Giustizia: nelle carceri una strage quotidiana. Presidente Napolitano, fino a quando? di Valter Vecellio Notizie Radicali, 8 marzo 2012 Da settimane, mesi, Marco Pannella si rivolge pubblicamente al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Gli ricorda quello che disse nel luglio scorso, in occasione di un prestigioso convegno al Senato: quando a proposito della giustizia e della situazione nelle carceri, parlò di “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. In quell’occasione Napolitano riconosceva che quello “della giustizia, del diritto dei cittadini a una “giustizia giusta” e all’effettivo rispetto della loro dignità se colpiti da sanzioni per imputazioni o per condanne” era un problema prioritario: e individuava come indispensabile e indilazionabile, “uno scatto, una svolta, non fosse altro per istinto di sopravvivenza nazionale”, e chiedeva che ci si riflettesse seriamente, e presto, da ogni parte. Da allora nulla. Nulla da parte dei partiti politici, dei loro leader; dello stesso presidente Napolitano. Pannella propone, confortato da individuali e prestigiosi consensi e adesioni, un provvedimento di amnistia, quale primo passo per porre mano alla riforma della giustizia; molti rispondono che non si può, non si deve, non si vuole. Avranno le loro ragioni, rispettabilissime. Ma avrebbero il dovere di indicare una possibile “altra” soluzione. E invece al “niet” verso l’amnistia si accompagna il silenzio. Si spera forse che le cose si aggiustino da sole? Così solo si incancreniscono ulteriormente. Nascondere la testa sotto la sabbia non ha mai risolto i problemi. Per questo diventa pressante l’appello al presidente della Repubblica. Ogni giorno Napolitano interviene, dice, parla, opera. Ma su tutto, meno che sulla da lui individuata “prepotente urgenza”: Che può, che potrebbe fare, si obietta. La Costituzione gli offre un potere, mai usato da lui e dai suoi predecessori: il messaggio alle Camere. Si rivolga il presidente Napolitano al Parlamento, dica a deputati e senatori che devono dar corpo e sostanza all’auspicata “riflessione”, levi la sua autorevole voce e chieda lo “scatto”, la “svolta”. È questo l’appello, la richiesta di Pannella. Messaggio alle Camere, “scatto”, “svolta”. Semplice e chiaro, un appello e una richiesta molto ragionevoli, ci si limita a chiedere di essere conseguenti a quello di cui ci si dice convinti: se vuoi, puoi. Se puoi, devi. È per questo che l’appello non ha alcuna eco, è per questo che nei mezzi di comunicazione, giornali e televisioni, si parla e discute, ci si confronta e si “riflette” su tutto, meno che su questo? La situazione è questa. Nel 2011 si sono suicidati 63 detenuti (38 italiani e 25 stranieri) nei penitenziari italiani su un totale di 186 persone decedute per cause naturali o per cause da accertare (in 23 casi sono in corso indagini giudiziarie). Nel 2010 i suicidi furono 65, i tentati suicidi 1.137, gli atti di autolesionismo 5.703, i decessi per cause naturali 108. Il totale dei “morti in carcere” nel corso degli ultimi 12 anni supera le 2.000 unità: 1.954 fra i detenuti e 91 fra gli agenti di Polizia penitenziaria. Dal 2000 al 2012 si sono uccisi 700 detenuti e ci sono stati anche 85 agenti suicidi. Queste cifre terrificanti emergono dal rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia. Il numero dei suicidi è alto perché l’Italia è fra gli ultimi posti in Europa nel rapporto fra detenuti e posti in carcere. La situazione al 29 febbraio 2012 è la seguente: capienza complessiva 45.742 posti; detenuti presenti 66.632, di cui solo 38.195 sono condannati definitivi. Gli stranieri sono 24.069 (20,1% marocchini, 14,9% romeni, 12,9% tunisini, 11,6% albanesi). Le leggi svuota carceri (quella di Alfano del 2010 e quella recentissima del ministro Severino) hanno consentito l’uscita dal carcere di 5.140 persone. Se il problema carceri non verrà risolto al più presto, l’Italia rischia di pagare caro anche dal punto di vista economico. L’Italia non ha il reato di tortura, ma il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) ha stabilito nel 1992 che ogni detenuto deve disporre di almeno 7 metri quadri nelle celle singole e di almeno 4 metri quadri nelle celle multiple. Se si hanno a disposizione meno di tre metri quadri, si è in presenza di tortura. L’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo stabilisce: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Nel 2008 la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano a versare 5.000 euro al detenuto Scoppola perché non fu protetta la sua salute. Nel 2009 la stessa Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire 1.000 euro al bosniaco Sulejmanovic perché detenuto con altre quattro persone in una cella di 16 metri quadri. Nel 2001 il Tribunale di Sorveglianza di Lecce ha riconosciuto il danno esistenziale al tunisino Abdelaziz, rinchiuso con altre due persone in una cella di 11,5 metri quadri ed ha imposto un risarcimento di 220 euro a carico dell’amministrazione penitenziaria. L’ordinanza è stata impugnata dall’avvocatura di Stato in Cassazione. Sempre a Lecce, il 13 febbraio 2012, l’amministrazione penitenziaria è stata condannata a risarcire i danni per la lesione della dignità e dei diritti di quattro detenuti del carcere di Borgo San Nicola. Il giudice Luigi Tarantino ha riconosciuto, nei confronti dei detenuti, “lesioni della dignità umana, soprattutto in ragione dell’insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione”. Il Tribunale di Asti nel gennaio 2012 ha condannato alcuni agenti di polizia penitenziaria “per violenze fisiche e privazioni del sonno”. Un capitolo a parte è quello degli ospedali psichiatrici giudiziari che saranno chiusi a partire dal primo febbraio 2013. Il ministro Severino, alla Commissione Diritti umani del Senato, ha ribadito che “le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose dovranno essere dimesse senza indugio e prese in carico, sul territorio, dai dipartimenti di salute mentale”. Al 31 dicembre 2011 risultano 1.549 internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, case di lavoro e case di cura e custodia: rappresentano il 2,3% della popolazione detenuta. Si torna dunque a chiedere: si parla e discute, ci si confronta e si “riflette” su tutto, meno che su questo? Giustizia: Rapporto del Parlamento… “lo Stato tortura in carcere” di Alessandro Calvi Il Riformista, 8 marzo 2012 Drammatico il quadro dipinto nel Rapporto della Commissione del Senato. Registrati casi di tortura ma non c’è la norma per intervenire. Presto su questo reato un testo unificato. Nelle carceri lo Stato viola la legalità; si è arrivati a forme di tortura che non sono state punite soltanto perché nel codice penale quel reato ancora non c’è. Ecco, perché è “urgente” introdurlo.Adirlo, adesso, è la commissione Diritti umani del Senato, ossia lo stesso Parlamento italiano. Il quale, peraltro, sarebbe anche l’unico soggetto in grado di riparare a quella lacuna. Il ragionamento è contenuto nel Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari approvato martedì scorso. In quel documento si parte da una recente sentenza del tribunale di Asti che ha mandato assolti “agenti della polizia penitenziaria responsabili, senza alcuna possibilità di dubbio, di torture su detenuti, per mancanza della norma necessaria”. Insomma, “è una sentenza che dimostra in modo incontrovertibile l’esistenza di un vuoto al quale è necessario rimediare immediatamente”. La lacuna si spiega con una difficoltà culturale delle istituzioni democratiche ad accettare che lo Stato possa essere autore di atti di tortura. Inoltre, si è sostenuto che gli strumenti per colpire certe condotte esistevano già, anche se la vicenda di Asti dimostra che così non è. Infine, qualche resistenza è giunta da chi temeva si volessero colpire le forze dell’ordine. “Ma spiega il presidente della commissione, Pietro Marcenaro non è così e, anzi, l’introduzione di questo reato è anche a tutela della dignità e dell’onore delle forze dell’ordine”. Su come procedere, il Rapporto è chiaro: “Non c’è nulla da inventare: la definizione di tortura e trattamenti inumani e degradanti è già scritta con assoluta precisione nella convenzione delle Nazioni Unite che l’Italia ha già sottoscritto e ratificato”. L’idea è di unificare i diversi testi esistenti “per dare vita ad un solo testo comune” e “chiedere che venga quanto prima messo all’ordine del giorno, discusso e deciso”. Quello sulla tortura, però, è soltanto un passaggio all’interno di un ragionamento che si sviluppa per decine di pagine ricche di notizie ma anche di orrori dei quali il nostro Paese è responsabile. Non a caso, nella introduzione si legge che “ogni violazione dei diritti umani non è solo un fatto eticamente riprovevole ma una vera e propria violazione della legalità” e che “affermare che la condizione dei detenuti costituisce una violazione della legalità da parte dello Stato non è una forzatura frutto di una pur legittima indignazione ma una pertinente considerazione tecnica”? Il problema dei problemi è il sovraffollamento. Al 29 febbraio i detenuti presenti nei 206 istituti di pena erano 66.832 contro una capienza di 45.742. Soltanto poco più della metà di questi stanno scontando una condanna definitiva. Gli altri, invece, sono in attesa di giudizio, contribuendo, loro malgrado, al sovraffollamento. È questa una spia di dove si