Giustizia: Commissione Diritti Umani del Senato approva rapporto su carceri e Cie Agi, 7 marzo 2012 La Commissione Diritti umani del Senato ha approvato ieri all’unanimità il “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei Centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia”. “Nel luglio 2011 - si legge nell’introduzione al Rapporto - era stato il Presidente Napolitano, in un convegno promosso dal Partito Radicale e fortemente voluto da Marco Pannella, a usare toni molto forti per denunciare l’emergenza vissuta nei luoghi di esecuzione della pena nel nostro paese. Successivamente il Senato della Repubblica si è occupato della questione delle carceri in forma solenne nel corso di una seduta straordinaria. Il 2012 si è aperto con la straordinaria visita di Papa Benedetto XVI al carcere di Rebibbia. Nel suo discorso Benedetto XVI ha dichiarato: “Il sistema di detenzione ruota intorno a due capisaldi, entrambi importanti: da un lato tutelare la società da eventuali minacce, dall’altro reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità ed escluderlo dalla vita sociale”. Il nostro lavoro vuole contribuire alla maturazione di una nuova sensibilità e di nuovi indirizzi in questo difficile campo. Difficile anche perché esposto, più di altri, al vento insidioso della semplificazione e del populismo. Il destino dei diritti umani è di essere più popolari se si difendono a casa degli altri che a casa propria : il “double standard” non è solo un difetto delle diplomazie, esso è profondamente radicato in ciascuno di noi. E affrontare il problema dei detenuti - così come per altri motivi quello dei rom o dei migranti - espone sempre a un certo grado di impopolarità”. “Nelle carceri - prosegue l’introduzione al Rapporto approvato oggi all’unanimità dalla Commissione Diritti umani del Senato - non ci si occupa dei diritti dei buoni ma di quelli dei cattivi, non di quelli degli innocenti ma di quelli dei colpevoli. E non è così facile, né per noi stessi né per gli altri, capire che anche in questo modo si difendono i diritti di tutti, si afferma lo stato di diritto, si rende più matura e migliore la nostra democrazia. Nessuno dubita del valore della libertà. Essa è come l’aria che respiriamo, come il cibo di cui ci nutriamo. È un bene prezioso. Ma c’è qualcosa di più importante. Per preziosa che la libertà sia non esiste costituzione, in nessuna parte del mondo, che non preveda che della libertà si possa essere privati: per ragioni serie previste dalle leggi e con la garanzia che i propri diritti siano rispettati e tuttavia la libertà può essere tolta. Ma non può esistere nessuna costituzione, nessuna legge, in nessun paese del mondo che possa prevedere che una donna o un uomo possa essere privato della sua dignità. E questo è il cuore della questione dei diritti umani da cui tutti i passi successivi dipendono: alzare una barriera a difesa della dignità della persona che non possa essere oltrepassata per nessuno, nemmeno per il peggiore degli assassini. E questo è il senso di questo Rapporto sui diritti umani nelle carceri italiane della Commissione Straordinaria per la promozione e la tutela dei Diritti Umani del Senato”. Fleres: bene voto unanime Commissione “Il voto unanime della commissione diritti umani del Senato sull’indagine conoscitiva in materia di carceri italiane costituisce un segnale molto forte di questo ramo del parlamento in direzione di interventi capaci di separare nettamente il concetto di pena dal concetto di detenzione”. Lo afferma il senatore di Grande Sud Salvo Fleres, componente della commissione diritti umani del senato e coordinatore nazionale dei garanti regionali dei diritti del detenuti. “Alla luce di questo pronunciamento - aggiunge l’esponente del movimento arancione - è auspicabile che governo e parlamento riaprano il dibattito sulle pene alternative per i reati di minore allarme sociale e per l’approvazione della legge che introduce il reato di tortura, già oggetto di un trattato internazionale - conclude Fleres - siglato dal nostro Paese oltre 20 anni addietro ma mai convertito in legge”. Giustizia: è possibile evitare il carcere… o almeno evitare di ritornarci di Amato Lamberti Il Mediano, 7 marzo 2012 La criminalità si previene soltanto operando sugli squilibri sociali che la determinano. Ma la nostra società è pessimista sul recupero degli ex carcerati, ecco perché i criminali sono recidivi. Il problema delle carceri è all’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica. Il nodo da risolvere sembra essere quello del sovraffollamento; non si tiene conto che bisognerebbe cominciare a discutere della funzione della pena, che è profondamente mutata così come è cambiato il rapporto tra cittadino e società. Emerge sempre più chiaramente che non si può risolvere il problema delle carceri solo con la repressione: è la società e il suo modello di sviluppo che devono essere riformati. Il crimine non è opera del singolo, ma trova le sue condizioni, la sua stessa causa nelle situazioni sociali. Riconoscere l’origine sociale della devianza e del crimine significa riconoscere una colpa collettiva da parte della società cui appartiene il singolo criminale, per cui diventa necessario che l’intera società si assuma la responsabilità del reato e che il deviante venga inserito all’interno di questa società attraverso un processo collettivo di rieducazione e riparazione del crimine. Per un reale recupero sociale, in una società come quella italiana, che assegna al lavoro una funzione prevalente, il deviante dovrebbe essere associato alla comunità di lavoro in cui già si trova o in cui dovrebbe essere immesso secondo le sue abitudini e le sue capacità. Stimolato da questa comunità (fabbrica, azienda, ufficio e scuola), garantitogli un salario, un tenore di vita uguale a quello dei suoi compagni di lavoro, egli dovrebbe reinserirsi nella società, rafforzare i suoi legami, cancellare l’eredità escludente che lo ha estraniato da essa ed eliminare in parte le cause della sua deviazione. Un trattamento nella comunità e con la comunità, quindi mettendo assieme il momento preventivo con quello rieducativo, porta a risultati sia individuali che sociali, e quindi a minori rischi di recidiva. Solo un coinvolgimento pieno della comunità nei problemi della persona può portare ad un’efficiente e valida prevenzione della devianza. Solo in un carcere che garantisca spazi di socialità, che favorisca un processo di apertura all’esterno si può arrivare ad una sicurezza interna, autodeterminata dai comportamenti e dai modi di vita dei singoli detenuti. Il carcere è produttore di violenza, depersonalizzazione, infantilizzazione, sub-cultura e concepire la risocializzazione mediante la pena detentiva, che è sinonimo di emarginazione, è una contraddizione se non vi è l’apertura del carcere alla comunità esterna, attuata non solo attraverso un processo di osmosi fra i due mondi, ma soprattutto attraverso il far diventare il carcere parte integrante della società, battendo la logica della separatezza. La dissociazione del carcere dalla società si combatte anche rompendo in qualche modo il tramezzo che separa i compiti rieducativi da quelli di custodia, attraverso una operatività interdisciplinare del personale penitenziario. È necessario stabilire anche un collegamento tra quartiere e carcere, anche per fornire informazioni corrette all’esterno sul mondo carcerario dal quale si è separati soltanto da un muro di cinta. I risultati maggiori riguardo al reinserimento nel contesto sociale si ottengono non solo dando l’opportunità agli ex-detenuti di