Giustizia: Commissione Diritti Umani Senato; in 12 anni più di 2.000 morti in carcere, 700 suicidi Agi, 4 marzo 2012 Nel 2011 si sono suicidati 63 detenuti (38 italiani e 25 stranieri) nei penitenziari italiani su un totale di 186 persone decedute per cause naturali o per cause da accertare (in 23 casi sono in corso indagini giudiziarie). Nel 2010 i suicidi furono 65, i tentati suicidi 1.137, gli atti di autolesionismo 5.703, i decessi per cause naturali 108. Il totale dei “morti in carcere” nel corso degli ultimi 12 anni supera le 2.000 unità: 1.954 fra i detenuti e 91 fra gli agenti di Polizia penitenziaria. Dal 2000 al 2012 si sono uccisi 700 detenuti e ci sono stati anche 85 agenti suicidi. Queste cifre terrificanti emergono dal rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia. La Commissione diritti umani del Senato ha lavorato mesi su questo documento, che verrà posto in votazione la prossima settimana. Il numero dei suicidi è alto perché l’Italia è fra gli ultimi posti in Europa nel rapporto fra detenuti e posti in carcere. La situazione al 29 febbraio 2012 è la seguente: capienza complessiva 45.742 posti; detenuti presenti 66.632, di cui solo 38.195 sono condannati definitivi. Gli stranieri sono 24.069 (20,1% marocchini, 14,9% romeni, 12,9% tunisini, 11,6% albanesi). Le leggi svuota carceri (quella di Alfano del 2010 e quella recentissima del ministro Severino) hanno consentito l’uscita dal carcere di 5.140 persone. Se il problema carceri non verrà risolto al più presto, l’Italia rischia di pagare caro anche dal punto di vista economico. L’Italia non ha il reato di tortura, ma il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) ha stabilito nel 1992 che ogni detenuto deve disporre di almeno 7 metri quadri nelle celle singole e di almeno 4 metri quadri nelle celle multiple. Se si hanno a disposizione meno di tre metri quadri, si è in presenza di tortura. L’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo stabilisce: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Nel 2008 la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano a versare 5.000 euro al detenuto Scoppola perché non fu protetta la sua salute. Nel 2009 la stessa Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire 1.000 euro al bosniaco Sulejmanovic perché detenuto con altre quattro persone in una cella di 16 metri quadri. Nel 2001 il Tribunale di Sorveglianza di Lecce ha riconosciuto il danno esistenziale al tunisino Abdelaziz, rinchiuso con altre due persone in una cella di 11,5 metri quadri ed ha imposto un risarcimento di 220 euro a carico dell’amministrazione penitenziaria. L’ordinanza è stata impugnata dall’avvocatura di Stato in Cassazione. Sempre a Lecce, il 13 febbraio 2012, l’amministrazione penitenziaria è stata condannata a risarcire i danni per la lesione della dignità e dei diritti di quattro detenuti del carcere di Borgo San Nicola. Il giudice Luigi Tarantino ha riconosciuto, nei confronti dei detenuti, “lesioni della dignità umana, soprattutto in ragione dell’insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione”. Il Tribunale di Asti nel gennaio 2012 ha condannato alcuni agenti di polizia penitenziaria “per violenze fisiche e privazioni del sonno”. L’impressione che se ne trae è che questi ricorsi potrebbero moltiplicarsi a pioggia costringendo lo Stato italiano a cospicui risarcimenti. Il ministro Severino ha promesso un piano con 11.573 nuovi posti nei penitenziari. Dopo l’indulto approvato nel 2006 durante il Governo Prodi, la popolazione carceraria scese a 39mila unità su circa 45.000 posti. Nel 2008 il rapporto detenuti/posti era già risalito al 129,9%, nel 2009 al 148,2%, oggi con le leggi svuota carceri siamo al 145,6%. Le carceri soffrono anche per la mancanza di personale: rispetto alla dotazione organica prevista mancano 6.000 agenti di polizia penitenziaria su 45.121 unità e 34 magistrati di sorveglianza su 202. L’indulto del 2006 ha funzionato parzialmente: su 36.741 beneficiati, circa un terzo del totale (12.462) ha fatto rientro in carcere prima del 30 giugno 2011. Un capitolo a parte è quello degli ospedali psichiatrici giudiziari che saranno chiusi a partire dal primo febbraio 2013. Il ministro Severino, alla Commissione Diritti umani del Senato, ha ribadito che “le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose dovranno essere dimesse senza indugio e prese in carico, sul territorio, dai dipartimenti di salute mentale”. Al 31 dicembre 2011 risultano 1.549 internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, case di lavoro e case di cura e custodia. Essi rappresentano il 2,3% della popolazione detenuta. C’è poi la delicata questione dei bambini in carcere con le detenute madri. La legge prevede che, sotto i tre anni di età, i bambini vivano in carcere con le madri. Al 30 giugno 2011 nelle carceri italiane erano presenti 53 madri con 54 bambini. Solo a Rebibbia ci sono 14 madri, di cui 13 Rom. Sono per lo più condannate per reati di furto ed è difficile che vengano concesse misure cautelari o alternative in quanto recidive e perché le condizioni abitative nei campi non sono accettabili. La legge sulle detenute madri, approvata nell’aprile 2011, porta a sei anni il limite di età dei figli sotto il quale è possibile la custodia fuori dal carcere. Le strutture previste sono case famiglia protette (ve ne sono pochissime attualmente in funzione) e gli Istituti di custodia attenuata per madri detenute. Per ora uno solo di questi istituti è stato realizzato (a Milano). Per quanto riguarda gli italiani detenuti all’estero, la Farnesina fornisce la cifra di 2.905 unità. Giustizia: troppe morti, il Dap riattiva l’Unità di monitoraggio degli eventi suicidari (Umes) Agi, 4 marzo 2012 Sono 13 i detenuti che dall’inizio del 2012 si sono suicidati. Il Capo del Dap ha disposto con effetto immediato la riattivazione dell’Unità di monitoraggio degli eventi suicidari (Umes) che, da direttore dell’Ufficio Studi del Dap, aveva attivato nel 2001, anno in cui si toccò un picco di 69 casi di suicidio. “L’Umes”, ha precisato Giovanni Tamburino, “ha agito attraverso l’analisi dei singoli casi, la conoscenza dei dati biografici e penali della persona, le condizioni di detenzione”. Il Capo del Dap evidenzia che “il lavoro degli operatori penitenziari e della Polizia Penitenziaria costituisce un valore assoluto nell’impegno con il quale quotidianamente si fronteggia l’emergenza carceri. In particolare, la Polizia Penitenziaria, pur con tutte le difficoltà in cui si trova a operare - interviene con professionalità, mettendo anche a rischio la propria incolumità, nelle situazioni di emergenza e criticità. Sono numerosi gli episodi di tentativi di suicidio di detenuti che non hanno esito proprio grazie alla tempestività dell’intervento degli agenti che operano delle sezioni detentive”. Giustizia: Sappe; contro i suicidi non servono Commissioni, ma un ripensamento delle pene Ansa, 4 marzo 2012 Contro i suicidi in carcere “quello che serve non sono Commissioni ministeriali o di monitoraggio” ma un ripensamento complessivo della pena”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. “Non penso - scrive Capece - che la riattivazione da parte dell’Amministrazione penitenziaria dell’Umes, unità di monitoraggio degli eventi suicidari in carcere, sarà efficace nel contrasto alla tragica realtà dei suicidi e delle morti in carcere”. “La Polizia penitenziaria - ricorda il Sappe - ha 7 mila agenti in meno negli organici e le carceri, che dovrebbero ospitare non più di 45 mila persone, ne vedono presenti 67mila. Per questo speriamo che il disegno di legge presentato dal ministro della giustizia Paola Severino sulla messa in prova venga approvato al più presto”. Il Sappe chiede poi interventi a tutela delle “condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria che stanno nella prima linea delle sovraffollate sezioni detentive italiane 24 ore al giorno”. Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); vigilare sulla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari Agi, 4 marzo 2012 “Il 31 marzo 2013 è la data entro la quale dovranno essere chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari. Noi vigileremo, affinché tutto sia fatto secondo modalità corrette, e siamo pronti a dare il nostro contributo”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Abbiamo trasmesso ai Ministri Severino, Balduzzi e Riccardi il documento del forum nazionale per mantenere viva l’attenzione dei media e della società civile sui temi della sofferenza in carcere - continua Di Giovan Paolo - Abbiamo imparato che non basta la legge ma servono circolari ministeriali, funzionari ed amministrazioni con volontà politica. La sanità in carcere chiama in causa anche le Regioni, non solo lo Stato centrale. Noi continuiamo ad occuparci del carcere ogni giorno e non demordiamo”. Giustizia: il Dipartimento per i minori rischia di essere smantellato da un provvedimento di legge di Massimo Donadi (Idv) Il Campanile, 4 marzo 2012 Voglio rilanciare una nuova battaglia di Italia dei Valori, iniziata dal nostro rappresentante in commissione Giustizia della Camera, Federico Palomba. Una battaglia politica per salvare la giustizia minorile, che rischia di essere smantellata da un provvedimento di legge in discussione in commissione. Abbiamo anche lanciato un appello al ministro della Giustizia Severino. Sta accadendo che, con lo schema di decreto sulla riorganizzazione del ministero della Giustizia, si vorrebbe far passare come fatto tecnico ineluttabile la distruzione della giustizia minorile, alla quale si sottrarrebbe la gestione del personale, della formazione e dei beni strumentali. Un’assurdità, come togliere i uomini e mezzi alla Polizia o medici e ospedali alla Sanità. Immaginate di riorganizzare le scuole elementari togliendo, però, maestre e maestri. Sarebbe una follia. È positivo che si riducano da tre a due le direzioni generali, ma questo può essere fatto solo salvaguardando le professionalità di assistenti sociali, educatori e polizia penitenziaria, non cambiando la loro collocazione per non disperdere un’altissima specializzazione che ha fatto diventare questo settore una delle eccellenze dello Stato. Riformare è necessario, ma ci vuole criterio. L’autonomia del settore minorile è una conquista che mai nessuno aveva contestato. Ora, invece, un fatto di ordinaria burocrazia può scardinare una cultura della cura dei minorenni che è obiettivo primario di civiltà. È ancora possibile correggere questa stortura e per questo stiamo lavorando affinché il parere delle commissioni diventi a favore di questa conquista culturale. Abbiamo lanciato anche un appello al ministro Severino e siamo certi che la sensibilità e la sua preparazione porti il governo a recepire la cultura della cura dei minori. Una volta tanto non è una questione politica: è semplicemente una questione di cultura e di sensibilità, che deve prevalere su qualunque logica politica di partito e, ancor più, sulla burocrazia. Papa (Pdl): amnistia e liberalizzazione delle droghe per svuotare le carceri www.corriereweb.net, 4 marzo 2012 Il deputato Alfonso Papa ha maturato una sensibilità particolare per lo stato delle carceri italiane e dei detenuti in queste recluse, dopo esser stato arrestato nell’autunno scorso per il coinvolgimento dell’indagine sulla P4. Chiara la soluzione contro il sovraffollamento per Papa: “Liberalizzare le droghe leggere e amnistia”. “La mia esperienza mi serve per segnalare un dato che ci pone fuori dalla civiltà: in Italia abbiamo una legge che recepisce una normativa europea e dice che ogni maiale deve avere almeno tre metri quadrati per pascolare liberamente - accusa l’onorevole Papa - nonostante le ripetute condanne delle corti internazionali ai detenuti italiani riserviamo uno spazio vitale inferiore a quello che per legge viene riservato agli animali”. Il parlamentare del Pdl, arrestato nell’autunno scorso dai magistrati napoletani nell’ambito dell’inchiesta sulla P4 di Bisginani, si è schierato quindi a favore di un’amnistia che consenta di ristabilire situazioni degne di un paese civile all’interno delle carceri italiane. Papa non ha dimenticato la sua esperienza tra le sbarre dopo esser uscito in autunno e ha promesso di rilanciare i temi cari ai detenuti in Parlamento. “Il 30% della popolazione carceraria è formata da persone giovanissime - aggiunge Papa - che si trovano lì anche per effetto di normative come la Fini-Giovanardi, sulla quale per esempio dovremmo riflettere: sono lì per droga, ma si tratta di persone che di fatto sono degli assuntori. Si pone il problema di depenalizzare le droghe leggere”. Papa, ricordando la sua esperienza, protesta anche contro la logica dell’autorizzazione all’arresto dei parlamentari che deve essere chiesta alla Camera. Il suo è stato l’unico caso in cui l’autorizzazione è stata accolta dall’aula. “C’è una sostanziale inutilità dell’autorizzazione all’arresto perché oggi si basa esclusivamente su logiche di opportunità politica - conclude Papa - per metterci al passo con i paesi civili dovremmo abolire l’autorizzazione all’arresto dei parlamentari, e nel contempo abolire la custodia cautelare in carcere, che oggi è anticipazione della pena e nella sostanza un mezzo per estorcere confessioni”. Giustizia: Riina jr può lasciare Corleone e trasferirsi a Padova. Bossi: “attentato contro il Nord” Adnkronos, 4 marzo 2012 I giudici del tribunale di Palermo hanno accolto l’istanza dei legali del figlio 34enne del boss mafioso. L’avvocato Cianferoni: “Il mio cliente è sereno”. Il sindaco di Corleone: “Il paese ha reagito, la sua presenza non ha dato problemi”. Il leader della Lega: “Non accetteremo di essere invasi dai mafiosi”. Giuseppe Salvatore Riina, il figlio 34enne del boss mafioso Totò Riina, potrà lasciare Corleone, dove sta scontando la sorveglianza speciale dopo essere uscito dal carcere, e trasferirsi a Padova per lavorare presso una onlus. Lo hanno deciso i giudici della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, che hanno accolto l’istanza dei legali di Riina junior. La notizia è confermata dal legale di Riina, Luca Cianferoni. “Il mio cliente è sereno. Non ho altro da aggiungere” ha detto l’avvocato Cianferoni. “Ci auguriamo che possa ricostruirsi una vita all’insegna della legalità e della trasparenza - ha commentato all’Adnkronos Antonino Iannazzo, sindaco di Corleone - Riina Junior non ci fa paura e la sua presenza qui è stata per il paese un test importante perché i miei concittadini hanno saputo reagire”. “Onestamente - ammette il primo cittadino - non ha creato problemi, io stesso l’ho incontrato solo tre volte, ma il paese ha dimostrato che il cambiamento a Corleone non è solo di facciata. Abbiamo proseguito il nostro percorso di legalità, senza farci influenzare dalla sua presenza. Di questo non posso che essere orgoglioso”. “No comment” da parte del sindaco di Padova, Flavio Zanonato. “Evito di commentare decisioni della magistratura - ha spiegato all’Adnkronos - Anche questa è una misura e bisogna accettarla”. Quanto alla possibilità che la decisione scateni proteste nella città veneta, “credo - ha concluso il sindaco - che le cose verranno fatte in modo tale da non creare nessun problema”. Per il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, il via libera al trasferimento di Riina jr. a Padova in sorveglianza speciale “è un attentato contro il Nord”. “Oggi - ha continuato Bossi - è stata fatta una grande porcata. A Padova hanno messo in azione il soggiorno obbligato dopo tanti anni, trasferendo il figlio di Riina. Questa volta non lo permetteremo”. Il leader della Lega Nord ha detto che “non accetteremo di essere invasi dai mafiosi. Quella gente lì merita la fucilazione. Bisogna punirli con la pena di morte”, perché “le conseguenze che portano nella nostra società sono rapine, violenza e mafia”. La Lega Nord di Padova è pronta a organizzare iniziative per manifestare tutto il suo dissenso. “Sono assolutamente contrario a questa decisione - afferma all’Adnkronos il commissario della sezione Lega Nord di Padova Massimo Bitonci - Mi chiedo perché, con tutta la nostra gente che ha problemi per la