Giustizia: “Aboliamo l’ergastolo… le persone cambiano”, l’appello di Umberto Veronesi di Carlo Brambilla La Repubblica, 16 novembre 2012 “L’ergastolo è più atroce di qualsiasi altra pena, perché ti ammazza lasciandoti vivo”. A lanciare il “Manifesto contro l’ergastolo” sarà la conferenza internazionale “Science for Peace”, promossa dalla Fondazione Umberto Veronesi, oggi e domani all’Università Bocconi. Una sfida scientifica e culturale in sostegno di una grande proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo, a cui aderiscono scienziati, intellettuali, scrittori, politici, docenti universitari. Tra i primi firmatari Margherita Hack, Umberto Veronesi, Gino Strada, Erri De Luca, Susanna Tamaro, Andrea Camilleri, Giuliano Amato, Franca Rame, Ascanio Celestini e molti altri personaggi. Ma la raccolta di firme è appena cominciata. “L’ergastolo è una pena antiscientifica e anticostituzionale - denuncia Veronesi. - Antiscientifica perché è dimostrato che il nostro cervello, come altri organi del nostro corpo, può rinnovarsi e il cervello che abbiamo oggi non è lo stesso di 20 anni fa. L’ergastolo è poi anticostituzionale perché va contro il principio riabilitativo della nostra Costituzione, che all’articolo 27 recita che le pene devono essere tese alla rieducazione del condannato”. “Il grado di democrazia di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri - sostiene l’appello. L’ergastolo è una pena molto più dolorosa e disumana della pena di morte. Spesso un ergastolano è un uomo ombra, perché pensa di essere morto pur essendo vivo, perché vive una vita senza vita. Mentre a ogni persona detenuta dovrebbe riconosciuto il diritto a una speranza”. Il manifesto contesta in modo particolare il cosiddetto “ergastolo ostativo” che esclude l’accesso alle misure alternative al carcere, rendendo questa pena un effettivo “fine pena mai”. “Un uomo non può essere considerato colpevole per sempre. Una pena per essere giusta deve avere un inizio e una fine, perché una condanna che non finisce non potrà mai rieducare nessuno”. Ci sono in Italia più di 1.500 detenuti condannati all’ergastolo e più di mille di loro non hanno accesso a nessun beneficio penitenziario, come i permessi premio. “Per loro il fine pena mai è reale - assicura Nadia Bizzotto, dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, particolarmente impegnata sui temi carcerari, tra i relatori alla conferenza milanese. Se le pene devono tendere alla “rieducazione del condannato” che senso ha rieducare una persona per portarla alla tomba? L’ergastolo ostativo ai benefici penitenziari è una pena di morte mascherata “. La sanzione penale nella prospettiva della scienza contemporanea sarà al centro della giornata di oggi di Science for Peace. “Una giustizia vendicativa e non rieducativa non riduce la criminalità - assicura Veronesi, smontando un luogo comune particolarmente radicato. - L’abbiamo già sperimentato con la pena di morte”. L’astrofisica Margherita Hack è la prima firmataria “L’Ergastolo è una barbarie. Una forma di tortura. La pena dovrebbe avere lo scopo di migliorare le persone. E non essere un’inutile vendetta”. La grande astrofisica Margherita Hack, prima firmataria della proposta di iniziativa popolare per l’abolizione dell’ergastolo, non ha bisogno di molte parole per condannare il carcere a vita. Le neuroscienze hanno dimostrato che il cervello umano cambia nel corso degli anni. Anche per questo non ha senso una pena che non ha fine? “Non mi sembra ci sia bisogno di essere degli scienziati per sapere che gli esseri umani cambiano, e anche molto, nel corso della loro vita...” Però non sono poche le persone convinte che l’ergastolo sia una pena giusta per i reati più efferati. “Credo che alla base di questa convinzione ci sia un problema di ignoranza e di paura. Mi auguro che il prossimo Parlamento, che dovrebbe avere una maggioranza un po’ più evoluta di questo, abbia la capacità di abolire definitivamente l’ergastolo”. Giustizia: “Science for Peace”; IV Conferenza Internazionale dedicata abolizione ergastolo Agi, 16 novembre 2012 Due giornate di dibattiti e confronto per proporre chiavi di lettura scientifiche per la risoluzione dei conflitti e delle iniquità nel mondo. Con il saluto del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la quarta conferenza mondiale di Science for Peace ha aperto ufficialmente i battenti, questa mattina all’università Bocconi e tra gli scienziati e uomini di pensiero che si incontreranno a Milano figurano anche il saggista israeliano David Grosssman e Shirin Ebadi, entrambi premi Nobel. Tre i principali temi di attualità al banco di questa quarta conferenza: la dignità della persona alla luce delle neuroscienze, l’accessibilità globale alle risorse e la pacifica convivenza in libertà e diversità”. Sotto il grande ombrello del primo tema, che parte della ultime scoperte scientifiche nel campo delle neuroscienze che dimostrano come il cervello dell’uomo cambi nel corso dell’esistenza, viene analizzata la situazione delle pene detentive in Italia e nel mondo e prende vita una campagna per l’abolizione dell’ergastolo, giudicato dal presidente di Science For Peace, Umberto Veronesi, una “grave ingiustizia”. Interpretazione condivisa anche dal sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha ribadito come ci siano “pene che hanno più efficacia deterrente” e detto di ritenere che “il fine pena mai non dovrebbe più essere previsto in un codice penale”. Anche il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, ha riportato la propria esperienza personale a fianco degli operatori delle case circondariali e dei detenuti, ricavandone l’opinione che si “centrale il percorso di recupero di chi ha commesso reati. Le riflessioni degli scienziati e degli studenti - ha aggiunto - ci impongono, d’altra parte, di non immaginare una vita priva di speranza e di luce. Insomma, la pena deve essere intesa non come una vendetta, bensì un processo utile a riconsegnare alla società un uomo nuovo, un uomo migliore”. “Puntiamo ad una pace come condizione culturale e umanitaria - ha spiegato Veronesi. Studi di genetici hanno dimostrato che il nostro Dna non ha il gene dell’aggressività, ma ha piuttosto quello della bontà. La violenza è portata da fattori ambientali. Il mondo della scienza sta studiando cervello per capire come possiamo usare queste informazioni anche per diffondere un messaggio di pace”. Giustizia: Pisapia; ergastolo non può più trovare posto Codice penale di Italia democratica Adnkronos, 16 novembre 2012 Il “fine pena mai” non può più trovare posto nel codice penale di un’Italia democratica. Su questo tema dobbiamo e possiamo andare avanti. Con queste parole il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, intervenuto oggi all’università Bocconi per l’apertura della IV Conferenza mondiale di Science for Peace, esprime il suo consenso alla campagna lanciata dal presidente degli scienziati per la pace, Umberto Veronesi, per un Manifesto contro l’ergastolo. Rivolgendosi alla platea di scienziati e grandi nomi della cultura, ma anche di studenti, Pisapia ha ricordato il suo passato di avvocato. “Mi sono occupato di diritti e sono convinto di un collegamento diretto tra il tema della pace e le sanzioni. L’ultima cosa di cui mi sono occupato è stata la presidenza della Commissione per la riforma del codice penale. È stata la prima proposta organica - precisa - per cancellare un codice del 1930, vecchio, anacronistico e che mal si concilia con i principi costituzionali”. Quel progetto - sottolinea il primo cittadino milanese - poneva il problema di uscire dall’equazione unica “sanzione uguale carcere”. “Ci sono pene più efficaci - avverte Pisapia - penso per esempio a pene prescrittive, interdittive o a lavori socialmente utili che permetterebbero anche di risarcire le vittime. E favorirebbero il reinserimento sociale” dell’autore del reato: “È questo l’antidoto più forte contro il rischio di recidiva”. Il sindaco ha inoltre ringraziato Veronesi per aver scelto come sede della conferenza ancora una volta Milano: “Vuole essere la città della scienza, dell’innovazione e dello sviluppo. La città più internazionale del nostro Paese”. Secondo Pisapia, “l’alleanza fra scienza e pace è ormai indifferibile e indispensabile”, ma “l’impegno per la pace richiede ora un passo ulteriore, un salto di qualità. Il vero antidoto alla guerra - conclude - è lo sviluppo della scienza e della libertà. Con la tutela dei diritti si ottiene anche l’osservanza dei doveri”. Giustizia: Ferrante (Pd): bene il “Manifesto contro l’ergastolo” di Umberto Veronesi Il Velino, 16 novembre 2012 Bene il “Manifesto contro l’ergastolo” lanciato oggi da Umberto Veronesi. È arrivato il momento di discutere concretamente di come elevare il livello di giustizia e di democrazia del nostro Paese, affrontando lo stato delle carceri e le condizioni dei detenuti e ridiscutendo la pena dell’ergastolo a partire da quello ostativo, che contrasta in maniera palese con il principio della riabilitazione previsto dalla Costituzione”. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante. “L’ergastolo ostativo - continua Ferrante - è l’espressione più eclatante dell’annichilimento del percorso di recupero, ma occorre avere il coraggio di affrontare questioni impopolari quali l’ergastolo nella sua forma più diffusa. Sebbene molti lo ignorino, nelle nostre carceri si infligge e si sconta questa ‘pena di morte vivà, secondo la definizione del condannato Carmelo Musumeci, di chi, sebbene la sua condizione non gli conceda alcuna speranza di poter tornare in futuro alla vita ‘fuorì, ha portato avanti un percorso personale di recupero che lo Stato sembra adesso voler ostacolare ulteriormente con il trasferimento in un carcere sardo e l’inasprimento dell’isolamento dalla realtà al di là delle sbarre. Ma se il ravvedimento del condannato è il fine ultimo dello Stato, che si assume l’onere di punire il colpevole, occorre che chi passa anche dei decenni nella propria cella possa sapere di poterlo poi dimostrare alla società. Se lo Stato sceglie solo di aspettare di certificare la morte di un detenuto compie un atto disumano e fa decadere il principio costituzionale della pena giusta, che per essere tale deve avere un inizio e una fine”. Giustizia: Radicali; da lunedì mobilitazione per diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia Ristretti Orizzonti, 16 novembre 2012 “Quattro giorni di sciopero della fame, battitura e silenzio per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia. È la mobilitazione nonviolenta lanciata da Marco Pannella e dal Partito Radicale che coinvolgerà l’intera comunità penitenziaria , con l’obiettivo di garantire la possibilità, ai tantissimi reclusi che ancora li conservano, di esercitare i propri diritti in vista delle prossime scadenze elettorali. E per ribadire con forza la necessità di un’amnistia - abbinata a un provvedimento di indulto - per uscire subito dall’illegalità gravissima nella quale versa la giustizia italiana e la sua appendice carceraria”. È quanto si legge in una nota dei Radicali pubblicata sul suo blog dall’onorevole Rita Bernardini, riguardo all’iniziativa promossa per il diritto di voto per i detenuti e per l’amnistia. “Da lunedì 19 novembre - si legge nel post - avrà inizio dentro e fuori le carceri uno sciopero della fame, che i detenuti accompagneranno ogni sera con una battitura delle sbarre, dalle 20 alle 20.15, seguita da 45 minuti di silenzio. L’iniziativa proseguirà fino a giovedì e gli ultimi due giorni, il 21 e il 22 novembre, saranno anche di sostegno all’astensione dalle udienze promossa in tutta Italia dall’Unione delle Camere Penali”. I Radicali parlano di “una nuova grande mobilitazione, che ancora una volta vedrà la partecipazione dei detenuti con i loro familiari, di direttori, associazioni, sindacati, volontari, cappellani, nel solco della battaglia di civiltà di Marco Pannella, per ripristinare - a partire dalle carceri, moderne catacombe del diritto e della democrazia - giustizia e legalità nel nostro Paese. Obiettivo per il quale i Radicali lottano senza sosta con le armi della nonviolenza e che vede oggi la deputata Radicale Rita Bernardini e la segretaria del Detenuto Ignoto Irene Testa condurre dal 24 ottobre uno sciopero della fame, inframmezzato da intere giornate di sciopero della sete, e diversi dirigenti e militanti radicali in digiuno - tra cui il segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti e il direttore di Notizie Radicali Valter Vecellio - in risposta alla resa di uno Stato che rispetto ai propri cittadini si trova ogni giorno di più in condizione di flagranza di reato”. Sarà possibile aderire alla mobilitazione attraverso i siti radicali: www.radicalparty.org, www.radicali.it e www.radioradicale.it Giustizia: Sindacati Polizia Penitenziaria; situazione nelle carceri sempre più insostenibile di Valter Vecellio Notizie Radicali, 16 novembre 2012 Roberto Martinelli è quello che si può definire un “addetto ai lavori”, segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria. Da anni monitora il quadro della situazione carceraria, e quello che traccia è un bilancio a dir poco fallimentare: “I detenuti presenti nelle nostre carceri nei giorni della nascita del governo tecnico erano 68.047 alla data del 30.11.2011; pochi giorni fa, il 31 ottobre 2012, erano 66.811: un decremento di soli 1.236 soggetti, una flessione pressoché impercettibile se si considera che i posti letto regolamentari detentivi sono poco più di 45mila… A un anno dall’insediamento del governo Monti, è possibile sostenere che l’esecutivo tecnico in carica ha ottenuto ben pochi risultati per contrastare questa grave criticità”. Martinelli come esempio limite cita la regione Liguria: “Ci sono più detenuti di undici mesi fa: il 30 novembre 2011 nelle 7 carcere liguri avevamo 1.848 detenuti, oggi ne abbiamo 1.924. Dal 1 gennaio al 30 giugno 2012 in Liguria 21 detenuti hanno tentato il suicidio (erano stati 33 in tutto il 2011), 218 gli atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provati da lamette, 14 i ferimenti e 54 le colluttazioni”. Un lungo cahier de doléance, quello relativo alla situazione carceraria. Si prenda per esempio la situazione, incredibile, denunciata da Francesca Vazzana, direttrice del carcere palermitano di Pagliarelli. Parla di quella che non è esagerato definire una vera e propria emergenza, il rischio concreto di paralisi dei servizi operativi: “Mancano i mezzi funzionanti per trasportare i detenuti alle udienze, un’operazione quest’ultima che nei prossimi giorni potrebbe bloccarsi del tutto. Stessa situazione per le ambulanze, sono solo garantite le urgenze sanitarie”, dice Vazzana. Una situazione di crisi annunciata che trova le sue origini anche qui nella carenza