devono cercare le cause del problema che non risiedono necessariamente nella scarsità di risorse a disposizione. È anzi lo stesso Rapporto che fa notare che “in questa illegalità non c’è nulla di contingente, frutto di una situazione particolare resa ancora più drammatica dalla crisi economica e dalla scarsità di risorse, e destinata ad essere prima o poi superata”. “Essa si legge è invece la diretta conseguenza della quasi assoluta identificazione della pena con il carcere”. A voler essere ancora più chiari, allora, si deve considerare “il forte impatto che alcune leggi recenti hanno avuto sull’alto tasso di crescita della popolazione carceraria”. Per “leggi recenti” si intende prima di tutto la Fini-Giovanardi del 2006 sulla droga la quale, si legge nel Rapporto, “ha determinato un aumento considerevole della presenza in carcere di tossicodipendenti da una parte e di soggetti con condanne brevi o brevissime per violazione della norma dall’altra”, tanto che “circa metà della popolazione detenuta è interessata nell’uno e nell’altro modo dal fenomeno”. Ci sono poi da considerare gli effetti perversi della ex Cirielli, legge ad personam per eccellenza, servita per tagliare la prescrizione. Ma nel Rapporto che, vale la pena ricordarlo, è passato con un voto unanime, si fa notare che “per i recidivi sono stati introdotti inasprimenti di pena e il divieto della prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti ed è stata fortemente irrigidita la possibilità di ottenere misure alternative”. Insomma, se la Fini-Giovanardi ha spalancato inutilmente le porte del carcere per molti, con la ex Cirielli quelle porte sono state richiuse quando però le celle erano ormai stracolme. Davvero un capolavoro, questo, al quale il legislatore deve porre rimedio, se in questo Paese siamo arrivati alla permanente violazione dei diritti umani dei detenuti, sfociata addirittura in atti di tortura. Giustizia: la doppiezza sulle carceri di Enrico Sbriglia (Segretario Nazionale Si.Di.Pe.) Il Riformista, 8 marzo 2012 Del carcere si è parlato troppo, tanto, e si è fatto poco. Forse, inconsapevolmente, anch’io vi ho contribuito, per cui cercherò di essere più chiaro, provando ad esprimermi con la doverosa sintesi concettuale. Le semplici cose che dico, ma sono solo uno dei tanti in quanto le medesime, seppure con un’enfasi doverosamente politica e con un logos più qualificato, le gridano da tempo i Radicali, e poi, sempre meno timidamente, altri politici appartenenti ai diversi schieramenti, hanno un senso se ci ritroviamo su un punto comune ed inamovibile: il sistema penitenziario ha, nella sua mission, il perseguimento della Sicurezza non prescindendo, ma anzi svolgendo a tutti i livelli e con convinzione, testimonianza di legalità ed adempiendo alla funzione istituzionale di garanzia dei diritti fondamentali della persona. Ritrovati in questa premessa, tutto risulterà incredibilmente più semplice. Potrebbe apparire “rivoluzionario”, proprio nel luogo che si ritiene debba mostrare il rigore della legge, dovrebbero assicurarsi, escludendo il governo personalissimo della libertà individuale, i diritti fondamentali dell’uomo che sono la salute, la propria sensibilità religiosa, l’istruzione, con tutti i loro intrecci e corollari degli ulteriori ma non meno importanti diritti derivati. Ma è proprio questa la sfida che dobbiamo lanciare per fare Sicurezza duratura: porre le persone in condizioni di comprendere ed esercitare i diritti in modo responsabile, ben intuendo che essi non sono disgiunti dalla pratica dei doveri ed il primo dovere è rispettare la dignità umana, e quindi la vita, l’onore, l’integrità, le differenze, il credo, l’handicap, la malattia, la sofferenza dell’altro. Vediamo allora le nostre carceri, sono la proiezione di tanto? La risposta la conosciamo e l’indignazione viene periodicamente a galla solo quando qualcosa di nuovo e tragico accade, seppure nella verità e per tanti signor nessuno, quello che con linguaggio burocratico classifichiamo come “evento critico” si è ripetuto mille volte e più. “Un detenuto si è suicidato nel carcere di ..., era giovane, tossicodipendente; un altro detenuto si è impiccato a ..., era anziano e malato; un altro si è ucciso a ..., era straniero non aveva alcun legame sul territorio; ancora un altro si è ammazzato a ..., aveva preso tangenti”. Il mio non è un discorso pietistico, ma il semplice tentativo di richiamare a coerenza un sistema che per funzionare non deve avere tentennamenti sulla sua mission, non deve transigere, non deve piegarsi alle mode e paure del momento, ma deve andare fiero dei propri fini, difficilissimi ma necessari, allo scopo di non trasformare le carceri in fabbriche di violenze, di negazione dei diritti fondamentali, in incubatoi dove mettere a dimora le sementi delle criminalità che verranno, comuni, organizzate e terroristiche: il carcere deve essere il luogo dove nessuno possa nascondere l’odio, le frustrazioni, il primato della violenza. Parole? non so, io ci credo, e così ci credono in tanti, anzitutto gli operatori penitenziari. Possibile che nessuno realizzi che se gli stessi poliziotti penitenziari invocano un codice penale minimo, chiedono a gran voce di essere aiutati a rispettare i fondamentali del loro lavoro, che sono sicurezza e trattamento, invitano a riflettere sulla necessità che si trovino misure efficaci di svuotamento delle carceri, prima che si oltrepassi definitivamente la linea della barbarie, essi che di regola sono riservati nelle esternazioni, significa che qualcosa davvero di orribile potrebbe ancora accadere e che l’unica arma efficace che possiamo brandeggiare è quella del rispetto convinto, senza se e senza ma, dell’ordinamento penitenziario? Il suicidio di diversi appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria e di alcuni direttori ne sono la tetra premonizione. Come possiamo esigere rispetto per la condizione di prigionia dei nostri connazionali all’estero quando poi, di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo siamo ripetutamente condannati per il trattamento disumano e degradante che affliggiamo agli ospiti delle patrie galere? È vero, per cambiare lo stato delle cose occorrono risorse umane e finanziarie, ma che si trovassero! Non si può essere doppi, non si può e non si deve! Giustizia: Bernardini (Radicali); il 41-bis è una moderna “tortura democratica” Agi, 8 marzo 2012 “Tornare a discutere sulla necessità, efficacia e costituzionalità della moderna tortura democratica rappresentata dal cosiddetto carcere duro”. È la proposta di Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Pd e componente della Commissione Giustizia della Camera, dopo che Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha dato esecuzione al provvedimento col quale il magistrato di sorveglianza di Roma, Enrico della Ratta Rinaldi, ha stabilito che al detenuto G.C., sottoposto al 41-bis nella casa circondariale Rebibbia Nuovo Complesso, non potesse essere inibita la visione dei canali tv Rai Sport e Rai Storia”. Sebbene, osserva Bernardini in una nota, “il provvedimento risalisse al lontano 17 maggio 2011, in tutti questi mesi il Dap, su concorde parere del ministro della Giustizia, aveva continuato a impedire al detenuto la visione dei due canali poiché “avrebbero potuto essere usati per veicolare messaggi all’esternò”. Per circa un anno, è l’analisi della deputata radicale, “Dap e ministro si sono fatti beffe di un legittimo provvedimento adottato dall’autorità giudiziaria attraverso comportamenti destabilizzanti dell’ordine costituzionale. Sulla vicenda avevo rivolto una interrogazione al ministro della Giustizia al quale ho chiesto di attivarsi con tempestività per garantire il rispetto della giurisdizione mettendo in esecuzione il provvedimento di quel magistrato, il che è puntualmente avvenuto, anche se con colpevole quanto intollerabile ritardo. Giustizia: Garante Lazio, da 48 ore disservizio sistema informatico dap Adnkronos, 8 marzo 2012 Da oltre 48 ore, in tutte le 206 carceri di Italia vi è un forte disagio tecnico, operativo ed organizzativo, a causa del disservizio del sistema informatico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il sistema che consente di gestire, via computer, tutto ciò che avviene negli istituti penitenziari del Paese. La denuncia è del Garante dei diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Da lunedì scorso i collaboratori del Garante hanno iniziato a segnalare situazioni via via sempre più critiche all’interno dei 14 istituti della Regione. Una situazione che, poi, si è scoperto riguardare tutta Italia. In particolare il disservizio del sistema informatico del Dap sta causando molte difficoltà agli agenti di polizia penitenziaria ed agli educatori, nelle pratiche che riguardano la gestione ordinaria e quotidiana di un carcere, tra cui: registrazione degli ingressi dei detenuti e di tutta la mobilità da e per il carcere, gestione dei conti correnti e dei soldi dei detenuti, collegamenti con gli uffici dei provveditorati regionali ecc ecc.. In queste ore infatti, tutte queste pratiche sono trattate manualmente. Molte difficoltà anche per i detenuti, che non possono acquistare i generi di prima necessità come le derrate alimentari ma anche l’acqua, le sigarette, francobolli, di cui hanno bisogno e diritto, a causa dell’impossibilità di accedere al conto corrente informatizzato