crisi economica, le associazioni di sinistra a Padova devono pensare sempre agli altri prima che ai nostri cittadini in difficoltà. Vedremo nei prossimi giorni come organizzarci per manifestare il nostro dissenso per questa decisione presa senza ascoltare la voce contraria del territorio. Prenderemo sicuramente delle iniziative”. Sulla stessa linea Mariella Mazzetto, capogruppo della Lega Nord nel consiglio comunale di Padova. “Io credo che dobbiamo fare una manifestazione e una dimostrazione - sottolinea - Ognuno si deve tenere i propri condannati e i propri mali: noi abbiamo già avuto in passato la Mala del Brenta e abbiamo già vissuto esperienze negative”. Interviene anche Antonio De Poli, parlamentare padovano dell’Udc. “Rispetto la decisione dei magistrati - dice - La notizia potrà legittimamente destare qualche preoccupazione per la città di Padova ma adesso non ha più senso fare polemiche e bisogna lavorare per il recupero sociale di Riina jr affinché possa compiersi nel modo migliore. A lui auguro che la città di Padova gli porti fortuna”. “A prescindere dal singolo caso su cui i magistrati e solo i magistrati possono esprimersi - afferma De Poli - rimane la domanda: chi garantisce del recupero sociale dei detenuti pericolosi?”. “Il problema, come dicevamo mesi fa, non è liberare Padova dalla presenza di Riina jr. Lo stesso problema si sarebbe posto se Riina jr o qualunque altro detenuto tornato libero, anziché venire a Padova, fosse andato a vivere a Salerno o a Trieste”, conclude De Poli. Lettere: il ministro Severino dichiara “il carcere è tortura”… i direttori penitenziari negano di Riccardo Polidoro (Presidente Ass. “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 4 marzo 2012 Un viaggio sulla detenzione in Italia, in quattro puntate. Nella prima, il carcere di Gazzi (Messina) e il Nuovo Complesso di Rebibbia (Roma). L’interessante video-inchiesta di Antonio Crispino, pubblicata dal Corriere della Sera - corriere.it - non solo apre le porte delle celle per far vedere l’inimmaginabile degrado in cui sono costretti a vivere i detenuti, ma pone anche una serie d’interrogativi sulla gestione delle carceri. Come è possibile che due funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria difendano le strutture di cui sono responsabili, con dichiarazioni palesemente lontane dalla realtà e che tentano di smentire le stesse affermazioni del Ministro della Giustizia, che recentemente ha esplicitamente detto che “il carcere in Italia è tortura”? Nel video, il primo intervistato nega che si stia male e che si possa paragonare lo stare in carcere ad una tortura, il secondo che vi è un rapporto di qualità molto dignitoso. Le immagini che seguono, che hanno ad oggetto proprio i due istituti di pena, sono raccapriccianti. Celle con otto o undici detenuti. In tredici in uno spazio che non è una cella, ma la sala che doveva essere adibita alla ricreazione. I nuovi giunti, per mancanza di spazio dormono a terra. Nelle celle non possono stare in piedi tutti contemporaneamente perché non c’è spazio. Letti a castello anche a quattro piani. Gabinetti a vista, nello spazio dove si cucina e si mangia. I bisogni corporali si fanno avanti a tutti. Dice un detenuto: “nemmeno i maiali sono trattati così”. Si vede su una branda un uomo di 86 anni in gravissime condizioni, che dopo la visita del giornalista e la ripresa video, sarà finalmente trasferito (ma quanti ancora ce ne sono in queste condizioni?). Ci sono malati di tubercolosi. Nel filmato la vice-direttrice sorridendo cerca di smentire la circostanza, ma il medico intervistato subito dopo ammette che ci sono casi di malattie infettive, compresa la tubercolosi. Si vede un detenuto che a stento parla, dice di avere gravi problemi cerebrali ma non lo trasferiscono. Lo spazio dell’ora d’aria è una grande gabbia. Ci si chiede, perché se il Consiglio dei Ministri ha dichiarato “lo stato di emergenza” (nel 2010, prorogato fino al 2012), il Presidente della Repubblica ha fatto più volte riferimento alla situazione vergognosa delle nostre carceri, il Ministro della Giustizia ha testualmente detto che si tratta di “tortura”, l’Amministrazione Penitenziaria continua a negare la verità? Eppure le colpe - e ce ne sono molte da troppo tempo - sono certamente da addebitare alla “politica” che non si è mai curata delle problematiche legate alla detenzione. Ci auguriamo che il nuovo Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, voglia modificare tale atteggiamento e inaugurare una nuova era, che deve essere quella della trasparenza e della verità. Lazio: Fns-Cisl; nelle carceri regionali 6.742 detenuti, per effetto legge 199/2010 usciti in 492 Tm News, 4 marzo 2012 492 detenuti, di cui 17 donne, sono usciti dagli istituti di pena del Lazio per effetto della ex legge199/2010 dall’entrata in vigore fino al 29 febbraio 2012. A rendere noto il dato è il sindacato Fns-Cisl. L’organismo di rappresentanza dei lavoratori ricorda poi che nei 14 penitenziari della regione Lazio sono recluse 6.742 persone (6.288 uomini e 454 donne) di cui solo 2.632 stranieri a fronte di una capienza regolamentare di 4.838 posti”, quindi “quasi due mila detenuti oltre la capienza massima”. Oltre al sovraffollamento il problema più grave riguarda la mancanza di personale di Polizia Penitenziaria. “La drammatica situazione che si vive negli istituti penitenziari è sotto gli occhi di tutti - spiega il coordinatore regionale della Fns-Cisl, Massimo Costantino - Una situazione insostenibile che necessariamente deve essere affrontata solo al livello politico. Nel Lazio mancano circa 810 agenti di Polizia Penitenziaria, di cui 200 unità a Viterbo, 90 a Regina Coeli e 250 a Rebibbia”. Per dare una risposta “basta poco, infatti, occorre assumere unità di Personale di Polizia Penitenziaria altrimenti la situazione corre davvero il rischio di precipitare”. Con la legge 199/2010 è stata disposta l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto. Sicilia: sovraffollamento delle carceri, allarme sicurezza per gli agenti Quotidiano di Sicilia, 4 marzo 2012 Vi sono all’incirca 2.000 detenuti in più nei penitenziari e l’organico della polizia è lo stesso. In alcune strutture è mancata persino l’acqua e si vive in condizioni al limite. Carceri sempre più sovraffollate in Sicilia e con esse cresce anche la scarsa sicurezza attorno agli agenti di polizia penitenziaria. Una professione che nell’isola si va facendo sempre più rischiosa e non solo per il tipo di profilo, che di per sé ha i suoi rischi. Il problema è che questo lavoro viene caricato anche da rischi che non possono e devono ricadere sugli agenti. L’inadeguatezza dei luoghi di lavoro infatti resta forse il problema principe della carente sicurezza per questi dipendenti dello Stato. Gli ultimi dati del ministero dell’Interno sono davvero agghiaccianti: al 31 gennaio del 2012 sono complessivamente 7.454 (tra cui 200 donne e 1.574 stranieri) le persone detenute nei 27 istituti penitenziari della Sicilia, che hanno in totale una capienza regolamentare di 5.454 persone. Dunque si segnala un sovraffollamento nelle carceri dell’isola di 2 mila detenuti. Ad esempio nel carcere Pagliarelli di Palermo, che può ospitare 858 persone, vi sono 1.280 detenuti. Nell’altra struttura palermitana, l’Ucciardone, che può contenere 391 persone, vi sono 565 reclusi. Tra le case circondariali più affollate Agrigento, che ospita 408 detenuti rispetto a una capienza di 260; Augusta (Siracusa), 548 rispetto a 357 posti; e Catania Bicocca, con 257 reclusi rispetto a una capienza di 141. Nell’altra struttura di Catania, il carcere di Piazza Lanza, la capienza è di 361 persone ma i detenuti sono 558. A Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese, si vivono davvero situazioni al limite: in quei luoghi di detenzione per condannati definitivi malati di mente, i bagni a disposizione per pazienti con la diarrea erano senz’acqua. Alcune persone erano legate al letto nude, altri malati privi di farmaci. Il presidente del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), Franco Ionta, non ha