lavorare, ma anche intercalandoli nel quartiere e nei rapporti esterni all’ambiente di lavoro. Sarà possibile la rieducazione solo a condizione che esista questa permeabilità, questa osmosi tra la società, le strutture territoriali e la realtà carceraria. La misura alternativa, quindi, diviene il momento per avviare o cercare adeguate soluzioni, favorite dalla ripresa dei rapporti con l’esterno. Occorre, quindi, che ci sia l’attivazione di consultori, il coinvolgimento dell’intera collettività, dei progetti mirati ad una reintegrazione globale delle persone, non solo al reinserimento lavorativo, insufficiente a garantire una qualità della vita accettabile. La pena non consente un reale risarcimento del danno provocato dal reato, risultato più facilmente ottenibile con altri mezzi, ma la criminalità si previene soltanto operando sugli squilibri sociali che la determinano. Purtroppo la nostra società è profondamente pessimista per quanto riguarda il reinserimento del detenuto e dell’ex-detenuto. Ed è proprio da questo pessimismo che deriva il fenomeno del recidivismo criminale. Se, come dice Foucault: “il carcerato, segnato fino alla fine dei suoi giorni costituisce ai margini del proletariato una popolazione marginale che deve servire d’esempio e che è esclusa anche in rapporto al proletariato, popolazione di cui ha bisogno la borghesia per assicurare il suo dominio”, allora è vano sperare di cambiare il carcere senza cambiare la società. Giustizia: Ria (Udc); bene autorizzazione ai Sindaci per visite negli istituti penitenziari Agi, 7 marzo 2012 “Esprimo soddisfazione per l’avvenuta approvazione, con i voti di Pd e Udc, di un mio emendamento alla proposta di legge Bernardini, con il quale si consente ai Sindaci - quali autorità locali - di effettuare visite agli istituti penitenziari siti nei rispettivi Comuni, nell’ambito delle funzioni loro riservate dalla legge”. Lo dichiara Lorenzo Ria, deputato Udc, a margine della seduta di discussione, in Commissione Giustizia, della proposta di legge in materia di visite agli istituti penitenziari. “I Sindaci sono il primo presidio istituzionale sul territorio ed è giusto consentire loro l’accesso alle carceri, perché si tratta di strutture sensibili che coinvolgono gli interessi delle persone che li abitano e dell’intera comunità locale di riferimento. È importante, dunque, che i Sindaci possano monitorare le condizioni degli istituti e l’impatto degli stessi sul territorio, nell’ambito delle competenze che la legge assegna loro in materia di igiene, sanità, incolumità pubblica e sicurezza urbana”, continua Ria. “Anche se il Governo, sin dall’inizio del dibattito, ha dimostrato contrarietà a questa versione del testo, la Commissione ha ritenuto di approvare quest’emendamento perché rappresenta la migliore sintesi tra le diverse proposte in merito. Non si può pensare, infatti, di affrontare le problematiche di un istituto di pena prescindendo dal contatto concreto con i Comuni, sia dal punto di vista degli aspetti urbanistici, edilizi e sanitari, che da quello della interazione delle case circondariali con le comunità più prossime. Ecco che i Sindaci - conclude Ria, con questa modifica alla legge vigente, possono diventare figure chiave di un processo più ampio di miglioramento complessivo del sistema penitenziario italiano”. Giustizia: Commissione parlamentare per l’infanzia contro lo smantellamento del Dgm Dire, 7 marzo 2012 La Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ha espresso nella riunione di oggi la propria contrarietà al “progetto di smantellamento del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia”. Soprattutto se non si provvederà, prima, “ad assicurare con altre modalità organizzative la tutela dei minori”. La norma sulla riorganizzazione del Dipartimento per la giustizia minorile, si apprende da fonti del Ministero della Giustizia, è contenuta nel regolamento attuativo di una legge del 2006, attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari di competenza. Anche in Parlamento è scattato l’allarme e la Commissione non vuol stare a guardare. La norma prevede che due importanti direzioni della Giustizia minorile, quella dei beni e servizi e quella del personale, vengano affidate in parte al Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) e in parte al Dog (Dipartimento organizzazione giustizia). Il Ministero si starebbe ponendo il problema e starebbe studiando una soluzione. In attesa di risposte “convocheremo in commissione il ministro della Giustizia Paola Severino - spiega alla Dire la presidente della Commissione Alessandra Mussolini - non possono essere i più piccoli a fare le spese dei tagli. Presunti motivi economici che starebbero dietro al taglio del dipartimento non possono cadere sulle loro spalle”. Giustizia: Consulta; conflitto tra poteri dello Stato, su oscuramento Rai per detenuti 41-bis Agenparl, 7 marzo 2012 La Corte Costituzionale ha giudicato ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Magistrato di sorveglianza di Roma nei confronti del Ministro della Giustizia. Lo comunica oggi la Consulta. I fatti riguardano l’oscuramento dei canali Rai Storia e Rai Sport per i detenuti soggetti a 41bis nel carcere di Rebibbia. Nell’ottobre 2010 il Direttore generale del Ministero della Giustizia dispose che a questi detenuti fosse preclusa la ricezione dei canali Rai Sport e Rai Storia. A seguito del reclamo di uno dei carcerati, però, il Magistrato di sorveglianza annullò il provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria e ordinò il ripristino dei canali. Nel luglio 2011, il Ministero della Giustizia, su proposta del Capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ha disposto con decreto “la non esecuzione del provvedimento giudiziale adottato in esito al primo reclamo”. Oggi, infine, la comunicazione della Consulta. Giustizia: Calisto Tanzi portato in Tribunale con sondino gastrico… e manette La Stampa, 7 marzo 2012 È arrivato con il sondino gastrico e le manette ai polsi. Calisto Tanzi si è presentato così ieri mattina nell’aula del Tribunale di sorveglianza di Bologna. Accompagnato dagli agenti di Polizia penitenziaria, doveva discutere con i suoi avvocati del ricorso per ottenere gli arresti domiciliari a causa delle critiche condizioni di salute. Secondo la consulenza medica depositata dai legali l’ex proprietario della Parmalat è “borderline per la demenza senile” e restare in carcere “può mettere in serio pericolo la sua vita”. Non è la prima volta che chiede la detenzione domiciliare. Nel tempo i ricorsi sono stati tre, due rigettati e uno, quest’ultimo, rinviato ai giudici di Sorveglianza dalla Cassazione. Tanzi l’ha ripetuto anche ieri: “Spero di tornare a casa”. Ha perso oltre 30 chili, aggiungono i suoi avvocati. Ne pesa 49 ed è nutrito in modo artificiale. Ieri camminava appoggiandosi alle guardie che erano andate a prenderlo all’ospedale di Parma dove è ricoverato dall’11 febbraio, in regime di detenzione. L’avvocato Giampiero Biancolella, suo difensore con Filippo Sgubbi e Fabio Belloni, per definirlo ha usato un paio di immagini per niente tenere: “Un fantasma, uno spaventapasseri con abiti messi addosso”. Biancolella chiede la detenzione domiciliare contestando il fatto che un settantatreenne operato al cuore è incompatibile con la misura della detenzione. Secondo la consulenza, all’origine dei guai fisici c’è una patologia psichiatrica dovuta alla mancanza di contatti affettivi. Mancanza capace di provocare “un affievolimento della capacità cognitive”, prossimo alla demenza senile, oltre che un grave disturbo alimentare, Tanzi