Giustizia: decreto “svuota carceri”, suicidi e morti sospette di Luigi Manconi e Valentina Calderone www.liberainformazione.it, 6 marzo 2012 Nonostante il gran parlare di “decreto svuota carceri” e nonostante ad alcuni sembrasse un indulto mascherato, i fatti dimostrano quanto questo sia lontano dalla realtà. La strumentalizzazione operata nei confronti del provvedimento è segno di quanto poco si rifletta sugli effetti reali di esso e sulle condizioni cui si applica: il tragico stato in cui versano i nostri penitenziari. E quanto poco si rifletta sulle soluzioni per rendere questi luoghi, e il tempo della pena, meno indecenti e degradanti. Le misure adottate con quel decreto sono modeste, ma mirano a intervenire su due particolari situazioni. La prima riguarda il fenomeno delle cosiddette porte girevoli. Nel 2011 oltre 21.000 persone sono entrate in carcere (con la conseguente messa in moto della macchina penitenziaria: l’ufficio matricola, la visita medica, il posto letto nella sezione nuovi giunti) per uscirne dopo due tre, quattro giorni. È evidente come questo spreco di tempo e di risorse sia del tutto inutile e il decreto approvato interviene prevedendo che per gli arrestati in flagranza sia disposta in via prioritaria la custodia presso l’abitazione, in subordine nelle camere di sicurezza e solo non sia possibile altrimenti in carcere. Questo in attesa della convalida dell’arresto da parte del giudice che deve avvenire entro due giorni e non più entro le 96 ore prima previste. La seconda disposizione del decreto prevede la possibilità di scontare gli ultimi 18 mesi di pena in detenzione domiciliare anziché in carcere. È stato stimato che i beneficiari del provvedimento potrebbero essere circa 3.300, un numero irrisorio rispetto alle 67.000 presenza nei nostri penitenziari a fronte di una capienza regolamentare di 44.000 posti. Da decreto, comunque, la concessione dei domiciliari non avverrà automaticamente, bensì sarà sempre il magistrato a valutare ogni singolo caso e decidere per l’uscita o meno dal carcere. Dopo la demonizzazione del provvedimento di indulto del 2006, lo stesso sta accadendo nei confronti del decreto appena approvato. E questo senza che i suoi oppositori, evidentemente, abbiano preso visione di almeno due dati fondamentali. Il primo riguarda proprio quel provvedimento di indulto, così osteggiato e “diffamato”, che ha fatto registrare tra i suoi beneficiari una recidiva del 34 per centro contro il 68 per cento di chi, invece, sconta la pena interamente in carcere. Certo, quel 34 per cento è comunque molto alto, ma non si può non notare l’enorme divario tra le due percentuali. Il secondo dato riguarda la commissione di reati a opera di chi sconta la pena in detenzione domiciliare. Nel 2011 si trovavano in quella condizione 20.314 persone e tra loro, solo lo 0,81 per cento ha commesso un nuovo reato. Questi numeri dovrebbero far riflettere, soprattutto alla luce delle tragedie che, con frequenza inquietante, avvengono negli istituti di pena. L’ultimo suicidio in ordine di tempo, e l’undicesimo da inizio anno, è avvenuto nel carcere di Foggia. Ottavio Mastrochirico, 36 anni, si è tolto la vita impiccandosi con il cordoncino della sua tuta. Il penitenziario di Foggia, come la maggior parte delle carceri italiane, soffre di una grave carenza di personale e ancora più di un sovraffollamento ormai insostenibile: a Foggia, in 370 posti disponibili, si arriva a stipare anche 800 detenuti. La questione dei suicidi in carcere ha raggiunto ormai dimensioni preoccupanti. Negli ultimi dieci anni si sono tolte la vita quasi 700 persone, un numero impressionante se paragonato al tasso dei suicidi nel mondo libero che è 15, 20 volte minore. E pur se in alcuni casi è stata individuata una correlazione tra suicidi e sovraffollamento, quest’ultimo è solo una delle cause che, in alcuni penitenziari, rende la vita impossibile da vivere. I suicidi costituiscono indubbiamente la massima tragica manifestazione dell’orrore delle nostre carceri, ma i problemi non si esauriscono qui. Giovedì scorso a Roma un detenuto con “fine pena mai” è deceduto nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini. L’uomo, Franco Febi, di 62 anni, soffriva di diabete e problemi cardiaci e dopo un malore è stato portato in ospedale, ma il trasferimento non è servito a salvargli la vita. Questo mentre in carcere tornano a diffondersi malattie che la storia epidemiologica del nostro paese aveva dimenticato, come la scabbia e la tubercolosi. Conferma ultima - se mai ve ne fosse stato bisogno - del connotato irreparabilmente letale, oltre che criminogeno, del nostro sistema penitenziario. Giustizia: “Nella mia ora di libertà”… di Valeria Centorame Notizie Radicali, 6 marzo 2012 Quanti modi conosci per raccontare il carcere? E quanti di questi riusciranno sul serio a far comprendere a chi non ci ha mai avuto a che fare questo mondo surreale ed anacronistico (quanto illegale)? Ho partecipato alla rappresentazione teatrale dello “spettacolo di cabaret penitenziario” dei Presi per Caso, “Nella mia ora di libertà” e ne sono rimasta letteralmente entusiasta, soprattutto dall’intensità dei testi, che recitati in monologo dal bravissimo Giampiero Pellegrini con sapiente maestria riescono a far sorridere, a volte amaramente ed allo stesso tempo mettono in luce le feroci contraddizioni di un paese carcerocentrico, di una giustizia sull’orlo del collasso e della inutilità di un sistema che non assolve al suo scopo, perché non rieduca. I Presi per Caso, come riporto fedelmente dal loro sito sono una compagnia di detenuti, ex-detenuti e non-detenuti che in ogni caso, al momento, si sentono tutti liberi. L’attuale formazione della band prevede Armando Bassani (chitarra solista) Claudio Bracci (chitarra ritmica) Stefano Bracci (basso) Salvatore Ferraro (piano, chitarra e ukulele) Arnaldo Giuseppetti (batteria). Una particolarità sta nel fatto che la band non ha un cantante fisso. Tutti possono cantare in questo gruppo. Uno solo è il requisito richiesto: essere libero. Simbolicamente il gruppo ha così voluto scarcerare Giorgio Capece, primo cantante e front man della band, morto dopo una lunga malattia contratta in carcere, uomo recluso che non ha più conosciuto la libertà. Oggi la (splendida) voce dei “Presi per caso” è quella di Marco Nasini (che divide gli interventi vocali con quelli istrionici e esilaranti di Giampiero Pellegrini e quelli umani e densi di calore di Stefano Adami). Fanno teatro e suonano rock. Raccontano storie che parlano di carcere. E lo fanno col sorriso. Perché, spesso, ridendo si riflette meglio. Riescono a comunicare il carcere in forma artistica per rompere il muro tra società dei reclusi e società dei liberi creando, invece, un solidissimo ponte. Riescono a realizzare tutto questo attraverso l’uso dell’espressione artistica, dell’ironia e della comicità, della forza della parola e della musica. “Nella mia ora di libertà” è l’irresistibile confessione semi-seria (e quindi, anche, semi-comica) di un detenuto durante l’ora e mezza di “passeggio all’aria”, che con monologhi irridenti, esilaranti, quanto allo stesso tempo riflessivi ed amari sulla condizione carceraria e sopratutto sulla sua assurda contro produttività riesce ad entrare realmente in contatto con lo spettatore facendolo riflettere. È proprio ciò che si respira durante tutto lo spettacolo teatrale, ridendo, spesso amaramente si riflette. Una delle contraddizioni di maggiore effetto è proprio a mio avviso quella della “macchina del tempo” che riesce a far vedere in epoche varie lontane cosa abbia rappresentato reato per la legge e cosa no. E lo stesso, in un futuro immaginario, riesce benissimo il