di risorse disponibili che costringe a tirare la cinghia su quelle che comunque rappresentano delle priorità quali appunto i ricoveri programmati da tempo. I mezzi, siano essi cellulari o mezzi di soccorso, si guastano ma non ci sono i soldi per ripararli. Così alla direttrice non è rimasta altra arma in mano che quella di scrivere, tra gli altri, al presidente della Corte d’appello Vincenzo Oliveri, all’avvocato generale Ignazio De Francisci, al presidente del Tribunale Leonardo Guarnotta ed al Procuratore Capo Francesco Messineo. A mancare all’appello sono proprio i fondi destinati “alla traduzione e al piantonamento dei detenuti”. Così la direttrice si trova a dover affrontare il difficile compito di vagliare ogni operazione e selezionarle per non paralizzare completamente le attività: “Un’operazione difficile che comunque non può essere considerata come un rimedio ma soltanto una soluzione tampone per evitare il collasso stesso dei servizi che riuscirà a far andare avanti la macchina del Pagliarelli ancora per qualche giorno, al termine dei quali se non arriveranno i mezzi richiesti, i detenuti non potranno né partecipare alle udienze né recarsi in ospedale”. Dal Sud al Nord, fa poca differenza. Andiamo al carcere Lorusso e Cotugno di Torino. “Si sono raggiunti livelli insostenibili”, dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria. “All’interno dell’istituto”, denuncia, “dodici detenuti dormono su una coperta adagiata sul pavimento per mancanza di posti letto e materassi”. Beneduci si concede una stoccata polemica: “La distanza dei ben remunerati vertici dai problemi concreti delle carceri - sottolinea - è tanto abissale da non rendere più possibile l’individuazione degli interventi urgenti per alleviare le condizioni di sofferenza del personale e dell’utenza penitenziaria”. A Pistoia è il garante dei detenuti Antonio Sammartino, a denunciare la situazione, definita ormai “cronica”: prevalenza di detenuti in attesa di giudizio su quelli con sentenza definitiva, quasi la metà di origine straniera ed al giugno scorso un 15 per cento circa con problemi di tossicodipendenza; a fronte di un personale previsto di polizia di 79 unità, quello amministrato e di sole 59 unità ed effettivamente operante di 50 agenti: “Nella maggioranza delle celle si trovano almeno tre detenuti in 7 mq, facendo a turno a stare in piedi e gli altri sui letti a castello a tre piani, comprendendo nell’esiguo spazio un tavolino ed uno pseudo-bagno. Questi dati non sono evidenziati nella visita di vigilanza, che rileva solo l’umidità come fattore di insalubrità”. Emblematica la situazione dell’ambulatorio medico del carcere: “È riconosciuto anche dal personale sanitario che non è a norma, la mancanza del collegamento In rete impedisce la compilazione della cartella clinica o di inoltrare le domande di visita per l’Invalidità civile, in mancanza di attrezzature adeguate la prestazione sanitaria non può essere sempre garantita. E perché per una semplice carie viene estratto il dente alla persona?”. Prosegue intanto l’interminabile catena dei suicidi e dei tentati suicidi. A Padova, in quella struttura del carcere riservata ai detenuti non condannati in via definitiva e in attesa di giudizio un trentenne magrebino si è stretto un cappio intorno al collo e ha cercato di uccidersi. Gli agenti di polizia sono riusciti a salvarlo. Da una settimana il detenuto era stato trasferito provvisoriamente in una cella da solo per incompatibilità con gli altri detenuti: si stava cercando una soluzione al caso. “Il sovraffollamento è un gravissimo problema per il circondariale che ha una capienza di circa 160 detenuti, mentre gli ospiti sono di fatto sulle 250 unità” spiega Giampietro Pegoraro, coordinatore padovano Cgil Fp polizia penitenziaria, “L’80 per cento dei reclusi sono stranieri e la casa circondariale di Padova è il luogo di detenzione con la più alta percentuale di extracomunitari. Difficile viverci. Difficile far convivere etnie diverse. Ovvio che il personale è sottoposto a stress continuo e ogni tanto scoppiano piccole risse. Insomma è una realtà molto difficile da gestire”. Un altro tentativo di suicidio quello messo in atto da un giovane detenuto straniero nel carcere di Castrovillari, uno degli istituti più sovraffollati d’Italia. Ogni camera destinata ad un solo detenuto attualmente ne vede ospitati tre. Anche in questo caso l’uomo è stato salvato dagli agenti di polizia penitenziaria. Giustizia: Uil-Pa; il carcere di Laureana di Borrello (Rc) riaprirà entro dicembre Agi, 16 novembre 2012 “Con ogni probabilità entro dicembre riaprirà la casa di reclusione di Laureana Borrello (Rc) chiusa un mese e mezzo addietro dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ufficialmente per far fronte ad esigenze operative riferite come non diversamente sormontabili con l’insufficiente organico di Polizia penitenziaria assegnato in Calabria”. A renderlo noto è Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari. Sulla vicenda si erano registrate diverse interrogazioni parlamentari. “Dall’attività presso la sede centrale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria caratterizzatasi, anche per frequenti contatti con alcuni Dirigenti di primo piano, ho appreso - dice De Fazio - dell’intenzione di procedere alla riapertura del carcere di Laureana di Borrello in concomitanza dell’assegnazione dei neo agenti del Corpo di polizia penitenziaria del 165esimo corso che proprio a dicembre termineranno la fase addestrativa e saranno immessi in servizio operativo. Al di fuori di qualsiasi polemica - continua De Fazio - esprimo viva soddisfazione per l’orientamento dipartimentale che raccoglierebbe le nostre continue e pressanti sollecitazioni evitando che il patrimonio di eccellenza penitenziaria custodito a Laureana di Borrello sin dal 2004 possa andare disperso e che ciò si traduca in ulteriori oneri per la società, sia in termini di costi economici sia sotto il profilo dei livelli di sicurezza e di efficienza e di efficacia dell’azione penale nel suo complesso. Per il futuro - conclude il segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari - auspico che l’Amministrazione penitenziaria, nelle sue diverse articolazioni, prima di assumere decisioni di analoga portata consulti le organizzazioni sindacali non solo perché espressamente previsto dal sistema di relazioni dettato dalla normativa vigente, ma soprattutto perché dalle legittime ed inalienabili rappresentanze degli operatori possono pervenire segnalazioni e suggerimenti utili a favorire l’individuazione delle soluzioni più efficaci in relazione alle problematiche da fronteggiare nel perseguimento degli obiettivi istituzionali, evitando pure che si cada in grottesche contraddizioni”. Sardegna: Pili (Pdl); bugie sul “piano 41-bis”, nell’Isola presto arriveranno 600 mafiosi di Alessandra Carta L’Unione Sarda, 16 novembre 2012 Secondo i documenti recuperati dal parlamentare i primi trasferimenti dovrebbero iniziare già martedì prossimo: “C’è il rischio di infiltrazione criminale”. Che sul Piano 41 bis arrivi la retromarcia ci sono zero possibilità. Ma Mauro Pili non si arrende. Il deputato Pdl svela i dettagli del “blitz romano, voluto dal Guardasigilli Paola Severino”. Ovvero, “la calata mafiosa in Sardegna”, dice il parlamentare. Con una novità: “Arriveranno in seicento, la data prevista è il 20 novembre”. Lo scontro. Sarebbe