ha voluto leggere le sue brevi dichiarazioni spontanee. Si è detto “perfettamente consapevole della gravità dei reati” per cui è stato condannato, e se ne è assunto “ogni responsabilità”. La procura generale ha però alzato ancora una volta disco rosso, chiedendo il rigetto del ricorso. Il motivo? “Tanzi può essere curato anche in stato di detenzione”. L’ex patron della Parmalat è stato condannato in primo grado a 18 anni per il crac del 2003 (è in corso l’appello) e a 9 e due mesi per Parmatour. Definitiva la condanna a Milano per aggiotaggio, ridotta a 8 anni e un mese in Cassazione. Tanzi è detenuto dal 5 maggio 2011, quando la Finanza lo arrestò nella villa di Alberi di Vigatto (Parma) dopo il passaggio in giudicato della condanna. La decisione del tribunale di Sorveglianza è attesa entro la settimana. Lettere: carceri privatizzate e responsabilità pubbliche Corriere della Sera, 7 marzo 2012 Per risolvere il problema delle nostre prigioni si potrebbe considerare la soluzione americana, già discussa e in parte attivata. Quella cioè di privatizzare il servizio carcerario. Sembra che il governo risparmierebbe circa un 20% sui costi assicurando un. miglior servizio ai detenuti e aumentando la sicurezza. La concorrenza in questo campo, attualmente disastrato e fonte di continue controversie, potrebbe dare i suoi frutti. Idea da prendere in considerazione? Carlo Salsedo Continuo a sentir parlare di sovraffollamento delle carceri e mi pare, a detta del governo, che l’unica soluzione sia quella di sfoltirle, facendo uscire un po’ di delinquenti. Ora, sono convinto che se chiedessi a un bambino dì dieci anni la soluzione, mi risponderebbe, senza un briciolo di esitazione, che basterebbe costruire una quarantina di carceri nuove e moderne in tutta Italia. Ora, perché questi geni, che sono i nostri governanti, non ci arrivano da soli? O devo pensare che per pigrizia è meglio aprire i portoni di San Vittore invece che spendere qualche soldino per costruirne altri più nuovi e capienti? Tutto ciò è disarmante e soprattutto offensivo nei confronti della gente per bene. Marco Bonamici Risponde Sergio Romano In un articolo apparso sul Corriere del 24 febbraio, Massimo Gaggi ha scritto che alcuni Stati della Federazione americana (Florida, Louisiana, Arizona, Michigan) cominciano a chiedersi se la privatizzazione delle carceri sia stata una buona idea. I gestori rifiutano di accettare nei loro penitenziari i detenuti “difficili”, afflitti da problemi psichiatrici, e non avrebbero altra preoccupazione fuor che quella di mantenere un tasso di occupazione delle celle pari al 90%. “In Pennsylvania tempo fa - ha scritto Gaggi - sono stati condannati due giudici che avevano ricevuto mazzette “in cambio di un’impennata delle condanne detentive di giovani che avevano commesso reati minori”. Dopo un’attenta analisi dei conti, il risparmio sarebbe inesistente o irrilevante. Aggiungo che nessuno dei maggiori Paesi europei mi sembra oggi disposto a privatizzare una funzione così evidentemente pubblica. Uno dei temi maggiormente discussi in Europa durante i primi decenni dell’Ottocento fu la condizione delle carceri e l’obbligo, per lo Stato, di garantire ai detenuti un trattamento più umano. Il dibattito cominciò in Inghilterra (allora il Paese più avanzato del continente) e appassionò Cavour durante il suo viaggio a Londra nel maggio 1835. Resta il problema delle nuove carceri sollevato nella lettera di Marco Bonamici. Occorre costruirle, indubbiamente, ma conviene ricordare che il costo della costruzione è relativamente modesto se confrontato al costo di gestione. Prima di costruire un nuovo carcere occorrerebbe accertare se il numero dei detenuti in attesa di giudizio non dipenda soprattutto dalle lentezze della giustizia penale e se non vi siano reati che potrebbero essere puniti in modi diversi dalla detenzione. In una intervista a La Stampa del 13 febbraio, Paola Severino, ministro della Giustizia, ha ricordato l’esistenza di reati “bagatellari” che possono essere trasformati in illeciti amministrativi. Esiste in Parlamento un disegno di legge che prevede per questi reati la reclusione domiciliare e la “non procedibilità per irrilevanza del fatto”. Costruire nuove carceri è probabilmente necessario. Fare un migliore uso di quelle che esistono è indispensabile. Lombardia: istituita Commissione speciale sulle carceri 9Colonne, 7 marzo 2012 Il Consiglio regionale della Lombardia, su proposta dell’Ufficio di Presidenza, ha istituito questa sera la Commissione speciale sul sistema carcerario in Lombardia. “La decisione - spiega una nota - è stata determinata dalla consapevolezza delle condizioni di sovraffollamento delle carceri, dal degrado degli edifici penitenziari, dall’emergenza di tipo sanitario e dalla carenza di personale di polizia carceraria. La scelta di istituire questa Commissione speciale è maturata anche alla luce della scarsità attuale delle risorse economiche, in particolare quelle da destinare agli inserimenti lavorativi previsti dalla Legge Smuraglia. All’11 gennaio dello scorso anno le persone detenute negli istituti penitenziari della Lombardia risultano essere 9.242 unità a fronte di una capienza regolamentare di 5.398 e il personale di polizia penitenziaria effettivo risulta essere fortemente sottorganico, con sole 4mila e 189 unità effettive a fronte delle 5mila e 353 previste. Inoltre - continua la nota - il reparto femminile del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano è inattivo da anni per il fallimento dell’impresa che si occupava della sua ristrutturazione, con conseguente trasferimento delle potenziali detenute nel carcere di Pontremoli”. La Commissione speciale sul sistema carcerario avrà durata di 24 mesi, sarà composta e svolgerà il proprio lavoro come una normale Commissione consiliare: nei prossimi giorni ogni Gruppo consiliare indicherà i rispettivi componenti, alla prima seduta utile sarà eletto il presidente. La Commissione speciale, tra i suoi compiti, avrà quello di definire le linee strategiche per l’adozione di un Piano d’azione regionale sulla condizione carceraria, accertare e conoscere la situazione carceraria generale e quella della carcerazione minorile in Lombardia e verificare l’esecuzione del Protocollo d’intesa tra il ministero di Grazia e Giustizia e la Regione in materia di trattamento penitenziario. Toscana: mozione Giunta regionale; strutture specifiche per fermi di polizia giudiziaria Asca, 7 marzo 2012 La giunta regionale della Toscana dovrà intervenire sul Governo affinché nel nuovo decreto sulle carceri, nei casi di fermo di polizia giudiziaria in attesa di convalida, sia prevista la predisposizione di strutture specifiche. È quanto stabilisce una mozione sottoscritta da Monica Sgherri (Fds-Verdi), Vittorio Bugli (Pd), Marta Gazzarri (Idv), Pieraldo Ciucchi (gruppo Misto) e approvata a maggioranza dal Consiglio regionale. I consiglieri del centro-destra si sono astenuti. Nel testo si chiede anche alla giunta di garantire, tramite un protocollo con l’amministrazione penitenziaria, una visita medica preventiva per accertare le condizioni sanitarie del fermato. Nella notte tra il 24 ed il 25 febbraio scorso il cittadino tunisino R’Hhimi Bassem di ventinove anni è stato trovato morto in una cella di sicurezza della Questura di Firenze, dove, un mese fa, un giovane marocchino di 26 anni si era suicidato impiccandosi alla porta blindata. Un’altra mozione sullo stesso tema, presentata dal PdL, è stata respinta dall’aula con il voto di astensione dei gruppi di maggioranza. Secondo Marco Taradash (PdL) la mozione di