Giustizia: “Abbiamo reso carceri più accoglienti”; ¿Ministro Severino, por qué no te callas? di Valter Vecellio Notizie Radicali, 23 novembre 2012 Cominciamo dalla notizia. Secondo il ministro della Giustizia Paola Severino il governo ha già “provveduto a rendere le carceri posti più accoglienti”. E ancora: “La presenza sempre più elevata di detenuti stranieri dentro alle nostre carceri ci mette di fronte al dovere di pensare e attuare al più presto contromisure che permettano sia di ridurre l’ingresso di nuovi detenuti, sia di affrontare il problema dei diritti umani in carceri sempre più affollate”. Severino è intervenuta al convegno “Carceri e Stranieri”, a Roma. Secondo il ministro, “il governo ha già provveduto a rendere le carceri posti più accoglienti per i detenuti, per i quali sono previste una serie di misure volte a facilitarne il rapporto con i famigliari; come l’ammorbidimento di quella che vieta l’utilizzo del cellulare, e la decisione di non richiedere il permesso di soggiorno ai famigliari che vanno a fare visita”. “Si tratta di misure che sento come particolarmente importanti, perché facilitare i rapporti con i famigliari può rappresentare un’ancora di salvezza nei confronti della disperazione provocata dall’esperienza carceraria”. Analizzando il problema del sovraffollamento carcerario, Severino smentisce la concezione secondo la quale la situazione italiana sia tra le peggiori all’interno della Ue: “Non è vero che abbiamo numeri da record, il sovraffollamento in cifre simili alle nostre è un problema comune in quasi tutti gli Stati dell’Unione”, dice. Per affrontare il problema del sovraffollamento servono diverse misure, secondo il Ministro due sono quelle fondamentali: da una parte la costruzione di nuovi posti di detenzione per aumentare la capienza delle carceri, dall’altra per far sì che la detenzione in carcere sia una misura da adottare il meno possibile, privilegiando la espiazione del reato fuori dal carcere. Una parte del discorso del ministro è stata riservata alla funzione riabilitativa del carcere, che “deve tornare ad essere la vera funzione del carcere”. In questo senso secondo la Severino è “essenziale che le amministrazioni penitenziarie lavorino di concerto con il volontariato sociale, e che il carcere torni ad essere un luogo dove si possa imparare un mestiere e, per gli stranieri, anche la lingua italiana, in quanto se i detenuti quando escono dal carcere hanno un lavoro la percentuale di recidiva crolla al 2%”. Cosa vogliamo, cosa si può dire di fronte a tutto ciò? Verrebbe da usare la stessa espressione di Marco Pannella rivolta a Dario Franceschini nel corso di una famosa puntata di “Ballarò”: una faccia... Gli attivisti e gli analisti raccolti attorno all’associazione Antigone, che da anni studia e monitora la situazione carceraria, ha redatto il suo “Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia”. È il rapporto numero nove. Documenta la situazione di vera e propria tortura in cui è costretta a vivere l’intera comunità penitenziaria. E solleva interrogativi che andrebbero sciolti. Per esempio, secondo i dati ufficiali, al 31 ottobre 2012, la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari era di 46.795 posti. “La notizia però incredibile” scrive Antigone nel rapporto “è che due mesi prima la capienza degli istituti era di 45.568 posti. A noi non risultano apertura di nuove carceri, né di nuovi padiglioni in vecchi istituti di pena. A che gioco giochiamo?” Che tipo di gioco sia andrebbe in effetti spiegato. Il ministro Paola Severino, giorni fa ha visitato il carcere veneziano della ‘Giudeccà; e in quell’occasione, dopo aver promesso novemila posti in più, ha aggiunto che ne erano stati già creati quattromila. Tutto ha un che di magico: da agosto a ottobre 2012 sarebbero stati ‘creatì, dal nulla, circa 1.200 nuovi posti. Nel mese successivo (la visita alla Giudecca è del 12 novembre), eccone altri 2.800 nuovi… A via Arenula qualcuno deve avere al proprio servizio il Genio della lampada o la bacchetta del Mago Merlino. “La dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento risale al 13 gennaio 2010 e il numero dei detenuti allora era di 64.791. Al 31 ottobre scorso, la presenza è di 66.685 detenuti, 1.894 in più. Ma come” si chiede il rapporto “i detenuti non dovevano diminuire?” L’Italia resta il Paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione Europea: il nostro tasso di affollamento è oggi infatti del 142,5% (oltre 140 detenuti ogni 100 posti). La media europea è del 99,6%. In questa realtà, accade quello che il coordinatore nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti Franco Corleone, e il professor Andrea Pugiotto, docente di diritto all’università di Ferrara, descrivono nel loro recente libro Il delitto della pena: “Il carcere”, annotano, “è un luogo di concentramento di figure deboli, di persone fragili, dove la differenziazione non è modo per favorire il cosiddetto trattamento rieducativi, risolvendosi semmai in un crudo elemento di categorie: i “tossici”, gli “stranieri”, i “protetti”, le “transessuali”. Un catalogo di umanità disperata in cui la classificazione massificante non riesce a far posto alla distinzione capace di riconoscere il singolo uomo o la singola donna con la sua responsabilità personale e la sua storia individuale”. La conclusione cui Corleone e Pugiotto arrivano è senza appello: “Le carceri italiane si trovano in una condizione di conclamata, abituale, flagrante violazione della legalità costituzionale, attestata dagli stessi organi apicali delle Istituzioni e della Giustizia. E se è un collasso che non collassa mai (o non ancora), lo si deve esclusivamente al senso di responsabilità di tutta la comunità carceraria: detenuti, direttori delle carceri, agenti della polizia penitenziaria, operatori, volontari”. Contro questa situazione i radicali si battono strenuamente da tempo, perché siano finalmente varate quelle riforme della giustizia che potrebbero sanare questa insostenibile situazione; a partire da un’amnistia. Con le stesse richieste o con richieste analoghe si è mobilitato un ampio arco di persone e movimenti: sacerdoti e cappellani carcerari, direttori di carceri, sindacalisti della polizia penitenziaria e agenti, sanitari, educatori, volontari. Sono persone impegnate quotidianamente nelle prigioni, che vivono il problema, il dramma, in corpore vili. Persone “libere” che sempre più si trovano fianco a fianco, e in sintonia con i carcerati, quelle persone, nota Adriano Sofri, fino a poco tempo fa erano considerate “dall’altra parte”. È avvenuta, avviene, insomma, una “mutazione culturale”, che non viene indagata e valorizzata: per miopia o calcolo meschino. Iniziative e proposte colpevolmente ignorate e taciute, come quelle che vedono impegnati a Firenze e in Toscana, Corleone e Sandro Margara: in sciopero della fame perché i tossicodipendenti siano tolti dalle galere, non facciano più la fine di Tiziano; e siano ospitati nei centri di accoglienza, della regione; che peraltro li ha approntati e chiede solo che siano usati. A un anno dal varo del governo, il sito di Ristretti Orizzonti ha reso noto uno studio... è il bilancio dettagliato dell’azione del ministero della Giustizia. C’è di che restare sgomenti, se si tiene conto che insediandosi il ministro promise che quella del carcere sarebbe stata la sua prima priorità. Qualche concreto esempio. “Abbiamo 6 mila posti occupati in meno, quasi il 10 per cento in sei mesi” ha detto il 29 maggio 2012 il ministro Severino. Al 31 ottobre 2011 i detenuti erano 67.428, al 31 ottobre 2012 sono 66.811 (sono quindi diminuiti di 617 unità, pari all’1 per cento circa). Ancora: “Spending review: le carceri sono fuori dai tagli” (4 luglio 2012). Il Piano carceri varato il 24 giugno 2010 prevedeva risorse pari a 675 milioni di euro, ma viene ridimensionato all’inizio del 2012, quando il Cipe delibera uno stanziamento complessivo di 122 milioni. Ulteriori tagli per il 2013: Palazzo Chigi investe soltanto 45 milioni. Chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: “La data prevista nel decreto è ragionevole”, dice il Ministro il 2 febbraio 2012. Lo stesso ministro l’11 ottobre 2012 dichiara: “Il termine per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), stabilito per il 31 marzo 2013, potrebbe effettivamente scivolare”. E il 29 marzo 2012 una promessa: “Nelle carceri ci sono 51 madri con 54 bimbi, serve una soluzione”. Attualmente nelle carceri italiane ci sono 57 detenute-madri, con 60 bambini al seguito, oltre a 13 donne incinte. Per quel che riguarda i detenuti stranieri, “scontino la pena in patria”, si sostiene il 2 maggio 2012. Al 31 ottobre 2011 i detenuti stranieri erano 23.789; il 31 ottobre 2012 sono 24.458: aumentati di 669 unità… E allora, perché non è bello mandare a quel paese una signora, anche se se lo meriterebbe, rubiamo al re Juan Carlos di Spagna l’esclamazione che gli strappò il satrapo venezuelano Hugo Chávez: “¿Ministro Severino, por qué no te callas?”. Giustizia: sistema carcerario “al collasso”, ma non collassa mai… invece muoiono i detenuti di Valter Vecellio L’Opinione, 23 novembre 2012 Capita di imbattersi in notizie che sconcertano e fanno pensare. Per esempio quella resa pubblica dal garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Nove mesi fa, l’11 febbraio scorso, nel carcere di Regina Coeli muore un detenuto di trent’anni, probabilmente vittima di un’overdose. Prima di lui, dall’inizio dell’anno, erano morti sedici detenuti: per suicidio, per malattia o per cause da accertare. Dopo di lui sono morti altri 84 detenuti: è una strage quotidiana quella che si consuma nelle carceri italiane; e sono almeno dieci volte tanti i detenuti che vengono salvati dagli agenti della polizia penitenziaria. Tiziano, così si chiamava il detenuto morto l’11 febbraio, da allora è un numero. La procura di Roma ha disposto, come la legge prevede per casi del genere, l’autopsia per capire le cause della morte. Dall’11 febbraio il corpo di Tiziano è custodito in condizioni precarie in un deposito del cimitero di Prima Porta. Un morto dimenticato, perché non si capisce bene che cosa impedisca la restituzione del corpo alla famiglia, che chiede solo di poter portare un fiore sulla sua tomba. Una vicenda che definire assurda è poco. Ancora: l’altro giorno è stato presentato il nono rapporto di “Antigone” sulle condizioni di detenzione in Italia. Un rapporto che documenta non solo la situazione di vera e propria tortura in cui è costretta a vivere la comunità penitenziaria. Sono i mezzucci per cercare di edulcorare questa realtà, a risultare maggiormente offensivi. Secondo i dati ufficiali, al 31 ottobre 2012, la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari è di 46.795 posti. “La notizia però incredibile - scrive Antigone nel rapporto - è che due mesi prima la capienza degli istituti era di 45.568 posti. A noi non risultano apertura di nuove carceri, né di nuovi padiglioni in vecchi istituti di pena. A che gioco giochiamo?”