Giustizia: la situazione delle carceri italiane è sempre più abominevole di Adriano Sofri Il Foglio, 21 novembre 2012 La situazione delle carceri italiane è sempre abominevole, dunque sempre più abominevole. Ci sono moltissime persone che si battono strenuamente contro questo abominio. Cominciano quattro giornate di sciopero della fame e battitura dei ferri fuori e dentro le prigioni, indette dai Radicali, alcuni dei quali stanno già digiunando in nome della necessità di un’amnistia e della rivendicazione dell’effettivo esercizio del diritto di voto per i detenuti: Marco Pannella, Rita Bernardini, Irene Testa, Valter Vecellio, Maurizio Turco, e tanti altri. Con le stesse richieste o con richieste analoghe partecipano a questa ennesima mobilitazione sacerdoti e cappellani carcerari, direttori, sindacalisti della polizia penitenziaria e agenti, sanitari, educatori, volontari. In questo campo, delle persone impegnate quotidianamente nelle prigioni, si va ampiamente compiendo una mutazione culturale: un gran numero di persone “dell’altra parte”, di quelle che un tempo erano considerate e si consideravano come gli antagonisti diretti dei carcerati, i carcerieri e i loro collaboratori, ha tratto dalla propria disperante esperienza la convinzione dello scandalo del carcere per tutti coloro che ne sono coinvolti, e per l’intera società. Lotte tanto risolute quanto ignorate si conducono in molti luoghi, come a Firenze e in Toscana, dove uno sciopero della fame a staffetta impegna tante persone, a cominciare dai garanti Franco Corleone e Sandro Margara: qui si chiede soprattutto di togliere dalla galera i tossicodipendenti, per la cui accoglienza c’è oltretutto una disponibilità della regione. Documentari e film mostrano efficacemente la condizione delle galere, un vero genere letterario e televisivo e cinematografico. Così ora “Milleunanotte”, il film girato alla Dozza di Bologna da Marco Santarelli, Roberto Ruini e Gloria Giorgianni, tirando il filo delle “domandine”. O “Inside carceri”, documentario per la rete realizzato in 25 carceri dall’Osservatorio di Antigone, e diffuso assieme all’agghiacciante Rapporto annuale dell’associazione. Mobilitazioni finalmente ingenti e continue pongono il problema dell’ergastolo. (C’è un libro importante di Stampa Alternativa, “Urla a bassa voce. Dal buio del 41bis e del fine pena mai”, curato da Francesca De Carolis). Uomini e donne pubblici pronunciano discorsi indignati e “coraggiosi” - di un coraggio che non costa niente, benché renda poco - sulla vergogna delle carceri. Fra tutto ciò, e l’attività del governo e delle altre autorità competenti, c’è una distanza più invalicabile del Muro di Berlino. La situazione è, sulla larghissima scala, identica a quella in cui a un incrocio di strada battuto dai cecchini cadano ogni giorno per anni e anni delle vittime, riprese fedelmente dalle telecamere e ritrasmesse al mondo, senza che a nessuno venga in mente di soccorrere le vittime o di costruire un riparo o di sloggiare i cecchini. A un anno dal varo del governo, il sito di Ristretti Orizzonti ha redatto, a cura di Francesco Morelli, il bilancio dettagliato dell’azione della benintenzionata titolare del ministero della Giustizia, Paola Severino (“La mia priorità sarà il carcere”). È impressionante. Qualche esempio. Ministro: “Abbiamo 6 mila posti occupati in meno, quasi il 10 per cento in sei mesi” (29 maggio 2012). Al 31 ottobre 2011 i detenuti erano 67.510, al 31 ottobre 2012 sono 66.685 (sono quindi diminuiti di 826 unità, pari all’1,3% circa. Ministro: “Sono già quattromila i posti in più nelle carceri e altri novemila saranno pronti entro il 2013” (13 novembre 2012). Al 31 ottobre 2011 i posti disponibili nelle carceri erano 45.572, al 31 ottobre 2012 sono 46.795 (sono quindi aumentati di 1.223 unità). Ministro: “Spending review: le carceri sono fuori dai tagli” (4 luglio 2012). Il Piano carceri varato il 24 giugno 2010 prevedeva risorse pari a 675 milioni di euro, ma viene ridimensionato all’inizio del 2012, quando il Cipe delibera uno stanziamento complessivo di 122 milioni. Ulteriori tagli per il 2013: Palazzo Chigi investe soltanto 45 milioni. Ministro: “Chiusura Opg: data prevista nel decreto è ragionevole” (2 febbraio 2012). È lo stesso ministro che l’11 ottobre 2012 dichiara: “Il termine per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), stabilito per il 31 marzo 2013, potrebbe effettivamente scivolare”. Ministro: “Nelle carceri ci sono 51 madri con 54 bimbi, serve una soluzione” (29 marzo 2012). Oggi nelle carceri italiane ci sono 57 detenute-madri, con 60 bambini al seguito, oltre a 13 donne incinte. Ministro: “I detenuti stranieri scontino la pena in patria” (2 maggio 2012). Al 31 ottobre 2011 i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane erano 23.789, al 31 ottobre 2012 sono 24.458: aumentati di 669 unità. E così via. Così. Via. Giustizia: la latitanza di Monti sulla vergogna delle carceri italiane di Franco Corleone Il Manifesto, 21 novembre 2012 Un mese fa, il 22 ottobre, è iniziato un digiuno collettivo che ha già coinvolto decine di esponenti delle associazioni che si occupano di giustizia e del carcere, del volontariato, avvocati e operatori penitenziari, tanti garanti dei diritti dei detenuti ed esponenti della società civile. La richiesta al Governo è semplice: subito un decreto legge per far cessare nelle carceri italiane la vergogna del sovraffollamento, che offende il senso di umanità e viola la Costituzione. Le ragioni di questa iniziativa sono state illustrate in una Lettera aperta inviata al Presidente Monti e ai ministri Severino e Riccardi, sottoscritta da Andrea Gallo e da Armando Zappolini, presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, da Antigone e Forum Droghe, dalla Società della Ragione e dall’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali, solo per citare i primi firmatari. Finora la risposta è stata nulla. È un silenzio increscioso per chi lo mette in atto, non certo per chi lo subisce. Non è un problema di mera cortesia, ma di sostanza politica. Proprio un governo tecnico ha il dovere di accettare il confronto con le istanze di settori significativi della società. Non bisogna demordere, ma riproporre con pacatezza e fiducia gli argomenti espressi. Il sovraffollamento non è una calamità naturale né un mostro invincibile: basta modificare le leggi criminogene che più contribuiscono alla crescita incontrollata dei detenuti. Per questo è urgente un decreto legge per cancellare le norme più vergognose e “affolla-carcere” della legge sulle droghe. Solo l’anno scorso sono entrate in prigione per violazione della normativa antidroga 28.000 persone (fra consumatori e piccoli spacciatori), mentre sono oltre 15.000 i tossicodipendenti ristretti su un totale di 67.000: la metà dei detenuti ammassati e stipati nelle patrie galere hanno a che fare con la legge sulle droghe. Il Presidente Napolitano ha parlato di una questione di “prepotente urgenza”: questa affermazione, se non la si vuole far diventare un mero esercizio di retorica, obbliga il Governo a emanare un decreto legge per evitare l’arresto agli accusati di fatti di droga di lieve entità e per far uscire i tossicodipendenti dal carcere destinandoli a programmi alternativi (oggi preclusi da vincoli assurdi e dall’applicazione della legge Cirielli sulla recidiva). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sostenuto la necessità di un intervento legislativo urgente. Nella lettera al Presidente Monti abbiamo sollecitato un provvedimento giusto, costituzionalmente motivato e indispensabile per interrompere uno stato di sovraffollamento ai limiti della legalità. Del resto, nel 2006 la modifica della legge sulle droghe fu approvata con lo strumento del decreto legge e il voto di fiducia, alla fine della legislatura. Se il Governo vuole sottrarsi alle sue responsabilità, deve farlo esplicitamente. I firmatari della Lettera aperta non intendono essere complici della latitanza delle istituzioni e sono impegnati a dare un motivo di speranza a chi in carcere ha solo un orizzonte di disperazione. La mobilitazione durerà a oltranza, per incalzare il prof. Monti sino all’ultimo minuto politicamente utile prima dello scioglimento delle Camere. Adesioni alla Lettera Aperta su www. fuoriluogo.it. Giustizia: Severino; ddl su alternative martedì in aula, trattative per rimpatrio stranieri Tm News, 21 novembre 2012 Il provvedimento sulle misure alternative è uno dei modi, secondo la Guardasigilli Paola Severino, di porre rimedio alle sconfortanti cifre del rapporto Antigone sul sovraffollamento delle carceri. “Mi sta molto a cuore e posso dare una notizia rassicurante sui tempi: il ddl sarà il aula alla Camera martedì e inizierà la discussione”, ha detto il ministro della Giustizia a “Prima di Tutto”, su Rai radio 1. “Penso che il carcere debba essere l’extrema ratio, abbiamo inserito nel provvedimento l’istituto della messa alla prova, alternativo alla detenzione, un istituto già provato per i minori che verrebbe ora esteso ai maggiorenni meritevoli”, ha spiegato Severino e ha continuato, spiegando il contenuto del ddl: “Gli interessati sono valutati da un giudice, per loro si stabilisce un piano di reinserimento sociale, il processo si ferma e il condannato o colui che avrebbe potuto esserlo, se è riuscito a superare questa messa alla prova, viene restituito alla società”. “La seconda parte del provvedimento - ha spiegato ancora il Guardasigilli - prevede la reclusione e gli arresti domiciliari, un’altra misura molto nuovo: si sostituirebbe alla pena principale detentiva in carcere una pena direttamente applicabile dal giudice di reclusione e arresto domiciliare. Sia l’uno che l’altro istituto non portano al carcere ma vengono attentamente vagliati da un giudice il quale deve stabilire la pericolosità della persona ovvero se determina dei pericoli sociali. In questo caso si ricorrerà al carcere”. “Io credo che queste misure - ha assicurato Severino - non mettano a rischio la certezza della pena perché la pena viene comunque interamente scontata e c’è un giudice che decide semplicemente le modalità con cui deve essere scontata tenendo però presente se deve o meno essere scontata necessariamente in carcere”. Il ministro si attende il consenso dei partiti sul