su cui sono depositati i propri soldi. “Volontari, educatori, agenti di polizia penitenziaria e familiari di tanti detenuti - ha detto il Garante - ci stanno chiamando in queste ore da tutta Italia per segnalare questa situazione che, ormai, va avanti da due giorni e, che è bene ricordare, riguarda più di centomila persone tra detenuti ed operatori penitenziari. Una situazione che, se non risolta in tempi brevi, rischia di esasperare ulteriormente gli animi delle migliaia di persone molto spesso recluse, in condizioni disumane, negli istituti di pena. Non ho dubbi che, al Dap, si stia affrontando questa situazione con la rilevanza che merita. Spero si faccia presto a tornare alla normalità”. Giustizia: 8 marzo; Sarno (Uil Pa), si affronti disagio lavorativo donne in carcere Adnkronos, 8 marzo 2012 “Celebrare l’8 marzo all’interno del sistema penitenziario significa recuperare il senso vero della ricorrenza, perché le appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, ma più in generale tutte le operatrici penitenziarie, hanno molte buone ragioni per ricordare, nel giorno dedicato all’universo donna, il disagio e la fatica che deriva dalle gravi e infamanti condizioni di lavoro in cui sono costrette a operare. Nonostante ciò non risparmiano impegno, dedizione, professionalità, sensibilità e umanità nell’assolvimento quotidiano delle loro funzioni. Le nostre donne rappresentano, senza alcun dubbio, un esempio per tutto il mondo del lavoro”. Queste le parole che Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, ha rivolto alle donne che operano negli istituti penitenziari. “Non possiamo non auspicare - ha proseguito Sarno - che la questione delle condizioni di lavoro delle donne nei nostri istituti penitenziari, possa essere considerata una priorità assoluta dagli attuali vertici dipartimentali, soprattutto per quanto concerne le donne della polizia penitenziaria. Il contingente femminile dei baschi blu - sottolinea il segretario della Uil Penitenziari - assomma a circa 3.600 unità, molte delle quali in età anagrafica che supera i 50 anni. Tra l’altro la già esigua dotazione organica viene aggravata dalle circa 500 unità distratte dai compiti d’istituto per essere impiegate in sedi amministrative quali Provveditorati, Dipartimento, Ministero, ecc. L’impossibilità di garantire sufficiente operatività e adeguati standard di sicurezza all’interno delle sezioni femminili, è una delle tante criticità che investono il Corpo, che occorre affrontare con serietà e competenza, ma anche con urgenza”. Nel sottolineare come circa il 60% dei dirigenti penitenziari sia costituito da donne, Sarno ricorda anche la questione dei bambini detenuti con le proprie madri. “Non è possibile, in una giornata dedicata alle donne, dimenticare la questione delle detenute madri, o meglio, dei bambini detenuti - afferma il segretario della uil Penitenziari - La presenza di 55 bambini, al di sotto dei tre anni, nelle nostre prigioni, continua a essere una piaga nell’anima e un’offesa al senso civico. Voglio ardentemente sperare che la politica, i politici, i tecnici e gli amministratori vogliano e sappiano risolvere questo dramma. “La strada da seguire - prosegue Sarno - è certamente quella dell’Icam di Milano, dove le detenute madri hanno accesso a una struttura esterna al carcere, in ambienti più consoni a ospitare bambini. Questa dovrebbe essere la regola. Purtroppo continua a essere l’unica eccezione. Faccio, quindi, appello ai sindaci e ai presidenti delle province di Torino, Venezia, Roma, Avellino, Lecce, Genova e in tutte le realtà dove si trovano carceri con annessi asili nido, di mettere in campo ogni sforzo perché in sinergia con l’amministrazione penitenziaria e il mondo del volontariato, possano essere individuate strutture esterne alle carceri dove ospitare le detenute madri e evitare una ingiusta, quanto inconcepibile, detenzione a bambini che non hanno alcuna colpa e non hanno commesso alcun reato”, conclude. Giustizia: 8 marzo; festa per le donne in carcere… esposti lavori artigianali detenute Adnkronos, 8 marzo 2012 Celebrare anche in carcere la Festa della Donna, dare modo alle detenute di proporre all’esterno delle mura dei penitenziari le proprie realizzazioni artigianali. Questo il senso delle iniziative organizzate dal ministero della Giustizia in occasione della ricorrenza, che prevedono l’esposizione e la vendita di prodotti creati in carcere dalle detenute. In questo modo si vuole dare impulso al lavoro femminile in carcere, facendo conoscere all’esterno ciò che le detenute creano nei penitenziari e abbattendo, così, le barriere che naturalmente separano il mondo del carcere da quello esterno. La prima di queste iniziative è in programma domani a Roma, alle 10, a Palazzo Marini. Verranno presentate in quest’occasione le borse di cotone prodotte dalle detenute allieve del corso di decorazione pittorica, che si trovano all’interno dell’istituto femminile di Rebibbia. Per queste donne il corso è un’occasione di svago e di espressione della propria creatività, nonché l’opportunità di apprendere qualcosa che potrà tornare loro utile anche una volta uscite di prigione. Le borse presentate, inoltre, potranno essere acquistate il 16 e 17 marzo in tutti i super e ipermercati Coop del Lazio. Un’altra iniziativa legata alla Festa della Donna si svolgerà ad Alba (Cn). Qui, domani, la “Bottega Quetzal” e la “Casa di Pinocchio” esporranno alle 18 accessori realizzati artigianalmente, con materiale di riciclo, dalle detenute dell’atelier di cultura manuale “Fumne”. L’atelier, creato nel 2008 nei carceri di Lorusso e Cutugno di Torino, è una scuola artigianale gestita dalle detenute. La scuola, in particolare, è promotrice di un progetto che organizza laboratori che possono essere seguiti da donne “libere”. Giustizia: Riina jr; le associazioni “a tutti va data una nuova opportunità…” Redattore Sociale, 8 marzo 2012 Le voci delle onlus sulla questione del reinserimento del figlio del boss e sugli attacchi della Lega alla presidente dell’associazione che lo prenderà in carico. Favero (Ristretti Orizzonti): “Indecente e meschino” “Indecente e meschino”. Così Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti di Padova, bolla l’attacco della Lega Nord alla presidente dell’associazione “Noi famiglie padovane contro l’emarginazione”, incaricata di seguire il percorso di Giuseppe Salvatore Riina fuori dal carcere. Il Carroccio padovano a mezzo stampa ha rispolverato un vecchio arresto a carico della presidente della onlus, oggi dimissionaria, Tina Ciccarelli per spaccio di droga nel 1994. “Senza voler mettere in croce nessuno, ci domandiamo se sia davvero opportuno affidare a un’associazione con questi precedenti la gestione di Salvuccio Riina, terzogenito del boss mafioso Totò”, si chiedono i consiglieri comunali Luca Littamè e Mario Venuleo dalle pagine del Corriere Veneto. “Innanzitutto - sottolinea Favero - non possiamo fare distinzioni se una persona che esce dal carcere manifesta la volontà di continuare un percorso di cambiamento. E il fatto che si chiami Riina non cambia. È più saggio che una persona faccia un percorso di questo genere piuttosto che venga lasciata da sola. Ha il diritto di tentare di fare una strada diversa”. E tornando alla questione della dimissionaria Ciccarelli, Favero si dice indignata: “Non stiamo parlando di una persona che esce dal nulla per dare a Riina una possibilità, ma di una donna che opera in questo settore da anni. Lei non ha dato mai per perso nessuno, è una persona che sa prendere in carico i casi più difficili, quelli che nessuno vorrebbe seguire”. Favero rimanda al mittente le accuse sollecitando piuttosto “una discussione sulla legalità più seria. Viviamo in una società con basso senso di legalità, per cui qualsiasi cosa arrivi da un ambiente malavitoso ci terrorizza”. Armando Zappolini, presidente del Cnca nazionale, prende spunto dagli attacchi alla presidente per sottolineare che “tra chi lotta contro le droghe c’è anche chi in passato ha avuto con esse contatti di vario tipo. L’obiettivo dei percorsi di recupero è proprio quello di consentire alle persone di riaffermare la propria capacità di lavoro e relazioni”. Secondo Zappolini “la cultura oggi dominante in Italia vuole che le persone con un percorso legato alla droga vadano dritte in galera. Noi invece crediamo che le persone possano cancellare i propri sbagli. Il carcere dovrebbe aiutare a farlo, ma non ci riesce per mancanza di mezzi”. Anche Iles Braghetto, presidente della vicentina Fondazione San Gaetano, rimanda al mittente gli attacchi: “Una comunità seria deve tenere fede alla propria mission e non può non prendere in carico un detenuto indicato dal tribunale, anche se con tutte le cautele del caso”. Quanto agli attacchi personali, “non sono il modo per chiarire eventuali questioni legate a personalità ingombranti”. Di più, la vicenda personale di Ciccarelli non lo stupisce perché, dice, “anche se la storia del San Gaetano è diversa, è vero in generale che in molte comunità chi vi opera ha avuto trascorsi legati alla tossicodipendenza o comunque al mondo della droga. Non è il primo caso e non è il più scandaloso”. Anna Gioia Fontana, presidente del centro solidarietà Selene di Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, commenta così: “Non si può emarginare nessuno solo per le colpe del padre. Nel caso di Salvatore