esitato a definire “un’emergenza nell’emergenza carceri” il problema dell’Opg siciliano, dove 200 detenuti potrebbero uscire, ma restano reclusi perché nessuno sa dove piazzarli. Tre anni fa l’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, aveva annunciato e promesso un faraonico piano-carceri triennale: 1.800 assunzioni di agenti e 670 milioni stanziati per costruire, entro il 2012, undici nuovi istituti e venti padiglioni in strutture già esistenti, per un totale di 9.150 posti. Cosa sia stato realizzato di quel piano è mistero. La realtà è sotto gli occhi di tutti. “Lo diciamo con fermezza e grande preoccupazione, il fenomeno carceri in Sicilia sta implodendo - continua a ripetere da tempo il segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Francesco D’Antoni -. Purtroppo il grido d’allarme sulla carenza d’organico, il sovraffollamento e l’obsolescenza delle strutture carcerarie, più volte da noi denunciato anche al cospetto del prefetto di Palermo durante la recente manifestazione regionale di protesta è caduto nel vuoto”. A preoccupare anche la serie di suicidi nelle carceri: “Questo - osserva Giovanni Condorelli, segretario generale dell’Ugl Sicilia - fa capire che urge un serio confronto con il governo nazionale, così come fortemente richiesto e auspicato dalla nostra segreteria generale”. Condizioni pessime anche per le carceri minori Anche le carceri minori, quelle cioè più piccole, soffrono maledettamente di questo sovraffollamento. A Enna vi è una capienza di 120 detenuti ma vi sono rinchiuse 178 persone; a Gela (Caltanissetta), a fronte di una capienza di 48 persone, ve ne sono 67; a Messina sono in 417 a fronte di una capienza di 330; a Mistretta (Messina), dove la capienza è di 16 persone, ve ne sono 39; a Piazza Armerina (Enna), dove la capienza è di 45 detenuti, ne sono presenti 93; a Siracusa, dove la capienza è di 309 persone, vi sono 488 reclusi; a Termini Imerese (Palermo), a fronte di una capienza di 77 persone, ne ospita 150; a Trapani, dove la capienza è di 324 persone, i detenuti sono 516. I sindacati da più parti chiedono con fermezza una rivalutazione del lavoro della Polizia penitenziaria e una riforma che, partendo dalla risoluzione del drammatico problema della carenza di personale e dal sovraffollamento delle carceri, garantisca migliori condizioni al personale e ai detenuti e, dunque, maggiore sicurezza per la collettività. Secondo un documento elaborato dai sindacati, sono 5.000 gli agenti di polizia penitenziaria in Sicilia con una carenza di organico stimata in 518 unità. Bari: Sappe; stanziati 45milioni per il nuovo carcere, ma Vendola frena www.barisera.net, 4 marzo 2012 “La costruzione del nuovo carcere di Bari è a un punto cruciale poiché si è in attesa dell’assenso del presidente della Regione Nichi Vendola. Se questo non avverrà a breve tempo, i fondi già stanziati per tale opera potrebbero essere dirottati al Nord”. Parla Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria. Pilagatti commenta l’intenzione del presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, di costruire nuove carceri. “Qualora ciò dovesse avvenire - dice - la Puglia verrà ancora più emarginata all’interno del sistema penitenziario nazionale costringendo la popolazione detenuta a condizioni di vita disagiate e gli operatori penitenziari a condizioni di lavoro più drammatiche”. Da qui l’appello a che “il governatore della Puglia dia il suo assenso il più presto possibile affinché si completi l’iter procedurale che porti alla costruzione di un nuovo carcere a Bari con tutte le positive implicazioni economiche che ciò comporta: 45 milioni di euro, fondi a disposizione del Piano carceri da Pordenone dirottati a Bari”. Secondo il Sappe, “con il nuovo penitenziario a Bari e la costruzione di alcuni reparti già finanziati, a Trani, Lecce e Taranto, la regione diventerebbe autosufficiente e di colpo si potrebbe azzerare il grave sovraffollamento che la porta a essere oggi tra quelle più affollate d’Italia”. A oggi la Puglia conta 4500 detenuti a fronte di circa i 2400 posti letto. La costruzione del nuovo carcere a Bari potrebbe dare ospitalità a 7.800 detenuti permettendo la realizzazione di un percorso trattamentale di recupero sulla scia di quanto creato a Milano Bollate. Trattamenti rivelatisi positivi. La realizzazione di nuove sezioni detentive nei penitenziari di Taranto, Lecce e Trani produrrebbe, inoltre, la disponibilità di altri 8.900 posti letto. Un peccato, quindi, per il Sappe lasciarsi sfuggire questa opportunità che migliorerebbe la qualità della vita dei detenuti nelle carceri pugliesi e quella degli agenti di Polizia penitenziaria producendo ricchezza per le maestranze e le aziende locali impiegate nelle opere di costruzione e di ampliamento dell’esistente. Trento: Franco Corleone; nuovo carcere non è “modello”, necessario Garante diritti detenuti Adnkronos, 4 marzo 2012 Il carcere di Trento non è la struttura penitenziaria modello che molti vogliono far credere. Mancano, ad esempio, un refettorio per mangiare insieme ed un locale per l’affettività, per permettere a chi vive dietro le sbarre di avere rapporti sessuali con il partner. Inutilizzata invece è la sala dei colloqui, posto che, dotata di barriera visiva, viola le norme vigenti. Lo afferma Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e coordinatore nazionale dei diritti dei detenuti, che ieri era a Trento e che alle istituzioni chiede di nominare un’analoga figura a livello locale. Nel capoluogo trentino, la metà dei carcerati, al momento 292, è in galera con l’accusa di spaccio di droga, i tossicodipendenti sono 66, la percentuale di stranieri supera il 65%. Bolzano: Franco Corleone; leggi su droghe riempiono le carceri, Istituto via Dante va chiuso Alto Adige, 4 marzo 2012 Il professor Franco Corleone, già sottosegretario alla Giustizia con il governo Prodi, ha presentato venerdì al teatro Cristallo il suo ultimo saggio - scritto con i colleghi Stefano Anastasia e Luca Zevi - dal significativo titolo “Il corpo e lo spazio della pena”, dedicato all’edilizia carceraria in Italia. “Le nostre carceri - ha poi ricordato Corleone, reduce anche da una visita all’istituto di pena di via Dante - sono ormai ridotte a delle funzioni infantilizzanti dove domina il degrado e l’assenza di qualsiasi dignità dell’uomo e non sono certo dei luoghi invece responsabilizzanti che, come vuole la Costituzione, siano chiamati al recupero dei cittadini che hanno compiuto degli errori. E allora per il caso di Bolzano, in questo quadro, il vecchio carcere è sicuramente da chiudere subito per la sua totale inadeguatezza strutturale e organizzativa. Ma va anche, a mio avviso, lanciata da Bolzano, dove la nuova struttura penitenziaria verrà realizzata dalla Provincia e non dall’amministrazione statale, una sfida di civiltà senza precedenti perché l’Alto Adige venga dotato di un carcere nuovo e non solo di un nuovo carcere. E quando parlo di carcere nuovo - sottolinea Corleone - penso ad una sfida architettonica più che ai moduli di cemento con cui di solito vengono realizzate le celle; penso ad un carcere dove siano privilegiati gli spazi per il lavoro e per il soggiorno, compresa l’affettività, dove bi principi costituzionali possano davvero trovare un percorso positivo di realizzazione in favore degli individui e di conseguenza della società nel suo insieme. Oggi invece si prevedono di solito spazi uguali per tutti senza distinzione fra donne con bimbi, tossicodipendenti, mafiosi, o semplici detenuti in attesa di processo o addirittura di convalida dell’arresto: una condizione non più sopportabile per un Paese civile. Per non parlare evidentemente della necessità di riformare a monte, ad esempio, la normativa proibizionista sulle droghe: oggi nelle carceri il 35% dei detenuti è per fatti di droga, ma si arriva ad oltre il 50% se si considerano anche tutti gli scippi, i furti e le rapine collegate al sempre mercato degli stupefacenti. Evidentemente qualcosa non funziona e andrebbe riformato con urgenza, perché spesso, ciclicamente, si parla di