Se telefonando... si umanizzano le prigioni Il Mattino di Padova, 5 marzo 2012 In tanti Paesi civili (la Francia, per esempio) le persone detenute telefonano liberamente dal carcere ai loro familiari, in Italia no, In Italia si può telefonare una volta a settimana per dieci miseri minuti e per certe categorie di reati le telefonate sono ancora meno, due al mese. La “liberalizzazione” delle telefonate è allora un obiettivo del tutto ragionevole, che farebbe entrare un può di umanità in carceri ormai Impresentabili. Senza contare che mantenere contatti più stretti con I propri cari, quando si sta male e si sente il bisogno del calore delia famiglia, così come quando a stare male è un familiare, potrebbe davvero costituire anche una forma di prevenzione dei suicidi. Dieci minuti da dividere per 3 figlie Sono un detenuto che deve scontare un cumulo di pena di venti anni, ne ho già scontati la metà, sono padre di tre bambine di il, 10 e 3 anni. L’unico mezzo possibile per mantenere vivo il rapporto con loro sta nelle sei ore di colloquio mensile e nelle telefonate, una a settimana della durata di dieci minuti. Allora mi chiedo come un padre possa continuare a svolgere il ruolo di genitore in queste condizioni. La risposta è che no! Non è proprio possibile fare il padre nei dieci minuti di telefonata che, poi, divisi per tre figlie sono tre minuti da dedicare a ciascuna figlia. Il rischio è che le bambine crescano con disturbi della personalità e con atteggiamenti di rifiuto verso la società. Eppure la loro unica colpa sta nell’essere figlie di un detenuto. Purtroppo in Italia i f igl i dei detenuti, con tutte le privazioni che gli vengono imposte, scontano in parte la condanna del loro genitore. Ma come può un detenuto tendere a rieducarsi e a responsabilizzarsi se di fatto gli viene tolta la possibilità di essere davvero genitore? Perciò la conseguenza sarà che. dopo aver scontato fa tua pena, dovrai fare rientro in famiglia e ti troverai dei figli che conosci appena e ti sentirai un estraneo nel doverti rapportare con loro. E questo riguarda quelli che hanno la fortuna di trovarla ancora, una famiglia, perché in molti casi la famiglia del detenuto, dopo aver vissuto questo tipo di esperienza, decide di non seguirlo più e quindi sceglie la separazione. Noi tutti siamo consapevoli che abbiamo fatto degli errori e dobbiamo pagare, ma con la privazione della libertà personale e non come avviene attualmente nelle carceri italiane, dove si viene privati del diritto forse più fondamentale della propria vita, che è quello di prendersi cura dei propri figli. Con il pericolo che un figlio, dopo aver vissuto questo tipo di situazione, possa deviare nella crescita e sentirsi un diverso, magari colpevolizzandosi per responsabilità che non ha, perché non è una colpa quella di essere il figlio di un detenuto in un Paese dove le istituzioni carcerarie i figli di detenuti li obbliga a vivere come figli di “serie B”. Penso che da parte di tutti si dovrebbe fare una lunga riflessione su come attualmente vivono i figli dei detenuti e iniziare a lottare perché le istituzioni si sensibilizzino su questo problema e si adeguino agli altri Paesi europei, dando per lo meno maggiore spazio alle telefonate con i figli e facendoli ritornare figli “normali” con tutti i diritti che ogni figlio deve avere. Luigi Guida Dopo 20 mesi ho risentito “mamma” Ho dovuto fare venti mesi di attesa per riuscire finalmente a parlare al telefono con i miei f igl e i miei genitori. Dopo tanti mesi che non sentivo la loro voce è stata un’emozione fortissima poterli chiamare. Sentire poi la parola “mamma”, non è stato facile, anche perché non ero più abituata a quella parola. Stavo parlando con mia madre e mi pareva di avere appena iniziato quando ho sentito l’agente che mi ha detto “passate ai saluti”. Non mi ero resa conto che il tempo era volato e che avevo già fin to. Non so cosa ho detto io e così hanno detto loro, mi sembra di non essere riuscita a dire nulla ii dieci minuti. Sono così pochi soprattutto per quelli come me, che la famiglia ce l’hanno lontana! Comunque, dopo tutto quel tempo, il suono della parola mamma mi aveva tolto anche la forza di parlare! La circolare sulle telefonate ai cellulari permette di chiamare a un cellulare chi non ha colloqui visivi nei quindici giorni precedenti, ma io i collo qui visivi li ho perché viene a trovarmi il mio compagno, allora sono andata a parlare con la direttrice, le ho spiegato il mio problema, le ho spiegato che voleva sentire la voce dei miei figlie lei mi ha autorizzato subito. Ai miei figli, che sono rimasti in Albania quando ero libera telefonavo almeno due volte al giorno: al mattino gli davo il buongiorno e alla sera gli chiedevo come era andata la giornata. Adesso, dalle scorso giugno, vivono da sol i. Provo angoscia, ansia che possa succedere loro qualcosa, che stiano male, con me lontana. I miei genitori sono anziani e non sono in grado di aiutarli come potrei fare io. Se ora qui mi venissero a dire “Ti autorizziamo a fare una telefonata straordinaria”, io immediatamente telefonerei ai miei figli. Subito. Per chiedere loro come stanno, come va il lavoro, se si stancano, come hanno sistemato la casa, se hanno bisogno di qualcosa. Con una telefonata di dieci minuti invece non ho assolutamente tempo a sufficienza. Il pensiero è sempre li, perché sono soli. Mimoza “Non voglio sentirti piangere più” Anche se il mio è un reato del 4 bis, per due anni di telefonate ne ho fatte quattro al mese. In ben tre istituti si sono sbagliati, poi si sono resi conto che con il 4 bis se ne possono fare solo due, e mi hanno tolto subito le due in più che facevo. Ma cosa potevo dire a quel punto a mio figlio? Che avevano fatto una legge nuova per cui potevo chiamarlo solo due volte al mese? Cosa puoi dire a un bambino di 12 anni? Come lo capisce? E che cosa riuscirò ora a dire a mio figlio in venti minuti al mese, forse solo “come stai? come vai a scuola?” e poco altro. Mio figlio vive con mia mamma in Romania e il padre lo segue poco, l’aiuto economico arriva più da parte mia che da parte sua. Ha bisogno di sostegno adesso, ma io per telefono cosa gli posso raccontare? Allora gli scrivo tanto, anche per conoscerlo. Per iscritto, facciamo tutto, anche dei quiz! Io non lo conosco più. lo conosco fisicamente ma mentalmente questo bambino io non lo conosco proprio più. Ho iniziato allora a interrogarlo domandandogli che colore gli piace, che musica. L’ho lasciato a 10 anni adesso ne ha 14, è un’altra persona, per questo devo fargli delle domande così, e a periodi diversi ripeterle, perché cresce. cambia. In questo modo, quando arriverò a casa, non perderò tempo per conoscerlo, perché ne sto approfittando per farlo da qui! Gli chiedo di tutto: se crede in Dio. che materia gli piace, con che cosa gioca, tutto... Faccio delle liste di domande e lui mi risponde. Sono quattro anni che non lo vedo. non lo tocco. Già fisicamente è un altro, lui mi manda fotografie. se le fa lui, e ho notato una cosa particolare: non mi manda solo le foto con lui. ma con tutta la città, le panchine del parco, il Comune, la scuola... Ho pensato “Forse mio figlio si rende conto che non mi manca solo lui. ma anche tutto il resto, e allora mi coinvolge, mi manda la foto del lago ghiacciato, delle strade, perfino del tavolo, il tavolo apparecchiato a casa mentre mangiano. tutto. Nelle ultime foto c’erano le strade piene di neve, la sua torta di compleanno, il garage, la sua bicicletta, una panchina del parco nuova lui e mia mamma.- mi ha mandato tutto il mondo che pensa mi manchi. E io mi sono detta “Guarda quanto sono fortunata con mio figlio, perché lui mi dà più forza di quella che gli do io!”. Oggi gli ho parlato di nuovo, e lui mi ha consolata dicendomi: “Non piangere più, approfitta di quei pochi minuti che hai. al telefono non voglio sentirti piangere più...”