provvedimento: “Finora c’è stato consenso della maggioranza in commissione Giustizia alla Camera, confido che la stessa condivisione possa esserci in aula, mi impegno fortemente a spiegare questo progetto che non crea pericoli per la società ma determina solo la possibilità di scontare la pena in condizioni più umane”, ha concluso. Severino: trattative con paesi d’origine vanno avanti “Ci sono Paesi con cui la trattativa è più avanzata, abbiamo già situazioni definite con l’Albania, la Bulgaria e con l’India, stiamo per definire un accordo con il Marocco, abbiamo trattative con Tunisia e Nigeria, Paesi da cui c’è un maggiore contributo di detenuti stranieri”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino a Prima di Tutto, su Rai Radio 1, in merito agli accordi con i Paesi esteri per far scontare ai detenuti la pena nel loro Paese. Secondo il rapporto Antigone i detenuti stranieri sono il 35% di quelli nelle nostre carceri, il ministero della Giustizia organizza domani e dopodomani a Rma, insieme al consiglio d’Europa, una conferenza per attuare questo principio a cui la Severino parteciperà. Sul rimpatrio dei detenuti “dobbiamo però essere cauti - ha puntualizzato il Ministro - e considerare che la praticabilità di questa strada passa per un triplice consenso: quello dello Stato che ha condannato, quello dello Stato a cui appartiene il condannato e il consenso dell’interessato. C’è stata infatti un’importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha stabilito che alcuni Stati che hanno operato trasferimento in Paesi dove le condizioni carcerarie sono carenti o a rischio di inumanità o tortura dovessero essere considerati inadempienti sotto il profilo della tutela dei diritti dell’uomo. Questa è una cautela che lo Stato deve comunque mantenere valutando se il trasferimento non comporti un peggioramento delle condizione detentive del detenuto”. Giustizia: Rita Bernardini (Ri); Severino vuole svuotare mare di illegalità col cucchiaino… Adnkronos, 21 novembre 2012 “Severino afferma che vuole concludere il suo mandato con l’approvazione del ddl sulle misure alternative: è triste e umiliante vederla far finta di svuotare il mare di illegalità e di barbarie con il cucchiaino di provvedimenti inutili”. Lo scrive, in una nota, il deputato radicale Rita Bernardini. Il ministro, continua, “non può non sapere che essendo le misure alternative da lei previste applicabili solo a reati con la pena massima di 4 anni, nessuno degli attuali 67.000 ristretti nelle nostre carceri potrà uscire”. “Oggi - prosegue - sono al 27° giorno di sciopero della fame con Irene Testa, Valter Vecellio, Maurizio Bolognetti e altri centinaia di detenuti e loro familiari, rappresentanti di associazioni, del volontariato, di esponenti sindacali degli agenti di polizia penitenziaria, dei direttori e dirigenti delle carceri. Tutti cittadini democratici - conclude - che continuano a credere nello Stato di diritto e nella democrazia e che, per questo, hanno aderito alla quattro giorni di mobilitazione”. Giustizia: Radicali; 30mila adesioni, da 80 carceri, per iniziativa su amnistia e diritto voto Agenparl, 21 novembre 2012 “Sono quasi 30 mila le adesioni pervenute a Radio Carcere da più di ottanta istituti di pena italiani alla quattro giorni di mobilitazione nonviolenta promossa dal Partito Radicale e da Marco Pannella per il diritto di voto dei detenuti e l’amnistia. Anche stasera, per il terzo giorno consecutivo, migliaia di detenuti in ogni parte d’Italia accompagneranno il digiuno con un quarto d’ora di battitura delle sbarre, dalle 20 alle 20.15, a cui faranno seguito 45 minuti di silenzio. Mentre crescono le adesioni alla mobilitazione anche fuori dalle carceri, con centinaia di persone in digiuno tra familiari di detenuti, personale e operatori penitenziari, direttori, cappellani, volontari e semplici cittadini. La mobilitazione radicale appoggerà l’astensione dalle udienze indetta per oggi e domani dall’Unione delle Camere Penali. E domani, giovedì 22 novembre, in chiusura della quattro giorni di sciopero della fame, battitura e silenzio, dalle ore 19.30 Partito Radicale terrà un presidio davanti all’istituto romano di Regina Coeli, in via della Lungara, dalle ore 19.30, al quale prenderanno parte numerosi militanti e dirigenti radicali tra cui la deputata Rita Bernardini e la segretaria del Detenuto Ignoto Irene Testa che dal 24 ottobre conducono un sciopero della fame - con il direttore di Notizie Radicali Valter Vecellio e il segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti - inframmezzato da intere giornate di sciopero della sete, affinché le istituzioni si impegnino a riportare subito alla legalità il sistema giustizia e la sua appendice carceraria attraverso un provvedimento di amnistia e indulto. Iniziative sono in corso in queste ore anche a Milano, dove fino al 24 novembre i radicali terranno un sit-in davanti a San Vittore dalle 07.00 alle 12.00. A Napoli, con un presidio all’ingresso del carcere di Poggioreale domani dalle 10 alle 13; e poi, sempre in Campania, a Salerno e Santa Maria Capua Vetere. Ma anche a Venezia e Torino. E poi in Sicilia, dove ancora domani sono previsti sit-in a Catania, dalle 9.30 alle 11 davanti al carcere di Piazza Lanza, e a Palermo, di fronte all’Ucciardone dalle 20.00 alle 21.00”. Tra le numerose adesioni alla mobilitazione nonviolenta promossa da Marco Pannella e dal Partito Radicale per garantire la possibilità, ai tantissimi reclusi che ancora li conservano, di esercitare i propri diritti in vista delle prossime scadenze elettorali, e ribadire con forza la necessità di un’amnistia, quella del sindacato dei dirigenti penitenziari Si.Di.Pe, del segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Leo Beneduci, delle associazione A Buon Diritto, di Patrizio Gonnella presidente di Antigone e Ornella Favero direttrice di Ristretti Orizzonti, di Anna Pia Saccomandi segretaria generale della Conferenza nazionale Volontariato e Giustizia, della Comunità di Sant’Egidio, di Albino Bizzotto, presidente dell’associazione cattolica “Beati i costruttori di pace” Padova; del settimanale Tempi con il direttore Luigi Amicone, del Blog della Giustizia, del presidente dei medici penitenziari Francesco Ceraudo, di Don Antonio Mazzi, e del cappellano e del sacerdote del Carcere di Rebibbia, Don Sandro Spriano e Don Marco Di Benedetto, del cappellano del carcere di Sassari don Gaetano Galia. Manifestazione al carcere di Poggioreale L’Associazione “Radicale Per La Grande Napoli” ha indetto per giovedì 22 Novembre (dalle ore 10.00 alle ore 13.00) una manifestazione all’esterno dellla Casa Circondariale di Poggioreale a sostegno della mobilitazione nonviolenta lanciata da Marco Pannella e dal Partito Radicale di quattro giorni (dal 19 al 22) di sciopero della fame, di battitura e silenzio per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia. Hanno preannunciato la loro partecipazione don Franco Esposito Cappellano del Carcere di Poggioreale e Presidente dell’Associazione Liberi di Volare Onlus, Emilio Fattorello responsabile del Sappe Campania, Mario Barone presidente di Antigone Campania. Nel corso della manifestazione sarà riprodotta, con l’utilizzo di stoviglie, “la battitura delle sbarre” come stanno praticando i detenuti di molti carceri ogni sera dalle 20.00 alle 20.15 per poi osservare 45 minuti di rigoroso silenzio. La mobilitazione sarà dedicata all’astensione dalle udienze promossa in tutta Italia per il giorno 22 Novembre dall’Unione delle Camere Penali. Dichiarazione di Roberto Gaudioso (Tesoriere): Noi dell’Associazione Per La Grande Napoli manifestiamo con la battitura perché, in uno stato ormai penale dove la legalità e il diritto patiscono, affidiamo le ns. speranze a quanti in condizioni difficili hanno trovato la forza di rispondere in modo non violento rappresentando per l’Italia tutta la più alta forma di rivolta nonviolenta contro la partitocrazia: una proposta e risposta di giustizia libertà e democrazia Dichiarazione di Luigi Mazzotta (Segretario): Prosegue la ns. azione nonviolenta per la giustizia e la legalità. Dopo un anno di lotta che ci visti impegnati in molteplici visite ispettive parlamentari e più di sessanta sit-in davanti al Carcere di Poggioreale per denunziare il degrado della struttura, la assoluta mancanza di assistenza sanitaria e le disumane condizioni di detenzione , ritorniamo a manifestare per garantire la possibilità ai tantissimi reclusi, che ancora li conservano, di esercitare i diritti di voto in vista delle prossime scadenze elettorali e per ribadire la necessità di una amnistia che ristabilisca legalità e diritto. Venezia: sit-in sotto le mura del carcere di S. M. Maggiore Aderendo alla mobilitazione nonviolenta lanciata da Marco Pannella e dal Partito Radicale di quattro giorni, dal 19 al 22 novembre, di sciopero della fame, battitura e silenzio per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia, Giovedì 22 novembre dalle ore 19 militanti del Partito Radicale e dell’Associazione Veneto Radicale, assieme a rappresentanti di altre associazioni e cittadini, terranno un sit-in davanti al carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia manifestando assieme ai detenuti che alle ore 20 inizieranno la “battitura”. Come nel 2011 i Radicali del Veneto saranno sotto le mura del carcere veneziano per sostenere con i detenuti la lotta nonviolenta per il rispetto del dettato costituzionale. Una nuova grande mobilitazione che ancora una volta vedrà la partecipazione dei detenuti con i loro familiari, di direttori, associazioni, sindacati, volontari, cappellani, nel solco della battaglia di civiltà di Marco Pannella, per ripristinare, a partire dalle carceri, moderne catacombe del diritto e della democrazia, giustizia e legalità nel nostro Paese. Obiettivo per il quale i Radicali lottano senza sosta con le armi della nonviolenza e che vede oggi la segretaria dell’Associazione Il Detenuto Ignoto, Irene Testa, e la deputata radicale Rita Bernardini, condurre dal 24 ottobre uno sciopero della fame, inframmezzato da intere giornate di sciopero della sete, in risposta alla resa di uno Stato che rispetto ai propri cittadini si trova ogni giorno di più in condizione di flagranza di reato. Proprio in questi giorni Rita Bernardini ha annunciato