sovraffollamento e di carceri che scoppiano, ma bisognerebbe anche capire quali sono le cause che provocano questo stato di cose. E sono sempre scelte, spesso scellerate - conclude Corleone - del legislatore”. Pavia: costruire il carcere in periferia è stata una scelta sbagliata La Provincia Pavese, 4 marzo 2012 Pavia inizia ad affrontare la tematica delle carceri. In particolare del carcere Torre del Gallo, non immune da problematiche che affliggono numerosi istituti di pena italiani. “Torre del Gallo ospita attualmente 479 detenuti. Ne dovrebbe ospitare 244. Sempre nella stessa casa circondariale sono in servizio 193 agenti di polizia penitenziaria, mentre quelli richiesti sarebbero 283”. Riporta questi dati Giovanni Giovannetti, relatore assieme a don Dario Crotti, giovedì sera alla serata di riflessione sul carcere organizzata dal circolo Arci in Viale Bligny. “Il carcere di Vigevano conta 200 agenti su 268 richiesti e ospita 470 detenuti, rispetto ad una capienza ordinaria di 236 - continua Giovannetti -- in quello di Voghera prestano servizio 175 agenti contro i 209 richiesti e ospita 224 detenuti quando potrebbe ospitarne 160”. Da considerare poi che “ora al carcere di Pavia lavorano 5 educatori, ma per molti anni - testimonia don Dario della Caritas - per molti anni c’era un solo educatore che lavorava part time e che doveva assistere 430 detenuti”. Inoltre, in seguito alla chiusura di un’area del carcere di Monza, un certo numero di persone sono state trasferite a Pavia, che quindi conta 479 detenuti. Ma non sono solo i numeri ad accomunare le tre carceri pavesi. Le accomuna anche l’ubicazione: sono ai margini della città, in periferia. “Costruire un carcere dentro la città significherebbe costruire un luogo che viene tenuto vicino, non che vuole essere allontanato in un clima di indifferenza - spiega don Crotti. San Vittore a Milano è oggi l’ultimo baluardo di un carcere costruito all’interno della città, tanto che spesso si dibatte se toglierlo o meno. Anche a Pavia il carcere è fuori: quando è nato il grande supermercato sulla Vigentina la fermata del bus che prima arrivava proprio di fronte al carcere è stata spostata davanti al supermercato. Costringendo madri e mogli che andavano a far visita ai loro familiari detenuti a fare più di un chilometro a piedi. Solo dopo numerose richieste la fermata è stata ripristinata”. Per avvicinare la comunità esterna alla realtà carceraria, don Dario organizza ogni giugno tre giornate durante le quali i giovani di Pavia “possono visitare il carcere, sentirne gli odori, il rumore delle chiavi. Rendersi conto che nella nostra città esiste anche questa comunità e che finché la lasciamo lì e non la riconosciamo non funzionerà nulla. Se invece ci si avvicina si capisce che non è un luogo irraggiungibile”. Veronica Pozzi Livorno: bando per un operatore con il compito di fare da “ponte” tra i detenuti e il territorio Il Tirreno, 4 marzo 2012 Per un detenuto che ha scontato la pena, il dramma più grande è cercare di reinserirsi nel tessuto sociale. Per alleviare questo grave disagio, la Provincia di Livorno ha indetto un bando per la ricerca di una figura professionale con il compito di fare da “ponte” tra i detenuti e il territorio. Insomma, un professionista che dovrà agevolare il rientro dell’ex detenuto nella società. L’operatore, che resterà in carica 12 mesi, dovrà infatti costruire progetti personalizzati di reinserimento sociale, abitativo e soprattutto lavorativo per i detenuti dimettendi o che hanno i requisiti giuridici per accedere a misure alternative. Il bando, fa parte del progetto Rete livornese per il reinserimento sociale (progetto Re.Liv.Re.), finanziato dalla Regione con 18mila euro, e vede il sostegno della Provincia, dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna, degli istituti penitenziari del territorio (Livorno, Porto Azzurro, Gorgona) e delle varie associazioni che operano in ambito carcerario. Requisito fondamentale per accedere alla selezione sarà il possesso di una laurea, almeno triennale, in scienze dell’educazione o della formazione o titolo simile. Saranno anche valutate competenze e conoscenze del contesto penitenziario. Il bando uscirà tra 15 giorni e sarà consultabile su www.provincia.livorno.it. Un bando che l’assessore provinciale alle politiche comunitarie Monica Mannucci, ha voluto dedicare a Wally Seller Sgherri, responsabile della Commissione Carcere della Caritas di Livorno e scomparsa nei giorni scorsi, sottolineando il grande contributo da lei dato alla costruzione del progetto. Un progetto che, come detto, ha l’obiettivo di contribuire fattivamente al reinserimento sociale dei detenuti. “Già da due anni questo progetto è attivo nella provincia di Firenze - dice l’assessore Mannucci - e sta dando ottimi risultati. Proprio per questo motivo, anche la Provincia di Livorno ha deciso di adottarlo in via sperimentale, certi del fatto che anche qui da noi avrà risultati positivi soprattutto sul piano sociale. Dopo questa prima fase, noi speriamo di ripetere l’esperienza e magari anche di ampliarla “ Valeria Cappelletti Telese (Ba): prorogato il Progetto “The Bridge”, per il reinserimento degli ex detenuti www.ilsannita.it, 4 marzo 2012 Il Sindaco Pasquale Carofano e il Consigliere alle Politiche Sociali Gianluca Serafini rendono noto che è stato prorogato il Progetto “The Bridge” che aveva chiuso la II annualità nel mese di febbraio 2012. Il Progetto, sottoscritto dal Ministero della Giustizia Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dall’Ambito B3 di cui Telese Terme è Comune capofila, mira ad offrire aiuto e assistenza a tutti coloro che dopo un periodo di detenzione, iniziano un percorso di reinserimento nella società civile secondo il dettato dell’art. 27 Costituzione che sancisce la finalità rieducativa della pena. Questo è l’obiettivo del progetto “The Bridge” che associa ad una terapia di riadattamento sociale effettuata precedentemente in carcere, una attività di sostegno al detenuto, mettendo a disposizione le risorse presenti sul territorio sia in campo lavorativo che nei rapporti sociali persi a causa della detenzione, inglobando l’intero nucleo familiare in tale percorso. Il Progetto anche quest’anno si è articolato in due aree di intervento; una prima fase che ha riguardato le azioni per il sostegno di coloro che sono ancora detenuti e le loro famiglie; una seconda fase dedicata in modo particolare a favorire il reinserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro mediante la sottoscrizione di contratti a tempo determinato per lavori socialmente utili nei Comuni ricadenti nell’Ambito B3 in convenzione con la Cooperativa Saturno di Benevento. In questa seconda annualità gli utenti sono stati impegnati nell’arredo di spazi verdi e parchi giochi, nella pulizia e tinteggiatura di palestre comunali dei Comuni dell’Ambito B3. Il Comune di Telese Terme ha riconfermato la disponibilità di una sede informativa presso la biblioteca comunale con due operatori impegnati nel front-office e nel back-office. Gli assistenti sociali dei vari Comuni hanno raccolto tutta la documentazione riguardante i singoli utenti per procedere alla firma dei contratti e assegnare la sede di lavoro. Un particolare ringraziamento per il lavoro svolto e la collaborazione prestata va all’assistente sociale dell’Ambito B3 Alessio Ruggiero, all’assistente sociale del Comune di Telese Terme Anna Covelli e al direttore della Casa Circondariale di Benevento dott.ssa Maria Luisa Palma e al suo staff operativo. Modena: i detenuti di Sant’Anna faranno i giardinieri a Spilamberto Gazzetta di Modena, 4 marzo 2012 Alcuni detenuti del carcere Sant’Anna di Modena saranno due giorni a Spilamberto per svolgere lavori di manutenzione del verde e dell’arredo urbano. Ad annunciarlo è stata l’amministrazione comunale, che in Giunta ha sottoscritto una convenzione con la casa circondariale per la realizzazione di un progetto di recupero sociale per un gruppo di soggetti che, nell’ottica della “giustizia riparativa”, si occuperanno di piccoli interventi necessari alla