. Luminita Giustizia: le cifre di una strage quotidiana… di persone, di diritto, di legalità Notizie Radicali, 5 marzo 2012 Nel 2011 si sono suicidati 63 detenuti (38 italiani e 25 stranieri) nei penitenziari italiani su un totale di 186 persone decedute per cause naturali o per cause da accertare (in 23 casi sono in corso indagini giudiziarie). Nel 2010 i suicidi furono 65, i tentati suicidi 1.137, gli atti di autolesionismo 5.703, i decessi per cause naturali 108. Il totale dei “morti in carcere” nel corso degli ultimi 12 anni supera le 2.000 unità: 1.954 fra i detenuti e 91 fra gli agenti di Polizia penitenziaria. Dal 2000 al 2012 si sono uccisi 700 detenuti e ci sono stati anche 85 agenti suicidi. Queste cifre terrificanti emergono dal rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia. La Commissione diritti umani del Senato ha lavorato mesi su questo documento, che verrà posto in votazione la prossima settimana. Il numero dei suicidi è alto perché l’Italia è fra gli ultimi posti in Europa nel rapporto fra detenuti e posti in carcere. La situazione al 29 febbraio 2012 è la seguente: capienza complessiva 45.742 posti; detenuti presenti 66.632, di cui solo 38.195 sono condannati definitivi. Gli stranieri sono 24.069 (20,1% marocchini, 14,9% romeni, 12,9% tunisini, 11,6% albanesi). Le leggi svuota carceri (quella di Alfano del 2010 e quella recentissima del ministro Severino) hanno consentito l’uscita dal carcere di 5.140 persone. Se il problema carceri non verrà risolto al più presto, l’Italia rischia di pagare caro anche dal punto di vista economico. L’Italia non ha il reato di tortura, ma il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) ha stabilito nel 1992 che ogni detenuto deve disporre di almeno 7 metri quadri nelle celle singole e di almeno 4 metri quadri nelle celle multiple. Se si hanno a disposizione meno di tre metri quadri, si è in presenza di tortura. L’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo stabilisce: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Nel 2008 la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano a versare 5.000 euro al detenuto Scoppola perché non fu protetta la sua salute. Nel 2009 la stessa Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire 1.000 euro al bosniaco Sulejmanovic perché detenuto con altre quattro persone in una cella di 16 metri quadri. Nel 2001 il Tribunale di Sorveglianza di Lecce ha riconosciuto il danno esistenziale al tunisino Abdelaziz, rinchiuso con altre due persone in una cella di 11,5 metri quadri ed ha imposto un risarcimento di 220 euro a carico dell’amministrazione penitenziaria. L’ordinanza è stata impugnata dall’avvocatura di Stato in Cassazione. Sempre a Lecce, il 13 febbraio 2012, l’amministrazione penitenziaria è stata condannata a risarcire i danni per la lesione della dignità e dei diritti di quattro detenuti del carcere di Borgo San Nicola. Il giudice Luigi Tarantino ha riconosciuto, nei confronti dei detenuti, “lesioni della dignità umana, soprattutto in ragione dell’insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione”. Il Tribunale di Asti nel gennaio 2012 ha condannato alcuni agenti di polizia penitenziaria “per violenze fisiche e privazioni del sonno”. L’impressione che se ne trae è che questi ricorsi potrebbero moltiplicarsi a pioggia costringendo lo Stato italiano a cospicui risarcimenti. Il ministro Severino ha promesso un piano con 11.573 nuovi posti nei penitenziari. Dopo l’indulto approvato nel 2006 durante il Governo Prodi, la popolazione carceraria scese a 39mila unità su circa 45.000 posti. Nel 2008 il rapporto detenuti/posti era già risalito al 129,9%, nel 2009 al 148,2%, oggi con le leggi svuota carceri siamo al 145,6%. Le carceri soffrono anche per la mancanza di personale: rispetto alla dotazione organica prevista mancano 6.000 agenti di polizia penitenziaria su 45.121 unità e 34 magistrati di sorveglianza su 202. L’indulto del 2006 ha funzionato parzialmente: su 36.741 beneficiati, circa un terzo del totale (12.462) ha fatto rientro in carcere prima del 30 giugno 2011. Un capitolo a parte è quello degli ospedali psichiatrici giudiziari che saranno chiusi a partire dal primo febbraio 2013. Il ministro Severino, alla Commissione Diritti umani del Senato, ha ribadito che “le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose dovranno essere dimesse senza indugio e prese in carico, sul territorio, dai dipartimenti di salute mentale”. Al 31 dicembre 2011 risultano 1.549 internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, case di lavoro e case di cura e custodia. Essi rappresentano il 2,3% della popolazione detenuta. C’è poi la delicata questione dei bambini in carcere con le detenute madri. La legge prevede che, sotto i tre anni di età, i bambini vivano in carcere con le madri. Al 30 giugno 2011 nelle carceri italiane erano presenti 53 madri con 54 bambini. Solo a Rebibbia ci sono 14 madri, di cui 13 Rom. Sono per lo più condannate per reati di furto ed è difficile che vengano concesse misure cautelari o alternative in quanto recidive e perché le condizioni abitative nei campi non sono accettabili. La legge sulle detenute madri, approvata nell’aprile 2011, porta a sei anni il limite di età dei figli sotto il quale è possibile la custodia fuori dal carcere. Le strutture previste sono case famiglia protette (ve ne sono pochissime attualmente in funzione) e gli Istituti di custodia attenuata per madri detenute. Per ora uno solo di questi istituti è stato realizzato (a Milano). Per quanto riguarda gli italiani detenuti all’estero, la Farnesina fornisce la cifra di 2.905 unità. Contro i suicidi in carcere “quello che serve non sono Commissioni ministeriali o di monitoraggio ma un ripensamento complessivo della pena”. Contro i suicidi in carcere “quello che serve non sono Commissioni ministeriali o di monitoraggio ma un ripensamento complessivo della pena”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. “Non penso - scrive Capece - che la riattivazione da parte dell’Amministrazione penitenziaria dell’Umes, unità di monitoraggio degli eventi suicidari in carcere, sarà efficace nel contrasto alla tragica realtà dei suicidi e delle morti in carcere”. “La Polizia penitenziaria - ricorda il Sappe - ha 7 mila agenti in meno negli organici e le carceri, che dovrebbero ospitare non più di 45 mila persone, ne vedono presenti 67mila. Per questo speriamo che il disegno di legge presentato dal ministro della giustizia Paola Severino sulla messa in prova venga approvato al più presto”. Il Sappe chiede poi interventi a tutela delle “condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria che stanno nella prima linea delle sovraffollate sezioni detentive italiane 24 ore al giorno”. Carceri, Oms, rischi salute per oltre due milioni di detenuti in Europa. Hiv, Tbc, droga e problemi mentali più insidiosi dietro le sbarre Salute a rischio per oltre due milioni di persone recluse nelle prigioni europee. Lo sottolinea il braccio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui i carcerati sono più a rischio di Hiv, tubercolosi, cattiva salute mentale e dipendenza da sostanze rispetto agli altri. Contrastare la diffusione di malattie infettive in prigione è fondamentale non solo per proteggere la salute dei carcerati, ma anche per ridurre il rischio che queste si trasmettano al resto della comunità. Ecco perché è nato il Who Health In Prison Programme, un programma che sostiene gli Stati nell’impegno per garantire la salute e le cure in carcere, e facilitare i contatti con i servizi sanitari e gli istituti di pena a livello nazionale e internazionale. L’Oms Europa ha diffuso su You Tube tre filmati per documentare la situazione dei detenuti in Azerbaijan, Danimarca e Kyrgyzstan. Giustizia: emendamento Rita Bernardini per visite Sindaci in carcere senza autorizzazione Ansa, 5 marzo 2012 Anche i sindaci potranno visitare i detenuti senza autorizzazione, ma lo dovranno fare solo se l’iniziativa è “finalizzata all’esercizio delle proprie funzioni”. A prevederlo è un emendamento Pd presentato al testo che estende la visita in carcere senza autorizzazione anche al presidente della Provincia e al suo assessore delegato, al sindaco e all’assessore del comune che ospita l’istituto penitenziario. Il provvedimento, di Rita Bernardini, rende più facile l’ingresso anche agli europarlamentari. Giustizia: Papa (Pdl); limitare carcere preventivo e legalizzare droghe leggere Agenparl, 5 marzo 2012 “La situazione del carcere di Pozzuoli è esplosiva: a fronte di una capienza regolamenta re di 82 detenute sono compresse in celle a dir poco fatiscenti 202 donne”, è quanto afferma il deputato del Pdl Alfonso Papa al termine della visita presso la