solo questione di giorni, perché i “padrini” prendano posto nelle carceri isolane. L’ha ripetuto anche Roberto Calogero Piscitello, direttore generale del settore Detenuti e trattamenti: “Sul territorio sardo non c’è alcun rischio di infiltrazione mafiosa”. Ma Pili non vuole sentire ragioni: “Tutti gli esperti, a cominciare da Pino Arlacchi (sociologo ed europarlamentare Pdl), sostengono che sia una follia scaricare nell’Isola 600 boss della malavita”. I numeri. Il deputato ha recuperato dettagli del Piano e fedina penale dei 41 bis in arrivo: “Nelle nostre carceri sbarcheranno pure camorristi e boss della ‘ndrangheta, sebbene il Governo stia tentando di ridimensionare perfino le cifre”. Pili mette sul tavolo la mappa dei trasferimenti: “A Uta saranno 150 le celle per gli ergastolani più pericolosi, altrettante verranno preparate a Bancali, 97 a Nuoro”. Vanno aggiunti “i 150 posti di Alta sicurezza 1 (capi mafia appena usciti dal regime del 41 bis), per loro si apriranno le porte di Massama (Oristano)”. Ovvero, lì dove andranno a vivere parte dei 75 As3. “Si tratta -spiega Pili - di mafiosi e trafficanti di droga (tra loro anche qualche sardo) che saranno divisi tra la costa ovest e il carcere di Tempio”. Il parlamentare precisa: “Trentasei sono già arrivati, sebbene dal ministero della Giustizia abbiamo parlato di 24”. È muro contro muro sul Piano 41 bis, una partita che, da destra a sinistra ha unito la politica sarda. Il deputato Pdl non è tenero nemmeno con Luigi Pagano, vicecapo del dipartimento che controlla l’Amministrazione penitenziaria. “Il dirigente - accusa Pili -sostiene che il trasferimento dei mafiosi nell’Isola sia stabilito dalla legge. Ma l’affermazione è falsa. La normativa prevede che i boss siano mandati preferibilmente in destinazioni insulari, ma comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal carcere”. Fatto sta che a Monastir, nella scuola di Polizia penitenziaria, i nuovi agenti già da martedì stanno prendono lezioni di anti-mafia. Perché quelli della malavita pare non vadano trattati come gli altri detenuti. Marche: il Garante; non rinunciare a nuovo carcere Camerino, alleggerirebbe altri istituti Ansa, 16 novembre 2012 Il Garante dei detenuti delle Marche Italo Tanoni ha scritto al ministro della Giustizia Paola Severino per sostenere il progetto di costruire un nuovo carcere di Camerino, auspicando che “la vicenda venga risolta positivamente, con lo sblocco del finanziamento destinato all’avvio dei lavori”. Il progetto, inserito nel Piano nazionale di edilizia penitenziaria in scadenza il 31 dicembre, ha subito una battuta d’arresto perché i fondi non sono arrivati. “Una sua decisione a riguardo - dice Tanoni alla Severino - metterebbe la parola fine alla ridda di ipotesi e sollecitazioni di segno contrario, e garantirebbe condizioni migliori ai circa 150 detenuti ristretti nei due istituti di Fermo e Camerino, due ex converti”. Il nuovo carcere inoltre, aiuterebbe a “ridurre notevolmente anche i livelli di preoccupante sovraffollamento di altri istituti di pena regionali, come Montacuto, Villa Fastiggi e Marino del Tronto”. Lo stesso capo del Dap Giovanni Tamburino, conclude, ha potuto “valutare pienamente la necessità di privilegiare l’opzione di Camerino” nella sua recente visita nelle Marche. Padova: il 22 novembre iniziativa Camera Penale in concomitanza con astensione Ucpi Ristretti Orizzonti, 16 novembre 2012 La Camera Penale di Padova il 22 novembre alle ore 12 terrà una conferenza stampa in aula penale al piano terra. Verrà proiettato il filmato “Prigioni d’Italia” e verrà diffuso il libro “Prigioni d’Italia - viaggio nelle carceri italiane” a cura dell’Osservatorio Carcere Ucpi. Hanno aderito alla nostra iniziativa e assicurato la loro partecipazione il dr. Bortolato, Magistrato di Sorveglianza, la dott.ssa Fino, Gip e rappresentante Anm e il dr. Miazzi, Presidente della Giunta Distrettuale Anm. In tutta Italia nelle aule alle 9,30 prima della dichiarazione di astensione chiederemo di osservare un minuto di silenzio come ulteriore forma di denuncia. Facendo seguito a una mozione votata all’unanimità da tutti i delegati al congresso di Trieste, la Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane ha deliberato per il 22 novembre l’astensione dalle udienze per denunciare la drammatica situazione delle carceri. Il sovraffollamento carcerario registra cifre sempre più impressionanti a causa di un sistema penale che si focalizza sulla pena detentiva nonostante sia dimostrata la maggiore utilità delle pene non detentive, sia dal punto di vista retributivo che della prevenzione generale. La Legge Gozzini risulta ormai di difficile applicazione a causa delle progressive esclusioni e preclusioni. Lo stesso dicasi per quelle timide riforme, come la detenzione domiciliare per gli ultimi 18 mesi di pena, che non ha assolutamente alleviato la gravità del sovraffollamento e ha visto uscire un numero irrisorio di detenuti. Eppure proprio sotto il profilo dei costi per la società e in termini di tutela della sicurezza le statistiche dicono che coloro che godono dei benefici penitenziari hanno un rischio di recidiva bassissimo. Del tutto inaccettabile è poi l’abuso della custodia cautelare che di fatto comporta per oltre il 50% dei detenuti un’inconcepibile e incostituzionale anticipazione di pena. Le iniziative che si terranno in tutta Italia il 22 novembre hanno lo scopo di far conoscere i numeri del sovraffollamento, i numeri delle morti in carcere, le condizioni di vita dei detenuti al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica per far comprendere come un sistema penale, un sistema carcerario ed un ordinamento penitenziario degni di un paese civile costituiscono anche il più efficace presidio per la sicurezza dei cittadini. Salerno: detenuto morto all’Ospedale Ruggi, l’ipotesi è quella di un infarto Salerno Today, 16 novembre 2012 Si attendono i risultati degli esami istologici effettuati sulla salma dell’uomo, al momento l’ipotesi più acclarata è quella di un infarto al miocardio. Infarto al miocardio: questa l’ipotesi al momento più acclarata per la morte di Carmine Todesco, 58 anni, deceduto nella notte tra lunedì e martedì nella sezione “detenuti” dell’ospedale Ruggi. Lo riporta il quotidiano la Città di Salerno. Tuttavia sarà solamente l’esito dell’autopsia effettuata nella giornata di ieri dal medico legale Giovanni Zotti a chiarire definitivamente le cause del decesso dell’uomo. Stando a quanto riportato dal quotidiano la Città il 58enne, detenuto per reati contro il patrimonio, era stato ricoverato in ospedale nella serata di domenica per violenti dolori addominali. In seguito ai primi accertamenti sarebbe stato ipotizzato un problema alla colecisti probabilmente causato da alcuni calcoli. Nella giornata di lunedì l’uomo era stato quindi sottoposto ad un primo screening e martedì avrebbe dovuto fare altre analisi prima di entrare in sala operatoria. Purtroppo però il 58enne è morto all’improvviso prima che la causa del malore per il quale era stato ricoverato potesse essere individuata. Il 58enne sarebbe uscito dal carcere a breve. Ad informare i familiari dell’accaduto è stato l’avvocato dell’uomo. Al momento non risulterebbero indagati e non ci sarebbero dubbi sulla morte dell’uomo per cause naturali, anche se ovviamente saranno i risultati degli esami istologici a fare chiarezza su quanto