Giustizia: è ora di “dire” basta all’ergastolo di Umberto Veronesi L’Espresso, 13 novembre 2012 La condanna a vita è incivile come una condanna a morte. Per questo è nata un’associazione per eliminarla. Guidata da un grande medico. Che qui ne spiega le ragioni. Quest’anno alla Conferenza Science for Peace di Milano parleremo di dignità della persona, di un mondo più equo e di convivenza in diversità e libertà: tre temi legati alla difesa dei diritti umani fondamentali. Perché questi tre argomenti legati alla scienza e alla pace? Perché la pace è il primo dei diritti dell’uomo e la condizione di rispetto di tutti gli altri - diritto alla conoscenza compreso - e la scienza, io credo, ha il dovere morale di promuoverlo. Non ho mai creduto in una ricerca scientifica che non si occupi delle ricadute sociali delle sue scoperte, e anzi ho sempre sostenuto che la scienza (nel mio caso scienza medica, ma lo stesso vale per la fisica, la chimica, e così via) quando conquista un nuovo sapere sull’uomo e la sua natura, abbia il dovere di diffonderlo, condividerlo e offrirlo al dibattito pubblico, perché sia applicato alle varie discipline. La ricerca scientifica ha dimostrato che la violenza non fa parte della biologia dell’uomo. Lo provano le indagini genetiche, antropologiche e biologiche. Il messaggio del nostro Dna è la perpetuazione della specie: procreare, educare, abitare, fare sapere, costruire ponti e legami che rendono più sicura la vita. In sintesi il nostro genoma “pensa” l’essere, non la distruzione. Uccidere e fare guerre rappresenta un’infrazione al messaggio genetico, che ci spinge invece verso relazioni costruttive. Promuovere la pace significa quindi sostenere il disarmo, incoraggiare l’abolizione dei conflitti armati, fare opposizione a tutte le forme di violenza, soprattutto se istituzionalizzate. Prima fra tutte la pena di morte, perché è un omicidio di Stato, che inevitabilmente genera una distorsione. Se lo Stato uccide, lo posso fare anch’io: lo Stato non può uccidere in nome dei cittadini rendendo omicida tutti quanti rappresenta. Ma anche l’ergastolo a vita (ostativo) è una forma di pena di morte o una pena fino alla morte, perché una persona condannata a morire in carcere, entra in cella per affrontare un’agonia lenta e spietata. Tanto dolorosa, da far scrivere a Carmelo Musumeci, un ergastolano con cui intrattengo un carteggio da molti mesi: “Fatemi la grazia di farmi morire”. Per questo Science for peace si è schierato con quanti si impegnano perché l’ergastolo a vita venga eliminato dal nostro sistema giudiziario. È un gruppo appena nato, di cui fanno parte Giuliano Amato, Bianca Berlinguer, Andrea Camilleri, Don Luigi Ciotti, Erri de Luca, Margherita Hack, Franca Rame, Stefano Rodotà, e altri diciassettemila cittadini che hanno già sottoscritto un manifesto contro l’ergastolo. Le motivazioni vanno ben di là della questione giuridico-legislativa: sono ragioni morali, etiche, culturali e anche scientifiche. Gli studi più recenti in neurologia hanno dimostrato che il nostro sistema di neuroni è plastico e si rinnova, perché il cervello è dotato di cellule staminali proprie in grado di generare nuove cellule. Questo dimostra scientificamente che la persona che abbiamo messo in carcere, non è la stessa vent’anni più tardi e che per ogni uomo esiste per tutta la vita la possibilità di cambiare, evolversi, adattarsi. Chi ha visto il film di Matteo Garrone “Reality”, non può immaginare che l’attore protagonista, un ergastolano nella realtà, venga rinchiuso in cella per sempre alla fine del set. Noi crediamo nel principio di una giustizia tesa al recupero e la rieducazione della persona, che eviti trattamenti contrari al senso di umanità, e dignità della persona, come recita la nostra Costituzione. Ma una giustizia che condanna “per sempre” è soltanto vendetta, perché esclude la possibilità di un ravvedimento e un reinserimento nella vita sociale. È una giustizia che punisce senza capire le cause profonde di un crimine, e così facendo perde anche la sua efficacia. Molti giuristi sostengono che la criminalità gioisce di fronte ad una condanna di ergastolo, perché sa che la persona non verrà recuperata e non potrà dunque agire sfavorevolmente al sistema criminale. Sappiamo, tuttavia, che scardinare dall’opinione pubblica il principio della vendetta richiede un grande sforzo collettivo. La non-violenza non è questione giuridica o politica, ma prima di tutto di cultura, e la nuova cultura nasce soltanto dal confronto delle opinioni, dal dibattito e lo scambio fra diverse forme di pensiero, come ci impegneremo a creare nella Conferenza di Milano. Giustizia: Pannella a “Porta a Porta” per parlare di carceri, Vespa costretto dall’AgCom di Davide Rocco Notizie Radicali, 13 novembre 2012 Ore 23:15, 8 novembre 2012. A “Porta a Porta” c’è Pannella! Apprendo il tutto lì per lì e solo grazie agli amici di Facebook. Il perché è semplice: la puntata è registrata e nessuno sapeva quando sarebbe stata trasmessa. Del resto, la Rai non ama il rischio e Pannella in diretta può rappresentare un “rischio”, una variabile ingestibile. Piuttosto, diciamola tutta: l’ospite in questione mancava dal salotto di Vespa fin dal lontano inizio del 2008, allora nella scomoda posizione di non poter difendere Ratzinger dalle proteste degli studenti universitari. Stavolta la puntata è dedicata alla giustizia italiana, e nella fattispecie ad una delle sue peggiori appendici, quella carceraria. Mercé l’AgCom, la quale, in seguito a numerose sollecitazioni dei Radicali, si accorge che il tema non viene trattato nella quasi totalità del servizio pubblico (fa eccezione Rai3). È bene sottolinearlo, casomai intendessimo rivalutare la professionalità di Bruno Vespa. In fondo, poco male per il giornalista, dal momento che perfino monsignor Pompili, portavoce di Bagnasco, si è apertamente dichiarato favorevole all’amnistia. Ancora una cosa: l’Autorità Garante prescrive uno spazio in prima serata, mentre “Porta a Porta” comincia dopo le 23. Va beh, siamo incontentabili. Anche perché il tempo a disposizione per Pannella è tanto davvero, specie se paragonato ai soliti standard. “Auguro a voi Radicali di avere anche negli altri programmi televisivi lo stesso spazio che avete da me”, questo l’auspicio del conduttore all’ospite corregionale, il quale trattiene a fatica gli apprezzamenti fisiognomici già rivolti a suo tempo a Dario Franceschini. Vespa, dal canto suo, dà quasi l’impressione di farne unicamente un problema di misura colma, di situazione insostenibile perché “dai, non sta bene! E poi all’estero che ci dicono?” Un atteggiamento più vicino al buongusto che alla cronaca, più simile al senso di carità che al senso del diritto. Gli Onorevoli Tenaglia (Pd) e Caliendo (Pdl), tono pacato, sorriso vissuto e paziente verso le esagerazioni, si dichiarano fautori del benaltrismo. “Perché in Italia si è sempre abusato dell’amnistia!” A poco importa che ad averne abusato fossero state aree politiche più vicine a loro che ai Radicali, i quali anzi denunciarono quella cattiva e deleteria abitudine della c.d. “prima repubblica”. In effetti, a ben vedere, Tenaglia e Caliendo fanno il paio con i servizi preparati dalla redazione. È possibile ammirare, nell’ordine: un giovane uomo che, vestito in abbigliamento molto ordinato, afferma di essere finalmente riuscito a conseguire la licenza media inferiore, dopo che, da piccolo, fu costretto ad abbandonare la scuola e non poté terminare gli studi; una nuova struttura, gigantesca, di prossima ultimazione, che consentirà ai detenuti addirittura di uscire all’aperto; un’ergastolana che grazie ad un lavoretto (600 €/mese, alla faccia della crisi) riscopre il senso della vita, e che tiene a precisare che, se le avessero comminato solo 4 o 5 anni, con tutta probabilità non sarebbe riuscita a raggiungere un tale traguardo personale. A onor del vero, si parla anche di celle insufficienti, ma non si fanno vedere le peggiori, forse per non essere tacciati di Grand Guignol. Inoltre, si tocca il tema del regime 41-bis, ma lo si fa analizzando la situazione delle madri, costrette ad incontrare i figli dai 12 anni in su con un vetro separatore. In questo caso, senza vedere per forza il marcio ovunque, viene da pensare che la questione sia nel linguaggio: perché un simile servizio è capace di dividere in due l’animo dello spettatore. Se infatti la si butta sul pietistico, è possibile che una delle reazioni tra il pubblico sia “beh, se hai dei figli, vedi di non andare in galera!” È quella particolare pietà che attira il senso di lucidità, di responsabilità, finanche di freddezza. Due opinioni differenti, che però rappresentano due facce della stessa medaglia, in un rapporto quasi sinallagmatico, di vincolo reciproco. In una cornice di tal fatta, Marco Pannella che urla che nel nostro Paese ci sono attualmente circa 10 milioni di procedimenti pendenti sembra più o meno un dissociato mentale. Egli snocciola dati e cifre a cascata, consapevole di dover puntare più sull’aspetto sonoro che su quello visivo. In favore di telecamera gli scappa addirittura