casa circondariale femminile del Comune campano. “Se consideriamo che di quelle 202 detenute solo 90 scontano una pena definitiva e oltre il 70% sono ristrette a causa di una legge carcerogena come la Fini - Giovanardi - continua l’onorevole Papa -, allora comprendiamo che oggi si pone l’urgenza di rivedere l’istituto della carcerazione preventiva, divenuto ormai un mezzo di anticipazione della pena nei confronti di presunti non colpevoli, così come quella legge sulle droghe ispirata a un cieco proibizionismo”. “Chi equipara droghe pesanti e leggere, o consumatori e spacciatori - ha dichiarato in conclusione il deputato Papa - fa mostra di un elevato tasso di ideologia. Serve un approccio laico e pragmatico per segnare un cambio di rotta. Le nostre carceri sono il monito”. Giustizia: legale famiglia Bianzino; temo che sentenza sia pietra tombale su caso Adnkronos, 5 marzo 2012 “Temo che possa essere una pietra tombale su una sete di verità che giustamente hanno i famigliari di Bianzino e che potrebbe rimanere inevasa”. Lo dice Fabio Anselmo, uno degli avvocati della famiglia Bianzino all’indomani della sentenza con cui il poliziotto penitenziario Gianluca Cantoro è stato condannato a un anno e mezzo di reclusione per omissione di soccorso: non soccorse Aldo Bianzino nella cella del carcere perugino di Capanne il 14 ottobre del 2007, e il falegname finì per morire per una emorragia cerebrale. “Non possiamo criticare la sentenza - ha detto ancora il legale - Abbiamo criticato il pubblico ministero che ha trattato il tema medico legale sulle cause della morte e sulla possibilità di poter salvare Aldo o meno in lungo e in largo e, di fronte a una evidente maggiore autorevolezza di Fineschi (il consulente della parte civile, ndr) riconosciuta anche dai consulenti del pubblico ministero, lo stesso non ha ritenuto di contestare l’aggravante dell’ultimo comma dell’articolo 593, cioè quella secondo cui se l’omissione di soccorso provoca la morte la pena è raddoppiata. “Per noi la sentenza sul capo d’imputazione è ineccepibile, poi è ovvio che speravamo il tribunale restituisse gli atti al pubblico ministero per contestare l’aggravante”. “Non si può comunque criticare una sentenza in un caso cosi difficile - ha aggiunto l’avvocato -, da un pubblico ministero che vede questo tipo di ordinanza ci si aspetta che contesti l’aggravante che abbiamo chiesto. Questa è una responsabilità certamente non del tribunale”. L’avvocato Fabio Anselmo, già legale della famiglia Aldrovandi e della famiglia Cucchi ha rappresentato i familiari di Bianzino come parte civile insieme ai colleghi Massimo Zaganelli e Cinzia Corbelli. A caldo, dopo la lettura della sentenza, è stato proprio Massimo Zaganelli, il legale di Città di Castello che ha seguito la vicenda fin dalle primissime battute a sostenere che adesso è il momento in cui si potrebbe chiedere di riaprire l’indagine per omicidio volontario che il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini aveva archiviato. Per i familiari di Aldo infatti, in dibattimento sono emersi degli elementi medico legali che potrebbero spingere un giudice a disporre ulteriori accertamenti sulla morte di Aldo Bianzino. Per il professor Vittorio Fineschi infatti, il consulente della parte civile, fermo restando la presenza dell’emorragia subaracnoidea che ha provocato la morte di Bianzino e la presenza della lesione al fegato, propone una lettura diversa da quella dell’insorgenza spontanea data dai periti del pm. Per Fineschi l’emorragia, che inizialmente fu di modesta entità perché non avrebbe inondato di sangue le parti più profonde del cervello, potrebbe anche essere stata provocata da un trauma: una torsione della testa, uno scuotimento, qualcosa che abbia causato una lacerazione e un’uscita di sangue. Per il medico questa affermazione è possibile vista l’assenza del rinvenimento dell’aneurisma stesso. Quanto alla lesione al fegato ha sostenuto, studi alla mano, che la stessa risulta classificata come molto rara nelle manovre rianimatorie. E generalmente correlata anche da altri traumi classificati come meno rari. Per Fineschi insomma la lesione al fegato, su un soggetto morto, con un versamento di sangue come quello di Bianzino solleva più di una perplessità. E anche per la famiglia che chiede ancora spiegazioni. Per il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini invece il caso non necessita di alcun ulteriore approfondimento. E lo ha detto in requisitoria, ricostruendo tutta la vicenda. “Questo processo ha preso le mosse da una vicenda quanto mai travagliata”, aveva detto in apertura di requisitoria. Ha ricostruito passo per passo tutto la vicenda passando anche per l’indagine di omicidio volontario, poi archiviata. Indagine aperta, ha spiegato lo stesso pm, in seguito alla prima autopsia in cui si ipotizzò che Aldo potesse essere stato scosso e percosso. Il magistrato ha però spiegato che quell’indagine è stata archiviata per più motivi, per le risultanze della seconda autopsia fatta anche dalla dottoressa Anna Aprile in cui si stabilì come Bianzino fosse morto per una emorragia cerebrale. In più, il pm ha spiegato che le chiavi della cella di Aldo erano custodite in un armadio in cui neanche Cantoro poteva prenderle. “Più le indagini proseguivano - ha detto il pm, più l’ipotesi che Bianzino potesse essere stato aggredito da qualcuno diminuivano”. Per la pubblica accusa Aldo Bianzino non è stato aggredito da nessuno. Ma la famiglia non ci crede. E pensa invece che ci siano molte incongruenze e molte cose che ancora non tornano nella ricostruzione dell’ultima notte di vita del falegname di Pietralunga che era stato arrestato due giorni prima per delle piante di marijuana che gli erano state trovate nel terreno di sua proprietà. Giustizia: Riina jr a Padova, finirà gli studi e farà volontariato in una onlus di Massimo Guerretta La Stampa, 5 marzo 2012 Di giorno al lavoro, la sera sui libri per conquistarsi la laurea. Arriverà a Padova, come tanti altri studenti-lavoratori, per dare una svolta alla propria vita. Ma certo Giuseppe Salvatore Riina, 34enne terzogenito del boss di Cosa Nostra, non troverà una buona accoglienza, almeno a giudicare dalle parole che ieri sera gli ha riservato Umberto Bossi che ha detto: “È un attentato contro il Nord, che il Nord dovrebbe punire con la pena di morte per le conseguenze che avrà nella nostra società: rapine, violenze e mafia”. Parlando in un comizio, Bossi ha incolpato della decisione il governo Monti, che “ha fatto tornare il soggiorno obbligato”, ma “non accetteremo - ha avvertito - di essere invasi ancora una volta dai mafiosi”. Ma Riina non torna indietro: si trasferirà nella città del Santo, si iscriverà al terzo anno della facoltà di Economia, si troverà un lavoro e sarà obbligato a fare volontariato due” volte alla settimana. Il tribunale di Palermo ha dato il via libera al trasferimento del figlio del boss, che sta scontando la misura di prevenzione della sorveglianza speciale dopo aver trascorso nel carcere di Opera a Milano 8 anni e dieci mesi di reclusione per associazione mafiosa. La onlus “Famiglie contro l’emarginazione e la droga” lo aspetta. “Avevamo già dato la nostra disponibilità e la ribadiamo - spiega la responsabile, Tina Ceccarelli - merita un’altra opportunità, come è stata concessa ad altre persone che avevano sbagliato. Certo che si dovrà mantenere da solo, lavorare e distribuire viveri ai poveri due volte alla settimana”. Però Riina Jr impegnato nel sociale è un’immagine che non scalfisce minimamente le barricate della Lega Nord, già annunciate quando il suo arrivo in Veneto era solo un’ipotesi: il nuovo cittadino padovano incontra già gli strali del Carroccio: “Dico no a questo tipo di ospitalità imposta”, è il pugno di ferro del presidente della Regione, Luca Zaia. “Una decisione inaccettabile della magistratura _ attacca l’assessore regionale Maurizio Conte - noi militanti siamo pronti ad attuare un presidiò permanente di protesta”. Il coro contro Riina si alza anche dalla capitale, sempre dal fronte padano: “Sorveglianza speciale o ho - precisa il senatore leghista Luciano Cagnin - noi saremo a Padova a protestare contro tale devastante provvedimento, ci batteremo contro il suo arrivo”. Ancora più duro il capogruppo del Carroccio alla Camera, Gianpaolo