. Giochiamo, si potrebbe rispondere, al giochino degli annunci ad effetto, che non hanno corrispondenza con i fatti reali. Giorni fa Severino, in visita al carcere veneziano della “Giudecca”, dopo aver promesso novemila posti in più ha aggiunto che ne erano stati già creati quattromila. Come e dove non lo ha chiesto nessuno, e lei non lo ha chiarito. Tutto però ha un che di magico: da agosto a ottobre 2012 vengono “creati” circa 1.200 nuovi posti. Nel mese successivo (la visita alla “Giudecca” è del 12 novembre), eccone altri 2.800 nuovi…a via Arenula devono avere l proprio servizio il Genio della lampada o la bacchetta del Mago Merlino. Il rapporto di “Antigone” descrive realtà vergognose e allucinanti. Nel carcere di Taranto quattro detenuti si affollano in 9 metri quadrati. In quello di Latina si sta rinchiusi anche 20 ore al giorno. Nel carcere di Catania d’inverno i termosifoni restano spenti… “La dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento risale al 13 gennaio 2010 e il numero dei detenuti allora era di 64.791. Al 31ottobre scorso, la presenza è di 66.685 detenuti, 1.894 in più. Ma come - si chiede il rapporto - i detenuti non dovevano diminuire?”. L’Italia resta il Paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione Europea: il nostro tasso di affollamento è oggi infatti del 142,5 per cento (oltre 140 detenuti ogni 100 posti). La media europea è del 99,6 per cento. È la conferma di quanto Marco Pannella e i radicali dicono da tempo: “Le carceri italiane si trovano in una condizione di conclamata, abituale, flagrante violazione della legalità costituzionale, attestata dagli stessi organi apicali delle Istituzioni e della Giustizia. E se è un collasso che non collassa mai (o non ancora), lo si deve esclusivamente al senso di responsabilità di tutta la comunità carceraria: detenuti, direttori delle carceri, agenti della polizia penitenziaria, operatori, volontari”. Giustizia: due carcerati su tre, una volta fuori, tornano a delinquere di Edoardo Petti www.linkiesta.it, 23 novembre 2012 La percentuale si abbassa al 19% per coloro i quali godono di pene alternative. In celle da quattro ci sono fino a nove detenuti, e che la gran parte di loro vi trascorre 20 ore su 24. Ma il carcere non serviva per rieducare? Eco perché i penalisti hanno indetto una giornata di sciopero. “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. Fedor Dostoevskj. “La condizione di un popolo si capisce dalle condizioni delle sue prigioni”. Bertolt Brecht. “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”. Voltaire. Sono le parole scritte da tre altissimi esponenti della storia del pensiero in epoche diverse, profondamente unite da una visione dell’uomo e del diritto che supera i confini del tempo. Quelle frasi accompagnano il filmato “Prigioni d’Italia”, realizzato dall’Unione delle camere penali nel corso di un giro drammatico e impietoso di due anni nell’universo penitenziario del nostro paese. Spunto del convegno dal titolo “Carcere: un’emergenza davvero irrisolvibile?”, organizzato nell’Aula del Tribunale di Roma dedicata a Vittorio Occorsio, il lavoro getta luce su un panorama tradizionalmente oscurato dai mass media, su un mondo ignorato dalla quasi totalità della politica a vantaggio di comodi, viscerali e redditizi appelli a forme di giustizia sommaria e vendicativa. Perché, come ricorda all’inizio del filmato il cappellano della Casa circondariale di Sassari, Don Gianni Pinna, “molto spesso la gente pensa di esorcizzare i problemi mettendo tutti quanti in galera”. Ed è per richiamare l’attenzione su una problematica difficile e impopolare che i penalisti italiani hanno promosso in tutti i distretti giudiziari una giornata di astensione dalle udienze. Iniziativa che ha costituito l’occasione preziosa per un ragionamento aperto e laico da parte degli attori coinvolti nella questione carceri: avvocati, magistrati, responsabili dell’amministrazione penitenziaria, organizzazioni attive nella salvaguardia di standard essenziali di civiltà giuridica all’interno delle prigioni. Realtà nelle quali principi come la dignità e la riservatezza delle persone vengono puntualmente violati. Le ragioni di una simile negazione si chiamano costrizione, disordine, accatastamento di esseri umani. Si chiamano assenza di qualunque norma igienica. Fattori che rivelano una clamorosa incompatibilità con i parametri fissati dall’Unione europea. L’articolo 18, primo comma, del Regime penitenziario Ue è inequivocabile: “I locali di detenzione devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e per quanto possibile della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene”. Ma le cause dell’assenza di civiltà nelle nostre prigioni consistono anche nella carenza di strutture ricreative e sportive, in una mancanza di impegno che porta inevitabilmente a forme croniche di depressione oltre che a gravi patologie. Quadro in cui risulta impraticabile la prospettiva di un autentico recupero sociale come previsto dall’articolo 27 della Costituzione, secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, e dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per il quale “nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. A fondamento dei drammi che investono questo universo è un sovraffollamento al di là dei livelli minimi di tolleranza: perché promiscuità e degrado rendono esplosiva e soffocante la coesistenza delle persone. Per capire pienamente la portata del fenomeno è sufficiente considerare pochi dati scarni e paradigmatici. Fino a nove detenuti occupano una cella che ne può contenere quattro, e la gran parte di loro vi trascorre 20 ore su 24. Su una popolazione complessiva di oltre 68mila individui, più di un terzo, 24mila, sono cittadini stranieri e 15mila sono tossicodipendenti. È fin troppo evidente come la loro permanenza in galera sia strettamente connessa alle norme ciecamente repressive e criminogene sull’immigrazione clandestina e sugli stupefacenti. Solo il 20 per cento dei detenuti, infine, svolge un’attività lavorativa nelle strutture penitenziarie o in regime di affidamento ai servizi sociali. Una popolazione carceraria sempre più povera dunque, priva di riferimenti nel mondo esterno e di reali disponibilità economiche. Un mondo costretto quasi sempre a scegliere tra beni di prima necessità per vivere. E troppo spesso quelle persone vengono sopraffatte dall’impossibilità di vivere. Nell’anno passato i decessi nelle prigioni del nostro Paese sono stati 186, 66 dei quali concernenti individui che si sono tolti la vita. A partire dal 2000, le vittime della galera hanno raggiunto il numero di 1940, di cui 696 suicidi. Questa volta è il quarto comma dell’articolo 18 del Regolamento penitenziario europeo a essere negato, sollevando interrogativi inquietanti sulla flagranza criminale della nostra Repubblica: “Ogni Stato deve garantire che il rispetto delle condizioni minime di detenzione non sia compromesso a causa del sovraffollamento carcerario”. Congestione penitenziaria che oggi si attesta al 140 per cento, poiché sono oltre 68mila i detenuti presenti nelle prigioni rispetto a una capienza di 45.636 persone. E il 43 per cento di loro, quasi 30mila individui, sono in attesa di giudizio: secondo le statistiche nella metà dei casi risulteranno innocenti. Si tratta di una calamità civile che non verrà certo superata dall’attuazione del celebre “piano carceri” annunciato diversi anni fa dal Guardasigilli Roberto Castelli e ancora in attesa di realizzazione. Un progetto riproposto con solennità da tutti i suoi successori ma che nelle cifre appare del tutto inadeguato. Sarebbero quattro infatti i nuovi penitenziari da completare, per una capacità di accoglienza che non raggiunge le duemila unità. È altrove che bisogna intervenire, rimuovendo alla radice i motivi del sovraffollamento carcerario. E tali cause, che rispondono alla cultura politica inquisitoria e forcaiola prevalente nel nostro Paese, sono l’abnorme ricorso alla custodia cautelare anche per reati non gravi, la presenza di leggi imperniate sull’uso massiccio e indiscriminato della restrizione della libertà oltre che terreno fertile per nuove azioni delittuose, lo scarso impiego di misure alternative rispetto alla galera. La cui efficacia in termini di prevenzione e deterrenza si riassume in un dato statistico altamente significativo. A sette anni dalla fine della pena, viene coinvolto nella ripetizione del reato il 19 per cento di chi è stato ammesso a sanzioni diverse dalla prigione: cifra che sale al 68 per cento tra coloro che hanno scontato tutta la condanna in carcere. Per disporre di una panoramica esauriente dei fattori alla base della sovrappopolazione penitenziaria è doveroso includere la carenza cronica di strutture e personale adeguato: agenti, medici, assistenti. I quali sono rimasti pressoché invariati dal 2002, a fronte di un numero di detenuti aumentato dell’80 per cento rispetto a dieci anni fa. Tutto ciò genera una mancanza di capacità di ascolto da parte dell’istituzione carceraria, destinata a provocare effetti nocivi per l’intera società. Perché, come dimostra il tasso crescente di frequenza delle recidive, un universo costruito su simili premesse non potrà mai concorrere a garantire la sicurezza dei cittadini. Che si rivelerà una pura illusione se il mondo politico continuerà a voltare le spalle rispetto alla “prepotente urgenza” del pianeta carceri. Così l’aveva definita il Capo dello Stato nel corso di un convegno promosso a Palazzo Madama dal Partito Radicale il 28 luglio del 2011. Le sue parole non ammettevano spazi di ambiguità: “Le oscillanti e incerte misure di depenalizzazione e quelle di ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla detenzione preventiva ci umiliano in Europa, e spingono molti esseri umani a togliersi la vita per una condizione intollerabile che definire sovraffollamento è un eufemismo. Evidente è l’abisso che separa la realtà carceraria dal dettato costituzionale: realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita”. Altrettanto improntata a limpidezza era apparsa la riflessione compiuta dal Pontefice durante la sua visita a Rebibbia il 18 dicembre dello stesso anno: “Sovraffollamento e degrado delle carceri possono rendere più amara la detenzione. È importante da parte delle istituzioni un’attenta analisi di tale realtà, in termini di mezzi e di personale. Lo è anche la previsione del ricorso a pene non detentive più rispondenti al rispetto della dignità umana, affinché i carcerati non scontino una doppia pena”. È con queste solenni dichiarazioni e immagini che si conclude il filmato presentato dai penalisti italiani nella stessa giornata in cui Benedetto XVI torna sul tema rivolgendosi alla Conferenza dei direttori