un “voi ascoltatori”, quasi fosse a Radio Radicale. È dura, infatti, combattere contro gli stimoli visivi di quei servizi, che si sono registrati nelle retine dei telespettatori, soggetti alla continua informazione di regime. Fortuna che in studio è presente anche Antonio Crispino, del “Corriere della Sera”, il quale ricorda che nelle sue esperienze taluni direttori di case di reclusione facevano fare ai giornalisti una sorta di “giro panoramico ad hoc”, in cui si trascuravano le situazioni carcerarie peggiori. E in alcune occasioni, ricorda il giornalista, chi veniva lasciato intervistare erano i soliti 2 o 3, casualmente i meglio messi. la puntata prosegue senza ulteriormente indugiare su questa decisiva eccezione. Dopo il doveroso sconcerto di Vespa per - come detto da Pannella - i “minorenni minorati” dal 41-bis, la puntata, proprio in dirittura d’arrivo, cambia repente di segno. Con posa cincinnatesca, il conduttore ricorda che bisogna pur sempre pensare alla sicurezza sociale, senza evidentemente essere toccato dal dubbio che certe politiche repressive possano avere come risultato finale quello di rendere incapaci i tutori dell’ordine come gli amministratori della giustizia. E altro che cerchiobottismo: qui si va ben oltre! Ad essere intervistato - beninteso, nel finale, a mò di chiosa - è il protagonista di “Reality”, l’ultimo film del regista Matteo Garrone. Si tratta di Aniello Arena, detenuto condannato all’ergastolo, recentemente assurto agli allori del successo. Su domanda di Vespa, egli si scusa, in un italiano incerto, per il male che provocò. Capita l’antifona? Afferrato il messaggio surrettizio? In Italia il sistema funziona. Rieduca. E quasi quasi non fa abbastanza giustizia, se è vero che i detenuti hanno una possibilità in più rispetto agli altri di diventare delle star del cinema. Giustizia: Rita Bernardini: oggi l’amnistia non è un atto di clemenza, ma di governo Il Velino, 13 novembre 2012 “Dieci anni fa Papa Giovanni Paolo II lanciava davanti al Parlamento riunito in seduta comune il suo accorato appello a favore di un gesto di clemenza verso i detenuti nelle carceri italiane, sottoposti già allora a condizioni di detenzione durissime. Il Governo, che fino ad ora si è armato di strumenti del tutto inadeguati a rispondere all’emergenza in corso, e le massime istituzioni, che domani si riuniranno per celebrare questo anniversario, colgano l’occasione per un esame di coscienza sul comportamento di uno Stato in flagranza di reato rispetto ai propri cittadini”, lo dichiarano la deputata radicale Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’associazione Il Detenuto Ignoto, che da tre settimane conducono un’azione nonviolenta di sciopero della fame, inframmezzato da intere giornate di sciopero della sete, per ribadire la necessità di un’amnistia, abbinata a un provvedimento di indulto. “Quello che nel 2002 il Papa invocava come un atto di clemenza, oggi rappresenta il solo atto di governo in grado di far rientrare nel perimetro della legalità il sistema Giustizia, ormai alla bancarotta, e quelle moderne catacombe della democrazia e del diritto - come le ha definite Marco Pannella - che sono le carceri italiane. Amnistia e indulto sono misure non più rinviabili, appoggiate anche da illustri esponenti della Conferenza Episcopale Italiana che però, quando affrontano certi argomenti, si vedono silenziare proprio come dei Radicali”. All’iniziativa nonviolenta di Rita Bernardini si sono aggiunti con un digiuno altri dirigenti e militanti Radicali, tra i quali il direttore di Notizie Radicali Valter Vecellio e il segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti. Giustizia: Severino; sovraffollamento si risolve abbattendo recidiva, 9mila nuovi posti entro 2013 di Giovanni Baschieri La Nuova Venezia, 13 novembre 2012 Il ministro della Giustizia Severino a Mestre: maggiore capienza entro due anni. “Spazio crescente alle misure alternative, alla Giudecca realtà straordinaria”. Più posti nelle carceri ma soprattutto misure alternative e lavoro per i detenuti: con questi strumenti si può risolvere il problema del sovraffollamento. È la ricetta del ministro della Giustizia, Paola Severino, intervenuta al convegno voluto dall’associazione culturale Azione Futuro nella sala convegni della Carive dal titolo “Il sistema carcerario e le misure alternative: realtà e prospettive”. Sono già quattromila i posti in più nelle carceri e altri novemila saranno pronti entro due anni: questi i numeri snocciolati dal ministro che però vede nell’abbattimento della recidiva la vera risposta al problema. Gli strumenti sono le misure alternative, leggi l’estensione degli arresti domiciliari e l’uso generalizzato della “messa in prova”, e il lavoro carcerario, visto come un ponte per il reinserimento sociale. La Severino nel suo intervento si è concentrata proprio su questo aspetto, annunciando soddisfatta il passaggio alla Camera dell’emendamento riguardante appunto il lavoro in carcere. Oltretutto la visita in giornata alla realtà dell’istituto di pena alla Giudecca le ha dato il destro per insistere sulla bontà delle sue proposte. Portare, ad esempio, l’imprenditoria a investire. “Ho visto una realtà straordinaria, che pure deve fare i conti con mezzi limitati”, ha detto il ministro, “ma la sartoria teatrale che produce vestiti per la Fenice, il servizio di lavanderia e stireria fornito all’Harry’s Bar e all’Hilton, i prodotti di bellezza confezionati per l’albergo Bauer indicano che l’investimento nel carcere può avere un ritorno economico. Senza volere fare pubblicità, ma sono rimasta colpita dal gusto e dalla sensibilità con la quale l’Ikea ha arredato l’Icam (istituto di custodia attenuata per detenute madri, ndr) dove andranno a stare i figli piccoli. A proposito, manca la cucina e faccio un appello alle aziende per una donazione. Certo, per invogliare gli imprenditori servono aiuti mirati e l’abbattimento dei costi, oltre al ripristino della legge Smuraglia. Mi ha colpito poi la professionalità degli operatori e l’impegno dei volontari. Venezia insomma può essere un esempio per le altre città, anche se va risolto il problema del carcere di Santa Maria Maggiore”. Riguardo l’amnistia, la Severino ha ribadito un concetto già espresso: “È una delle soluzioni, ma a ognuno il suo compito: ci deve pensare la maggioranza parlamentare, non il governo”. Giustizia: Anm; l’uso solo afflittivo della pena è criminogeno, perché genera reati Agi, 13 novembre 2012 “Insistere soltanto sull’aspetto afflittivo della pena è criminogeno, perché genera reati”. Lo ha sottolineato il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, parlando a “Tg2 Insieme” delle “scarcerazioni facili” e osservando che “l’articolo 27 della Costituzione riconosce alla pena anche una funzione rieducativa”. Di fronte alla rievocazione di note vicende giudiziarie, quali il caso Jucker e Vallanzasca o quelli riguardanti responsabili di “omicidi strada lì”, il presidente dell’Anm ha osservato che “si deve distinguere il caso patologico, come quello della scarcerazione di mafiosi perché il magistrato dopo otto anni dalla sentenza non aveva ancora depositato le motivazioni, dalla scarcerazione che giunge all’esito di un percorso di applicazione corretta della legge”. “Il magistrato - ha affermato Sabelli - applica la legge e si fa carico della tutela della sicurezza del cittadino. Nel corso dell’esecuzione della condanna, la legge prevede la concessione di benefici, come ad esempio i permessi premio, possibili anche per chi ha commesso reati gravi, purché sussistano alcune condizioni, tra cui un buon percorso di rieducazione in carcere”. I magistrati, ricorda Sabelli, “valutano la sussistenza di tali circostanze sulla base di una relazione redatta da chi segue da vicino i detenuti in carcere”. In merito, poi, alla questione dell’”omicidio stradale”, il presidente dell’Anm ha ricordato che “vi è una discussione in sede legislativa sulla possibilità di introdurre questa nuova fattispecie di reato, alcuni sono a favore, altri no. Già in alcuni casi - ha concluso - è stato riconosciuto il carattere doloso di alcuni omicidi stradali sulla base del dolo eventuale”. Giustizia: Cassazione; no risarcimento ingiusta detenzione ad assolta da associazione sovversiva Adnkronos, 13 novembre 2012 Si può anche essere assolti dall’accusa di eversione ma se poi si tiene un diario in cui si suggeriscono strategie per “salvaguardare l’associazione” non si può rivendicare il risarcimento per l’ingiusta detenzione patita. Lo sottolinea la Cassazione occupandosi del ricorso, respinto, di Rita Casillo, la militante di Iniziativa Comunista arrestata nel maggio 2001 in carcere fino al 31 agosto dello stesso anno (ai domiciliari sino al 23 gennaio 2002) e poi assolta “per insussistenza del fatto”. Nel dettaglio, la Quarta sezione penale ha respinto il ricorso della Casillo contro il no all’ingiusta detenzione già pronunciato dalla Corte d’appello di Roma, nel novembre 2011. In particolare, la Suprema Corte sottolinea che “non è viziato da scarso rigore argomentativo ne è altrimenti non