maggioranza “costruisce ipotesi che nulla hanno a che vedere con l’accaduto”, mentre la “vicenda drammatica richiede interventi rapidi”. “Le due mozioni sono sostanzialmente simili - ha osservato Monica Sgherri - Non c’è alcun giudizio sui fatti accaduti”. Un tentativo per superare le divergenze e giungere ad una posizione comune, proposto da Vittorio Bugli, non ha avuto successo. Sap: celle sicurezza questura inadeguate Il Sindacato Autonomo di Polizia (Sap) di Firenze ha chiesto l’intervento del Ministero dell’Interno per risolvere prima possibile la situazione delle camere di sicurezza della Questura del capoluogo toscano che risultano essere insufficienti non solo come numero, ma anche per le oggettive condizioni di inadeguatezza delle strutture e per i problemi connessi alla gestione e alla sorveglianza degli arrestati. “La situazione a Firenze è particolarmente gravosa - scrive in una lettera inviata oggi al Dipartimento di Pubblica Sicurezza il Segretario Generale del Sap, Nicola Tanzi - per tutti gli operatori di polizia e alcuni recenti fatti di cronaca hanno confermato le nostre preoccupazioni. Mi riferisco ai due arrestati morti nelle ultime settimane”. “Come avevamo paventato - prosegue Tanzi - la legge svuota carceri sta determinando una serie di problematiche concrete, connesse in particolare alla questione dell’utilizzo delle camere di sicurezza per gli arrestati sino all’udienza per direttissima”. Napoli: nelle celle fino a 11 detenuti, Poggioreale scoppia di Claudia Sparavigna Il Giornale di Napoli, 7 marzo 2012 “Il carcere di Poggioreale sta scoppiando”. Questa la preoccupazione di Luigi Mazzotta, segretario dell’associazione radicale “Per la Grande Napoli” dopo la visita ispettiva tenuta ieri mattina al carcere cittadino insieme ai consiglieri della Regione Campania Donato Pica del Partito Democratico e Dario Barbirotti dell’Italia dei Valori. Hanno partecipato alla visita anche Luigi Mazzotta, segretario dell’associazione radicale “per la Grande Napoli”, Emilio Martucci del Comitato Nazionale dei Radicali Italiani e Donato Salzano, segretario associazione radicale “Maurizio Provenza” di Salerno. Le condizioni riscontrate durante la visita sono ai limiti della decenza. A fronte di una capienza legale di 1.530 detenuti sono ristrette in condizioni inumane 2.640 persone, stipate in celle che arrivano a contenere fino a 11 detenuti, condizioni che sono peggiorate nell’ultimo periodo a causa dei lavori di ristrutturazione del padiglione Genova, i cui 111 detenuti sono stati smistati negli altri padiglioni, andando così ad affollare maggiormente le celle. La visita ha riguardato i padiglioni Milano, Roma, Napoli e Livorno, trovandovi strutture fatiscenti dove il sovraffollamento rende impossibili le condizioni di vita dei reclusi e della stessa Polizia Penitenziaria. All’esubero dei detenuti corrisponde un organico sottostimato di poliziotti, gli agenti in servizio sono solo 750 rispetto ad una pianta organica di 950. “Essere ristretti in queste condizioni significa vivere una condizione di tortura sistematica - conclude Mazzotta - Continuiamo a ribadire che solo l’amnistia può interrompere la flagranza di reato rispetto alle leggi nazionali ed internazionali”. Dello stesso parere anche i consiglieri regionali. Abbiamo avuto la conferma di una condizione generale che già conoscevamo - spiega Donato Pica - Ci sono segni evidenti di vetustà e condizioni igieniche che non consentono di raggiungere nemmeno i livelli minimi di sicurezza”. Emilio Martucci, del Comitato Nazionale di Radicali Italiani ha sottolineato che “Entrare nel carcere di Poggioreale è traumatico anche per chi lo fa per una semplice visita ispettiva. Drammatica è l’emergenza sanitaria. La sala operatoria è ancora chiusa dopo due anni di lavori di ristrutturazione, rendendo necessario, anche per banali interventi, il trasferimento in strutture ospedaliere”. Va sottolineato poi che, grazie alla legge Fini-Giovanardi, il 30% dei detenuti è tossicodipendente sotto trattamento metadonico e viene assistito da soli 2 medici e 1 infermiere”. Nei giorni scorsi, un’altra visita ispettiva, ha rilevato condizioni simili anche nel carcere femminile di Pozzuoli, dove è stato riscontrato un sovraffollamento angosciante, a fronte di una capienza di 82 persone ce ne sono 202. Questo Istituto non è in grado di accogliere detenute madri e c’è una media di 10 detenute per cella. Venezia: niente soldi, addio carcere…. il Governo ha “congelato” i progetti Il Gazzettino, 7 marzo 2012 Sospeso il piano approvato nel 2011. È stato il ministro della Giustizia Paola Severino a comunicare alcune settimane fa al Parlamento la necessità di sospendere il piano carceri, per il quale all’inizio dell’anno in corso sono stati stanziati solo 57 dei 430 milioni di euro necessari per la sua realizzazione. I soldi serviranno a completare le opere già appaltate. Gli abitanti di Favaro possono dormire sonni tranquilli: il nuovo carcere non si farà. Il progetto previsto dal piano carceri, un complesso da 450 posti per un costo stimato di 40,5 milioni di euro, figura ancora fra nei programmi del Governo. Ma a porvi di fatto una pietra tombale è il ministro della Giustizia Paola Severino, che alcune settimane fa ha fatto il punto alla Camera sull’edilizia carceraria. A fronte della scarsità delle risorse, ha spiegato il ministro, è stato deciso di non dare corso al piano ordinario di edilizia per il 2011 assumendo come obiettivo principale il finanziamento degli interventi aggiuntivi per le opere già appaltate e per i servizi complementari. In sostanza, per i nuovi carceri non c’è un euro: lo si era capito, i realtà già ai primi di gennaio, quando il Governo aveva assegnato all’edilizia carceraria parte dei fondi dell’otto per mille spettanti allo Stato (la parte rimanente è destinata alla Protezione civile): un bonus di 57 milioni di euro, ben inferiore ai 430 necessari per realizzare il piano carceri. Così, nella stagione dei tagli e delle manovre “salva Italia” l’edilizia penitenziaria è destinata a rimanere a secco, con buona pace di quanto avversavano la scelta del Comune che lo scorso giugno, dopo un tormentato iter in Consiglio, aveva indicato come possibili siti per il nuovo carcere un’area alla Bazzera (vicino al centro di Cà Solaro) e Forte Pepe a Cà Noghera. Meno soddisfatti quanti, a cominciare dal sindaco Giorgio Orsoni, vedevano nel nuovo carcere una “scelta di civiltà” in grado di superare l’emergenza di Santa Maria Maggiore, dove 345 detenuti sono stipati in un complesso che ne potrebbe ospitare 161. Lo scontro sul nuovo carcere, come si ricorderà, si era aperto nel dicembre 2010 quando Governo e Regione avevano indicato, dopo aver sentito il Comune, l’area dell’ex deposito militare di Campalto come possibile sede per il nuovo complesso. La decisione era stata accolta con rabbia dai residenti e dalla maggior parte delle forze politiche, che temevano che nell’area, oltre al carcere, potesse sorgere anche un Centro di identificazione ed espulsione per clandestini. Il dibattito a quel punto era approdato al Consiglio comunale, che aveva ottenuto dal commissario straordinario per le carceri Franco Ionta (sostituito un mese fa dal prefetto Angelo Sinesio) una proroga per cercare siti alternativi. La ricerca, affidata agli uffici dell’Urbanistica, aveva portato all’indicazione dei due siti nella municipalità di Favaro, quello della Bazzera a ridosso dell’abitato di Cà Solaro e quello di Forte Pepe a Cà Noghera. A togliere le castagne dal fuoco per conto del Comune ha pensato la “crisi dello spread”, con la caduta del