iniziative di denuncia per la situazione di assoluto degrado che ha personalmente riscontrato, attraverso una visita ispettiva, all’interno della casa circondariale di Vicenza. La manifestazione fuori dal carcere veneziano, a cui ha aderito anche l’associazione di volontariato “Il granello di senape”, si terrà in concomitanza con l’astensione dalle udienze promossa in tutta Italia dall’Unione delle Camere Penali per denunciare la situazione non più sostenibile del sistema carcerario italiano. Milano: il nostro silenzio è il nostro urlo: Amnistia per la Repubblica! Quattro giorni di sciopero della fame, battitura e silenzio, per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia: le iniziative dell’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano. Nell’ambito della 4 giorni, da lunedì 19 a giovedì 22 novembre, indetta dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, l’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano, sarà al fianco dei detenuti anche in quest’occasione. Durante la mattina, fino a sabato 24 novembre, faremo conoscere, attraverso la distribuzione di un volantino nei pressi dell’ingresso colloqui del carcere di San Vittore, sito in Viale Papiniano, l’iniziativa del Partito Radicale ai parenti e agli amici dei detenuti del carcere di San Vittore, chiedendo inoltre loro di sottoscrivere l’appello per la candidatura di Lucio Bertè, già consigliere regionale lombardo e instancabile radicale, a Garante dei Detenuti della Città di Milano: segno tangibile dell’impegno che Radicali Milano dimostra sul fronte della legalità anche all’interno del mondo carcerario e della costante attenzione che l’Associazione dimostra verso tutti i detenuti. Ogni sera, inoltre, fino a giovedì 22 novembre, l’Associazione si farà essa stessa cassa di risonanza della battitura dei detenuti, riproponendola all’esterno delle mura del carcere di San Vittore, in piazzale Aquileia, dalle 20.00 alle 20.15. Vi invitiamo a raggiungerci muniti di pentole, coperchi e campanacci per unire alla battitura dei detenuti anche la nostra. Ci imbavaglieremo poi tutti dalle 20.15 alle 21.00, a sostegno e all’unisono con il silenzio dei detenuti, e il nostro silenzio che risuonerà in quei 45 minuti sarà il nostro urlo: amnistia per la repubblica! Giustizia: Unione Camere Penali; domani sciopero penalisti, mobilitazioni in tutta Italia Adnkronos, 21 novembre 2012 Manifesti affissi in tutti gli uffici giudiziari, mobilitazioni con assemblee, convegni, conferenze stampa in tutta Italia, per chiedere alle forze politiche di utilizzare gli “ultimi scampoli di legislatura per assumere provvedimenti che il dramma sociale delle carceri impone”. Domani, data dell’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria indetta dall’Unione Camere Penali per denunciare le “intollerabili condizioni dei penitenziari”, e porre fine a quella che anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano è stata definita “una vergogna”, sarà un’occasione per mobilitare l’interno Paese su un tema che, come recita il manifesto dell’astensione, non può più aspettare. In tutta Italia gli avvocati delle Camere Penali osserveranno un minuto di silenzio, all’apertura delle udienze, come ulteriore forma di denuncia, e lo stesso avverrà al Congresso nazionale forense che si aprirà a Bari domani. A Roma, alle 10.30, si terrà una manifestazione nell’aula “Occorsio” di piazzale Clodio, cui parteciperanno, oltre all’avvocato Alessandro De Federicis, responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Ucpi, anche il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, il numero due del Dap, Luigi Pagano e il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. Una partecipazione significativa, che mette in luce come “sull’emergenza carceri l’avvocatura penale si rivolga a tutte le componenti del pianeta giustizia”. Anche il leader dei Radicali Marco Pannella, che in questi giorni sciopera per portare avanti la battaglia sul voto ai detenuti e l’amnistia, ha dato “piena adesione e sostegno all’astensione dell’Unione Camere penali”. E Umberto Veronesi, che giorni fa ha lanciato il “Manifesto contro l’ergastolo”, firmato anche dall’Ucpi, è sceso in campo al fianco dei penalisti. Milano: avvocati in sciopero… la situazione deve cambiare Domani i penalisti non andranno in aula. Sovraffollamento e personale sotto organico le due carenze storiche. Mazzali: “Eppure il carcere resta com’è: un segnale preoccupante”. I penalisti del Tribunale di Milano proclamano lo sciopero: domani nessuno di loro sarà in aula per protestare contro l’insostenibile situazione delle carceri italiane. Sovraffollamento e personale sotto organico le due carenze storiche delle prigioni italiane. I numeri aggiornati al 31 ottobre dicono che a fronte di 46.795 posti, i detenuti sono 66.685, di cui 27 mila stranieri. “Se il livello di democrazia fosse valutato attraverso la situazione delle carceri, saremmo agli ultimi posti”, commenta l’avvocato Paolo Giuggioli, presidente del Consiglio dell’ordine avvocati di Milano. “Siamo tutti concordi nel dire che la situazione deve cambiare, eppure il carcere resta com’è: è un segnale preoccupante”, rincara la dose Mirko Mazzali, penalista milanese e consigliere comunale di Sel. Tra le iniziative d Palazzo Marino a sostegno dei carcerati, l’ultima è l’attribuzione del 5% degli appalti di Expo a cooperative di tipo B, dove lavorano detenuti. L’ospite d’onore alla conferenza stampa è il professor Umberto Veronesi, medico che si è sempre schierato contro il carcere ostativo (l’ergastolo) in nome della funzione rieducativa della detenzione: “Se condanno una persona quando ha 20 anni, a 40 è come se ne avessi condannata un’altra: le cellule del cervello si rinnovano, ora ne abbiamo l’evidenza scientifica”, sottolinea. Ecco perché superare l’ergastolo è una conquista civile, a detta del professore. Che cita l’esempio della Svezia, dove senza carcere ostativo il tasso di recidiva è del 10%. Segno che più che nella pena si deve investire nei percorsi rieducativi. Mannucci Pacini, presidente milanese del sindacato Magistratura Democratica si dice d’accordo con l’iniziativa degli avvocati. Una notizia nel mondo della giustizia dove di solito le due categorie non condividono le reciproche iniziative. Pacini sottolinea la lacuna culturale proprio della sua categoria: “Non sappiamo davvero che cosa significa reclusione. Io non ci sono mai stata dentro un carcere, se non nell’aula degli interrogatori”, rivela. Proprio per questo da quest’anno i magistrati che stanno facendo tirocinio passano due settimane all’interno di un carcere: per capire davvero cosa accade dietro le sbarre. Cagliari: i penalisti attaccano Governo e magistratura… subito un’amnistia Avvocati penalisti in sciopero domani per protestare contro la drammatica situazione del sistema carcerario nazionale. Problema che tocca da vicino la Sardegna, dove le carceri sono tra le peggiori d’Italia, e Cagliari in particolare. “A Buoncammino - spiega il presidente della Camera penale cagliaritana Mario Canessa - il sovraffollamento è a livelli disumani, tocca punte del 157% e questo dato è purtroppo strettamente correlato con quello dei suicidi in cella, che nel 2012 sono stati 50 in Italia”. Canessa non ha dubbi: “Le leggi prevedono che gli animali tenuti in cattività abbiano uno spazio vitale minimo, ma lo stesso non vale per i detenuti. Nelle nostre visite periodiche a Buoncammino vediamo situazioni allucinanti, con persone costrette a stare in celle in cui non riescono neanche a muoversi per 22 ore al giorno”. Gli avvocati penalisti hanno ben chiare le soluzioni: “Non ce l’abbiamo con chi gestisce le carceri in Sardegna, il problema è a monte. Intanto è assolutamente necessaria un’amnistia per svuotare le carceri. Poi si deve procedere a introdurre degli strumenti deflattivi efficaci, come la sospensione del processo con messa alla prova che è già prevista per i minori. È necessario inoltre un maggiore ricorso alle misure alternative, la cui concessione è sempre più problematica nonostante sia statisticamente dimostrano che i casi di recidiva sono minimi. Tra le misure da rivedere anche la legislazione sulla droga: il 38% dei detenuti italiani è in carcere per reati legati agli stupefacenti”. Ma la Camera penale se la prende anche con la magistratura: “Esiste un grave problema legato all’abuso della custodia cautelare - conclude Canessa, oltre il 40% dei detenuti sono ancora in attesa di giudizio e il 30% non è stato neanche processato in primo grado. La custodia cautelare dovrebbe essere l’extrema ratio, applicabile solo per i reati più gravi, mentre una grande parte della magistratura la vede ormai come una incostituzionale anticipazione delle pena o uno strumento investigativo”. Osapp: stiamo con Camere Penali, potenziare polizia penitenziaria “Aderendo all’invito rivolto dalle Camere penali l’Osapp prenderà parte alle manifestazioni di protesta indette per denunciare il grave sovraffollamento penitenziario e l’assoluta inadeguatezza del numero di personale del corpo di polizia penitenziaria presente negli istituti”. A renderlo noto è il vice segretario generale Domenico Nicotra, che assicura la propria presenza domani 22 novembre 2012 alle ore 10 circa davanti alla casa circondariale di Messina all’iniziativa promossa nell’ambito della provincia messinese. “La situazione negli istituti siciliani è al collasso, continua Nicotra, tanto che per molti istituti è addirittura superata la soglia minima di tolleranza. “Di converso, continua il sindacalista, il personale di polizia penitenziaria è ridotto ai minimi termini tanto che capita sovente che non si riesce ad assicurare le traduzioni dinanzi alle autorità giudiziarie ed anche quelle disposte per motivi sanitari”. “È evidente - conclude Nicotra - che se questo trend non trova nel più breve tempo possibile idonee soluzioni tutto il sistema penitenziario, e più in generale quello della giustizia, arriverà a un punto di non ritorno con ripercussioni per la sicurezza pubblica”. Umberto Veronesi: sfruttare capacità detenuto di cambiare Il cervello si rinnova, cambia, lo scopo è “sfruttare la capacità del detenuto di cambiare”. È questo uno dei passaggi dell’intervento dell’oncologo Umberto Veronesi, che ha partecipato alla conferenza