plausibile il ragionamento del giudice dell’ingiusta riparazione che, a tacere di tutti i comportamenti riportati anche se riferiti a soggetti diversi dalla Casillo, ma da costei condivisi, ravvisi nel comportamento di chi, nell’ambito di un’associazione politica, manifesti in un’agenda personale strategie da tenere per salvaguardare la vita dell’associazione stessa, quale quella - esemplifica piazza Cavour - di mantenere la clandestinità dei suoi componenti, condizione questa certamente non usuale per un’associazione che voglia democraticamente confrontarsi con gli altri su determinate scelte politiche, ma certamente sintomatica di comportamenti talmente prudenti e cauti da ingenerare l’errore in chi li ha letti di trovarsi di fronte ad un appartenente di un’associazione che aveva fini tutt’altro che consentiti”. Liguria: Assessore Politiche sociali Rambaudi; 200mila euro per progetti di sostegno a detenuti Asca, 13 novembre 2012 Duecentomila euro sono stati stanziati dalla Giunta regionale nel 2012 per progetti di supporto ai detenuti adulti, minori in carcere e a persone in esecuzione penale esterna, per migliorare la loro qualità della vita. Lo ha comunicato quest’oggi l’assessore alle politiche sociali della Regione Liguria, Lorena Rambaudi, nel corso del convegno sui “patti di sussidiarietà” svoltosi in Regione. Obiettivo dell’incontro è stato confrontarsi, con i soggetti interessati, sul tema del miglioramento della vita in carcere grazie ad una serie di progetti messi in atto dalla Regione e dagli Enti del terzo settore, tra cui associazioni di volontariato e cooperative sociali. I progetti hanno riguardato interventi all’interno delle carceri, informa la Regione Liguria, all’esterno e sui minori in carcere. Dall’inizio dell’anno sono state coinvolte 920 persone di cui 254 in provincia di Imperia, (27,6%), 97 in quella di Savona (10,5%), 384 in quella di Genova (41,8%) e 185 in quella della Spezia (20,1%). Di queste 920 persone, 849 (92,4%) sono uomini e 71 donne (7,6%), 884 (96,1%) sono adulti e 36 minori (3,9%). Diverse le tipologie di interventi: 220 sono stati i semplici contatti, 78 le prese in carico (persone seguite in un percorso definito nel tempo ed articolato in più azioni e progetti) e 622 le persone seguite in azioni e progetti più semplici e di breve durata. “L’obiettivo - ha spiegato l’assessore Rambaudi - è quello di attivare percorsi di sostegno per chi è in carcere e soprattutto per i minori, attraverso azioni di miglioramento della qualità della vita, la mediazione penale minorile, le risorse alloggiative per chi ha permessi premio, il sostegno alle madri con figli piccoli, anche con inserimenti esterni agli asili. Il meccanismo dei patti di sussidiarietà ha dato ottimi risultati grazie alla collaborazione tra Istituzioni, privato sociale e ministero della Giustizia”. Sardegna: in arrivo 300 detenuti del 41-bis, politici bipartisan invocano la rivolta popolare di Giusi Fasano Corriere della Sera, 13 novembre 2012 I primi 24 erano arrivati un mese fa e a qualcuno sembravano già tanti. Figuriamoci adesso sta per sbarcare il resto del “contingente”: più o meno trecento detenuti, tutti condannati in via definitiva a pene molto lunghe, quando non all’ergastolo. E anche qui: trecento a breve, ma il calcolo definitivo, giurano alcuni parlamentari, ne prevedrebbe quasi il doppio. Tutti in Sardegna, nelle carceri nuove (o rinnovate) di Cagliari, Sassari, Tempio e Oristano. Mafiosi sottoposti al regime duro del 41 bis oppure detenuti che devono guadagnarsi il fine pena nelle divisioni carcerarie ad alta sicurezza. “Bell’affare” commenta Giacomo Sanna, presidente nazionale del partito sardo d’azione. “Da una parte esportiamo giovani e dall’altra importiamo delinquenza organizzata...”. E come consigliere regionale promette: “Mercoledì si terrà in regione la conferenza dei capigruppo. Daremo filo da torcere in aula perché così non va bene. È inaccettabile”. Con lui sulle barricate ci sono gli indipendentisti, il partito democratico, il Pdl, la commissione per i diritti civili... Tutti schierati insieme per il “no” e decisi a invocare la mobilitazione popolare in una corsa contro il tempo che nessuno sa bene quando scadrà. Perché di sicuro arriveranno fra non molto in trecento (“questione di giorni”, conferma Gaetano Cau, magistrato di sorveglianza per il nord Sardegna). Ma nessuno sa più di questo: niente nomi di capimafia o altri criminali noti, niente date, nessuna conferma ufficiale sugli altri arrivi (quelli oltre i trecento). “Trecento è un’armata pazzesca” si infervora il sociologo ed europarlamentare Pd Pino Arlacchi, autore di diversi libri sulla mafia uno dei quali si intitola Perché non c’è la mafia in Sardegna. “In quel libro spiegavo come l’isola è sempre stata impermeabile alla mafia del continente. Se il governo italiano ora vuole mettere alla prova fino a che punto funziona la mia tesi...ma forse non è il caso. Concentrare un numero così alto di criminali è una follia per i contatti che si creerebbero, per la possibile corruzione della struttura penitenziaria. Una valanga di studi dicono no a queste concentrazioni e noi invece le facciamo. Una scelta dissennata, spero che i sardi si ribellino”. La ribellione popolare, per la verità, è una speranza bipartisan anche se per adesso l’espressione del “no” è sempre stata soltanto politica: interrogazioni parlamentari, comunicati di fuoco diffusi sui siti personali di consiglieri e deputati, appelli alla piazza, progetti di rivolta… Soltanto politica, anche perché la conferma ufficiale del trasferimento dei detenuti finora non c’era mai stata. Arriva adesso: in modo diretto dal giudice Cau che dice, appunto, “questione di giorni”. E in modo indiretto da Luigi Pagano, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Questi trasferimenti sono stabiliti per legge” dice. “La legge vuole che i detenuti del 41 bis siano destinati a mete peninsulari e siccome le carceri di Pianosa e Asinara sono chiuse e per ovvi motivi in Sicilia non è il caso di mandarli è chiaro che la Sardegna diventa centrale”. Tanto centrale da ospitare la metà dei condannati sottoposti al carcere duro. Così giura il deputato pdl Mauro Pili che svela numeri ben più alti dei 300 ipotizzati finora: “Premesso che nel provvedimento non c’è nessun obbligo poiché si parla di destinazioni “preferibilmente insulari”, diciamo che in Italia i capi mafia con il 41 bis sono 673. Noi ne avremo 150 a Sassari, altri 150 a Cagliari e 97 a Nuoro. In più ci saranno i 125 dell’alta sicurezza a Oristano e i 75 previsti a Tempio, dove sono arrivati i primi 24 il mese scorso. Fate un po’ il conto voi… altro che trecento. Si parla di numeri e scelte gravi e irresponsabili che rendono altissimo il rischio di infiltrazioni mafiose sul territorio sardo”. Claudia Zuncheddu è una consigliera regionale indipendentista di Sardinia libera. “È una vicenda drammatica” esordisce. “Mi appello alla gente e al risveglio delle coscienze. Mobilitiamoci tutti, lo Stato italiano deve smetterla di considerare la Sardegna come la pattumiera dei suoi prodotti peggiori. Siamo in una condizione economica fragilissima e tanto per dirne una: i costi della sanità di questa gente chi li sosterrà?”. Il presidente della commissione sarda dei diritti civili Salvatore Amadu annuncia un sopralluogo per mercoledì nel nuovo carcere di Oristano dove sono in arrivo 125 condannati nei reparti di alta sicurezza. “La questione carceraria in Sardegna è complesa. Proprio qualche giorno fa ho chiesto al presidente del consiglio regionale di intervenire con il ministro per segnalare alcuni punti critici. Noi, come commissione, siamo nettamente contrari a questi trasferimenti. La Sardegna ha già dato, anche troppo…”. Rassegnato e autocritico il democratico Guido Melis (commissione Giustizia della Camera) il quale parte dall’idea che non si faccia più in tempo a fermare tutto: “Evidentemente la nostra opposizione non è stata sufficiente. Arriveranno e poi vedremo cosa fare”. Il timore di tutti è che la presenza sull’isola di un numero così elevato di detenuti soggetti al 41 bis o all’alta sorveglianza, porti con sé un inquinamento ambientale finora scongiurato. Il giudice Cau è convinto di no: “La Sardegna è impermeabile alla mafia” dice. “Esiste un provvedimento che dispone di sfollare carceri sovraffollate in alcune zone d’Italia e qui arriveranno quei trecento. Io ho lavorato a Palmi come pm antimafia, conosco questa gente molto bene e so come affrontarli. Sono andato a trovare l’altro giorno i detenuti di alta sicurezza a Tempio, con loro ho parlato chiaro e so che ci siamo capiti. Ho garantito che avranno tutto ciò che è nel loro diritto, per esempio lenzuola e federe che ho fatto arrivare il giorno dopo. In cambio loro non devono essere un problema né per me né per la Sardegna”. Sulle possibili infiltrazioni mafiose all’esterno delle carceri il magistrato è perentorio: “Solo invenzioni politiche in vista delle elezioni. I mafiosi semmai portano denaro perché arrivano le loro famiglie, diventano una fonte di ricchezza per il settore alberghiero e per