Dozzo: “Riina è un personaggio assolutamente indesiderato. A Padova ci sono stati effetti devastanti per i soggiorni obbligati dei mafiosi negli anni 70, vedi la mafia del Brenta”. Altro che comitato di benvenuto, quindi. E il sindaco di Padova? Flavio Zanonato, Pd, si limita a impegnarsi “per fare in modo che la presenza di Riina non crei alcun problema”. A Giuseppe Salvatore Rima non resta che la cartolina del sindaco di Corleone, Antonio Iannazzo: “Buona fortuna, l’importante è che ci lasci in pace”. Lettere: bene la nuova legge sulle carceri, ma non basta di Luigi Iorio (Dipartimento Giustizia Psi) Europa, 5 marzo 2012 Personalmente credo che occorra riconoscere validità alla legge cosiddetta “svuota-carceri”, condividerne e apprezzarne la concretezza dopo tante promesse e troppe parole. Ciò ovviamente non toglie che la questione carceraria continui ad essere purtroppo un problema drammaticamente irrisolto. C’è ancora molto da fare, bisogna depenalizzare molti settori della nostra legislazione, riformare maggiormente la giustizia penale in materia di misure cautelari, occorre poi modernizzare le strutture, valorizzando quelle già esistenti sul territorio nazionale, formare adeguatamente il personale e intensificarlo, rendendo il carcere più umano e in linea con la Costituzione come ci richiede l’Europa e la nostra coscienza civile. L’attenzione alla gravità delle condizioni di vita in carcere viene spesso richiamata da episodi clamorosi o tragici, come le morti in carcere e in particolare i suicidi di detenuti. Non meno significativi sono i suicidi compiuti da agenti di custodia, poiché anch’essi sono il risultato di un ambiente carcerario troppo degradato. Ma l’occasionale attenzione dell’opinione pubblica presto svanisce, mentre il problema resta, ormai da troppi anni. Nelle carceri italiane i detenuti sono ora circa 68.000 e sono ristretti in prigioni che potrebbero riceverne solo 45.000. Si può continuare così? Sembrerebbe di no, poiché c’è un’evidente contraddizione con la Costituzione che vieta le pene contrarie al senso di umanità, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che proibiscono le pene e i trattamenti inumani o degradanti. Per questo credo che i provvedimenti introdotti dal ministro Severino sono di assoluto buon senso e vanno nella direzione di una maggiore civiltà, pur riconoscendo la necessità di dover individuare soluzioni che pongano fine ad una questione ancora drammaticamente aperta. Valle d’Aosta: sbloccata la legge di riforma della sanità penitenziaria Ansa, 5 marzo 2012 La Giunta regionale della Valle d’Aosta ha approvato ieri il disegno di legge di modifica della normativa regionale 11/2011, che disciplina l’esercizio delle funzioni in materia di medicina e sanità penitenziaria trasferite alla Regione. Secondo il decreto legislativo 230 del 1999 le funzioni, il personale e le attrezzature necessaria a garantire un sistema di prevenzione e di assistenza sanitaria ai detenuti sono da trasferire alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome con apposita norma di attuazione. Per la Valle d’Aosta la norma è arrivata nel 2010 e nel maggio 2011. La Regione ha stabilito il trasferimento del personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria presso il carcere di Brissogne (Aosta) all’azienda Usl, trasferimento che comprende anche attrezzature, arredi, beni strumentali. Dopo che, a luglio, il Consiglio dei Ministri ha impugnato la legge regionale sostenendo che essa comporta oneri aggiuntivi, non quantificati e privi di copertura finanziaria, la Giunta ha provveduto a modificarne il testo uniformando a quella statale la disciplina regionale relativa al rapporto di lavoro del personale trasferito all’Usl. Roma: il Garante dei detenuti Marroni replica al comunicato dell’Associazione Papillon Ristretti Orizzonti, 5 marzo 2012 Con riferimento al comunicato stampa diffuso dal Presidente dell’Associazione Papillon Rebibbia circa l’avvenuta archiviazione delle denunce sporte dal Garante dei Detenuti per la Regione Lazio Avv. Angiolo Marroni e dal consigliere di Roma Capitale On. Umberto Marroni, riteniamo necessarie alcune precisazioni. Va anzitutto chiarito che il procedimento penale avviato su denuncia anche dell’Avv. Marroni non si è affatto concluso. Gli stessi Pubblici Ministeri che hanno richiesto l’archiviazione per l’Antonini, infatti, hanno ritenuto di inviare la comunicazione di chiusura indagini all’allora direttore del quotidiano liberazione Dino Greco, ritenendo che l’articolo pubblicato fosse effettivamente diffamatorio. È quindi molto probabile che a breve vi sarà una richiesta di rinvio a Giudizio per l’altro coindagato. Quanto all’avvenuta archiviazione della posizione del sig. Antonini, il Gip presso il Tribunale di Roma non ha affatto affermato che le tesi sostenute dal querelato fossero vere, ma semplicemente che erano espressione di un suo diritto di critica. Basta citare un breve passaggio dell’ordinanza nella quale - con riferimento alla posizione dell’Antonini - si afferma che: “il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, fermo restando che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive”. In altri termini, per dirla in maniera più semplice, l’Antonini ha riferito cose non vere, ma può essere considerato esente da responsabilità penale perché ha creduto che i fatti da lui narrati fossero realmente accaduti. L’avvenuta archiviazione della posizione di Antonini non cambia quindi la realtà dei fatti: non vi fu mai alcun intervento né dell’Avv. Angiolo Marroni né dell’On. Umberto Marroni volto ad impedire la nomina di un nuovo Garante Comunale in sostituzione del dimissionario On. Spadaccia. La fantasia dell’Antonini, già vivace nella stesura del primo comunicato stampa, si conferma sempre più attiva nel dare a quel provvedimento di archiviazione una interpretazione che non risponde alla realtà dei fatti e che – lungi dal sembrare una conferma delle tesi sostenute dal querelato - appare piuttosto un “salvataggio in corner” dietro lo scudo del diritto di critica. Al di là delle responsabilità penali, ci sembra che anche questo provvedimento confermi quanto già stigmatizzato dal Garante e cioè che la diffusione di notizie false (come quelle riportate dall’Antonini) – oltre a ledere l’immagine del querelante – getta fango su istituzioni pubbliche, senza alcun fondamento reale. Il Capo Segreteria, Rosario Varriale Catania: no a costruzione nuovo carcere; Bicocca sarà ampliato e Piazza Lanza ristrutturato Agi, 5 marzo 2012 Salta il nuovo carcere a Librino che non si farà più (il progetto prevedeva una spesa di 45 milioni di euro per una capienza massima di 450 posti). Ristrutturazione per la casa circondariale di piazza Lanza che diventerà un carcere di massima sicurezza, ampliamento per quella di Bicocca che con 650 posti sarà invece retrocessa a media sicurezza. Giarre, oggi occupato dai detenuti che stanno scontando pene per droga, ospiterà invece solo i minori. Sono le linee guida del nuovo piano catanese per le carceri, definito in una riunione cui hanno partecipato a Catania tra gli altri il capo dell’ufficio detenuti del Dap, Alfonso Sabella, il provveditore siciliano delle carceri Maurizio Veneziano e il procuratore Giovanni Salvi. L’incontro, già programmato nei mesi scorsi, era stata sollecitata dal ministro della Giustizia Paola Severino. A Catania il giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il ministro aveva fatto una visita a sorpresa a piazza Lanza e aveva definito la vecchia struttura carceraria al limite della decenza, assicurando che avrebbe preso affrontato la questione degli istituti di pena catanesi. Nel nuovo piano proprio piazza Lanza subirà un intervento radicale. Il braccio destro sarà completamente rifatto per ridare vigore ad una struttura che strategicamente era stata definita non adeguata. Per Bicocca sono stati già stanziati nel decreto mille proroghe trenta invece i milioni di euro per un ampliamento sino a 650 posti. Parma: il Garante; nel carcere convivono 41-bis e paraplegici, tagli rendono difficili le pulizie Ansa, 5 marzo 2012 Alla prima visita nel carcere di Parma, Desi Bruno, garante regionale dei detenuti, sottolinea una particolare criticità, aldilà del cronico sovraffollamento italiano accompagnato