Giustizia: 19-22 novembre… quattro giorni di lotte nonviolente per l’amnistia e la legalità di Maurizio Turco (tesoriere del Partito Radicale) Notizie Radicali, 18 novembre 2012 Domani avrà inizio la mobilitazione nonviolenta lanciata da Marco Pannella e dal Partito Radicale di quattro giorni di sciopero della fame, battitura e silenzio per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia. L’iniziativa coinvolgerà l’intera comunità penitenziaria, con l’obiettivo di garantire la possibilità, ai tantissimi reclusi che ancora li conservano, di esercitare i propri diritti in vista delle prossime scadenze elettorali. E per ribadire con forza la necessità di un’amnistia - abbinata a un provvedimento di indulto - per uscire subito dall’illegalità gravissima nella quale versa la giustizia italiana e la sua appendice carceraria. Domani avrà inizio fuori e, ci auguriamo, in gran parte dentro le carceri, uno sciopero della fame: ai detenuti chiediamo anche di accompagnare questa iniziativa con una battitura delle sbarre, dalle 20 alle 20.15, seguita da 45 minuti di silenzio, in questi giorni di mobilitazione. L’iniziativa proseguirà fino a giovedì e gli ultimi due giorni, il 21 e il 22 novembre, saranno anche di sostegno all’astensione dalle udienze promossa in tutta Italia dall’Unione delle Camere Penali. Una nuova grande mobilitazione, dunque, che ancora una volta vedrà la partecipazione dei detenuti con i loro familiari, di direttori, associazioni, sindacati, volontari, cappellani, nel solco della battaglia di civiltà di Marco Pannella, per ripristinare - a partire dalle carceri, moderne catacombe del diritto e della democrazia - giustizia e legalità nel nostro Paese. Obiettivo per il quale i Radicali lottano senza sosta con le armi della nonviolenza e che vede oggi la deputata radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’Associazione Il Detenuto Ignoto, Irene Testa, condurre dal 24 ottobre uno sciopero della fame, inframmezzato da intere giornate di sciopero della sete, e diversi dirigenti e militanti radicali in digiuno - tra cui il segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti e il direttore di Notizie Radicali Valter Vecellio - in risposta alla resa di uno Stato che rispetto ai propri cittadini si trova ogni giorno di più in condizione di flagranza di reato. Stanno già arrivando le prime adesioni: Don Antonio Mazzi, Don Sandro Spriano Cappellano del carcere di Rebibbia, Don Marco Di Benedetto, Patrizio Gonnella dell’Associazione Antigone, Francesco Ceraudo Presidente dei Medici Penitenziari, Leo Beneduci Segretario dell’Osapp, Luigi Manconi dell’Associazione A Buon Diritto e tanti altri. Approfitto di questa comunicazione per informarti che nella giornata di ieri ha sospeso dopo 18 giorni lo sciopero della fame la deputata radicale Maria Antonietta Farina Coscioni dopo un incontro con il Ministro della Salute Renato Balduzzi che si è impegnato ad adottare i nuovi Livelli essenziali di assistenza entro il 31 dicembre 2012. Per aderire alla quattro giorni di lotte nonviolente puoi lasciare la tua adesione sul sito www.partitoradicale.org. Giustizia: il 22 novembre sciopero dell’Unione Camere Penali, mobilitazioni in tutta Italia Agi, 18 novembre 2012 Manifesti affissi in tutti gli uffici giudiziari italiani, mobilitazioni con assemblee, convegni, conferenze stampa da Nord a Sud, per chiedere alle forze politiche di utilizzare gli “ultimi scampoli di legislatura per assumere provvedimenti che il dramma sociale delle carceri impone”. Giovedì 22 novembre, data dell’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria indetta dall’Unione Camere Penali per denunciare le “intollerabili condizioni dei penitenziari”, e porre fine a quella che anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano è stata definita “una vergogna”, sarà un’occasione per mobilitare l’interno Paese su un tema che, come recita il manifesto dell’astensione, non può più aspettare. In tutta Italia gli avvocati delle Camere Penali osserveranno un minuto di silenzio, all’apertura delle udienze, come ulteriore forma di denuncia, e lo stesso avverrà al Congresso nazionale forense che si aprirà a Bari in quel giorno. A Roma, alle ore 10,30, si terrà una manifestazione nell’aula “Occorsio” di piazzale Clodio, a cui parteciperanno, oltre all’avvocato Alessandro De Federicis, responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Ucpi, anche il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, il numero due del Dap, Luigi Pagano e il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. Una partecipazione “significativa”, che mette in luce come “sull’emergenza carceri l’avvocatura penale si rivolga a tutte le componenti del pianeta giustizia”. Anche il leader dei Radicali Marco Pannella, che da lunedì prossimo ha indetto 4 giorni di sciopero per la battaglia sul voto ai detenuti e l’amnistia, ha dato “piena adesione e sostegno all’astensione dei penalisti”. L’Unione Camere Penali è anche tra i firmatari del “Manifesto contro l’ergastolo”, in prima linea anche in questa ultima campagna lanciata da Umberto Veronesi in occasione della conferenza internazionale “Science for peace”. Padova: Camera Penale “far conoscere numeri di sovraffollamento e morti in carcere” Astensione di tutti i penalisti giovedì prossimo come deciso dalle Camere penali italiane, l’organismo che riunisce i penalisti per denunciare la drammatica situazione delle carceri del nostro paese. Il sovraffollamento carcerario registra cifre sempre più impressionanti. Spiega la presidente della Camera penale padovana, Annamaria Alborghetti: “Alcune timide riforme, come la detenzione domiciliare per gli ultimi 18 mesi di pena, non hanno alleviato la gravità del sovraffollamento... Eppure proprio sotto il profilo dei costi per la società e in termini di tutela della sicurezza le statistiche dicono che chi gode dei benefici penitenziari ha un rischio di recidiva bassissimo”. A Padova il carcere Due Palazzi (per i condannati in via definitiva) ospita 880 persone, pari al doppio della capienza; nella casa circondariale si trovano 250 detenuti contro una capacità di 160. Rileva ancora Alborghetti: “Le iniziative che si terranno in tutta Italia il 22 novembre hanno lo scopo di far conoscere i numeri del sovraffollamento e delle morti in carcere, oltre alle condizioni di vita dei detenuti, per far comprendere come un sistema penale e carcerario con un ordinamento penitenziario degni di un paese civile costituiscono il più efficace presidio per la sicurezza dei cittadini”. Salerno: Radicali e Camera Penale “subito amnistia e riforma della giustizia” I radicali di Salerno, guidati da Donato Salzano, segretario dell’associazione “Maurizio Provenza” si preparano a quattro giorni di mobilitazione per l’amnistia e per la riforma della Giustizia in Italia. Ieri mattina, al Punto Einaudi di piazzetta Barracano, si è svolta la conferenza di presentazione delle iniziative che si intendono mettere in campo, a partire da domenica sera, per sensibilizzare l’opinione pubblica su quella che è ormai “un’emergenza dei diritti”. I radicali, così come proposto dal loro leader Marco Pannella, si sottoporranno a quattro giorni di digiuno e, insieme alle Camere penali, che saranno in sciopero mercoledì e giovedì, agli organi di polizia penitenziaria, ai detenuti e ai loro parenti, sosterranno l’amnistia per la Repubblica. “Nelle celle del carcere di Fuorni invitiamo i detenuti a effettuare 15 minuti di battitura ogni giorno, dalle 20 alle 20.15, seguiti poi da tre quarti d’ora di silenzio - ha spiegato Salzano -Lottiamo insieme per valori fondamentali per la democrazia, lottiamo contro lo Stato criminale, lottiamo per il diritto al voto per tutti i detenuti”. Gli ultimi due giorni di mobilitazione - il 21 e il 22, appunto - saranno anche di sostegno all’astensione dalle udienze promossa dall’Unione delle Camere Penali in tutta Italia. Presenti ieri mattina in conferenza, Emiliano Torre, consigliere comunale Sel nonché membro del direttivo della Camera penale di Salerno