la ristorazione”. Può darsi che sia così. O magari ha ragione chi vorrebbe la rivolta anti-trasferimento. Non sarà difficile accertarlo. “Questione di giorni” per dirla con il giudice Cau. Umbria: Avviso pubblico per la selezione dei candidati a ruolo di Garante dei detenuti Asca, 13 novembre 2012 L’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale dell’Umbria ha approvato lo schema di avviso pubblico per la selezione di candidature ai fini della designazione della figura del “Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale” (legge regionale “13/2006”). L’avviso pubblico sarà pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Umbria, nel sito ufficiale della Regione Umbria. I requisiti individuati, annuncia una nota dell’ente, sono quelli relativi alla comprovata competenza nel campo delle scienze giuridiche, scienze sociali e dei diritti umani e l’esperienza in ambito penitenziario. In particolare, i candidati dovranno indicare nel curriculum: di essere iscritti e partecipare attivamente ad organismi di servizio e associazioni che operano nel campo del volontariato; la conoscenza dell’ordinamento e del contesto penitenziario e di quelle istituzioni e associazioni con le quali è prevista l’interazione delle attività del Garante; l’esperienza nell’organizzazione di iniziative di informazione, promozione culturale e sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti e delle garanzie dei detenuti. Cause di incompatibilità sono ravvisate con la carica di parlamentare italiano ed europeo; presidente di Regione o Provincia; sindaco, assessore o consigliere di Comuni e Province; amministratore di enti pubblici, aziende o società a partecipazione pubblica, o di enti, imprese o associazioni che ricevono sovvenzioni o contributi dalla Regione. Le candidature presentate saranno valutate, per la sussistenza dei requisiti, dalla Prima Commissione consiliare, che predisporrà una relazione con l’elenco delle candidature idonee sulla base del quale il Consiglio regionale effettuerà la designazione del Garante, mediante elezione con la maggioranza dei due terzi dell’Aula. Al Garante dei detenuti, spetta un’indennità mensile pari al venti per cento dell’indennità mensile lorda assegnata ai consiglieri regionali. La predisposizione del bando si è resa necessaria perché come è scritto nell’atto approvato dall’Ufficio di presidenza “il Consiglio regionale a tutt’oggi non ha provveduto all’elezione del Garante, nonostante i reiterati solleciti formulati dal presidente del Consiglio regionale e dall’Ufficio di Presidenza in sede di Conferenza dei presidenti dei gruppi consiliari”. Sicilia: Uil-Pa; il “parco macchine” per il trasporto dei detenuti fermo per mancanza di soldi Agi, 13 novembre 2012 Tutto il parco macchine per il trasporto dei detenuti in Sicilia “è fermo perché non ci sono soldi per ripararli e in certe realtà penitenziaria si usano e si continuano a usare autovetture non idonee, mancanti dei sistemi di sicurezza previsti”. È la denuncia del coordinatore regionale della Uilpa Penitenziari Gioacchino Veneziano, che rilancia l’allarme che proviene soprattutto dal Pagliarelli “dove i sistema di trasporto dei detenuti è collassato per mancanza di fondi per la riparazione”. Così “si compromette la garanzia del diritto a partecipare alle udienze, con la probabilità di allungare i tempi dei processi, fino a giungere alla scadenza dei termini della custodia cautelare e non c’è nessuna volontà a fare cambiare le cose”. Alessandria: muore detenuto, era in carcere per non essersi sottoposto alla prova dell’alcol-test Ristretti Orizzonti, 13 novembre 2012 Aveva chiesto di scontare la condanna (4 mesi) presso la propria abitazione, come previsto dalla cosiddetta legge “svuota-carceri”, ma il giudice non ha ritenuto “idoneo” il domicilio proposto, decidendo di mandarlo in galera. Giuseppe Piccinini, 65 anni, è morto domenica mattina nel carcere “Don Soria” di Alessandria dov’era entrato solo due giorni prima, venerdì pomeriggio. Ancora sconosciute le cause del decesso, anche se la direzione del carcere parla di “arresto cardiaco”. Per quale motivo Giuseppe è finito in carcere? Tre anni fa, il giorno di Natale del 2008, rimane coinvolto in un incidente stradale (subisce un tamponamento) e, alla richiesta degli agenti di Polizia Municipale intervenuti, rifiuta di sottoporsi all’alcoltest. Viene denunciato, processato e condannato a 4 mesi di reclusione (senza “condizionale”). Venerdì scorso, mentre si trova al bar a giocare a carte, gli viene notificata l’ordinanza di carcerazione, che rende esecutiva la condanna “definitiva” del maggio 2011. Ha pure chiesto di poter scontare la pena in detenzione domiciliare (come previsto dalla legge “svuota-carceri”), ma il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria dichiara inammissibile l’istanza per “mancanza di idoneità del domicilio” e perché manca un “programma ambulatoriale presso il Ser.T. per abuso di alcol”. La denuncia della figlia “Chiediamo giustizia. Vogliamo sapere perché mio padre è morto. Aveva seri problemi di salute, doveva essere sottoposto a un intervento chirurgico nel mese di novembre. Invece del carcere avrebbero potuto concedere i domiciliari: ma non è andata così perché il giudice di sorveglianza ha dichiarato inammissibile quella possibilità per “mancanza di idoneità di domicilio e perché manca un programma ambulatoriale presso il Sert per l’abuso di alcool”. Nella notte tra sabato e domenica mio padre è morto nel carcere di piazza Don Soria. A parlare è Silvia Piccinini, la figlia di Giuseppe, 65 anni, residente “da sempre” in Alessandria in via Oberdan. L’uomo era stato condannato nel 2011 a quattro mesi di arresto per guida in stato d’ebbrezza. Rimasto coinvolto in un incidente stradale (era stato tamponato), si era rifiutato di sottoporsi all’alcol-test: quindi la denuncia, il processo e la condanna. Diventata esecutiva la sentenza, venerdì è scattato l’arresto in un bar di Alessandria, dove Giuseppe stava giocando a carte con degli amici. Piccinini è stato condotto in carcere. Da quel momento, due giorni di silenzio più totale fino a quando, domenica mattina, alla moglie di Giuseppe è arrivata una telefonata: “Suo marito è mancato”. Brescia: intervista a direttrice Canton Mombello; 18 stipati in una cella… ma o non è un lager di Pino Casamassima Il Giorno, 13 novembre 2012 In una cella per quattro devono convivere in 18, con un solo servizio igienico vicino a dove vengono preparati i pasti. La finestra la si può solo socchiudere perché l’anta sbatte contro un letto a castello. L’odore è insopportabile per chi arriva dall’esterno. Benvenuti ad Alcatraz-Canton Mombello, penitenziario nel cuore di Brescia. Si chiama “Sorvegliare e punire” il libro sull’istituzione carceraria pubblicato da Michel Foucault nel 1975 la cui analisi ruota attorno al corpo del detenuto e al rispetto che di esso devono avere le istituzioni. Rispetto che crolla nel momento in cui quel corpo lo si restringe in una condizione disumana, come nei penitenziari lombardi, al vertice di un sovraffollamento italiano denunciato dalla Corte di Giustizia Europea, secondo cui è tortura al di sotto di 7 metri quadrati per detenuto. Se i dati resi noti dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) lo scorso 6 novembre indicano in 66.568 le presenze nelle carceri italiane a fronte di una capacità di 45.849, la Lombardia presenta una situazione ancora più drammatica, con 9.500 detenuti distribuiti nei 19 penitenziari. Fotografia impietosa del fallimento della giustizia italiana. Per Angelo Canori, presidente del VolCa (volontariato carcere), “siamo in una situazione che non rispetta la Costituzione, perché azzera la dignità del detenuto”. Se la Lombardia è la regione dalle carceri più affollate, Brescia ospita il penitenziario al top di questa non invidiabile classifica, con 532 detenuti per una capienza di 206, di cui 200 definitivi e oltre 300 in attesa di giudizio. Gli extracomunitari sono 319, 101 i tossicodipendenti, 240 gli agenti, di cui 180 effettuano turni, e 50 effettivi nel corso dei diversi segmenti della giornata. Il ministro Severino assicura provvedimenti risolutori a breve. “Non chiamatelo lager, per favore”. Seduta sulla poltrona i cui braccioli semidistrutti sono stati sistemati dai detenuti, Francesca Gioieni, direttrice del Carcere di Canton Mombello di Brescia, il più affollato d’Italia, vuole togliersi subito un sassolino dalla scarpa: “Questo non è un campo di concentramento, come l’ha definito qualcuno, che oltre ad offendere tutti quelli che ci lavorano, ha mancato di rispetto verso chi il lager l’ha patito realmente. E noi non siamo dei kapò”. Niente lager. Cos’è? “È una struttura inadeguata sotto ogni aspetto, considerando che bisognerebbe adottare misure alternative al carcere per i reati minori, cioè la maggior parte. Inoltre, contrariamente all’altro carcere Bresciano di Verziano che ospita “definitivi”, qui buona parte dei detenuti è in attesa di giudizio”. Struttura nuovamente salita alle cronache come il peggior carcere d’Italia. “Il più affollato, non