monologo a far comprendere ironicamente allo spettatore quanto sia facile spesso rovinare delle vite per il varo di assurde leggi criminogene, che magari tra qualche anno non esisteranno più. Spesso mi capita di parlare con amici, conoscenti, ragazzi che preparano tesi di laurea sul mondo penitenziario, ma la maggior parte dei cittadini sente ed avverte il mondo del carcere come qualcosa di lontano. Anzi la maggior parte delle volte non ne vuole sapere in maniera approfondita. L’essere umano allontana il dolore e la paura e proprio la paura è uno dei più grossi problemi della vita, la chiave di volta di governi dittatoriali e criminogeni. Una mente intrappolata dalla paura, vive nella confusione, nel conflitto. Non osa distaccarsi dai suoi caratteristici modelli di pensiero e perciò diventa ipocrita ed è questo il motivo principale per cui nasce il “panpenalismo”, che con logica totalitaria pretende di sanzionare qualsiasi comportamento fuori dalla norma e punire ogni conflitto sociale in nome della “sicurezza”, che diventa difesa dall’altro e contro l’altro. Il bisogno, individuale e sociale di sicurezza, trascende così nella “ossessione securitaria” organizzata intorno alla risposta penale e alla centralità del carcere. La paura spesso si sconfigge con l’ironia e con l’arte. Proprio perché sono convinta che non siano molti i modi per entrare realmente in contatto a livello empatico con il cittadino italiano - “brava gente”- lo stesso che non si sente toccato dai problemi penitenziari perché pensa che il semplice fatto di essere onesto e non trasgredire la legge non lo porterà mai in carcere, lo spettacolo di cabaret penitenziario dei Presi per Caso è stato per me illuminante e lo considero di altissimo livello artistico-sociale. Mi piacerebbe fosse portato nelle aule scolastiche, mi piacerebbe pensare che siano molte le persone che potranno avere la fortuna di vederlo e lo consiglio per questo vivamente a tutti. Giustizia: Commissione Diritti Umani Senato; su reato di tortura c’è un vuoto legislativo Ansa, 6 marzo 2012 Pur avendo ratificato la convenzione dell’Onu contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti 28 anni fa, l’Italia non ha mai proceduto a inserire nei propri codici un reato specifico e “l’argomento che le diverse fattispecie di reato già previste nel nostro ordinamento sono di per sé sufficienti a coprire ogni ipotesi di tortura si è già in numerose occasioni dimostrato non convincente”. È la commissione Diritti Umani a sollevare l’opportunità di riprendere la discussione. E nelle conclusioni al “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia”, approvato oggi dalla stessa commissione, riunita a Palazzo Madama, chiedono una discussione parlamentare per aggiungere il reato al codice penale. Nel Rapporto si dà conto della sentenza recente del Tribunale di Asti che ha assolto agenti della polizia penitenziaria responsabili “senza alcuna possibilità di dubbio di torture su detenuti per mancanza della norma necessaria”. La sentenza, hanno convenuto i commissari nelle conclusioni stilate dal presidente della Commissione, Pietro Marcenaro, “dimostra in modo incontrovertibile l’esistenza di un vuoto al quale è necessario rimediare immediatamente”. Si tratterebbe “non solo di un atto di civiltà giuridica e di difesa dei diritti umani delle persone private di libertà ma anche di tutela e di salvaguardia dei diritti, della dignità e dell’onore delle forze di sicurezza e degli agenti della Polizia Penitenziaria che non possono essere ingiustamente coinvolte nelle responsabilità di piccolissime minoranze”. I senatori propongono dunque di unificare i disegni di legge in materia presentati in passato e dare vita a un unico testo comune, chiedendo che venga quanto prima messo all’ordine del giorno, discusso e approvato. Il Rapporto, stilato sulla base di una serie di audizioni, si concentra su quattro punti critici: la custodia cautelare in carcere; gli effetti sul sistema penitenziario della legislazione sulla immigrazione irregolare; la carcerazione di detenuti tossicodipendenti o di imputati o condannati per i reati previsti dal Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti; l’impatto della ex Cirielli del 2005 che ha previsto inasprimenti di pena e un forte irrigidimento delle possibilità di ottenere misure alternative. Dai dati del dipartimento del Dap aggiornati al 31 dicembre 2011, si evince che i detenuti in Italia sono 66.897, mentre la capienza regolamentare dei 206 istituti di pena che è di 45.700 posti. La regione con più detenuti è la Lombardia (9.360 a fronte di 5.416 posti regolamentari in 19 istituti), cui segue la Campania (7.922, nonostante la capienza prevista si fermi a 5.766 posti divisi in 17 case circondariali). Si registra il progressivo aumento dei detenuti stranieri, che superano il 30% della popolazione totale, e l’aumento delle persone ristrette in attesa di giudizio definitivo, la cui percentuale raggiunge il 42% della popolazione detenuta: al 9 febbraio 2012, 27.230 detenuti erano “non definitivi” e di questi 13.756 in attesa di primo giudizio. In riferimento alla recidiva il rapporto registra che al 30 giugno 2011 erano 12.462 i soggetti rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto su 36.741, di cui 3.060 stranieri. Ma il dato del 33,92% relativo al tasso di recidiva dei beneficiari del provvedimento di indulto, dopo 5 anni dall’approvazione della legge, risulta notevolmente inferiore al 68,45 relativo alla recidiva registrato nel 2005. Giustizia: Bernardini (Pd); anche Sindaci potranno effettuare visite a sorpresa nelle carceri Ristretti Orizzonti, 6 marzo 2012 La situazione nelle carceri italiane fa rabbrividire. Il sovraffollamento a livelli record, le condizioni igienico sanitarie precarie e i suicidi in aumento sono l’estrema sintesi di un problema da risolvere con urgenza. Decreti a parte, ciò che serve è una riforma del sistema giustizia, oltre ad una maggiore attenzione a cosa accade dietro le sbarre. Spesso i penitenziari italiani sono un mondo lontano dagli occhi dei cittadini anche per via della difficoltà di accedere all’interno del sistema. Solo visite autorizzate che, spesso, non permettono di capire cosa veramente accada all’interno di celle troppo strette e di istituti troppo vecchi e malandati per riuscire a rispondere al meglio alle esigenze di chi è detenuto. Rita Bernardini, onorevole radicale, da tempo insiste sulle “visite a sorpresa” le uniche capace di fare emergere la verità di chi vive nelle carceri italiane. Un passo in avanti è stato fatto. “Anche i sindaci potranno visitare i detenuti senza autorizzazione, ma lo dovranno fare solo se l’iniziativa è “finalizzata all’esercizio delle proprie funzioni” - si legge sul blog della deputata radicale. A prevederlo è un emendamento Pd presentato al testo che estende la visita in carcere senza autorizzazione anche al presidente della Provincia e al suo assessore delegato, al sindaco e all’assessore del comune che ospita l’istituto penitenziario. Il provvedimento, di Rita Bernardini, rende più facile l’ingresso anche agli europarlamentari”. Per “difendere” la proposta di legge di Rita Bernardini che dava la possibilità ai sindaci di visitare i detenuti senza autorizzazione, Pd e Udc hanno mandato sotto il governo in commissione Giustizia, alla Camera. Il governo infatti aveva dato parere favorevole all’emendamento soppressivo della norma presentato dal leghista Nicola Molteni. Il sindaco, però, grazie ad un emendamento “restrittivo” del Pd, potrà entrare in carcere solo nell’esercizio delle proprie funzioni. Giustizia: Aldo Bianzino; la famiglia scontenta della sentenza cerca ancora la verità di Stella Spinelli