stampa organizzata dalla Camera Penale di Milano alla vigilia della mobilitazione nazionale; domani i penalisti si asterranno dal lavoro per sensibilizzare l’opinione pubblica e le forze politiche rispetto alla situazione carceraria italiana. Veronesi, che giorni fa ha lanciato il “Manifesto contro l’ergastolo”, nel corso dell’intervento, ha poi citato la cultura della rieducazione della Norvegia, paese in cui la recidività è molto bassa. Lettere: la situazione delle carceri è scandalosa di Donatella Trevisan (Associazione Radicale Bolzano) Alto Adige, 21 novembre 2012 Caro direttore, ci sono questioni di fondo che un Paese - e la sua classe dirigente in primis - hanno il dovere di affrontare. La giustizia, pilastro della convivenza civile, è una di queste questioni. Nonostante la condizione vergognosa in cui versa il sistema giudiziario e la flagranza di reato che riguarda le condizioni di vita nelle carceri italiane, ben poco si muove a livello istituzionale e parlamentare. Al di là di altisonanti proclami, le misure varate finora si sono rivelate del tutto inadeguate. I Radicali da anni denunciano in ogni sede la persistente violazione di ogni principio internazionale, europeo e costituzionale che contraddistingue il nostro Paese. Milioni di fascicoli giacciono inevasi nei tribunali italiani, ogni anno centinaia di migliaia di procedimenti vanno “in prescrizione” , gli istituti penitenziari scoppiano, la popolazione carceraria è composta per un buon terzo da detenuti in attesa di giudizio, leggi criminogene rendono le patrie galere delle “discariche sociali”, il personale penitenziario è insufficiente, i fondi vengono tagliati, lo scopo della pena (la rieducazione) è completamente disatteso. Insomma, uno sfascio. Come soluzione efficace per uscire dallo stato di illegalità dell’intero sistema giustizia i Radicali da tempo propongono due misure d’intervento - amnistia e indulto - diventate “tabù” grazie alla solerte opera di mistificazione portata avanti per anni da molte forze politiche e molti organi di informazione. Si badi bene: la proposta riguarda un’amnistia e un indulto alla luce del sole, non di classe, con una selezione ragionata delle categorie di reato da includere o escludere, per riportare le carceri ad una condizione di vivibilità e ridare fiato ai tribunali. Nel silenzio generale è iniziata lunedì una mobilitazione nonviolenta di 4 giorni fuori e dentro le carceri, fuori e dentro i tribunali, per richiamare istituzioni e cittadini su quest’urgenza assoluta. Oltre a indulto e amnistia, è di assoluta importanza che - in vista delle prossime tornate elettorali - sia garantito il dritto di voto anche ai detenuti. Sicilia: Comitato Stop-Opg scrive al presidente Crocetta “chiusura Barcellona P. di Gotto” Redattore Sociale, 21 novembre 2012 La richiesta: attivarsi per la chiusura dell’istituto di Barcellona Pozzo di Gotto. “I cittadini internati vivono in una condizione di non cura e di mancanza di rispetto della loro dignità“ Il Comitato Stop-Opg della Sicilia scrive al presidente della regione, Rosario Crocetta e all’assessore regionale alla sanità Lucia Borsellino. La richiesta è quella di un incontro “per fare il punto sul processo di superamento dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, secondo quanto disposto dalla legge 9 del 2012”. A Crocetta e Borsellino il comitato ricorda che “la regione siciliana non ha ancora recepito il decreto del 2008 che dispone il passaggio del servizio sanitario delle case penitenziarie dal ministero di Grazia e giustizia alla Sanità nazionale, cosa che ha determinato la mancata presa in carico dei pazienti dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto da parte del sistema sanitario regionale”. “Nella nostra regione - affermano Elvira Morana della segreteria regionale Cgil e Francesco Gervasi, responsabile del dipartimento Salute della Cgil Sicilia - di fatto persiste una vera mancanza di diritto di cittadinanza e dignità umana per la persona inferma di mente internata, con il permanere di una struttura che ha tutte le caratteristiche di un internamento di tipo concentrazionario”. Il Comitato afferma di confidare nell’attenzione del nuovo governo regionale “verso questi cittadini internati che vivono in una condizione di non cura e di mancanza di rispetto della loro dignità“, aggiungendo che “se rivoluzione deve essere questa deve partire dai più deboli, dagli ultimi, da chi non ha rappresentanza sociale, civile e politica” e “se dalle enunciazioni si passa ai fatti la proposta politica di Crocetta può essere per loro speranza, certezza di diritto e di riscatto sociale”. “Attualmente all’interno dell’Opg di Barcellona P.G. ci sono 213 internati di cui i casi gravi sono veramente pochi e andrebbero seguiti adeguatamente all’interno delle comunità terapeutiche assististe - sottolinea p. Pippo Insana presidente dell’associazione di volontariato Casa di solidarietà e accoglienza e membro del comitato Stop-Opg. Solo per i casi più gravi va riconosciuto, infatti, l’inserimento nei Cta che però devono funzionare bene. Perché in questi anni circa il 20 per cento dei disabili mentali dal Cta è ritornato all’Opg? È un fallimento su cui bisogna riflettere e prendersi le proprie responsabilità”. “Chiedo anche al nuovo governo regionale che i Distretti della salute mentale (Dsm) della Sicilia possano funzionare con un organico adeguato e con tutti i servizi previsti per legge - aggiunge p. Insana. Solo se le persone vengono curate si può evitare che peggiorino arrivando pure a compiere dei reati. In vista della tanto auspicata chiusura dell’Opg. A Barcellona Pozzo di Gotto il direttore dell’Opg è stato messo con le spalle al muro con meno personale e meno risorse da dedicare agli internati. Immaginatevi quello che tutto ciò comporta. Chiedo inoltre alle istituzioni di attivarsi per sviluppare progetti individualizzati che facciano uscire gli internati dall’Opg per inserirli nelle comunità alloggio, nelle comunità di custodia protetta o anche nelle famiglie supportate dalle istituzioni. Sono tutte soluzioni alternative che riteniamo dignitose per la vita di queste persone”. Vicenza: l’allarme carceri del deputato Stefani “al San Pio X situazione esplosiva” Giornale di Vicenza, 21 novembre 2012 “È strettamente collegata all’allarme criminalità e rischia di diventare esplosiva, mi riferisco alla situazione in cui versa il carcere di Vicenza. L’Italia è il paese europeo nel quale si registrano le condizioni peggiori sia per quanto riguarda lo stato delle strutture sia per il numero di persone che vi sono detenute”. È quanto afferma il presidente della commissione Esteri alla Camera, Stefano Stefani, sottolineando che “il San Pio X è tra i penitenziari che contribuisce maggiormente al risultato negativo raggiunto dal nostro Paese. Dopo gli allarmi sulla situazione igienico-sanitaria all’interno del carcere, nei giorni scorsi si è registrato un episodio di violenza che ha coinvolto anche gli agenti di polizia penitenziaria - ricorda il deputato vicentino - In attesa che il governo si decida a trovare una soluzione a questa emergenza nazionale, che non può e non deve passare attraverso ricette farsa quali amnistia e indulto, è quanto mai urgente correre ai ripari per evitare che dentro quel carcere scoppi la rivoluzione dei detenuti. Non è un’ipotesi così remota e in queste ore in cui l’allarme criminalità occupa le pagine dei giornali è giusto aprire una riflessione anche sulle carenze del sistema carcerario del nostro territorio”. “Alla situazione di degrado che caratterizza la detenzione dei carcerati, questa è l’altra brutta faccia della medaglia, si affiancano le condizioni precarie di lavoro in cui sono costretti ad operare gli agenti di polizia”. “Se è vero che bisogna aumentare il numero di poliziotti e carabinieri presenti sul territorio per tamponare l’allarme sicurezza scoppiato nelle ultime ore - conclude Stefani -è altrettanto doveroso provvedere al rafforzamento dell’organico degli agenti in servizio nel carcere cittadino, anche in vista dell’annunciato allargamento della struttura”. Cagliari: Sdr, agenti Buoncammino proclamano stato agitazione, segnale malessere Asca, 21 novembre 2012 “La risposta unitaria dei Sindacati alla decisione di inviare nell’Istituto Minorile di Quartucciu cinque Agenti della Polizia Penitenziaria di Buoncammino è un grave segnale di intollerabile malessere”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” avendo appreso che i rappresentanti sindacali di Uil, Sinappe, Cgil, Ugl, Sappe hanno indetto per protesta lo stato di agitazione. “Le condizioni in cui operano gli Agenti nel carcere dove sono reclusi un quarto dei detenuti sardi e 200 in più del numero regolamentare suggeriscono - sottolinea Caligaris - un rafforzamento dell’organico. La riduzione anche di un solo agente costituisce un serio pericolo per la sicurezza e per garantire l’esercizio dei diritti agli Agenti e ai cittadini privati della libertà. Si tratta infatti di un organico deficitario di circa 60/70 persone non più in grado di far fronte a una popolazione di 530/540 detenuti”. “È paradossale - afferma la presidente di SdR - ciò che si verifica nella Casa Circondariale di Cagliari dove un Agente spesso deve vigilare nelle ore diurne su un centinaio di detenuti e in quelle notturne addirittura su circa 200. In queste condizioni gli Agenti accumulano tensioni e stress non potendo garantire l’incolumità dei ristretti. L’Istituto di Buoncammino purtroppo registra la presenza di detenuti anziani affetti da gravi patologie, tossicodipendenti e con disturbi psichiatrici. Le precarie condizioni di salute di due detenuti hanno determinato proprio in questi giorni il ricovero in ospedale con piantonamento”. “È infine assurdo che, considerate le condizioni di disagio in cui sono costretti ad operare gli Agenti di Buoncammino, si riduca ulteriormente il loro numero vanificando - conclude Caligaris - il notevole impegno assunto per cercare di far recuperare le ferie arretrate. Il provvedimento infatti impedirà di usufruire dei permessi esasperando animi peraltro già fortemente provati dal sovraffollamento detentivo”. Bergamo: Convegno Cisl; un carcere aperto al territorio… per puntare al reinserimento di Alessandra Loche L’Eco di Bergamo, 21 novembre 2012 In