il peggiore”. Converrà che non è un Grand Hotel. “I problemi sono tanti. Noi lavoriamo con quel che abbiamo a disposizione come mezzi, mettendoci molto a livello personale”. In rete girano immagini scandalose. “Tutti gli operatori lavorano rispettando la dignità dei detenuti”. Facciamo un esempio? “Spostiamo la chiusura delle celle di due ore, consentendo l’uso di tutti gli spazi. Agevoliamo gli incontri, perfino con i cani. Il planning delle attività è sempre pieno perché sono gli stessi detenuti a proporre corsi di formazione”. Che rapporto ha il carcere con la città? “Ho sempre stimolato un rapporto stretto con l’esterno, a cominciare dalle associazioni di volontariato, che svolgono un lavoro cui mi sento di essere profondamente grata. Vorrei che tutti capissero che carcere non si traduce con sicurezza”. C’è un Comitato per la demolizione di Canton Mombello. “Ci siamo incontrati a giugno. Condivido le loro richieste. Sarei la prima a essere felice se potessi dirigere un penitenziario moderno”. E la città che rapporto ha con questo carcere? “La scorsa estate ci hanno donato alcuni frigoriferi: un elettrodomestico che cambia la vita in una cella” Una cella che può ospitare anche 18 persone in pochi metri quadri. “Di cui una dozzina in custodia cautelare, cioè in attesa di giudizio: teoricamente innocenti”. Brescia presenta da anni una situazione carceraria incivile. “Con agenti, educatori, operatori, l’impegno è sempre al massimo. Vorrei che fosse chiaro un concetto: noi per primi auspichiamo un carcere più vivibile, più umano”. Un episodio per lei gratificante. “L’associazione Antigone, che non fa sconti a nessuno, mi ha informata che negli ultimi due anni in questo carcere c’è stato un abbattimento del 54% dei casi di autolesionismo”. Qual è la prossima iniziativa segnata nel planning delle attività dei detenuti? “Un concerto di musica classica e leggera. Vuol venire?” Brescia: il Sindaco Paroli; per la realizzazione del nuovo carcere siamo vicini al passo decisivo Brescia Oggi, 13 novembre 2012 Niente di definito, ma per il primo cittadino “ci sono tutte le condizioni perché l’iter per la realizzazione della casa circondariale a Verziano prenda il via”. Venerdì 16 porte aperte per cento cittadini: Canton Mombello ospiterà un concerto “solidale”. “Siamo vicini al passo decisivo per il nuovo carcere di Brescia”: così il sindaco Adriano Paroli ha ufficializzato ieri le novità in arrivo. “Incrociando le dita, ci sono tutte le condizioni perché parta l’iter per la realizzazione del nuovo carcere”, ha precisato. La nuova struttura di detenzione maschile, che sostituirà quella attuale di Canton Mombello compromessa dal sovraffollamento, sorgerà a Verziano vicino al già esistente plesso penitenziario femminile. “Canton Mombello è inadeguato allo scopo del reinserimento e recupero dei detenuti, per questo come Comune abbiamo già individuato nel Pgt un’area a Verziano destinata al nuovo carcere, con la possibilità di disporre di quelle superfici in breve tempo - dichiara il sindaco -. In contemporanea abbiamo cercato di “smuovere” la situazione a livello centrale, per far sì che i responsabili delle istituzioni penitenziarie si rendessero conto dell’urgenza di questo tema”. Ora la svolta è vicina: “Ci aspettiamo che a breve arrivino notizie positive - annuncia Paroli -. Sappiamo che ci vorrà tempo per realizzare concretamente il progetto, saranno necessari passaggi governativi e amministrativi, ma la cosa importante, ora, è che l’iter del nuovo carcere prenda il via”. Queste novità, tuttavia, non dovranno abbassare la soglia di attenzione sul carcere da parte dell’intera comunità. “Guai pensare che la città non debba più occuparsi dei problemi dei detenuti - avverte il primo cittadino -. Il tema della vicinanza deve rimanere vivo”. Per renderlo ancora più sentito, venerdì 16 novembre alle 18 le porte di Canton Mombello si apriranno per la prima volta alla città con un evento inusuale, un concerto per 100 persone promosso dalla direzione della casa circondariale su proposta dell’avvocato Flaminio Valseriati, con la collaborazione dell’associazione Carcere e territorio e il patrocinio del Comune. È bastato un po’ di passaparola per raccogliere richieste che hanno già fatto esaurire tutti i 100 posti disponibili (ma quello di venerdì sarà un primo test che, se funzionerà, aprirà la via ad altri appuntamenti musicali per tutta la cittadinanza, assicurano gli organizzatori). L’occasione di entrare in contatto con l’ambiente del carcere, conoscere le condizioni di vita dei detenuti, vivere un’esperienza ad alto impatto emotivo ha trovato consensi fra i cittadini, ma anche fra i musicisti, che si esibiranno gratuitamente, e fra gli operatori di Canton Mombello, in primis gli agenti di Polizia penitenziaria, che sorveglieranno logistica e sicurezza dell’evento. L’idea ha incominciato a svilupparsi a giugno con le lezioni di chitarra e musica tenute dall’avvocato Valseriati all’interno del carcere cittadino. “La musica - dice Valseriati, è un linguaggio universale che arriva a tutti, supera barriere di ogni genere, aiuta ad addolcire la reclusione e favorisce il recupero delle persone: per chi sta all’esterno, invece, il concerto è l’occasione per uscire dal pianeta terra e atterrare su Marte, tanti sono i profili sconosciuti del pianeta-carcere che la gente ignora”. Canton Mombello con i suoi 526 detenuti è entrato nell’immaginario collettivo come una delle situazioni peggiori del sistema penitenziario, a causa di sovraffollamento e di condizioni estremamente disagiate, che hanno portato a evocare nelle cronache la parola “lager”. “La realtà con cui ci confrontiamo è gravosa, ma non ci lascia con le mani in mano, stimolandoci a sviluppare sempre di più le capacità organizzative e propositive”, dice la direttrice di Canton Mombello, Francesca Gioieni. Il concerto va in questa direzione, “perché la città capisca cosa significa vivere in carcere - conclude il presidente di Carcere e territorio, Carlo Alberto Romano, contribuisca con qualche offerta a migliorare le condizioni di vita, partecipi al recupero e al reinserimento sociale dei detenuti”. Caltanissetta: gli notificano “carcere duro”, detenuto tenta di impiccarsi in cella Adnkronos, 13 novembre 2012 Un detenuto ristretto nel carcere di Caltanissetta, al quale era stato notificato il decreto del carcere duro, ha tentato ieri sera di togliersi la vita. A renderlo noto è il vicesegretario generale dell’Osapp Mimmo Nicotra secondo cui “anche questa volta si è scongiurato il peggio grazie al tempestivo intervento del poliziotto penitenziario in servizio nella sezione”. “Grazie al tempestivo intervento e all’esperienza maturata - continua Nicotra - si è scongiurato l’ennesimo suicidio in carcere. Il detenuto adesso si trova ricoverato fuori pericolo in ospedale ma l’esperienza del tentato suicidio ha sicuramente turbato l’aspetto psicologico”. Padova: trentenne magrebino tenta di impiccarsi, salvato dagli agenti di polizia penitenziaria Il Mattino di Padova, 13 novembre 2012 Tentato suicidio nella casa circondariale di Padova, la struttura penitenziaria riservata ai detenuti non condannati in via definitiva e in attesa di giudizio. Ieri pomeriggio un trentenne magrebino si è stretto un cappio intorno al collo e ha cercato la morte. Fortunatamente gli agenti di polizia penitenziaria si sono accorti di quello che stava accadendo e hanno soccorso il giovane, detenuto per reati legati allo spaccio. È arrivato il medico del carcere che ha prestato il primo intervento, poi il giovane è stato trasferito in ospedale per accertamenti. Nel tardo pomeriggio il rientro nella casa circondariale. Da una settimana il trentenne era stato trasferito provvisoriamente in una cella da solo per incompatibilità con gli altri detenuti: si stava cercando una soluzione al caso. “Il sovraffollamento è un gravissimo problema per il circondariale che ha una capienza di circa 160 detenuti, mentre gli ospiti sono di fatto sulle 250 unità” spiega Giampietro Pegoraro, coordinatore padovano Cgil Fp polizia penitenziaria, “L’80% dei reclusi sono stranieri e la casa circondariale di Padova è il luogo di detenzione con la più alta percentuale di extracomunitari”. Difficile viverci. Difficile far convivere etnie diverse. “Ovvio che il personale è sottoposto a stress continuo e ogni tanto scoppiano piccole risse. Insomma è una realtà molto difficile da gestire e per questo lavoro quotidiano bisogna ringraziare le forze di polizia” conclude Pegoraro. Castrovillari (Cs): detenuto straniero tenta il suicidio, salvato dagli agenti Ansa, 13 novembre 2012 Un tentativo di suicidio messo in atto da un giovane detenuto straniero è stato sventato dal personale della polizia penitenziaria nel carcere di Castrovillari. A darne notizia sono il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante ed il segretario nazionale Damiano Bellucci, secondo i quali quello di Castrovillari è uno degli istituti più sovraffollati d’Italia. Ogni camera destinata ad un solo detenuto attualmente ne vede ospitati tre. Reggio Calabria: Foti (Pdl) al