eilmensile.it, 6 marzo 2012 “Rispettiamo la sentenza ma mastichiamo amaro. Non volevamo contentini: sappiamo che nostro padre poteva essere salvato. Sappiamo anche che i consulenti del Pm si sono brutalmente smentiti sulle cause di morte di nostro padre. Il tribunale non ha potuto disporre la perizia perché il Pm ha ostinatamente negato la modifica del capo di imputazione. Ha vinto lui, ma secondo noi non dovrebbe esserne fiero. Ci dispiace per nostro papà”. Elia e Rudra Bianzino commentano così la sentenza del processo per la morte del loro padre, Aldo, deceduto nel carcere perugino di Capanne il 14 ottobre 2007. Una sentenza che stabilisce la condanna a un anno e mezzo con pena sospesa di Gianluca Cantoro, una guardia carceraria, colpevole di omissione di soccorso, falso e omissione di atti d’ufficio. Pena ridicola se confrontata alla gravità del reato. Perché quella notte le cose andarono diversamente da come si ostina a raccontarle la guardia del carcere. Aldo Bianzino non morì all’improvviso per la rottura di un aneurisma celebrale - come hanno cercato di dimostrare, senza riuscirci, i periti della difesa della guardia carceraria - ma si è spento lentamente e fra atroci dolori per un’emorragia cerebrale detta subaracnoidea, dalla quale avrebbe potuto salvarsi se accompagnato d’urgenza in ospedale. Invece, nonostante le urla e i lamenti del prigioniero - in carcere perché in possesso di alcune piantine di canapa indiana - nessuno corse in suo aiuto. Cantoro finse di non sentire e il medico non arrivò se non per constatare il decesso. Sin da subito, l’agente ha cercato di truccare e i registri per camuffare la sua colpa e l’amministrazione carceraria - nel panico per l’accaduto - prima ha creduto alla tesi di un complotto di detenuti contro la polizia penitenziaria, poi alla versione del campanello d’emergenza rotto. I legali e i periti della famiglia Bianzino hanno spiegato con chiarezza in aula, documenti alla mano, che Aldo avrebbe potuto salvarsi vista la vicinanza al carcere di Capanne di un ottimo ospedale, quindi, come precisa il legale Fabio Anselmo, “la negazione del soccorso a una persona imprigionata altro non è che tortura, alla faccia dell’articolo 13 della Costituzione”. Una verità che non smettono di gridare quelli del Comitato Verità per Aldo, che mai hanno smesso di sostenere Elia E Rudra e mai si placheranno finché non sarà fatta Giustizia. Ma quella con l g maiuscola. Perché su questo caso si adombrano anche forti sospetti di torture fisiche subite prima del decesso. Sospetti che è stato impossibile verificare, visto che il giudice ha archiviato la faccenda e dunque gli accertamenti incrociati sul legame fra le cause della morte, la colpa del secondino e l’eventuale compartecipazione di chi disponeva delle chiavi della cella. Perché l’agente condannato non le aveva, quindi non c’entra con le botte, tante, date ad Aldo e i cui segni erano evidenti sul cadavere. L’autopsia, affidata a Lalli, un medico legale noto per essere eticamente irreprensibile, parlava chiaro: Aldo è morto per cause non accidentali e il suo cadavere presentava chiari segni di lesioni traumatiche. Quattro ematomi cerebrali, fegato e milza rotte, due costole fratturate. Eppure il pm, Giuseppe Petrazzini, che ha comunque incentrato 65 domande su 120 sulle cause della morte, ha poi rinunciato a dimostrare che Aldo avrebbe potuto essere salvato, evitando quindi di aggravare il capo d’imputazione contro l’agente di polizia penitenziaria che avrebbe previsto il doppio della pena dato che dall’omissione di soccorso è scaturita la morte. Il tutto con il risultato che ai figli di un uomo entrato in carcere in perfetta salute e morto in poche ore non è restato che la rabbia e la frustrazione. La sentenza è comunque un passo avanti verso la Verità, che resta però ancora tutta da appurare. Fuori e dentro il tribunale, a sostenere i familiari di Bianzino, non sono mai mancati Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldovrandi, e Lucia Uva, sorella di Giuseppe. Tutte vittime di Stato ancora in attesa di verità e giustizia. “Siamo qui compatti perché le nostre storie, pur nelle loro diversità, sono simili ed uguali se teniamo conto di ciò che subiscono le nostre famiglie nelle aule di tribunale - ha detto Ilaria Cucchi. In questi processi abbiamo la sensazione di essere soli contro tutti, talvolta anche contro i pubblici ministeri. Ma essere qui, uniti, ci dà la forza di andare avanti”. “Il caso Bianzino è tutt’altro che chiuso - hanno quindi concluso i figli di Aldo. Ora ci attendiamo che il pm ne prenda finalmente atto fino a che non sia troppo tardi. Altrimenti avremo fatto tutto questo percorso processuale faticoso e costoso durato oltre un anno per nulla. La giustizia non si può permettere di fare questioni di principio o di cavalcare posizioni improbabili il cui distacco dalla verità dei fatti è ormai sotto gli occhi di tutti. L’ordinanza riconosce la giustezza dei nostri dubbi sul fatto che nostro padre potesse essere salvato e anche sulla possibile origine traumatica sull’emorragia che lo ha ucciso. Facciamo questo in memoria di questo padre, consegnato allo Stato vivo ed in perfette condizioni di salute e restituitoci dallo Stato morto”. Giustizia: Cassazione; no domiciliari a Tanzi. I difensori: ha perso 30 chili, ora ne pensa 49 Ansa, 6 marzo 2012 Calisto Tanzi - attualmente ricoverato all’ospedale Maggiore di Parma nel reparto detenuti, dopo un collasso dovuto al rifiuto del cibo - non può ottenere la detenzione domiciliare invocando la norma che consente tale beneficio a favore degli ultrasettantenni, in quanto la legge non prevede alcun automatismo tra dato anagrafico e scarcerazione ed, inoltre, l’ex patron della Parmalat deve fare “ancora un lungo cammino per pervenire ad una significativa presa di posizione del disvalore dei comportamenti criminosi da lui tenuti”. Lo sottolinea la Cassazione. I supremi giudici infatti - nella sentenza 8712 depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi lo scorso otto febbraio - rilevano che Tanzi, così come evidenziato dalla magistratura di Bologna, continua ancora “ad addebitare alle banche la gran parte della responsabilità dei reati fino ad oggi accertati nei suoi confronti”. Tutti i motivi per i quali i giudici di merito hanno finora respinto la richiesta dei domiciliari, ad avviso della Cassazione, sono “pienamente condivisibili”. Tra questi, il comportamento di Tanzi che, “ben lungi dall’essere improntato ad una piena e leale collaborazione onde ridimensionare, almeno in parte, i gravi danni patrimoniali da lui arrecati alla enorme platea dei risparmiatori danneggiati dalla fiducia riposta nella sua persona e nelle sue aziende”, continua a “nascondere agli organi inquirenti le sue effettive disponibilità economiche”. A riprova si cita come “emblematica” la vicenda dei quadri d’autore che Tanzi aveva nascosto e che solo “fortunosamente” la magistratura è riuscita a sequestrare. Per quanto riguarda lo stato di salute dell’ex imprenditore, la Cassazione ritiene “puntuale” la decisione - del Tribunale di sorveglianza dello scorso sette giugno - di rifiutargli i domiciliari perché le patologie di cui soffre “non sono tali da costituire un pericolo per la vita”. Inoltre, il carcere che lo ospita è “fornito di attrezzature mediche tali da coprire tutte le 24 ore” e, se serve, Tanzi può essere “agevolmente” ricoverato in “contigue strutture esterne”. Intanto, il tribunale di sorveglianza di Bologna è stato investito da una nuova richiesta di detenzione domiciliare per Tanzi, sulla quale si è riservato di decidere. La decisione, hanno spiegato i suoi legali, avvocati Biancolella, Belloni e Sgubbi, è attesa entro