Bambini che non devono essere considerati “di serie B” Il Mattino di Padova, 19 novembre 2012 “Potremmo fare di più se fossimo più numerosi: per questo cerchiamo volontari, consapevoli e motivati”: è questo l’appello lanciato dall’associazione Telefono azzurro, che sulla protezione del bambino ha incentrato la sua attività, iniziata 25 anni fa come linea telefonica d’emergenza per minori in difficoltà e successivamente ampliata a tutti gli ambiti nei quali sia necessario un intervento per prevenire abusi o intervenire in difesa del bambino. I volontari in questo caso servono pe dedicarsi a dei bambini, per troppo tempo e in troppi luoghi considerati “di serie B”: i figli delle persone detenute. L’inaugurazione delle ludoteche della Casa di Reclusione e della Casa Circondariale di Padova, rimesse a nuovo ad opera della filiale IKEA, che ha gratuitamente offerto l’intero arredo, è stata l’occasione per portare a conoscenza dell’opinione pubblica l’attività che l’associazione presta all’interno delle carceri fin dal 1998. La testimonianza di una persona detenuta, che non vuole che la figlia subisca le umiliazioni dei colloqui e delle perquisizioni, fa capire quanto è difficile trovare delle strade nuove per l’incontro in carcere tra genitori e figli. Ma forse la nuova ludoteca e la paziente cura delle volontarie di Telefono azzurro possono far capire a tanti detenuti che in qualche carcere, come a Padova, c’è la possibilità di vedere i propri figli in condizioni più umane. volontari.telefonoazzurropd@gmail.com Genitori che con i loro figli devono riprendere un discorso lasciato interrotto Da quando si è formato il gruppo di Telefono azzurro di Padova, abbiamo cercato di prestare il nostro servizio con serietà e costanza, consapevoli e certi dell’importanza dell’attività che andavamo a svolgere sabato dopo sabato, ed in seguito anche nei giorni infrasettimanali, accogliendo i bambini e dedicandoci a loro, vedendoli crescere, affezionandoci a loro, interpretando i loro umori e cercando di alleggerire le loro difficoltà. Fra le attività di volontariato che vengono svolte all’interno degli Istituti padovani, quella di Telefono Azzurro ricopre un ruolo particolare, essendo l’unica espressamente rivolta all’infanzia coinvolta nella realtà carceraria. Il rapporto fra il minore ed il genitore o un congiunto recluso rappresenta uno di questi ambiti sui quali intervenire, poiché l’interruzione forzata della relazione può causare al bambino degli squilibri in termini di fiducia in se stesso e nei propri familiari, e in termini di benessere relazionale e materiale. Abbiamo fatto in modo di essere sempre adeguatamente formati per affrontare le situazioni in questo ambiente non certo facile, e forse ci siamo riusciti. Non possiamo che essere grati a tutte le figure all’interno degli istituti di Padova che hanno supportato la nostra attività fin dall’inizio e che continuano a farlo ogni volta che siamo presenti, dai Direttori, agli Educatori, agli Agenti di Polizia Penitenziaria. Ci hanno aiutato a rendere consapevole o ad aggiungere consapevolezza anche nei padri detenuti su quanto importante sia interagire con il proprio figlio per riprendere un discorso lasciato interrotto, per capire la misura della sua crescita, per ricominciare a ridere e divertirsi con lui, anche se per poco, pochissimo tempo…. Durante le nostre presenze vediamo famiglie che restano unite attorno ad un tavolo per tutto il tempo a loro disposizione, mangiando e giocando insieme, e vediamo famiglie in cui il comunicare sembra quasi imbarazzante. Vediamo figli che cercano l’attenzione dei genitori e da questi vengono quasi ignorati, e quelli che invece dalle loro attenzioni sfuggono. Il nostro è certamente un punto di osservazione privilegiato, che ci permette di capire quanta strada ci sia ancora da fare per aiutare questi bambini. Siamo perfettamente consapevoli che il tempo che riusciamo a dedicare a questa attività è ancora poco rispetto a quanto sarebbe necessario perché queste relazioni potessero mantenersi, crescere o addirittura nascere. Noi comunque ci siamo, felici dell’affetto che i bambini ci restituiscono. Le volontarie di Telefono Azzurro Il carcere è un luogo poco adatto per una bambina So che la mia storia non è facile da capire, e che io non sono abile nel raccontarla, ma provo a farlo perché quella che noi viviamo spesso è proprio una forma di carcerazione sbagliata, che non fa altro che punire gli affetti delle persone che sono chiamate a scontare la loro pena. Sono in carcere ormai da cinque anni, per una pena complessiva di dieci anni. Dopo il mio arresto ho iniziato a fare i colloqui con i miei familiari, e quando si discuteva sull’ipotesi di portarmi mia figlia, sono stato sempre restio ad accettarla, in quanto pensavo che il carcere fosse un luogo poco adatto per una bambina e che un’esperienza del genere l’avrebbe potuta segnare per il resto della sua crescita. Ma dopo otto mesi che non la vedevo la sua mancanza era troppo forte, e cosi iniziai a maturare l’idea di farmela portare. Quando è venuta al primo colloquio le emozioni sono state tante, anche se per fortuna lei era piccola e non mi ha fatto molte domande, e ha passato l’intero colloquio in modo spensierato giocando con me e altri bambini. La situazione più imbarazzante per me si è presentata alla fine del colloquio, quando dovevamo separarci, perché mi ha chiesto di tornare a casa con lei, ma io purtroppo ero impreparato a una domanda tanto semplice, cosi i miei familiari presenti al colloquio hanno capito il mio disagio, e sono intervenuti dicendole che non avrei potuto in quanto dovevo rimanere li per lavorare e con i soldi contribuire alle spese della famiglia, ma che ogni settimana avremmo avuto la possibilità di vederci. Tuttavia dentro di me è nato un senso di colpa per le bugie che le raccontavo, ma in quel momento mi sembrava giusto farlo per cercare di proteggerla