e gli avvocati Rosanna Carpentieri e Paolo Vocca, difensori di Paolo Maggio, il battipagliese detenuto al carcere di Parma che, a causa delle sue precarie condizioni di salute, rischia di morire se rimane in cella. Presenti anche Annamaria e Davide Maggio, fratelli di Paolo che hanno ancora una volta fatto appello alle istituzioni affinché vengano concessi all’uomo i domiciliari. Giustizia: Veronesi e l’abolizione dell’ergastolo... riforma perfetta per uomini “a metà” di Monica Cali www.ilsussidiario.net, 18 novembre 2012 Mi ha molto colpito l’articolo di Umberto Veronesi su “La Stampa” di venerdì scorso, dal titolo “Perché sostengo che l’ergastolo va abolito”, suscitando in me alcune perplessità. Lavoro col “fine pena mai” dal 1996, come giudice di Sorveglianza con giurisdizione in particolar modo sul detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis O.P. e non posso condividere il giudizio complessivo di sfiducia sulla pena dell’ergastolo, come strumento che fallisce sostanzialmente gli obiettivi primari della rieducazione e del reinserimento previsti dalla Costituzione e che, “darwinianamente”, si porrebbe in contrasto con una sorta di evoluzione naturale in positivo della specie umana, destinata, in futuro a non sbagliare più. Tale posizione è dettata, ritengo, da una scarsa conoscenza dell’esatta valenza dell’articolo 27 della Costituzione. L’espressione “la pena tende alla rieducazione...”, implica il riconoscimento del condannato come “uomo” che - anche in condizione di segregazione - può giocarsi nella libera scelta di continuare a delinquere o cambiare rotta, desiderando “davvero” un mutamento per sé e affidandosi al percorso rieducativo proposto in carcere. E che tutto si decida a questo livello trova riprova nel fatto che anche coloro che per complessi meccanismi processuali espiano una condanna in forma alternativa - senza avere mai fatto un giorno di carcere e godendo di ampia autonomia - non sono esenti da recidiva; possono cioè ricadere nella commissione di reati, proprio per non avere maturato una genuina volontà di cambiamento. Né possiamo affidare questo desiderio di cambiamento a una ottimistica evoluzione della specie umana, destinata a non commettere più errori e pertanto a vanificare qualsiasi forma diretta a correggere le conseguenze del suo agito. Non ritengo poi accettabile un giudizio di sfiducia sulla stessa funzione dell’ergastolo, suggerito dalla evoluzione naturale della specie, in quanto si tratta di un giudizio basato su una dinamica che mira a non riconoscere l’uomo “uomo”: oggi visto come solo capace di male, un domani (grazie al miglioramento della specie) solo capace di bene indipendentemente da una sua libera scelta. Ma l’uomo è tale perché può scegliere o il bene o il male. Andatelo a dire ai miei 41 bis che in realtà il loro errore dipende da circostanze di luogo, tempo, sociali: “Dottoressa, diciamocelo chiaramente, io sono un mafioso e di male ne ho fatto tanto... “a chi se lo meritava”, sto pagando il giusto, ma l’ingiustizia più grave è la mia donna che mi ha lasciato. Se solo potessi riavere lei e i miei figli...”. Sono consapevoli del loro male e della pena loro inflitta, ma qualcuno di loro sa anche che è quello il punto per rialzare lo sguardo e desiderare qualcosa di meglio per sé. Quando un uomo commette un crimine (e qui sto parlando di reati il cui disvalore è pacifico e spesso molto grave perché minano le condizioni stesse della vita sociale) è perché non ha rispettato il suo rapporto corretto con la realtà. E di ciò è anzitutto consapevole lui stesso. La funzione rieducativa della pena riaffermata dalla Costituzione, lungi dal muoversi in un’ottica esclusiva di pacificazione sociale - destinata, come tale, a “scadere” a mere apparenze - propone e richiede un lavoro per recuperare innanzitutto il rispetto per se stessi. È un lavoro articolabile in due momenti: riconoscere che si è sbagliato e, conseguentemente, disporsi ad una espiazione che non sia vissuta come un’ingiustizia, ma come tempo nel quale recuperare quanto con il crimine si era rotto o incrinato, accettando qualsiasi circostanza valevole a rendere più stabile il proprio percorso rieducativo. La distinzione tra il bene ed il male e la possibilità di scegliere l’uno o l’altro è nel cuore di ogni uomo. L’articolo 27 della Costituzione, anche nelle sue forme più contenitive, propone un percorso vero per tutti coloro che hanno deciso di essere uomini sino in fondo. Giustizia: Consiglio d’Europa; i detenuti stranieri scontino la pena nel paese d’origine Tm News, 18 novembre 2012 Per cercare di alleviare il grave problema del sovraffollamento delle carceri in Italia, ma anche in molti altri paesi del continente, il Consiglio d’Europa suggerisce accordi tra gli stati perché i detenuti stranieri possano scontare il periodo di pena nel proprio paese. Per trovare una soluzione equa, il Consiglio d’Europa organizza il 22 e 23 novembre a Roma, assieme al ministero della giustizia, una conferenza europea che stabilisca l’attuazione di questo principio. La Conferenza sarà inaugurata alla Protomoteca del Campidoglio giovedì 22 novembre alle 15 dal Ministro della Giustizia Severino, dalla Vice Segretaria Generale del Consiglio d’Europa Gabriella Battaini Dragoni e dal vice Presidente della Corte europea dei Diritti dell’Uomo Guido Raimondi. Venerdì i lavori proseguiranno alla scuola di formazione della polizia penitenziaria in via di Brava. Il paese europeo col maggior numero di detenuti stranieri è la Svizzera (il 71,6% della popolazione carceraria), perché evidentemente i cittadini svizzeri delinquono poco. Mentre Polonia e Romania hanno un numero minimo di stranieri in carcere (appena lo 0.7%). In Italia il 36% dei detenuti sono stranieri. Se, quindi, più di un terzo della popolazione carceraria fosse trasferita nei rispettivi paesi di origine, sarebbe un bel sollievo per il problema del sovraffollamento. La soluzione proposta dal Consiglio d’Europa e condivisa dal governo italiano avrebbe anche il vantaggio di consentire al detenuto di ricevere le visite regolari dei familiari e anche di poter beneficiare maggiormente nel proprio paese dei programmi di preparazione per il reinserimento nel tessuto sociale una volta scontata la pena. Giustizia: Sappe; ancora 60 bimbi dietro le sbarre, manca volontà politica di farli uscire Adnkronos, 18 novembre 2012 “Da quasi due anni tutte le forze politiche hanno approvato una legge per effetto della quale le mamme detenute non dovrebbero più stare chiuse in cella, a meno di particolari esigenze cautelari di eccezionale rilevanza come può avvenire, ad esempio, per i delitti di mafia o per terrorismo. Una legge di civiltà, dunque, varata per alleviare la triste realtà dei bimbi in carcere. Ma la realtà è un’altra: alla data del 30 giugno scorso c’erano nei penitenziari italiani 60 bimbi di età inferiore ai tre anni in cella con le mamme detenute e 13 donne in gravidanza”. È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe. “È palese quindi - prosegue Capece - come il ministro della Giustizia, Paola Severino, ed il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, siano del tutto inadempienti su questo delicato tema e colpevolmente responsabili, nonostante le cicliche ed ipocrite dichiarazioni di sdegno su questo argomento”. “Chi ha visto i bimbi in carcere - rimarca il leader dei baschi azzurri del Sappe - sa quali sensazioni di profondo disagio lasciano nell’animo di ognuno di noi. Per questo - conclude Capece - va valorizzato e messo in luce l’encomiabile impegno delle donne con il Basco Azzurro del Corpo che, nei 14 asili nido delle carceri italiane, hanno espresso nel tempo ed esprimono quotidianamente una professionalità ed una umanità davvero particolari”. Lettere: i carcerati non sono carne da macello di don Marco Pozza Il Mattino di Padova, 18 novembre 2012 Come bestie da macello. Con in allegato la sconvolgente certezza che per taluni uomini la società non chiede tanto una meritata giustizia quanto una più squallida vendetta. Lungi dal