all’Amministrazione afghana del presidente Hamid Karzai per chiedergli di non garantire l’immunità ai Talebani che si dicono disposti a partecipare ai colloqui con il governo. “Concedere l’immunità per reati quali il genocidio, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e altri gravi abusi dei diritti umani costituisce una violazione del diritto internazionale”, si legge in un comunicato di Hrw. “I prossimi colloqui del governo con i Talebani non dovrebbero basarsi sulla negazione della giustizia per le vittime di crimini di guerra e altri abusi - sostiene Brad Adams, direttore del gruppo per l’Asia - I civili afghani non dovrebbero essere costretti a scegliere tra giustizia e pace”. Citando le recenti affermazioni dell’inviato di pace di Karzai Salahuddin Rabbani, Hrw ha detto che l’Amministrazione afghana ha promesso l’immunità ai Talebani che aderiscono ai colloqui di pace e che i loro nomi saranno tolti dalle liste compilate dall’Onu sui soggetti da sanzionare. Rabbani ha negoziato il rilascio di nove detenuti talebani nelle carceri pakistane nella speranza di portare avanti i negoziati. Madagascar: detenuti condannati anche alla malnutrizione cronica Radio Vaticana, 26 novembre 2012 Dopo il colpo di stato del 2009 l’economia del Paese è precipitata ed anche il sistema carcerario si sta rapidamente deteriorando. Nel 2008 l’Unione Europea ha stanziato 2,5 milioni di dollari alle ong impegnate a migliorare le condizioni dei centri di detenzione, ma questi fondi andranno esauriti entro la fine di quest’anno e non si sa se il Ministero della Giustizia, il cui bilancio è stato ridotto del 40% nel 2011, avrà denaro per il 2013. Tra i problemi più urgenti da fronteggiare emerge la malnutrizione cronica, alla quale sembrano “condannati” i detenuti malgasci oltre che alla pena giudiziaria. La relazione per il 2011 sui diritti umani in Madagascar, curata dal Dipartimento di Stato americano, ha evidenziato che questa piaga colpisce fino a due terzi dei detenuti di alcune carceri ed è per loro la causa di morte più comune. Nel 2008 il Ministero della Giustizia aveva pianificato un incremento delle razioni giornaliere nelle prigioni, ma i benefattori hanno congelato gli aiuti in conseguenza del colpo di Stato, e i bilanci di tutti i ministeri sono stati ridotti. Nel mese di luglio 2012, Medicins du Monde, una delle 5 Ong attive in 24 prigioni nel nord del Madagascar finanziate dall’Unione Europea, ha distribuito razioni extra di Koba - arachidi schiacciate - e manioca ai prigionieri malnutriti. Anche se i fondi per le carceri sono diminuiti, continua ad aumentare il numero dei detenuti. Le 83 prigioni del Paese erano state preventivate per accogliere 10.319 carcerati, ma in realtà ne ospitano 19.870. Il sovrappopolamento è spesso del 100%. Si possono trovare 150 persone in una cella prevista per 40. Oltre al cibo sono molto precarie le condizioni igieniche, mancano acqua e sapone per tutti i carcerati e la sfida contro i topi è costante. Secondo l’ Handicap International (Hi), nel 2012 l’80% dei detenuti sono stati abbandonati dalle rispettive famiglie, spesso perché quelle più povere non sono in grado di assisterli economicamente. Oltre 3/4 della popolazione del Paese vive con meno di 1 dollaro al giorno. L’Hi ha anche sottolineato il fatto che metà dei detenuti malgasci soffre di diverse forme di disturbi mentali. Inoltre solo il 47% sono condannati, mentre tanti trascorrono anni in attesa del giudizio.