da una verità troppo forte e dura per una bambina della sua età: come si fa a dire che suo padre dovrà starle lontano per dieci anni e spiegarle le ragioni in un ambiente come quello carcerario? Non lo fai e ogni volta rimandi ad un futuro prossimo. Sono passati così un bel po’ di colloqui quando un sabato, mentre vado nella sala colloqui per svolgere il colloquio settimanale con la mia famiglia, non vedo mia figlia. Essendo sicuro che avrebbe dovuto esserci ho chiesto subito a mia madre perché la bambina non era li con lei, e dopo vari tentativi di nascondermi la verità, hanno dovuto dirmi che la bambina all’ingresso dei colloqui si rifiutava di farsi perquisire perché aveva paura che le prendessero la caramella che aveva in tasca, che con tanto amore aveva pensato di portami. Hanno provato a farla desistere da quella sua scelta ma non c’è stato verso, anzi ha iniziato a fare i capricci e a piangere. Mentre accadeva tutto ciò, qualcuno del personale le ha ricordato con un tono di voce alto che quello era un carcere e se voleva vedere suo padre avrebbe dovuto svuotare le tasche come un adulto, e la bambina ha compreso definitivamente la verità delle cose, a tal punto da chiedere a sua madre perché io fossi in carcere. Dopo questa esperienza ho deciso di non farmela portare più al colloquio, da allora sono passati quattro anni, lei attualmente di anni ne ha nove e nonostante sia un anno e mezzo che sono recluso nel carcere di Padova, e rispetto ad altri istituti il carcere sarebbe meno “arido” per farla venire al colloquio, per ora rimango saldo in quella mia decisione, mantenendo i rapporti con lei solo telefonicamente. Molto spesso negli incontri avuti con educatori e psicologi all’interno del carcere, ho affrontato questo tema, e la possibilità di raccontare alla bambina la verità sul perché sono rinchiuso in carcere, evitando cosi di andare avanti con le bugie che ormai da anni le dico, ma per telefono non è facile affrontare questo argomento, quindi continuo a rimandare ad un futuro prossimo nella speranza di trovare un ambiente più adeguato per parlare con mia figlia. Tuttavia per questa brutta esperienza che lei ha vissuto c’è una responsabilità mia, perché avrei dovuto tutelarla non trovandomi rinchiuso in un carcere e facendo una scelta di vita diversa. Klajdi S. Istantanee da un inferno, l’eterna emergenza-carceri di Vladimiro Polchi La Repubblica, 19 novembre 2012 A fotografare la vita in cella è l’associazione Antigone con il suo IX rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Due numeri per capire: su 46.795 posti disponibili, oggi sono a disposizione di 66.685 detenuti. In arrivo 400 sentenze della Corte europea contro il sovraffollamento. Scarse attività di recupero, carenza di personale. A Taranto 4 detenuti si affollano in 9 metri quadrati. A Latina si sta rinchiusi anche 20 ore al giorno. A Catania d’inverno i termosifoni restano spenti. A fotografare la vita dietro le sbarre è l’associazione Antigone col suo IX rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Due numeri per capire: su 46.795 posti disponibili, oggi in cella ci sono ben 66.685 detenuti. E scatta l’allarme: in arrivo 400 sentenze della Corte europea contro il sovraffollamento. I numeri del continuo allarme. Il rapporto di Antigone denuncia i mali, vecchi e nuovi, che affliggono il pianeta carcere: “La dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento risale al 13 gennaio 2010 e il numero dei detenuti allora era di 64.791. Al 31ottobre scorso, la presenza è di 66.685 detenuti, 1.894 in più. Ma come - si chiede il rapporto - i detenuti non dovevano diminuire?” Così l’Italia resta il Paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione Europea. Il nostro tasso di affollamento è oggi infatti del 142,5% (oltre 140 detenuti ogni 100 posti). La media europea è del 99,6%. Il “giallo” della capienza. Secondo i dati ufficiali al 31 ottobre 2012 la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari è di 46.795 posti. “La notizia però incredibile - scrive Antigone nel rapporto - è che due mesi prima la capienza degli istituti era di 45.568 posti. A noi non risultano apertura di nuove carceri, né di nuovi padiglioni in vecchi istituti di pena. A che gioco giochiamo?”. Chi sono i detenuti? I 66.685 detenuti nelle nostre carceri sono per lo più uomini. Le donne rappresentano solo il 4,2%. Gli stranieri (23.789) sono il 35,6%. Le nazionalità più rappresentate? Marocchina (19,4%), Romena (15,3%), Tunisina (12,7%), Albanese (11,9%) e Nigeriana (4,4%). “Dei delitti e delle pene”. I reati più diffusi sono contro il patrimonio, seguiti dalle violazioni al Testo Unico sugli stupefacenti e da quelli contro la persona. Tra chi, al 30 giugno 2012, aveva una condanna definitiva, il 26,5% ha un residuo pena inferiore all’anno. Non solo. Il 40,1% non sconta una condanna definitiva, ma è in carcere in custodia cautelare. E ancora: all’inizio dell’anno i detenuti sottoposti al 41 bis erano 678. Tra questi 246 appartenevano alla Camorra, 206 a Cosa Nostra, 106 alla ‘Ndrangheta, 31 ad altre Mafie, 19 alla Sacra Corona Unita, 6 alla Mafia “Stidda” e 2 alle Brigate Rosse. Poca scuola e scarso personale. Meno di un quarto dei detenuti presenti in carcere alla fine del 2010 era impegnato in attività scolastiche. Al 30 settembre 2012 la carenza degli educatori è del 27,2%, quella degli assistenti sociali addirittura del 35,1%, mentre la carenza del personale di polizia penitenziaria è “solo” dell’8,9%. Suicidi e 400 cause in arrivo. Ad un mese dalla fine dell’anno, 93 sono i detenuti morti in carcere, di cui 50 per suicidio. E poi: “La Corte europea dei Diritti dell’Uomo - ricorda il rapporto - condannò l’Italia per avere costretto una persona a stare in meno di tre metri quadri: l’Italia fu condannata a pagare 1.000 euro. In tal senso, Antigone ha presentato 170 ricorsi alla Corte e ha supervisionato altri 230 ricorsi