giustificare il male da loro commesso nella vita all’infuori delle sbarre ma convinti dell’importanza di comprendere il perché di un gesto compiuto, stavolta il carcere s’è mostrato per quello che è: un assassino dei sogni. La notizia è tanto scarna quanto scoraggiante per chi ogni giorno s’appresta a scommettere su una possibile risurrezione dell’uomo: tutti i detenuti in regime di alta sorveglianza a breve potrebbero essere destinati ad occupare - come ammassi di carne umana - le celle che si stanno aprendo nell’isola di Sardegna. Non basta più sistemare il carcere fuori dalle mura di una città, adesso occorre isolarli e chiedere al mare di fare da scudo perché la società apparentemente possa dormire sonni più tranquilli. Tra di loro c’è chi a Padova ha intrapreso un programma di studio, chi s’è sistemato l’ultimo brandello di speranza, chi si sforza da oltre vent’anni di non confondere la luce dell’abat-jour con quella del sole, chi se ne sta aggrappato come foglie autunnali a quell’esile alfabeto degli affetti che da fuori rilancia la sua eco. La maggior parte di loro ha una sola certezza: quella di non uscire mai più dal carcere perché il giorno della liberazione è “mai”. La giustizia li ha dichiarati colpevoli di fronte alla legge, il volontariato umano ha offerto loro la possibilità di diventare uomini migliori in questa terra d’esilio. Guardo i loro volti spaesati e angosciati e temo che nei loro alberi genealogici scorra il sangue della discendenza di Sisifo, il leggendario eroe della mitologia. Come punizione per la sagacia dell’uomo che aveva osato sfidare gli dei, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte. Tuttavia, ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il masso rotolava nuovamente alla base del monte. Ogni volta, e per l’eternità, Sisifo avrebbe dovuto ricominciare la sua scalata. Un pò il destino di questa “mia” gente: a ogni trasferimento si ricomincia. Con il tremendo sospetto che quando sul fondo del binario morto della loro esistenza una fioca luce faccia capolino, ci sia qualcuno che si diverte a spegnerla per farli ripiombare nell’oscurità. Basterebbe varcare le porte di una galera per convincersi che la leggenda della rieducazione carceraria è la traduzione militare della favola di Babbo Natale. Come è possibile una rieducazione se ogni qual volta s’intraprende un cammino c’è qualcuno che blocca la strada? Com’è possibile parlare di rieducazione in una società poco educata? Interrogativi che per i samaritani laici e credenti che ogni giorno s’affacciano sulla soglia di quelle anime solcate dal male hanno un sapore amaro, perché sembra di essere pure loro condannati a vedere la primavera sul punto di sbocciare e avvertire l’angoscia di un’ondata di gelo capace di distruggere i teneri germogli. In galera ci sono zone che sembrano stanze per partorienti: avverti i vagiti di nuove nascite, contempli l’emozione di volti tornati bambini, ti stupisci del miracolo della vita. E ci sono zone che somigliano ad una cella mortuaria in attesa dell’arrivo del carro funebre. Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, rimbomba l’eco di Agostino: il male va estirpato perché è opera dell’uomo, l’uomo va redento perché è opera di Dio. Nemmeno in carcere è concesso a qualcuno di fare della vita dell’uomo una stucchevole partita a scacchi. Lettere: lavori per migliorare l’assistenza sanitaria in carcere… sì, ma quando? di Antonio Sammartino (Garante dei detenuti di Pistoia) Ristretti Orizzonti, 18 novembre 2012 Prendo atto che, (in risposta ad alcune mie osservazioni critiche relative alla situazione sanitaria all’interno del carcere di Pistoia, apparse sulla cronaca locale del giornale il Tirreno pochi giorni fa), ieri sabato 17 Novembre 2012, sempre lo stesso giornale riporta l’impegno da parte della Direzione della Casa circondariale e del Direttore della zona distretto pistoiese e referente della salute in carcere, Dr. Luigi Rossi, di completare all’interno dell’istituto carcerario, riporto testualmente, “la realizzazione di 2 ambulatori, che andrebbero ad aggiungersi all’attuale, che verrebbe così a configurarsi come ambulatorio dentistico e specialistico, mentre i due nuovi locali diverrebbero ambulatorio medico, l’uno, e ambulatorio infermieristico l’altro”. Bene, anzi benissimo, ma la domanda che vorrei porre, dal momento che non lo si indica è: “in che tempi si prevede tale realizzazione?”. Faccio presente che il rapporto del Centro Regionale per la salute in carcere, firmato dal Direttore dr. Francesco Ceraudo del 22.06.2011, in riferimento alla visita di controllo al Presidio Sanitario Penitenziario di Pistoia, così denunciava: “A distanza di 2 anni dalla visita di controllo precedente non si è registrato purtroppo alcun miglioramento logistico per quanto attiene alla configurazione del Presidio Sanitario. Siamo nella più assoluta totale illegalità”. Sempre il rapporto prosegue affermando che, “ la situazione in cui viene a trovarsi il Presidio Sanitario Penitenziario è intollerabile e richiama precise responsabilità del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (….), Se l’Amministrazione Penitenziaria non mette a disposizione i locali, l’Azienda Usl3 si deve rifiutare di prestare i propri servizi in queste condizioni e deve esigere che i pazienti vengano portati nei propri Poliambulatori. Non c’è scelta. In considerazione di quanto sopra, non è stata ancora ratificata il passaggio dei locali a funzione sanitaria”. Sono passati da questa precisa e puntuale denuncia 17 mesi e nulla è cambiato se non che da quella data i detenuti sono perfino aumentati di numero. Ora si afferma che si provvederà. Il mio ruolo di Garante delle persone private della libertà personale m’impone, ai sensi della normativa nazionale e ai sensi del regolamento comunale con il quale sono stato nominato, di svolgere un ruolo di osservazione e vigilanza (deliberazione CC n° 164 del 17.10.2011). Tra 3 mesi, valutando questo come un tempo sufficiente per provvedere alla realizzazione delle migliorie descritte sopra, per sanare una situazione che lo stesso centro regionale per la salute in Carcere definiva, più di un anno e mezzo fa, di totale illegalità, verificherò, (avendo premura di rendere pubblica tale verifica), se i lavori di cui si parla saranno completati o in fase di completamento. Bologna: quella fabbrica dietro le sbarre, l’impresa privata entra alla Dozza di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 18 novembre 2012 Sono dieci, sei stranieri e quattro italiani, i detenuti metalmeccanici della Dozza. Lavorano sei ore al giorno per un’ impresa privata esterna, dal lunedì al venerdì, in quella che una volta era la palestra della sezione penale, ristrutturata dai compagni della Mof, la “Manutenzione ordinaria fabbricato”. Guadagnano 880-890 euro al mese, stipendio che viene accreditato sui conti correnti aperti allo “sportello bancario” interno, detratte le spese di mantenimento. Incarnano una sfida, la scommessa sul carcere fatta dal meglio dell’imprenditoria bolognese. E, ieri, sono diventati visibili. L’officina creata all’interno dell’istituto, dopo qualche mese di rodaggio, è stata ufficialmente inaugurata alla presenza del Gotha degli industriali e della Bologna che conta e che crede nel progetto, un atto di coraggio in questi tempi di crisi. Un cambio di passo, nel modo di rapportarsi al carcere. E una storia positiva da raccontare. Tre colossi del packaging e della meccanica automatizzata - la Gd di Isabella Seragnoli, la Ima di Alberto Vacchi e Maurizio Marchesini con il suo gruppo - hanno coinvolto la Fondazione Aldini Valeriani e costituito una srl sociale ad hoc, la Fare impresa in Dozza, in sigla Fid. Gli operatori dell’area educativa dell’istituto hanno selezionato un gruppo di detenuti, scelti tra quelli con pene da scontare comprese tra i tre e in cinque anni, ed è partita la fase della formazione, finanziata dalla Provincia. Riadattata la palestra, grazie anche a 100mila euro concessi dalla Cassa delle ammende, sinergie e investimenti si sono concretizzati in giugno. Nell’officina assegnata in comodato gratuito a Fid, firmati dieci contratti di assunzione a tempo indeterminato e raccolto il pieno appoggio dei sindacati di categoria, è cominciata la produzione di forniture ed accessori per le aziende socie e per terzi. Altri 15 detenuti stanno seguendo corsi di formazione, preparati per subentrare ai colleghi che continueranno l’esperienza lavorativa all’esterno, il fine ultimo cui si tende. Il mantenimento dell’impiego, fuori, è promessa e impegno. In Italia, se possibile. All’estero, per chi verrà espulso a fine pena. “Questa iniziativa - dice un emozionato Karim, l’operaio “dentro” cui viene data la parola dopo il taglio del nastro e la benedizione impartita da monsignor Giovanni Silvagni - ci offre speranze e opportunità per il futuro ed è un aiuto concreto per il presente. È un modo nuovo di intendere la carcerazione”. Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Pietro Buffa, sottolinea: “Senza lavoro, il carcere è solo repressione. E senza la società non potremmo fare quello che la Costituzione ci chiede. Il lavoro è cittadinanza e dignità”. Italo Giorgio Minguzzi, presidente e anima e motore di Fare impresa in Dozza, aggiunge ringraziamenti per tutti, partner, big dell’industria in prima fila, polizia penitenziaria, collaboratori, direzione. Pure per i tutor dei detenuti metalmeccanici, pensionati che provengono dalle ditte in campo, arrivano apprezzamenti e lodi. Aldo Gori, 40 anni alla Ima e ora volontario, mette l’accento sulla portata sociale dell’officina, una scoperta che gli ha cambiato la vita. Appartengono al passato i luoghi comuni sul carcere e sui carcerati. Adesso contano gli “esseri umani”. “Non possiamo, come società civile, non dare loro un’occasione”. Torino: marocchino di 30, accusato di violenza sessuale, tenta il suicidio in cella Ansa, 18 novembre 2012 Un marocchino di 30 danni detenuto nel carcere di Torino per violenza sessuale e furto ha tentato di suicidarsi la scorsa notte impiccandosi con dei pantaloni alla grata di una finestra di un bagno del penitenziario. È stato soccorso e salvato dalla polizia penitenziaria. “Come sempre - dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria - gli agenti fanno molto di più del proprio dovere, operando in assoluta povertà di organico e di risorse economiche per il pagamento delle prestazioni eccedenti l’ordinario orario di lavoro. Peraltro - conclude - quello di questa notte a Torino è solo uno delle centinaia di salvataggi che la polizia penitenziaria effettua sull’intero territorio nazionale, tenuto conto che solo uno ogni 15 tentativi di suicidio in carcere ha esiti infausti”. Salerno: Radicali; mobilitazione straordinaria, sciopero fame per l’amnistia e la giustizia Notizie Radicali, 18 novembre 2012 Marco Pannella dai microfoni di “Radio Carcere” ha annunciato 4 giorni di digiuno nonviolento. Insieme alle Camere Penali, organi di Polizia Penitenziaria, cittadini detenuti e parenti tutti a sostegno dell’Amnistia per la repubblica. Informiamoci e prepariamoci a partecipare. Ci sarà anche la battitura per i diritti elettorali, per i diritti dei cittadini detenuti, per il diritto alla dignità umana, per il diritto di riforme della giustizia. Lottiamo per valori fondamentali indispensabili per la democrazia, lottiamo contro lo Stato criminale, perfetto delinquente professionale, lottiamo per il diritto al voto per tutti i detenuti. Mobilitiamoci… laici e cattolici di tutta Italia uniti per chiedere l’amnistia e raccolta firme. Diritto di voto dei detenuti, Amnistia! dal 19 al 22 novembre prossimi 4 giorni di sciopero della fame e battitura in ognuno dei 4 giorni dalle 20 alle 20.15 seguita da tre quarti d’ora di silenzio. Gli ultimi due giorni (21 e 22) saranno anche di sostegno all’astensione dalle udienze promossa dall’Unione delle Camere Penali in tutta Italia. Con Marco Pannella, per una battaglia di civiltà. Mobilitiamoci in ogni luogo, a partire dalle carceri, oggi catacombe dalle quali rinascerà il nostro Paese. Radicali Salerno e la Camera Penale Salernitana questa mattina terranno una conferenza stampa di presentazione della quattro giorni nonviolenta, sabato 17 novembre a partire dalle ore 11:00 presso il “Punto Einaudi” di C.so Vittorio Emanuele a Salerno. Saranno presenti: Donato Salzano segretario Radicali Salerno “Maurizio Provenza”, avv. Emiliano Torre direttivo Camera Penale di Salerno e consigliere comunale di Sel, Carlo Lettieri Sappe Salerno, dott.sa Rita Romano direttrice Carcere di Eboli Icatt, avv. Rosanna Carpentieri. Tra gli altri aderiscono: centinaia tra detenuti e familiari dei detenuti, il Presidente della Commissione “Politiche Sociali” Luciano Provenza, i consiglieri comunali Marco Petillo, Rosa Scannapieco e Felice Santoro, avv. Massimo Torre già Presidente Camera Penale, Francesco Napoli Ass. “La vita dentro”, avv. Giulia Formosa Ass. “è ora legale”, Ottavia Voza Comitato Arcigay Salerno “Marcella Di Folco”, Lorenzo Forte Ass. “Senza periferie”, Giovanni Celenta Ass. “Non uno di meno per il Partito Democratico” e i Giovani Democratici di Vietri sul Mare, Paolo Costagliola Comitato diritti civili di Sel, Fabiana De Carluccio, Lella Zarrella e Tina Monaco Ass. “il detenuto ignoto”, Carlo Padovano, Enzo Scannapieco, Sofia Campana, Rachele Rotondo, Michele Lombardi, Massimiliano Franco, Monica Faiella, Sergio Storniello, Andrea Petrone ed Emilio Loffredo Ass. “Maurizio Provenza”. Torino: è scontro tra OO.SS Comparto Sicurezza e Dirigente del Centro Giustizia Minorile Comunicato stampa, 18 novembre 2012 Le OO.SS. Sappe, Osapp, Ugl e Sinappe, all’unanimità concordano nel bocciare rigorosamente l’intenzione di voler collocare un’unità di Polizia Penitenziaria nell’ambito della segreteria Polizia Penitenziaria del Centro Giustizia Minorile, sottraendo ulteriori risorse alle già esigue disponibilità dell’Ipm sfruttate ed usate abbondantemente. Contestano inoltre le modalità con cui ella conduce le relazioni sindacali biasimando i suoi reiterati riferimenti, del tutto impropri, inopportuni ed intollerabili ad anni passati. L’anacronismo strumentale non fa altro che nuocere ad un confronto eticamente corretto ed è indicativo di chi persegue strategie deleterie per rifiutare ed evitare tale confronto. Le presenti OO.SS. Sappe, Osapp, Ugl e Sinappe, anche sull’onda del mandato ricevuto dal personale dell’Ipm ed a tutela del supremo e sano diritto al contraddittorio, unico sovrano di queste OO.SS., prendono atto di non poter nutrire più alcune fiducia della sua persona e perciò abbandonano il tavolo preannunciando nuove ed ulteriori manifestazioni di protesta avverso quel sodalizio di intenti che oscurano e creano grave nocumento al civile confronto sindacale compromesso negli effetti da una gestione che contempla un mero gusto personalistico. La parte pubblica ribadisce che in esito al tavolo sindacale del 12 ottobre sono stati concordati tra le parti una serie di argomenti che sono stati calendarizzati in quattro tavoli sindacali già convocati in data 25 ottobre. Ritiene pertanto scorretto che tre giorni dopo le convocazioni di tavoli sindacali concordati, alcune OO.SS. abbiano inoltrato un comunicato stampa dove chiedevano la rimozione di Dirigente del Cgm, Direttore dell’Ipm, Comandante dell’Ipm e Sostituto del Comandante dell’Ipm. Pertanto la parte pubblica chiede se rispetto ai tavoli sindacali già convocati con nota del 25 ottobre 2012, gli argomenti inserirti soddisfano le richieste specifiche delle OO.SS. o se intendono ampliare gli ordini del giorno oppure chiedere tavoli specifici su altre argomentazioni. Le OO.SS. Sappe, Osapp, Ugl e Sinappe, fanno presente che la parte pubblica è già in possesso della documentazione necessaria a stabilire le argomentazioni su cui le OO.SS. vogliono discutere, basta riprendere i vari punti affrontati e contenuti nelle controdeduzioni dell’Amministrazione, che per queste OO.SS. è solo aria fritta. Quindi queste OO.SS. vogliono discutere sugli argomenti già calendarizzati sull’Ipm, ma