delle amministrazioni penitenziarie del Consiglio d’Europa, accompagnati in Vaticano dal Guardasigilli Paola Severino: “Una detenzione fallita nella funzione rieducativa diventa una pena diseducativa, che paradossalmente accentua, invece di contrastare, l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona”. Altissime esortazioni, che hanno incontrato fino a oggi il silenzio quasi assoluto della politica e l’inerzia legislativa da parte del Parlamento. Parte proprio dallo stallo istituzionale il presidente della Camera penale di Roma Fabrizio Merluzzi, per evidenziare la metamorfosi subita dal carcere nel corso dei secoli: “Quando nel Settecento l’esistenza delle prigioni venne regolata e ufficializzata sotto l’egida di precise norme di legge, fu compiuto un indubbio passo di civiltà rispetto alle sanzioni barbare, arbitrarie e discrezionali in vigore fino alla fine del Medioevo. Poi però l’istituto penitenziario è divenuto una realtà intollerabile e contraria ai suoi presupposti storici: un contenitore indistinto per chi è condannato e marchiato a vita”. Per recuperare la sua funzione e missione di temporanea e limitata restrizione della liberà in vista di un pieno recupero umano, professionale e sociale, “non bastano i necessari provvedimenti di indulto e amnistia”, rilanciati dai Radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino e da tempo condivisi dai penalisti italiani. Misure nevralgiche e strutturali da adottare tempestivamente, rimarca l’avvocato, devono essere in grado di decongestionare in maniera permanente la popolazione e la vita carceraria: limitazione significativa del ricorso alla custodia cautelare, depenalizzazione e riforma delle normative sulla tossicodipendenza, che punisce oltre ogni misura la recidiva legata al consumo di stupefacenti. “Meno galera e più sicurezza sociale” è lo slogan coniato da Alessandro De Federicis, responsabile dell’Osservatorio carceri dell’Unione camere penali italiane, per illustrare la validità e la fondatezza del pieno recupero sociale del condannato anche in termini economici. Attualmente, spiega il legale, le prigioni costano 2 miliardi e 800 milioni in un anno, circa 115 euro per detenuto. Se si puntasse sull’affidamento lavorativo ai servizi sociali delle persone recluse come accade al 74 per cento della popolazione carceraria in Francia - mentre nel nostro Paese il rapporto è rovesciato - il risparmio ammonterebbe a quasi 2 miliardi di euro. L’Italia, evidenzia il penalista, ha già perduto una grande occasione di riforma all’indomani dell’adozione dell’indulto nel 2006, quando vennero rinviate a tempo indeterminato le necessarie misure strutturali legislative tra cui l’aggiornamento della legge Gozzini sulle norme premiali per i detenuti. Oggi, puntualizza De Federicis, “si rischia di perdere la stessa occasione con il decreto legge sulle pene alternative emanato dal governo Monti-Severino, che limita il ricorso agli arresti domiciliari al tetto massimo di pena di 4 anni di reclusione: soglia per cui già oggi quasi nessuno è in prigione”. I provvedimenti delineati dai responsabili delle Camere penali suscitano una convinta adesione negli interlocutori chiamati a discutere. A cominciare dal vice-capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Luigi Pagano, a lungo direttore del carcere milanese di San Vittore, il quale delinea un panorama di “contenitori indifferenziati privi di logica e di visione organica mirante al processo rieducativo”. Un mondo che desta impressione per la densità dei 15mila detenuti condannati a pene fino ai quattro anni, e dei 10mila sottoposti a sanzioni di un anno. Coloro che vivono in prigione, in altre parole, sono soprattutto gli emarginati, non i più pericolosi: e il carcere finisce per esercitare una sorta di supplenza rispetto alla mancanza delle condizioni necessarie per il reinserimento nella società. Riguardo alle misure alternative previste dalla stessa legislazione repressiva sulla droga, che per le pene inferiori ai 6 anni di reclusione prevede l’affidamento in prova ai servizi sociali, il numero due del Dap è impegnato in un intenso lavoro finalizzato a renderle effettive, anche se le risorse finanziarie sono ridotte ed esistono problemi di competenze sanitarie delle regioni. Stesso impegno e analoghe difficoltà si riscontrano nella gestione delle problematiche del lavoro dei detenuti e nelle iniziative volte ad allargare gli spazi disponibili di movimento e respiro nelle carceri. Un intervento, quello svolto da Pagano, che trova eco nel ragionamento di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, la storica organizzazione in prima linea nella difesa e affermazione delle condizioni di dignità e civiltà nei penitenziari. Mettendo in risalto “la profonda convergenza di contenuti anche con i vertici dell’amministrazione penitenziaria, nonostante le differenti sfumature di linguaggio”, l’operatore umanitario rivendica alla propria associazione il merito di avere messo a nudo nel suo Rapporto annuale “la gigantesca mistificazione rappresentata dal piano per i quattro nuovi istituti di pena, dei quali non vi è notizia”. Un “dogma da mettere da parte per recuperare 450 milioni di euro da destinare alla manutenzione e ristrutturazione ordinaria delle attuali strutture penitenziarie, a partire dalle condizioni igienico-sanitarie e di riscaldamento oltre che di corrispondenza fra i posti letto disponibili e il numero delle persone detenute”. Gonnella osserva come oggi esista “uno spazio culturale, anche se non politico, per discutere del ruolo e del valore delle prigioni, come hanno fatto i governi politici francese e norvegese, allo scopo di trasformarle da luogo dell’umiliazione a luogo della costruzione di responsabilità”. Possibilità individuata dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli, a giudizio del quale il drammatico stato in cui versano le nostre prigioni è dovuto in gran parte all’emanazione negli ultimi tempi di leggi repressive come quelle sull’immigrazione clandestina e sull’inasprimento delle misure cautelari in tema di recidiva. “Norme alimentate da una cultura anti-costituzionale che vede nella detenzione la risoluzione delle problematiche e degli allarmi sociali”. La strada da intraprendere con coraggio e fermezza secondo il magistrato richiede una revisione dell’intero sistema sanzionatorio, e prevede in primo luogo il rafforzamento delle misure interdittive e patrimoniali spesso assai più efficaci rispetto alla pena detentiva. “Solo così sarà possibile rendere ragionevoli i tempi processuali e i meccanismi di recupero sociale”. Assai più prudente la sua riflessione in merito alla validità e legittimità di un’amnistia, anche mirata e selettiva come auspicato recentemente dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. “Non siamo pregiudizialmente ostili all’adozione di provvedimenti di clemenza per affrontare l’emergenza carceraria - spiega Sabelli - Tuttavia tali misure dovrebbero essere introdotte dopo gli interventi legislativi strutturali volti ad ampliare lo spettro delle pene alternative, e a depenalizzare reati che oggi sono alla base del sovraffollamento. In ogni caso, per un’iniziativa in grado di incidere in modo permanente sullo stato delle prigioni italiane, è preferibile il ricorso all’indulto piuttosto che all’amnistia”. Gli esponenti dell’avvocatura e della magistratura rovesciano dunque le priorità proposte dai Radicali, unica forza politica capace di sottrarsi al richiamo alla pancia profonda del paese in tema di carcere e di promuovere una lunga, tenace e dura campagna a favore di un provvedimento di amnistia legale subito. Perché, spiegano, la tragedia delle prigioni italiane rappresenta soltanto l’appendice più visibile dello sfascio dell’intero pianeta giustizia, soffocato dai milioni di processi civili e penali pendenti e dall’ondata di prescrizioni de facto che avvantaggiano le classi privilegiate e negano i diritti più elementari ai ceti più poveri. È tenendo assieme questi obiettivi e arricchendoli con un’iniziativa volta a rendere effettiva la facoltà del diritto di voto per i detenuti che ancora la conservano, che i militanti di Torre Argentina hanno promosso per quattro giorni la battitura delle sbarre delle celle per 15 minuti, seguita da un’ora di silenzio. Protesta che ha riscosso nei penitenziari italiani l’adesione di 30mila persone e che si concluderà questa sera con diversi sit-in davanti alle principali case circondariali. Giustizia: Bernardini; mobilitazione per amnistia, ora attendiamo risposte dal Parlamento Clandestinoweb, 23 novembre 2012 I Radicali hanno promosso una mobilitazione non violenta di quattro giorni per chiedere l’amnistia e il diritto di voto per i detenuti. L’iniziativa si è conclusa con una manifestazione al carcere di Opera. “Credo che ancora una volta tutta la comunità penitenziaria, e sotto questo nome indichiamo non solo i detenuti ma tutti coloro che nel carcere ci lavorano o sono volontari e anche i familiari, abbia dimostrato ancora una volta grande senso di responsabilità nonostante sia segregata e sottoposta a tratta inumani e degradanti nelle carceri italiane - ha dichiarato la deputata Rita Bernardini in un’intervista al Clandestinoweb. Dalle notizie che abbiamo ricevuto, oltre 30mila detenuti hanno partecipato ai 4 giorni di sciopero della fame e alla battitura dalle 20 a 20.15 nelle carceri ogni giorno per quattro giorni. Noi, al momento, abbiamo notizie da 82 istituti penitenziari, ma siamo convinti che in realtà siano molti di più e che possiamo avere riscontri di una mobilitazione ancora più vasta di quella che è stata”. Rita Bernardini parla anche delle prossime iniziative dei Radicali. “Intanto ce n’è una in corso che mi vede impegnata in uno sciopero della fame ormai da 30 giorni insieme a Irene Testa, segretaria dell’Associazione “Il detenuto Ignoto”, Valter Vecellio, direttore di Notizie Radicali e Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali Lucani - ha spiegato La Bernardini. Con questa iniziativa vogliamo richiamare le istituzioni italiane a cominciare dalle più alte cariche come il Presidente della Repubblica ma anche i ministri e il Parlamento affinché si impegnino in modo adeguato a rimuovere le condizioni di illegalità delle carceri e in generale della giustizia italiana paralizzata da una mole di 11 milioni tra procedimenti penali e cause civile pendenti. E per questo, a nostro avviso, l’unica strada praticabile è l’amnistia”. “Noi abbiamo indicato cosa è necessario fare per rimuovere questo stato di tortura nelle carceri, ma le risposte che arrivano sono del tutto inadeguate ad affrontare la débâcle umanitaria in corso nel nostro Paese. Che ci indichino altre strade per rimuovere questa vergogna tutta italiana - ha detto ancora l’esponente dei radicali”. Infine un pensiero alle parole di Giorgio Napolitano con cui aveva aperto