dalle guardie penitenziarie sottorganico: la compresenza di reclusi in condizioni assai diverse. Ovvero 56 detenuti in regime di 41 bis, 71 in Alta Sicurezza, 83 tossicodipendenti. E la sezione per paraplegici (unica struttura in Italia), con dieci persone, senza che le strutture dedicate alla riabilitazione siano utilizzabili. Chiuso da tempo anche il Centro diagnostico-terapeutico, in passato usato anche da altri istituti penitenziari. Al carcere di via Burla, Desi Bruno è stata accompagnata dal direttore dell’istituto Anna Albano e dal comandante della polizia penitenziaria, Andrea Tosoni. Rinchiusi 629 detenuti, tutti uomini (capienza regolamentare 382, tollerata a 616): il dato conferma il sovraffollamento, ma qui il garante ha rilevato una situazione meno drammatica che in altri istituti, anche per una buona manutenzione (lavori di ristrutturazione, misure igieniche). Altrettanto evidente la carenza di agenti: a una pianta organica di 479 elementi, ne corrispondono 418 assegnati e 366 effettivamente in servizio; peggiore la situazione degli educatori (nove in organico, quattro assegnati, tre in servizio). La carenza di personale di polizia risulta però più grave perché tanti detenuti richiedono livelli di sorveglianza massimamente incisivi. Oltre a preannunciare una verifica all’Ausl di Parma su tempi e forme della riapertura delle strutture sanitarie, il garante sottolinea come i continui tagli ai finanziamenti stiano determinando inedite difficoltà nel garantire elementari condizioni di pulizia delle celle e degli spazi comuni. E ha lanciato un appello alla società civile locale per una raccolta di materiali da pulizia. Poi, fuori dall’istituto, ha anche incontrato la Consulta Carcere di Parma, che riunisce le associazioni di volontariato. Firenze, delegazione Consiglio comunale a Sollicciano, in visita con alcuni parlamentari locali Adnkronos, 5 marzo 2012 Si è svolto oggi nel carcere di Sollicciano un incontro tra consiglieri comunali e parlamentari fiorentini con la rappresentanza dei detenuti. Per il consiglio comunale erano presenti il presidente Eugenio Giani e il vicepresidente Salvatore Scino, Susanna Agostini quale presidente della commissione Diritti Umani e i consiglieri Eros Cruccolini e Stefano Di Puccio. Tra i parlamentari erano presenti tra gli altri Tea Albini, anche quale consigliere comunale, Rosa De Pasquale, Massimo Livi Bacci (tutti per il Pd), nonché Gabriele Toccafondi per il Pdl. A guidare la delegazione il garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, con esponenti del Partito Radicale e il garante dei detenuti della regione Toscana Alessandro Margara. All’incontro sono stati presenti il direttore del carcere Oreste Cacurri e il giudice del Tribunale di Sorveglianza Antonietta Fiorillo. I temi affrontati sono stati ampi e approfonditi, dal sovraffollamento, pur riscontrando una leggera diminuzione del numero nell’ultimo periodo, alle condizioni di vita dei detenuti nel carcere, alla qualità degli interventi di reinserimento, a partire dalla necessità di attivare percorsi di formazione professionale e in generale favorire l’uso di pene alternative. Idv: a Sollicciano monitorare condizione dei detenuti Questa mattina, una delegazione di deputati e senatori ha fatto visita, su invito del Garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, al carcere fiorentino di Sollicciano. Per Italia dei Valori hanno preso parte all’incontro l’on. Fabio Evangelisti, segretario Idv Toscana, e il senatore Francesco Pancho Pardi. “È stato un incontro proficuo - ha commentato Pardi al termine della visita - perché abbiamo avuto modo di tornare a toccare con mano le condizioni della struttura fiorentina e abbiamo assunto l’impegno di tenere uno stretto contatto tra i parlamentari, i consiglieri comunali e i detenuti: quello di oggi, infatti, è stato un primo incontro per dar vita a una consultazione permanente con Sollicciano”. “Durante la visita, abbiamo ricevuto dai detenuti un quadro della situazione che non è terribile come in altre strutture ma che certamente presenta numerose criticità”, ha aggiunto Pardi. “In particolare, come è noto, il primo e più grave problema è legato al sovraffollamento”, ha spiegato il senatore Idv. “I detenuti ospitati ad oggi a Sollicciano, a fronte di una capienza regolamentare di 480, sono infatti 980, dove mille è la soglia psicologica della catastrofe”. “Numeri che testimoniano quando le misure adottate sin qui siano inefficaci”, ha continuato Pardi. “Lo svuota-carceri, infatti, nonostante il principio di fondo che lo anima sia condivisibile, è un provvedimento inutile perché la soluzione concreta non funziona, perché le camere di sicurezza non ci sono e sono addirittura peggiori del carcere. Certo, siamo tutti d’accordo sulla necessità di svuotare le carceri, ma crediamo che siano necessarie alternative più efficaci dello svuota-carceri. E sarà proprio questo il senso dell’impegno che abbiamo assunto con i detenuti del carcere di Firenze”, ha concluso Pardi. Milano: persone che hanno scontato pena per violenza sessuale nei gruppi aiuto per sex offender Redattore Sociale, 5 marzo 2012 Nel carcere di Bollate l’ultima novità per cercare di curare chi è considerato un “infame” sono i circoli formati da tre volontari e dalla persona appena uscita dal carcere. I circoli di sostegno per sex offender di Milano sono formati da tre volontari e dalla persona appena uscita dal carcere, dopo aver scontato una pena per violenza sessuale. Si ritrovano una volta alla settimana, in un locale pubblico, per parlare di se stessi, dei loro problemi, ma anche di sogni, speranze e, perché no, di sport, divertimenti, cinema o qualsiasi altro argomento. Magari non diventeranno mai amici, “ma in questo modo si creano delle relazioni che permettono un controllo benevolo su ex detenuti che sono a rischio di recidiva”, spiega Paolo Giulini, presidente del Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm) di Milano. Dal 2005 il Centro ha avviato nel carcere di Bollate, in collaborazione con il Comune di Milano, un progetto per l’assistenza dei “sex offender”, uomini che hanno commesso reati a sfondo sessuale su donne e minori. Un’equipe di criminologi, psicologi, educatori, psicodiagnosti e arteterapeuti ha seguito finora dentro e fuori dal carcere 230 persone. Da poco più di un anno il Cipm ha creato i circoli di sostegno per i casi “più gravi”, l’ultima novità per cercare di curare chi è considerato un “infame” anche dagli altri detenuti. I volontari sono giovani psicologi tirocinanti ma anche ex reclusi per reati sessuali: per ora i circoli sono tre e altri quattro sono in via di formazione. “I soggetti più pericolosi che stanno per finire la pena stipulano un contratto con il Cipm - spiega Paolo Giulini. Oltre agli incontri con i volontari, si impegnano a venire settimanalmente al nostro Centro per i gruppi di terapia. Finora nessuno ha violato il patto”. Per gli altri sex offender, con un rischio di recidiva basso, il Centro offre un percorso terapeutico sia in carcere sia fuori. “Si punta innanzitutto alla rielaborazione di quanto hanno vissuto e all’assunzione di responsabilità verso il reato che hanno commesso - spiega Paolo Giulini. Inoltre lavoriamo molto sulla vulnerabilità di queste persone, in modo che diventino consapevoli che le loro debolezze possano sfociare in una grave violazione dei diritti degli altri. Per questo devono imparare a chiedere aiuto, a non isolarsi”. Attualmente sono 60 le persone che partecipano ai gruppi terapeutici esterni al carcere. “Il 25% lo fa volontariamente, visto che non ha più alcun obbligo di venire - sottolinea Paolo Giulini -. Alcuni hanno finito di scontare la pena da più di cinque anni, ma hanno capito di avere bisogno di aiuto”. Torino: progetto “Spiragli” dedicato ai sex offender, con la collaborazione del Gruppo Abele Redattore Sociale, 5 marzo 2012 Laboratori autobiografici e di alfabetizzazione delle emozioni, cineforum tematici e gruppi di terapia. Realizzato dagli operatori del carcere in collaborazione con il gruppo Abele, il progetto segue ogni anno circa 60 reclusi Il reato è così infamante che fanno fatica ad ammettere le loro colpe. Nel carcere torinese Lorusso Cutugno dal 2005 c’è il progetto “Spiragli” dedicato ai sex offender, detenuti