prioritariamente intendono discutere sui punti sollevati nell’incontro del 12 ottobre u.s. e nel comunicato unitario del 28 ottobre 2012, attendendo comunque un segnale distensivo da parte dell’Amministrazione. La parte pubblica ribadisce che non comprende cosa si intende per segnale distensivo se non si traduce in specifici punti da discutere al tavolo sindacale. Le OO.SS. Sappe, Osapp, Ugl e Sinappe non intendono offendere l’Amministrazione né tantomeno vogliono essere offese dall’amministrazione atteso che i punti sono ampiamente contenuti nel comunicato unitario e sa benissimo qual è il vero problema dell’Ipm di Torino. Ricordano, inoltre, che ad oggi le sole 4 sigle firmatarie del comunicato rappresentano circa il 70% del personale di Polizia Penitenziaria dell’Ipm Torino ed a livello nazionale oltre il 50%. Sette, per il Sappe Romano, per l’Osapp Canillo, per l’Ugl Polsinelli, per il Sinappe Treviso: la Commissione sociale della Provincia visita il carcere “a caccia dei punti critici” La Tribuna di Treviso, 18 novembre 2012 La commissione sociale della Provincia in visita all’istituto penale per gli adulti di Santa Bona. Obiettivo? Vedere con i propri occhi i nodi critici di una realtà cittadina e regionale che, proprio perla sua natura di luogo inaccessibile, difficilmente riesce a portare all’esterno delle sue mura le proprie esigenze e i propri problemi. Fra questi non c’è solo quello del sovraffollamento che la struttura condivide con le altre realtà penitenziarie d’Italia, ma anche, ad esempio, la mancanza in questo periodo di crisi economica di commissioni di lavoro per i detenuti. Ossia i lavori che chi si trova a Santa Bona è solito realizzare per conto di aziende, cooperative o altre realtà di lavoro esterne e che ora sono diminuiti. Altro problema emerso è stato quello del parcheggio intorno al carcere che da anni aspetta di essere cementificato. “Abbiamo chiesto al direttore del carcere una lista di punti critici”, dice il presidente della commissione, Michele Toaldo, “Quando l’avremo faremo quello che è possibile per sensibilizzare chi di dovere a risolvere le questioni Vediamo se la Provincia riuscirà a reperire risorse dal suo bilancio e se può avere competenza diretta in certi campi”. Dunque il carcere torna un tema d’attualità politica, dato che ormai le condizioni di vita dei carcerati sono al centro del dibattito politico nazionale, dato che si è tornati a parlare d’amnistia. Rimini: Raee in Carcere; la Cooperativa sociale Gulliver di Forlì a Ecomondo 2012 Sesto Potere, 18 novembre 2012 Artisti e detenuti di un riuscito progetto di reinserimento sociale insieme per l’arte, a Ecomondo 2012, che s’è svolto a Rimini Fiera dal 7 al 10 novembre. Con il Museo del Riciclo (www.museodelriciclo.it) del consorzio Ecolight che ha messo in mostra le opere di artisti del riciclo assieme a quelle del progetto Raee in Carcere. Da vecchi pc sono nati collier e orecchini; da televisori e computer bracciali e anelli; da bottiglie di plastica preziose spille e da ricercati bottoni dei gemelli. “Sono solamente alcuni esempi di come i rifiuti possono diventare oggetti di design e arte; ma al contempo, questa è l’occasione per stimolare una maggiore sensibilità ambientale ricordando che la buona pratica del riciclo può e deve diventare una forma d’arte quotidiana”, premette Walter Camarda, presidente di Ecolight, consorzio nazionale che si occupa della gestione dei RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), delle pile e degli accumulatori a fine vita. Cinque gli artisti selezionati che hanno esposto le loro creazioni: Maria Chiara Belotti, Ludovica Cirillo, Marta Mongiorgi, Wanda Romano e Cristian Visentin. In più, uno spazio è stato riservato al progetto Raee in Carcere: lo stand del Museo del Riciclo che ospitava anche alcuni bijoux realizzati all’interno del laboratorio della cooperativa sociale Gulliver di Forlì dove persone in esecuzione penale sono impegnate nello smontaggio di Raee non pericolosi. Si tratta di un progetto sociale con una spiccata finalità ambientale che è sostenuto dal consorzio Ecolight e attraverso il quale è emersa la creatività di alcuni dei detenuti coinvolti. “Portiamo un messaggio di valore in quella che è la più grande vetrina dedicata all’ambiente”, prosegue il presidente di Ecolight. “Il progetto Museo del Riciclo è nato due anni e mezzo fa con il preciso scopo di dare valore al lavoro dei molti artisti che, utilizzando materiali di scarto, arrivano a realizzare delle opere. È un modo per stimolare e accrescere la sensibilità sul tema dei rifiuti, in particolare sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche”. I RAEE infatti rappresentano una delle sfide più interessanti per l’Europa e l’Italia. “Partendo dalla consapevolezza che gli oggetti elettronici caratterizzano quasi ogni momento della nostra vita, diventa quindi necessario raccoglierli e riciclarli non solamente per fornire importanti materie prime seconde, ma anche limitare la dispersione di sostanze inquinanti”, continua il direttore generale del consorzio Ecolight, Giancarlo Dezio. Con il laboratorio Raee in carcere, accanto a queste finalità, si aggiunge lo scopo sociale: permettere il reinserimento lavorativo delle persone in esecuzione penale. Il laboratorio di Forlì impegna 5 persone detenute. Complessivamente il laboratorio ha lavorato circa 450 tonnellate di Raee. Salerno: “Mio fratello sta morendo in cella”, l’appello della sorella di Paolo Maggio La Città di Salerno, 18 novembre 2012 “Se ha sbagliato è giusto che paghi, ma ora non sta bene e deve uscire dal carcere altrimenti rischia di morire”. Accorato appello della signora Annamaria Maggio, sorella del 37enne battipagliese Paolo che è detenuto a Parma, dove sta scontando una pena di 23 anni. L’uomo è in dialisi e in condizioni di salute gravissime. Dopo un lungo periodo di detenzione presso il carcere di Avellino, Paolo Maggio era stato trasferito a Spoleto. A febbraio, all’improvviso, aveva presentato dei sintomi di salute allarmanti, ma il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, piuttosto che avvicinarlo a casa o sospendere la pena, aveva preferito trasferirlo al carcere di Parma. “Non riesce a parlare, a camminare - racconta la sorella - è dimagrito moltissimo. Pesava 110 chili, ora ne pesa 60. Trasferirlo a Parma non è stata la decisione che ci aspettavamo dai giudici. Gli stanno facendo solo la dialisi, ma nessun altro esame”. Annamaria racconta: “mio fratello è costretto a fare la dialisi alle 5 del mattino perché che gente in ospedale che non vuole trovarsi al suo fianco. Se mio fratello non uscirà dal carcere sulle sue gambe, denuncerò tutti. Voglio ricordare che ha anche problemi di cuore, gli è stato applicato un cerotto, ha la pressione altissima, ma i giudici hanno ritenuto che fosse idoneo ad una vita carceraria. Non può mangiare nemmeno come gli altri detenuti, noi familiari facciamo un pacco al mese. Non sappiamo neppure che malattia abbia”. È affranta la signora Annamaria, che ammette di “non voler andare contro la legge. Non abbiamo chiesto la scarcerazione, ma almeno i domiciliari per curarlo. Io sono anche la tutrice di Paolo, oltre che la sorella. Abbiamo fatto tutto l’iter necessario per ottenere i domiciliari, ma sembra tutto inutile. Paolo non deve morire in carcere”. Siracusa: “Sport è Vita 2012”, dal carcere di Brucoli 41 detenuti diventano allenatori Live Sicilia, 18 novembre 2012 Stamani presso il carcere di Brucoli sono stati consegnati i patentini da allenatore di calcio per quarantuno detenuti dell’istituto penitenziario. L’iniziativa tra il Coni Sicilia e il Carcere di Brucoli ha sancito un impegno da parte del Coni e della Figc nei confronti della formazione sportiva all’interno delle carceri. Quarantuno nuovi allenatori “patentati” direttamente dal carcere di Brucoli. Sono stati consegnati stamani , nel corso di una partecipata cerimonia i diplomi abilitanti ai detenuti dell’istituto penitenziario. L’iniziativa tra il Coni Sicilia e il Carcere di Brucoli ha sancito un