all’amnistia. “Il Presidente della Repubblica ha indicato i problemi non le soluzioni, lui stesso aveva suggerito di non escludere misure di clemenza - ha concluso -. Ma purtroppo di questo si è fatto un gran parlare senza mai indicare una strada adeguata per rimuovere le leggi che fanno dello Stato italiano uno stato canaglia nei confronti dei diritti fondamentali delle persone”. Giustizia: al Csm si è tenuto un incontro di studi sulla tutela dei diritti detenuti di Lucia Brischetto La Sicilia, 23 novembre 2012 Settantaquattro magistrati e presidenti dei Tribunali di Sorveglianza provenienti da tutta Italia (da Catania il presidente Carmelo Giongrandi), assieme a 27 esperti (magistrati onorari) e diversi partecipanti esterni si sono interrogati e confrontati, assieme ai più alti funzionari del ministero della Giustizia, sui temi più scottanti del momento che riguardano i diritti dei detenuti che devono essere garantiti dall’amministrazione e dalla giurisdizione penitenziaria. L’incontro si è tenuto a Roma il 19 e il 20 novembre ed è stato un vero e proprio “punto di domanda” per migliorare i servizi posti in essere. Di fatto, le condizioni in cui versa il sistema penitenziario, riferisce la sesta commissione, sono drammaticamente gravi anche perché, nonostante i “correttivi” adottati, il numero della popolazione detenuta non accenna a diminuire in modo apprezzabile. Il numero dei suicidi e dei tentati suicidi sono un sintomo inequivocabile di una situazione di insostenibile sofferenza umana e di degrado complessivo. Questa situazione di violazione dei diritti fondamentali delle persone ristrette, rende vana ogni possibilità di indirizzare l’esecuzione penale verso il fine rieducativo e finora non sono bastate le frequenti e ripetute condanne all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per “aggiustare il tiro” sul deficit del trattamento fornito dagli istituti di pena dovuto alla fatiscenza delle strutture e alle carenza negli organici degli operatori sociali e di polizia penitenziaria. Per tutelare quindi anche il diritto del detenuto di partecipare alle udienze che lo riguardano (in assenza della pecunia per la benzina, del mezzo adeguato al trasporto e del personale addetto) si sta ricorrendo alla partecipazione tramite videoconferenza. A tal proposito una commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza ha proposto alcune modifiche alla normativa vigente. La Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza ha proposto anche alcune significative modifiche relative al divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti, la possibilità, ai fini della concessione dei benefici, di richiedere anche il parere del procuratore distrettuale del luogo ove è stata emessa la condanna e dettagliate informazioni al comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. In alcuni casi i detenuti e gli internati possono essere assegnati a titolo volontario all’esecuzione di progetti di pubblica utilità sulla base di specifici programmi che prevedono l’impiego di persone sottoposte ad esecuzione di pena. Di notevole importanza anche la proposta che tratta dell’esito positivo del periodo di prova che estingue la pena detentiva e revoca le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice con la sentenza di condanna. Nel contempo il Tribunale di Sorveglianza, qualora l’interessato si trovi in condizioni economiche disagiate, può dichiarare estinta la pena pecuniaria che non sia già stata riscossa. Di molti articoli dell’ordinamento penitenziario viene chiesta la soppressione. In ordine alla custodia cautelare prevista dal Codice di Procedura Penale all’art. 275, la proposta di modifica prevede che “la custodia cautelare può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”. In particolare si è auspicato che sarebbe estremamente importante che il Csm e il ministero della Giustizia rappresentassero alla neonata Scuola superiore della magistratura l’importanza di lasciare spazio, nell’attività di formazione, ai corsi dedicati alla giurisdizione di sorveglianza, mantenendoli aperti alla partecipazione di tutti i giudici del settore penale e dei funzionari del Dap. Giustizia: si chiude Conferenza Direttori delle Amministrazioni penitenziarie europee Agenparl, 23 novembre 2012 “Giornata conclusiva dei lavori della 17a Conferenza Cdap, a cui hanno partecipato i direttori delle Amministrazioni penitenziarie, dei servizi di Probation dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa e i rappresentanti di alcuni Paesi del Bacino del Mediterraneo. La Conferenza, aperta il 22 novembre al Campidoglio, alla presenza del Ministro della Giustizia Paola Severino, della Vice Segretaria del Consiglio d’Europa Gabriella Battaini - Dragona, del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, ha discusso i temi dei detenuti stranieri e del sovraffollamento delle carceri. È la seconda volta che la Conferenza viene ospitata in Italia. Era il 2004 quando i direttori delle amministrazioni penitenziari e degli Stati membri del Consiglio d’Europa licenziarono le linee guida sulle Regole Penitenziarie Europee, recepite nella Raccomandazione approvata nel 2006. Sabato 24 novembre, al termine della Conferenza, i delegati licenzieranno il testo delle linee guida sul trattamento dei detenuti stranieri e successivamente adotteranno una linea di azione sui problemi del sovraffollamento”. Giustizia: Sappe; poliziotto vittima del “fumo passivo” muore per tumore polmoni Ansa, 23 novembre 2012 La storia di un agente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Lecce, non fumatore, morto a 43 anni per un tumore ai polmoni è raccontata in una lettera inviata dal segretario nazionale del Sappe, Federico Pilagatti, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al presidente della Camera, Gianfranco Fini, per evidenziare “la grave problematica inerente il fumo emanato dalle sigarette dei detenuti che gli operatori penitenziari sono costretti ad inalare durante l’orario di lavoro”. “A ciò si registra - viene sottolineato dal Sappe - una indifferenza totale da parte dell’Amministrazione Penitenziaria nonostante le gravi patologie cardio-vascolari, respiratorie e tumorali che stanno colpendo i poliziotti penitenziari. Il fumo passivo colpisce gli operatori penitenziari - si evidenzia - e avvelena anche i detenuti non fumatori, che sono costretti, a causa del sovraffollamento a vivere nelle stesse stanze dei fumatori”. “L’agente di polizia penitenziaria morto a causa di un tumore ai polmoni - sottolinea il Sappe - non era un fumatore ma è stato costretto ad inalare per 21 anni, per 8-9 ore al giorno, il fumo passivo dei detenuti senza alcun presidio a tutela della salute dello stesso. Noi non vogliamo che i detenuti non fumino, ma quantomeno - afferma Pilagatti - che vengano adottate misure idonee a tutelare la salute di lavoratori e detenuti”. L’Amministrazione penitenziaria potrebbe intervenire, secondo il Sappe, “dotando le sezioni detentive di aspiratori ed includendo il fumo passivo nel documento di valutazione dei rischi ai sensi delle vigenti normative, al fine di riconoscere come malattia professionale tale rischio”. Giustizia: Sallusti; caro Procuratore, no a scorciatoie o balle… devo andare in carcere Tm News, 23 novembre 2012 “A mezzanotte scade la sospensione dell’ordine di carcerazione emesso nei miei confronti dopo la condanna a dodici mesi per un reato di opinione commesso da altri ai tempi in cui dirigevo “Libero”. Inizia così un editoriale sul “Giornale” del direttore Alessandro Sallusti intitolato “Caro procuratore, no a scorciatoie e attese da tortura”. “La politica ha avuto due mesi di tempo per rimediare a questa barbarie. Non lo ha fatto. Non pochi senatori si sono prima messi il passamontagna (voto segreto) come comuni rapinatori per confermare il carcere ai giornalisti, poi hanno versato lacrime di coccodrillo approvando un comma ad personam che salva i direttori (ma, paradosso, non me) e infine si sono arenati nelle sabbie mobili. Il nostro Senato l’unica cosa che ha provocato è uno sciopero dei giornali italiani, al quale noi non aderiamo come spiega oggi su questa pagina Vittorio Feltri. Non parliamo di Napolitano, capo della magistratura, che non ha proferito parola in tutti questi giorni dimostrando di essere quello che è, un rancoroso comunista che pensa così di prendersi una squallida rivincita sulla storia che lo ha visto sconfitto. Non sono da meno il premier Monti, campione di liberismo a parole, e la ministra Severino che evidentemente ha una coscienza che sta alla Giustizia come la mia al greco antico”. Uil-Pa: dalla cella ci racconti degrado carcere “Se, come appare inevitabile, il direttore Alessandro Sallusti dovesse varcare realmente le soglie di un penitenziario italiano sarà lampante l’ennesima contraddizione di una classe politica che nel momento in cui finge di preoccuparsi per l’inciviltà, il degrado e l’indegnità del nostro sistema penitenziario non perde occasione per varare l’ennesima legge che produce detenzione”. Lo afferma in una nota Eugenio Sarno, segretario di Uilpa-Penitenziari, secondo cui con la nuova norma il Parlamento “entra a gamba tesa sulla libertà di informazione, per certi versi già molto compromessa”. “Non ci dispiacerebbe - afferma poi il sindacalista lanciando una proposta-provocazione - che da cronista rigoroso il direttore Sallusti ci informi, e informi la società, con ampi articoli su come si vive e si lavora nelle patrie galere: qual è il vitto che si assicura giornalmente con 3,40 euro procapite, quali le forniture, come ci si trova a dover essere ristretto in una cella e fare i turni per stare in posizione verticale, come si vivono 22 su 24 ore chiuso in una cella sovraffollata, quali sono le sensazioni olfattive e acustiche che provengono dai cessi ubicati negli stessi locali in cui si cucina, qual è l’impegno dell’unico agente in sezione chiamato a gestire, da solo e disarmato, decine e decine di detenuti. Cosa si prova a captare il suono sinistro di uno sgabello che si rovescia e annunciare l’ennesima evasione dalla vita, della disperata corsa dell’agente per salvare la vita e della concitazione che ne segue o piuttosto ad ascoltare il silenzio che segue la morte. Caro Sallusti faccia in modo che la sua detenzione serva a qualcosa, posto che in ogni caso la sua vicenda è da collocare tra le tante pagine buie della storia oscurantista italiana”. Lettere: detenuti trattati da bestie, si entra delinquenti e si può uscire solo peggiori di Sissi Geraci La Sicilia, 23 novembre 2012 Abito molto vicino al carcere di Piazza Lanza, ciò mi permette di “monitorare” giornalmente tutto quello che vedo o sento dall’esterno. Le proteste dei carcerati sono sempre più frequenti, passano ore del giorno e della notte a sbattere scodelle e posate sulle inferriate, urlano. Hanno ragione! È sacrosanto che scontino la pena