Ministro Severino “rivedere decisione chiusura carcere Laureana” Agi, 13 novembre 2012 La decisione di chiudere il carcere di Laureana di Borrello deve essere rivista. È quanto dichiara in una nota l’On. Nino Foti, Capogruppo Pdl in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. C’è stato un cordiale colloquio, continua l’On. Foti, nel corso del quale io e l’On. Elio Belcastro, abbiamo spiegato al Ministro come questa struttura rappresenti una delle poche realtà di rilievo nella drammatica situazione del sistema carcerario Italiano. Abbiamo illustrato gli importanti progetti rieducativi seguiti nella struttura che puntano sulla valorizzazione del percorso di custodia dei detenuti e che hanno dato ottimi risultati, influendo positivamente anche sul reinserimento degli stessi detenuti nella società civile. Il Ministro, aggiunge l’On. Foti, che come riferitoci a causa degli onerosi e molteplici impegni non conosceva la problematica, ha ascoltato con attenzione tutte le nostre perplessità relative alle motivazioni che hanno portato alla chiusura, anche se, si dice, “temporanea”, dell’istituto. Una scelta dovuta alla carenza di personale di Polizia Penitenziaria nelle strutture limitrofe, ma che non risolve alcun problema, anzi, alimenta la già difficile situazione relativa al sovraffollamento delle carceri visto che i detenuti sono stati spostati in altri istituti già, da questo punto di vista, in piena emergenza. Proprio in merito a quest’ultimo aspetto, abbiamo espresso al Ministro la nostra preoccupazione relativamente al fatto che la provvisorietà di questo provvedimento possa trasformarsi, come spesso avviene in questi casi, in definitività, vanificando così tutto l’eccellente lavoro svolto. Al termine del colloquio, conclude l’On. Foti, il Ministro per poter affrontare e risolvere positivamente la questione ci ha chiesto una memoria urgente, e abbiamo pertanto provveduto alla trasmissione di un atto scritto per il quale siamo tutt’ora in attesa di una risposta. Reggio Calabria: anche Dario Fo lancia un appello per il carcere-modello di Laureana di Domenico Mobilio www.ilquotidianocalabria.it, 13 novembre 2012 Il premio Nobel e la moglie sono i primi firmatari di una lettera che è stata indirizzata al ministro della Giustizia per chiedere di revocare la chiusura dell’istituto del Reggino nel quale si stava portando avanti una percorso sperimentale di rieducazione per i detenuti. “Signor ministro riapra quel carcere”. L’appello a riaprire il penitenziario di Laureana di Borrello arriva anche dal Premio Nobel, Dario Fo. La struttura modello intitolata al magistrato calabrese Luigi Daga, dove si privilegiavano i rapporti personali e le attività trattamentali puntavano ad offrire ai detenuti un’opportunità di riscatto venne aperta nel 2004. Fu l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli a inaugurarlo mostrandosi impressionato per la sfida che l’allora provveditore Paolino Quattrone intendeva lanciare alla ndrangheta. Poi ad un altro ministro della Giustizia Angelino Alfano era toccato il compito di riconoscere che quell’idea di far sottoscrivere ai giovani detenuti condannati per la prima volta un patto che li impegna in un percorso di rieducazione era stata vinta. Non più un carcere inteso come università del crimine, ma un luogo dove la pena viene vissuta come un’opportunità. A distanza di quasi otto anni dalla sua apertura il 29 settembre scorso il carcere venne chiuso “temporaneamente” dal Dap con la motivazione di utilizzare i 23 agenti in servizio a Laureana per il trasferimento dei detenuti nei maxi processi alla ndrangheta. Diverse voci si sono levate in difesa della struttura. E ora ad esse si aggiunge quella di Dario Fo, coinvolto da un’educatrice vibonese, la signora Anna Faga, che indirizza la sua opera di docente principalmente verso i meno abbienti, cittadini spesso dimenticati e che la società mette ai margini. Bisognosi, extracomunitari, altri immigrati per i quali la lingua italiana è il primo e principale strumento d’inserimento nel nostro paese. Col suo entusiasmo è riuscita a fare breccia nei detenuti del penitenziario di Vibo, dove ha portato in scena tra gli altri il grande Eduardo. Il suo “laboratorio teatrale”, l’ha poi trasferito nel piccolo carcere di Laureana di Borrello. “La chiusura di quel carcere - afferma - mi ha molto colpita perché oltre ad essere un istituto modello avevo potuto apprezzare con quale animo, con quale entusiasmo i ragazzi mi seguivano”. Lei ha appena concluso il corso di teatro diretto da Franca Rame, Jacopo e Dario Fo, tenuto dall’Università di Alcatraz a Santa Cristina di Gubbio. L’occasione era troppo importante perché Anna Faga non informasse del suo rammarico per la chiusura del carcere reggino ai numerosi artisti partecipanti al corso. E su input di Dario Fo e Franca Rame, ha pertanto inviato una lettera al ministro della Giustizia Paola Severino, sottoscritta da tutti i corsisti, una cinquantina. Primi firmatari Fo e la moglie. “Far andare via Domenico, Sergio, Lorenzo, Davide… tutti, dalla casa di reclusione di Laureana di Borrello - scrive al ministro Anna Faga -, un sabato mattina, all’improvviso e smontare e portare via la loro cucina, come se uomini e cose avessero lo stesso destino, è stato davvero un atto doloroso! Domenico e tutti gli altri sono andati via piangendo, perché lasciavano quello che avevano imparato ad amare: il lavoro, nei laboratori di falegnameria, di ceramica, le api e il miele, il giardinaggio e il teatro dove si sperimentava la meraviglia di sentirsi creativi e protagonisti nella condivisione di un progetto che prevede anche la presentazione al pubblico dello spettacolo finale, cresciuti e fattosi bello perché tutti si sono impegnati al massimo, ascoltandosi l’un l’altro. Sono stati mandati via da un posto dove la certezza della pena stava parallela alla certezza d’interagire in situazioni di umanità ed in spazi vitali dignitosi”. Reggio Calabria: Consiglio provinciale aperto a Laureana di Borrello www.strill.it, 13 novembre 2012 Nota diffusa dal Portavoce della Provincia di Rc: Ancora una settimana di attesa, poi la civile protesta per la riapertura del carcere sperimentale di Laureana di Borrello si sposterà a Roma. A questa decisione è giunto il Consiglio provinciale aperto, svoltosi questa mattina nell’aula consiliare del Comune di Laureana di Borrello. L’assemblea, all’unanimità, ha deciso di interessare la deputazione reggina affinché faccia da tramite con il direttore generale del Dipartimento carcerario al quale saranno esposte sia le ragioni, sia gli impegni degli enti locali territoriali a sostegno della prosecuzione di un impegno di riabilitazione sociale, modello unico in Italia e, probabilmente, in Europa. Trascorso tale termine, senza che la deputazione riesca nell’intento , i vertici della Provincia, del Comune di Laureana, il comitato pro carcere, le forze sociali e semplici i cittadini, in pullman e con altri mezzi di trasporto, si recheranno a Roma per presidiare la sede del Dap. “Spogliamoci dalle posizioni di appartenenza - ha detto il Presidente della Provincia nel corso del suo intervento - e variamo programmi incisivi per centrare l’obiettivo della riapertura del ‘Luigi Dagà. Siamo intenzionati a proseguire la straordinaria sinergia che l’Amministrazione comunale di Laureana, il Comitato pro carcere e la Provincia stanno portando avanti nella difesa di un modello carcerario che ha dato lustro al nostro territorio. Su questa battaglia di civiltà non devono esistere né dubbi, né appartenenze a questo a quel partito o raggruppamento politico”. Raffa ha poi richiamato la deputazione reggina al senso di responsabilità. “Pretendiamo che, attraverso i parlamentari, si possa i discutere la vicenda con gli organi centrali dell’Amministrazione carceraria, altrimenti saremo a Romaper attuare un presidio democratico davanti al Dap”. Al Consiglio Provinciale aperto hanno preso la parola il sindaco di Laureana Paolo Alvaro, Primi cittadini del comprensorio, assessori e consiglieri provinciali e comunali, sindacalisti, il presidente, Rocco Domenico Ceravolo, e rappresentanti del Comitato per la difesa del carcere. Venezia: ministro Severino visita carcere Giudecca “Ho passato una straordinaria giornata…” Tm News, 13 novembre 2012 Il ministro della Giustizia, Paolo Severino lancia un appello affinché nel carcere femminile della Giudecca a Venezia possa pervenire una cucina industriale attrezzata per il nascente Icam, l’istituto di custodia attenuata per detenute-madri spiegando di avere passato “una straordinaria giornata” nel carcere femminile. “Oggi ho vissuto una giornata straordinaria qui nel carcere femminile della Giudecca a Venezia - ha spiegato la Guardasigilli a margine di un convegno sulle carceri che si svolge a Mestre (Venezia) - dove sicuramente la situazione carceraria è difficile ma dove ho visto che la speranza della rieducazione non abbandona mai coloro che si impegnano in quest’opera”. “In questo carcere della Giudecca coi pochi mezzi che ci sono a disposizione - ha proseguito il ministro Severino - si fanno