impegno da parte del Coni e della Figc nei confronti della formazione sportiva all’interno delle carceri. “Incentivare l’attività sportiva, attuare attività di formazione tramite lo sport per il reinserimento del detenuto nella società come cittadino sono i punti precipui del programma completo di mantenimento psicofisico per superare le tensioni che l’ambiente di costrizione può produrre” Questo il pensiero di Paola Cortese, delegata del Coni al progetto. “La vera novità di questo corso è che stiamo cercando di attuare tutte le misure per facilitare, una volta scontata la pena detentiva, - ha aggiunto il Presidente del Coni Giovanni Caramazza - la nascita di un vero e proprio rapporto di lavoro con le società sportive”. I corsi sono stati coordinati dalla prof. Paola Cortese, delegata del Coni Sicilia, hanno visto impegnato il professore Pino Maiori, già tecnico regionale Coni e della federazione italiana gioco calcio. Alla cerimonia odierna oltre la presenza del Presidente del Coni Sicilia, Giovani Caramazza, del Direttore del penitenziario Antonio Gelardi, del Vice Cesira Rinaldi, di Emilia Schupes, Coordinatrice area trattamentale, del tecnico Pino Maiori, della delegata del Coni Paola Cortese, hanno preso parte anche Enzo e Patrizia Maiorca, veri testimonials dell’iniziativa, i quali hanno dato la convinta e piena disponibilità ad avviare al contempo corsi di apnea a secco dando la possibilità ai migliori corsisti di potere frequentare in regime di permesso le lezioni. “La convenzione Sport è Vita è oggi una vera rivoluzione formativa - ha detto Paola Cortese. Lo sport può fare molto dentro un carcere e contribuire fortemente ad aiutare la popolazione detenuta a superare i forti disagi che subisce nel periodo detentivo mettendo sempre e comunque al centro dell’intervento” la persona”. Libri: “Pro Patria”… Ascanio Celestini tra gli “erbivori” di San Vittore Recensione di Ida Bozzi Corriere della Sera, 18 novembre 2012 Una presentazione originale ieri a Bookcity è stata quella di Ascanio Celestini e del suo libro Pro Patria (Einaudi): originale perché all’interno del Carcere di San Vittore (oggi c’è Romano Montroni, domani Mauro Corona), ma anche perché non si è trattato di una conferenza ma di una conversazione con i detenuti. “Non ho fatto la classica presentazione - spiega Celestini - perché mi sembrava un’imposizione a persone che sono già in condizione di soggezione. Mi sono limitato a dire come lavoro, la ricerca sul campo in varie istituzioni, la fabbrica, la scuola (la disposizione dei banchi che già indica dove sta il potere), i manicomi e, nell’ultimo lavoro, il carcere. Sono stati loro a raccontare, spontaneamente, non solo i motivi per cui sono dentro, ma la vita quotidiana, le banalità, le abitudini. Come se il carcere fosse una casa”. Proprio quello che è raccontato in Pro Patria, monologo di un carcerato “erbivoro”, cioè, nel gergo della galera, di chi deve scontare una pena lunga: “C’è una distribuzione di procedure automatiche - racconta Celestini - la cui ripetizione fa sì che un po’ tutti i detenuti diventino come alienati, ma soprattutto “mansueti”, resi docili, tanto che quelli con le pene più cospicue sono chiamati “erbivori”. Ciò che mi ha colpito è stato trovare qui la vitalità, la vivacità che spesso in carcere viene soffocata”. Nel suo monologo, l’erbivoro del libro si rivolge a un eroe delle poche letture a disposizione, Giuseppe Mazzini, e la frase mazziniana “governammo senza prigioni, senza processi” è l’occasione per una riflessione sul tradimento dei valori del Risorgimento. “Posso dire che il manicomio è inutile perché il manicomio non c’è più - conclude Celestini -. Invece la prigione c’è, non solo come istituzione ma nella testa della gente. Non so quanti in Italia ritengano che sia indispensabile un superamento dell’istituzione carceraria. Ma penso che siano davvero pochi”. Libri: in “Liberi reclusi”, di Carlo Silvano, il difficile recupero dei minori detenuti Recensione di Lieta Zanatta La Tribuna di Treviso, 18 novembre 2012 Un blog e due volumetti per parlare della realtà delle prigioni minorili: storie di ragazzi da reinserire nella società e degli operatori che vivono al loro fianco È fresca di stampa la terza edizione di “Liberi reclusi. Storie di minori detenuti” (Ed. Del Noce), del sociologo naturalizzato trevigiano Carlo Silvano, che ha a cuore il problema dei giovanissimi rinchiusi nelle carceri, come l’Istituto di Pena Minorile di Treviso. Una realtà poco conosciuta, a cui pochi sembrano interessarsi, ma della quale c’è una grande necessità di parlare, se non altro perché questi ragazzi, “umanità ferita”, nella maggior parte dei casi scontano “non responsabilità di altri”. A scrivere una intensa prefazione al volumetto è Simonetta Rubinato, onorevole e primo cittadino di Roncade, che all’Ipm di Treviso, l’unico del Triveneto, è andata in visita proprio il giorno del suo compleanno, il 22 dicembre del 2009. “Un minore detenuto non è l’espressione del “male” della società, piuttosto ne rappresenta la sconfitta” dice Rubinato, sottolineando le parole di Silvano e la sua visione di questa problematica, che non vuole assolutamente essere buonista. L’intento dell’autore è far conoscere il più possibile il dramma vero e la situazione di questi minori, che non si possono valutare attraverso indagini o statistiche. Soprattutto perché il periodo di reclusione non deve essere un parcheggio momentaneo per mettere le persone in condizioni di non nuocere, ma un percorso di recupero dell’essere umano, che deve ritornare e reinserirsi positivamente in seno alla società. Per questo le pagine di Silvano non si limitano a raccontare storie negative vissute dai ragazzi, ma riportano anche le esperienze e le opinioni degli operatori che quotidianamente sono a contatto con questa realtà. Tra gli interventi più significativi, oltre al cappellano dell’Ipm, padre Giorgio Saccon, quello della psicologa Luisa Bonadeno, che sostiene la negatività di un certo tipo di buonismo. Un periodo di contenimento è un periodo di riflessione e rieducazione del ragazzo che commette un reato, che spesso si rende conto delle sue azioni sbagliate solo nel momento in cui scattano le manette ai polsi. Altra voce di supporto è quella di don Marco Di Benedetto, che lavora al carcere di Rebibbia a Roma, che dà alcune indicazioni a quanti operano nel mondo del volontariato e che, dopo un primo entusiasmo iniziale, si adeguano poi al fatalismo e all’inerzia che prevalgono durante quello che dovrebbe essere un percorso riabilitativo del minore che sbaglia. Il libro è stato adottato anche nel corso “Pedagogia della devianza e della marginalità” all’Università Bicocca di Milano. Libri: “Ogni specie di libertà”, di Marco Verdone, veterinario del carcere della Gorgona Recensione di Elisabetta Arrighi Il Tirreno, 18 novembre 2012 In 36 articoli, il veterinario del carcere della Gorgona apre una riflessione sul rapporto fra umani e non umani. Il libro “Ogni specie di libertà” lancia l’idea delle adozioni a distanza per salvare dal macello ovini bovini e galline. Gorgona sembra dormire sulla linea dell’orizzonte, scossa ogni tanto da piccoli sussulti che rappresentano il suo respiro. Quello degli uomini che lì, sull’isola, stanno scontando il loro debito con la giustizia, e quello degli agenti della “penitenziaria” comandati in mezzo al mare per accudirli e rieducarli. Poi c’è il respiro della natura: della macchia mediterranea e degli animali, come le mucche, le pecore, le caprette, le galline, i mici stesi al sole e i cani che girottolano per le vie del paese dove sono rimasti soltanto tre o quattro residenti “civili”. Un piccolo mondo a parte, un carcere dove le celle si chiudono dopo il tramonto per riaprirsi la mattina dopo, quando i detenuti sciamano verso gli uffici o verso le strutture agricole per il lavoro quotidiano. Il primo libro di Marco Verdone, veterinario omeopata che da oltre vent’anni ha incarichi sull’isola per seguire gli animali della colonia penitenziaria, era intitolato proprio “Il