che hanno commesso un reato sessuale nei confronti di donne o bambini. Realizzato dagli operatori del carcere in collaborazione con il gruppo Abele, il progetto segue ogni anno circa 60 reclusi. “L’approccio è a piccoli passi - spiega Matilde Chareun, educatrice e referente del progetto. Per questo proponiamo un laboratorio autobiografico e uno di alfabetizzazione delle emozioni come anche cineforum tematici. Facciamo in modo che i detenuti possano pian piano prendere coscienza e arrivare a chiedere aiuto. Per chi si decide a fare questo passo ci sono poi i gruppi terapeutici”. Per i detenuti stranieri, inoltre, c’è la collaborazione di esperti di etnopsichiatria. Fuori dal carcere, però, non sempre i sex offender, scontata la pena, hanno un aiuto. “Caso per caso cerchiamo di trovare sul territorio i servizi che possano accompagnarli - racconta Matilde Chareun, ma non sempre è possibile”. Non mancano comunque casi che finiscono bene. “Con 15 ex detenuti siamo ancora in contatto, alcuni hanno trovato un lavoro e comunque sono seguiti”, sottolinea la responsabile del progetto Spiragli. Roma: al Municipio XI firmata intesa per reinserimento detenuti di Rebibbia Agenparl, 5 marzo 2012 “Il Municipio Roma XI prosegue la sua azione a favore del reinserimento sociale delle detenute e dei detenuti siglando per il terzo anno consecutivo dei protocolli d’intesa con l’Istituto Penitenziario Maschile e Femminile di Rebibbia”. Lo dichiara Andrea Catarci, Presidente del Municipio Roma XI. “Il Municipio XI insieme all’associazione culturale Il Viandante - spiega Catarci - si impegnano ad offrire un servizio di informazione ed ascolto dei detenuti e delle detenute, attraverso colloqui con i diretti interessati e con gli operatori dell’Area Educativa e dell’Ufficio esecuzione penale esterna a Rebibbia nonché con amici e familiari sul territorio municipale. Nelle attività dello Sportello Rebibbia rientra anche la promozione e l’assistenza e il tutoraggio nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo elaborati in programmazione congiunta. Le condizioni delle carceri sono sempre più drammatiche. In Italia i posti disponibili sono poco più di 45.600 mentre nei penitenziari sono stipate più 66 mila persone. Dal 2000 ad oggi in reclusione sono morte 1.965 persone di cui 705 per suicidi, in un macabro stillicidio quotidiano”. “L’idea che sta alla base del Municipio Roma XI - conclude - è quella di contribuire a incentivare il ricorso alle pene alternative. Contemporaneamente urge procedere alla cancellazione di quelle norme liberticide che per banalità stanno riempiendo gli istituti di pena, la Fini-Giovanardi in tema di droghe legge e le misure sull’immigrazione con l’odioso e illegale reato di immigrazione clandestina su tutte. Il carcere è un’istituzione totale che inghiotte, nega ogni diritto e non di rado uccide. Cambiarlo è un dovere che riguarda tutti”. Porto Azzurro: detenuto in choc anafilattico, catena di soccorsi in carcere Il Tirreno, 5 marzo 2012 Choc anafilattico per un detenuto del carcere di Porto Azzurro. Momenti di paura ieri mattina all’istituto penitenziario elbano di Forte San Giacomo. Intorno alle 10 un detenuto G.J. le iniziali di nazionalità marocchina, di circa cinquant’anni si è sentito male all’interno della propria cella, sembra per una reazione ad un farmaco precedentemente assunto. La prima diagnosi parlava di choc anafilattico. Gli agenti subito intervenuti, dopo avergli prestato le prime cure del caso hanno fatto intervenire la Misericordia di Porto Azzurro che ha predisposto l’urgente ricovero presso l’ospedale di Portoferraio effettuando un rendez vous con la Misericordia del capoluogo elbano. L’uomo è stato ricoverato intorno alle 10.30 , sembra in stato di coma. Dopo le prime terapie mediche ospedaliere risulta che il detenuto si sia ripreso e che le sue condizioni appaiano in netto miglioramento. La prognosi è riservata . Cagliari: conclusa mostra “Risorse vitali, carcere e Ospedale psichiatrico giudiziario” La Nuova Sardegna, 5 marzo 2012 Letti di contenzione, camicie di forza, elettroshock. L’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) visto con gli occhi di chi l’orrore l’ha vissuto sulla pelle e fa della pittura l’unico strumento di evasione dalle torture. Si è conclusa venerdì la mostra “Risorse vitali: carcere e ospedale psichiatrico giudiziario”, organizzata dalla casa editrice “Sensibili alle foglie” di Renato Curcio. La mostra è stata ospitata nella comunità La Collina. In tutta Italia sono sei gli Opg ancora aperti: dei lager che ricalcano le orme dei vecchi manicomi e che ospitano ben 1.550 reclusi per reati anche minori. Tra loro anche 375 persone “in proroga”, vale a dire ancora rinchiusi perché nessun altro centro sia vicino che lontano dalle comunità di origine è in grado di ospitarli. Una “preda ghiotta” per la sanità privata. Questo è solo uno dei timori espressi durante l’incontro confronto avvenuto venerdì che dovrà fare i conti con l’emendamento (promosso, tra gli altri, dal senatore del Pd Ignazio Marino) inserito nel decreto legge Severino sulle carceri che prevede lo smantellamento degli ospedali psichiatrici entro il 31 marzo 2013. “Gli ospedali psichiatrici giudiziari ledono la dignità umana. Sono strutture che non guariscono e non migliorano i detenuti - sottolinea Angela Quaquero, Presidente della Provincia - attualmente sono 33 i sardi rinchiusi. Persone che potrebbero essere gestite in piccole strutture, più umane, ma solo con la collaborazione di più enti, provincie, istituzioni”. A Cagliari l’unico ospedale psichiatrico, Villa Clara, è stato chiuso con molte difficoltà nel 1998, dopo venti anni dalla legge Basaglia. Difficile dunque prevedere come i territori saranno in grado di occuparsi dei sofferenti mentali, senza costruire nuovi lager. “Il problema sarà gestire la riforma perché una legge buona se non viene amministrata si perde - spiega Guido Melis, parlamentare della Commissione Giustizia - all’approvazione ora dovrà seguire un processo di concretizzazione e sensibilizzazione”. Immigrazione: Caritas-Migrantes; nel 2010 rimpatriati meno del 4% degli “irregolari” Agi, 5 marzo 2012 La politica “muscolare” sui “clandestini”, adottata dal Governo Berlusconi con un leghista al Viminale, non ha portato risultati concreti per quanto riguarda le espulsioni. Nel 2010 su 544mila stranieri irregolari stimati dall’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) ne sono stati effettivamente rimpatriati 20287 (meno del 4%). Lo si apprende dal dossier statistico immigrazione 2011 Caritas-Migrantes. Il dossier fa parte del Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, che verrà votato questa settimana dalla Commissione per i diritti umani del Senato. Sempre nel 2010 le autorità di pubblica sicurezza hanno rintracciato 46.516 irregolari. Secondo la Commissione De Mistura, voluta dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato, nel 2005 vennero rintracciati 119mila stranieri in posizione irregolare e 124mila nel 2006. Dai Cie (Centri di Identificazione ed espulsione) sono stati effettivamente rimpatriati nel 2010 3.399 immigrati irregolari su un totale di 7.039 unità. La politica “muscolare” del Governo italiano ha comunque attratto gli strali della comunità internazionale. L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati stabilisce che “nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza ad un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. È il principio del non refoulement. La Convenzione europea per la prevenzione della tortura condusse una visita in Italia nel luglio 2009. Al termine della visita, il Cpt, pur riconoscendo il diritto degli Stati di proteggere, in virtù della loro sovranità, i propri confini e di introdurre misure per il controllo dell’immigrazione, ritenne che l’Italia avesse violato, con la push-back policy, il principio di non refoulement. Le autorità italiane sostennero la legittimità del provvedimento alla luce della Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale, e il Protocollo contro il traffico dei migranti in terra, mare e aria. Inoltre l’Italia concluse una serie di trattati con la Libia e l’Algeria, per contrastare attività terroristiche, il crimine organizzato e l’immigrazione irregolare. L’Italia sottolineò