due-tre giorni, anche se non c’è un termine di legge perentorio. L’ex patron della Parmalat si è presentato in aula con il sondino naso-gastrico e manette ai polsi. Tanzi, detenuto nel carcere di Parma dal maggio 2011, è dall’11 febbraio ricoverato in regime di detenzione all’ospedale Maggiore di Parma. Viene nutrito con alimentazione artificiale, grazie appunto al sondino naso-gastrico e flebo. Il patron del gruppo fallito nel crac del 2003 è caduto, hanno spiegato i suoi legali, in un profondo stato depressivo. I suoi legali, con questo ricorso che è il terzo presentato per chiedere gli arresti domiciliari, hanno chiesto ai giudici di valutare le mutate condizioni di salute del loro assistito. L’avvocato Giampiero Biancolella ha spiegato di aver depositato una consulenza medica da cui risulta che la situazione di Tanzi si è ulteriormente pregiudicata dal punto di vista del calo ponderale: Tanzi pesa infatti 49 chili, e ne ha persi oltre 30. “Ieri mi ha detto che spera di tornare a casa”, ha concluso Biancolella. Napoli: Radicali con Pd e Idv in visita a Poggioreale; il carcere sta scoppiando Adnkronos, 6 marzo 2012 Stamane l’associazione radicale “Per la Grande Napoli” ha visitato il carcere di Poggioreale con i consiglieri della Regione Campania Donato Pica (Pd) e Dario Barbirotti (Italia dei Valori). Hanno partecipato, Luigi Mazzotta, segretario dell’associazione radicale “Per la Grande Napoli”, Emilio Martucci, Comitato nazionale di Radicali italiani, Donato Salzano, segretario associazione radicale “Maurizio Provenza” di Salerno. Mazzotta, ha detto che “il carcere di Poggioreale sta scoppiando. A fronte di una capienza legale di 1530 detenuti (che arriva a meno di 1400, vista l’inagibilità del padiglione Genova, interessato da lavori di ristrutturazione) sono ristrette in condizioni inumane 2640 persone. Abbiamo visitato i padiglioni Milano, Roma, Napoli, Livorno, trovandovi strutture fatiscenti dove il sovraffollamento rende impossibili le condizioni di vita dei reclusi e della stessa Polizia Penitenziaria. Gli agenti in servizio sono 750 rispetto ad una pianta organica di 950. Essere ristretti in queste condizioni significa vivere una condizione di tortura sistematica. Continuiamo a ribadire che solo l’amnistia può interrompere la flagranza di reato rispetto alle leggi nazionali ed internazionali”. Emilio Martucci, del Comitato nazionale di Radicali italiani ha sottolineato che “entrare nel carcere di Poggioreale è traumatico anche per chi lo fa per una semplice visita ispettiva. Drammatica è l’emergenza sanitaria. La sala operatoria è ancora chiusa dopo due anni di lavori di ristrutturazione, rendendo necessario, anche per banali interventi, il trasferimento in strutture ospedaliere esterne. Il 30% dei detenuti è tossicodipendente in trattamento metadonico e viene assistito da 2 medici e un solo infermiere”. Reggio Calabria: interrogazione dell’On. Napoli (Fli) su completamento carcere Arghillà www.telereggiocalabria.it, 6 marzo 2012 La deputata di Futuro e libertà Angela Napoli ha presentato un’interrogazione ai Ministri della Giustizia e dello Sviluppo economico chiedendo di sapere “quali urgenti iniziative intendano assumere al fine di inserire il completamento della casa circondariale di Arghillà nel Piano carceri”. Nell’interrogazione la deputata fa la cronistoria “di questa importante e necessaria struttura” ricordando, tra l’altro, che “il problema finanziario legato alla sua realizzazione è stato superato con il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 2004 grazie al quale è stato assegnato al Servizio integrato delle infrastrutture e dei trasporti per la Sicilia e la Calabria un finanziamento di 16 milioni di euro da destinare proprio alla nuova casa di reclusione di Reggio Calabria. Il progetto definitivo rielaborato dalla ditta appaltatrice non è stato approvato in tempo utile per impegnare la somma stanziata entro l’esercizio finanziario 2004. Il Commissario straordinario, ing. Giovanni Grimaldi, ha informato il Ministero delle Infrastrutture che l’appaltatore dei lavori per la costruzione del nuovo carcere aveva comunicato l’esito del lodo arbitrale pronunciandosi per la risoluzione del contratto d’appalto “per fatto e colpa della stazione appaltante” e ha chiesto, altresì, di conoscere la dotazione finanziaria disponibile per l’eventuale appalto dell’opera in questione. Nonostante il sollecito prodotto l’11 aprile del 2008 il Commissario straordinario ad oggi non ha avuto alcun riscontro nel merito”. “La struttura di Arghillà - rileva infine l’on. Napoli - avrebbe la possibilità di ospitare 300 detenuti, nonché laboratori per le attività lavorative all’interno ed aree verdi da destinare a possibili coltivazioni”. Interrogazione dell’On. Angela Napoli Al ministro della Giustizia e al Ministro dello Sviluppo economico, Infrastrutture e trasporti - per sapere - premesso che: l’esigenza di realizzare una casa di reclusione nel territorio della regione Calabria fu rappresentata nel lontano 1988 dalla Direzione dell’Istituto Penitenziario reggino; nel decennio passato, alterne vicende politico-finanziarie ed amministrative hanno fatto slittare l’iter progettuale di una casa di reclusione nella provincia di Reggio Calabria; nel 1993/94, individuata l’area per la nuova casa penale a Reggio Calabria, furono avviate le procedure concorsuali per l’appalto dei lavori, privilegiando il sistema dell’affidamento “in concessione” delle opere di progettazione esecutiva e realizzazione del nuovo complesso carcerario; pur avendo individuato il soggetto concessionario nel R.I.T. (Raggruppamento Temporaneo di Impresa) Cmc-Pizzarotti, la procedura avviata divenne impercorribile a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 109/94, per cui si provvide ad affidare allo stesso soggetto l’appalto a “trattativa privata”; nel corso degli anni alcuni finanziamenti parcellizzati portarono alla realizzazione dei primi due lotti e al completamento della c.d. “stabilizzazione del fronte settentrionale”; Il 31 gennaio 2003 è stata siglata la proposta di ridimensionamento della struttura nascente, allo scopo di rendere la stessa fruibile in tempi brevi, anche alla luce di un ulteriore stanziamento di circa 14,5 milioni di euro; Il 31 luglio 2003 all’impresa appaltatrice è stato conferito l’incarico per redigere il nuovo progetto, ma una serie di vicissitudini hanno portato solo nel marzo del 2004 alla consegna da parte della Cmc - Pizzarotti del progetto generale esecutivo di variante commissionato, ma nel frattempo non è risultato più disponibile il finanziamento di 14,5 milioni di euro di cui allo stato revisionale del bilancio del 2002 da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; il problema finanziario veniva però superato con il D.M. del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 30.09.2004, con il quale era stato assegnato al Servizio Integrato delle Infrastrutture e dei Trasporti (S.I.I.T.) perla Sicilia e la Calabria un finanziamento di 16 milioni di euro da destinare proprio alla Casa di Reclusione di Reggio Calabria; il S.I.I.T. non ha però approvato il definitivo progetto rielaborato dalla ditta appaltatrice in tempo utile ad impegnare la somma stanziata entro l’esercizio finanziario 2004; nonostante le varie sollecitazioni anche del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, solo il 01 dicembre 2006 è stato nominato il Commissario straordinario per il completamento dei lavori della Casa di Reclusione di Arghillà in Reggio Calabria; e solo il 26 giugno 2007 l’Impresa C.M.C. Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna, Società Capogruppo dell’A.T.I., affidataria dei lavori di costruzione dell’opera, confermava la disponibilità alla ripresa ed al completamento dei lavori, pur rappresentando la necessità di disporre di un progetto esecutivo, redatto dal Commissario Straordinario e non accolta dallo stesso; con ulteriore nota il Commissario straordinario, ing. Giovanni Grimaldi, informava il Ministero delle Infrastrutture - Dipartimento 2^ Direzione Generale per l’Edilizia Statale e gli Interventi Speciali, che l’appaltatore dei lavori per la costruzione della Casa di Reclusione di Arghillà aveva comunicato l’esito del lodo arbitrale pronunciandosi per la risoluzione del contratto d’appalto “per fatto e colpa della stazione appaltante” e chiedeva, altresì, di conoscere la dotazione finanziaria disponibile per l’eventuale appalto dell’opera in questione; nonostante il sollecito prodotto in data 11 aprile 2008, il Commissario straordinario ad oggi non ha avuto alcun riscontro nel merito; la struttura di Arghillà avrebbe la possibilità di ospitare 300 detenuti, nonché laboratori per le attività lavorative all’interno ed aree verdi da destinare a possibili coltivazioni; purtroppo nel c.d. “Piano Carceri” presentato nel 2008 tale struttura non è stata inserita e quindi non indicata tra le opere da eseguire per il biennio 2009/2010 e per quello 2011/2012: quali urgenti iniziative intendano assumere, per le parti di competenza, al fine di inserire il completamento di questa importante e necessaria struttura carceraria di Arghillà nel c.d. “Piano Carceri”. Trieste: la protesta del Sap; non possiamo fare i secondini Il Piccolo, 6 marzo 2012 Una migliore e più equilibrata distribuzione del carico di lavoro tra le Forze dell’ordine. Lo chiede il Sap (Sindacato autonomo di polizia) che, in una nota emessa dopo un incontro con il prefetto, rileva che “alcune competenze, ad esempio l’accompagnamento dei cittadini stranieri clandestini presso le apposite strutture oggi a Trieste sono assolte esclusivamente dalla polizia di Stato, mentre nelle altre provincie d’Italia tutti concorrono, come è previsto”. Osserva poi il segretario provinciale Lorenzo Tamaro: “C’è poi il problema delle “Volanti” che troppo spesso vengono distolte dal controllo del territorio, per i rilievi degli incidenti stradali, in particolare nelle ore notturne quando manca il personale della Municipale, che oltretutto è quello preposto e unitamente alla Stradale il più qualificato per tale servizio”. Inoltre il Sap ha espresso la propria preoccupazione per quanto ha prodotto il decreto svuota carceri e l’eventualità di detenere gli arrestati presso i propri uffici con le inevitabili ripercussioni sull’impiego di personale per la vigilanza, distogliendolo dal controllo del territorio e riducendo la sicurezza dei cittadini”. Il caso è emerso la scorsa settimana quando un ladro preso in flagranza di reato dalla polizia ha potuto tornare a casa ai domiciliari perché in questura non ci sono camere di sicurezza adeguate mentre i carabinieri hanno arrestata una ladra e l’hanno portata nelle loro guardine di via dell’Istria in attesa della decisione del giudice. Savona: nuovo carcere; il Sappe scrive alla Ministro Severino ed al Commissario Sinesio Comunicato stampa, 6 marzo 2012 “Una riqualificazione importante per la Valbormida può essere anche quella di utilizzare le aree dismesse per costruirvi un nuovo carcere. Per questo oggi il Sappe ha interessato la Ministro della Giustizia Paola Severino ed il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria Prefetto Sinesio. Un intervento peraltro favorito dalle recenti normative che favoriscono l’edificazione di nuove strutture attraverso il project financing, ossia (per utilizzare l’espressione impiegata dal legislatore) la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione”. A darne notizia è il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece, che da tempo è impegnato su questo tema. “Non è più accettabile avere in Italia un carcere vergognoso come il Sant’Agostino di Savona, indegno per chi ci lavora e per chi sconta una pena (alcuni addirittura in celle senza finestre), come sono altrettanto vergognosi i ritardi burocratici del Comune savonese che fino ad oggi nulla ha fatto per sanare tali indecenze. Dopo un rimpallo durato oltre vent’anni, oggi sappiamo che non è previsto alcun nuovo carcere per Savona. È noto che il Sappe suggerisce, da tempo, la proposta di realizzare un nuovo carcere nella Valbormida, in tempi estremamente brevi, con costi contenuti ed avvalendosi di manodopera locale. Questa proposta ha avuto ampie convergenze e potrebbe essere un primo passo importante per un nuovo carcere alternativo a quello disastroso di Savona. Per questo abbiamo ritenuto opportuno informare la Ministro Guardasigilli ed il Prefetto Sinesio, entrambi nominati da poco nei rispettivi incarichi”. Capece torna a sottolineare come oggi “il carcere di Savona è contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto ed espone gli agenti di Polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio. Tutti dicono che serve un carcere nuovo a Savona ma nessuno concretamente lo vuole. Noi abbiamo proposto una soluzione alternativa in linea con l’edilizia penitenziaria europea nell’area della Valbormida: ci auguriamo che venga valutata con attenzione”. Cagliari: 8 marzo; “Un sorriso oltre le sbarre”, al Buoncammino Adnkronos, 6 marzo 2012 La realtà della condizione femminile nelle carceri sarde attraverso due iniziative finalizzate a sensibilizzare l’opinione pubblica. L’8 marzo 2012 avrà a Cagliari una forte impronta solidale per le donne private della libertà. Grazie alla disponibilità della Direzione del carcere cagliaritano di Buoncammino è infatti in programma la terza edizione di “Un sorriso oltre le sbarre”. Il progetto promosso dall’associazione Socialismo Diritti Riforme, coordinata da Maria Grazia Caligaris, coinvolge la sezione cagliaritana della Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari, in due appuntamenti. L’iniziativa prevede giovedì 8 marzo, a partire dalle 10, nel carcere di Buoncammino, un incontro nella sezione femminile dell’Istituto. Vi prenderanno parte oltre a una delegazione delle rappresentanti delle associazioni l’assessora dei Servizi Sociali del Comune di Cagliari Susanna Orrù e, in rappresentanza della Presidenza della Provincia di Cagliari, Rita Corda. In occasione dell’appuntamento, organizzato per festeggiare l’8 marzo con chi si trova in difficoltà, ciascuna detenuta riceverà un pacchetto contenente dei prodotti per la cura personale. Si tratta di un kit con spazzolino, dentifricio, bagnoschiuma, crema per il corpo e sapone per l’igiene intima. L’incontro sarà l’occasione per esaminare le problematiche connesse all’esperienza dentro la struttura detentiva delle carcerate e delle Agenti di Polizia Penitenziaria che condividono quotidianamente i disagi e le difficoltà derivanti dalla perdita della libertà e dalle condizioni di sovraffollamento. Il progetto 8 marzo 2012 Fidapa-Sdr prevede inoltre un’appendice il giorno successivo con l’assegnazione di un riconoscimento speciale a una donna che nel carcere di Buoncammino lavora quotidianamente da 23 anni. Venerdì 9 marzo, alle 17, nella Sala Consiliare della Camera di Commercio di Cagliari in una manifestazione pubblica sarà infatti assegnata la prima edizione del Premio Solidarietà Donna alla vincenziana Suor Angela Niccoli, 85 anni. ‘Un piccolo gesto di riconoscenza - sottolineano Maria Grazia Caligaris e Paola Melis - per una straordinaria testimone della vita senza la liberta”. Nel contenitore, grazie alla generosità di alcune farmacie e profumerie, campioncini di shampoo, balsamo e altri prodotti per la cura del viso. Sarà distribuito del