per i crimini commessi, ma sono ridotti a esseri umani che vivono in condizioni disumane e che tutti noi che leggiamo i giornali conosciamo. I detenuti aumentano ogni giorno. Il carcere di Piazza Lanza è un passaggio, in attesa di essere trasferiti in altro carcere dove scontare la pena definitiva. Ma le attese della nostra giustizia, come tutti sappiamo, sono infinite, e nel carcere di Piazza Lanza, nell’attesa in quelle condizioni, ci si ammala, si muore o ci si suicida. Si parla tanto riabilitazione sociale, ma rimangono sempre solo parole! C’è un unico sistema di “rieducazione”: quello praticato tra i reclusi stessi che si scambiano “lezioni” sulle migliori tecniche per commettere i reati. Tutte informazioni che purtroppo, vengono spesso messe in pratica quando si torna in libertà. D’altra parte che tipo di pentimento o cambiamento ci si può aspettare da una persona reclusa in un “lager”, trattata come bestia, incattivita da soprusi, dove il rispetto dei diritti umani non esiste e la dignità viene calpestata, dove la rieducazione rimane solo una parola astratta? Si entra delinquenti e si può uscire solo peggiori! Umbria: da martedì disponibile Avviso pubblico per selezione Garante dei detenuti Ansa, 23 novembre 2012 Sarà consultabile da martedì 27 novembre prossimo sul Bollettino ufficiale della Regione Umbria l’avviso pubblico per la selezione di candidature ai fini della designazione della figura del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale (legge regionale 13/2006). L’atto - ricorda un comunicato della Regione - era stato approvato dall’ufficio di presidenza del consiglio regionale il 12 novembre scorso. I requisiti individuati sono relativi alla comprovata competenza nel campo delle scienze giuridiche, scienze sociali e dei diritti umani e l’esperienza in ambito penitenziario. In particolare, i candidati dovranno quindi indicare nel proprio curriculum: di essere iscritti e partecipare attivamente ad organismi di servizio e associazioni che operano nel campo del volontariato; la conoscenza dell’ordinamento e del contesto penitenziario e di quelle istituzioni e associazioni con le quali è prevista l’interazione delle attività del Garante; l’esperienza nell’organizzazione di iniziative di informazione, promozione culturale e sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti e delle garanzie dei detenuti. Cause di incompatibilità sono ravvisate con la carica di parlamentare italiano ed europeo; presidente di Regione o Provincia; sindaco, assessore o consigliere di Comuni e Province; amministratore di enti pubblici, aziende o società a partecipazione pubblica, o di enti, imprese o associazioni che ricevono sovvenzioni o contributi dalla Regione. Le candidature presentate saranno valutate, per la sussistenza dei requisiti, dalla prima commissione consiliare, che predisporrà una relazione con l’elenco delle candidature idonee sulla base del quale il consiglio regionale farà la designazione del garante, mediante elezione con la maggioranza dei due terzi dell’assemblea. Al garante dei detenuti - spiega infine il comunicato - spetta un’indennità mensile pari al 20 per cento dell’indennità mensile lorda assegnata ai consiglieri regionali. Toscana: un “Garante metropolitano dei detenuti”, per carceri Firenze, Prato e Pistoia Ristretti Orizzonti, 23 novembre 2012 Il Consiglio provinciale ha approvato una mozione della Commissione Politiche sociali sulla situazione carceraria, in ordine al sovraffollamento, le carenze di risorse economiche e di personale di Polizia penitenziaria e sanitario, “lo stato di degrado strutturale in cui versano, a livello generale, gli istituti di pena della Regione Toscana”. Si auspica la promozione di alcune misure: la riduzione dei tempi di custodia cautelare, almeno per i reati meno gravi; l’istituzione a livello nazionale del Garante dei detenuti; l’applicazione della detenzione domiciliare; la creazione di istituti “a custodia attenuata” per tossicodipendenti; l’esclusione del circuito carcerario delle donne con bambini. Si prende atto che il Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti ha indetto un’iniziativa collettiva per denunciare la situazione del carcere al fine di raggiungere la sigla di un protocollo con l’amministrazione penitenziaria e un patto per migliorare la situazione delle carceri. “Gravemente insufficiente - recita la mozione - l’attuale numero di unità operative di Polizia penitenziaria e insufficiente l’attuale numero di unità amministrative e di educatori”. Nei giorni scorsi la Commissione aveva incontrato il Garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone e quello della Regione Toscana Alessandro Margara. Il Consiglio ha impegnato la Giunta a valutare la possibilità, sentite le Province di Prato e di Pistoia, di istituire un Garante Metropolitano per i diritti dei detenuti, e a sostenere il Consiglio per una seduta dell’Assemblea di Palazzo Medici Riccardi all’interno di uno degli istituti di pensa sul territorio fiorentino entro il 2012. In sintesi la mozione aderisce all’iniziativa dei Garanti approvando le richieste circa: la modifica della legge sulle droghe, l’abolizione della legge Cirielli, approvazione delle legge sull’introduzione del reato di tortura e sull’affettività in carcere, istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti; applicazione integrale del Regolamento penitenziario per assicurare condizione di vita dignitosa alla popolazione carceraria; rifinanziamento della legge Smuraglia sul lavoro dei detenuti. Siglata dal Presidente della Commissione Maurizio Cei, illustrata tra gli altri da Massimo Lensi (radicale, consigliere nel Gruppo Misto) e da Caterina Conti (Pd), la mozione ha avuto i voti di Pd, Idv e Rifondazione comunista. Contrari invece Pdl e Udc. Il Pdl aveva presentato un maxiemendamento, poi votato come documento, illustrato tra l’altro dal capogruppo Erica Franchi. Non ha voluto partecipare al voto il capogruppo della Lega Nord Marco Cordone, responsabile del movimento “Per non dimenticare Abele”, motivando il gesto come protesta verso “una scarsa attenzione a chi è vittima della criminalità”. Il padre di Cordone fu ucciso per strada, a Firenze, da un detenuto evaso dall’Opg di Montelupo. Sardegna: Pili (Pdl); arrivato un aereo carico di detenuti, sperpero denaro pubblico Agi, 23 novembre 2012 “È atterrato a Cagliari alle 11.21 un volo charter BV 00882 della Blue Panorama, carico di detenuti di incerta provenienza, ma si fa riferimento ad un possibile svuotamento del carcere di Civitavecchia”. Lo rende noto il deputato del Pdl Mauro Pili, che da stamani attendeva il volo all’aeroporto di Cagliari-Elmas. Il parlamentare in una nota spiega che “i detenuti dichiarati come comuni potrebbero raggiungere diverse destinazioni”, ma precisa che “il carcere di Oristano-Massama, in questo momento è sorvolato da elicotteri”. Per Pili “l’arrivo in Sardegna su un volo charter di detenuti dichiarati comuni è già di per se uno sperpero di denaro pubblico” ma “è più grave che il governo continui a considerare l’isola un vero e proprio collettore penitenziario, dato che le carceri sarde, a partire da Buoncammino di Cagliari, per finire con il San Sebastiano di Sassari, sono stracariche di detenuti”. “Per quale motivo”, chiede l’esponente del Pdl, “non sono stati alleggeriti i carichi di detenuti nelle carceri isolane e si è preferito invece l’utilizzo di aerei pagati chissà quanto per trasportare detenuti definiti comuni? È evidente - afferma - che il ministro della Giustizia continua a ritenere la Sardegna una vera a propria Cayenna di stato dove scaricare detenuti comuni e mafiosi”. Monza: detenuto campano di 51 anni si impicca in cella, morto in ospedale Adnkronos, 23 novembre 2012 Un detenuto di origini campane di 51 anni, collaboratore di giustizia, è morto ieri sera all’ospedale di Monza, dopo aver tentato il suicidio nel carcere del capoluogo brianzolo. Ne dà notizia Donato Capece, segretario generale del sindacato della Polizia Penitenziaria Sappe. “Il 20 novembre - informa Capece - il detenuto aveva tentato di porre fine alla propria vita cercando d’impiccarsi e solo grazie al tempestivo intervento del personale di Polizia Penitenziaria in servizio si è riusciti congiuntamente al personale medico e paramedico a trasportare urgentemente il detenuto presso la struttura ospedaliera più vicina. Purtroppo la vicenda ha portato ad aggiornare l’elenco delle persone morte per suicidio, anche se il decesso non sé avvenuto all’interno del penitenziario”. Il personale di Polizia Penitenziaria, continua Capece, “è intervenuto nell’immediatezza e con la professionalità che lo distingue, nonostante tutte le problematiche che affliggono il corpo. Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere, gli eventi critici potranno solo aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano, se non si troverà una celere soluzione a tutte quelle criticità legate alla maggior parte degli istituti penitenziari italiani”. Firenze: detenuto di 30 anni si dà fuoco in cella, è ricoverato in gravi condizioni Ansa, 23 novembre 2012 Un detenuto 30enne si è dato fuoco ieri sera nel carcere fiorentino di Sollicciano. È successo intorno alle 21.30 nella decima sezione penale. La notizia è stata confermata dal Garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone. L’uomo, non si conoscono ancora le sue generalità, si sarebbe dato fuoco utilizzando un fornellino. Dopo le prime cure i medici hanno deciso il suo trasferimento al centro grandi ustionati di Pisa: le sue condizioni sono serie ma non sarebbe in pericolo di vita. Il Garante: decreto legge contro il sovraffollamento “Non ci sono parole adeguate per questo ennesima tragedia. Il silenzio del Governo, del Presidente del Consiglio e dei ministri coinvolti, è davvero imbarazzante”. Così il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone commenta il tentativo di suicidio messo in atto ieri sera da un detenuto trentenne, italiano, del carcere fiorentino di Sollicciano. Corleone, anche prendendo spunto da questo episodio si dice convinto che la catena del digiuno ad oltranza “per un decreto legge contro il sovraffollamento deve continuare, soprattutto perché le richieste sono ragionevoli e condivise dal Consiglio Superiore della Magistratura”. Secondo Corleone, “la ministra Paola Severino continua a baloccarsi con proposte irrilevanti e si assume così la responsabilità dell’Apocalisse”. Gli organizzatori del digiuno collettivo ad oltranza, giunto oggi al trentaseiesimo giorno, chiedono tra l’altro di cancellare le norme della legge sulle droghe che incarcerano per fatti di lieve entità e impediscono l’uscita dei tossicodipendenti, di approvare la legge contro la tortura in carcere, quella per l’affettività dei detenuti e l’istituzione del Garante nazionale. Secondo quanto si è appreso il trentenne, avrebbe riportato ustioni