presentati direttamente dai detenuti: 400 ricorsi che saranno decisi a breve. In arrivo vi sono dunque 400 sentenze che potrebbero portare l’Italia a pagare non meno di 400mila euro”. Le telecamere dietro le sbarre. Al tradizionale rapporto cartaceo quest’anno si affianca la presentazione di “Inside carceri”: il primo web-doc dedicato agli istituti penitenziari italiani, realizzato dall’Osservatorio di Antigone insieme al service giornalistico multimediale Next New Media. Il reportage (accessibile gratuitamente online a questo indirizzo) è un viaggio all’interno di 25 istituti di pena del nostro Paese. Si va dall’intervista a un ex-detenuto, che a volto scoperto racconta di un pestaggio che avrebbe subito da parte di alcuni agenti penitenziari nel carcere di Lucera a Foggia (e su cui è in corso un procedimento della magistratura), alle immagini impietose del complesso penitenziario di Sollicciano a Firenze: sovraffollamento nel reparto maschile, pioggia nelle celle del femminile. Giustizia: con spending review falcidiati assistenti sociali e personale penitenziario di Davide Madeddu L’Unità, 19 novembre 2012 La scure della spending review sulle carceri. Il risultato, per il momento ipotizzato da sindacati e associazioni, è che “si rischia di far affondare una barca già piena d’acqua”. Perché con meno risorse si dovrà impiegare meno personale. E si tratta di educatori, assistenti sociali e altre figure professionali civili che garantiscono all’interno delle prigioni d’Italia, i servizi per i detenuti. Il risultato che si otterrebbe è chiaro: taglio ai servizi per chi in carcere sconta una pena. I numeri elaborati dalle organizzazioni sindacali sono tutt’altro che confortanti: a causa della spending re-view si dovrà fare a meno di circa un migliaio di figure professionali. Lina Lamonica, educatrice penitenziaria e dirigente della Funzione pubblica della Cgil non nasconde la preoccupazione per il futuro e il disappunto per gli effetti che i tagli, se attuati, potrebbero produrre. Parte da un fatto la sindacalista: “la rideterminazione degli organici è stata avviata nel 2006 e non si fanno concorsi per determinate figure da 10 anni”. II resto è presto spiegato. “Rispetto alla pianta organica del 2006, gli assistenti sociali vengono falcidiati più di tutte le altre qualifiche - spiega Lina Lamonica - con numeri che si aggirano intorno al 35%: ossia - 567 su 1621”. Altra riduzione poi dovrebbe riguardare gli educatori: “I tagli sono del 27% , ovvero - 369 su 1367”. Risultato finale? “Su 2988 figure professionali che si occupano della cosiddetta area trattamentale e sociale - argomenta la sindacalista - se ne dovrebbero perdere 936, cioè il 31 per cento”. Un dato che andrebbe in contraddizione con una eventuale politica incentrata sulla esternalizzazione della pena e delle pene alternative. “Se mancano queste figure professionali - spiega ancora la dirigente sindacale - diventa poi difficile poterlo fare”. Lina Lamonica, cita un altro dato: “Oggi la pianta organica del Dap prevede 1630 assistenti sociali; considerato che le misure alternative seguite dagli Uepe (uffici esecuzioni penali esterne) sono pari a 24.743 e che con l’approvazione della messa alla prova e l’introduzione di nuove pene non detentive si stima che potranno esserci 40.000 condannati in esecuzione penale esterna, l’organico degli assistenti sociali (funzionario della professionalità del servizio sociale) dovrà essere necessariamente pari a 3260”. Per Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone la spending review “rischia di dare un colpo mortale a un sistema già al collasso”. L’esponente dell’associazione che quotidianamente si occupa dei problemi del mondo carcerario fa una riflessione: “I tagli imposti dal governo Monti al personale dirigenziale sono stati interpretati, pare, - spiega - in modo da ridurre la presenza dei direttori e rafforzare le posizioni della polizia penitenziaria”. Motivo? “Pare sia intenzione della Amministrazione Penitenziaria tagliare del 20% le piante organiche dei direttori di carcere, lasciare vacanti le sedi carcerarie con meno di cento-centocinquanta detenuti affidandone la gestione ai commissari di polizia, i quali entro breve potrebbero a loro volta acquisire funzioni e competenze dirigenziali”. Non nasconde la perplessità Massimo Di Rienzo, direttore del carcere di Sulmona e Lanciano. “La preoccupazione è che il carcere perda la sua funzione rieducativa assumendo una funzione securitaria di mero contenimento”. Motivo? “Si vanno a tagliare gli assistenti sociali, gli educatori, i dirigenti e direttori del servizio sociale - spiega - quelli che si occupano del settore trattamentale e della rieducazione”. Non è tutto. “La figura del direttore come autorità civile e momento di equilibro e compensazione verrebbe a scomparire - spiega - perché ogni direttore dovrebbe dirigere più di una struttura. Se tagliano l’organico ci saranno 70 direttori in meno per gli istituti penitenziari d’Italia”. Toto Chiaramonte, segretario nazionale della Funzione pubblica della Cgil non usa giri di parole. “Ci troviamo davanti a un problema che è quello dei cosiddetti esuberi, in questo caso ballano circa mille posti di lavoro. Il fatto vero è che si dovrebbe invece rafforzare un sistema che dovrebbe ricevere più lavoro”. Per l’esponente della Cgil la soluzione al problema passa per un cambiamento politico. Il modo? “Uno degli strumenti più semplici è quello della depenalizzazione di reati come quelli legati agli stupefacenti, o all’immigrazione”. Giustizia: Cgil; troppi tagli al personale, il carcere sta perdendo la sua missione rieducativa www.fp.cgil.it, 19 novembre 2012 Il carcere sta perdendo la sua missione rieducativa. Barbara Campagna, coordinatrice regionale Fp-Cgil del Ministero Giustizia-Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), lancia l’allarme: si rischia “un sistema dell’esecuzione penale sempre più