un convegno della Cisl la “fotografia” del mondo dietro le sbarre. In cella 530 persone. Il direttore Porcino: “Serve giustizia sociale”. Cinquecento trenta detenuti nel carcere di via Gleno: 485 uomini e 45 donne con 268 stranieri di 44 diverse nazionalità. Tra gli oltre 500 carcerati, 157 sono quelli riconosciuti come dipendenti da stupefacenti e già presi in carico, altri sono in attesa. Se al dato odierno si aggiungono le 912 persone transitate dal carcere da inizio anno, si parla di un totale di 1.442 persone “movimentate” nella struttura. Inoltre, negli 82 posti di lavoro disponibili per i detenuti si sono alternate (per una media di 3 ore al giorno) 785 persone, 187 frequentano la scuola e 32 i corsi professionali di panificazione e idraulica. Dentro le mura della struttura di pena, si sono verificati 207 eventi critici, come scioperi della fame, autolesionismo, tentato suicidio, rifiuto della terapia e abuso di alcolici. I dati sono stati presentati dal cappellano della casa circondariale di Bergamo don Fausto Resmini nel corso del seminario organizzato alla Cisl sul tema “La giustizia dietro le sbarre”. Un incontro, moderato dal caporedattore de L’Eco Andrea Valesini, che ha presentato la fotografia sociale disegnata dietro le mura della struttura, con le importanti iniziative messe in atto negli anni per offrire speranza e opportunità di un reale reinserimento a chi sta scontando una pena. Serve una giustizia sociale L’obiettivo di “Carcere e territorio”, ha ribadito la presidente Valentina Lanfranchi, è quello di tenere vivo il contatto tra il carcere e il mondo esterno. Perché, purtroppo, “il carcere, nonostante quanto si fa, rappresenta comunque una separazione dal mondo sociale, è come un recinto”. A monte, c’è non solo il problema della crisi economica, ma il fatto che “il Paese sta diventando sempre più moralmente fragile, ci sono la solitudine e l’angoscia del mondo moderno che mettono a rischio i valori fondanti della società”. “Prima di affrontare il discorso della giustizia penale - ha affermato il direttore del carcere Antonio Porcino - si dovrebbe affrontare quello della giustizia sociale”. Porcino ha puntato l’attenzione verso il fatto che non si può parlare di problema della tossicodipendenza o dell’immigrazione dentro la struttura senza affrontare lo stesso problema nel resto della società. Inoltre, se è vero che la popolazione di via Gleno è composta nella maggior parte da coloro che appartengono alle fasce deboli, è altrettanto vero che per fare meno ricorso alla pena detentiva servono investimenti economici. Un esempio? Servirebbe investire di più nelle comunità per accogliere i tossicodipendenti, aiutandoli a liberarsi della dipendenza. Dentro la casa circondariale non mancano le iniziative che mirano al reinserimento sociale, ma per offrire vere opportunità si deve - come si sta facendo - pensare a un carcere diverso, umanizzando la pena e aprendo di più rispetto al presente con un dialogo con l’esterno che parta dalla stessa cella. Il laboratorio di scrittura I progetti e le persone impegnate non mancano: Porcino ha lodato l’impegno delle “donne Cisl”. E, tra le iniziative, spicca “il laboratorio di scrittura attivo da 10 anni”, ha ricordato Mimma Pelleriti della segreteria Ust Cisl, introducendo il convegno. Un mezzo con cui si invitano i detenuti a far “volare i pensieri” oltre gli alti muri. Anna Maioli, responsabile dei progetti educativi all’interno di via Gleno, ha evidenziato i cambiamenti che si sono registrati negli anni, e i progetti che si realizzano all’interno del carcere. Ribadendo che “i trattamenti possono e devono essere personalizzati. Ma solo le persone dentro il carcere possono decidere cosa fare, se cogliere gli strumenti che gli offriamo”. Grazie all’esperienza della scrittrice Adriana Lorenzi i detenuti si sono avvicinati alla scrittura, sfidandosi oltre quelli che pensavano fossero i propri limiti, dando vita al giornale “Alterego”. Due brevi esperienze di persone che hanno scelto di “rinascere” dopo l’esperienza detentiva e i saluti del segretario generale della Cisl Fernando Piccinini hanno chiuso l’incontro. Il lavoro come antidoto alle celle sovraffollate (di Laura Arnoldi) Sovraffollamento delle carceri e pene alternative alla detenzione: se ne è parlato nell’incontro organizzato della Camera penale di Bergamo, che nel percorso formativo rivolto agli avvocati, ha proposto la visione del film “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani. Il sovraffollamento, con tutti i disagi e sofferenze che genera, è causato da molteplici fattori: “Si va - ha spiegato Emilio Gueli, presidente della Sezione di Bergamo della Camera Penale della Lombardia Orientale -, dall’abuso della custodia cautelare alla difficoltà di individuare pene alternative alla detenzione, a cui si aggiungono la carenza di organico e il numero insufficiente delle strutture”. La riflessione di Valentina Lanfranchi, presidente del Comitato Carcere e Territorio, ha evidenziato l’importanza dell’inserimento lavorativo dei detenuti: “Fondamentale il recente accordo di rete tra diverse istituzioni, grazie a un finanziamento della Cariplo”. Dell’esperienza positiva degli inserimenti ha parlato Claudio Bonfanti, presidente dell’associazione Amici di Aretè, mentre Alessandra Locatelli ha raccontato dell’attività dei volontari degli Avvocati per la giustizia, la pace e la solidarietà che collaborano con don Fausto Resmini. Fabio Canavesi ha portato la sua esperienza di detenuto in regime di semilibertà e ha inviato gli avvocati presenti a non limitarsi a una sola giornata di astensione, indetta per il 22 novembre, ma di prolungare la protesta ad una settimana. Gli scrittori a confronto con i detenuti: il racconto è un atto liberatorio Scrivere è un atto liberatorio. Se è vero per chi non vive in una condizione di libertà limitata, è tanto più vero per i detenuti. È un atto che permette di esprimere la propria umanità e di dare sfogo a pensieri e sentimenti, quando non di ordinarli. Così l’incontro con due scrittori nella Casa circondariale di via Gleno non poteva che suscitare un dibattito appassionato tra le detenute che si sono confrontate con Ivan Levrini (autore dei racconti “Semplici svolte del destino”, pubblicato da QuiEdit) e i detenuti con Edoardo Albinati (prendendo spunto dalla sua ultima opera “Vita e morte di un ingegnere”, edizione Mondadori). L’iniziativa è avvenuta nell’ambito delle “Letture amene sotto il berceau”, rassegna di incontri con autori al Circolino di Città Alta animata da Mimma Forlani, che ha moderato anche le presentazioni in carcere. Quest’anno per la prima volta la rassegna ha avuto una sessione autunnale, che ha compreso i due appuntamenti in via Gleno. Nel futuro tutti gli incontri della rassegna avranno un’anteprima proprio nella Casa circondariale. Da una decina d’anni infatti la Cooperativa di Città Alta, che gestisce il Circolino, è impegnata negli inserimenti lavorativi di detenuti. La nuova iniziativa che passa attraverso la scrittura è in continuità con questo impegno, sotto il comune denominatore della funzione rieducativa della pena, sancita dalla Costituzione. All’incontro con gli autori detenute e detenuti sono arrivati dopo aver lavorato con scrupolo sui testi (quelli di Levrini sono racconti di umanità varia, quello di Albinati descrive il rapporto tormentato fra lo scrittore e il padre), nell’ambito del laboratorio di scrittura di Adriana Lorenzi, responsabile anche di “Alterego”, il giornalino dei carcerati promosso dalla Cisl. Nei due incontri tante le domande, mai banali e scontate, degli ospiti del carcere ai due autori. Dagli incontri è poi nata l’idea di un breve corso di giornalismo in quattro lezioni, con la presenza del caporedattore de L’Eco di Bergamo Andrea Valesini, di insegnanti e educatrici della scuola del carcere. Anche in questo caso tante le domande: il rapporto fra verità e notizie, il giustizialismo dei giornali, la responsabilità nel trattare fatti che coinvolgono la vita delle persone. Pistoia: un laboratorio di scrittura creativa per i detenuti del carcere di Santa Caterina di Gianni Casconi met.provincia.fi.it, 21 novembre 2012 Il Progetto è promosso dalla Direzione della Casa Circondariale insieme alla Provincia di Pistoia, con la collaborazione del Centro culturale Il Funaro. La scrittura come forma d’arte e, insieme, come strumento di consapevolezza e di crescita. Se, poi, a narrare le loro storie sono un gruppo di detenuti, ecco che la parola scritta può diventare un momento di riflessione intensa, di ricerca attraverso i propri percorsi esistenziali e di confronto con le esperienze e con la società cui si appartiene e da cui si è stati espulsi. “Non ho niente da dichiarare”, è il laboratorio di scrittura creativa rivolto ai detenuti del Carcere di Santa Caterina, promosso dalla Direzione della Casa Circondariale insieme alla Provincia di Pistoia, Assessorato alla Cultura, che ha sostenuto finanziariamente il progetto, e con la collaborazione del Centro Culturale Il Funaro di Pistoia. Il laboratorio, avviato ad ottobre, è curato da Liliana Lupaioli, del Servizio Educativo della Casa Circondariale, e coinvolge, con un incontro a settimana fino a metà dicembre, un gruppo di detenuti, seguiti da Gianni Cascone, apprezzato docente di scrittura del Funaro, ed esperto nel campo delle arti e della letteratura, che ha dedicato gran parte dei suoi studi ai processi legati alla scrittura creativa, come strumento espressivo per uscire dalle proprie prigioni. “I partecipanti sono chiamati a riflettere su cosa sia il cosiddetto crimine, dove e quando sia nata l’idea di un comportamento altro da quello ritenuto socialmente accettabile - sottolinea Gianni Cascone - docente del corso. Un percorso che permette di offrire ai detenuti la possibilità di guardare un po’ dall’esterno il loro operato, oggettivandolo in una narrazione che possa portare a coscienza lo stato d’animo di azioni inaccettabili per il sistema dei valori vigente nella società. Al tempo stesso per chi sta fuori dal carcere, al cittadino normale, può offrire un’opportunità di comprensione più profonda degli atti che usualmente vengono stigmatizzati e demonizzati come criminali; una sorta di presa di coscienza anche per i così detti “normali” sui motivi per