valorizzazione, conservazione e custodia del territorio e del patrimonio comunale. “In particolare - spiega il Comune - i detenuti svolgeranno le seguenti attività: piccoli interventi di potatura di cespugli e siepi; la pulizia di aiuole, aree verdi e parchi; la raccolta delle foglie; la messa a dimora di essenze fiorite stagionali in aiuole; gli interventi resi necessari a seguito di particolari eventi atmosferici (rimozione neve dalle aree pubbliche comunali: marciapiedi, scuole, parcheggi); tinteggiatura di arredo urbano (panchine e cestini). Lo svolgimento dell’attività si svolgerà per due giorni la settimana. Il Comune fornirà il materiale e le attrezzature; istruirà gli addetti per effettuare gli interventi; fornirà i pasti e sosterrà le spese di viaggio, supervisionerà lo svolgimento del servizio attraverso il proprio servizio tecnico. La casa circondariale, invece, individuerà i soggetti idonei al lavoro. La convenzione, rinnovabile, avrà durata di un anno con decorrenza da marzo 2012”. “Dopo che si era interrotto per alcuni anni il rapporto tra il Comune di Spilamberto e la casa circondariale di Modena per mancanza di personale - ha detto Daniele Stefani, assessore alle politiche ambientali, informatizzazione, innovazione tecnologica e protezione civile - riprende da quest’anno la convenzione. Ringrazio per questo la direttrice della casa circondariale, la dottoressa Rosa Alba Casella, che si è dimostrata molto disponibile. Questa iniziativa ha una doppia valenza: da una parte rendere più bello, pulito e decoroso il nostro paese, dall’altra parte entrare nell’ottica della giustizia riparativa, facendo sì che si recuperino dei detenuti con il lavoro, anziché far trascorrere loro tutto il tempo in cella. Ai detenuti - ha proseguito Stefani - il Comune fornirà i pasti, sosterrà le spese di viaggio, darà le attrezzature necessarie e si occuperà della loro formazione”. Il sindaco di Spilamberto, Francesco Lamandini, ha aggiunto: “Riprende una convenzione che già negli anni passati era stata attiva a Spilamberto e che, già con l’ex direttore del carcere, aveva visto un ottimo rapporto tra il nostro Comune e la casa circondariale di Modena. Ha un valore sociale da salvaguardare”. Sassari: conclusa perizia per decesso di Fabrizio Piras; morì cercando lo sballo col gas La Nuova Sardegna, 4 marzo 2012 Di certo non voleva morire Fabrizio Piras, 23 anni, la notte tra il 7 e l’8 ottobre scorso, in una cella del carcere di San Sebastiano. Voleva sballarsi, dimenticare di essere lì dopo l’arresto di un mese prima. Aveva inalato del gas, o meglio mix di propano e butano che alimenta i fornelletti ancora presenti nelle camere di detenzione, per preparare il caffè. E in quel modo è morto, come ha confermato all’esito della sua consulenza il medico legale Francesco Lubinu, nella relazione depositata al sostituto procuratore Gianni Caria, che aveva aperto un fascicolo per fugare qualsiasi dubbio. La risposta al suo quesito era quanto si aspettava: quel gas inalato per cercare svago non aveva fatto in tempo ad intossicare Fabrizio Piras, ma gli aveva creato una forte irritazione alla gola causandogli la chiusura della glottide. Impossibile, a quel punto, anche solo provare a respirare. È morto per soffocamento, prima ancora che fosse portato al centro clinico, dove il personale medico ha fatto tutto quello che poteva per salvarlo. Non c’era più nulla da fare. Fabrizio Piras aveva già fatto tutto da solo, non per togliersi la vita, però. Piuttosto per continuare a sognare quella che era fuori dalle mura carcerarie. A questo punto svaniscono anche le ombre che inizialmente si erano addensate su quanto accaduto dentro la cella, dove i compagni detenuti avevano raccontato di non averlo visto mentre inalava, ma solo mentre a un certo punto cadeva a peso morto per terra, svenuto. E forse già senza fiato. Sassari: detenuto si impiccò con lacci delle scarpe; il pm chiede rinvio a giudizio per un agente La Nuova Sardegna, 4 marzo 2012 Ha rinnovato la richiesta di rinvio a giudizio il pubblico ministero Carlo Scalas, all’udienza preliminare di ieri davanti al gup Maria Teresa Lupinu, per la morte in carcere di un detenuto di San Sebastiano. Sotto accusa per omicidio colposo c’è un agente di polizia penitenziaria, Mario Usai, difeso dagli avvocati Sergio Milia e Maria Claudia Pinna, in turno il giorno in cui un detenuto si è tolto la vita in cella, con i lacci delle scarpe. Anche la difesa ha sostenuto che per chiarire i fatti, e dimostrare l’estraneità dell’agente, c’è bisogno del confronto nel corso di un pubblico dibattimento. Il giudice scioglierà la riserva il prossimo 26 aprile. Il detenuto suicida il 17 luglio 2010 era un artigiano arrestato quattro giorni prima per sospetti abusi sulla figlia (per questo il giornale omette il nome): secondo le indagini della Procura l’estremo gesto di autolesionismo era stato possibile per la “negligenza” di chi avrebbe dovuto controllare, e secondo l’accusa non l’ha fatto. Prima ancora di capire quali fossero le prove a suo carico, era stato assalito dalla disperazione. “È un’infamia”, continuava a dire nell’interrogatorio di garanzia. In carcere, il medico che lo aveva visitato aveva definito “altissimo” il rischio che potesse togliersi la vita, tanto che la mattina del 17 il comandante della Polizia aveva firmato un provvedimento per segnalare ai sottoposti il pericolo. Ma forse non c’è stato nemmeno il tempo di rispettare quell’ordine. Poche ore dopo, l’artigiano ha rifiutato di andare all’ora d’aria ed è rimasto in cella da solo, per usare i lacci come un cappio. I familiari si sono costituiti parte civile con i legali Daniela Perinu e Nicola Lucchi. Cosenza: Corbelli (Diritti Civili); consentire cure fuori dal carcere a detenuto malato di tumore www.telereggiocalabria.it, 4 marzo 2012 Un uomo di 30 anni, detenuto da sette mesi nel carcere di Cosenza dove sta scontando una condanna a tre anni per furto, ha scritto una lettera al leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, per chiedere “aiuto affinché possa ottenere una misura alternativa al carcere in quanto gravemente malato”. La notizia è stata resa nota dallo stesso Corbelli. Il trentenne, affetto da un tumore e da una rara malattia, nella missiva inviata a Corbelli ha allegato anche la documentazione dell’ospedale di Cosenza che attesta le sue condizioni di salute. “L’uomo - afferma Corbelli - chiede una misura alternativa alla detenzione e di poter essere curato in un centro specializzato, per non continuare a soffrire e per non morire”. Nella lettera inviata a Corbelli il detenuto afferma che dal “2008 sono affetto da un tumore, con metastasi sparse, da poco mi hanno riscontrato anche un’altra grave patologia, la sindrome di Lichen Scleroatrofico. Se non vengo curato in centri specializzati sono condannato a soffrire e morire. Ho fatto la chemioterapia. Sono senza anticorpi. Non posso restare in carcere, in una cella sovraffollata, con il rischio di contagio di altre malattie. Non ho commesso gravi reati. Non sono un soggetto pericoloso. Sono in carcere da 7 mesi per scontare una condanna a tre anni per un furto commesso nel 2007”. Corbelli chiede un “atto di giustizia giusta e umana: la possibilità di uscire dalla casa circondariale per poter essere curato. Un Paese civile, uno Stato di diritto ha il dovere di accogliere la richiesta di questo detenuto. Confido nella sensibilità del giudice chiamato a decidere su questo caso umano”. Viterbo Lega Federalista; la politica non ignori i problemi del carcere www.tusciaweb.eu, 4 marzo 2012 Lega Federalista esprime la propria solidarietà all’agente della polizia penitenziaria aggredito questa mattina all’interno del carcere viterbese di massima sicurezza di Mammagialla. Stando a quanto diffuso, dal sindacato Uil penitenziari coordinamento Regionale Lazio, un detenuto avrebbe aggredito l’agente mentre si apprestava a una verifica delle inferriate della finestra. “Questo nuovo fatto di cronaca pone di nuovo l’accento sulla difficile situazione di lavoro degli agenti penitenziari all’interno di un carcere