delle cose eccellenti e non solo l’orto con le verdure che vengono vendute in regime di semilibertà dalla detenute che escono, c’è una straordinaria lavanderia della quale fanno uso i grandi alberghi”. “Questo rappresenta l’anello di una catena che lega il carcere con la città gli imprenditori - ha sottolineato Severino - e trasforma il lavoro del carcere in un lavoro che travalica il muro del carcere. Venezia deve sapere di avere dentro di sé un esperimento così importante e che può rappresentare un esempio per tante altre città”. L’interazione “tra imprenditoria e carcere è esattamente quello che noi vorremmo istituzionalizzare ripristinando la legge Smuraglia. C’è un Icam (Istituto di custodia attenuata per detenute madri n.d.r.) che sta per decollare, un istituto per le madri detenute coi loro bambini che è stato completamente attrezzato e arredato dall’Ikea, non voglio fare nessuna réclame, spero questo sia d’esempio. All’Icam manca solo una cucina industriale io lancio un appello affinché qualcuno fornisca la cucina all’Icam di Venezia”, ha concluso. Il Sindaco Orsoni: vogliamo un carcere moderno “A Venezia esiste una realtà carceraria, quella della Giudecca, che esprime delle eccellenze, nonostante servano molti mezzi per affrontare alcuni interventi di restauro. Tuttavia non posso fare altro che chiedere la maggiore attenzione possibile anche per il carcere di Santa Maria Maggiore”. Così, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, è intervenuto oggi, alla presenza del ministro della Giustizia Paola Severino, alla tavola rotonda organizzata a Mestre da Azione Futuro dal titolo “Il sistema carcerario e le misure alternative: realtà e prospettive”. “Abbiamo assoluta necessità di un carcere moderno - ha detto ancora Orsoni nel suo saluto - una struttura che sia in linea con i dettami della Costituzione, dove sia possibile procedere alla riabilitazione del condannato e al suo reinserimento nella vita civile. Oggi, devo dire, pur con tutto l’impegno e la buona volontà della dirigenza e di tutti gli operatori nell’ambito del carcere, le strutture di Santa Maria Maggiore non facilitano questo compito. Credo per questo che la città debba reclamare con grande forza la possibilità di avere una struttura diversa, al passo con i tempi e soprattutto con il sentire che ci arriva dalla nostra Costituzione”. Torino: Osapp; 12 detenuti dormono per terra su una coperta, mancano letti e anche i materassi Ansa, 13 novembre 2012 Le condizioni, presso la casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino, hanno raggiunto “livelli insostenibili”. Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale Osapp, l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, che denuncia: “all’interno dell’istituto 12 detenuti dormono su una coperta adagiata sul pavimento per mancanza di posti letto e materassi”. “La distanza dei ben remunerati vertici dai problemi concreti delle carceri - sottolinea - è tanto abissale da non rendere più possibile l’individuazione degli interventi urgenti per alleviare le condizioni di sofferenza del personale e dell’utenza penitenziaria”. “Per questo - conclude Beneduci - è nostra intenzione organizzare le prossime iniziative di legittima protesta non solo nelle vicinanze delle sedi istituzionali, ma anche nelle adiacenze delle sedi di quei partiti che hanno contribuito allo sfascio del sistema penitenziario”. Oristano: piove nelle celle… il nuovo carcere di Massama appena aperto ha già bisogno di lavori L’Unione Sarda, 13 novembre 2012 Dovranno tornare i muratori nel carcere di Massama. E anche in tempi brevi. Perché prima di far arrivare i detenuti ad alto rischio bisognerà impermeabilizzare tutte le celle che tra sabato e domenica si sono allagate. Proprio in quella sezione, infatti, dovranno essere rinchiusi i nuovi ospiti che arrivano da diverse regioni italiane. L’operazione era prevista per lo scorso fine settimane, ma il maltempo e le infiltrazioni hanno fatto saltare i piani all’ultimo momento. Tant’è vero che diversi medici erano stati allertati per le visite previste tutte le volte che nuovi detenuti entrano in cella. In gran segreto, comunque, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha quasi concluso le operazioni preliminari, trasferendo a Milano una parte dei detenuti da far arrivare in Sardegna a bordo di due aerei. Il Ministero della Giustizia, nel frattempo, ha fissato un’altra data utile per concludere il trasferimento di mafiosi e camorristi in Sardegna. L’ipotesi è quella del 20 novembre, ma non c’è nessuna comunicazione ufficiale. Anche perché tutto è legato alle condizioni delle celle appena inaugurate e allagate dalla pioggia. L’operazione dovrà essere assolutamente top-secret e per questo negli ambienti ministeriali vengono comunicate date non sempre precise, in modo da evitare qualunque tipo di imprevisto. Altra notizia che ancora non ottiene conferme ufficiali è l’imminente arrivo a Oristano del Ministro della Giustizia, Paola Severino. Dovrà essere proprio lei a inaugurare il penitenziario che è entrato in funzione da poche settimane e che è già alle prese con problemi tipici di una struttura decennale. “Questa situazione è scandalosa - attacca il segretario regionale dell’Ugl-Polizia penitenziaria, Salvatore Argiolas. Com’è possibile che gli operai si siano dimenticati di impermeabilizzare il solaio? Il guaio è che l’amministrazione ha già preso in carico la struttura e dovrà occuparsi dei lavori di sistemazione”. Allagamenti a parte, dunque, l’arrivo di camorristi e mafiosi è soltanto rinviato. Di pochi giorni. Pioggia permettendo. Tempio Pausania: detenuti AS in protesta contro restrizioni per telefonate e acquisto di prodotti L’Unione Sarda, 13 novembre 2012 Telefonate con il contagocce (due al mese) e un giro di vite per gli acquisti di merce all’esterno: nel nuovo carcere di Tempio, per i detenuti dell’alta sicurezza, viene applicato il regolamento alla lettera e i destinatari delle restrizioni si sono fatti subito sentire. Nei giorni scorsi, i detenuti sottoposti ad un regime speciale di sorveglianza, hanno inscenato una protesta durata diverse decine di minuti. Un gruppo composto da almeno trenta persone ha iniziato a battere gavette e altri oggetti metallici contro le porte delle celle. La ragione della protesta, a quanto pare, è legata all’applicazione puntuale del regolamento penitenziario, che impone per i detenuti dell’alta sicurezza, numerose limitazioni. Probabilmente, i condannati per mafia arrivati di recente a Nuchis, nelle carceri di provenienza avevano un trattamento diverso e la situazione nel nuovo istituto è stata un sor-pesa non gradita. Il concerto serale con gavette e padelle è stato un segnale chiaro, rivolto al direttore e al comandante della polizia penitenziaria. Che, comunque, tirano dritti per la loro strada. Infatti le regole contestate restano tutte in vigore. No shopping. Il nuovo carcere di Nuchis è un istituto che progressivamente sta assumendo le caratteristiche della massima sicurezza. Per chi sconta le condanne di mafia, sono previste limitazioni al numero delle telefonate. In un mese, il detenuto può farne due, massimo quattro se ci sono urgenze. A Nuchis non si transige, le chiamate all’esterno, sono quando c’è un’emergenza, possono superare il numero indicato dalle norme interne. Per quanto riguarda, invece, gli acquisti di merce all’esterno, è stato imposto un elenco che, in sostanza, esclude molti prodotti. Anche per questa ragione, i detenuti sono in rivolta. Ma non è finita, perché l’alta sorveglianza significa anche il divieto assoluto di contatti tra i detenuti comuni e condannati per mafia (il cappellano del carcere, per fare un esempio, celebra due messe) e altre singolari proibizioni: sono vietate le spugnette abrasive e il cuscus, sempre per ragioni di sicurezza. Il nuovo istituto sta affrontando, da qualche settimana, una delicata fase di assestamento e i problemi per chi lavora nella struttura di Nuchis non mancano. La polizia penitenziaria, un centinaio di persone, attende rinforzi. Servono almeno altri 50 agenti. Operano tra mille difficoltà anche gli educatori e lo stesso direttore, che si occupato dell’apertura del nuovo istituto e contemporaneamente di un altro istituto in Calabria. Ma a Tempio è stata assegnata una direttrice in pianta stabile. Alta sorveglianza. La storia della vecchia casa circondariale è veramente finita. Infatti il carcere di Nuchis, per il ministero della Giustizia, è un penitenziario di alta sorveglianza. Si parla di due sezioni con almeno 80 detenuti con condannate per reati di mafia. L’istituto sta cambiando pelle e gli spazi per i detenuti comuni e quelli in attesa di giudizio potrebbe ridursi ulteriormente. Cagliari: Cisl; all’Ipm di Quartucciu detenuto aggredisce e tenta di strangolare agente di polizia Sardegna Oggi, 13 novembre 2012 Domenica pomeriggio due agenti di polizia operanti nell’istituto per minori di Quartucciu sono stati vittima di un’aggressione da parte dei giovani detenuti, ne dà notizia Giovanni Villa, segretario generale aggiunto regionale della CISL, denunciando