cui ci si può trovare a varcare la soglia del lecito”. Il progetto si colloca all’interno di una collaborazione, attiva dal 2005, fra la Casa Circondariale e l’Assessorato alla Cultura della Provincia, che ha portato alla realizzazione di vari interventi di promozione culturale nei confronti della popolazione detenuta e di sensibilizzazione sulle tematiche carcerarie: dall’ allestimento dello spazio teatrale e della biblioteca, a iniziative di musica e teatro, a convegni e incontri. “Si tratta di una iniziativa importante non solo per gli obiettivi specifici che si pone, ma anche per una finalità più generale che rafforza quell’esigenza di integrazione del carcere con il tessuto territoriale su cui insiste - dice il Direttore della Casa Circondariale, Tazio Bianchi. Il carcere non può essere qualcosa di altro dalla città e dalla società esterna, ma è necessario che si promuovano condizioni idonee ad assicurare effettività e concretezza al processo di rieducazione del detenuto, che deve passare in primis dalla consapevolezza della negatività del proprio comportamento delinquenziale e da un recupero dei valori etici e sociali, processo che può essere indubbiamente stimolato proprio da iniziative come il laboratorio di scrittura”. “Il senso di questa iniziativa, che abbiamo fortemente voluto e condiviso con la Direzione della Casa Circondariale di Pistoia , è duplice - spiega l’Assessore provinciale alla Cultura, Lidia Martini - Da un lato abbiamo voluto offrire ad un gruppo di detenuti un percorso formativo, oltre che creativo , che fosse occasione per riflettere, attraverso la parola scritta, sul proprio percorso esistenziale e che favorisse l’abitudine al dialogo interiore, all’ascolto e alla comprensione della parola dell’altro. Al tempo stesso, la nostra ambizione è che la parola che proviene dal carcere possa rappresentare un ponte verso la comunità “che sta fuori”, nella consapevolezza che il carcere rappresenta un “pezzo” della comunità sociale e che il reinserimento pieno ed effettivo nella società rappresenta l’approdo finale del percorso di detenzione. Ascoli Piceno: i detenuti partecipano all’edizione 2012 della Colletta Alimentare Ristretti Orizzonti, 21 novembre 2012 Oltre 500 volontari sanno coinvolti nella sola provincia di Ascoli nell’edizione 2012 della Colletta Alimentare in programma sabato 24 novembre. Giunta alla sedicesima edizione, l’iniziativa quest’anno sarà caratterizzata dal coinvolgimento attivo dei detenuti del Supercarcere di Marino del Tronto grazie alla collaborazione instaurata tra il Banco Alimentare e la Direzione del Supercarcere di Marino del Tronto. L’istituto di pena di Ascoli Piceno partecipa alla giornata nazionale sia all’esterno che all’interno. All’esterno inviando detenuti in permesso premio che affiancheranno i volontari del Banco Alimentare nei punti di stoccaggio. All’interno con la raccolta avviata nei giorni scorsi e che culminerà sabato mattina con la consegna dei generi alimentari. Stanno partecipando alla gara di solidarietà non solo i detenuti della Casa Circondariale ma anche quelli del Penale, ristretti nella sezione 41-bis. La collaborazione tra il carcere e il Banco Alimentare è partita anche grazie agli incontri promossi dalla redazione del giornale del Marino, “Io e Caino”. Padova: Carlo De Benedetti in visita alle attività del carcere “esperienza emozionante” Il Mattino di Padova, 21 novembre 2012 “Non ho mai visto nulla di simile. Grazie, sono emozionato. Esco da queste mura diverso da come sono entrato”. Non è certamente una visita che ha lasciato indifferente Carlo de Benedetti, quella che si è svolta oggi pomeriggio nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Ad aprire la strada all’ingegnere era stata niente meno che il ministro della Giustizia Paola Severino, che nel carcere padovano si è recata per la prima volta due mesi fa. “Era rimasta entusiasta di ciò che aveva visto, e sì che si tratta di una penalista che nella sua vita professionale di carceri ne ha visitate tante”. Ad accompagnare il presidente del Gruppo Espresso nel penitenziario padovano è Graziano Debellini, presidente di varie società padovane nel campo delle costruzioni e dell’energia. Ad accoglierlo, varcati i cancelli, trova il direttore Salvatore Pirruccio. E naturalmente c’è anche Nicola Boscoletto presidente del consorzio sociale Giotto. De Benedetti interroga il direttore sul numero dei detenuti, la capienza, gli agenti, la percentuale di italiani e stranieri. Si entra nel call centre gestito dal consorzio: un piccolo pezzo di Veneto operoso trapiantato dentro le mura di una galera. De Benedetti si sofferma con Michele, il responsabile del reparto, vuole sapere chi sono i clienti pubblici e privati, quali sono gli orari, come si fa la formazione. Quest’ultima domanda trova risposta “dal vivo” in una saletta attigua in cui una decina di detenuti sta seguendo la lezione di un collega. “È un momento di aggiornamento”, spiega il leader del gruppetto, “stiamo verificando gli errori commessi questa settimana per migliorare le procedure”. Si passa subito alla lavorazione delle biciclette Esperia. E anche qui è l’imprenditore ad emergere: quante se ne producono, quante persone sono coinvolte, quanto vi pagano a bicicletta? Alessandro, il caporeparto, spiega che attualmente escono dal carcere 150 bici al giorno, ma l’obiettivo è 200, “cerchiamo di fare di tutto per raggiungerlo”. “Una vera officina”, commenta De Benedetti che poi passa alle altre lavorazioni, le chiavette usb per le camere di commercio, alle valige di Roncato, ai filtri per acqua della padovana Atlas. Poi è la volta della cucina, nella quale alcuni detenuti stanno preparando dei tramezzini per un ricevimento esterno, e della pasticceria, dove i celebri panettoni riposano lievitando a testa in giù. È Matteo Florean, maestro di gusti e responsabile della qualità del prodotto, a raccontare le fasi della lavorazione che hanno portato questi dolci in vetta alle classifiche del gusto. “La battaglia del sociale si vince sul piano della qualità”, spiega Boscoletto al suo interlocutore. “Che siano biciclette, valige, o panettoni non conta: il prodotto che esce di qui dev’essere il migliore”. C’è anche una sorpresa in pasticceria per De Benedetti: una meringata ai frutti di bosco con la scritta “Buon compleanno Ingegnere” (per la verità con sei giorni di ritardo). Foto di gruppo con torta, un corale “tanti auguri a te” e poi si passa in refettorio. Qui il presidente del gruppo Espresso autografa alcune copie del suo ultimo libro, che poi presenterà in Università. Il titolo è “Mettersi in gioco”. “Siamo in tema”, dice Boscoletto, che rinuncia a citare i passi che si è coscienziosamente annotato. Una frase però la legge. È di una giornalista marocchina di 30 anni, un appello a lasciar da parte il vittimismo. “Non permettete a nessuno di avvilire le vostre vite”. In sala, assieme ad alcuni operatori della cooperative, c’è anche una quindicina di detenuti. Il messaggio arriva diretto. E così, dopo due video con testimonianze dei carcerati impegnati nelle attività lavorative, è l’Ingegnere stesso a chiarire il concetto. Con gli occhi lucidi e nessuna retorica. “Mi avete dato una lezione formidabile di cosa c’è in ciascuno di noi. Nel corridoio d’ingresso è stato riprodotto l’Icaro di Matisse, con quel cuore rosso. La questione per ciascuno di noi è scoprire quel cuore. Ma ce l’abbiamo tutti, qualunque sia la storia che ci portiamo alle spalle. Anche se a volte non abbiamo il coraggio di fare leva su questo. Comunque voi mi avete fatto capire che tutti, in qualsiasi condizione ci troviamo, possiamo rinascere”. Si tratta di ritrovare non solo il gusto, ma lo scopo della vita, “la fierezza di vivere che ho visto in questi pasticceri, soddisfatti perché ci vedevano assaggiare il panettone e il torrone che avevano appena prodotto”. È un’esperienza quella del lavoro in carcere che secondo De Benedetti occorrerebbe estendere a tutti coloro che si sono trovati a fare degli errori gravi nella loro vita. Ma la cosa che ha impressionato di più l’Ingegnere è un’altra. Gli sguardi. “Mi hanno colpito gli occhi di queste persone, dell’operaio che assembla i pezzi delle biciclette, alla gioia dei pasticceri che ci parlavano dei loro prodotti. Ho visto una comunità al lavoro. Sono ammirato, vi ringrazio, è un’esperienza che non dimenticherò”. Un cenno anche a un’esperienza personale. “Ho vissuto per dodici ore il carcere ai tempi di Tangentopoli. Ho provato l’umiliazione di essere perquisito. E mi sono commosso quando alla sera sentivo il canto di alcuni famigliari dei carcerati”. Tutti siamo uguali, conclude l’Ingegnere, possiamo farcela tutti. “Dopo questa visita ho capito che è vero”. Trento: il Cappellano scrive al Dap; la direttrice se ne è andata, ma qui la tensione rimane Il Trentino, 21 novembre 2012 Dopo mesi che la direttrice del carcere di Trento si è allontanata, per un incarico superiore a Padova, nulla è cambiato, anzi la tensione resta. A sostenerlo è il cappellano della casa circondariale, padre Fabrizio Mario Forti, in una lettera inviata nei primi giorni di novembre al direttore generale del personale della polizia penitenziaria, Riccardo Turrini Vita, al provveditore regionale, Felice Bocchino, e al direttore in missione, Francesco Massimo. Nella lettera, di cui il cappellano ha riferito all’Ansa, padre Forti scrive: “Mi chiedo come mai sono aumentate le assenze per malattia, ma al cappellano, qualcuno può dire, queste cose non devono interessare. E invece io sono un cappellano che vede le cose e non posso fare silenzio. Anziché sedimentarsi tante tensioni - prosegue il cappellano - vengono riaccese creando un clima di divisione e questo permette il formarsi di nuovi centri di potere e chi ne fa le spese sono gli operatori minori e i detenuti. E il tutto viene condito da calunnia e falsità”. Siracusa: detenuto ammalato, interrogazione parlamentare a Ministri Giustizia e Salute Comunicato stampa, 21 novembre 2012 Ieri pomeriggio a Palazzo Madama, durante la 837 seduta del Senato della Repubblica, il Senatore Salvo Fleres (Grande Sud), che tra l’altro è anche il Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Sicilia, unitamente ai Senatori Marco Perduca e Donatella Poretti (Radicali Italiani, su sollecitazione