sovraffollato come quello di Viterbo. Una situazione, quella di Mammagialla, imbarazzante e preoccupante che la politica non può ignorare. È necessario che il carico di lavoro degli agenti penitenziari sia ridotto, che si intervenga con una riduzione del numero dei detenuti e allo stesso tempo con il rinforzo numerico degli agenti. Bisogna evidenziare, anche agli occhi del ministero, che quello di Viterbo è un carcere di massima sicurezza. Una massima sicurezza indebolita da situazioni estreme dettate appunto dall’aumento del numero dei detenuti e dalla mancata sufficienza di personale di polizia penitenziaria. Pisa: Sappe; due agenti del carcere Don Bosco picchiati da un detenuto Ansa, 4 marzo 2012 Due agenti di polizia penitenziaria del carcere Don Bosco di Pisa sono stati picchiati stamani da un detenuto albanese. Lo riferisce una nota del sindacato di polizia penitenziaria Sappe che rilancia la questione “della sicurezza negli istituti di pena della Toscana per il personale che vi lavora”. Il detenuto, in attesa di giudizio per violenza sessuale, ha prima aggredito verbalmente un’infermiera del centro clinico dell’istituto e quando è stato redarguito dai poliziotti - si spiega nella nota - si è scagliato contro di loro “colpendoli violentemente con calci e pugni fino a farli cadere da una rampa di scale e procurando loro ferite piuttosto serie tanto che i medici del pronto soccorso cittadino hanno stilato prognosi di una e due settimane”. L’episodio, secondo il sindacato è “l’ennesimo atto di violenza in un carcere toscano” e conferma una situazione “senza eguali nel resto del territorio nazionale, indice di una gestione complessiva dell’intero distretto inadeguata e pericolosamente avviata allo sfascio”. “Solo pochi giorni fa - conclude il Sappe - avevamo segnalato il sequestro temporaneo di un agente del carcere di San Gimignano ma anche Lucca, Sollicciano e Porto Azzurro stanno lanciando il grido d’allarme di tutta la regione. Le nostre denunce restano inascoltate e l’amministrazione toscana pare non avere più strumenti da impiegare per la corretta gestione delle 18 carceri della regione”. Lucca: Sappe; dopo visite illustri e attenzione dei media… nel carcere stessi problemi irrisolti Il Tirreno, 4 marzo 2012 Il Sappe, tramite un comunicato, fa sapere che dopo le visite illustri e l’attenzione dei mass media, delle scorse settimane, al carcere “San Giorgio”, ad oggi nessuna misure è stata adottata per fronteggiare l’emergenza carcere. Probabilmente già non interessa più a nessuno che nel carcere lucchese continuano ad essere assegnanti, dal Provveditorato Regionale e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, detenuti, tanto che per qualche giorno l’Istituto ha ospitato 192 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 113 posti letto. Addirittura nei giorni dei colloqui, la situazione diventa esplosiva, in quanto il personale addetto al controllo è costretto a ricoprire tre o quattro postazioni di servizio contemporaneamente. Continuiamo a ribadire, continua il segretario del Sappe, Cenni, che queste non sono le condizioni di una struttura dello Stato, pertanto confermiamo lo stato di agitazione e in assenza di sostanziali e significativi interventi, preannunciano, sin d’ora, l’adozione di ulteriori iniziative di protesta. San Cataldo (Ct): Ugl; carcere di insicuro per detenuti e agenti penitenziari La Sicilia, 4 marzo 2012 Molte ombre poche luci alla Casa di reclusione di San Cataldo. Emergono dalla recente visita ispettiva di una delegazione della segreteria regionale del sindacato di categoria Ugl che ora, attraverso il segretario Francesco D’Antoni, ha scritto al provveditore dell’Amministrazione penitenziaria, Maurizio Veneziano, sollecitando interventi urgenti a garanzia della sicurezza dei circa 170 detenuti e degli agenti di custodia e della salubrità della struttura. Riconoscendo “notevoli capacità d’ascolto e spiccata professionalità” al comandante del reparto Alessio Cannatella che ha accompagnato la delegazione, D’Antoni evidenzia le “inconcepibili inefficienze dell’Istituto” e parla di “sezioni detentive, lato A e B, prive di postazione fissa per il personale addetto alla vigilanza del reparto, fili elettrici scoperti, evidente mancanza di pulizia nei corridoi, assenza di riscaldamento, scaldabagno dismesso e sanitari non a norma e mal ridotti nei locali bagno del personale”. L’Ugl, inoltre, segnala “la sostanziale differenza di temperatura tra le sezioni detentive e gli uffici della direzione. Al termine della visita - aggiunge D’Antoni - nell’attraversare il confine tra le due aree, s’è registrata un’escursione termica di circa 13 gradi, a scapito dei poliziotti penitenziari e dei detenuti”. Da qui le critiche al direttore Angelo Belfiore: “Corre voce che sembra essere un dirigente particolarmente attento alle problematiche e pignolo. Ci chiediamo come può essere accaduto che l’Istituto da lui diretto versi in questo stato di evidente precarietà”. Pavia: detenuti e studenti universitari dialogano sul tema della legalità La Provincia Pavese, 4 marzo 2012 Parte domani il primo degli otto incontri dedicati agli studenti dell’Università e ad alcune persone detenute presso il carcere di Pavia. Sette studenti dell’ateneo si recheranno presso la casa circondariale Torre del Gallo, dove saranno chiamati a dialogare e riflettere con un gruppo di 20 detenuti dell’area di massima sicurezza sulle tematiche della legalità e dei codici di comunicazione. “Il progetto si svolgerà interamente all’interno del carcere e si articolerà in otto incontri, di cui i primi tre saranno tenuti dai professori dell’ateneo pavese Azzoni, Larizza, Redi e Porta su temi della legalità, della Costituzione, della convivenza e della devianza giovanile”, spiega il professore universitario, referente dell’iniziativa Mario Dossoni, che terrà anch’egli uno degli incontri in calendario. I sette studenti che si recheranno in carcere per quest’attività sono tutti iscritti al laboratorio universitario “Comunicare le identità locali” e provengono principalmente dalla facoltà di Cim e, in secondo luogo, da Scienze Politiche, anche se “l’idea è di dare continuità al progetto anche in futuro - spiega Dossoni - coinvolgendo anche studenti di altre facoltà”. Doveroso precisare che “il progetto è stato ideato dalle sezioni e dagli educatori del carcere, su sollecitazioni dei detenuti stessi. Importante anche l’apporto del comandante degli agenti di polizia penitenziaria”, dichiara Dossoni. “L’idea è nata in base alle esigenze che si sono riscontrate nel gruppo - conferma la direttrice della casa circondariale Iolanda Vitale - questi primi incontri saranno rivolti a quei detenuti che stanno già seguendo un percorso scolastico. All’interno dell’istituto - spiega Vitale - sono infatti attivi dei corsi di formazione scolastica gestiti dall’istituto superiore Volta di Pavia. L’obiettivo principe dell’iniziativa condivisa con l’Università è quello di stimolare il reinserimento sociale delle persone detenute e di ampliare l’orizzonte con un percorso culturale che esprima il senso di legalità. Questo primo ciclo di incontri è sperimentale. Sulla base dei risultati ottenuti valuteremo se estenderlo anche ad altri gruppi di detenuti”. Immigrazione: Barbolini (Pd) visita Cie Modena; protesta dei “trattenuti” controllata da polizia Ansa, 4 marzo 2012 Il senatore del Pd Giuliano Barbolini e la giornalista Silvia Bonacini di “LasciateCIEntrare” hanno visitato il Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena. Dopo la visita, in tarda mattinata si sono registrati momenti di tensione all’interno della struttura di via La Marmora, dove è iniziata una protesta dei clandestini trattenuti. La situazione è tornata alla normalità grazie all’intervento delle forze dell’ordine, dei vigili del fuoco e del questore di Modena Giovanni Pinto. “Il Cie è un luogo difficile, dove si concentrano storie diverse tutte, peraltro, accomunate da un notevole carico di sofferenze e disagi - ha detto Barbolini - un luogo che non può essere definito di accoglienza perché chi vi