accaduto. Bologna: nel carcere Dozza apre impresa metalmeccanica, al lavoro 10 operai-detenuti Dire, 16 novembre 2012 Quale azienda, specialmente in un momento di crisi, ha il coraggio di formare e contrattualizzare dei carcerati? A Bologna, per la prima volta in Italia, succede. Per mano di tre imprese leader del settore metalmeccanico è nata una formula che ha messo d’accordo i sindacati di settore, che hanno firmato l’accordo senza indugi. Gd, Ima e Marchesini group, assieme alla Fondazione Aldini Valeriani, hanno costituito una nuova società, Fid (Fare impresa in Dozza), che trova spazio proprio dentro al carcere di Bologna, famoso come la “Dozza”, e ha dieci dipendenti con regolare contratto metalmeccanico. I detenuti-operai, sei stranieri e quattro italiani, lavorano sei ore al giorno nel laboratorio ricavato dalla ristrutturazione della ex palestra della casa circondariale. E a far loro da tutor sono pensionati che provengono proprio dalle tre aziende. Intanto, mentre Fid va a pieno ritmo, altri 15 giovani stanno seguendo il corso di formazione di 600 ore necessario per imparare il mestiere. Per ora, con le forniture che mette a punto, Fid arriva quasi in pari con le spese (sui 20-25.000 euro tra stipendi e altro), ma in un anno dovrebbe produrre utile. Il salario è quello previsto dal contratto nazionale di lavoro, e, anche se deve passare per l’amministrazione del carcere, va totalmente nella disponibilità dei detenuti-operai. I lavoratori, spiega stamane all’inaugurazione di Fid il suo ideatore, Italo Giorgio Minguzzi, sono tutti sotto i quarant’anni e devono scontare pene che vanno dai tre ai cinque anni. l fatto che Fid non impieghi ergastolani deriva dalla filosofia del progetto, che serve proprio per “ridare loro un futuro”, spiega Minguzzi, per permettere di lavorare anche una volta usciti dal carcere. Se, infatti, oggi hanno un contratto a tempo indeterminato con Fid, è anche vero che quando avranno concluso il periodo di detenzione non potranno più operare dentro la casa circondariale. E allora c’è l’impegno delle tre imprese fondatrici di assumerli direttamente o tramite quelle dell’indotto. All’inaugurazione, stamane, c’erano le imprese, i sindacati, alcuni esponenti delle amministrazioni locali, e della chiesa. I detenuti-operai c’erano tutti. Uno di loro ha preso la parola per ringraziare le imprese e gli ideatori del progetto, oltre che i tutor che li accompagnano nel loro percorso di formazione e nel quotidiano. E che non chiedono loro perché sono finiti dietro le sbarre. Oristano: a Massama un carcere modello… che per ora non avrà detenuti “speciali” di Elia Sanna La Nuova Sardegna, 16 novembre 2012 Un carcere modello e moderno dove, almeno per ora, non arriveranno detenuti in regime di detenzione di alta sicurezza. L’ha dichiarato il presidente della commissione diritti del consiglio regionale, Salvatore Amadu, al temine della visita effettuata ieri mattina nel nuovo carcere di Massama. Con lui c’erano i consiglieri regionali Salvatore Amadu, Claudia Zuncheddu, Gian Valerio Sanna, Giuseppe Luigi Cucca e Antonio Solinas arrivati puntualissimi alle dieci e mezza nel nuovo istituto che sorge nella località Is Argiolas, tra Massama e Siamaggiore. Ad attendere i rappresentanti della Regione è stato il direttore dell’istituto penitenziario Pierluigi Farci. Nel corso della visita all’interno della nuova struttura, durata circa due ore, i consiglieri hanno avuto modo di vedere ogni angolo della struttura. Dagli uffici della direzione, a quelli amministrativi, dalla sala mensa alle infermerie sino alle nuovissime celle. Niente a che vedere quindi con le vecchie celle di piazza Manno, dove i detenuti erano ospitati in condizioni davvero umilianti. In quelle attuali alloggiano due o al massimo tre detenuti, che hanno a disposizione il bagno, la doccia e anche il televisore. “Posso confermare che la nostra visita è stata più che positiva - ha confermato il presidente della commissione, Salvatore Amadu. I locali sono accoglienti e la struttura è decisamente moderna. Un carcere modello, diretto con grande impegno e professionalità anche grazie al prezioso lavoro della polizia penitenziaria. Attualmente ci sono centoventi detenuti e oltre 250 posti. In alcune zone il cantiere è ancora in fase di ultimazione, ma da quanto abbiamo potuto vedere non ci sono seri problemi legati alla struttura giusto qualche piccolo problema legato all’umidità - ha spiegato Salvatore Amadu. Ora occorre occuparsi invece dei progetti di reinserimento dei detenuti”. Nei cassetti dell’assessorato regionale alla Sanità ci sono inutilizzati un milione e seicentomila euro: “Sono fondi che la Regione deve impegnare anche per favorire le attività sociali all’interno delle carceri isolane - ha aggiunto Gian Valerio Sanna -. Lavoreremo con i colleghi in quest’ottica per garantire ai detenuti non solo le attività culturali e lavorative, ma anche il loro futuro reinserimento sociale”. Sull’attualissima vicenda legata al possibile arrivo di detenuti in regime di alta sicurezza non ci sarebbero novità sostanziali, anche se le indiscrezioni confermano che una parte del personale è stato addestrato ultimamente per affrontare questa evenienza: “La vicenda ha creato non poche polemiche ed è sempre un caso di primo piano - ha sottolineato Giuseppe Luigi Cucca -. La direzione ci ha confermato che almeno per ora non arriveranno questi detenuti - ha sottolineato ancora il consigliere regionale -, anche perché da quanto si è capito la struttura non sarebbe pronta ad affrontare questa situazione”. Il timore che però il nuovo carcere si possa riempire sino alla sua massima capienza massima non va giù ai consiglieri regionali. “Temo proprio questo aspetto - ha spiegato Claudia Zuncheddu. La struttura garantisce attualmente una buona vivibilità con ampi spazi di libertà per i detenuti, ma se verrà trasferito dalle altre carceri un elevato numero di detenuti verrà vanificata tutta questa condizione. Ci ritroveremo allora nell’emergenza come oggi”. Nate per risolvere il problema del sovraffollamento sarebbero di nuovo invivibili. Modena: Sappe; topi e scarafaggi nella mensa del carcere, situazione igienica critica Ansa, 16 novembre 2012 “È sempre più critica la situazione nel carcere di Modena. Ai noti problemi di gestione si sono aggiunti anche quelli igienico sanitari, dovuti alla presenza di topi e scarafaggi, avvistati all’interno del locale mensa, dove tra l’altro è stata fatta la disinfestazione poche ore prima della consumazione dei pasti, da parte del personale. La disinfestazione è stata fatta il 14 novembre e proprio in quell’occasione il personale si è accorto della presenza di un topo”. Lo afferma Giovanni Battista Durante, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Sappe. “Sarebbe forse opportuno - rileva Durante - procedere con effetto immediato alla chiusura della mensa di servizio, al fine di ripristinare le condizioni igieniche ottimali, provvedendo anche al rifacimento dei locali della cucina e quelli per la consumazione dei pasti, che al momento sono in condizioni precarie. Ci è stato riferito dalla segreteria provinciale del Sappe di Modena che con precedenti lettere indirizzate alla locale direzione era stata rappresentata la precaria condizione igienico sanitaria dei locali mensa, riguardanti anche pentole vetuste e annerite, vassoi rotti ed unti, bottiglie vuote disseminate all’interno