materiale informativo sull’8 marzo anche alle Agenti della Polizia Penitenziaria in servizio e donata una pianta per la sezione femminile del carcere. Nuoro: 8 marzo; consiglieri comunali visitano sezione femminile Badu e Carros Adnkronos, 6 marzo 2012 In occasione della Giornata internazionale della donna, giovedì prossimo, 8 marzo, alcune consigliere comunali si recheranno in visita al carcere nuorese di Badu e Carros, dove visiteranno la sezione femminile e incontreranno le detenute. Alla visita parteciperanno Paola Demuro, Assessore comunale alla Pubblica Istruzione, le consigliere comunali Franca Carroni, Francesca Rosa Contu e Liliana Mustaro e il Commissario del Consorzio per la Pubblica Lettura S. Satta, Maria Giovanna Mulas. Le amministratrici locali avranno un confronto con le detenute sulla condizione carceraria delle donne, italiane e straniere, giovani e meno giovani. In particolare il confronto avverrà sulle problematiche quali il trattamento riservato alle donne in stato di restrizione, il lavoro, l’istruzione, le attività culturali e ricreative, i contatti con la famiglia (attraverso permessi premio, colloqui telefonici e visite in carcere), la situazione familiare e le problematiche relative ai rapporti affettivi e all’allontanamento forzato dai propri congiunti. Si parlerà inoltre delle misure adottate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i Diritti e la Pari Opportunità, relative soprattutto alla detenzione a tutela del rapporto fra detenute e figli minori. Le Amministratrici porteranno dei libri in dono alle detenute. Imperia: tensione nel carcere, contusi 2 detenuti albanesi Comunicato stampa, 6 marzo 2012 Clima teso nel carcere di Imperia. “Nel primissimo pomeriggio è scoppiata una rissa nella sala socialità del penitenziario tra alcuni detenuti - albanesi da un lato, italiani dall’altro: c’è stato un contatto, 2 albanesi sono rimasti contusi e solo il pronto intervento del personale di Polizia Penitenziaria addetto alla sorveglianza ha evitato conseguenze più gravi”, spiegano Donato Capece e Roberto Martinelli, segretario generale e segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria). “Già qualche giorno fa, durante l’ora d’aria, un detenuto italiano ed uno albanese erano arrivati allo scontro fisico e solo il pronto intervento dell’Agente di servizio ha evitato pericolosissime conseguenze che neppure vogliamo immaginare. Mi sembra evidente che tra alcuni dei ristretti delle due nazionalità vi sono problemi di coabitazione. Ma cos’altro dovrà accadere o dovrà subire il nostro Personale di Polizia Penitenziaria perché ci si decida ad intervenire concretamente sulle criticità di Imperia? La carenza di personale di Polizia Penitenziaria - 10 Agenti in meno negli organici, il pesante sovraffollamento (erano circa 120 i detenuti presenti ad Imperia il 29 febbraio scorso, dei quali il 60% circa gli stranieri, rispetto ai 69 posti letto regolamentari), con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate e soprattutto di coloro che in quelle sezioni detentive svolge un duro, difficile e delicato lavorato, come quello svolto dai poliziotti penitenziari.” Il Sappe evidenzia come “il fatto che i detenuti non siano impiegati in attività lavorative o comunque utili alla società (come i lavori di pubblica utilità) favorisce l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni. Ricordo a me stesso che, secondo le leggi ed il regolamento penitenziario, il lavoro è elemento cardine del trattamento penitenziario e “strumento privilegiato” diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società. In realtà, su questo argomento c’è profonda ipocrisia. Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti, con ciò alimentandosi una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria”. Viterbo: trovati 10 grammi di hashish in pacco inviato a detenuto Ansa, 6 marzo 2012 Tredici piccoli involucri contenenti hashish per un peso complessivo di 10 grammi nascosti nello spezzatino di carne destinato a un detenuto sono stati scoperti e sequestrati dagli agenti di polizia penitenziaria del carcere Mammagialla di Viterbo. Lo spezzatino, insieme ad altri cibi e capi di biancheria era contenuto in un pacco inviato al recluso dai familiari. Dell’episodio è stata informata la procura della Repubblica che, secondo quanto si è appreso, avrebbe aperto un fascicolo. Il pacco, come avviene abitualmente, è stato ispezionato dagli agenti di polizia penitenziaria. Controllando il contenitore con lo spezzatino, hanno individuato dapprima uno dei piccoli involucri. Lo hanno aperto e si sono accorti che conteneva una dose di hashish. Subito dopo hanno ispezionato minuziosamente il porta pranzo trovando altri dodici dosi, tutte racchiuse in involucri identici al primo. Colui, o colei, che hanno inviato il pacco al detenuto sarebbe già stato identificato. Roma: le voci dal carcere in un Cd, a cura dell’associazione “Il Ponte Magico” Amisnet, 6 marzo 2012 Portare fuori le voci dei detenuti attraverso la musica. Questo l’obiettivo principale di “D-Jail, voci dal carcere”, un progetto a cura dell’associazione “Il Ponte Magico”, in collaborazione con la Provincia di Roma. “D-Jail, voci dal carcere” è un Cd i cui testi dei brani sono stati scritti dai detenuti di diverse case circondariali di Roma e provincia. Attraverso un bando, i detenuti sono stati invitati a scrivere testi per brani musicali, che poi sono stati selezionati e musicati da Il Ponte Magico. Il lavoro è liberamente scaricabile dal sito dell’associazione Il Ponte Magico. “Il progetto si inserisce nell’ambito di intervento dell’associazione di reinclusione sociale degli ex-detenuti attraverso la realizzazione di un “ponte” tra l’interno delle realtà carcerarie e il mondo esterno” spiegano i promotori dell’iniziativa “un mezzo per riaccogliere con più coscienza il detenuto che ha scontato la pena e per conoscere una realtà complessa troppo spesso marginalizzata”. Verona: Roberto Vecchioni in visita al carcere di Montorio Comunicato stampa, 6 marzo 2012 Il famoso cantante e autore Roberto Vecchioni ha accolto l’invito dell’Associazione “La Fraternità” e il 10 marzo prossimo si incontrerà con i detenuti nella Casa circondariale di Montorio. Sabato mattina 10 marzo Roberto Vecchioni entrerà alle 9,30 nel carcere di Montorio e si incontrerà subito in sala polivalente con i detenuti della terza sezione maschile e alcuni volontari della Fraternità che operano in quella sezione. Alle 10,30 si incontrerà nella cappella interna con i detenuti di altre sezioni. Roberto Vecchioni porterà con sé una chitarra, potrebbe uscirne quindi anche qualche cenno di canzone. La visita terminerà attorno a mezzogiorno ed è resa possibile grazie alla collaborazione della Direzione del carcere, della Direzione pedagogica, della Polizia Penitenziaria e grazie soprattutto all’impegno della Garante per i diritti dei detenuti Margherita Forestan, che sarà presente ad entrambi gli incontri. L’iniziativa richiede una breve spiegazione. Qualche anno fa La Fraternità, in collaborazione con Luci nel Mondo, ha prodotto un cofanetto intitolato “Raccontamela giusta” e contenente un Cd rom di testi informativi sui temi della giustizia, della pena, del carcere, e un Dvd con numerosi video. Ora si è ritenuto necessario aggiornare il materiale filmato per rispecchiare i cambiamenti intervenuti e presentare nuove testimonianze. L’opportunità è data dal Progetto Esodo che, col coordinamento della Caritas e il contributo della Fondazione Cariverona, affida a diverse associazioni il compito di coinvolgere un rilevante numero di persone detenute o in misura alternativa in percorsi di sostegno individuale, di gruppo e