Governo Berlusconi e la nuova stagione di austerità che ha “congelato” sine die l’iter dei progetti per la nuova edilizia carceraria. Padova: detenuto romeno si dà fuoco in cella, la notizia trapela due settimane dopo Il Mattino di Padova, 7 marzo 2012 Per protesta si è cosparso di liquido infiammabile i vestiti poi s’è dato fuoco. È ricoverato nel Centro Grandi Ustioni (diretto dal dottor Bruno Azzena) dal 22 febbraio scorso un rumeno di 36 anni, che per protesta ha tentato di togliersi la vita in carcere. L’uomo, arrestato su ordinanza di custodia cautelare dai carabinieri per maltrattamenti in famiglia dai carabinieri il 16 gennaio scorso, ha vaste bruciature sul torace, sul collo e sugli arti superiori.Ustioni gravi giudicate guaribili in un mese anche se - quando si parla di ustioni - la prognosi può sempre variare visto la facilità con cui le ferite possono infettarsi. La notizia del tentativo di suicidio al Due Palazzi finora non era mai trapelata. E nemmeno è chiaro al momento il motivo che ha spinto M.C. a darsi fuoco. Sembra che all’origine del gesto ci sia una protesta per una detenzione considerata ingiusta. M.C. è stato bloccato e arrestato dai carabinieri di Vigodarzere (nel gennaio scorso) che hanno semplicemente eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip per maltrattamenti in famiglia. L’uomo, tra l’altro, è già conosciuto dalle forze dell’ordine. La vigilia del Natale scorso, infatti, il trentaseienne fu arrestato per violenza e resistenza dai carabinieri di Cadoneghe. Completamente ubriaco M.C. oppose resistenza al controllo dei militari, finendo così con lo smaltire la sbornia in cella proprio il giorno di Natale. L’arresto avvenne davanti alla Trattaria Ceccarello, lungo la Regionale 307 del Santo. L’uomo era arrivato da Ceccarello verso le 22.30 ed era già abbastanza alticcio. Così i titolari, per evitare guai ulteriori, decisero di chiamare il 112 che inviò sul posto un equipaggio. Alla vista delle divise l’uomo andò in escandescenza e fu arrestato. Padova: piano dell’Usl 16 per la Sanità penitenziaria, contro depressione e suicidi Il Mattino di Padova, 7 marzo 2012 Il piano dell’Usl 16 per la Sanità penitenziaria è stato presentato l’altro ieri: dal 2008 le competenze sono state trasferite dal ministero di Giustizia al sistema sanitario nazionale. Lo scopo è quello di rendere i servizi forniti nelle carceri omogenei per qualità e organizzazione a quelli erogati in ospedale. Il trasferimento delle competenze è avvenuto ed è stato affidato al distretto socio-sanitario 2: all’interno del territorio si trovano la casa di reclusione e la casa circondariale. La popolazione detenuta supera le mille persone (solo nella Circondariale gli ingressi annui sono 1200 con una media di 800 persone). Le problematiche sono numerose. La depressione è il male più diffuso: 1200 le visite psichiatriche contro 32 visite di otorino (il dato più basso). All’interno degli istituti operano più di 30 medici e 13 infermieri. Sono presenti, come specialistiche, oltre psichiatria e odontoiatria, cardiologia (79 visite), odontoiatria (310), radiodiagnostica (136), chirurgia (170), dermatologia (86), infettivologia (41), oculistica (255) e ortopedia (254). L’obiettivo ultimo è potenziare la prevenzione (riducendo sempre più i ricoveri). Costi. Nel 2009 sono stati spesi 1.807.625 milioni di euro e nel 2010 2.366.983. Mentre la spesa per i farmaci è di 160. 718 euro per il 2009; 181.928 euro per il 2010 e 273.673 euro per il 2011 (ma è ancora una proiezione). “I detenuti hanno patologie normali - commenta il direttore sanitario dell’Usl 16 Daniele Donato - C’è un concentrato maggiore di patologie legate all’uso di sostanze stupefacenti. Mentre l’autolesionismo e, soprattutto, i suicidi, sono in netta diminuzione”. Il paziente medio è giovane, straniero e tossicodipendente. Non è raro che il suo primo ingresso nella Circondariale (dunque non da delinquente consumato) coincide con la prima analisi del sangue e quindi la prima diagnosi. Bolzano: chiusura Opg; fuori dieci detenuti psichiatrici altoatesini, ma carcere inadeguato Alto Adige, 7 marzo 2012 Sono in tutto dieci gli altoatesini attualmente detenuti in strutture carcerarie attrezzate per ospitare persone con problemi di natura psichiatrica. “Ogni anno - ha spiegato il presidente Luis Durnwalder - la Provincia spende 730 mila euro, ma le nuove direttive nazionali prevedono che questi particolari detenuti tornino nelle zone di origine entro il marzo del 2013. L’attuale carcere di Bolzano non è assolutamente attrezzato per ospitare persone con problemi psichiatrici, e la nostra intenzione è quella di avviare un progetto comune con Trento, dove la nuova struttura penitenziaria risulta decisamente più adeguata”. La casa circondariale di via Dante si rileva una volta di più inadatta, vecchia e inutilizzabile. Porto Azzurro (Li): Polizia penitenziaria sventa tentativo di suicidio di detenuto Comunicato stampa, 7 marzo 2012 “Esprimo il sincero e convinto apprezzamento del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai colleghi del Reparto di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Porto Azzurri che con il loro tempestivo intervento hanno salvato la vita, questo pomeriggio alle 19.00 circa, a un detenuto che ha tentato il suicidio in cella mediante impiccamento. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio. Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza, tanto che il Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. Un gesto eroico e da valorizzare che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel solo 2010 la Polizia Penitenziaria ben 1.137 tentativi di suicidio di detenuti ed impedendo che i 5.703 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione all’ennesimo evento critico accaduto nel carcere di Porto Azzurro. “I nostri Agenti, proprio a Porto Azzurro, pagano ancora una volta in prima persona le tensioni che si registrano nelle carceri. Parliamo di una realtà caratterizzata da un pesante e costante sovraffollamento penitenziario, che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. Il suicidio sventato dai nostri colleghi non deve passare inosservato perché la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione di Baschi Azzurri è rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Asti: nuova visita ispettiva al carcere del senatore radicale Marco Perduca Notizie Radicali, 7 marzo 2012 Giovedì 8 marzo, dalle ore 16:30 alle ore 18:00, il senatore radicale Marco Perduca visiterà nuovamente la Casa Circondariale di Asti (Frazione Quarto Inferiore n. 266). Sarà accompagnato da Salvatore Grizzanti (segretario Associazione Radicale Adelaide Aglietta) e da Giulio Manfredi (Direzione Radicali Italiani). Al termine della visita i radicali terranno una conferenza stampa volante all’ingresso del carcere. Perduca e Grizzanti hanno dichiarato: “Dopo la nostra visita di fine gennaio ci hanno scritto i detenuti, informandoci sia del ricorso che avevano presentato al Magistrato di Sorveglianza contro il sovraffollamento sia del loro sciopero della fame a sostegno del ricorso (allegando 93 firme di reclusi). Ci informavano che il ricorso sarebbe stato discusso dal Tribunale di Sorveglianza di Torino, in seduta non pubblica, il 16 febbraio. Era doveroso per noi tornare ad incontrare i detenuti sia per avere notizie sull’esito del ricorso sia per chiedere loro di aderire al digiuno a staffetta che è in atto in Piemonte dal 15 gennaio scorso per ottenere dal Consiglio Regionale la nomina del garante regionale delle carceri, ad oltre due anni dall’entrata in