al volto e in altre parti del corpo, probabilmente utilizzando una bombola di gas che alimenta un fornellino da cucina. Il detenuto avrebbe anche inalato il gas e ciò gli ha provocato un leggero inizio di intossicazione. Non sono ancora i chiari i motivi che hanno spinto il giovane ha compiere il gesto di autolesionismo. Viterbo: appello della madre di un detenuto “aiutatemi a salvare la vita di mio figlio” Ristretti Orizzonti, 23 novembre 2012 “Aiutatemi a salvare la vita di mio figlio. Ha perso 12 chili in poco più di un mese. Un dimagrimento che lo ha ridotto in condizioni penose. Ha appena 28 anni e per la distanza non lo vediamo da circa un anno. Siamo disperati”. Sono le parole con cui una madre di Orgosolo si è rivolta all’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, presieduta da Maria Grazia Caligaris, per manifestare l’esigenza che il ragazzo P.U. torni in Sardegna per scontare la pena inflittagli. “Le condizioni economiche della famiglia e lo stato di salute del padre non ci permettono di poter effettuare i colloqui regolarmente - ha detto la donna che più volte nel corso dell’accorato appello ha fatto cenno alla volontà autolesionistica manifestata dal ragazzo nell’ultima telefonata alla famiglia. Le condizioni di salute di mio figlio hanno destato preoccupazione tra i medici dell’infermeria dell’Istituto Penitenziario di Viterbo inducendoli a prescrivergli dei farmaci e a fissare una nuova visita il prossimo 30 novembre”. “Nostro figlio è stato condannato - ha sottolineato la donna - per gli errori commessi a una pena detentiva che sta scontando ma non possiamo accettare di avvertire nella sua voce e attraverso le sue parole una così grande disperazione. Abbiamo molta paura per la sua incolumità. Le parole che pronuncia al telefono ci fanno ritenere che non sia più in grado di reggere la distanza dalla sua famiglia”. “Il caso di P.U. - sottolinea la presidente di SdR - ancora una volta evidenzia la necessità che il Dipartimento rispetti il principio di territorialità della pena soprattutto quando si tratta di persone giovani. La lontananza dalla famiglia infatti accentua il disagio rendendolo talvolta insostenibile e generando quelle condizioni psicologiche che spesso diventano l’anticamera di stress incontrollabili. Dare una possibilità anche temporanea di permanenza significa consentire a queste persone di riabilitarsi e ritrovare l’equilibrio divenuto ormai precario. Vuol dire inoltre alleviare il grave disagio delle famiglie specialmente quando sono monoreddito e con problematiche di carattere sanitario come in questo caso”. “P.U. - ricorda Caligaris - è detenuto da quasi 5 anni. Dopo lo sfollamento della Casa Circondariale di Ferrara, in seguito al sisma, è stato trasferito a Viterbo. In attesa di giudizio definitivo, viene in Sardegna in occasione delle udienze ma non gli mai stato consentito di poter restare nell’isola. L’ultima volta non ha neppure potuto effettuare i colloqui con i familiari”. “Nella risposta fornita all’associazione dall’Ufficio del Capo del Dipartimento lo scorso mese di agosto si evidenziava la “spiccata pericolosità” di P.U. ma a distanza di alcuni mesi e in considerazione delle oggettive difficoltà a reggere la detenzione così lontano da casa, esprimiamo l’auspicio - conclude la presidente di SdR - che in occasione dell’udienza del 7 dicembre prossimo sia presa in considerazione l’ipotesi di un periodo di permanenza nel carcere di Nuoro almeno per effettuare i colloqui con i parenti. Riteniamo che la rieducazione di un ragazzo possa dare un migliore risultato se associata all’ambiente in cui è nato e cresciuto e dove dovrà tornare a vivere una volta scontata la pena”. Padova: 12 reclusi in 16 mq, i detenuti sono più del doppio rispetto alla capienza di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 23 novembre 2012 Condizioni di vita disumane in carcere: lo dicono i numeri. Non solo quelli nazionali e regionali (nel Veneto una popolazione carceraria di 3.065 detenuti contro una capacità dei suoi 10 istituti di pena di 1748 presenze), ma anche le cifre locali. Dati freschi della giornata di ieri: a Padova nella Casa di Reclusione (per i detenuti condannati in via definitiva) si registravano 878 presenze, mentre la capacità è di 369 con una tollerabilità fino a 694 detenuti; nella Casa Circondariale (per chi è in detenzione preventiva, in attesa o in corso di giudizio) risultavano 243 detenuti contro una capienza di 82 e una tollerabilità fino a 160. Eppure in Italia ci sono carceri nuove inutilizzate per mancanza di personale. È così che in tribunale il presidente della Camera penale di Padova, Annamaria Alborghetti, ha aperto l’incontro per spiegare le ragioni alla base dell’astensione dei penalisti organizzata per giovedì, registrando l’adesione dell’Associazione nazionale magistrati (presenti il presidente veneto Lorenzo Miazzi e la coordinatrice padovana Mariella Fino), di Antigone (Francesca Vianello), Ristretti Orizzonti (Ornella Favaro), dei sindacati Cgil e Cisl, dei Giuristi democratici (Leonardo Arnau) con i Radicali (Maria Grazia Lucchiari). Secondo Alborghetti servono provvedimenti immediati, l’amnistia o l’indulto, “accompagnati da riforme strutturali”. Matteo Iannuzzi, della segreteria padovana Cisl polizia penitenziaria, ha ricordato che i suicidi non esistono solo tra i carcerati: “Si tolgono la vita una ventina di colleghi all’anno... Anche noi viviamo in una sorta di detenzione. L’80% dei fondi destinati all’amministrazione penitenziaria vanno per gli stipendi dei dirigenti basta pensare che il capo del Dap percepisce quasi 600 mila euro l’anno, ben più del capo dell’Fbi”. Intanto i 43 mila agenti italiani sono sempre meno e sempre più vecchi, mentre i concorsi risultano bloccati. “Il 17 settembre è arrivata in casa circondariale il ministro Severino e ha trovato una situazione inimmaginabile: fino a 12 detenuti in celle da 16 metri quadrati con i materassi sotto i letti... Gestiamo 28 etnie senza corsi adeguati di formazione. E quando i detenuti non se la prendono fra loro, attaccano noi agenti. Il ministro aveva promesso di tornare entro 60 giorni...”. Chi la vista? “Se fino a oggi non ci è scappato il morto, è merito nostro”. Giampiero Pegoraro della Cgil ha completato il quadro: “Sono state bloccate le assunzioni di direttori, assistenti sociali ed educatori: bisogna arrangiarsi... E intanto ci troviamo a fare anche gli psicologi: giorni fa un agente della casa circondariale ha parlato oltre tre ore con un detenuto per distoglierlo dall’idea di suicidarsi”. Vicenza: Paolo Mele Senior (Camera Penale); il carcere è inumano, stranieri a casa loro Giornale di Vicenza, 23 novembre 2012 Oggi, a livello nazionale, gli avvocati penalisti scioperano per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione all’interno delle carceri. A Vicenza ha parlato dei problemi del San Pio X l’avvocato Paolo Mele senior, membro della camera penale berica, che ha proposto di far scontare la pena agli stranieri nei loro paesi d’origine. Avvocato, perché questa giornata? È un momento di doveroso silenzio e riflessione di fronte all’immobilismo del sistema istituzionale che non dà risposte concrete a problemi gravi, che vanno ben oltre la condizione dei detenuti, indecorosa e incivile. Com’è la situazione al S. Pio X? Ci sono 350 detenuti per 140 posti; esistenza impossibile, nelle celle per 2 sono in 4. L’assistenza sanitaria non è adeguata, e questo certo non per colpa del personale, che pur essendo carente fa l’impossibile. Ogni anno in Italia muoiono 200 detenuti (molti suicidi), e una ventina di operatori (molti suicidi). C’è una situazione di degrado psicologico spaventosa. Cosa si dovrebbe fare? L’importante non è parlare dei problemi, o nasconderli nell’indifferenza. Bisogna risolvere queste questioni. Il presidente della corte d’Appello di Milano ha definito il carcere un “luogo di tortura”, in cui manca il rispetto umano. I problemi non si risolvono con nuovi carceri o amnistie: bisogna rivedere i criteri di carcerazione. Cosa significa? Oggi la maggior parte dei detenuti sono in attesa di processo. La loro è una pre-espiazione, che in qualche caso è ingiusta. La pena va scontata dopo la condanna. Senza dire che il carcere dovrebbe essere luogo di rieducazione e recupero: per i tossicodipendenti, ad esempio, si comprende che il sistema ha fallito. Molti detenuti sono stranieri. A Vicenza il 70-80 per cento. Ognuno costa 300 euro al giorno. Forse è il caso di rinunciare in parte alla nostra sovranità nazionale e farli espiare la pena nei loro paesi, pagando a quei governi una parte di quei 300 euro. Che risposte avete dalla politica? I politici compaiono all’improvviso, stanno qualche ora in carcere e poi denunciano la vergogna. Tutta la classe politica è da ritenersi responsabile. Di fronte ad un’emergenza grave, parla e non risolve i problemi. Livorno: alle Sughere sopraffollamento umiliante, ma un’ala nuova resta chiusa di Maria Giorgia Corolini Il Tirreno, 23 novembre 2012 “La situazione dei detenuti è disumana. Ecco perché è necessario riaprire al più presto l’ala delle Sughere chiusa l’anno scorso e trasferire a Livorno le persone che allora sono state portate nel carcere di Porto Azzurro dove per ospitarle è stato necessario adeguare ex magazzini in disuso e trasformarli in celle”. Nel giorno dello sciopero degli avvocati per denunciare la situazione drammatica dei penitenziari a parlare è Marco Solimano, garante dei detenuti perla provincia di Livorno. I numeri che emergono a livello nazionale sono di per sé sono: oltre 66mila detenuti nelle carceri italiane a fronte dei 45mila previsti al massimo. In alcune carceri il tetto di coloro che sono in attesa di una sentenza definitiva sfiora il 50% del totale dei detenuti, in tutto il Paese sono più di 26mila. Poi ci sono i decessi: 138 i morti dall’inizio dell’anno, di cui 50 i suicidi. “Un vero e proprio dramma sociale che viola le norme europee sul rispetto della dignità dell’uomo”, spiega Vinicio Vannucci, presidente delle Camere penali di Livorno. “In molti - prosegue - nel corso degli anni hanno denunciato questa situazione di sofferenza e abbandono eppure lo Stato si ostina a non far niente al di là dei proclami e quella dei penitenziari è diventata una bomba pronta ad esplodere”. Se sul territorio nazionale i numeri sono allarmanti il nostro comune non è da meno: il carcere delle Sughere di Livorno ospita in questo momento circa 140 detenuti; nonostante siano meno della sua capienza teorica la situazione è ugualmente drammatica visto che solo un’ala del penitenziario è occupata e le altre due sono state sgomberate per inagibilità. Dei 350 detenuti sfollati un anno fa un po’ in tutta Italia una parte è finita nel carcere di Porto Azzurro che già ospitava circa 400 detenuti rispetto a una capienza massima di 250. “In realtà un’ala nuova e moderna nel