orientato alla privatizzazione”, con al centro solo “sicurezza e contenzione”. Il governo mostra tutta la sua incoerenza quando da un lato, dichiara di voler ridurre il sovraffollamento carcerario con più misure alternative alla detenzione, e poi dall’altro, con la “spending review”, taglia. Il 10% dei funzionari e il 20% dei dirigenti a esse preposte. E prevede pure la riduzione degli Uepe, gli uffici di esecuzione penale esterna (con accorpamento alla sede del capoluogo regionale). Ma non si toccano gli sprechi, come quei 10 milioni l’anno dal 2001 in bilancio per i “braccialetti elettronici”. Incoerenti sono anche gli ultimi due concorsi per 500 educatori (dopo oltre 8 anni di stop), con ruolo di fatto svuotato. Le conseguenze di queste misure vanno dall’allungamento dei tempi per trasmettere ai tribunali di sorveglianza le relazioni del servizio sociale all’impossibilità sia di spostamento (mancano già risorse economiche e mezzi) sia dell’attività effettiva di questi lavoratori. I numeri parlano chiaro: in Italia ci sono circa 67mila detenuti e 30mila persone in misura alternativa; in Lombardia, a fine luglio, 9374 detenuti e 6711 le misure alternative seguite. Qui, nei 7 Uepe (Milano, Pavia, Bergamo, Brescia, Mantova, Como, Varese), lavorano 112 educatori (sui 145 previsti) e 103 assistenti sociali (sui 198 previsti). Basilari. I primi - di cui una ricerca del Dap ha mostrato l’efficacia a fronte del calo dei tassi di recidiva - sempre più centrati sulla persona, attraverso ad esempio la formazione e la promozione del reinserimento sociale, i secondi anche per le relazioni con i vari soggetti sul territorio (famiglie, enti locali, Asl, cooperative sociali, volontari, ecc.). Ma la stessa Amministrazione penitenziaria, come evidenzia la dirigente sindacale, “non ha potuto, o non ha voluto, insistere validamente per un incremento di questi operatori ed ha sempre più subordinato la loro opera a logiche di contenimento e controllo più che di valorizzazione ed impulso delle diverse azioni che avrebbero potuto essere messe in rete e potenziate nell’ottica del reinserimento”. La sproporzione - per cui lo scorso 9 novembre è stata inviata una lettera al ministro Severino e al capo del Dap Tamburino - tra i 38mila poliziotti penitenziari italiani (4063, sui 5353 previsti in Lombardia, dato a luglio 2012) e i 6400 circa operatori e dirigenti Uepe (372, sui 690 previsti in Lombardia) è di per sé indicativa. Ma pure gli operatori penitenziari hanno le loro grane: a tutela di un sistema carcerario servizio pubblico Campagna ragiona in termini d’interazione. Giustizia: chiusura Opg; Di Giovan Paolo (Pd) presenta interrogazione parlamentare su iter decreto Ristretti Orizzonti, 19 novembre 2012 Il testo dell’interrogazione. “Ai Ministri della salute e della giustizia, premesso che il decreto-legge n. 211 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2012, indica date puntuali per l’adozione del decreto di attuazione da parte del Ministro della salute di concerto con il Ministro della giustizia e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni; all’articolo 3-ter la data del 31 marzo 2013 è indicata come decorrenza per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg); per quanto riguarda sia i pazienti già dimissibili sia quelli che dovrebbero ritornare nelle proprie regioni di residenza, si devono attivare progetti terapeutici riabilitativi individuali, si chiede di conoscere: se i Ministri in indirizzo intendano informare sullo stato dell’iter del decreto in questione; se sia avvenuto il riparto tra le Regioni dei finanziamenti finalizzati alla presa in carico da parte delle Aziende sanitarie locali delle persone attualmente presenti negli Opg; se esista un cronoprogramma concordato tra i Ministero della salute e della giustizia, tenuto conto di eventuali ritardi di attuazione”. Giustizia: Papa (Pdl); in America c’è incredulità per lo stato della democrazia italiana Agenparl, 19 novembre 2012 “Intendo aderire all’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame indetta da Marco Pannella per l’amnistia e il diritto di voto dei detenuti”, è quanto dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa appena rientrato da Washington dove ha condotto una campagna di sensibilizzazione sui diritti umani e sugli abusi della carcerazione preventiva in Italia. “Ai colleghi americani che ho incontrato in questi giorni ho rappresentato lo stato della giustizia italiana e del sistema penitenziari o, soffermandomi sull’abuso della carcerazione preventiva e sulla sostanziale irresponsabilità dei magistrati”, ha continuato Papa. “Dallo Speaker della Camera John Boehner fino alla democratica Corinne Brown, braccio destro di Obama in Florida, ho ricevuto parole di indignazione ed incredulità. L’Italia resta pur sempre nell’immaginario americano una solida democrazia nel cuore del Mediterraneo. Peccato - conclude Papa - che oggi quella democrazia sia a dir poco decrepita a causa di uno strapotere giudiziari o e di una politica inerte e quindi complice”. Giustizia: nel 2004 agente penitenziario denuncia i superiori, finisce espulso dal Corpo e condannato di Fabio Frabetti Affari Italiani, 19 novembre 2012 27 anni di servizio, una medaglia d’oro e una di bronzo. Eppure non fa più parte del corpo della Polizia Penitenziaria. È l’amara storia di Giuseppe Picone, 53 anni, iniziata nel 2004 quando era uno degli agenti nel carcere di Trapani. A suo dire tutti i suoi problemi iniziano quando si oppone ad una pratica illegale: l’introduzione di cellulari all’interno dell’istituto di pena con la complicità di alcuni suoi superiori. “C’è un ordine di servizio emesso dal Ministero della Giustizia che vale in tutte le carceri italiane - racconta Giuseppe ad Affari - io ero addetto alla portineria e non potevo far entrare nessun civile, anche perché c’era il rischio che potesse incontrare casualmente un detenuto. Mi sono