vigore (si fa per dire) della legge istitutiva (Legge Regionale n. 28 del 2 dicembre 2009)”. Latina: Sisca (Pdl) per l’8 marzo farà visita alle detenute Agenparl, 7 marzo 2012 La delegata alle Pari Opportunità della Provincia di Latina, Filomena Sisca (Pdl), annuncia che domani 8 marzo farà visita alle detenute del carcere di Latina per portare loro i suoi auguri e una parola di conforto. “Un pensiero particolare in una giornata di riflessione nei confronti di chi - nonostante sia giusto scontare le pene per gli errori commessi - vive la propria vita in regime di restrizione di libertà, donne e uomini che vivono le realtà carcerarie lottando, ogni giorno, per mantenere alta la propria dignità di essere umano. Quasi ogni giorno le donne sono oggetto di discorsi mediatici che, purtroppo, soffrono di superficialità. Tutto questo parlare non è quasi mai foriero di vera e profonda analisi, anzi produce confusione, presentando le donne ora come vittime, ora come oche, ora come soggetti compiutamente realizzati perché hanno raggiunto gli stessi traguardi degli uomini con le stesse modalità e attitudini, cioè omologandosi. Emerge quindi un vuoto, quello del pensiero delle donne su se stesse e sul loro modo di vedere, abitare, trasformare il mondo. Purtroppo il tema della differenza è stato manipolato, travisato e banalizzato come discorso di pura rivendicazione o di chiusura verso l’altro sesso, mentre nella sua essenza significa aprire alla possibilità di altro con la A maiuscola. Il tema delle differenze dovrebbe pertanto diventare una passione non soltanto al femminile, perché è la differenza che genera la vita biologica, sociale, culturale e organizzativa. Le donne hanno avuto il merito di portare alla ribalta la prima fondamentale inalienabile differenza: quella fra maschi e femmine. Parlare da sé, di sé agli altri e non “farsi parlare dagli altri” è la grande terapia che vale per ciascuno, donna o uomo che sia, contro l’anomia, l’alienazione, la mercificazione. Donne, siamo più solidali tra noi. Basta rivendicare, ora si passa ai fatti”. Imperia: Consolo (Fli) visita carcere e incontra imprenditore Francesco Caltagirone Adnkronos, 7 marzo 2012 Giuseppe Consolo, deputato di Fli e vicepresidente della Giunta delle Autorizzazioni di Montecitorio, si è recato oggi al carcere di Imperia, dove è detenuto il presidente di Acqua Marcia, Francesco Caltagirone Bellavista, coinvolto nell’inchiesta giudiziaria sul Porto della città ligure. “Ho trovato sereno l’imprenditore Caltagirone - dice Consolo all’Adnkronos. Lo scopo della mia visita era quello di vedere quali sono le condizioni in cui versa il carcere. Devo dire che il carcere di Imperia è ottimo, il detenuto viene rispettato e quanto previsto dall’articolo 27 della Costituzione viene applicato pienamente, alla lettera”. Sappe: singolari le dichiarazioni di Consolo “Mi sembrano davvero singolari le dichiarazioni rilasciate ieri alla stampa da Giuseppe Consolo, deputato di Fli e vicepresidente della Giunta delle Autorizzazioni di Montecitorio, dopo essersi recato nel carcere di Imperia dove è detenuto il presidente di Acqua Marcia, Francesco Caltagirone Bellavista, coinvolto nell’inchiesta giudiziaria sul Porto della città ligure. Le trovo singolari perché il parlamentare ha detto che lo scopo della sua visita era quello di vedere quali sono le condizioni in cui versa il carcere (pur non essendo territorialmente interessato, essendo stato eletto nel Lazio) ma, in realtà, come ci hanno detto i colleghi in servizio, non ha ritenuto opportuno fare un giro di tutta la struttura detentiva, non ha ritenuto opportuno incontrare i rappresentanti sindacali della Polizia penitenziaria e neppure gli altri detenuti oltre a Caltagirone Bellavista, con il quale si è intrattenuto mezz’ora circa nella saletta esterna alle sezioni detentive solitamente riservata ai Magistrati che accedono al carcere. È altresì singolare definire “ottimo e rispondente all’articolo 27 della Costituzione” un carcere nel quale la carenza di personale di Polizia Penitenziaria è significativa (10 Agenti in meno negli organici), il sovraffollamento è estremamente pesante (erano circa 120 i detenuti presenti ad Imperia il 29 febbraio scorso, dei quali il 60% circa gli stranieri, rispetto ai 69 posti letto regolamentari) ed i detenuti che lavorano sono una percentuale irrisoria, con ciò favorendo l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni che proprio ieri hanno visto alcuni detenuti scontrarsi nella sala socialità del carcere. Condizioni, sovraffollamento e carenza di poliziotti, che si ripercuotono negativamente sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate e soprattutto di coloro che in quelle sezioni detentive svolge un duro, difficile e delicato lavorato, come quello svolto dai poliziotti penitenziari. Tutte cose che avremmo detto al deputato Giuseppe Consolo, se avesse avuto la sensibilità di incontrare i rappresentati dei poliziotti”. A dichiararlo è Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria), sulla visita di ieri nel carcere di Imperia del deputato Giuseppe Consolo. Immigrazione: 8 marzo; mimosa e pranzo “etnico” per recluse Cie di Bologna Redattore Sociale, 7 marzo 2012 Il 9 marzo Roberto Morgantini e le parlamentari Sandra Zampa e Donata Lenzi entrano nel Cie per portare alle donne una rosa, una mimosa, una copia di Piazza Grande, ma anche piatti “etnici” cucinati dai connazionali residenti a Bologna. La giornata della donna si festeggia anche nel Cie di Bologna. Anche se con un giorno di ritardo, il 9 marzo le donne recluse riceveranno in dono una mimosa, una rosa e una copia di Piazza Grande (che questo mese è dedicato proprio alle donne). Ma per l’occasione si cercherà anche di farle sentire “a casa”, almeno per un giorno: in programma infatti c’è un pranzo a base di piatti “etnici”, con un menu che proverà a coprire tutte le nazionalità presenti nella struttura. L’iniziativa è di Roberto Morgantini, volontario di Piazza Grande ed ex responsabile dell’ufficio stranieri della Cgil, che venerdì entrerà nel Cie insieme alle parlamentari bolognesi Sandra Zampa e Donata Lenzi. “Fra le donne del Cie la nazionalità prevalente è quella nigeriana”, spiega Morgantini, “quindi porteremo un piatto africano, ma l’idea è di preparare un piatto per ogni paese di provenienza”. A cucinare saranno i connazionali presenti a Bologna, che in questi giorni il volontario sta contattando e mettendo insieme. Ad animare la giornata ci sarà anche un gruppo di artisti-giocolieri. L’8 marzo, invece, le donne recluse alla Dozza riceveranno la visita della commissione delle elette del comune di Bologna. Alle 10.30 la commissione si riunirà all’interno della casa circondariale per incontrare le detenute e le operatrici del carcere. L’iniziativa, promossa dalla presidente della commissione, Maria Raffaella Ferri, insieme alla garante per i diritti dei detenuti, Elisabetta Laganà, fa seguito a un’udienza conoscitiva sulla situazione carceraria nella sezione femminile. La visita, servirà a raccogliere la voce delle diritte interessate sulle condizioni di vita e sui loro bisogni. Insieme alle consigliere comunali, entreranno alla Dozza la presidente e la vicepresidente del consiglio comunale, Simona Lembi e Francesca Scarano. Iniziativa analoga a Forlì, dove il vicepresidente della provincia Guglielmo Russo, l’assessore alle Pari opportunità Bruna Baravelli e la consigliera di parità Eva Carbonari faranno visita alle 21 detenute della casa circondariale di Forlì. Sarà anche un’occasione per verificare la condizione del carcere di Forlì e per