Riina ci sarebbero però da fare della valutazioni serie per essere certi che non ci siano agganci con il mondo da cui proviene”. Lettere: salute in carcere, l’ora dei fatti di Marco Tarquinia Avvenire, 8 marzo 2012 Caro direttore, c’è chi arzigogola sulla possibilità che sia giusto che circa cinquemila detenuti possano usufruire dei benefici del recente decreto legge Severino, eppure basterebbe considerare che in meno di tre mesi dall’inizio dell’anno, il tragico pallottoliere che misura le morti in carcere sta già oltre 13 (a oggi mentre scrivo) tra i detenuti. Ma poi ve ne sono due nelle camere di sicurezza e a questi va aggiunto un suicidio tra gli agenti di polizia penitenziaria. Non è il caso di raccontare che questi dati sono solo “la punta dell’iceberg” di un pianeta dove nell’ultimo anno sono entrati 90mila esseri umani, e ne restano oltre 66mila nello spazio adatto a 45mila. Questi dati sono noti da tempo, al punto che a febbraio del 2010, in Senato fu approvata una serie di mozioni, a seguito di quella da me presentata mesi prima, con un voto pressoché unanime e la proposizione di 12 punti. A due anni di distanza sono diventate realtà la norma sulle madri-detenute, quella sugli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) e sul ripristino di misure alternative al carcere. Ora c’è bisogno però di circolari ministeriali applicative, e di comportamenti conseguenti dell’amministrazione carceraria che ne permettano la realizzazione. Ecco perché - anche in un documento di queste ore del Forum della salute in carcere - torniamo a ricordare la necessità di un’immediata chiarificazione da parte del Ministero della Giustizia sulle detenuti madri considerando che, mentre scadeva il termine previsto dalla legge - approvata da mesi, ancora un bimbo nasceva a Rebibbia. E lo facciamo in anticipo sul 31 marzo 2012, termine indicato dal decreto legge Severino, per dare indicazioni conseguenti rispetto alle scelte fatte sugli Opg. Ci fidiamo degli impegni presi dal ministro. Tuttavia non posso fare a meno di ricordare che, in casi analoghi, ci vollero anni e persino decenni per passare dalle parole (della legge) ai fatti (della vita carceraria). Speriamo che stavolta i fatti concreti (circolari, atti regionali, prese in carico Asl, ecc...) diano ali alla legge approvata e non che ne siano l’ostacolo, la tomba. Il documento che come Forum della salute in carcere abbiamo inviato in questi giorni ai ministri della Giustizia, della Salute e dell’Integrazione ha voluto significare proprio questo: fatta la legge, il cammino della Salute -anche per tutti coloro che a vario titolo sono nel carcere - deve continuare. Ognuno si assuma le proprie responsabilità. Roberto Di Giovan Paolo, senatore Pd presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria Risponde Marco Tarquinia Applicare bene le leggi nel nostro Paese, caro senatore, è una sfida seria tanto quanto riuscire a portare in porto norme chiare ed efficaci. A volte persino di più. Mi auguro, e auguro al Forum che lei presiede, che la buona battaglia per l’umanizzazione della vita in carcere abbia successo pieno grazie all’impegno convergente di tutte le istituzioni, dei soggetti direttamente coinvolti e del volontariato. Certo, anche su questo fronte, l’attenzione di Avvenire non verrà meno. Sicilia: Fleres; Ministro riorganizzi servizi sanitari, chiarire se i controlli vengono effettuati Tm News, 8 marzo 2012 “Il Ministro della Giustizia intervenga sul Servizio sanitario nazionale e, limitatamente alla Sicilia, sull’Amministrazione penitenziaria, affinché ci sia una riorganizzazione ed un funzionamento migliore dei servizi sanitari all’interno delle carceri, garantendo i controlli previsti”. Lo chiede in un interrogazione al ministro della Giustizia Paola Severino il senatore di “Coesione nazionale - Grande Sud”, Salvo Fleres. “Occorre - osserva il parlamentare - accertare urgentemente lo stato igienico-sanitario, l`adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche dei ristretti negli istituti da parte dei medici provinciali”. “I medici provinciali - spiega Fleres - dovrebbero controllare due volte ogni anno le carceri italiane e informare, altresì, i competenti uffici regionali e il Magistrato di sorveglianza. È quindi urgente che il ministro - conclude - chiarisca se questo compito viene realmente svolto poiché negli istituti penali italiani il tasso di suicidi e malattie infettive cresce ogni giorno di più”. Sardegna: Psd’Az; verificare ipotesi trasferimento detenuti 41-bis in nuovo carcere Sassari Adnkronos, 8 marzo 2012 “Occorre verificare celermente la fondatezza delle ipotesi di destinazione della prima parte del carcere di Bancali (Sassari, ndr) che sarà pronta all’uso che sarebbe destinata ai detenuti in regime di carcere duro ex articolo 41-bis’. Questa la sollecitazione del Consigliere regionale della Sardegna Efisio Planetta (Psd’Az) contenuta in una interpellanza rivolta al Presidente della regione Ugo Cappellacci che sollecita ad esprimere ‘la forte contrarietà della Regione Sardegna rispetto a questo scellerato intendimento”. Secondo l’esponente sardista si tratterebbe di una “decisione ministeriale assunta unilateralmente non tenendo nella minima considerazione il parere della comunità locale e di chi la rappresenta. Queste circostanze denunciano il carattere spiccatamente neocolonialista dell’attuale Governo italiano e se confermate incideranno negativamente sul futuro del territorio - dichiara il consigliere dei Quattro mori - anche e soprattutto per le conseguenze sociali che deriverebbero dalla presenza di un carcere di massima sicurezza in un territorio già fortemente penalizzato dall’infausta esperienza dell’isola dell’Asinara”. Le perplessità di Planetta riguardano anche le procedure di affidamento degli appalti per la costruzione dei tre nuovi istituti penitenziari sardi e la motivazione per cui siano state secretate: “Le gare per l’affidamento dei lavori vennero curiosamente dichiarate secretate con decreto del Ministro della giustizia ed i relativi appalti vennero assegnati nel dicembre 2005 a tre società che si erano aggiudicate anche i lavori per il G8 della Maddalena, fra cui, per il carcere di Bancali, proprio la Anemone srl - precisa Planetta - già tristemente nota alle cronache per gli scandali connessi alla ricostruzione dell’Aquila”. Da qui la ulteriore richiesta di Planetta al Presidente della regione: “Credo sia opportuno che questa Amministrazione richieda un pronunciamento in via ufficiale ed urgente al Ministro di Grazia e giustizia, Paola Severino, che pure è rimasta senza parole per la visita effettuata nella struttura carceraria di Buoncammino, per sapere quale sia il termine previsto dal contratto per la fine dei lavori - conclude Planetta - e se siano stati previsti ulteriori lavori extra-contrattuali o opere in subappalto che hanno verosimilmente determinato il grave ritardo nella consegna della struttura di Bancali”. Pisa: esposto in procura sulla morte di Cobianchi nel carcere di Opera Il Tirreno, 8 marzo 2012 Si sono svolti ieri pomeriggio, nella chiesetta del cimitero suburbano, i funerali di Pino Cobianchi, noto a Pisa, purtroppo, come il serial killer delle lucciole. Condannato a due ergastoli, Cobianchi era stato trasferito a fine 2010 dal carcere Don Bosco a quello di Milano Opera e qui, il 13 febbraio scorso, in circostanze poco chiare, era stato trovato impiccato. Sulla sua morte la sua compagna, Luisa Borriello, ha presentato il 22 febbraio scorso un esposto diretto alla procura tramite la guardia di finanza di Pisa. In particolare nell’atto si chiedono chiarimenti soprattutto su un punto, messo in luce dall’obitorio lombardo, e cioè che la procura milanese non era stata avvisata dal carcere di Opera del suicidio del detenuto. E ancora nell’esposto si chiede come mai la notizia della morte sia stata data ufficialmente dopo pochi giorni solo ai carabinieri e a quelli che erano stati indicati come parenti diretti, cioè la sua compagna, sei giorni dopo, il 19. Questo aveva impedito la possibilità di effettuare il riconoscimento della salma, come prevede la legge, nelle ventiquattr’ore successive al decesso. Il riconoscimento è stato possibile, solo dopo insistenze della donna presso la direzione dell’obitorio, il 24 febbraio. La donna inoltre avrebbe chiesto ripetutamente di controllare l’intero corpo per vedere se ci fossero tracce di violenza, ma le sarebbe stato mostrato solo il viso dell’uomo. Una vita difficile quella del povero Pino, abbandonato da piccolo, cresciuto negli orfanotrofi e nei riformatori, di fatto un detenuto a vita, entrato in carcere ventenne per un omicidio ed uscito a cinquant’anni, a Pisa, dove aveva terminato la prima parte della sua reclusione e dove ha commesso una lunga serie di reati: incendi, rapine, furti e ben quattro delitti. Di un quinto non vi è mai stata prova. Dell’ultimo, quello di Veruska Vason, una ragazza pisana di 29 anni, quello che lo aveva fatto scoprire, aveva parlato alla redazione del Tirreno due mesi prima che fosse scoperto il corpo della ragazza, al punto che un redattore è stato testimone del pm per tutti e quattro gli omicidi. Portarlo a Pisa per la compagna è stato difficile e costoso, ma ce l’ha fatta. A dargli l’ultimo saluto c’era solo lei. Livorno: nelle carceri arriva la telemedicina, migliorerà offerta sanitaria per i detenuti Ansa, 8 marzo 