del locale da parecchio tempo; circostanze, queste, che sembrano fare da contorno a quello che il menù propone come dessert: la presenza di topi e scarafaggi. È del tutto evidente che a seguito della eventuale chiusura temporanea della mensa dovrà, comunque, essere garantito il pasto al personale in servizio”. Potenza: Bolognetti (Radicali); detenuti e agenti abbandonati nello stesso inferno Asca, 16 novembre 2012 “La denuncia dei sindacati di Polizia penitenziaria sulle condizioni igienico-sanitarie del carcere di Potenza ci mostra il volto di una realtà, quella delle nostre patrie galere, assurta a luogo di tortura senza torturatori, perché ad essere torturata è l’intera comunità penitenziaria con detenuti e agenti abbandonati nello stesso inferno”. È quanto dichiara Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali lucani il quale in una nota esprime la sua vicinanza e solidarietà all’intera comunità penitenziaria e ricordare i 4 giorni di mobilitazione nonviolenta dentro e fuori le carceri. “Una mobilitazione - evidenzia Bolognetti - lanciata da Marco Pannella attraverso i microfoni di Radio Carcere e che andrà a concretizzarsi nell’adesione allo sciopero della fame, battitura e silenzio per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia”. Sassari: spaccio di droga nel carcere di San Sebastiano, 45 persone sotto accusa L’Unione Sarda, 16 novembre 2012 Dal maggio 2007 al gennaio 2009 il carcere di San Sebastiano era diventato per i detenuti un Grand Hotel in cui far entrare e spacciare hascisc, marijuana, cocaina, eroina. A capo del sodalizio che gestiva il traffico c’era il boss Giuseppe Vandi, 49 anni, di Sassari, già imputato in un processo quale mandante di un omicidio commesso tra quelle stesse mura (nel 2007 era stato ucciso Marco Erittu: sapeva troppo sul sequestro di Paoletto Ruiu e l’assassinio di Giuseppe Sechi); un gradino più giù stavano le tre guardie penitenziarie che rifornivano Vandi della droga e assegnavano ai complici i ruoli essenziali perché il sistema si reggesse in piedi; intorno a loro si muovevano 32 detenuti che, secondo l’incarico (cucine, lavanderia, biblioteca, barberia), prendevano dai compagni di cella le ordinazioni e tagliavano, nascondevano e distribuivano la droga secondo le indicazioni di Vandi. Indagati. Un’attività scoperta grazie alle informative del comandante delle guardie che avevano dato il via a un’inchiesta chiusa nei giorni scorsi dal sostituto procuratore di Cagliari Alessandro Pili. Sono 45 gli indagati. Giuseppe Vandi sarebbe il capo promotore di un’associazione per delinquere della quale fanno parte anche i “galoppini” che smistavano la sostanza stupefacente (c’è pure Giuseppe Bigella, il pentito che aveva rivelato la responsabilità di Vandi nel delitto Erittu). Ai tre agenti si contesta il concorso esterno: gli assistenti Antonio Del Rio (secondo il pm consegnava ogni due settimane circa 15/20 grammi di coca a Vandi), Giovanni Battista Calvia e l’ispettore superiore Antonio Santucciu (informava Vandi di perquisizioni e microspie in cella, trasferiva e affidava ai detenuti le mansioni lavorative secondo le richieste del capo banda e non controllava i familiari dei reclusi durante i colloqui per favorire l’ingresso della droga). In bagno. Gli altri 9 indagati sono accusati di aver ceduto droga in carcere. In un caso Gianluigi Usai noto “Gigi Lupo” aveva portato in Tribunale 2,4 chili di coca per Antonio Puggioni “Van Damme”, quel giorno a processo. Il pacco era stato nascosto nel bagno dei maschi, ma Puggioni era stato portato in quello delle donne. Livorno: lunedì l’incontro “Introdurre il crimine di tortura nel codice penale italiano” www.ognisette.it, 16 novembre 2012 Iniziativa a cura del Comune di Livorno e del Garante dei Detenuti. Previsto un collegamento telefonico con Giovanni Cucchi. Lunedi 19 novembre alle ore 17, si terrà alla circoscrizione 5 (via Machiavelli) l’incontro organizzato dal Comune di Livorno e dal Garante dei Detenuti dal titolo “ Introdurre il crimine di tortura nel codice penale italiano”. L’iniziativa, introdotta dal Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Livorno Marco Solimano, vedrà la partecipazione del sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, del senatore Pietro Marcenaro, Presidente della Commissione diritti umani del Senato, di Alessandro Margara, Garante per i diritti dei detenuti della Regione Toscana, di Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze e dell’avvocato Michele Passione, membro dell’Osservatorio Carceri dell’Unione Camere Penali Italiane. Durante l’incontro è previsto un collegamento telefonico con Giovanni Cucchi, padre di Stefano Cucchi, morto nelle carceri italiane. Il 10 dicembre 1984 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la “Convenzione contro la tortura e altre pene e trattamenti crudeli, inumani e degradanti”, convenzione che entra in vigore il 27 giugno 1987. L’Italia ratifica questa convenzione nel 1989, ma a tutt’oggi non è ancora stato introdotto nel nostro codice penale il “reato specifico di tortura”. Le Commissioni parlamentari, che si sono occupate della questione, dopo lunghe e faticose mediazioni, hanno condiviso un testo, approvato all’unanimità. Una volta al vaglio dell’aula questo testo è stato rimesso in discussione e rinviato alle Commissioni. Il nostro Paese, dopo quasi venticinque anni dalla ratifica, continua a non essere in grado di introdurre nel nostro ordinamento questo grande elemento di civiltà, soprattutto alla luce di drammatici avvenimenti, caso Cucchi, Aldovrandi, scuola Diaz durante il G8 di Genova, la sentenza del Tribunale di Asti del gennaio scorso e tanti altri ancora, che hanno sconvolto l’opinione pubblica del Paese. Prevenire la tortura, una delle più inaccettabili violazioni dei diritti umani, significa dotarsi di uno strumento indispensabile di lotta contro questa prassi indegna, introdurre cioè la fattispecie specifica di tortura nel nostro ordinamento giudiziario. Catania: Corso di lavorazione della cartapesta per i giovani detenuti dell’Ipm di Acireale Giornale di Sicilia, 16 novembre 2012 Per il secondo anno consecutivo i giovani detenuti dell’Istituto penale minorile di Acireale realizzeranno alcuni manufatti in cartapesta per il Carnevale di Acireale. In vista della prossima edizione della kermesse, 12 di essi costruiranno mascheroni alti due metri raffiguranti i tradizionali personaggi del Carnevale italiano e il simbolo del Carnevale di Acireale, che saranno esposti sulla balconata del municipio in occasione dei festeggiamenti. L’iniziativa, presentata stamane nel municipio di Acireale, è del locale club del Rotary International ed è stata resa possibile grazie ad un finanziamento del Distretto Rotary Sicilia - Malta e in collaborazione con la Città di Acireale, la Fondazione Carnevale di Acireale e il Dipartimento giustizia minorile del Ministero della Giustizia. Lo scorso anno i giovani detenuti avevano realizzato la “Chiave di ingresso al Carnevale” con cui il sindaco Nino Garozzo aveva inaugurato l’edizione 2012. Gli allievi - 12 ragazzi d’età compresa tra i 14 e 21 anni - saranno seguiti per tre mesi dal maestro della cartapesta Luciano Parlato e dall’ing. Sebastiano Torrisi, che li aiuteranno nelle varie fasi di lavorazione delle maschere. Per Garozzo l’iniziativa è “un modo reale di partecipazione ma anche vera scuola d’arte che può