quindi opposto alla ripetuta richiesta di un geometra che sosteneva di poter entrare per alcuni lavori che si stavano svolgendo all’interno del penitenziario. Quella persona doveva essere accompagnata da un collega e fatta passare dalle mura esterne. Invece grazie all’intervento del direttore e di altri superiori i suoi passaggi furono permessi nonostante il geometra avesse con se cellulare e computer portatile. L’ordine di servizio ministeriale è molto chiaro: solo un magistrato potrebbe entrare con un telefonino. Mi accorsi quindi di essermi imbattuto nell’ingresso incontrollato e illegale di cellulari. Quando mi sono accorto di quanto accadeva ho cercato di bloccare questa attività che rappresenta un reato penale e da quel momento ho iniziato a subire abusi d’ufficio, violazioni di legge e molte angherie”. giuseppe picone4 Dopo aver raccontato l’episodio durante un’assemblea sindacale lo stesso superiore che aveva autorizzato l’ingresso del geometra lo sospende per farlo sottoporre ad alcuni test psichiatrici. Viene considerato idoneo e rientra al lavoro per un incarico ottenuto dopo aver vinto un concorso interno. Scopre invece che quel posto era già stato assegnato. Preso dalla rabbia e piuttosto abbattuto si chiude dentro una stanza. “È il pretesto - continua Giuseppe - che serve ai miei superiori per giustificare un mio stato mentale alterato. Mi sottopongono a nuove visite psichiatriche al termine delle quali vengo congedato per patologia psichiatrica. Ho tentato di documentare quello che mi stava accadendo al Dipartimento della Polizia Penitenziaria di Roma ma non è successo niente. Per le mie accuse sono stato a mia volta denunciato dal mio ex Comandante. Mentre ero ancora in servizio fui anche interrogato senza la presenza di un avvocato: al legale d’ufficio il mandato di nomina venne notificato ben sei giorni dopo la mia audizione”. Sempre più scoraggiato forse esagera nelle sue esternazioni di protesta, soprattutto nei confronti della magistratura. Lo stesso questore lo ammonisce perché alcuni magistrati si sentono minacciati dal tenore delle sue proteste. La sua abitazione viene addirittura perquisita. Vedendo una giustizia impermeabile alle sue gravi accuse denuncia a Caltanissetta i procuratori di Trapani. Vengono anche presentati alcuni esposti al Csm, tutti archiviati. Si incatena numerose volte, anche davanti a Montecitorio. Non sa darsi pace: si sente vittima di un complotto per aver denunciato uno strano ingresso di persone e cellulari. Mentre le sue accuse sono cadute nel vuoto, la denuncia di un suo ex funzionario ha portato ad una condanna per molestie: “dichiarò di avere visto i miei occhi aggressivi, rancorosi e minacciosi nei confronti della sua persona, davanti un mercato ortofrutticolo durante una festa della Polizia. Sono stato rinviato a giudizio. Nonostante abbia documentato al giudice quanto subito da quella persona (abuso d’ufficio, violazioni di legge, ecc.) sono stato condannato per molestie, perché durante le mie manifestazioni documentavo al pubblico quello che mi era capitato. Tutto questo è allucinate, sono stato punito due volte, prima dal mio ex che ha abusato e violato le leggi, poi dal giudice. Praticamente ho rovinato la mia vita, la mia famiglia e la mia fedina penale perché esponevo quello che avevo subito dai miei ex superiori. Io non vivo e non vive serenamente la mia splendida famiglia. Non ho fatto mai del male ha nessuno, nella mia carriera di poliziotto penitenziario ho salvato la vita di detenuti che cercavano in tutti i modi di togliersela, ho rischiato esponendomi in prima persona per farli ricoverare quando dicevano di non stare bene. Di questo ne vado fiero perché l’ho fatto con onore e dignità”. Cagliari: cantiere nuovo carcere ancora fermo per ennesimo braccio di ferro tra l’impresa e gli operai Ansa, 19 novembre 2012 “Si profila l’ennesimo braccio di ferro tra l’impresa Opere Pubbliche e gli operai. Sarebbe ora che il Ministero delle Infrastrutture facesse rispettare gli impegni e mettesse da parte la politica dello struzzo”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento al nuovo stato di agitazione degli operai del cantiere nel territorio dove sta sorgendo il carcere di Cagliari-Uta. “Al mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, che vedono sistematicamente congelati gli stipendi e i versamenti contributivi, si è aggiunto ora - sottolinea Caligaris - il razionamento del materiale per realizzare la struttura. Si tratta di un ulteriore preoccupante segnale della oggettiva difficoltà dell’impresa di onorare il contratto. Con questo ritmo la data del 31 dicembre 2013, fissata dal Ministero per la consegna dell’opera, rischia ancora una volta di saltare. È arrivato il momento di interrompere questi funambolismi anche perché gli operai sono stanchi di vivere ogni mese nell’incertezza di poter percepire il compenso pattuito”. “Dinnanzi a una nuova iniziativa di lotta dei lavoratori - conclude la presidente di SdR - attendiamo una risposta chiarificatrice del Ministero delle Infrastrutture. È assurdo dare un’indicazione temporale nella relazione alla Presidenza della Repubblica da parte dell’Ufficio Tecnico per l’Edilizia Penitenziaria, quando l’impresa non rispetta i patti”. Catania: carcere invivibile e Ordinanza inapplicata, il Garante presenta un esposto alla Procura La Sicilia, 19 novembre 2012 I dispositivi della magistratura vanno applicati, ma non sempre avviene. E dunque “in memoria” di un provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza di Catania il 5 marzo scorso sullo stato di invivibilità del carcere di piazza Lanza - provvedimento rimasto lettera morta - il Garante dei diritti dei detenuti per la Regione siciliana, senatore Salvo Fleres, ha presentato in questi giorni un esposto al Procuratore della Repubblica di Catania. Il giudice di sorveglianza, emettendo il provvedimento, aveva accolto un ricorso