dell’Ecologista Radicale Emilio Quintieri, hanno presentato una Interrogazione Parlamentare ai Ministri della Giustizia e della Salute Paola Severino e Renato Balduzzi in merito alle condizioni di salute di un detenuto gravemente ammalato e bisognoso di cure ristretto nel sovraffollato Carcere “Cavadonna” di Siracusa che, a fronte di una capienza regolamentare di 309 posti contiene in condizioni disumane e degradanti 515 detenuti. Si tratta di Davide Avola, 36 anni, pluripregiudicato vittoriese ritenuto dagli inquirenti un appartenente alla “Stidda”, una organizzazione criminale operante nel ragusano, in carcere dal 2009 per reati contro la persona ed il patrimonio. L’uomo, che venne tratto in arresto in flagranza di reato per furto di prodotti per l’agricoltura ai danni di una Azienda di Vittoria da personale della Polizia di Stato del Commissariato di Vittoria e della Squadra Mobile di Ragusa unitamente ai Carabinieri della Stazione di Vittoria, all’esito di un conflitto a fuoco con le Forze dell’Ordine, venne colpito da un colpo d’arma da fuoco alla regione gluteare destra con ritenzione di proiettile e interessamento del plesso nervoso sacrale sinistro, con danni neurologici gravi e fortemente invalidanti. Tant’è vero che oggi non riesce a mantenere neanche la posizione eretta per periodi prolungati per l’insorgenza di dolore di tipo trafittivo che si irradia lungo l’arto inferiore sinistro. All’epoca dei fatti venne sottoposto ad una serie di esami specialistici presso l’Azienda Ospedaliera “Garibaldi Centro” di Catania e gli veniva consigliato di praticare un delicato intervento chirurgico per l’asportazione dell’ogiva vicina al plesso nervoso lombare ed un successivo intervento di toilette chirurgica del canale vertebrale a livello di S2 per l’asportazione dei frammenti ossei e la lisi aderenziale alle radici nervose interessate dal tragitto del proiettile e ciò al fine di favorire un eventuale recupero dei deficit neurologici già presenti. Il Magistrato di Sorveglianza di Siracusa il 22 giugno 2010 disponeva il ricovero dell’Avola presso l’Ospedale “Garibaldi” di Catania per l’effettuazione dell’intervento chirurgico ritenuto necessario dai Sanitari, ma rilevato che nonostante i ripetuti e prolungati ricoveri presso la struttura l’intervento non veniva eseguito dal professionista di fiducia dell’interessato senza plausibili giustificazioni e vista la nota del nucleo traduzioni della Polizia penitenziaria di Catania che rappresentava elementi tali da far venire meno la fiducia nella struttura indicata, con provvedimento del 12 novembre 2010 revocava il ricovero presso il suddetto Ospedale disponendo l’immediato rientro in carcere del detenuto ed il suo successivo trasferimento presso l’ospedale “Cannizzaro” di Catania ovvero presso altra struttura ritenuta più idonea da parte della direzione sanitaria della casa circondariale di Siracusa per essere sottoposto all’intervento chirurgico di rimozione del proiettile. Ma, nonostante le varie istanze e sollecitazioni, solo nel mese luglio del 2011 al pregiudicato vittoriese venne asportato il proiettile tramite intervento chirurgico. A distanza di qualche mese avrebbe poi dovuto praticare l’altro proposto e necessario intervento di toilette chirurgica. I suoi avvocati difensori e la moglie oltre allo stesso personalmente, in tutti questi mesi, hanno ripetutamente chiesto al Magistrato di Sorveglianza di Siracusa di voler disporre il ricovero presso una struttura sanitaria esterna al fin di poter completare il trattamento terapeutico che i Sanitari ritengono necessario e non più procrastinabile. Purtroppo, sino ad oggi, non gli è stato consentito e se ne disconoscono i motivi. In merito è stata interessata anche la Presidenza della Repubblica che ha trasmesso l’istanza al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria presso il Ministero della Giustizia per il seguito di competenza. Lo scorso 30 giugno 2012 presso il Presidio Ospedaliero “Umberto I” di Siracusa è stata effettuata al detenuto Avola, una risonanza magnetica della colonna lombosacrale che ha evidenziato l’ulteriore aggravamento delle sue già precarie condizioni di salute. Il signor Avola - protesta l’Ecologista Radicale Emilio Quintieri - avrebbe bisogno di completare gli esami specialistici neurofisiologici indicatigli dai Medici ed in particolare quello dell’elettromiografia (Emg) agli arti inferiori e poi di praticare l’intervento di toilette chirurgica per l’asportazione dei frammenti ossei poiché il proiettile entrando in corpo gli ha rotto una vertebra che si è fatta in mille pezzi. Quest’uomo non ha più la sensibilità alle vie urinarie e soffre del deficit dell’erezione; nonostante il primo intervento subito continua a stare seduto con l’aiuto di un cuscino e non riesce a stare in piedi troppo tempo per via dell’insopportabile dolore che sente alla gamba sinistra. Com’è possibile - prosegua Quintieri - che ancora oggi non gli venga consentito di curarsi e cercare di risolvere il problema prima che diventi troppo tardi? I detenuti hanno diritto al pari dei cittadini in stato di libertà all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate ! Per quale motivo il Magistrato di Sorveglianza non dispone il suo trasferimento in una struttura sanitaria esterna così come prescrive l’Ordinamento Penitenziario e nonostante le numerose istanze avanzate ? Mi auguro - conclude l’esponente verde radicale - che nel più breve tempo possibile gli venga finalmente riconosciuta la possibilità di curarsi, diritto fondamentale inviolabile sancito dall’Art. 32 della Costituzione Repubblicana. Nel frattempo i Senatori Fleres, Perduca e Poretti, nell’atto di Sindacato Ispettivo nr. 4-08714 hanno chiesto al Governo di conoscere se e di quali informazioni disponga in merito ai fatti rappresentati; se sia noto per quali motivi, nonostante le varie istanze e sollecitazioni, il detenuto Davide Avola non sia stato trasferito presso una struttura sanitaria esterna per poter svolgere tutte le cure e gli esami specialistici necessari indicati dai sanitari; quali siano gli elementi indicati dalla Polizia Penitenziaria sull’inaffidabilità dell’Ospedale “Garibaldi Centro” di Catania che hanno indotto il Magistrato di Sorveglianza di Siracusa a revocare il ricovero precedentemente accordato al detenuto; se ritengano ammissibile che un cittadino, a cui è stata, non importa per quale ragione, tolta la libertà, e dunque lo Stato si fa ancor più garante dell’incolumità e integrità fisica, debba vedersi negato il diritto alla salute per così lungo tempo; se non ritenga opportuno dover promuovere un’inchiesta amministrativa per accertare responsabilità ed eventuali comportamenti omissivi ed infine, quali risultino essere le condizioni della Casa Circondariale “Cavadonna” di Siracusa ed in particolar modo con riferimento ai detenuti presenti, all’assistenza sanitaria loro fornita ed infine quali siano realmente le unità di Polizia penitenziaria in servizio presso tale istituto e se queste siano sufficienti per poter svolgere i compiti e le funzioni attribuite dall’Ordinamento Penitenziario e dalle altre norme vigenti in materia. Radicali Italiani, Ecologisti, Grande Sud Milano: violenze sessuali su detenuti; parlano Pagano (Dap) e Balducchi (Capo Cappellani) di Paolo Foschini Corriere della Sera, 21 novembre 2012 Sorpresa è dir poco. Per chi da anni conosce don Alberto Barin, il sacerdote che dal 1997 faceva il cappellano di San Vittore, la notizia del suo arresto e soprattutto del tipo di accuse che lo hanno determinato è stata come “un pugno di sbigottimento alla bocca dello stomaco”: per dirla con Luigi Pagano, oggi vicecapo del Dipartimento amministrazione penitenziaria dopo una vita alla guida dello stesso carcere-simbolo milanese prima e di tutte le carceri lombarde poi. “Assolutamente benvoluto da detenuti, operatori, volontari, agenti, insomma da tutti” - come riassume la direttrice attuale di San Vittore, Gloria Manzelli - don Alberto aveva ereditato un ruolo delicato e impegnativo da predecessori che tra i raggi dell’istituto hanno lasciato un segno: da don Giorgio Caniato a don Luigi Melesi, quello che convinse molti terroristi a “pentirsi”. E anche lui il suo impegno lo aveva assunto a 360 gradi, dentro e fuori di galera. Firmatario della “Marcia per l’amnistia” dei Radicali, protagonista di mille iniziative di sensibilizzazione. Il Sappe, sindacato degli agenti penitenziari, invoca attraverso il segretario Donato Capece la “presunzione d’innocenza” sottolineando che “in 17 anni don Alberto è stato sempre molto disponibile con detenuti e agenti”, persino “nell’organizzare corsi prematrimoniali e per la cresima di tanti poliziotti”. “Per quanto umanamente sconvolti aspettiamo con fiducia la conclusione dell’inchiesta”, chiude la direttrice Manzelli. La stessa cosa che si legge in una nota della curia milanese: “sconcerto e dolore”, ma anche “massima fiducia negli inquirenti e disponibilità alla collaborazione per le indagini”. “Il detenuto angosciato e solo - diceva in una vecchia intervista - è specchio per ciascuno di noi. Se io entro tutti i giorni a San Vittore è perché credo nell’uomo e nelle sue possibilità, dal mattino alla sera parlo con i detenuti e in ognuno di loro trovo estremi confini di male ma anche di bene. E quel che rimane è il bene”. Pagano: ho lavorato con lui per anni mai un sospetto Luigi Pagano, vicepresidente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, conosceva il cappellano arrestato ieri? “Quando ero direttore a San Vittore, fino al 2004, era il braccio destro del cappellano di allora. La funzione del cappellano è dare ai carcerati ascolto e comprensione. Penso alle visite del cardinal Martini che nelle celle non era accompagnato nemmeno dalle guardie penitenziarie. Qui siamo di fronte, se verranno provati, a episodi gravissimi”. Don Barin è accusato di concussione perché prometteva beni di prima necessità a chi accettava rapporti sessuali. Oppure di dare pareri favorevoli per i permessi. “In realtà, il cappellano non ha il potere di dare il consenso per una misura alternativa. C’è un’équipe di cui spesso nemmeno fa parte”. Secondo le accuse, le violenze avvenivano anche a casa del religioso. “Probabilmente siamo di fronte a una situazione patologica, non credo che c’entri