2012 Arriva la banda larga e la telemedicina nei penitenziari di Livorno, Gorgona e Porto Azzurro. A partire dalla settimana prossima cominceranno infatti i lavori per le infrastrutture necessarie a portare all’interno degli istituti un’offerta sanitaria sempre più vicina a quella a disposizione degli altri cittadini. I detenuti potranno accedere per via telematica a vari servizi, spiega l’Usl 6, dalla semplice prenotazione delle prestazioni sanitarie grazie al collegamento alla rete aziendale, al teleconsulto medico, paragonabile in termini di qualità ed accuratezza a un visita fatta di persona o al semplice consulto di referti medici. Discorso a parte per la telecardiologia che permetterà di rilevare una serie di parametri vitali in persone con sofferenza cardiache e poterle refertare in tempo reale. “Si tratta - dice Monica Calamai, direttore generale della Usl 6 - di un altro passo in avanti nel lungo cammino di assunzione di responsabilità dell’assistenza sanitaria portato avanti dall’azienda su tutto il proprio territorio, carceri comprese”. Venezia: Radicali; il nuovo carcere non si farà, almeno si ristrutturi Santa Maria Maggiore Il Gazzettino, 8 marzo 2012 “Visto che come era prevedibile il nuovo carcere a Venezia non si farà, governo, parlamento e forze politiche spero vorranno finalmente sostenere la richiesta di Pannella e dei Radicali per l’amnistia quale indispensabile primo atto per rientrare dall’illegalità in cui il sistema giustizia e la sua appendice carceraria da anni vive umiliandoci di fronte all’Europa”. A dirlo è Franco Fois dell’Associazione VenetoRadicale, che incalza: “Dopo mesi di polemiche tutte concentrate su dove lo si doveva costruire, senza quasi mai chiedersi se era utile un nuovo carcere, ora siamo tornati al punto di partenza”, continua, bollando come demagogica l’idea dell’allora ministro Maroni. “Appena annunciato il progetto, in maniera demagogica dall’allora ministro al carcere veneziano di Santa Maria Maggiore venivano tagliati fondi per l’ammodernamento con la motivazione dell’imminente costruzione del nuovo istituto, 900mila euro dichiarava nell’aprile 2011 l’allora direttrice al senatore radicale Marco Perduca durante una visita ispettiva e riportato dai mezzi d’informazione. Ora, visto che la situazione di Santa Maria Maggiore è al limite del collasso, chissà se i fondi congelati saranno ridati per le indispensabili opere di ristrutturazione ed ammodernamento, ma soprattutto si inizi a valutare la richiesta di Pannella e dei Radicali per l’amnistia”. Il comunicato di Franco Fois Come era prevedibile il nuovo carcere a Venezia non si farà, la Ministra Paola Severino ha detto chiaramente che non ci sono i fondi necessari alla sua realizzazione. Dopo mesi di polemiche tutte concentrate su dove lo si doveva costruire, senza quasi mai chiedersi se era utile un nuovo carcere, ora siamo tornati al punto di partenza anzi, forse siamo pure retrocessi. Infatti appena annunciato il progetto, in maniera chiaramente demagogica dall’allora Ministro Maroni, al carcere veneziano di Santa Maria Maggiore venivano tagliati fondi per l’ammodernamento con la motivazione dell’imminente costruzione del nuovo istituto, 900mila euro dichiarava nell’aprile 2011 l’allora direttrice al Senatore Radicale Marco Perduca durante una visita ispettiva e riportato dai mezzi d’informazione. La situazione di S.M. Maggiore è al limite del collasso, oltre 350 detenuti a fronte di una capienza di 168, agenti in drammatica carenza di organico, operatori impossibilitati ad operare in modo efficace, carenza di fondi per i servizi di base come forniture di materiale per l’igiene... ora cosa si farà? Ora che l’alibi del nuovo istituto è venuto meno, i fondi congelati saranno ridati a S.M. Maggiore per le indispensabile opere di ristrutturazione ed ammodernamento (solo per citarne una: la sala regia con monitor vecchi di 20 anni ed in parte inutilizzabili)? E l’istituto a custodia attenuto (Sat) che dal 2008 è chiuso, temporaneamente si disse, per lavori di messa a norma, che potrebbe alleggerire il sovraffollamento di S.M. Maggiore e ridare significato al dettato costituzionale sul recupero del detenuto, sarà riaperto (dal 2009 al Senato una interrogazione sul Sat del Senatore Radicale Marco Perduca attende risposta)? Ma soprattutto governo, parlamento e forze politiche vorranno finalmente sostenere la richiesta di Pannella e dei Radicali per l’amnistia quale indispensabile primo atto per rientrare dall’illegalità in cui il sistema giustizia e la sua appendice carceraria da anni vive umiliandoci difronte all’Europa, come disse il Presidente Napolitano? Franco Fois, Ass. Veneto Radicale Ancona: interrogazione di Rita Bernardini sul carcere di Montacuto Notizie Radicali, 8 marzo 2012 Interrogazione di Rita Bernardini al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. Per sapere - premesso che: il 18 febbraio 2012 la prima firmataria del seguente atto di sindacato ispettivo ha visitato il carcere Montacuto di Ancona accompagnata da Marco Pannella, Irene Testa, Stefano Pagliarini, Matteo Mainardi, Mauro Paolinelli; alla visita ha presenziato la direttrice dottoressa Santa Lebborani; i detenuti presenti sono 381, ristretti nei 172 posti regolamentari; il 50 per cento sono stranieri, prevalentemente magrebini; i detenuti lavoranti alle dipendenze dell’amministrazione sono solo 35: pertanto la percentuale dei detenuti “occupati” non arriva nemmeno al 10 per cento, i tossicodipendenti e i casi psichiatrici sono moltissimi; 24 detenuti sono in trattamento metadonico; 101 ristretti sono in attesa del primo giudizio; nell’istituto penitenziario di Ancona convivono due realtà, quella della casa circondariale e quella della casa di reclusione che ospita 70 detenuti fra i quali anche qualche ergastolano non definitivo; le sezioni sono 4: quella dei detenuti comuni, due sezioni “alta Sicurezza” e una sezione-filtro per i detenuti promiscui/protetti; le celle di isolamento sono 4; gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 120 (compreso il nucleo traduzioni) a fronte di una pianta organica che ne prevedrebbe 170; quanto al “trattamento”, i detenuti trascorrono in cella 18 ore al giorno; circa 150 frequentano le scuole elementari, medie e superiori e i corsi di Yoga e radiofonia; l’accesso alle docce è previsto a giorni alterni; nell’istituto operano uno psichiatra per 4/5 volte alla settimana, uno psicologo di ruolo per 6 ore giornaliere e una psicologa di supporto; i detenuti nuovi giunti effettuano il colloquio con la psicologa solo se segnalati come casi gravi, altrimenti si incontrano solo con l’educatore; gli educatori affettivamente in servizio sono in tutto 4, compreso il responsabile di area perché uno è stato distaccato nel carcere di Bari e uno ha vinto il concorso da commissario; il volontariato in istituto è scarso; solo la Caritas è presente; la maggior parte delle celle, predisposte per un detenuto, ne ospitano in realtà tre; pertanto la delegazione ha visto letti a castello a tre piani e raccolto testimonianze secondo le quali due detenuti nel giorno della visita o poco prima avevano riportato contusioni agli arti e alla testa dovute alle cadute dalla branda posta più in alto; la delegazione ha avuto modo di vedere un giovane detenuto con problemi psichiatrici rinchiuso da solo in una indecente cella liscia con gravissime carenze igieniche, pareti sporche e scrostate, porte arrugginite, bagno sporco con, al posto del wc, il vecchio bugliolo; nella sezione-filtro, i detenuti lamentano il divieto, confermato dalla direttrice, di poter utilizzare il PC per studiare, oltre che la possibilità di accedere alla biblioteca; in particolare C.B. afferma che a Verona si era iscritto a giurisprudenza e che il fatto di non poter disporre di un computer gli crea non poche difficoltà di studio; in questa sezione non è prevista la possibilità di frequentare le scuole e le ore che si passano in cella sono in realtà 20, perché per il sovraffollamento non ci sono spazi per fare le due ore previste di socialità; un ragazzo ventenne fa colloqui solo una volta al mese con i genitori che sono di Pesaro; il magistrato di sorveglianza - affermano i detenuti - viene per effettuare i colloqui individuali, ma non visita le celle di detenzione; nella cella n. 93 manca il vetro in bagno (da notare che la visita ispettiva è stata effettuata subito dopo i giorni delle grandi nevicate che hanno colpito l’Italia e, in particolare, le Marche); “stiamo chiusi tutto il giorno” afferma un detenuto cardiopatico; “se uno chiama, rischia di morire perché nessuno ti sente”; poiché non fa colloqui, si lamenta del fatto di non poter effettuare le 2 telefonate al mese su cellulare previste dal regolamento in assenza di incontri con i familiari; nella cella non ci sono prese elettriche per l’eventuale uso del computer per motivi di studio o di lavoro; gran parte dei detenuti stranieri lamenta di non poter telefonare ai familiari per mancanza di soldi o per problemi burocratici dovuti alla compilazione delle richieste che arrivano incomplete al magistrato di sorveglianza cui spetta il rilascio delle autorizzazioni; nell’istituto manca la figura del mediatore culturale; sezione 1a; Cella 101: B.J. C.M. un detenuto portoghese, detenuto dal 29 settembre 2011, piange in presenza della delegazione per la mancanza di contatti con la sua compagna e la