si trova non è un ospite, ma è un trattenuto. Un luogo la cui natura è stata cambiata profondamente dalla legislazione che si è susseguita dalla Bossi-Fini in avanti. Tuttavia, almeno a Modena - ha proseguito Barbolini - non è un lager. La gestione della struttura, pur con tutti i distinguo che ho rappresentato, rimane sufficientemente rispettosa delle persone”. Barbolini ha quindi annunciato che presenterà in Senato un’interrogazione nei prossimi giorni sul Cie di Modena. La sua attuale gestione da parte della Misericordia scadrà alla fine di marzo e il ministero - precisa il Pd di Modena - ha emanato un bando che impone un tetto massimo di costo per ospite di 30 euro, quando attualmente è di 72-74 euro. “Delle due l’una - ha detto Barbolini - o si era scialacquato prima e allora occorre indagare su chi ne porta le responsabilità, oppure la cifra proposta ora non potrà consentire di rispondere alle esigenze minime dei trattenuti con un aggravio di incognite per quello che potrà capitare in futuro”. Il senatore modenese del Pd ha individuato tre aspetti della struttura ritenuti iniqui. “Il periodo di trattenimento - ha detto - è stato portato dal precedente governo a 18 mesi, quando in realtà, per il disbrigo delle pratiche, nella maggior parte dei casi, sono sufficienti tre o quattro mesi. Poi, il fatto che al Cie passino anche ex carcerati che hanno scontato la loro pena senza che se ne sia appurata l’identità per poi procedere subito al rimpatrio. Infine - ha concluso Barbolini - il fatto che la sorveglianza sul Cie pesi solo sull’organico della questura modenese quando, invece, gli internati arrivano da una zona ampia dell’Emilia e della Lombardia, e nell’assegnazione del numero dei poliziotti a Modena di tutto questo non si tiene conto”. Seychelles: nella prigione dei pirati fra Corano e lavori forzati La Stampa, 4 marzo 2012 Pirati somali pronti a prendere il largo: la zona delle Seychelles è diventata una “zona di caccia” preferita anche perché il governo locale non ha i mezzi sufficienti per controllare le acque territoriali, molto estese. La strada, ripidissima, s’inerpica sulla mezza costa di una montagna di granito scuro soffocata dalla vegetazione tropicale per finire davanti a un piazzale in terra battuta su cui si affacciano tre capannoni e, poco più in basso, un casermone grigio chiaro da cui, in lontananza, si può vedere il mare della costa di sud ovest. Tutto intorno alte reti, filo spinato e torrette di guardia con uomini amati. Benvenuti nella prigione dei pirati di Mahé, la più alta concentrazione di criminali del mare detenuti in meno di un chilometro quadrato strappato alla foresta rigogliosa delle Seychelles. Si chiamano tutti Jahamal, Shaif, Mohamed, età media tra i 20 e i 22 anni, e all’ora in cui arriviamo stanno facendo la pausa pranzo, infagottati nelle loro divise blu da detenuti. “Ma noi siamo tutti pescatori”, raccontano ridendo i giovani somali, tutti condannati a pene che nessuno sa bene quantificare. “La verità è che vengono portati qui da tutto l’oceano indiano e ormai sono troppi. Molti, dopo essere stati identificati con foto e impronte digitali, sono in attesa di essere rimpatriati”, spiega il direttore del carcere, Maxim Tirent, 56 anni, un bianco di origini francesi dall’aspetto bonario. Gli ultimi sono stati catturati tre settimane fa da una fregata della marina militare di Sua Maestà britannica che li ha sbarcati sull’isola, esattamente come avveniva 100 anni fa. “In mare sono baldanzosi e arroganti, ma qui si comportano bene, remissivi e tranquilli, trascorrono le loro giornate in lavori per la sistemazione di strade, oppure pregando. Problemi non ne hanno mai dati”. Attualmente ve ne sono rinchiusi ben 88, arrivano quasi tutti da Mogadiscio e rappresentano il 12 per cento della popolazione carceraria totale delle Seychelles (circa 500 persone, quasi tutte arrestate per droga), diventate ormai il vero avamposto internazionale strategico della lotta alla pirateria nell’Oceano Indiano, l'altra faccia di questo paradiso tropicale conosciuto dai turisti solo per le bellezze naturali e le spiagge superbe. Un vero flagello per questi mari, racchiusi tra le coste dell’Africa e quelle dell’India, dove si incrociano gli interessi commerciali marittimi di mezzo mondo. Basti pensare che, come racconta Salvatore Puma, general manager italiano del Constance Ephelia, uno dei resort più esclusivi di Mahé, che questo Natale, nei vari alberghi “non è stato più possibile servire pesce perché i pescatori si rifiutavano di prendere il largo per paura degli assalti”. Che avvengono quasi sempre con la stessa tecnica: una grande imbarcazione che trasporta legati l’uno con l’altro almeno 4 o 5 motoscafi di piccole dimensioni e velocissimi, pronti a sganciarsi appena viene avvistata la preda. Giovani, feroci, determinati, i pirati di Mogadiscio sono spesso legati a gruppi paramilitari e, si sospetta, finanzino o siano finanziati a loro volta anche organizzazioni terroristiche da cui ricevono armi micidiali. Non hanno nulla di romantico né pittoresco questi pirati del 2000: sono giovani lupi pronti a tutto, come se ne possono trovare milioni in ogni bidonville del pianeta. È nelle sacche più povere delle città brulicanti dell’Africa e del Madagascar che vengono reclutati, disposti a rimanere nel nulla infinito dell’Oceano per giorni e giorni pur di agguantare uno stereo o un palmare. Oppure sequestrare ostaggi e, ultimamente, violentare donne. Giusto l’altro ieri, nel porto turistico di Mahé, sono arrivati due tecnici di Milazzo, esperti riparatori di navi della Technofluid: un armatore locale li ha chiamati per rimettere in sesto due yacht a motore danneggiati dai pirati somali che un anno fa li avevano sequestrati insieme ad un enorme porta container. Gli interni sono crivellati di colpi di mitra, impianto stereo, televisioni e computer sono stati divelti e portati via, le poltrone e i divani strappati. “Vandalismo puro”, dice Giuseppe, il titolare della società. Per recuperare yacht ed equipaggio, c’è voluto un anno di trattative e alla fine si è dovuto ovviamente pagare un riscatto. Così la lotta alla pirateria è diventata una vera priorità alle Seychelles: se ne parla tutti i giorni sui giornali ed è la questione su cui si sta impegnando con tutte le sue forze anche il presidente della Repubblica, James Michel. “Stimiamo che il costo annuale della pirateria per la comunità internazionale si aggiri tra i 7 e i 12 miliardi di dollari”, ha spiegato in un’intervista comparsa ieri sul settimanale Vioas. “I pirati costano alle Seychelles il 4 per cento del prodotto interno lordo, inclusi i costi diretti e indiretti della perdita di navi, di pescato, di turismo e di investimenti diretti nella sicurezza marittima. Tra il 2008 e il 2010 c’è stata una perdita del 46 per cento per la pesca locale, una delle nostre grandi risorse nazionali”. Insomma, un disastro. Per ora il turismo non ha subito grossi danni. Anzi: negli ultimi due anni si è assistito a un incremento e mai come in questo periodo si fatica a trovare un posto negli alberghi. Però il governo ha dovuto vietare agli yacht di navigare attraverso le varie isole. Troppo pericoloso. Secondo il presidente delle Seychelles, “è chiaro che lo sforzo della comunità internazionale ancora non è adeguato”. Anche se negli ultimi due anni sono arrivati aiuti da tutto il mondo: cinque motovedette sono state regalate dagli Emirati Arabi, gli americani hanno messo a disposizione un drone, la Cina due aerei da ricognizione e perfino il Lussemburgo ha fornito un’imbarcazione veloce, mentre l’Italia incrocia spesso con le sue navi militari nelle acque vicine per controllare le rotte. “Ma considerata l’estensione infinita dei nostri mari, tutto ciò non è ancora abbastanza”, dice il presidente. “Le regole d’ingaggio dei contractor che sempre più spesso vengono assoldati dalle navi o dei militari imbarcati, sono limitate e non permettono risposte adeguate. Mentre è aumentata la violenza negli assalti e siamo convinti ci sia ormai una linea molto sfumata tra la pirateria e il terrorismo”.