come, durante le operazioni di intercettazione e respingimento, nessuno dei migranti avesse espresso l’intenzione di chiedere asilo in Italia. “As for the application of the principle of non refoulement - si legge nella risposta del Governo italiano al rapporto del Cpt del 28 aprile 2010 - we recall that no migrant, once on the italian ships, expressed his/her intention to apply asylum”. Sul rischio di tortura o maltrattamenti in particolare nella Libia di Gheddafi, le autorità italiane precisarono come la Libia fosse legata a convenzioni internazionali per il rispetto dei diritti umani, e avesse ratificato la Convenzione dell’Unione Africana per i rifugiati del 1969. Nel 2011 la situazione è precipitata con la guerra in Libia. Secondo le stime dell’Oim, al 7 ottobre 2011, 721.772 persone hanno abbandonato il territorio libico dall’inizio delle operazioni militari e di questi circa 26mila dalla Libia sono giunti in Italia. Venuto meno il sistema di contrasto all’immigrazione irregolare basato sugli accordi con la Libia circa il pattugliamento delle coste e le azioni di respingimento, sono stati in totale 60.656 i cittadini stranieri giunti via mare e sbarcati sulle coste italiane dall’inizio del 2011 al settembre scorso. Secondo il Dossier statistico immigrazione 2011 Caritas/Migrantes, dall’entrata in vigore degli accordi con la Libia il 5 maggio 2009 fino all’inizio del 2011 si era registrato un calo significativo degli sbarchi e in tutto il 2010 sulle coste italiane erano approdate 4.406 persone, rispetto ai 36.951 del 2008 ed ai 9.573 del 2009. Di fronte a tale incremento, il Presidente del Consiglio Berlusconi dichiarò nel febbraio 2011 lo stato d’emergenza, prorogato fino al 31 dicembre 2012. La situazione è tragica e l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unchr) per il sud Europa stima che da fine marzo 2011 almeno 1500 persone siano decedute nel Mediterraneo. Durante il primo semestre del 2011 sono state registrate in Italia 10.860 domande di asilo, con un incremento del 102% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il Governo Berlusconi ha approvato nel giugno 2011 un decreto legge che proroga il termine massimo di permanenza degli stranieri nei Cie da 180 giorni a 18 mesi complessivi. Immigrazione: a Bologna quattro poliziotti arrestati per rapine e pestaggi a stranieri Redattore Sociale, 5 marzo 2012 Quattro agenti arrestati e sospesi: sono accusati di rapina e lesioni durante controlli ad alcuni stranieri. Una delle vittime sarebbe stata sequestrata e picchiata in aperta campagna. Avrebbero rubato 600 euro a due pusher di origine tunisina e altri 900 a un terzo spacciatore. Quest’ultimo, anche lui di nazionalità tunisina, sarebbe stato anche picchiato (al punto da perforargli un timpano) e abbandonato in aperta campagna senza scarpe e cellulare. Sono gli episodi per cui questa mattina sono finiti in carcere quattro poliziotti in servizio all’ufficio “volanti” della Questura di Bologna. Del primo caso, avvenuto in zona Bolognina nella notte tra il 20 e il 21 ottobre scorso, sono accusati l’assistente capo Francesco Pace e l’agente scelto Alessandro Pellicciotta, entrambi in servizio all’ufficio volanti. Per il secondo episodio, invece, che risale alla notte tra l’11 e il 12 novembre, della rapina rispondono Giovanni Neretti e Valentino Andreani. Delle lesioni e del sequestro di persona sono però accusati tutti e quattro. Dopo la rapina del denaro avvenuta fuori da un bar di porta Mazzini, a opera di Neretti e Andreani, la volante avrebbe portato il tunisino nelle campagne di Castenaso per una sorta di spedizione punitiva a cui sarebbero stati presenti tutti, anche se del pestaggio, materialmente, sarebbe responsabile il solo Neretti. Una volta arrivati nelle campagne della zona Roveri, il tunisino sarebbe stato picchiato (lui dice mentre era ammanettato) da Neretti. Gli altri tre poliziotti, pur essendo presenti, sono rimasti immobili. Poi i quattro, dopo aver preso allo straniero cellulare e scarpe, lo hanno lasciato lì dolorante. Quando è avvenuta questa rapina (che poi il tunisino ha denunciato ai Carabinieri perché in Questura non era stato ascoltato), l’indagine della Squadra mobile aveva già preso il via e i poliziotti erano già sotto controllo e intercettati. L’indagine della Polizia è partita perché uno dei due pusher tunisini fermati in Bolognina conosceva un poliziotto della Squadra mobile di cui si fidava per cui, dopo aver subito la rapina, lo ha subito chiamato, spiegandogli l’accaduto. Pace e Pellicciotta, intervenuti per arrestare uno spacciatore, subito dopo avrebbero controllato e perquisito anche gli altri due pusher sottraendogli 600 euro. Uno di loro ha telefonato all’agente che conosceva per sapere se era “normale” quello che era accaduto, ma gli ha anche domandato come poter riavere i documenti. L’agente lo ha indirizzato in Questura, dove i due stranieri hanno detto di voler fare denuncia, ma sarebbero stati invitati ad attendere. Dopo un po’, hanno deciso di andarsene. Hanno richiamato il poliziotto e la mattina dopo (il 21 ottobre) hanno fatto denuncia negli uffici della Squadra mobile. Da lì la partenza dell’indagine. Un “problema” nella ricezione della denuncia si è verificato anche nel secondo episodio, la cui vittima si è poi rivolta ai Carabinieri. Ecco come sono andate le cose: la “volante” su cui viaggiavano Neretti e Andreani, la sera dell’11 novembre, è stata chiamata in un bar vicino a porta Mazzini gestito da cittadini cinesi per un tunisino ubriaco e molesto che aveva litigato con un altro cliente. I poliziotti sono arrivati e dopo un controllo all’interno del locale hanno accompagnato fuori il tunisino e lo hanno perquisito: in questo frangente gli avrebbero sottratto 900 euro (che lo straniero ha detto gli servivano per l’affitto) e il telefono. Poi lo hanno caricato sull’auto e sono partiti verso via Massarenti, venendo in breve tempo affiancati dall’altra volante. La “spedizione punitiva” si sarebbe concretizzata nella zona di campagna delle Roveri a Castenaso: lì i quattro hanno fatto scendere il tunisino e Neretti lo avrebbe picchiato mentre era ammanettato. Lasciato lì senza scarpe lo straniero ha chiesto aiuto suonando a un campanello, ma la donna spaventata ha contatto l’ambulanza e i Carabinieri. Una pattuglia dei militari è arrivata sul posto, ma si è limitata a dire allo straniero di farsi accompagnare al S. Orsola dall’ambulanza, per poi allontanarsi. Lo straniero ha fatto così, ma dopo alcune ore di attesa al Pronto soccorso se n’è andato dirigendosi in Questura per fare denuncia dove però non sarebbe stato ascoltato, anzi, gli sarebbe stato detto che quello che raccontava non aveva nessun fondamento. Così ha deciso di rivolgersi ai Carabinieri di Bologna centro, di cui conosceva un militare. Qui la sua denuncia viene raccolta e trasmessa immediatamente in Procura: lo stesso 12 novembre, il tunisino viene ascoltato dal procuratore aggiunto Valter Giovannini. Poi l’episodio confluisce nell’inchiesta già avviata il mese prima dalla Squadra mobile. Il pusher viene medicato in un secondo momento in ospedale, dove gli riscontrano un ematoma dietro l’orecchio destro (con perforazione del timpano), ma anche escoriazioni ai polsi e segni di colpi a sterno e clavicole. Entrambi gli episodi denunciati dagli spacciatori (clandestini e con passate condanne per spaccio), è stato spiegato questa mattina in Questura, hanno trovato riscontri probatori nel corso delle indagini: in primis per i movimenti delle celle telefoniche oltre che in dichiarazioni di testimoni. Immigrazione: rivolta al Cie di Torino, sassaiola contro gli agenti Il Giornale, 5 marzo 2012 Notte di tensione al Cie di Torino. Ieri sera c’è stata una rivolta degli immigrati in corso Brunelleschi. Un gruppo di extracomunitari ha incendiato la mensa, sono seguiti tafferugli con le forze dell’ordine, che hanno sparato lacrimogeni. Sono intervenuti i vigili del fuoco per spegnere l’incendio. I disordini - si apprende in Questura sono scoppiati nella “area blu” del Cie. Secondo una prima ricostruzione fatta dagli agenti, un gruppi di immigrati ha preso pietre e calcinacci e ha dato vita a una fitta e lunga sassaiola contro gli agenti di Polizia che si trovavano sul posto. A quel punto la tensione è salita alle