penitenziario livornese c’è - spiega Solimano - ed è stata costruita rispettando il grado di civiltà del nostro paese. Qui non manca l’acqua calda e i servizi igienici sono separati dalle altre aree. E pronta, ma resta chiusa”. Ecco perché toma a chiederne a gran voce l’apertura: “La situazione è drammatica e il sovraffollamento umiliante; chiediamo che la città sia informata sulla tempistica per l’apertura del nuovo padiglione, che è pronto”. Una soluzione al problema tentano di dada gli avvocati. “Il problema si risolve con altre misure carcerarie come la messa alla prova del soggetto e l’estinzione del reato. Ad esempio da alcuni anni è stata introdotta la pubblica utilità per i reati come lo stato di ebbrezza e droga”. II paradosso della procedura penale e della sua applicazione lo spiega l’avvocato Ettore Puppo, membro del direttivo delle camere penali: “Si mette in carcere in attesa di decidere se andare in carcere. Invece - aggiunge - la custodia in carcere come ultima ratio”. Ecco perché gli avvocati che ieri in aula hanno osservato anche un minuto di silenzio chiedono anche l’uso del braccialetto elettronico. “Serve un ricorso maggiore alle misure alternative - insiste Vannucci - da parte nostra questa è ima battaglia che vogliamo fare. Per essere più sicuri bisogna cambiare strategia”. Avezzano (Aq): Uil; carcere senza problemi, ma rischia chiusura per spending rewiew Ansa, 23 novembre 2012 La Uil provinciale dell’Aquila lancia l’allarme per l’ipotesi di chiusura del carcere di Avezzano al termine di una visita alla struttura da parte del segretario provinciale Uil, Mauro Nardella, e del componente Gruppo aziendale Uil (Gau), Mario Contestabile. La visita ispettiva “ha permesso di avere dei riscontri seppur non ufficiali sulla questione - afferma Nardella - che rischierebbe qualora dovesse essere suffragata da ratifica da parte del Ministero della Giustizia di mettere i sigilli a uno dei migliori istituti d’Italia. Anche la condizione dei detenuti - aggiunge - risulta molto migliore rispetto a quella dei loro compagni ubicati in altri istituti. L’area educativa risponde molto bene alle esigenze istituzionali e quella sanitaria presenta criticità pressoché nulle”. “Chiudere un carcere così ben messo - sostiene Nardella - sarebbe un autentico suicidio per un’amministrazione costretta a fare i conti con altre realtà che di cotanta efficienza ne hanno ben poca. La Uil chiederà, attraverso una nota che invierà al Provveditore Regionale intanto la veridicità delle informazioni assunte e, nel contempo, garanzie da parte dello stesso provveditore affinché venga predisposto un progetto che garantisca il carcere di Avezzano da una politica che con la scusa della spending rewiew rischierebbe di far chiudere il miglior carcere d’Italia”. Oristano: martedì si inaugura il nuovo carcere, a Massama arriva il capo del Dap L’Unione Sarda, 23 novembre 2012 Il ministro Paola Severino ha dato forfait. E martedì prossimo, a Massama, arriverà il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino. La visita è in programma nel primo pomeriggio e prevede una tappa veloce nel nuovo carcere di Oristano. Sarà una specie di inaugurazione tardiva, visto che le celle sono occupate già da diverse settimane. Ovviamente si parlerà dei due argomenti che ultimamente hanno alimentato le polemiche: i lavori non eseguiti a regola d’arte, ma anche l’arrivo di decine di mafiosi e camorristi. Il trasloco era previsto per la settimana scorsa ma la fuga di notizie e il maltempo hanno fatto saltare all’ultimo i piani del Ministero della Giustizia. A Massama, secondo la denuncia del deputato Mauro Pili e di alcuni sindacati della Polizia penitenziaria, dovranno arrivare numerosi detenuti che hanno appena finito di scontare il regime del carcere duro previsto dal 41 bis. Ex boss, magari collaboratori di giustizia, che hanno concluso il periodo di isolamento totale e che attualmente sono reclusi nelle carceri di diverse regioni. Due settimane fa il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva già avviato le operazioni preliminari per far arrivare in Sardegna il gruppo di detenuti ad alto rischio. Erano stati radunati a Milano e sarebbero stati caricati su due aerei da far decollare di domenica verso l’Isola. Erano stati allertati alcuni medici, ma i fuori programma hanno fatto saltare tutto. A parte la fuga di notizie, i problemi maggiori li ha riservati la pioggia. Dopo due giorni di temporale le celle del nuovo carcere si sono allagate e farci entrare i detenuti era impossibile. A quel punto il trasloco dei mafiosi era stato rinviato al 20 novembre, ma quella era sembrata subito una data fissata solo per depistare. Quando inizierà il trasloco, forse, lo dirà martedì pomeriggio Giovanni Tamburino. Modena: il Sindaco Pighi; in carcere c’è un sovraffollamento ormai non più tollerabile Sesto Potere, 23 novembre 2012 “Una situazione di sovraffollamento ormai non più tollerabile”. È il giudizio del sindaco di Modena Giorgio Pighi sulle condizioni del carcere cittadino di Sant’Anna dove “il disagio dovuto alla presenza di circa il doppio dei detenuti previsti dalla capienza della struttura è attenuato solo grazie all’impegno e all’abnegazione della Polizia penitenziaria e della direzione, ma non è pensabile di andare avanti così”. Il sindaco ha partecipato all’iniziativa promossa giovedì 22 novembre da giudici, da avvocati della Camera penale e dalle istituzioni locali per chiedere il miglioramento della situazione e denunciare il ritardo che riguarda l’apertura della nuova ala del carcere, terminata da mesi ma non utilizzata per mancanza di personale. “Con la nuova ala, che deve essere aperta al più presto con la necessaria dotazione di personale, saranno disponibili circa 200 posti in più - spiega il sindaco - che dovranno essere utilizzati per riequilibrare la situazione in tutto il carcere e migliorare le condizioni di vita dei detenuti, le opportunità occupazionali, i rapporti con la città e le condizioni di lavoro degli operatori; non certo come posti aggiuntivi”. Brescia: il Comune avvia Comunità per i ragazzi già entrati nel “circolo penale” di Silvana Salvadori Brescia Oggi, 23 novembre 2012 L’Amministrazione comunale ha deciso di avviare una comunità per i ragazzi già entrati nel “circolo penale”, con la funzione di centro di pronta accoglienza. La sede si trova in via Orzinuovi e manca solo il nulla osta del ministero. Maione: “Vorremmo inaugurarla prima del voto”. Quando le famiglie vivono situazioni di difficoltà, spesso sono i bambini a pagare il prezzo più alto. A Brescia sono circa duemila le famiglie seguite dai Servizi sociali attraverso vari progetti, e soprattutto attraverso il Servizio prevenzione mirato a “garantire il diritto del minore a vivere nel suo nucleo familiare, perché è questo il punto da cui partiamo”, ha spiegato Silvia Bonizzoni, responsabile del Servizio minori del Comune. Nella Giornata mondiale dedicata ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’assessorato di Giorgio Maione ha colto l’occasione per fornire la fotografia della situazione dei minori provenienti da famiglie con difficoltà. Non solo: l’assessore ha annunciato l’apertura di una comunità-centro di pronta accoglienza in alternativa al Beccaria. I numeri descrivono una realtà sempre più orientata alla prevenzione e al mantenimento dei bambini all’interno del nucleo familiare di origine, ma anche di difficoltà sempre crescenti per le famiglie nella crescita e nell’educazione dei più piccoli. Se da un lato crescono gli affidi familiari (63) a scapito del collocamento in comunità alloggio (58 minori più 2 in Comunità socio sanitarie perché portatori di disabilità), dall’altro crescono i provvedimenti dell’Autorità giudiziaria del Tribunale minorile: nel 2011 sono stati 943, il 13% in più rispetto al 2010. Segno di una fragilità genitoriale sempre più dilagante, aggravata da una crisi economica che mette a dura prova tutti i nuclei familiari, a partire da quelli più indigenti. Per questo il Servizio minori del Comune sta puntando sempre più sulla prevenzione, erogando contributi (163mila euro da gennaio a ottobre 2012) per dare sollievo alle famiglie, deliberando accessi gratuiti ai servizi sociali come mense e trasporti (32mila euro) e al magazzino alimentare gestito dall’associazione “Bimbo chiama bimbo” che impegna il Comune per 120.000 euro. “Il 90% del nostro lavoro è fatto di attività con le famiglie, perché l’indigenza non è un motivo sufficiente per allontanare i bambini e bisogna puntare al mantenimento, il più possibile, all’interno del nucleo originario”, ha ribadito Bonizzoni. Non sempre, però, è possibile. Per questo, oltre alle Comunità alloggio e agli affidi familiari, il Comune di Brescia ha attivato una serie di servizi mirati alla tutela dei più piccoli: 37 ospiti (madri con figli) sono collocati nei Centri di pronto intervento per soccorrere le donne vittime di violenza, 27 sono ospiti di case d’accoglienza per l’accompagnamento all’autonomia delle donne con figli passate dai Centri di pronto intervento, 8 neomaggiorenni vivono in appartamenti per l’autonomia, 8 ragazze sono inserite in centri diurni per adolescenti complessi, 40 minori stranieri non accompagnati sono in case d’accoglienza, mentre altri 27 sono stati accolti da famiglie straniere della stessa etnia del minore. La rete di sostegno indiretta alla famiglie con minori, costituita fra gli altri dal Servizio educativo domiciliare, dal Gruppo formazione lavoro e dalla collaborazione con il Centro oratori bresciano è molto più vasta e articolata. A questa si aggiungono gli otto Centri di aggregazione giovanile (uno gestito dal Comune in via Cimabue e sette accreditati), che propongono ai ragazzi un progetto educativo annuale che va oltre la dimensione del gioco. “L’impegno economico del Comune in questo settore è di sei milioni di euro - ha sottolineato l’assessore ai Servizi sociali Giorgio Maione - a cui va aggiunto un altro milione di euro di attività erogate dal terzo settore. Oggi i costi di questo ambito sono un problema rilevante, più volte e a più livelli ho chiesto di rivedere gli standard delle comunità per abbatterli”. “Prima della fine di questo mandato - ha concluso l’assessore - vorremmo consegnare ai bresciani un’altra eccellenza nel campo della tutela minorile: stiamo attendendo l’ultimo nulla osta del ministero della Giustizia per avviare una comunità per minori entrati nel circolo penale con funzione di centro di pronta accoglienza, in alternativa al Beccaria di Milano. La struttura di via Orzinuovi è già pronta, speriamo di poterla inaugurare prima delle prossime elezioni, perché è un progetto a cui stiamo lavorando da anni con la Procura minorile, il Tribunale, l’Asl e la neuropsichiatria infantile del Civile”. Bologna: per “Festa della famiglia” in carcere detenuto potrà incontrare il suo cane Ansa, 23 novembre 