diventare mestiere”. Per il presidente del locale Rotary Alfio Grassi è una esperienza importante che unisce questi ragazzi al Carnevale di Acireale. Un plauso all’iniziativa anche da parte dell’assessore al Turismo Nives Leonardi perché educativa e perché rappresenta un qualcosa in più per il nostro Carnevale. “I ragazzi credo - ha detto il vice direttore dell’istituto Roberto Putzu - abbiano dimostrato e continuino a dimostrare interesse per questa particolarissima ed entusiasmante attività, che seguono con scrupolo”. Roma: domani a Rebibbia sport per i detenuti e le loro famiglie, iniziativa dell’Asi Dire, 16 novembre 2012 Una mattinata di sport ma anche un appuntamento di condivisione per i detenuti e le loro famiglie. Domani a Roma, dalle 9 alle 13, la Terza casa del carcere di Rebibbia ospiterà la prima tappa di ‘Attivissimo mè, iniziativa dell’Alleanza sportiva italiana che per il secondo anno consecutivo vuole avvicinare adulti e bambini all’attività sportiva. Per questa occasione il carcere si trasformerà in una grande palestra dove i detenuti, nel giorno del mese dedicato alle visite, potranno giocare insieme ai loro famigliari, scegliendo tra attività come tiro ai rigori, pallavolo, basket e tiro alla fune. Per la prima volta, quindi, i visitatori non saranno spettatori passivi di una manifestazione all’interno del carcere, ma saranno parte attiva. Ivrea (To): “Tempo di Mutamenti”, domani spettacolo teatrale dei detenuti di Marco Campagnolo www.localport.it, 16 novembre 2012 Domani, sabato 17 alle 17, all’Auditorium Mozart di Ivrea spettacolo straordinario con la “Compagnia dei Bravi Ragazzi” composta da detenuti della Casa Circondariale di Ivrea e da volontari. In scena lo spettacolo teatrale “Tempo di Mutamenti”. Un gruppo di detenuti della Casa circondariale di Ivrea, accanto a volontari esterni, si esibirà in uno spettacolo teatrale pensato e scritto da loro e insieme a loro. Dopo una prima rappresentazione all’interno del carcere, ora la compagnia si esibirà all’esterno, per incontrare la cittadinanza: una preziosa occasione di incontro con il pianeta carcere, un evento unico e di grande significato. Piccolo frutto, segno visibile di anni di collaborazioni e attività, soprattutto di attenzione nei confronti di un mondo nascosto, del quale fortunatamente in questi tempi si sta parlando, grazie alla ferma volontà di Istituzioni e singoli di differenti aree culturali e politiche. Libri: “Il corpo e lo spazio della pena”, di Stefano Anastasia, Franco Corleone, Luca Zevi di Manlio Lilli www.linkiesta.it, 16 novembre 2012 Le carceri sotto Castel Sant’Angelo, a Roma. Il Castello d’If dove viene rinchiuso il Conte di Montecristo, nel golfo di Marsiglia. Alcatraz, nella baia di San Francisco, in California. L’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Prigioni del passato, anche recente. Sinonimo di condizioni estreme. Luoghi di esplicita punizione. Nei quali la redenzione non è mai contemplata. L’architettura come metafora della pena. A lungo. Poi, soprattutto in Italia, da diversi anni la consapevolezza che i luoghi di detenzione fossero spesso spazi disumani. Incivili. Proprio per questo la discussione seppur incentrata sulla Giustizia ha finito per allargarsi alle architetture carcerarie. Quelle esistenti, non di rado, degradate e quindi da riorganizzarsi. Quelle da farsi, secondo criteri differenti dal passato. L’esito formale di architetture come scuole, ospedali, uffici pubblici e carceri risuona raramente lo spirito del tempo. Eppure dovrebbe essere l’esatto contrario. Proprio perché esiste una stretta interrelazione tra l’organizzazione spaziale di un luogo e la visione delle attività che in esso si svolgono. Tanto più quando questi spazi sono di funzione pubblica, cioè destinati a contenere comportamenti a cui la società attribuisce un valore fondante. Al carcere come architettura e sistema è dedicato un recente libro che raccoglie gli atti di due seminari tenuti a Firenze e Roma tra il 2009 e il 2010 (“Il corpo e lo spazio della pena. Architetture, urbanistica e politiche penitenziarie”, a cura di Stefano Anastasia, Franco Corleone, Luca Zevi, Ediesse, Roma, pag. 264, euro 13,00). Tema: quali gli spazi per la pena secondo la Costituzione. Autori, Luca Zevi, architetto e urbanista, Franco Corleoni, ex sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001 e Stefano Anastasia, ricercatore in filosofia e sociologia del diritto. La loro impronta sul testo, decisiva. L’idea centrale, quella che il tema non possa essere risolto come una questione giuridica, accademica o esclusivamente progettuale. Ma piuttosto come un mix di questi tre aspetti. Aprire la discussione a valutazioni sulla necessità spaziale e culturale della cella è il punto di partenza. Per poi passare da un’idea di luogo e di pena “segregativa”, ad un modello più aperto. Nel quale la pena non sia una cesura onnicomprensiva con la vita fuori. Prezioso l’excursus storico legato al contesto italiano. Dal secondo dopoguerra alle riforme del 1975, al nuovo regolamento del 2000. Fino al concorso per nuove tipologie del 2001 sul rapporto tra carcere e città. Lo status quo è illustrato attraverso i tradimenti del dettato costituzionale. Ma soprattutto la manomissione, in corso, d’opera, di tanti progetti. Da quello di Ridolfi a Nuoro, a quello di Lenci con Rebibbia, a Roma. Oppure, ancora, a quello di Mariotti, a Sollicciano, a Firenze. Il disegno architettonico originale modificato per rispondere al sovraffollamento. Tradito il progetto di trasformazione di queste strutture da infantilizzanti a carceri dove l’esecuzione della pena è invece responsabilizzante. Come accade in Danimarca, nell’East Jutland State Prison. Nella quale sono previsti ambienti aperti e luoghi di socializzazione. Come accade, anche, in Norvegia, nella prigione di Halden. Dove tutto è autogestito. Ma anche in Spagna si sta facendo strada un’idea differente di carcere. Attraverso la sperimentazione del cosiddetto “modulo de respecto”. Nel quale il detenuto stipula una sorta di contratto in cui sono definiti doveri e necessità. Tra modelli differenti, la politica penitenziaria s’interroga sulle alternative. Con l’architettura che ha un ruolo tutt’altro che secondario. A differenza di quanto, sfortunatamente, avviene in Italia. Tunisia: morto detenuto salafita dopo 57 giorni di sciopero della fame Aki, 16 novembre 2012 Un salafita arrestato in seguito agli attacchi all’ambasciata americana a Tunisi a metà settembre è morto ieri sera dopo uno sciopero della fame durato quasi due mesi. Bashir al-Qali, studente di 23 anni, è deceduto in un ospedale di Tunisi dove era stato trasferito dal carcere di Marnaqiya in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute dopo ben 57 giorni di sciopero della fame. Al momento, il ministero tunisino della Giustizia non ha emesso alcun commento sull’accaduto. Dal canto suo, il gruppo salafita degli Ansar al-Sharia a Tunisi ha condannato la morte di Bashir, ricordando che il giovane, già affetto da una patologia allo stomaco, è stato colpito da un ictus cerebrale in seguito a un interrogatorio. Il gruppo ha detto di confidare nel rapporto del medico legale, che verificherà se il decesso è stato provocato dal digiuno protratto o se vi sono altre concause. Ma secondo i media tunisini, vi è un altro detenuto in condizioni critiche di salute a causa dello sciopero della fame, ossia