il carcere. A San Vittore ci sono tante energie positive. Tutto il personale, dalla direttrice in giù, è impegnato a garantire la legalità e la convivenza interna, nei limiti di una struttura comunque vecchia e sovraffollata. Siamo operatori di giustizia e fatti come questi ci provocano vero dolore”. Ispettore Cappellani: mai nessun sospetto su don Barin Dopo i casi di pedofilia, questo episodio di violenza “è certamente un fatto spiacevole, per la Chiesa. Rispettiamo il dolore di tutti, delle eventuali vittime in primo luogo; ma attendiamo la ricostruzione giudiziaria dei fatti e preghiamo il Signore perché esca fuori la verità”. È quanto afferma don Virgilio Balducchi, ispettore capo dei cappellani carcerari, commentando la vicenda che ha coinvolto ieri il cappellano di San Vittore don Alberto Barin, arrestato con l’accusa di violenza sessuale su sei detenuti nel penitenziario milanese. “Al momento, provo soltanto dolore: per lui, per le persone che sarebbero state coinvolte, per coloro che gli volevano bene. Sono davvero esterrefatto nel leggere quel che dicono sia successo. Casco proprio dalle nuvole”, continua don Virgilio, sottolineando che “mai in passato erano accaduti o erano stati denunciati fatti simili”. Quanto a Barin, “sì, lo conoscevo personalmente e di lui posso solo che dire bene, non ho avuto mai il benché minimo dubbio sul suo operato né alcuna segnalazione negativa da parte di detenuti o dal personale del carcere di San Vittore; anzi, al contrario, in tanti mi chiedevano di ringraziarlo”. Sul caso del cappellano di San Vittore, “nessuna indagine interna da parte nostra, neanche informale - assicura don Balducchi. Noi all’Ispettorato non abbiamo nessun ruolo di questo tipo. Semmai è il suo vescovo che può prendere un’iniziativa, nel caso in questione la Curia di Milano; ma non credo che interverrà, avendo già manifestato chiaramente la totale disponibilità a collaborare con la magistratura”. In ogni caso, “la situazione che è uscita fuori, che sembrerebbe confermata anche da alcuni filmati almeno stando a quanto scrivono oggi i giornali, ha creato in me e in tutti gli altri cappellani un dispiacere enorme, per lui come per le eventuali vittime. Ma, come sempre, prima di dare giudizi finali, occorre aspettare le conclusioni della vicenda giudiziaria”. I cappellani in Italia sono oggi 220 in ruolo, più altri ancora non inseriti; con più di un cappellano nelle carceri più grandi, da San Vittore a Regina Coeli e a Rebibbia, da Poggioreale all’Ucciardone. È il vescovo diocesano che chiede al prete di fare il cappellano: il più delle volte è un’indicazione diretta, talvolta può derivare da una richiesta personale, volontaria. “Ma è molto più raro, in generale decide il vescovo della diocesi di appartenenza”, osserva l’ispettore capo dei cappellani carcerari. Milano: quella Pietà nel carcere del cappellano stupratore di Adriano Sofri La Repubblica, 21 novembre 2012 Ci sono giorni segnati da un destino. Ieri il Consiglio comunale milanese ha preso la decisione di trasferire la Pietà Rondanini nella rotonda del carcere di San Vittore. Ieri è stato arrestato per concussione e violenze sessuali il cappellano del carcere di San Vittore. Un doppio movimento, uno che va verso il carcere, uno che ne è respinto. Nelle sculture di Michelangelo, specialmente dove è più forte il non finito, è un doppio movimento a farsi sentire: la figura vuole uscire dal blocco di marmo - sprigionarsene, divincolarsene - e rientrarvi, esserne riassorbita. Qualcuno ha storto il naso di fronte alla decisione del trasloco dal Castello Sforzesco a una galera, e si è spinto fino a immaginare che “Michelangelo si rivolta nella sua tomba”. Idea indebita, perché all’autore dei Prigioni fiorentini e di questa estrema Pietà che evade dalla pietra e si rifà pietra, una rotonda di carcere sovraffollato si addice come il più solenne dei templi. Il cappellano di San Vittore avrebbe dunque detto messa ai piedi di quel monumento sublime: gran premio a una scelta umile. Non è stato alla sua altezza, e nemmeno all’altezza propria, di quella dedizione al suo prossimo incarcerato che dichiarava, e magari con una sua storta convinzione. Avrà bisogno di una difficile pietà anche lui. Ma la cattiva notizia che viene da San Vittore non basta a guastare la bella notizia che vi arriva. La differenza la farà uno scopino di San Vittore. Si chiama così, il detenuto che spazza il pavimento. Sarà sera, le celle saranno chiuse, ci sarà lui con la sua ramazza e un agente col suo mazzo di chiavi. Guarderanno quel figlio macilento e slogato che scivola giù dall’abbraccio della madre e sembra intanto tornarle in grembo. L’assessore che ha avuto l’idea era mosso da un’ambizione pubblicitaria? Ma la Pietà rimessa al centro dell’attenzione rimetterà al centro anche la galera: che in tanti avrebbero voluto sloggiare in qualche ultima periferia, per liberarne il cuore della città e farci su qualche affare. Qualcuno si offenderà per quel privilegio impensabile, il più commovente Michelangelo per il posto più infame: hanno la tv, e ora anche la Pietà, i 1.600 ammucchiati nello spazio da 500! Ma lo scopino e l’agente delle chiavi staranno lì, all’ora di chiusura, a guardare, ciascuno coi suoi pensieri. Poi se ne andranno a dormire, uno nel suo pezzo di cella e l’altro nella sua branda di caserma, e si addormenteranno con la compagnia che sanno loro. Spagna: le carceri scoppiano a Madrid come a Roma… Governi diversi, una sola risposta di Giovanni Jocteau Il Manifesto, 21 novembre 2012 Tra pochi giorni (dal 22 al 24 novembre) si terrà a Roma un convegno con i direttori delle istituzioni penitenziarie di tutti i paesi europei per un confronto tra le diverse realtà carcerarie, le politiche adottate e i risultati ottenuti. Tra i presenti ci sarà Ángel Yuste, al vertice del sistema carcerario spagnolo dopo la vittoria del centro-destra nel 2011, in sostituzione di Mercedes Gallizo, in carica durante i governi Zapatero. In Spagna, nonostante fino a un anno fa governasse una coalizione progressista, il numero di persone in carcere è superiore all’Italia. Se nel nostro paese i detenuti sono circa 66.500 su una popolazione di oltre 61 milioni, il sistema penitenziario spagnolo ne conta 69.500 su meno di 50 milioni di abitanti. Sorprende il picco registrato durante il governo Zapatero: tra il 2004 e il 2010 si passò da 59.000 detenuti a 77.000. Stupisce meno, considerato il contesto politico e culturale dell’Italia nello stesso periodo, che si sia verificato un trend analogo. Com’è dunque possibile che paesi con governi tanto diversi abbiano adottato politiche penali con un impatto simile sul sistema penitenziario? Una risposta univoca è impossibile, poiché i fattori in gioco sono molteplici, e vanno dalla legislazione alle strategie di controllo esercitate dalle forze di polizia e al diverso clima culturale. Certamente l’introduzione di leggi antidemocratiche e lesive dei diritti fondamentali, qualora non implementata da un capillare sistema repressivo, ha un’influenza relativa. Si pensi, ad esempio, alla legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pesanti e stabilisce una soglia quantitativa molto bassa per la presunzione di spaccio, prevedendo quindi la detenzione anche per i consumatori, o alla Bossi-Fini sull’immigrazione. Se queste due normative avessero avuto un’applicazione più rigorosa il numero di detenuti avrebbe avuto un’impennata di proporzioni inimmaginabili. Invece i tagli alla sicurezza e il sovraffollamento delle carceri hanno impedito l’aumento incontrollato dei detenuti che le politiche populistico-securitarie dell’era berlusconiana avrebbero potuto causare. Al contrario in Spagna, pur in presenza di leggi meno repressive (soprattutto in materia di droghe), condizioni strutturali diverse, come una maggior capienza delle carceri ereditata dal franchismo, hanno comunque portato a un netto aumento dei detenuti. Peraltro, come dimostrano le statistiche, la forte crescita dei tassi di detenzione, comune a tutte le democrazie occidentali, non è riconducibile a un aumento dei reati e della violenza. Politiche più repressive sembrano piuttosto una risposta demagogica al diffuso e crescente sentimento di insicurezza sociale. Accade così che i soggetti in condizioni più precarie assurgano a capri espiatori (la popolazione carceraria in Spagna e Italia ha caratteristiche analoghe: circa il 40% di stranieri e una stragrande maggioranza di persone che scontano condanne per piccoli reati contro il patrimonio o per violazione della legge sugli stupefacenti). Fatte queste premesse, non sorprende che il passaggio da Za-patero a Rajoy, pur avvenuto tra notevoli polemiche sulla gestione dei fondi penitenziari, non abbia portato netti cambiamenti. L’innovazione forse più significativa degli ultimi anni, ovvero l’introduzione dei Módulos de Respe-to (un regime che prevede tra l’altro la detenzione a celle aperte), è rimasta in vigore con entrambi i governi. Tale istituto, voluto da Gallizo, dovrebbe essere volto a creare un clima di tolleranza e a interiorizzare valori di socializzazione e convivenza. L’accesso avviene su iniziativa del detenuto, che firma un Compromiso de Conducta con cui s’impegna a un piano di trattamento, ad attività lavorative e formative e al rispetto di una serie di regole igieniche (anche intime) e di comportamento. Yuste sta tentando di estenderlo il più possibile, fino a generalizzarlo con gradualità (a seconda dell’adattabilità e dei precedenti del detenuto) anche a quanti non intendano aderirvi. Ma i Módulos de Respeto sono veramente una conquista democratica? I sostenitori affermano che hanno consentito un miglioramento in termini di socialità, formazione professionale, istruzione e rieducazione. Al contrario, i critici li considerano uno strumento tipico dell’istituzione totale, volto soprattutto a disciplinare con regole ferree e umilianti. Rimane un dilemma: si può obbligare un adulto, già privato della libertà, ad adeguarsi a regole così invasive anche della sfera più intima? Perché di fatto di obbligo si tratta, poiché in Spagna, così come in Italia, è solo attraverso l’adesione ai progetti tratta-mentali che si può accedere a benefici penitenziari, comprese l’ammissione a misure alternative al carcere o la liberazione anticipata.