che tali episodi di violenza contro gli agenti sono sempre più frequenti e la causa è soprattutto la carenza di operatori. Duro documento sindacale quello inoltrato oggi da Giovanni Villa, segretario generale aggiunto regionale della CISL, in merito ad una nuova aggressione del personale di polizia operante nel carcere minorile di Quartucciu. “Ci risiamo, e ancor più preoccupati scriviamo per denunciare l’ennesima aggressione avvenuta presso l’I.P.M. di Quartucciu. Ormai - spiega Villa - non si contano più le violenze fisiche e psicologiche subite dal Personale di Polizia penitenziaria in servizio presso l’Istituto in questione, intanto aumentano le malattie, sicuramente dovute a questo stato di cose. Villa denuncia l’accaduto, domenica pomeriggio “due colleghi sono stati assaliti da altrettanti detenuti stranieri, uno è finito al pronto soccorso in quanto è stato mezzo strangolato riportando delle abrasioni al collo, mentre l’altro, che non è finito al pronto soccorso, è in uno stato psicologico di terrore in quanto minacciato di morte, queste le prime notizie giunteci.” Personale operante all’interno della struttura di Quartucciu. “Questa è la situazione aggiornata ad oggi: forza polizia penitenziaria 27 di cui 14 in malattia. Altri 3 colleghi assenti per altri motivi, tra i rimanenti 10 il Comandante di Reparto ed il matricolista che devono assorbire tutte le incombenze del servizio delle cosiddette cariche fisse. “Oggi è stata allertata la Prefettura, la Polizia di Stato e i Carabinieri che ogni mezz’ora effettuano un giro di controllo. Il Comandante di Reparto l’Ispettore Superiore Mario Usala unitamente al restante personale del Reparto non possono smontare dal servizio che ormai si protrae da molte ore.” “Una situazione veramente drammatica, mai come oggi il Personale si sente abbandonato dalle Istituzioni. Più volte in questi giorni abbiamo chiesto un incontro urgente ma non abbiamo avuto nessuna risposta in merito, l’Amministrazione sottovaluta tale situazione, fa orecchie da mercante e intanto i colleghi continuano ad essere aggrediti, umiliati e mortificati nella persona”. “Il Comandante di Reparto ha chiesto la chiusura dell’I.P.M. o in alternativa di tenere utenza solo Sarda, praticamente 4/5 detenuti. Noi lo chiediamo da molto tempo anche per poter ristrutturare il carcere, così come abbiamo chiesto di rivedere l’organizzazione del lavoro ed in particolar modo abbiamo chiesto, e lo ribadiamo oggi, un’ispezione interna affinché si ricerchino eventuali responsabilità. Perché si è arrivati a questo punto ? perché non sono stati messi in atto i correttivi necessari per risolvere definitivamente il problema?”. Sciopero della fame e della sete. “All’Amministrazione mandiamo questo messaggio: in caso di mancata e celere risposta anche a questo ennesimo documento sindacale attiveremo tutte le forme di protesta consentite, dallo sciopero bianco all’astensione della M.O.S., dall’autoconsegna allo sciopero della fame e della sete ad oltranza.” Catania: detenuto evade dall’ospedale, catturato poche ore dopo Adnkronos, 13 novembre 2012 L’uomo, è stato catturato circa tre ore dopo dagli stessi agenti di polizia penitenziaria ai quali era stato affidato in custodia in ospedale ed ai quali era sfuggito, che per le ricerche hanno usato le loro automobili private. A Catania, stamane, un detenuto di 30 anni, T.B., è evaso dal Pronto Soccorso dell’Ospedale Garibaldi dove si trovava provvisoriamente per delle cure. L’uomo, però, è stato catturato circa tre ore dopo dagli stessi agenti di polizia penitenziaria ai quali era stato affidato in custodia in ospedale ed ai quali era sfuggito, che per le ricerche hanno usato le loro automobili private. Lo ha reso noto il vice segretario generale dell’Osapp Mimmo Nicotra, aggiungendo che l’uomo “era custodito solamente da due agenti di polizia penitenziaria”. Il detenuto, proveniente dal carcere di Piazza Lanza, dove è recluso per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, ha chiesto di andare in bagno e ha strattonato con violenza l’unico agente che lo tratteneva, per darsi immediatamente alla fuga. Bologna: Sappe; familiari cercano consegnare hascisc a detenuto di origine magrebina Ansa, 13 novembre 2012 “Continuano i tentativi di introdurre droga in carcere”. Lo afferma il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista durante: ‘ieri è successo nel carcere bolognese della Dozza, dove i famigliari di un detenuto di origine magrebina hanno cercato di consegnare hascisc al proprio congiunto, occultandola tra i generi alimentari che gli stavano consegnando. Gli agenti, effettuando la perquisizione e i controlli di rito, si sono accorti della presenza dell’involucro e lo hanno sequestrato. Dopo i controlli è risultato che si trattava di cinque grammi di hascisc pronti per essere usata all’interno del carcere. “I tossicodipendenti in carcere - ricorda Durante - sono circa il 25% della popolazione detenuta e molti di loro potrebbero usufruire di misure alternative alla detenzione, come la sospensione della pena e l’affidamento terapeutico, se avessero già superato un programma di recupero, ovvero intendessero sottoporsi a tale programma. Inoltre, la polizia penitenziaria non dispone di idonei strumenti per prevenire l’introduzione di sostanze stupefacenti in carcere. Ricordiamo che solo sei regioni dispongono delle unità cinofili, tra queste non c’è l’Emilia-Romagna”. San Benedetto (Ap): il 16 convegno “Misure alternative alla detenzione ed emergenza carceraria” www.ilquotidiano.it, 13 novembre 2012 Venerdì 16 novembre, dalle ore 16, presso la Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche un incontro in cui sarà offerto il quadro della situazione carceraria regionale e locale Carceri che scoppiano, detenuti imbottigliati in pochi metri quadrati in attesa di niente, leggi inapplicate o applicate solo in parte per mancanza di risorse. Dietro le sbarre, un bollettino di guerra quotidiano tra suicidi e atti di autolesionismo. Nel limbo, la valanga di ristretti in attesa di giudizio e quelli che stanno scontando condanne di pochi mesi per piccoli reati. Quanto incide oggi l’applicazione delle misure alternative sul sovraffollamento degli istituti di pena? Se ne parlerà venerdì 16 novembre, dalle ore 16, presso la Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche, in via del Mare a Porto d’Ascoli di San Benedetto nel corso dell’incontro promosso dal Rotary Club San Benedetto del Tronto Nord. “Misure alternative alla detenzione ed emergenza carceraria”, questo il titolo del convegno che vedrà tra i relatori l’avvocato Alberto Simeone, estensore della nota legge sulle misure alternative al carcere che porta il suo nome. Interverranno il direttore del carcere di Ascoli Piceno, Lucia Di Feliciantonio, il magistrato di Sorveglianza per le province di Ascoli e Macerata, Filippo Scapellato, l’Ombudsman delle Marche, Italo Tanoni e il direttore di “Io e Caino”, il giornale del carcere di Ascoli, Teresa Valiani, che offriranno il quadro della situazione regionale e locale. Dopo il saluto del presidente del Rotary Club San Benedetto del Tronto Nord, Raffaele Travaglini, del sindaco di San Benedetto, Giovanni Gaspari, e del Presidente dell’Ordine degli avvocati di Ascoli Piceno, Francesco Marozzi, introdurrà i lavori l’avvocato Enrica Piergallini. Coordina l’evento l’avvocato Silvio Venieri. Interverranno anche alcuni redattori di “Io e Caino”. Il convegno è aperto a tutti ed è accreditato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Ascoli Piceno con il riconoscimento di 4 crediti. L’incontro si avvale del patrocinio del Comune di San Benedetto del Tronto. Non occorre pre-iscrizione. India: il Ministro Terzi; caso maro, decisione Corte Suprema Nuova Delhi tarda ad arrivare Agenparl, 13 novembre 2012 “Stiamo aspettando una decisione della Corte Suprema di Nuova Delhi che tarda ad arrivare. Di certo, dalla nostra ci sono tutte le ragioni giuridiche per aspettarci un verdetto favorevole su due aspetti: quello della sovranità dello stato di bandiera per le navi in alto mare, e quello della giurisdizione funzionale sui militari, quali organi dello Stato”. Lo afferma il Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, riguardo il caso dei due marò italiani detenuti in India, in un’intervista a Pubblico “Questo secondo aspetto - aggiunge - riguarda la dignità delle forze armate rappresentate da due uomini che sono immotivamente e illegalmente trattenuti da otto mesi da uno Stato straniero e su questo l’Italia è determinata a far valere le sue ragioni”. Svizzera: detenuto russo si impicca nel carcere di Zurigo, non voleva essere rimpatriato Reuters, 13 novembre 2012 Un detenuto è stato trovato morto questa mattina nel carcere di Zurigo. Si tratta di un 30enne russo arrestato in quanto, nonostante la sua richiesta di asilo fosse stata respinta, non voleva lasciare il Paese. L’uomo si è impiccato nella sua cella. Un secondino ha trovato il detenuto senza vita verso le 5 di stamattina, hanno comunicato le autorità, precisando che il corpo sarà sottoposto a un’autopsia.