respiro di Gorgona” (Libreria Editrice Fiorentina, 2008), ovvero storie di uomini, animali e omeopatia nell’ultima isola-carcere italiana. Questa volta Verdone è andato oltre. Ha scritto “Ogni specie di libertà” che rappresenta la “carta dei diritti degli animali dell’isola di Gorgona”. La “costituzione dei non-umani” che all’articolo numero 1 fissa un principio fondamentale: “gli animali non sono cose, né macchine”. In 110 pagine si snoda così una riflessione sui diritti che spettano ad ogni creatura vivente, partendo dall’esperienza di ogni giorno con gli umani e i non umani, entrambi “reclusi” sull’isola-carcere. Una riflessione che può diventare progetto quando si guarda ad un futuro nel quale gli animali di Gorgona possano contare su un’adozione e quindi un sostegno a distanza, anche economico, che mentre salva loro la vita, offre ai detenuti un modello “nonviolento” di rapporto con un soggetto debole. “Il libro nasce dalla carta dei diritti degli animali, pensata in un primo momento per quelli di allevamento, ma poi estesa a tutti gli altri, di terra e di mare, che hanno a che fare con l’isola” racconta Marco Verdone che a Gorgona cura i suoi “pazienti” con l’omeopatia. “Partendo da un’idea di salute globale che pratichiamo sull’isola grazie agli animali - spiega il veterinario - ho pensato di riflettere, anche con esperti che hanno dato il loro contributo, sugli aspetti etici del rapporto fra umano e non umano. E per questo ho scritto la carta che vuole evidenziare la possibilità di estendere almeno alcuni dei diritti fondamentali anche agli animali, che sono e vanno considerati come esseri “senzienti”, espressione richiamata anche dal trattato di Lisbona che istituisce l’Ue”. Animali a cui si riconosce la capacità di provare dolore e di soffrire, e quindi di manifestare emozioni così come le proviamo noi umani. Nella stalla e nell’ovile, come nel pollaio o nelle “gabbie” di pesci, gli animali - che pure in Gorgona vengono allevati nel modo più rispettoso possibile del loro benessere - vengono considerati “da reddito”, dal momento che producono “materie prime” e quindi “profitto”. Una funzione “produttiva” che porta gli animali all’esito finale della morte violenta dentro un macello. “Ma guardiamo alla lunga relazione che viene vissuta dagli umani con questi animali, guardiamo al bene fatto per le persone detenute: questo - dice Verdone - fa capire che il loro ruolo è ben più ampio di quello “produttivo”. Abbiamo sperimentato con i detenuti e i visitatori la possibilità di stabilire relazioni fondate sul rispetto in quanto animali in sé, esseri dotati di un loro valore intrinseco, indipendentemente da ciò che producono. Animali diventati veri compagni di vita che non giudicano e offrono la loro amicizia in modo incondizionato. Abbiamo così cercato di passare dal concetto di numero al concetto di nome, attribuendo loro un’identità individuale. C’è la mucca Valentina e ce ne sono altre, ciascuna con il proprio nome. Animali con i nostri stessi diritti, tra cui quello di vivere una vita degna di essere vissuta. E allora, è la domanda, come si fa ad uccidere un amico?”. “Se lo scopo del carcere è cercare di far diventare le persone migliori, aiutandole a riflettere sul loro passato, offrendo anche prospettive future, dimostrare che il nostro rispetto per la vita - spiega Verdone - si estende anche agli animali, che sono i soggetti più deboli, ha un grandissimo valore etico. Vorrei far capire che possiamo, specialmente in un carcere, iniziare a limitare o rinunciare alla morte a favore della vita, inaugurando un percorso di pace e di rispetto. Non voglio fare una questione animalista o di scelte alimentari, ma si sta trattando di offrire un modello etico di giustizia fra le specie e Gorgona, che rappresenta un’eccellenza nel mondo penitenziario, ha le carte in regola per attivare un itinerario inedito, che offrirebbe a persone recluse e non un modello “nonviolento” che ci viene anche suggerito da alcuni organismi come la Fao e l’Oms che invitano a rivedere stili di vita e alimentari e a ridurre i consumi di origine animale sia per motivi di salute che ambientali”. “La lotta per il riconoscimento dei diritti degli animali “non umani” è dunque una battaglia autenticamente rivoluzionaria nella quale - come accade appunto alle rivoluzioni (...) - il successo arriderà. Possiamo considerarla - scrive nel suo contributo Valerio Pocar, professore di sociologia del diritto all’Università di Milano-Bicocca - la battaglia dei diritti per il terzo millennio. Sono occorsi migliaia di anni perché il rapporto tra umani e non umani si imbarbarisse sino alla presente condizione e mille anni non sono forse troppi per cambiarlo”. Sono tornato libero e per amici ora ho due gatti ex reclusi Il libro di Marco Verdone “Ogni specie di libertà” (Altreconomia, 12 euro) è stato presentato ieri alla libreria Feltrinelli di Livorno, mentre oggi (ore 17) sarà presentato a Pappiana, presso l’Associazione Raphael, e il 14 dicembre a Pisa presso Newroz Spazio Antagonista. A Livorno è arrivato anche Claudio Guidotti, ex detenuto e oggi uomo libero, che di Gorgona ha portato la sua testimonianza diretta, che nel libro è condensata nel capitolo “Incrociando gli sguardi”. E racconta: “Dopo la mia esperienza di quasi 5 anni passati a Gorgona, posso dire che quell’ambiente, se vissuto nello spirito giusto, aiuta a recuperare un rapporto sano con gli animali e perciò con la vita e il suo ciclo naturale di nascite e di morti. Ho un sogno: spero di tornare presto in Gorgona come turista, anche per poche ore, e rivedere alcuni umani e animali che ho conosciuto. Ora sono tornato a casa mia in campagna con i miei due gatti gorgonesi che non ho abbandonato in carcere. Con loro mi sono portato dietro anche un pezzo dell’isola, compresi tutti quegli altri animali che ogni mattina andavo a trovare, che mi hanno aiutato e che continuano a mancarmi”. La prefazione del libro è di Carlo Mazzerbo, ex direttore dell’isola “carcere senza sbarre” dove “il pensiero di Marco Verdone si è fatto pian piano strada e con l’aiuto dei tanti amici dell’isola, diventerà presto attuale e concreto”. Un libro dove si raccontano i 36 articoli della carta dei diritti degli animali di Gorgona e dove il teologo Paolo De Benedetti (“... la benedizione divina degli animali perdurerà dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando ritroveremo gli animali nella vita eterna”), la docente di bioetica veterinaria Barbara de Mori, il filosofo Luigi Lombardi Vallauri e il sociologo del diritto Valerio Pocar offrono una chiave di lettura spirituale, di pensiero razionale e laico e di rigore giuridico mentre l’associazione “Oltre la specie” afferma invece l’esigenza di fermare la preponderanza dell’umano. A Gorgona, oggi, sono presenti 40 bovini, 140 pecore e capre, 20 maiali, 150 animali da cortile, 5 cavalli, 2 asini, 15 famiglie di api. Mentre in Italia, ogni anno, finiscono macellati oltre mezzo miliardo di animali. Stati Uniti: pena di morte; due nuove esecuzioni in Texas, 15 da gennaio Ansa, 18 novembre 2012 Un ispanico e un nero sono stati messi a morte nel Texas, portando a 15 il numero delle esecuzioni dall’inizio dell’anno in questo Stato americano, che ne detiene il record. Lo hanno reso noto oggi le autorità penitenziarie del Texas e il Centro di informazione sulla pena capitale. Le esecuzioni di Ramon Hernandez, 41 anni, e Preston Hugues, 46, sono avvenute mercoledì e giovedì scorso tramite iniezione letale. I due condannati hanno passato rispettivamente 10 e 23 anni nel braccio della morte. Ramon Hernandez era stato condannato per omicidio dopo avere ucciso a San Antonio nel 2002, una donna ispanica di 37 anni. Secondo le autorità giudiziarie, Hernandez aveva rapito, violentato, ucciso e poi sotterrato il corpo della donna in un bosco, insieme a due complici. La sua ultima dichiarazione prima di entrare nella camera della morte, e rivolta agli altri detenuti di colore del Texas è stata: “Continuate a battervi, non demordete”. Il secondo condannato a