presentato in gennaio dall’avvocato Vito Pirrone, il quale aveva denunciato la condizione disumana e degradante in cui sono costretti a vivere i detenuti ristretti in quel carcere. Nel ricorso si evidenziavano lo stato di sovraffollamento, la disastrosa situazione igienica, l’assenza di spazi destinati ad attività fisica, l’assenza di acqua calda e di riscaldamenti in pieno inverno, l’impossibilità di svolgere attività lavorativa. E veniva anche messo in evidenza il grave stato di precarietà patito dai familiari dei detenuti costretti a estenuanti file lungo il muro di cinta dell’istituto prima di poter andare a colloquio con i parenti ristretti. Il Magistrato di sorveglianza nel provvedimento del 5 marzo 2012, dichiara che “sussiste nella casa circondariale di piazza Lanza una condizione di sovraffollamento che eccede i limiti di capienza regolamentare (155 detenuti) e dalla capienza tollerabile (221 detenuti) e che tale condizione incide sulla legittima aspettativa dei detenuti ad un trattamento rieducativo pieno”. Inoltre, nello stesso provvedimento si leggeva testualmente. “Il magistrato di Sorveglianza rappresenta al Ministro della Giustizia la suddetta condizione di sovraffollamento e al Direttore della casa circondariale di piazza Lanza, l’opportunità di provvedere al più presto alla riattivazione del servizio di riscaldamento della struttura nei mesi invernali, ed attivarsi, nei limiti delle proprie competenze, al fine di ottenere maggiori risorse da destinare alle attività trattamentali e sanitarie dell’istituto, nonché alla ristrutturazione ed adeguamento del reparto Nicito (ndr: un reparto particolarmente degradato destinato alla detenzione in isolamento)”. Secondo Fleres, l’ordinanza del Giudice è di particolare rilevanza, perché ha certificato una situazione più volte rappresentata nelle varie sedi istituzionali e non si limita a sancire soltanto il noto sovraffollamento, ma si sofferma anche sulle pessime condizioni dei reparti e al trattamento riservato ai detenuti”. Il senatore Fleres, rilevando che ad oggi, la situazione dell’istituto non è mutata e che il provvedimento del Magistrato di sorveglianza non ha trovato idoneo riscontro, si rivolge al Procuratore della Repubblica affinché si accerti delle condizioni di detenzione e dell’adempimento di quanto indicato nell’ordinanza del 5 marzo. “Questa - ha ancora precisato il Garante - non è una denuncia contro la polizia penitenziaria o i funzionari dell’amministrazione penitenziaria, poiché essi svolgono il loro lavoro con i mezzi di cui dispongono, ma è l’attuale sistema carcerario che deve cambiare. Lo stato viola la legge e ha il dovere di correre ai ripari”. Catania: i familiari di Carmelo Castro, morto in carcere, si oppongono all’archiviazione dell’inchiesta La Sicilia, 19 novembre 2012 Per la seconda volta la Procura di Catania ha chiesto l’archiviazione per la morte nel carcere di piazza Lanza, avvenuta per presunta impiccagione, del detenuto incensurato di Biancavilla Carmelo Castro, 19 anni. E per la seconda volta i parenti del ragazzo propongono al Gip un atto di opposizione alla chiusura delle indagini. Carmelo Castro fu arrestato il 24 del 2009 per aver fatto da palo a una rapina. Sembra che il giovane fu costretto con la prepotenza a partecipare a quel colpo e quando fu interrogato in caserma, mentre la madre lo sentiva piangere e lamentare dal piano di sotto, rivelò i nomi dei complici; questa circostanza lo aveva indotto, a quanto pare. ad avere paura di ritorsioni da parte dei correi, tanto da rifiutare persino l’ora d’aria. Seguirono 4 giorni di “buio carcerario” in cui Carmelo non poté incontrare neppure l’avvocato, finché il 28 marzo fu trovato in cella morente con un cappio al collo. Le indagini furono una prima volta archiviate e riaperte in seguito a un ricorso della famiglia e delle associazioni “Antigone” e “A Buon Diritto”. La parte offesa si aspettava una “verità” credibile sul decesso di questo ragazzo e invece ancora una volta il Pm ha chiesto l’archiviazione ritenendo che “gli elementi acquisiti non consentono di ravvisare profili di colpa a carico del personale penitenziario, educativo e medico della struttura penitenziaria” e che “non appare configurabile alcuna plausibile colpa nella condotta dell’agente che rinvenne il giovane in stato di incoscienza, addebitandogli un ritardo nella liberazione del Castro dal cappio (...). Ora, secondo la madre, il padre e i fratelli del giovane che hanno presentato l’opposizione, “le conclusioni del pm sono in contrasto con la ricostruzione logica dei fatti”. Erano tanti i buchi neri di questa indagine e, purtroppo, anche dopo la riapertura del caso, sono rimasti tali. Un esempio valga per tutti: dalle carte risulta che alle 12,30 del 28 marzo un agente penitenziario riscontrò che Castro era in piedi, coi tacchi che sfioravano il pavimento, con un lenzuolo intorno al collo con un nodo e che il lenzuolo era agganciato al punto più alto possibile, vale a dire allo stipite del letto al castello; ebbene: l’altezza massima dello stipite è notevolmente più bassa dell’altezza del defunto 19enne e dunque com’è possibile che sia stato trovato impiccato in piedi con i tacchi che sfioravano il pavimento? Tra i molteplici, ulteriori, punti rimasti oscuri c’è anche la parte sui soccorsi al detenuto “trovato in stato di incoscienza”: c’era in piazza Lanza un defibrillatore? E, se c’era, perché non è stato usato? Roma: il Garante; morto a Regina Coeli per overdose, da 10 mesi famiglia attende riconsegna salma Agenparl, 19 novembre 2012 Da dieci mesi una famiglia aspetta, invano, che l’autorità giudiziaria decida di autorizzare i funerali del proprio caro, deceduto per overdose nel carcere di Regina Coeli. La vicenda è stata denunciata dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui, “le indagini tutt’ora in corso non possono assolutamente giustificare questa situazione. Bisogna