stelle, e i disordini si sono rapidamente estesi ad altre aree del Cie con gli altri ospiti che hanno cominciato a inveire contro le forze dell’ordine. Qualcuno ha anche fatto scoppiare un incendio nei locali della mensa. Sul posto sono prontamente intervenuti i Vigili del fuoco per spegnere le fiamme e la Polizia ha dovuto lanciare lacrimogeni per riuscire a riportare l’ordine. Durante i disordini - si apprende in Questura - alcuni ospiti hanno divelto alcune grate delle recinzioni interne e hanno tentato la fuga, ma sono stati ripresi e bloccati dalla Polizia prima che riuscissero a uscire dalle strutture del Cie. Tuttavia sono ancora in corso le indagini, perché non si sa se qualcuno degli ospiti è riuscito effettivamente a fuggire e a lasciare il centro piemontese. India: marò italiani trasferiti in carcere, 14 giorni di fermo giudiziario Agi, 5 marzo 2012 I legali dei due militari italiani hanno chiesto ed ottenuto un trattamento differenziato, tra cui, per esempio, che ai due fucilieri venga servito cibo italiano. Nelle prossime ore, tra oggi e domani, dovrebbe anche concludersi la perizia balistica a cui assistono i due esperti del Ros, arrivati dall’Italia. Il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, si è detto soddisfatto della loro presenza, anche se solo come ‘osservatori silenziosi: “Sono lì con la capacità di osservazione e la possibilità di verificare che tutto ciò che accade sia trasparente”, ha spiegato; e ha aggiunto che la magistratura indiana è “indipendente e onesta” e per questo si attende “un processo giusto”. Il governo italiano comunque continua il suo paziente lavoro di tessitura diplomatica e De Mistura oggi è tornato a New Delhi per incontrare le autorità indiane. L’Ordinanza del giudice L’ordinanza con cui il giudice indiano A.K. Gopakumar ha deciso oggi a Kollam un periodo di custodia giudiziaria dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha escluso esplicitamente per loro un trattamento di favore non previsto dalle leggi indiane, mostrando però di aver recepito la complessità della causa in oggetto. Secondo quanto scrive l’agenzia di stampa statale Pti, il magistrato ha disposto in linea generale la custodia giudiziaria dei due nella prigione centrale di Thiruvananthapuram (Trivandrum). La corte, comunque ha impartito disposizione alle autorità carcerarie affinché i marò non siano alloggiati con gli altri detenuti, gli sia concessa assistenza medica ed un permesso di interagire con visitatori italiani ogni giorno per un’ora fra le 10 e le 13. Per quanto riguarda la richiesta di una residenza esterna al carcere come richiesto dai loro legali, riferisce l’agenzia, “il magistrato ha detto che questo tema non era direttamente di competenza del tribunale”. Se tuttavia il Direttore generale aggiunto (Adgp) responsabile per le prigioni ritenesse che ciò fosse necessario, ha precisato il magistrato, potrà prendere una decisione dopo aver consultato il governo dello Stato ed aver tenuto conto degli aspetti della sicurezza. Infine il giudice Gopakumar ha chiesto alle autorità della prigione di provvedere alla fornitura di cibo italiano per i marò durante la loro detenzione. Farnesina: inaccettabile marò tenuti in carcere L’Italia considera “inaccettabile” che i due marò sotto accusa per la morte dei pescatori indiani siano detenuti in carcere e chiede che sia fatto “ogni sforzo per reperire prontamente strutture e condizioni di permanenza idonee” per i due militari. È questo il messaggio che il segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo, ha trasmesso all’incaricato d’affari indiano a Roma, Saurabh Kumar, nel corso di un colloquio al ministero degli Esteri. Su indicazione del ministro, Giulio Terzi, Massolo ha espresso la vivissima preoccupazione del governo italiano per la decisione del tribunale di Kollam di trasferire il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone in custodia giudiziaria nel carcere di Trivandrum con effetto immediato. Nel definire inaccettabili tali misure in considerazione dello status dei nostri due militari e nel sottolineare l’estrema sensibilità della questione per le autorità italiane, per le famiglie e per l’opinione pubblica e parlamentare italiana, Massolo ha ribadito la ferma richiesta che ogni sforzo venga fatto per reperire prontamente per i nostri militari strutture e condizioni di permanenza idonee. Gran Bretagna: verso la privatizzazione della polizia Il Post, 5 marzo 2012 In questi giorni in Regno Unito si sta molto discutendo della parziale privatizzazione della polizia. I commissariati delle contee di West Midlands e Surrey, scrive il Guardian, hanno pubblicato bandi destinati ad aziende private per delegare loro diverse attività di polizia. Le aziende private potranno svolgere alcune indagini, dare sostegno a vittime e testimoni di reati, controllare le registrazioni delle telecamere di sicurezza della polizia ed effettuare ronde nei quartieri. I contratti avrebbero la durata di sette anni e un valore stimato complessivo di circa 1,5 miliardi di sterline. La cifra raccolta dalle amministrazioni di polizia di West Midlands e Surrey in questi appalti potrebbe arrivare fino a 3,5 miliardi di sterline in sette anni. Si tratterebbe dei contratti più ricchi mai stipulati, fino a questo momento, tra polizia e aziende private in Regno Unito, nonché la prima volta che aziende private ricoprirebbero ruoli di polizia così importanti. Recentemente aveva generato diverse critiche un altro accordo tra la polizia del Lincolnshire e la più grande azienda privata di sicurezza nel mondo, la G4S, che ha pagato circa 200 milioni di sterline per costruire e gestire un commissariato della contea e fornire metà del personale amministrativo della polizia locale. Le autorità di polizia hanno tenuto a precisare che le unità private che verranno assunte non svolgeranno “attività in prima linea” e dunque non potranno, per esempio, arrestare sospetti ma soltanto indagare su di loro. Nonostante questo la decisione ha suscitato molte polemiche. Il ministro degli Interni ombra, la laburista Yvette Cooper, si è detta “molto preoccupata” da questa “deriva” della polizia britannica, costretta ad appaltare parte dei suoi servizi ad aziende private a causa dei tagli degli ultimi anni. Cooper si riferisce soprattutto ai tagli del governo in carica, guidato dal primo ministro conservatore David Cameron. Recentemente, infatti, il ministro degli Interni Theresa May ha annunciato tagli alla spesa per la polizia britannica di circa il 20 per cento nei prossimi quattro anni. Anche la Police Federation, il più grande sindacato degli agenti di polizia di Inghilterra e Galles, si è detta molto preoccupata. Il suo vicepresidente Simon Reed ha espresso più di un dubbio sull’efficacia di questo genere di iniziative. Alcuni dirigenti delle forze dell’ordine hanno opinioni più aperte e favorevoli. Tramite il capo della polizia di Greater Manchester Peter Fahy, la Association of Chief Police Officers (una sorta di associazione di capi della polizia delle varie contee) ha difeso la decisione della polizia di Surrey e West Midlands, visti i tagli governativi e il dovere di difendere i cittadini. Si è detto dello stesso avviso l’ex capo di Scotland Yard, Ian Blair, dimessosi nel 2008 per una serie di errori e presunti abusi di potere. Ieri Blair ha scritto sul Guardian che la parziale privatizzazione delle operazioni è “un’opportunità per modernizzare” la polizia britannica, che così potrà dunque gestire meglio i fondi a sua disposizione. Arabia Saudita: Ong denuncia; 4.400 persone nelle carceri dei servizi segreti Nova, 5 marzo 2012 Il numero dei detenuti nelle carceri dei servizi segreti dell’Arabia Saudita sarebbe di circa 4.400 persone tra cui almeno sette donne. Lo ha denunciato l’Associazione nazionale per i diritti dell’uomo, un’organizzazione non governativa secondo cui “le autorità preposte” stanno valutando la posizione di alcuni questi detenuti, non accusati di reati di sangue o di terrorismo. Lo riporta il quotidiano “al Safir”. Intanto, un tribunale speciale saudita ha iniziato il processo a 55 persone, tra le quali uno yemenita, che devono rispondere dell’accusa di aver costituito una “cellula terroristica” responsabile dell’attentato contro il consolato Usa a Geddah nel 2004.