figlia che stanno in Spagna e con la madre che si trova in Portogallo; dice che non riesce nemmeno a parlare con il consolato, ma il problema viene risolto seduta stante dalla direttrice; un detenuto americano di colore conosce solo l’inglese e chiede di poter lavorare “non ho nessuno in Italia” dice, “quando uscirò sarò un homeless”; il terzo detenuto della cella 101 è affetto da celiachia e si lamenta del fatto che la moglie non può portargli la pasta per celiaci perché non gliela fanno passare (anche in questo caso la direttrice risolve il problema seduta stante: la pasta potrà essere inserita nel pacco); nella cella 123, la delegazione incontra A.D.S. i cui familiari vivono a Sant’Eramo in Colle in provincia di Bari e non possono venire a trovarlo; da un anno non vede i tre figli, uno dei quali minore; da tre mesi ha avanzato un’istanza al Dap per essere avvicinato alla famiglia indicando gli istituti di Matera, Turi, Trani o Bari, ma non ha ancora ricevuto risposta; A.D.S., privo di denti, ha fatto una richiesta il 14 novembre 2011 per ricevere una protesi senza la quale ha grosse difficoltà a mangiare, ma non ha ricevuto risposta, “qui è un lager” dice, ma “gli psicofarmaci sono abbondanti” e “per le emergenze notturne non c’è il medico”; nella cella 122 ci sono due rumeni e un bosniaco, il quale racconta di non fare colloqui perché i suoi 5 figli stanno a Roma; uno dei due rumeni è da 4 mesi nel carcere di Ancona e dice che non riesce a fare i colloqui con la sua compagna di Jesi nonostante abbia presentato l’atto di convivenza del comune; nella cella 106 un detenuto greco è senza lenzuola e cuscino e non c’è il sapone per lavarsi e per pulire la cella; nella cella 110 ci sono tre macedoni uno dei quali afferma di essere dimagrito 12 chilogrammi in otto mesi; un altro dice di aver fatto il 13 dicembre 2011 domanda per scontare gli ultimi mesi ai domiciliari secondo la legge n. 199 del 2010, ma di non aver ricevuto risposta; nella cella 117 ci sono un kosovaro, un bulgaro e un albanese; raccontano che il cibo del carcere è immangiabile e che ogni mese mettono assieme 50 euro per fare la spesa allo spaccio interno e in questo modo riescono a tirare avanti; nella cella 115 ci sono due rumeni e un egiziano; uno dei due rumeni dice “non posso fare colloqui, non possiedo niente; ho chiesto di lavorare, ma niente; non ho nemmeno una casa per andare ai domiciliari... gli avvocati d’ufficio non fanno niente”; nella cella 114 la delegazione incontra un detenuto egiziano: diabetico, dice di avere un dolore fortissimo alla testa e agli occhi, ma di non essere curato; è anche senza denti, quattro glieli hanno tirati via proprio nel carcere di Ancona; gliene sono rimasti tre e desidera tanto una dentiera per poter mangiare; la delegazione visita i locali delle docce veramente fatiscenti; la direttrice afferma che l’ingegnere ha assicurato che “il soffitto non dovrebbe crollare” e che è in via di approvazione un progetto per il rifacimento delle docce del valore di 1.700.000 euro; il detenuto N.G. che la delegazione incontra nella saletta dei nuovi giunti perché ha chiesto di parlare con il comandante, racconta di essere caduto dal letto a castello e che il 4 gennaio 2011 ha tentato di impiccarsi perché è un anno che non lavora e per protesta contro la terza branda; è pieno di lividi, zoppicante e chiede le stampelle; L.G. ha fatto richiesta di trasferimento a Palermo (dove peraltro è stato per due anni all’Ucciardone) per avvicinamento colloqui in quanto non vede i famigliari da 14 mesi; simile è la situazione di E.R. che ha avanzato istanza per essere avvicinato ai suoi famigliari di Palermo; V.L. ergastolano definitivo vive in cella con un altro detenuto in alta sicurezza; a metà dello scorso anno ha presentato istanza per poter fare gli studi universitari presso il carcere di Rebibbia, ma non ha ricevuto risposta; anche A.C. ha presentato istanza per la facoltà di economia e commercio grazie ad un trasferimento o ad Opera o a Rebibbia: anche lui è rimasto senza risposta; i commi 1 e 2 dell’articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 stabiliscono che “Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti”; il 1o comma dell’articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che “Il magistrato di sorveglianza” visita “con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali (...)”; il comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che “è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione” -: se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Montacuto di Ancona; se e quali iniziative di competenza intenda assumere per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori; se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un’adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l’assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza; se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle e, in particolare, delle docce; se intenda incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell’istituto e, in particolare, delle celle; in che modo intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa; cosa intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena; se abbia mai valutato o intenda valutare la possibilità di utilizzare tecnologie tipo Skype per ridurre il costo delle telefonate effettuate dai detenuti ai loro congiunti; quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza; se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Ancona, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo; cosa intenda fare per agevolare il compimento degli studi universitari dei due detenuti citati in premessa; quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di modificare radicalmente le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Ancona, così da garantire finalmente il rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio, alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti e di quanto prescritto dall’articolo 27 della Costituzione riguardo alle finalità rieducative della pena. Rieti: l’Assessore regionale alla sicurezza Cangemi visita la Casa circondariale Il Velino, 8 marzo 2012 Continua l’attività di monitoraggio delle carceri del Lazio da parte dell’assessore regionale ai rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, per verificare le criticità e le esigenze delle diverse strutture della regione, ognuna con necessità specifiche. Questa mattina è stata la volta della casa circondariale di Rieti. Accompagnato dal direttore della struttura, Vera Poggetti, l’assessore Cangemi ha visitato il carcere e si è intrattenuto a pranzo con gli agenti di polizia penitenziaria. “Abbiamo parlato di progetti innovativi per il carcere di Rieti - ha commentato Cangemi - che sono in fase di studio. Abbiamo trovato interessanti le richieste della direttrice soprattutto per quanto riguarda la formazione e il lavoro dei detenuti. Stiamo anche studiando la possibilità di dotare la struttura di un centro sportivo polivalente, così da poter venire incontro alle esigenze di detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Continuerò a seguire da vicino tutte le nostre strutture carcerarie, cercando, dove e come possibile, di rispondere positivamente alle richieste e alle esigenze di ognuno. Voglio sottolineare, soprattutto in un periodo in cui si fa tanto parlare di quote rosa e parità di diritti, come al vertice della struttura di Rieti vi siano due donne: la direttrice Vera Poggetti e la responsabile degli agenti di custodia, Noemi Gennari. A loro, considerando anche la ricorrenza dell’otto marzo, auguro di cuore un buon lavoro”. Sassari, intesa comune-carcere per inserimento bimbi in servizi prima infanzia Adnkronos, 8 marzo 2012 Il sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau e il Direttore del carcere cittadino di San Sebastiano, Francesco D’Anselmo, hanno sottoscritto un Protocollo d’Intesa per l’inserimento dei bambini in età compresa tra i 3 e i 36 mesi presenti, loro malgrado, con le loro madri detenute nella casa circondariale, nei servizi per la prima infanzia del Comune o nelle strutture private convenzionate. All’incontro con i giornalisti, nel carcere, erano presenti il Garante dei detenuti, Cecilia Sechi e le operatrici dell’Area Pedagogico-trattamentale del carcere e quelle del Servizio Politiche Educative per l’Infanzia del Comune. La sottoscrizione del documento nasce con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei bimbi costretti a vivere di fatto come detenuti, attraverso il loro inserimento nei servizi socio educativi per la prima infanzia del Comune di Sassari o nelle strutture private convenzionate. Al dicembre del 2010 in Italia erano circa 74 i bambini tra 0 - 3 anni rinchiusi negli istituti penali: un’incidenza elevata che ha portato nel 2011 il Governo a varare la legge 62 che prevede l’istituzione di case protette per detenute con figli. L’unico comune italiano ad aver costituito una casa protetta è quello di Milano. Il 36% dei detenuti nei carceri italiani sono genitori e 50 mila i minori figli di detenuti. Sassari è l’unico comune sardo a siglare un accordo di questo tipo. In Italia città come Genova, Torino e Venezia hanno già sottoscritto un protocollo d’intesa per consentire ai bambini e alle bambine di frequentare un nido ‘esternò e uscire quindi per qualche ora dalle case circondariali