tenere in debito conto che, oltre alla perdita traumatica di un proprio caro, una famiglia sta vivendo il dramma di non poterlo piangere per un ultimo saluto”. La vittima è il 29enne Tiziano De Paola, morto l’11 febbraio 2012 per overdose di eroina a Regina Coeli. Le indagini, tutt’ora in corso, si sono indirizzate verso un altro detenuto, tutt’ora in custodia cautelare per un altro reato, che avrebbe fornito alla vittima la dose letale. A quanto appreso dai collaborator i del Garante, sulla salma sono stati effettuati subito esami e rilievi autoptici ma una serie di contrattempi hanno dilatato oltre il lecito i tempi per la restituzione del corpo alla famiglia: prima un supplemento di indagini richiesto dalla difesa dell’indagato, poi la circostanza che la cremazione che si vorrebbe effettuare renderebbe impossibile ogni ulteriore esame, infine, una perizia ancora da effettuare sugli ovuli di droga trovati all’imputato. Nel frattempo, da oltre otto mesi la salma è ancora momentaneamente allocata in una cassa provvisoria nel “Deposito cremazioni” del cimitero di Prima Porta senza che, per altro, si siano effettuate procedure di conservazione organica della stessa. “Fermo restando il diritto della Procura di svolgere le indagini e quello degli imputati di difendersi. Lo afferma il Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - non possiamo non considerare ciò che sta accadendo un ennesimo caso di malagiustizia nei confronti di un detenuto morto e della sua famiglia, moglie e due bambini, cui viene negato il diritto di poter piangere, per l’ultima volta, il proprio congiunto”. Milano: Garante comunale dei detenuti, aperto bando per presentare candidature Ristretti Orizzonti, 19 novembre 2012 In attuazione della delibera votata dal Consiglio comunale che istituisce il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, il Comune di Milano rende noto che sul sito www.comune.milano.it, nella sezione Servizi on line - Bandi e avvisi di gara, da domani, lunedì 19 novembre - e per 15 giorni, fino a martedì 4 dicembre - sarà aperto il Bando per la selezione di questa figura, con l’indicazione delle modalità di presentazione delle candidature. Le domande potranno essere inviate tramite posta certificata all’indirizzo e-mail SindacoNomine@postacert.comune.milano.it oppure tramite Raccomandata a/r o con consegna a “mano” all’Ufficio Nomine del Gabinetto del Sindaco, presso la sede del Comune in piazza della Scala 2. Il Garante sarà poi nominato dal Sindaco Giuliano Pisapia, dopo aver vagliato i curricula pervenuti, tra “persone d’indiscusso prestigio e di notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani o nelle attività sociali”. L’incarico che durerà 3 anni è rinnovabile non più di una volta, è incompatibile con funzioni pubbliche nei settori della giustizia e della sicurezza pubblica, oltre che con l’esercizio della professione di avvocato e cariche pubbliche elettive. Benevento: detenuto tenta di impiccarsi in cella salvato in extremis da un agente Agi, 19 novembre 2012 Tenta di impiccarsi nel carcere di Capodimonte ma viene salvato dall’intervento di un agente della polizia penitenziaria. L’uomo aveva realizzato un cappio con lenzuoli che aveva stretto al collo approfittando che in quel momento altri detenuti erano fuori per l’ora d’aria. La vicenda risale allo scorso 16 novembre e sull’accaduto si registra una nota del segretario provinciale Osapp, Pietro Riccardi. “L’alta professionalità - si afferma - del personale di Polizia penitenziaria è ormai alla soglia massima della tolleranza; l’istituto di Benevento non è da meno, succube della sofferenza del sovraffollamento (attualmente sono presenti 400 detenuti) e la riduzione del personale, il quale è costretto a coprire più posti di lavoro”. L’Osapp chiede alla responsabile della struttura, Maria Luisa Palma in collaborazione del Comandante, commissario Mario Tarantino di farsi promotori di provvedimenti, visto tra l’altro che la struttura è occupata completamente da detenuti di massima sicurezza ed “il personale ridotto all’osso, il quale, lavora persino sotto il livello minimo di sicurezza coprendo in contemporanea due-tre posti di servizio, mettendo ad alto rischio l’ incolumità e la tutela della popolazione detenuta e la sicurezza all’interno e consequenzialmente all’esterno della struttura Penitenziaria”. La nota del sindacato sostiene che quattro giorni fa nell’istituto di pena c’era stato un caso analogo. Teramo: il direttore; sezioni aperte e possibilità di fare vita in comune, ok acquisto dvd pornografici di Laura Venuti Il Centro, 19 novembre 2012 Nessun contrabbando, niente sotterfugi. Nel carcere di Teramo avere un dvd pornografico per i detenuti non è più tabù, anzi. Da qualche mese è possibile farlo alla luce del sole. A raccontare la svolta fatta dal penitenziario di Castrogno su un tema così delicato è lo stesso direttore Stefano Liberatore, intervistato da Federico Formica per il documentario web “Inside carceri”, girato dai giornalisti di Next New Media e dall’associazione Antigone, che proprio oggi presenterà il suo rapporto annuale sulle condizioni di detenzione in Italia. Nel documentario web che si accompagna al rapporto due clip sono dedicate a temi abruzzesi: una racconta appunto il carcere di Castrogno, l’altra si concentra sulla vicenda di Valentino Di Nunzio, il giovane di Manoppello Scalo che accoltellò la madre e poi tentò il suicidio in carcere. Entrambi i video saranno visibili anche sul www.ilcentro.it a partire dalle 12.30 di oggi. Nel video su Castrogno, però, non si parla solo della svolta sulla pornografia operata dal nuovo direttore. Dalla fine di settembre, infatti, due sezioni e metà di una terza sono state aperte. I detenuti, quindi, si possono muovere liberamente in uno spazio più grande delle celle. In questi spazi, spiega Liberatore, “i detenuti interagiscono tra loro, fanno socialità, vita in comune”. Un