familiare, di formazione professionale, di inserimento lavorativo ed abitativo. Il nuovo Dvd in preparazione, nell’ambito delle attività di animazione assegnate a La Fraternità (unitamente al supporto personale e familiare), intende coinvolgere un gruppo di detenuti per rappresentare nel modo più efficace le loro storie, il carcere in cui vivono, le prospettive del Progetto Esodo nel contesto dei problemi delle povertà e della pena. Roberto Vecchioni ha accettato di figurare nel nuovo Dvd come “testimonial”, per promuoverlo con la sua sensibilità e notorietà. All’esterno, dopo la visita, gli operatori di Luci nel Mondo riprenderanno un’intervista a Roberto Vecchioni sulle sue emozioni e commenti, per inserirla nel Dvd in preparazione. Per informazioni: La Fraternità - tel. 045-8004960 Immigrazione: Antigone in visita al Cie di Via Corelli di Alessandra Naldi (Associazione Antigone Lombardia) Comunicato stampa, 6 marzo 2012 In queste ultime ore abbiamo appreso nuove inquietanti notizie sul Cie di via Corelli a Milano: cinque persone avrebbero tentato il suicidio nella sola notte di sabato. Per carità, nessuno pensi male: “si tratta di episodi slegati tra di loro, che non si sono verificati nell’ambito di una rivolta”... così ci informa la notizia di agenzia, forse è stata una convergenza astrale, certo che ben cinque persone abbiano scelto la stessa notte per cercare di togliersi la vita suona proprio un può strano. Oggi abbiamo saputo informalmente di un altro recluso (pardon, si dice “ospite”) che si sarebbe dato fuoco all’interno del Centro. Esattamente dieci giorni fa eravamo state in visita in via Corelli. Una delegazione di sole donne - Chiara Cremonesi (consigliera regionale Sel), Ilaria Scovazzi e Anita Pirovano (Arci Milano) e la sottoscritta per conto di Antigone Lombardia - che il responsabile della Polizia di Stato nel Cie non voleva neanche far entrare nelle sezioni detentive, perché “se lì vi sequestrano, io non potrei farci niente perché lì la Polizia non può entrare se non su richiesta degli operatori della Croce Rossa”. Chissà se sono proprio gli operatori della Croce Rossa che hanno in gestione il Centro a chiamare di tanto in tanto la Polizia per perquisire le celle (pardon, “camere”). Comunque la visita all’interno l’abbiamo fatta, non ci siamo limitate a guardare dalle finestre del corridoio centrale (opportunamente ripulito per accogliere la nostra visita) mentre gli ospiti si ammassavano contro le porte delle rispettive sezioni e cercavano di attirare la nostra attenzione con battitura delle sbarre, urla e gesti. Quello che abbiamo visto non è affatto bello: nelle camere del Cie non c’è alcuna dotazione, solo quattro letti e uno scaffale a vista in muratura con un ripiano a testa; il bagno è fatto da wc alla turca, lavandini in fila e docce in muratura senza porte, il tutto in metallo, allagato e sporco; l’interruttore della luce della camera che abbiamo visitato era divelto dalla parete con i fili elettrici a vista; gli ospiti ci hanno segnalato - ovviamente - abbondante presenza di scarafaggi. Il corridoio centrale invece era pulito, e durante la nostra visita lo stavano ancora lavando: ma i ristretti ci hanno detto che era la prima volta che vedevano operatori della Croce Rossa a pulire quello spazio. Ma è soprattutto il clima che si respira all’interno del Cie di Milano ad averci sconvolto. All’interno del Cie di via Corelli oltre ai reclusi e alla Polizia non entra nessuno, se non gli operatori della Croce Rossa e due sole realtà di volontariato: la Caritas Ambrosiana e le Suore di Madre Teresa di Calcutta. Gli ospiti - nonostante formalmente non si tratti di detenuti - sono di fatto impossibilitati o quasi a comunicare con l’esterno. Nel Cie di Milano - pare unico caso in tutta Italia - non viene più permesso di portare all’interno telefoni cellulari; avevamo notizia che la motivazione ufficiale fosse il divieto di fare fotografie o riprese video come ormai quasi tutti i telefonini consentono, invece ci è stato chiarito molto candidamente che, per un’ordinanza del Prefetto di Milano del 12 ottobre 2010 motivata da “ragioni di ordine pubblico”, non è più concesso l’ingresso dei telefonini (“ma non è un sequestro: chi ce l’aveva prima l’ha potuto conservare, solo che ormai i cellulari dentro sono andati ad esaurimento”) perché altrimenti c’è il rischio che si sviluppino rivolte all’interno. Di conseguenza le persone ristrette possono comunicare all’esterno solo attraverso telefoni fissi Telecom con schede telefoniche consegnate dalla Croce Rossa (una da 15€ fornita all’ingresso più un buono da 5€ ogni due giorni che può essere speso per l’acquisto di ulteriori schede, in alternativa alle sigarette o a un pacco di biscotti). I reclusi con cui abbiamo parlato ci hanno descritto una situazione estremamente difficile, con tante vicende personali che meriterebbero di essere chiarite una per una: oltre ai già noti casi di espulsioni a seguito della cosiddetta sanatoria truffe, sono emerse storie di persone che non riescono a comunicare coi familiari; di fax attestanti il matrimonio con una cittadina italiana scomparsi, poi ricomparsi con pagine mancanti; di malattie non adeguatamente curate;... Più in generale, oltre alle pessime condizioni igieniche che abbiamo potuto osservare coi nostri occhi, ci sono stati segnalati: recenti episodi di rifiuto del vitto, e almeno uno sciopero della fame durato 12 giorni, mai segnalati all’esterno - giustificazione dei nostri interlocutori: “sì, ogni tanto rifiutano il cibo, magari non mangiano a pranzo e poi lo prendono alla sera, e in quei giorni vanno sempre alla macchinetta” (N.B.: distributori automatici di snack e bevande all’interno delle sezioni, che secondo i reclusi sono spesso guaste o vuote - e in effetti quella degli snack che ho visto io era completamente vuota); frequenti perquisizioni della Polizia nelle sezioni; pestaggi a seguito di proteste individuali o collettive; tessere telefoniche consegnate dalla Croce Rossa all’ingresso che si rivelano essere già scadute o con una carica inferiore a quella dichiarata, mentre i telefoni fissi disponibili all’interno sarebbero spesso guasti; cibo di pessima qualità e talvolta scaduto (il cibo è fornito da una ditta esterna - la Sodexo - in vassoi preconfezionati da scaldare al momento. Alla fine della visita abbiamo fatto richiesta di vedere il carrello del cibo visto che era ora di pranzo: non ci hanno fatto rientrare in sezione con la scusa che “sennò ricominciano a battere le sbarre” ma ci hanno fatto vedere uno dei vassoi delle diete conservati in frigo; non era scaduto, ma era fatto solo da una porzione striminzita di riso in bianco e una mezza coscetta di pollo). Alla luce di tutto questo, potete ben capire perché la notizia dei tentati suicidi che si sarebbero registrati nelle ultime ore in via Corelli non ci stupisca affatto. Gran Bretagna: fondi alle imprese che assumono ex detenuti Vita, 6 marzo 2012 Le imprese britanniche riceveranno un “premio” di 5.600 sterline ogni volta che assumeranno un ex detenuto e lo manterranno nell’impiego per almeno due anni. È questo l’annuncio del governo Cameron, i cui ministri hanno spiegato che ogni detenuto liberato dalle carceri del Regno Unito che farà domanda di lavoro verrà automaticamente inserito nel Work Programme (un percorso finalizzato al reinserimento di soggetti a rischio di disoccupazione a lungo termine). Agli ex detenuti si affiancheranno dei consulenti specializzati con l’incarico di renderli più appetibili alle imprese e di ridurre il tasso di recidiva. Secondo il piano del governo, il percorso di ritorno al lavoro sarà pianificato con gli interessati quando questi si trovano ancora