il salafita Muhammad Bakhti, anche lui arrestato in seguito agli incidenti all’ambasciata americana. Un gruppo di 123 giovani della corrente salafita, 12 dei quali sono già stati rilasciati, era stato arrestato dopo l’attacco del 14 settembre alla sede diplomatica Usa e l’incendio della scuola americana annessa, che hanno causato tre morti e decine di feriti. Altri tre sono ancora ricercati dalla polizia. Secondo il gruppo Ansar al-Sharia, i seguaci della corrente incarcerati dalle autorità sono invece circa 900. Turchia: premier Erdogan agita il Paese e l’Ue con l’idea di reintrodurre la pena di morte Tm News, 16 novembre 2012 Pura provocazione o preciso calcolo politico? Quasi certamente entrambi. Da due settimane il premier turco Recep Tayyip Erdogan sta provocando una tempesta nella politica del suo Paese e una levata di scudi in Europa, lanciando a intermittenza l’idea di reintrodurre la pena di morte in Turchia. Erdogan da sempre ama le dichiarazioni ad effetto e quelle degli ultimi giorni sulla pena capitale appartengono in tutto e per tutto al suo stile. Il premier ha rimesso in circolazione il tema della pena di morte, ricordando a inizio novembre la sorte riservata al più celebre dei detenuti curdi, Abdullah Ocalan, leader storico del Pkk, condannato nel 1991 alla pena capitale, poi commutata in ergastolo. “Oggi molti sono favorevoli al ristabilimento della pena di morte” ha detto, ricordando la “sofferenza” delle vittime del “terrorismo” del Pkk. Poi ci è tornato sopra domenica scorsa, facendo riferimento al pluriomicida norvegese Anders Breivik. “Il potere di perdonare un assassino appartiene alla famiglia della vittima, non a noi” ha dichiarato, “dobbiamo riesaminare le nostre posizioni”. Ovviamente, le uscite hanno provocato un coro di proteste nell’Unione europea, a cui la Turchia spera di aderire. L’abolizione del pena capitale, nel 2004, è una delle misure prese da Ankara per prepararsi alla candidatura. “La pena di morte non deve esistere tra le leggi del paesi membri dell’Unione europea” ha dichiarato seccamente il commissario Ue all’Allargamento Stefan Fuele. Più esplicito il presidente del gruppo socialdemocratico all’Europarlamento, Hannes Swoboda, che ha attaccato le dichiarazioni “scandalose e provocatorie” di Erdogan che mettono “seriamente in pericolo” la candidatura del suo paese. Ministri e dirigenti del partito di governo, l’Akp, sono accorsi per tentare di spegnere l’incendio. “Al momento questa questione non è all’esame del governo” ha detto il ministro della Giustizia Sadullah Ergin. “Siamo fedeli agli impegni presi nel quadro del processo europeo, ma ci attendiamo un atteggiamento analogo dall’Unione europea” ha precisato il suo collega degli Esteri Ahmet Davutoglu. “Erdogan è noto per le sue intemperanze verbali, non va preso alla lettera” spiega all’Afp il professore universitario Jean Marcou, specialista in Turchia, “va piuttosto visto come un segnale l’impazienza e di scontento di fronte allo stallo del processo di adesione alla Ue”. Altri interpretano le dichiarazioni incendiarie di Erodgan anche come un tentativo di sviare l’attenzione dalle difficoltà in cui si trova, alle prese con la grana dello sciopero della fame dei detenuti curdi. “Non è la prima volta che spara per difendersi quando è in difficoltà” commenta un diplomatico. Senz’altro le parole del premier non sono prive di secondi fini politici. Costretto dallo statuto del suo partito ad abbandonare la guida del governo nel 2015, Recep Tayyip Erdogan non nasconde più le sue mire di diventare presidente della Repubblica nel 2014, con poteri rafforzati. “Ha bisogno dei nazionalisti per modificare la Costituzione. E nel suo stesso partito deve fare i conti con la concorrenza del presidente Abdullah Gul, più moderato” spiega un esperto europeo, “quindi preme sul pedale del populismo”. Nei fatti il leader del partito nazionalista Mhp, Devlet Bahceli, ha preso la palla al balzo. “L’Mhp è pronto ad aiutare l’Akp a ristabilire la pena di morte, fateci vedere che ne siete capaci” ha detto Bahceli. “Il dibattito non fa che rafforzare l’immagine negativa della Turchia in Europa e fornisce argomenti a chi ne vuole respingere al candidatura” commenta l’esperto europeo. “Veramente non è una buona notizia” . Svezia: l'Ikea si scusa, negli anni 70 ha utilizzato lavoro forzato di detenuti Il Sole 24 Ore, 16 novembre 2012 Il gigante svedese Ikea si è detto "profondamente dispiaciuto" per avere utilizzato il lavoro forzato dei prigionieri politici nelle fabbriche dell'ex Germania comunista. L'azienda ha incaricato il consulente Ernst&Young di approfondire la vicenda, che risale agli anni 70. Una relazione, pubblicata ora, conferma che i prigionieri politici e i criminali venivano effettivamente obbligati a lavorare per i fornitori di Ikea. I rappresentanti del colosso dell'arredamento fai-da-te al tempo, inoltre, sapevano che i prigionieri politici potevano essere usati. Ikea - scrive la Bbc - passò degli ordini all'allora Ddr negli anni 70. Ex detenuti arrestati della Stasi, la temuta polizia segreta comunista, hanno affermato tempo fa di avere lavorato per l'azienda svedese, affermazioni che hanno spinto Ikea a commissionare la ricerca a maggio. È probabile ora che gli ex prigionieri ricevano degli indennizzi. "Siamo profondamente dispiaciuto che ciò sia potuto accadere. Usare i prigionieri politici per la produzione non è mai stata un'idea accettata dal Gruppo Ikea", ha dichiarato Jeanette Skjelmose, manager per la sostenibilità dell'azienda, aggiungendo che Ikea attualmente ha uno dei più rigorosi codici di condotta per fornitori e ciò, assieme a la stretta collaborazione con i fornitori e le ispezioni esterne, riduce il rischio che una cosa simile non si ripeta più. Ernst&Young ha visionato 20mila pagine di documenti dei registri interni di Ikea e 80mila documenti tratti dagli archivi federali di Stato della Germania. Sono state intervistate circa 90 persone, inoltre, tra dipendenti, ex dipendenti dell'Ikea e testimoni dell'ex Ddr. "Ikea aveva dei contratti con le fabbriche della Ddr per produrre i loro mobili qui", aveva spiegato Hubertus Knabe, direttore del Memoriale "Berlin-Hohenschoenhausen", l'ex prigione della Stasi diventata museo, prima che la relazione venisse pubblicata. "Non chiedevano chi produceva i loro mobili e sotto quali tipi di condizioni", aveva aggiunto. Già un anno fa, un'inchiesta del primo canale pubblico Wdr, aveva rivelato che la collaborazione tra Ikea e la Repubblica democratica tedesca, era stata particolarmente proficua negli anni Settanta, quando nel paese comunista vennero aperti diversi stabilimenti di produzione. Uno di questi, quello di Waldheim - secondo gli archivi della Stasi consultati dai giornalisti tedeschi - era situato nei pressi di una prigione, dove erano rinchiusi numerosi prigionieri politici, costretti a lavorare senza remunerazione e in condizioni durissime. Da un file della Stasi era emerso anche che, Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea, aveva detto di non essere a conoscenza del ricorso al lavoro di detenuti nelle sue fabbriche, ma che "se anche fosse", sarebbe stato "nell'interesse della società". Secondo un'inchiesta della Frankfurter Allgmeine Zeitung, del maggio 2005, l'Ikea era stata accusata di essersi servita anche di detenuti nelle carceri cubane per realizzare alcuni dei suoi prodotti negli anni Ottanta.