dove sono detenute le mamme. Solo il carcere di Rebibbia a Roma ha al suo interno un nido. A Sassari l’incidenza è di circa uno o due bambini all’anno, al massimo tre, ospitati all’interno del carcere. Attualmente la Casa circondariale San Sebastiano ospita un bambino di 16 mesi appena compiuti, figlio di una detenuta, in attesa di giudizio. Con la sottoscrizione dell’accordo, l’Amministrazione comunale si impegna a garantire presso le proprie strutture per la prima infanzia e presso strutture private convenzionate posti da destinare ai bambini e alle bambine in età 3/36 mesi ristretti, loro malgrado, con la loro madre presso la Casa circondariale San Sebastiano. Saranno gli operatori dell’Area Pedagogico - Trattamentale della Casa Circondariale di Sassari a richiedere, previo assenso formale da parte della madre del minore, l’inserimento prioritario nei sevizi per la prima infanzia. Alla realizzazione del progetto ha contribuito la Reale Mutua assicurazioni, in particolare il Direttore, Stefano Sardara, studiando e garantendo le necessarie coperture assicurative. Cagliari; 8 marzo; appello delle detenute per la liberazione di Rossella Urru Ansa, 8 marzo 2012 “Rivolgiamo un pensiero a Rossella Urru, una persona privata della libertà per avere scelto di dedicare il suo impegno a quanti hanno bisogno di aiuto. Non c’è luogo più simbolico per chiedere la sua immediata liberazione e non c’è giornata più significativa per pensare a lei che purtroppo condivide attualmente con le detenute madri, mogli, sorelle, fidanzate una condizione di negazione della persona”. È il concetto espresso dalla Presidente del Consiglio regionale della Sardegna on. Claudia Lombardo e condiviso dalle donne detenute e dalle Agenti della Polizia Penitenziaria del carcere di Buoncammino di Cagliari in apertura dell’incontro “Un sorriso oltre le sbarre” promosso dall’associazione “Socialismo Diritti Riforme” in collaborazione con la sezione cagliaritana della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari). Presente il Direttore della struttura Gianfranco Pala, il responsabile dell’Ufficio detenuti del Provveditorato Regionale (PRAP) Giampaolo Cassitta, la vice comandante di Buocammino dott.ssa Barbara Caria, la dott.ssa Giuseppina Pani in rappresentanza degli Educatori dell’Istituto, l’incontro è stato dedicato alle problematiche umane e sociali delle donne detenute. “La scelta di esprimere solidarietà e vicinanza alle donne detenute - hanno detto Maria Grazia Caligaris e Paola Melis presidenti rispettivamente di SdR e Fidapa - non è casuale. Nasce dalla volontà di offrire un conforto affettivo a chi in questa giornata è lontano dai propri familiari. Un segnale di attenzione e considerazione che intende attenuare il disagio e la disperazione tra queste mura”. A delineare lo stato detentivo delle donne detenute è stato il Direttore Pala. “L’universo femminile nelle carceri italiane - ha ricordato - rappresenta complessivamente circa 2.000 persone su 67 mila detenuti presenti nelle strutture. Ciò significa che le donne sono complessivamente più oneste degli uomini. A Cagliari sono un numero adeguato agli spazi disponibili ben lontano dal sovraffollamento che caratterizza invece la struttura nel suo complesso. Lo scarso numero di detenute tuttavia costituisce un handicap. Non è infatti sempre possibile promuovere corsi di formazione e iniziative che possano offrire un futuro lavorativo dopo l’esperienza detentiva”. Dopo i saluti delle delegazioni, erano presenti tra gli altri l’assessore comunale dei Servizi Sociali Susanna Orrù, la consigliera provinciale Rita Corda in rappresentanza della Presidenza della Provincia di Cagliari e Virginia Marci per volontà dell’on. Amalia Schirru, sono state le donne detenute a prendere la parola. Eugenia ha parlato della necessità di tornare al più presto al suo paese d’origine la Bolivia dove ha lasciato i suoi bambini. Gabriella ha presentato il suo stato di intolleranza verso la condizione di perdita della libertà con un precario equilibrio emotivo e una marcata anoressia; Gianna ha sottolineato la condizione della donna sola in una struttura senza alternative e Maria Giulia con un brano sulle donne di Kabul ha richiamato l’attenzione sulla violenza. Nel corso dell’incontro sono stati offerti alle detenute un kit con alcuni prodotti per l’igiene personale e una rosa rossa simbolo di passione che hanno condiviso con le Agenti della Polizia Penitenziaria in servizio. A Buoncammino si trovano 23 donne. Cinque sono italiane e sedici extracomunitarie, una rumena e una polacca. Due imputate e una appellante. Una concluderà di pagare il suo debito con la giustizia tra qualche mese. La più giovane è polacca e ha 25 anni; la più anziana è francese e ne ha 57. Roma: 8 marzo; visita Idv ad agenti carcere femminile di Rebibbia Dire, 8 marzo 2012 “Oggi mi recherò presso il carcere femminile di Rebibbia a Roma per incontrare la direzione, il personale di Polizia penitenziaria e Amministrativo femminile, l’altra faccia della medaglia di una situazione insostenibile e comune, purtroppo, all’intero sistema detentivo: la vergognosa carenza di organico”. Lo dichiara la senatrice dell’Italia dei Valori, Giuliana Carlino. La quale aggiunge: “Queste donne hanno tutto l’appoggio e l’ammirazione mio e dell’Italia dei Valori, perché sono costrette quotidianamente a carichi di lavoro e turni di copertura massacranti, che comportano disagi nella loro vita familiare e affettiva. Appena un anno fa siamo stati accanto alla loro durissima protesta durata circa una settimana, l’auto-consegna accompagnata dallo sciopero della fame e del riposo notturno, garantendo comunque la copertura totale del servizio nelle 24 ore. Ad oggi, pur con qualche lieve incremento di personale, la situazione resta drammatica. Che l’8 marzo sia occasione per non perdere di vista il disperato appello di chi sulla propria pelle svolge un lavoro difficile ed estremamente delicato. Il loro motto di allora “stanche sì, rassegnate mai” è anche quello di oggi”. “Un abbraccio da parte mia e dell’Italia dei Valori- conclude Giuliana Carlino- a tutte le donne del Corpo di Polizia penitenziaria”. Bologna: Unicef festeggia tra detenute della Dozza; 300 bambole di pezza confezionate in carcere Dire, 8 marzo 2012 Dall’autunno del 2010 sono 300 le Pigotte (bambole di pezza) confezionate all’interno del laboratorio aperto nella sezione della Casa Circondariale della Dozza da Unicef. Il progetto è partito grazie a un accordo tra il Comitato Unicef di Bologna e la direttrice della Dozza, Ione Toccafondi, che ha permesso di organizzare un incontro formativo sul significato della Pigotta nell’ambito della missione dell’Unicef di tutela attiva dei diritti dei bambini e da una formazione operativa per mostrare i vari passi necessari al confezionamento delle bambole. Si tratta di un’attività che consente alle detenute di uscire dalle celle, di lavorare in gruppo e di contribuire ad aiutare tanti bambini. L’8 marzo, Unicef sarà al fianco delle donne detenute alla Dozza per celebrare la Giornata delle donne. In previsione, per il futuro, c’è anche l’attivazione di un’analoga esperienza nella sezione maschile, coinvolgendo detenuti con abilità sartoriali. Un’esperienza virtuosa. Oltre allo scambio di idee tra persone, c’è l’impegno attivo e solidale delle donne detenute verso i bambini, espresso attraverso la capacità di collaborazione e di lavoro collettivo in piena armonia. Il progetto ha permesso di creare una catena di solidarietà dove ciascuna ha una specializzazione: chi crea modelli per vestire le bambole, chi si occupa dei capelli, chi delle scarpe, chi dipinge visi e chi pensa alle imbottiture... In occasione della Giornata delle donne, la direttrice della Dozza consegnerà all’Unicef, per conto delle detenute che le hanno realizzate, due targhe in ceramica con il logo e i colori dell’Unicef per la sede bolognese. Una Pigotta rappresenta un bambino in attesa di un aiuto che può salvargli la vita. Ogni giorno nel mondo muoiono 22.000 bambini sotto i cinque anni per cause che possono essere facilmente curate o prevenute. Adottando una Pigotta dell’Unicef si contribuisce a finanziare una serie di interventi salvavita per i bambini di molti Paesi del Sud del Mondo che prevedono cure mediche, acqua potabile, alimenti terapeutici, zanzariere anti malaria. Le Pigotte sono realizzate a mano da nonni, genitori, bambini, a casa, scuola, presso associazioni, centri anziani e dalle detenute della Dozza. Trento: detenuti impiegati in comando militare per la manutenzione di spazi verdi e ricreativi Ansa, 8 marzo 2012 Nella caserma Pizzolato di Trento, sede del Comando militare Trentino Alto Adige, alcuni detenuti o ex-detenuti in regime di limitazione della libertà personale potranno svolgere alcune attività professionali, tra cui la manutenzione delle aree verdi e degli spazi ludico-ricreativi. Lo prevede una convenzione firmata oggi alla caserma Pizzolato alla presenza del Commissario del governo, Francesco Squarcina, volta a promuovere l’organizzazione e la realizzazione di progetti per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, di entrambi i sessi, della Casa circondariale di Trento. Tale personale, indicato dagli educatori della struttura carceraria, avrà la possibilità di svolgere queste mansioni in qualità di prestatore d’opera-dipendente della cooperativa sociale 3F. Cagliari: 