in carcere, in modo da poter entrare nel Work Programme immediatamente dopo la liberazione. Il ministro del Lavoro Chris Grayling ha detto che “avviare al lavoro gli ex detenuti è di vitale importanza per la lotta al crimine. La recidiva il Gran Bretagna è troppo alta e dobbiamo ridurla. Negli anni passati troppe persone finivano sulla strada dopo il carcere, senza soldi né aiuti. Dobbiamo modificare questa situazione”. I dati ufficiali (riferiti al 2008) mostrano che solo la metà degli ex detenuti gode dei sussidi di disoccupazione. India: pestaggi, sporcizia e abusi… viaggio nell’inferno delle galere Libero, 6 marzo 2012 “Le prigioni nel Kerala sono sovraffollate. Nel settembre del 2005 circa 6950 detenuti erano alloggiati in strutture con una capienza collaudata per 5415 detenuti. Nella Prigione Centrale, Thiruvananthapuram, sono alloggiati 1612 detenuti, incluse 32 donne, rispetto ai 1000 autorizzati. I detenuti nelle carceri dello Stato sono regolarmente soggetto a pestaggi, maltrattamenti e anche abusi sessuali. La condizione della Poojappura Central Prison di Thiruvananthapuram era deplorevole. La Commissione per i Diritti Umani dello Stato del Kerala durante la sua visita al carcere del 7 aprile 2005 ha ricevuto lamentele per la mancanza di assistenza medica, le celle sovraffollate e i gabinetti sporchi. C’era solo un medico e i detenuti infermi non ricevevano cure mediche immediate e appropriate. 30 detenuti erano stati alloggiati in una cella che aveva letti e strutture solo per tre. Circa 1.600 detenuti, inclusi quelli in condizioni di detenzione preventiva, erano ammucchiati l’uno addosso all’altro. I gabinetti nelle celle erano sporchi e privi di adeguata illuminazione”. Sono scampoli da un rapporto sui diritti umani nel Kerala redatto nel 2006 dall’Asian Centre for Human Rights. La Poojappura Central Prison di Thiruvananthapuram è il carcere dove i marò italiani sono stati inviati. Intendiamoci: non tutta la documentazione sul posto è così pessimista. C’è anche una biblioteca di 12.000 volumi, si permette ai detenuti di coltivare riso in cortile, ci sono laboratori teatrali, e Bollywood vi ha ambientato qualche film famoso. È infatti il carcere più famoso e antico dello Stato, e in una vita politica agitata da sommosse e scandali è spesso “frequentato” da vip. Lo stesso sito ufficiale del carcere ammette però che la struttura è “sovraffollata” e che l’assistenza medica è “inadeguata”. Un problema che vari detenuti italiani in carceri indiane hanno avuto è stata poi l’alimentazione. La madre di Tomaso Bruno, condannato all’ergastolo per il presunto omicidio di un amico, testimonia che nel carcere dell’Uttar Pradesh in cui è rinchiuso il figlio è “trattato bene”, ma il cibo è solo vegetariano e nonostante le ripetute richieste dell’Ambasciata di fornirgli acqua minerale gli viene somministrata l’acqua del pozzo. Inoltre il carcere dove è detenuto è uno dei pochi in tutta l’India dove non è permesso ai detenuti di tenere Ipod o Ipad e non può effettuare telefonate. A Angelo Falcone e Simone Nobili, che furono assolti dopo due anni e mezzo di detenzione per detenzione di droga, non fu concesso né il traduttore, né di telefonare all’ambasciata. Fu dato loro da mangiare solo lenticchie e riso, dormirono su una coperta per terra e lavandosi come tutti i detenuti con l’acqua di un secchio in cortile contrassero l’epatite virale. Il giudice ha comunque stabilito che i due marò potrebbero essere detenuti in una zona separata dagli altri carcerati e potrà essere concesso loro di ricevere visitatori italiani per un’ora al giorno. Inoltre potranno ricevere “cibo conforme alla loro dieta”: s’intende, “procurato e pagato dalle autorità consolari”. Siria: tv britannica mostra video-choc su torture a prigionieri in ospedale Homs Aki, 6 marzo 2012 Torture sui pazienti nell’ospedale militare di Homs, la città siriana epicentro della rivolta contro il presidente Bashar al-Assad. Le immagini-choc, girate in segreto negli ultimi tre mesi da un medico che lavora nella struttura, sono state trasmesse dalla tv britannica Channel 4. La telecamera mostra i pazienti incatenati al letto e vicino a loro cavi elettrici e fruste. Un uomo bendato ha sul torace evidenti segni di colpi di frusta, come confermato anche da un esperto di medicina forense intervistato dalla tv britannica. Nel video, che secondo l’emittente sarebbe stato portato fuori dalla Siria da un giornalista francese, il medico testimonia gli orrori compiuti nell’ospedale. “Ho visto detenuti torturati con elettrocuzione, frustati, colpiti con i manganelli fino a rompergli le gambe”. L’uomo dichiara, inoltre, di aver assistito ad “operazioni eseguite senza anestesia. Ho visto sbattere le teste dei detenuti contro i muri, negare loro l’acqua”. Homs è stata sotto il fuoco dell’esercito siriano per quasi quattro settimane fino a giovedì scorso, quando i disertori dell’Esercito siriano libero, che si oppongono al regime, si sono ritirati dal distretto di Baba Amr a causa della superiore potenza di fuoco delle truppe di Damasco. La Croce Rossa sta negoziando da giorni l’ingresso a Baba Amr per consegnare gli aiuti alla popolazione ed evacuare i feriti, ma non ha ancora ricevuto il permesso delle autorità. Secondo Human Rights Watch, sono circa 700 le persone morte nell’assedio di Homs. Egitto: fratello Al-Zawahiri denuncia carcere duro e chiede la grazia Aki, 6 marzo 2012 Mohammed Rabia al-Zawahiri, fratello del leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, ha denunciato di subire continue vessazioni in carcere ed ha chiesto di ottenere la grazia “come l’hanno ottenuta gli attivisti delle Ong americane a cui è stato concesso di lasciare il paese”. Secondo quanto riporta il sito informativo egiziano al-Youm al-Sabaa, il fratello del fondatore e capo di al-Qaeda ha firmato insieme ad altri 40 detenuti salafiti una lettera di protesta dal carcere di Tora nel quale si trova rinchiuso. Nella missiva si denunciano “continue perquisizioni e vessazioni da parte dei carcerieri nei confronti di chi come noi si trova in isolamento nel braccio più duro del carcere”. Nella lettera, inviata al procuratore del Cairo, il fratello di al-Zawahiri ha sostenuto di aver subito “torture continue dal 1994 al 2001. Dopo abbiamo continuato a subire vessazioni che speravamo sarebbero finite dopo la rivoluzione, invece continuano”. Per questo ha chiesto “di poter essere graziato come lo sono stati i cittadini americani finiti nelle indagini sui finanziamenti illeciti alle Ong attive nel Paese”. Iran: avvocato diritti umani condannato a 18 anni carcere Adnkronos, 6 marzo 2012 Il noto avvocato iraniano per i diritti umani, Abdolfattah Soltani, è stato condannato da un tribunale “rivoluzionario” di Teheran a 18 anni di carcere e a 20 anni di interdizione dalla professione per “propaganda anti-governativa” e “organizzazione di un gruppo di opposizione illegale”. Lo ha riferito la moglie di Soltani, Masoumeh Dehqan, citata dal sito web riformista ‘Rahesabz’. “Uno degli avvocati di mio marito mi ha detto che è stato condannato a 18 anni nel carcere di Borazjan (nel sud dell’Iran, ndr) e che è stato interdetto dalla professione per 20 anni”, ha affermato la donna, che non ha precisato quando la sentenza è stata emessa. Soltani, cofondatore insieme al premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi, del Centro dei difensori dei diritti dell’uomo, era stato arrestato ai primi di settembre. Egli, che già tra il 2005 e il 2009 passò alcuni mesi in carcere, è anche noto per aver difeso in alcuni processi esponenti della minoranza Bahài, perseguitata in Iran. Del suo caso si sono occupati Amnesty International e l’Unione Europea.