raccordarsi con le associazioni di volontariato e il mondo della scuola (il Ctp, Centro territoriale permanente) che operano al suo interno. India: Il Secolo d’Italia; caso marò, ancora troppo debole reazione governo Adnkronos, 7 marzo 2012 “Ancora troppo debole” la reazione del governo sulla vicenda dei due marò italiani detenuti in India. Lo scrive Il Secolo d’Italia, che attacca l’esecutivo: “cala lo spread ma ci rapiscono i soldati. Alla faccia del riguadagnato prestigio internazionale”. Il quotidiano del Pdl critica anche il centrosinistra e “le altre forze politiche dalle quali giungono solo frasi di circostanza” sul caso dei due soldati accusati di aver ucciso due pescatori indiani. “Non solo - scrive nell’editoriale il direttore Marcello De Angelis - due italiani sono detenuti in un carcere di un luogo sperduto e nelle mani di un giudice che disconosce il diritto internazionale e le procedure legali di tutto il mondo e, fra l’altro, con la possibilità di essere impiccati, ma l’Italia intera ne esce umiliata, vilipesa e trattata come uno straccetto dinanzi al mondo intero. Incapace di reagire sia per vie diplomatiche, che politiche, che di altra natura”. “Qualunque altra nazione - prosegue De Angelis - avrebbe fatto ogni passo, anche illecito, per riprendersi due soldati rapiti con l’inganno e trattati come ‘banditi. Nessuna solidarietà internazionale è stata evocata, né dalla Nato, né dall’Onu, né tanto meno dall’Unione europea. E pensare che gli Usa, per ogni possibile ragione, invocano l’embargo economico europeo contro chiunque gli stia lievemente antipatico...”. Cina: detenuti giustiziati sono fonte organi per trapianto Agi, 7 marzo 2012 In Cina i detenuti giustiziati costituiscono ancora la principale fonte per l’espianto di organi. Dopo le denunce delle Ong, la conferma arriva da un alto esponente di governo, il vice-ministro per la salute, Huang Jiefu. La Cina da tempo promette di ridurre la sua dipendenza dai detenuti nel “braccio della morte”, per quanto riguarda il trapianto di organi. Ma secondo quanto riferito da Huang al Legal Daily, poiché scarseggiano le donazioni volontarie, la situazione non è cambiata. Huang ne ha parlato a margine dell’annuale sessione parlamentare a Pechino, dove circa 3mila delegati provenienti da tutto il Paese, sono riuniti per 10 giorni. Il gigante asiatico ha vietato il commercio di organi umani nel 2007 e due anni dopo ha lanciato un’ampia campagna per favorire le donazioni a libello nazionale; ma la domanda è ancora di gran lunga superiore all’offerta, in un Paese che conta 1,3 miliardi di persone, dove vengono effettuati annualmente 10mila trapianti e circa 1,3 mln di persone sono in attesa di un qualche tipo di trapianto. Nel 2007, l’Associazione dei Medici cinese, l’organo ufficiale di rappresentanza della categoria, aveva preannunciato che non si sarebbero più utilizzati organi espianti da detenuti giustiziati, eccetto che per i famigliari stretti; e nel 2009 Huang aveva assicurato che i diritti dei detenuti venivano comunque rispettati perché si chiedeva loro un consenso scritto prima dell’espianto. Le organizzazioni a tutela dei diritti umani hanno più volte accusato Pechino di espiantare gli organi senza il consenso preventivo dei giustiziati o dei loro familiari. Adesso, la nuova ammissione da parte del governo di Pechino che dimostra, secondo Amnesty International, che “non è cambiato nulla”. Iran: ong lancia allarme; presto giustiziati 5 detenuti di etnia araba Aki, 7 marzo 2012 Rischiano di essere giustiziati “nei prossimi giorni” cinque detenuti iraniani di etnia araba, originari della provincia di Ahwaz, nell’Iran occidentale. È quanto ha sottolineato Karim Abdian, direttore dell’Organizzazione per i diritti umani dell’Ahwaz, in un colloquio con l’emittente al-Arabiya. I cinque detenuti che saranno giustiziati sono tre fratelli - Abdelrahman, Taha, e Jamsheed Haidari - e i loro due cugini Mansour Haidari e Amir Moawya. Sono stati arrestati lo scorso anno con l’accusa di aver assassinato un agente e ferito un altro. I loro famigliari hanno denunciato che i cinque hanno confessato l’omicidio sotto tortura. Abdian ha dichiarato che l’esecuzione potrebbe avvenire prima dell’anniversario della rivolta del 15 aprile 2005, quando in diverse città iraniane esplose la protesta contro un piano del governo che prevedeva di cambiare la demografia delle aree dominate dall’etnia araba, come appunto la provincia dell’Ahwaz, facendole diventare minoranza entro 10 anni. Secondo gli attivisti, nella protesta di sette anni fa ad Ahwaz morirono decine di persone, 500 rimasero ferite e 250 furono arrestate. Norvegia: incriminato Breivik, l’accusa è di terrorismo Agi, 7 marzo 2012 Anders Behrig Breivik, l’estremista di destra norvegese di 33 anni autore delle stragi di Oslo e Utoya, è stato formalmente accusato per “atti di terrorismo” e “omicidio volontario” di 77 persone. Breivik “ha commesso reati estremamente gravi su una scala che il nostro Paese non aveva mai conosciuto nell’era moderna”, si legge nell’incriminazione di 19 pagine. Il testo è stato letto a Breivik nel carcere di massima sicurezza di Ila, alle porte di Oslo, in cui è rinchiuso in attesa del processo che si aprirà il 16 aprile. In base ai capi d’imputazione, il 33enne rischia una condanna fino a 21 anni di carcere ma è possibile che sia prevista un’estensione della pena detentiva fino a quando rappresenterà una minaccia per la società. L’accusa è infatti pronta a giudicarlo sulla base di una sua incapacità mentale che potrebbe significare una richiesta di internamento psichiatrico a vita. Al momento è in corso una seconda perizia mentale sull’estremista, dopo l’anno scorso una prima perizia lo aveva giudicato incapace di intendere di volere. Corea del Nord: “Torture e propaganda”… l’odissea del signor Oh nei lager di Gabriel Bertinetto L’Unità, 7 marzo 2012 Oh Kil-nam ritrova ogni notte nel sonno le figlie lasciate 26 anni fa in un carcere della Corea del nord. Le rivede bambine, com’erano allora e come più non sono, se ancora sono in vita. “È un incubo che mi perseguita. Le scorgo in fondo a un buco nero da cui non possono tornare su. E io niente posso fare per aiutarle”. Invitato a Roma per un’audizione alla Camera sui diritti umani violati in Corea del Nord, Oh racconta la sua folle storia di sudcoreano recatosi volontariamente nella parte di Corea da cui chi può piuttosto scappa. Ma lui allora, alla metà degli anni ottanta, aveva sperimentato la dittatura militare al Sud e pur non avendo certezze sulla realtà che poteva trovare nel Paese di Kim Il-sung, coltivava l’illusione di contribuire con le sue doti di economista allo sviluppo e all’ammodernamento di quel regime, e a un progressivo disgelo fra le due metà della penisola sino alla riunificazione nazionale. All’epoca Oh studiava e lavorava in Germania. Sapendolo favorevole al dialogo intercoreano, una spia di Pyongyang l’avvicinò e lo convinse a trasferirsi al Nord. “Mi fu prospettato un interessante ruolo di consulente nel governo. Garantirono cure mediche adeguate per mia moglie, malata di epatite”. Così l’intera famiglia partì alla volta di Pyongyang. Non ci mise molto a svegliarsi il sognatore Oh. “Mi bastò scendere dall’aereo e vedermi venire incontro tutti quei militari e funzionari. Ebbi subito la sensazione di essere caduto in trappola”. Altro che dare suggerimenti a Kim Il-sung e compagni! Si ritrovò recluso in caserma a studiare il pensiero del capo supremo e la dottrina nazionalcomunista della Juche, dove “non c’è spazio nemmeno per il marxismo”, rileva ironicamente Oh. Dopo un