2012 Per la “Festa della famiglia” in carcere, in programma da lunedì a sabato prossimo, un detenuto riceverà la visita del proprio cane. Succede a Bologna e la notizia, anticipata on line dall’edizione locale di Repubblica, è confermata dalla direttrice del penitenziario della Dozza, Ione Toccafondi. Il detenuto, che si trova in un reparto di alta sicurezza, ha presentato la richiesta e la dirigenza, in via eccezionale, ha dato risposta positiva. “Ci siamo sentiti di accoglierla - ha detto Toccafondi - perché ci è sembrata accettabile e valida”. Per la prima volta nel capoluogo emiliano, le porte del carcere si apriranno dunque ad un animale da compagnia. Durante la festa, i detenuti riceveranno in locali diversi dal consueto parlatorio, i propri familiari, con la possibilità di far giocare i bambini. “È un momento dedicato agli affetti, e un cane è un affetto”, prosegue la direttrice. L’animale sarà portato all’interno dalla compagna dell’uomo. Quella dell’incontro in carcere tra padrone e cane è un’esperienza vissuta da non pochi detenuti. Tra i casi più eclatanti quello del boxer Lola che nel 2008 ha potuto riabbracciare il suo proprietario, nel carcere di Livorno, dopo mesi in cui l’animale, a causa della detenzione dell’uomo e dunque della sua assenza da casa, non mangiava più e a detta del veterinario era depresso. Sempre nel 2008 nel carcere umbro di Capanne, un allora trentenne condannato per l’omicidio di una donna, chiede e ottiene di poter rivedere il suo setter irlandese Red a cui è molto legato. È a Sollicciano, nel 2006 che, dopo cinque mesi di separazione, si incontrano un detenuto fiorentino e il suo doberman. Il detenuto ottiene l’autorizzazione dal direttore del carcere all’incontro perché depresso e preoccupato per la sorte capitata al cane dopo il suo arresto. L’animale, infatti era finito in un canile. Forse il prima caso di “colloquio” detenuto-cane, e forse il più famoso, è quello che vide negli anni di piombo protagonisti Sergio Segio, leader di Prima Linea, e il suo pastore tedesco Igor. L’incontro avvenne nel febbraio 1986 nel cortile dell’aula bunker di Milano dove era in corso il processo d’appello a Prima Linea. Segio fu autorizzato dal giudice Guicciardini, animalista convinto e padrone anche lui di un cane, a rivedere Igor dopo otto anni, il tempo della sua latitanza. Roma: lunedì dibattito “il carcere ed i media, tra silenzio e cronache a forti tinte” Adnkronos, 23 novembre 2012 Cinema, letteratura e arti varie sono state da sempre ispirate dal concentrato di vita, drammi e trasgressione che il carcere contiene ed evoca. Giornali e televisione hanno con il carcere un rapporto discontinuo che oscilla tra il silenzio e le cronache a forti tinte. Ma quanto l’informazione concorre alla formazione di un’opinione pubblica consapevole sui temi del carcere e delle politiche penali? E il web, il giornalismo partecipativo, i nuovi linguaggi del cinema e della televisione possono contribuire a questa funzione? Se ne discuterà lunedì alle 16, al Museo criminologico di Roma. All’incontro partecipano Luigi Pagano, vice capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Anversa, giornalista Rai; Vincenzo Marra, regista; Domenico Manzi, ispettore di Polizia Penitenziaria; Barbara Cupisti, autrice e regista Rai; Valentina Ascione, giornalista; Assunta Borzacchiello, capo ufficio stampa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. È prevista la proiezione di alcuni stralci de “Il Gemello” di Vincenzo Marra, e di “Fratelli e sorelle-Storie di carcere” di Barbara Cupisti. Bologna: un laboratorio di musica e teatro anche per chi è in misura alternativa Redattore Sociale, 23 novembre 2012 Buffa (Prap): “Spesso si trascura l’aspetto sociale della pena, ma è quello più utile”. Appuntamento il 28 novembre alla Centofiori. Hanno un età compresa tra i 25 e i 57 anni, sono tutti uomini e quasi tutti italiani. Sono i 10 ex detenuti e persone in misura alternativa che hanno partecipato al percorso laboratoriale di musica e teatro dell’associazione Gruppo Elettrogeno, “I fiori blu”. Per un mese e mezzo hanno frequentato gli incontri settimanali dei laboratori nella Sala Alessandrini del Quartiere Navile, dove hanno imparato a suonare le percussioni, cantare e preso parte a un lavoro di scrittura scenica collettiva. “Spesso si trascura l’aspetto sociale della pena - ha detto Pietro Buffa, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria - anche se costituisce la più utile alla società”. Il 28 novembre i 10 musicisti si esibiranno nello spettacolo-concerto “La collina in-cantata, voci da fuori le mura” accompagnati dalla tromba di Paolo Fresu (Sala Centofiori, ore 21). All’evento, oltre al trombettista jazz, penderanno parte diversi giovani musicisti della scena locale e internazionale, tra cui Etta Scollo. “I testi sono stati scritti insieme ai partecipanti - racconta Martina Palmieri responsabile del laboratorio teatrale di Gruppo Elettrogeno. Abbiamo lavorato sui temi teatrali dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, mescolando insieme molteplici personalità. Sul palco del 28 qualcosa resterà invisibile di tutto questo, ma chi ha preso parte ai lavori ha scoperto delle qualità personali che non si aspettava e una dimensione collettiva e partecipata che è fondamentale per ogni uomo”. Il laboratorio musicale ha invece lavorato sull’opera di Fabrizio De Andrè, influenzata dall’opera di Lee Masters, in particolare l’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo”. “Abbiamo avuto un approccio molto professionistico e tutto il gruppo si è misurato con grande serietà, passione e senso dell’appartenenza al lavoro - dice Sebastiano Scollo, responsabile del laboratorio musicale “I fiori blu” - Proponendo un tema già semilavorato abbiamo cercato di far emergere le diverse potenzialità”. Il laboratorio musicale, curato dai docenti Fabio Tricomi, Roberto Bolelli, Daniela Capogreco e Massimo De Stephanis, è una preparazione per il seminario con Fresu che il 27 novembre, sarà a Bologna per incontrare i partecipanti in una sorta di prova generale dello spettacolo. I laboratori “I fiori blu” rientra in un progetto di inclusione per le persone che hanno finito di scontare la loro pena e per quelle in misura alternativa che il gruppo Elettrogeno porta avanti insieme alle istituzioni locali. Nel 2012 sono state 927 le persone in carico al servizio di esecuzione penale esterna (Dati al 20 novembre 2012), di cui 475 nuovi ingressi. “Sono persone che devono seguire quotidianamente regole precise e sottostare a diversi vincoli e spesso non hanno un lavoro fisso che gli consenta di arrivare alla fine del mese - spiega Maria Paola Schiaffelli, direttore dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna - Nonostante ciò hanno scelto di prendere parte ai laboratori conciliando queste attività ai vincoli imposti dalla pena”. Grecia: rivolta immigrati in Centro di detenzione, 16 feriti tra detenuti e agenti Ansa, 23 novembre 2012 Nel pomeriggio di venerdì si è scatenata una rivolta in un centro detenzione nel nord della Grecia, a Komotini: 12 immigrati lì detenuti e quattro agenti sono rimasti feriti. Gli immigrati, per protestare contro la loro detenzione senza scadenza, hanno iniziato a lanciare pietre contro le forze dell'ordine, che hanno risposto con il lancio di gas lacrimogeni. Circa 550 persone, per lo più originarie di Pakistan e Afghanistan sono rinchiuse nel centro di Komotini, uno dei più grandi fra quelli allestiti di recente in Grecia sotto il governo di coalizione, che ha irrigidito la politica nei confronti dell'immigrazione clandestina. Molti dei centri di accoglienza sono ex caserme dell'esercito ed hanno in molti casi servizi insufficienti. Tunisia: dopo sciopero fame dei detenuti salafiti; rivolta carcere Mornagouia Ansa, 23 novembre 2012 Il tentativo del ministro della Giustizia tunisino, Mohamed Bihri, di allentare la tensione nelle carceri tunisine, con la visita nel reclusorio di Mornagouia - cuore della rivolta dei reclusi e dove ancora alcune decine di detenuti attuano lo sciopero della fame - ha sortito l’effetto contrario perché ha dato il via a violente proteste ed anche a episodi di autolesionismo. Solo nella tarda sera di ieri le guardie della prigione hanno riportato la calma, ma, mentre era in corso la visita di Bhiri, ci sono stati momenti di grande tensione, soprattutto quando tre detenuti comuni, che avevano chiesto invano di incontrare il ministro, si sono inferte delle ferite usando delle lame. I detenuti, comunque, continuano a sostenere le loro richieste che si riassumono nella scarcerazione - al di là dell’accertamento delle responsabilità penali - e, comunque, della celebrazione in tempi rapidi dei loro processi. Sceicco Wahabita in carceri Con una iniziativa che ha già scatenato un’ondata di sarcastici commenti, il Ministero della Giustizia tunisino - alle prese con il problema dello sciopero della fame attuato da decine di reclusi, salafiti e comuni - ha invitato un predicatore wahabita a tenere sermoni nelle carceri del Paese dove più forte è la protesta. Bechir Ben Hassan, vicepresidente della Lega tunisina dei predicatori, ha detto che cercherà di portare le anime più toccate dal male sulla “retta via” e in ogni caso le sue preghiere saranno indirizzate a tutti i detenuti e che, quindi, non intende affatto speculare sulla particolare situazione delle prigioni del Paese, dove la protesta guidata dai salafiti sta dilagando. Le perplessità di molti media, che trovano riscontro anche nel dibattito che si è aperto sui forum, è sulla scelta di un predicatore wahabita, corrente islamica tradizionalmente legata alla più totale ortodossia e alla quale i salafiti sono vicini. Russia: una delle Pussy Riot in cella d’isolamento “per motivi di sicurezza” Agi, 23 novembre 2012 Maria Aliokhina, una delle componenti del gruppo punk Pussy Riot condannate al carcere, è stata trasferita in una cella di isolamento di Perm per motivi di sicurezza. “È stata la giovane a chiedere alla direzione del carcere misure per garantire la sua incolumità: aveva l’impressione che le persone con cui era (in cella) avessero un atteggiamento negativo nei suoi confronti”, ha spiegato un portavoce del Servizio Penitenziario Federale. Perciò, ha aggiunto, si è deciso di trasferirla in una cella dopo possa stare da sola per un tempo illimitato”. Maria Aliokhina, insieme a Nadia Tolokonnikova, è stata inviata in un campo di lavoro lontano da Mosca per scontare la condanna a due anni per “teppismo motivato da odio religioso”, in seguito alla performance anti-Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore. Le due, entrambe madri di bambini piccoli, avrebbero voluto scontare la pena in una prigione moscovita ma sono state trasferite rispettivamente nel penitenziario n. 32 di Perm, vicino ai monti Urali, e in quello n.14 in Mordovia, Russia centrale.