aspetto che in un carcere come quello teramano, che conta circa 350 detenuti a fronte di una capienza di 210 e che nel 2012 ha visto tra le sue mura quattro suicidi, non può che essere d’aiuto. “Dar vita a un progetto così importante per una visione moderna del trattamento penitenziario era difficile, ma ci siamo riusciti e pare che le cose vadano bene. Penso sia una questione di mentalità che ereditiamo dal passato, da un modo di concepire il carcere. Ci vuole coraggio e la piena consapevolezza del carcere come formazione sociale “. Grazie all’apertura delle sezioni, spiega nel documentario il vice commissario Igor De Amicis, sono diminuiti anche i rapporti disciplinari. Della nuova visione portata avanti da Liberatore fa parte anche l’introduzione della possibilità di avere materiale pornografico all’interno del penitenziario, definita “un unicum nel panorama italiano”. “La pornografia è un discorso associato all’uso del pc, ai dvd”, spiega il direttore. “Il detenuto ha sempre cercato fare traffici, prima con cassette e poi con i dvd. E il sesso è sempre stato visto come un tabù. Io sono convinto che anche la pornografia può entrare in carcere ma attraverso una visione culturale, una visione significativa di elevazione del diritto stesso non solo alla riservatezza ma anche all’integrità umana sotto l’aspetto psicofisico. So che è un pò ardita come idea ma ho pensato che possiamo regalare un momento ai detenuti che va al di là di quelle forme di chiusura cui siamo sempre stati abituati”. Novara: in regalo al carcere una tensostruttura per attività culturali, ludiche, formative e didattiche La Stampa, 19 novembre 2012 La Valsesia regala al carcere uno spazio eventi. Raccolti fondi grazie al gruppo teatrale di Grignasco la “Compagnia dell’Olmo”. Grazie anche alla generosità di valsesiani e vercellesi il carcere di massima sicurezza di Novara a breve potrà usufruire di una tensostruttura per attività culturali, ludiche, formative e didattiche. L’operazione è partita un paio di anni fa dalla Valsesia e ha visto coinvolta la Compagnia dell’Olmo, gruppo teatrale che ha sede a Grignasco e che ha tra la trentina di componenti molti abitanti della valle. “Siamo soliti proporre degli spettacoli nei carceri della zona - spiega il presidente del sodalizio, Pietro Pesare. Nel 2010 da quello di Novara ci chiesero se potevamo aiutarli a creare un luogo che i detenuti potessero utilizzare nelle ore d’aria nei giorni più freddi, quando piove e quando nevica. Abbiamo accettato la scommessa, la Provincia di Novara è stata la prima ad appoggiarci con un contributo, poi altri enti, sponsor, la Banca Popolare di Novara ci sono stati vicini. Noi da quel momento per raccogliere fondi abbiamo proposto spettacoli in tutta la zona, raggiungendo l’obiettivo”. Tunisia: detenuti salafiti sospendono sciopero fame dopo la morte di due confratelli Ansa, 19 novembre 2012 Gli oltre cinquanta detenuti salafiti che stavano facendo lo sciopero della fame nella prigione tunisina di Mornagouia hanno sospeso la protesta. Lo ha comunicato il collegio di difesa. La protesta è stata sospesa per una settimana in attesa delle decisioni delle autorità tunisine sulla loro condizione di detenuti. Nei giorni scorsi due salafiti sono morti dopo un lungo sciopero della fame. Secondo quanto reso noto alla Tap dal coordinatore del collegio di difesa di 50 dei 52 detenuti salafiti che stavano attuando lo sciopero della fame, Anouar Ouled Ali, le autorità tunisine hanno una settimana ‘per accelerare sia la loro liberazione, sia il giudizio. Per Ouled Ali si sta verificando un ‘flagrante attentato alla prova di innocenza nei confronti del detenuti salafiti, in maggioranza arrestati per le indagini sull’assalto all’ambasciata americana e per altri atti di violenza, come la distruzione della sala che ospitava delle opere d’arte ritenute blasfeme. In totale, nella prigione di Mornagouia e in quelle di Bulla Règia e Messadine sono detenuti tra i 300 e i 400 salafiti. Il presidente della repubblica, MOncef Marzouki, e il Ministero della Giustizia hanno avuto parole molto dure contro il ‘ricattò, verso lo Stato e le autorità, che i salafiti starebbero attuando con il loro sciopero della fame. Turchia: detenuti sospendono sciopero fame, governo pronto a una trattativa con i separatisti curdi Aki, 19 novembre 2012 L’annuncio del ministro della Giustizia di Ankara segue la decisione di centinaia di detenuti curdi di sospendere lo sciopero della fame che andava avanti da 68 giorni per chiedere la fine dell’isolamento del loro leader, Abdullah Ocalan. È stato lo stesso Ocalan, dopo aver incontrato in carcere i vertici dei servizi segreti turchi - secondo quanto riporta la stampa locale - a chiedere ai separatisti di non mettere a rischio la propria vita. Un gesto di distensione che arriva al termine di un altro weekend di sangue nella provincia curda: cinque soldati turchi e quattro ribelli separatisti sono rimasti uccisi nell’Anatolia sud-orientale, vicino al confine con l’Iraq. Il conflitto del Kurdistan turco ha fatto circa 700 morti dall’inizio dell’anno. Birmania: liberati 44 detenuti politici, in occasione visita Obama Tm News, 19 novembre 2012 Almeno 44 prigionieri politici sono stati liberati in Birmania in occasione della visita del presidente americano Barack Obama. “Sappiamo che 44 prigionieri politici sono stati liberati oggi”, ha dichiarato Soe Tun, responsabile dell’organizzazione di opposizione “Generazione 88”, un’associazione di assistenza ai prigionieri politici in Birmania con base in Tailandia. La scorsa settimana, sempre in vista della visita di Obama, più di 450 prigionieri erano usciti dal carcere. Una precedente amnistia, di cui avevano beneficiato numerosi detenuti politici, era stata decretata a settembre, subito prima del viaggio di Thein Sein a New York e nel momento in cui il premio Nobel per la pace Suu Kyi avviava una lunga tournée europea.