8 marzo; presidente assemblea sarda incontra detenute Buoncammino Ansa, 8 marzo 2012 La Presidente del Consiglio regionale della Sardegna on. Claudia Lombardo parteciperà domani mattina all’incontro con le detenute e le Agenti di Polizia Penitenziaria nella sezione femminile della Casa Circondariale “Buoncammino” di Cagliari. La visita è stata programmata nell’ambito della manifestazione “Un sorriso oltre le sbarre” promossa per il terzo anno consecutivo dall’associazione “Socialismo Diritti Riforme” in collaborazione con la sezione cagliaritana della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari). Il progetto teso a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di vita all’interno delle strutture detentive isolane caratterizzerà in senso umanitario e solidale l’8 marzo 2012 a Cagliari. Grazie alla disponibilità della Direzione dell’Istituto Penitenziario è infatti in programma, alle ore 10, oltre all’incontro, la consegna alle donne private della libertà di un pacchetto contenente dei prodotti per la cura personale. Verrà inoltre donata una pianta per la sezione femminile del carcere. L’appuntamento offrirà l’occasione per esaminare le problematiche connesse all’esperienza dentro la struttura detentiva delle carcerate e delle Agenti di Polizia Penitenziaria che condividono quotidianamente i disagi e le difficoltà derivanti dalla perdita della libertà e dalle condizioni di sovraffollamento. Faranno parte della delegazione, oltre alla Presidente Lombardo, Maria Grazia Caligaris e Paola Melis responsabili rispettivamente di Sdr e della Fidapa Cagliari, con alcune socie. Interverranno inoltre Susanna Orrù, assessore comunale dei Servizi Sociali, Rita Corda in rappresentanza della presidenza della Provincia di Cagliari e Virginia Marci delegata della Parlamentare sarda Amalia Schirru. Genova: Piredda (Idv); Pontedecimo efficiente, ma servono istituti custodia attenuata per madri Ansa, 8 marzo 2012 Questo pomeriggio, Maruska Piredda, consigliere regionale dell’Italia dei Valori e presidente Pari opportunità, ha visitato il carcere di Pontedecimo per verificare, insieme al comandante e al vicecomandante assegnati all’istituto, le condizioni dei detenuti e delle infrastrutture carcerarie. “Ho trovato una struttura efficiente che - dice Piredda - nonostante le difficoltà dovute ai tagli delle ultime Finanziarie, riesce a garantire un trattamento dignitoso ai detenuti grazie alla professionalità degli agenti e delle associazioni di volontariato”. Il carcere di Pontedecimo, rispetto ad altre strutture carcerarie, in termini assoluti presenta numeri ridotti, ma ha una percentuale del 50% di sovraffollamento. Attualmente le detenute sono 95, di cui 53 extracomunitarie. La capienza ottimale sarebbe di 45 detenuti. Dal 2005 nel carcere è stata aperta una sezione maschile, dove oggi sono presenti 88 detenuti di cui 52 extra-Ue. “Nonostante la legge dal 2010 non consenta la presenza di minori all’interno delle carceri - spiega Piredda - a Pontedecimo è ospitata anche una detenuta con la propria bambina. Questo perché in Liguria non esistono Icam, Istituti di custodia attenuata per madri, che garantirebbero una meno traumatica permanenza dei bambini, al di sotto dei tre anni”. Nel carcere mancano beni di prima necessità: dopo i tagli del governo, anche fornire uno spazzolino da denti a un detenuto può diventare un’impresa impossibile. “Inoltre - dice Piredda - mi è stata segnalata la grave carenza sanitaria. Dal 2010, quando la gestione del presidio è passata alla Asl 3, all’interno del carcere la presenza del medico è garantita solo fino alle 15, poi fino alle 22 solo da un infermiere. Di notte e nel fine settimana non c’è alcuna copertura sanitaria all’interno del carcere. Inoltre, il medico di guardia ha evidenziato la mancanza di un ecografo, indispensabile per la diagnostica e la prevenzione in loco che ridurrebbero i costi di spostamento del detenuto con una scorta di quattro agenti. Sul tema della situazione sanitaria carceraria, presenterò un’interrogazione all’assessore Montaldo. Che i tagli alle spese siano necessari è indubbio, ma ritengo opportuno che siano valutati preventivamente con chi ogni giorno deve farci i conti”. Immigrazione: genitori perdono permesso soggiorno, figli reclusi nel Cie da un mese Ansa, 8 marzo 2012 Andrea e Senad, fratelli di 23 e 24 anni di origine bosniaca ma nati e cresciuti a Sassuolo, da circa un mese sono trattenuti al Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena dopo che i genitori hanno perso il lavoro e si sono ritrovati senza permesso di soggiorno. “L’assurdità della nostra storia è che non possiamo essere espulsi perché la Bosnia non sa neanche chi siamo”, scrivono i due giovani in una lettera indirizzata alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Per chiedere la loro liberazione è stato organizzato per lunedì un presidio davanti al giudice di pace, dove si terrà la prima udienza relativa al loro stato di clandestinità. “In Francia si diventa subito cittadini - scrivono i due giovani - qui invece speriamo almeno di non restare reclusi in questo carcere”. I consiglieri regionali del Pd, Luciano Vecchi e Palma Costi, hanno presentato un’interrogazione urgente in Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna per chiedere alle istituzioni di mettere in atto tutte le azioni possibili per pervenire alla loro immediata liberazione. Medio Oriente: palestinesi in corteo per rilascio detenuta in sciopero fame Aki, 8 marzo 2012 Numerose donne palestinesi hanno manifestato oggi a Gaza e in Cisgiordania in occasione della Giornata mondiale della donna per chiedere il rilascio di Hanaa al-Shalabi, detenuta in un carcere israeliano senza un’accusa formale e in sciopero della fame da 22 giorni. A Gaza, circa un migliaio di donne hanno manifestato dal centro della città fino alla sede della Croce Rossa scandendo slogan per un ‘immediato rilascio di Hanna Shalabi!” e innalzando manifestanti con la foto delle trentenne. Da diversi anni l’Autorità nazionale palestinese festeggia la Gioranta mondiale della donna come festa nazionale, con gli uffici statali e le scuole che chiudono per un giorno. “Chiedo al mondo di stare dalla sua parte. Mia figlia sta morendo in carcere. Anche noi stiamo morendo qui. Questo è il mio appello al mondò, ha detto la madre di Hanaa, Badiya Shalabi, all’organizzazione umanitaria Al-Haq. Il Consiglio palestinese per i diritti umani ha riferito che la Shalabi è stata picchiata, bendata e perquisita con la forza da un soldato israeliano. Il suo avvocato, Mahmoud Hassan, ha detto all’agenzia di stampa Màan che la donna è determinata a proseguire lo sciopero della fame fino al suo rilascio. Ieri un giudice militare israeliano ha deciso di rinviare la decisione circa un suo appello. La Shalabi è apparsa debole ed esausta in tribunale, ammanettata e incatenata, ha proseguito Hassan, spiegando che la donna ha perso oltre 10 chili. Anche sua madre sta rifiutando il cibo. “Fino a quando mia figlia sarà in sciopero della fame, io non potrò mangiare. Sono una madre, Tutte le volte che vedo del cibo io penso ad Hana - ha detto. La mia vita è collassata dopo che Hana è stata arrestata. Sono distratta, ogni giorno e ogni notte. Penso ad Hana e piango per lei”. Shalabi è stata condannata a quattro mesi di carcere senza alcuna accusa. La donna aveva già trascorso due anni in carcere in Israele ed era stata rilasciata a ottobre nell’ambito dell’accordo sullo scambio di prigionieri per la liberazione del caporale Gilad Shalit. Sono oltre 300 i palestinesi detenuti nelle carceri israeliani senza aver avuto un regolare processo, tra cui una ventina di deputati. Dal momento che non è stata formulata un’accusa contro di loro, gli avvocati non possono studiare una strategia difensiva. Incidenti dopo proteste per detenuta in sciopero fame È sfociata oggi in incidenti con le forze israeliane una manifestazione di donne organizzata di fronte al check-point di Qalandyia, fra la Cisgiordania e Gerusalemme, in sostegno allo sciopero della fame a oltranza di una detenuta palestinese. La manifestazione, promossa nell’ambito della Giornata internazionale della donna, aveva preso le mosse in forma pacifica, con la partecipazione di oltre 200 donne palestinesi e di una cinquantina di pacifiste israeliane e straniere. Al raduno si sono aggiunti tuttavia alcuni giovani armati di pietre, una cui frangia è entrata in contatto con i militari israeliani. Ai sassi dei dimostranti i militari hanno risposto con proiettili di gomma e lacrimogeni e con una serie di cariche. Alla fine il corteo è stato disperso con un bilancio di una decina di contusi e diversi fermi. La manifestazione è solo una delle tante promosse in questi giorni nei Territori in segno di solidarietà verso l’attivista della Jihad islamica Hana Shalabi, che osserva da ormai 25 giorni uno sciopero della fame di protesta contro gli “arresti amministrativi” decretati nei suoi confronti da una corte militare israeliana senza un preciso capo d’accusa. Shalabi - rilasciata dopo diversi anni di detenzione appena pochi mesi fa, nell’ambito dello scambio che ha riportato in libertà il militare Ghilad Shalit - avrebbe dovuto scontare sei mesi di arresti, ridotti nei giorni scorsi a quattro. In suo favore, e in coincidenza con la Giornata della donna, sono scese in piazza oggi anche 500 donne nella Striscia di Gaza.