morte, Preston Hugues, era stato riconosciuto colpevole di omicidio e violenza sessuale nei confronti di una ragazza nera di 15 anni e di suo cugino di tre anni, a Houston nel 1988. Le due vittime erano state pugnalate e poi abbandonate in un sentiero. La giovane, prima di morire, era riuscita a identificare il suo aggressore e a denunciarlo. Dal 1976, anno in cui il Texas ha ripristinato la pena capitale, sono state eseguite 492 esecuzioni, secondo il Centro di informazione Dpic. Da gennaio 2012 negli Usa il boia ha agito quaranta volte. Turchia: più di 700 detenuti curdi mettono fine a sciopero fame dopo 2 mesi di protesta Agi, 18 novembre 2012 Dopo 68 giorni di sciopero della fame, più di 700 detenuti curdi rinchiusi nelle carceri turche hanno messo fine alla loro protesta, accogliendo l’appello del capo del Pkk, Abdullah Ocalan. Lo ha reso Deniz Kaya, un portavoce dei detenuti del Pkk. Era stato il fratello di Ocalan, Mehmet, a trasmettere un messaggio del leader dopo averlo incontrato nel carcere di Imrali in cui è rinchiuso, su un’isola nel mar di Marmara, a sud di Israele, in cui si affermava che la protesta “ha raggiunto il suo obiettivo”. I detenuti chiedevano la fine del regime di isolamento per Ocalan e altre concessioni a favore della minoranza curda. Richieste in parte accolte, come il diritto all’uso della lingua curda nei tribunali per il quale è stata presentata martedì una proposta di legge dalla maggioranza di governo che sostiene il premier Recep Erdogan. Per alcuni attivisti le aperture non bastano, ma Ocalan ha voluto ugualmente che si sospendessero gli scioperi della fame che rischiavano di portare alla morte di molti detenuti. Da indiscrezioni trapelate, sembra che il capo del Pkk abbia negoziato negli ultimi due mesi un accordo con i servizi di sicurezza turchi per una serie di concessioni ai curdi. Siria: liberato reporter turco detenuto da agosto scorso Tm News, 18 novembre 2012 Il cameraman turco, Cuneyt Unal, detenuto dallo scorso agosto in Siria dalle truppe del presidente Bashar al-Assad, è stato liberato e consegnato nelle mani di una delegazione parlamentare turca in Siria. “Ci è stato affidato Cuneyt Unal. Non h problemi di salute” ha riferito Hasan Akgol, deputato del Partito repubblicano del popolo, principale formazione d’opposizione nel Parlamento turco, citato dall’agenzia Anatolia. La delegazione parlamentare dovrebbe rientrare oggi stesso in Turchia. Il giornalista era stato bloccato lo scorso 20 agosto ad Aleppo assieme al suo collega, Bachar Fahmi al-Kadumi. Entrambi lavoravano per la rete televisiva americana in lingua araba, Al-Hurra. La missione turca non ha dato notizie del giornalista palestinese al-Kadumi. Dall’inizio del conflitto sono 14 i giornalisti professionisti uccisi in Siria, oltre a 38 cittadini-reporter, secondo l’ong Reporters sans frontieres. Tunisia: morto secondo detenuto salafita in sciopero di fame, altri 56 continuano il digiuno Tm News, 18 novembre 2012 Mohamed Bakhti, figura di primo piano del movimento salafita tunisino, è morto dopo quasi due mesi di sciopero della fame per protesta contro il arresto, eseguito dopo un attacco all’ambasciata degli Stati Uniti. “È morto nella notte, attorno alle 2 di mattina, all’ospedale”, ha detto il suo avvocato, Ali Bautista, ricordando che un altro suo assistito, Beshir Gholli, è morto giovedì scorso dopo aver rifiutato di alimentarsi in carcere per due mesi. 56 detenuti in sciopero della fame in carceri tunisine Cinquantasei detenuti, in gran parte estremisti islamici, stanno facendo uno sciopero della fame nelle prigioni della Tunisia, e tre di essi sono “in uno stato più o meno preoccupante”. Lo ha detto oggi all’Afp padre Saihi, un alto responsabile del ministero della Giustizia. “Il numero totale dei detenuti in sciopero è di 56. Tre sono in uno stato più o meno preoccupante”, ha detto Saihi, poche ore dopo l’annuncio del decesso di un secondo estremista islamico al termine di un lungo sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. Minacce dei salafiti: nostra pazienza è finita La morte di due salafiti (tra cui lo sceicco Mohamed el Bakthi) dopo uno sciopero della fame ha scatenato molte reazioni del movimento integralista tunisino che, dai social network, ha lanciato precise minacce al governo dicendo che “la pazienza è ormai finita”. Su una pagina di Facebook è stato postato un video nel quale vengono minacciati coloro che “intralciano la legge di Dio”, con un implicito riferimento al partito Ennahdha, confessionale e al governo. Nel messaggio si chiede l’immediata liberazione di tutti i salafiti detenuti, mettendo in guardia contro la “collera dei discendenti di Okba”. Il riferimento, apparentemente oscuro, è ad un califfo che si impadronì di alcune zone del nord dell’Africa intorno al 690, strappandole ai bizantini e che è passato alla storia soprattutto per essere stato sanguinario e, soprattutto, implacabile contro i suoi nemici. “Non dite - si legge ancora nel messaggio - che la loro liberazione (dei detenuti salafiti, ndr) è nelle mani della giustizia indipendente o del Ministero della giustizia trasparente perché tutti sanno che la giustizia segue l’agenda dei governanti”. Presidente Marzouki: no a ricatto salafiti, sì commissione inchiesta indipendente Lo Stato tunisino non cederà al ricatto dei salafiti detenuti che, in gran numero, stanno attuando uno sciopero della fame per sostenere la loro richiesta di scarcerazione. Lo ha detto il presidente della repubblica, Moincef Marzouki, che ha precisato che lui e tutte le strutture dello Stato si fanno carico della responsabilità della morte di due giovani salafiti deceduti, nei giorni scorsi, dopo oltre cinquanta giorni di sciopero della fame. Marzouki, che ha ripetuto più volte il concetto di ‘ricattò, ha avanzato la proposta della istituzione di una commissione indipendente che faccia chiarezza sulle circostanze che hanno portato alla morte di Bekir el Kolli e di Mohamed el Bakthi. I due salafiti sono deceduti in strutture ospedaliere della capitale dove erano stati ricoverati in condizioni gravissime dopo avere rifiutato di alimentati e di essere curati per il loro stato di debilitazione causato dallo sciopero della fame. Prime defezioni: in due sospendono la protesta Due delle decine di detenuti salafiti che stanno attuando, da settimane, nelle carceri tunisine, lo sciopero della fame per protestare contro l’arresto hanno deciso di interrompere la protesta. A convincere Oussema Aouini ed Hassan Hammami a sospendere la protesta (a distanza di poche ore dalla morte di Bekir el Kolli e Mohamed el Bakthi, dopo 50 giorni di sciopero della fame) sarebbero stati gli appelli lanciati dalla loro famiglie e l’opera di convincimento di “Horria wa enssaf” (Libertà ed equità), una organizzazione ufficialmente apolitica, considerata invece molto influente sulla galassia salafita. L’annuncio della fine dello sciopero della fame di Aouini e Hammami è stata data dal ministero della Giustizia, che ha ribadito la sua ferma decisione di non cedere al “ricatto” che gli integralisti stanno portando avanti con la loro pericolosa protesta. Sri Lanka: rivolta in carcere a Colombo, almeno 9 detenuti uccisi e 35 feriti Adnkronos, 18 novembre 2012 Almeno nove detenuti sono stati uccisi e 35 persone sono rimaste ferite, tra le quali alcuni poliziotti, a causa di una rivolta nel carcere di massima sicurezza di Welikada a Colombo, la capitale dello Sri Lanka. Le autorità hanno riferito che i disordini sono scoppiati dopo il tentativo degli agenti carcerari di effettuare delle ispezioni nelle celle dei detenuti. I rivoltosi sono riusciti a entrare nell’armeria del carcere e impadronirsi di fucili e pistole con le quali hanno aperto il fuoco contro gli agenti. Sulla scena sono intervenuti i commando dell’esercito che hanno impiegato oltre quattro ore per riprendere il controllo del carcere. Si tratta della più grave rivolta carceraria nello Sri Lanka dal 1983, quando 35 detenuti furono uccisi a causa dei disordini scoppiati nella stessa prigione di Welikada.