prolungato lavaggio del cervello, ecco l’incarico importante: annunciatore radiofonico nei programmi di propaganda diretti a chi vive oltre il trentottesimo parallelo. “Poiché collaboravo con il regime, stavo relativamente meglio rispetto al resto dei cittadini comuni. Ma ogni venerdì, quando venivo trasferito al cantiere per la settimanale corvée di lavoro chiamato volontario, di fatto obbligatorio, vedevo all’opera tanti altri forzati, in condizioni fisiche pessime”. Per non parlare dei prigionieri politici, confinati in campi di concentramento, in condizioni di schiavitù, spesso sottoposti ad atroci torture. Oggi si calcola siano 150mila, addirittura 200mila secondo alcune stime, distribuiti in sei enormi lager. In uno dei quali, chiamato Yodok, languono dal 1986 Hae-won e Kyu-won, le figlie che Oh rivede nei suoi incubi notturni, assieme alla loro mamma Shin Suk-ja. L’internamento fu la punizione per una colpa che non avevano commesso, la defezione del papà, la defezione del marito. Quell’anno Oh era stato rimandato in Germania con il compito di abbindolare altri progressisti sudcoreani inducendoli a seguire il suo esempio e rifugiarsi al Nord. Oh invece chiese asilo politico in Danimarca e non rimise più piede a Pyongyang. “Era stata mia moglie a proibirmi di tornare, se questo avesse significato ingannare altre persone e spingerle nello stesso inferno in cui eravamo finiti noi. Non voglio - mi aveva detto - che le nostre ragazze abbiano per padre un criminale”. La povera donna sapeva perfettamente di restare in ostaggio con le bambine, esposta al rischio di rappresaglie. L’ultimo ad aver incontrato la coraggiosa Shin Suk-ja con le sventurate Hae-won e Kyu-won nel campo di Yodok, si chiama Kim Tae-jin. Loro compagno di prigionia, scappò da Yodok nel 1997 e riuscì a oltrepassare il confine. C’era anche lui ieri a Roma per l’iniziativa promossa dagli onorevoli Matteo Mecacci (radicale) e Furio Colombo (Pd). Da allora Oh, che oggi vive a Seul, non ha più ricevuto notizie di prima mano sulla sorte delle tre donne. Oh non sa dire se il recente cambio di leadership a Pyongyang apra spiragli di miglioramento per il Paese. “Certo prima tutto faceva capo a Kim Jong-il. Con il figlio Jong-un pare che i centri di potere si siano moltiplicati. Da una parte forse nascono diversi canali di dialogo. Dall’altra gli sforzi fatti con l’aiuto dell’Onu e delle diplomazie tedesca e americana per salvare mia moglie e le mie figlie devono ricominciare da capo”. Bulgaria: detenuto; ex vice presidente Marin chiese 10mila dollari per la mia grazia Nova, 7 marzo 2012 L’ex vice presidente bulgaro, Angel Marin, chiese 10 mila dollari per concedere la grazia a un criminale. l’accusa formulata da un anonimo, H. V., attualmente detenuto nel carcere di Sofia. Il prigioniero ha inviato una lettera alla commissione d’indagine parlamentare incaricata di verificare la liceità delle grazie concesse dall’ex presidente Georgi Parvanov e dal suo vice Marin nel corso dei loro due mandati, tra il 2002 e il 2012. La commissione ad-hoc, presieduta dal leader del partito Ordine, legge e giustizia (Rzs), Yane Yanev, stata istituita a dispetto dei dubbi sulla sua capacità di indagare le attività del capo dello Stato, eletto dal popolo. Nella sua lettera, H. V. svela il rapporto di conoscenza tra suo padre, ex ufficiale dell’esercito, e Marin. La richiesta di 10 mila dollari fu formulata dall’allora vice presidente in un incontro organizzato per parlare dell’incarcerazione di H. V. “Il trasferimento dei soldi pu essere provato da un assegno bancario a carico di mio padre: la somma stata poi indirizzata verso una societ legata a Marin”, ha scritto il prigioniero, il cui padre deceduto nel 2003. Durante i suoi due mandati, Marin ha concesso la grazia a ben 533 detenuti, alcuni dei quali in prigione per gravi crimini come omicidi e stupri. Nel corso delle indagini emerso anche come Parvanov non abbia mai approvato ufficialmente il decreto di nomina di Marin a vice presidente; circostanza, questa, confermata il 7 febbraio scorso dall’attuale presidente, Rosen Plevneliev. Sud America: pubblicato rapporto “Le leggi antidroga e il sovraffollamento carcerario” di Tom Blickman e Pien Metaal Il Manifesto, 7 marzo 2012 L’America latina sta attraversando una crisi del sistema carcerario senza precedenti. Il boom della popolazione detenuta ha portato all’estremo il sovraffollamento, esacerbando i problemi degli spazi di vita, della nutrizione, della salute e della sicurezza dei detenuti. Quasi non passa mese senza che i titoli dei giornali sudamericani non riportino notizia di rivolte dei detenuti. Piccoli incidenti possono sfociare in enormi disastri umani, come nel caso - sfortunatamente non eccezionale - del recente incendio in una prigione dell’Honduras che ha causato la morte di 400 persone. Molti osservatori imputano la crisi carceraria alla “war on drugs”, portata avanti negli ultimi quaranta anni. Per verificare questa ipotesi, il Transnational Institute e il Washington Office on Latin America hanno di recente promosso uno studio specifico, condotto da esperti provenienti da otto paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù e Uruguay. Il rapporto, intitolato “Le leggi antidroga e il sovraffollamento carcerario in America latina”, conferma l’esistenza del rapporto fra le leggi antidroga e il deterioramento delle condizioni carcerarie. Nella gran parte dei paesi, l’introduzione di leggi antidroga severe è in relazione diretta con l’aumento della popolazione carceraria. Queste leggi spesso contemplano pene detentive straordinariamente alte che, seppur previste dai trattati internazionali sulla droga delle Nazioni Unite, contrastano però con le norme base internazionali sul giusto processo e i diritti umani, spesso perfino con le costituzioni nazionali. Ad esempio, a volte i tribunali speciali previsti nelle leggi antidroga rovesciano la presunzione d’innocenza, mentre è frequentemente violato il diritto dell’imputato alla difesa. I paesi dell’America latina non hanno avuto sempre legislazioni così dure. In alcuni paesi, come l’Argentina e il Brasile, le leggi sono state cambiate in presenza di regimi autoritari. Ma per lo più la svolta legislativa è avvenuta su pressione internazionale, sulla scia delle tre Convenzioni Onu che hanno promosso l’inasprimento delle sanzioni. In alcuni casi, le leggi nazionali sono andate perfino oltre il dettato internazionale, sotto la spinta della “war on drugs” condotta dal governo Usa (che ha condizionato aiuti economici e vantaggi commerciali all’accettazione della sua politica antidroga). Queste in sintesi le conclusioni dello studio: nella generalità dei paesi, le pene sono sproporzionatamente alte (da 12 a 25 anni), specie in rapporto ad altri reati. Ad esempio, in Ecuador, dove il massimo per omicidio è di sedici anni, un piccolo trafficante può rimanere in carcere più a lungo di un assassino. Inoltre, i piccoli spacciatori e i “corrieri” sono trattati alla pari dei grandi trafficanti e non c’è distinzione fra reati violenti e non. Un’alta percentuale di detenuti è accusata di semplice detenzione di droga, mentre non è facile trovare i “signori della droga” dietro le sbarre. I casi più preoccupanti sono quelli della Colombia e del Messico: nel primo, solo il 2% dei detenuti sono trafficanti di alto-medio livello, mentre nelle carceri messicane il 75% è detenuto per possesso di piccole quantità. Infine, aumenta il numero delle donne detenute per droga: con conseguenze devastanti sulle condizioni dei bambini che rimangono senza tutela affettiva e sostegno economico.