Giustizia: amnistia e dintorni… la marcia dimenticata di Valter Vecellio L’Opinione, 27 marzo 2012 Mancano un fazzoletto di giorni, al giorno di Pasqua, sedici appena. Sedici giorni per dare letteralmente corpo alla riuscita della seconda Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, per un’organizzazione come quella radicale, priva di risorse e che non può contare sulla compiacente “pubblicità” dei mezzi di informazione, è “missione” quasi impossibile. Irene Testa, animatrice dell’associazione “Detenuto Ignoto”, che coordina il lavoro preparatorio per questo importante appuntamento, da ostinata sarda qual è, la volge in positivo: “Che il tempo a disposizione fosse poco, ce lo siamo detto fin dal principio, ma questo non più e non oltre che un ostacolo, si può invece utilizzarlo come stimolo per concentrare al meglio le nostre forze/risorse”. Irene e convinta, e noi con lei, che sia comunque possibile farcela, “ma solo se si riesce ad avere uno scatto da parte di tutti, e se quella che dovrebbe essere la priorità per tutti, non si riduca, come spesso accade ad essere la priorità di Marco Pannella e di pochi altri”. Ecco. Meglio non si potrebbe dire. La rassegna stampa non offre molto: “L’Opinione”, “Il Manifesto”, “Gli Altri”, “Il Riformista”, “Europa” e gli altri quotidiani, quelli sempre a caccia di scoop ai “quattro formaggi”, attenti al battito di ciglia di questo o di quello, e pronti a far credere che una palla di neve sia una valanga? Eppure a scorrere la lista, ancora in via di formazione, dei promotori e degli aderenti, anche solo dal punto di vista giornalistico ce ne sarebbero di spunti su cui lavorare: a cominciare dalle tre “capilista”, Ilaria Cucchi, Silvia Tortora e Lucia Uva, le loro tre storie, diverse eppure “comuni”. La nutrita “pattuglia” di religiosi, quelli si veri credenti, che hanno poca dimestichezza con le trame e i veleni delle gerarchie vaticane, ma moltissima con i problemi e le tragedie della “sommersa” società civile. Ci sono i garanti dei detenuti e i dirigenti degli istituti penitenziari, chiamati “per legge” a spietati doveri, e che tuttavia rivendicano il loro diritto ad affermare quello che impone la loro coscienza, e ci dicono che quello che “per legge” devono fare, gli ripugna, e che altro occorre e si deve fare. Ci si potrebbe chiedere cosa abbiano mai in comune il direttore dell’organo “ufficioso” di Comunione e Liberazione “Tempi” Luigi Amicone e il direttore de “Gli Altri” Piero Sansonetti; e un ventaglio di parlamentari che va dal Pdl-Cl Renato Farina a Jean Léonard Touadi del Pd e Ignazio Marino; da Ermete Realacci, Pd con spiccate sensibilità ambientaliste a all’ex ministro del governo Berlusconi Anna Maria Bernini; e via così. I tanti commentatori, titolari di rubriche, editorialisti, che quotidianamente ci spiegano questo e quello, avrebbero materia per le loro riflessioni di consenso, di perplessità, di dissenso. Scelgono invece, loro e i loro direttori, il silenzio. Coloro che sono perplessi o contrari all’iniziativa e alle proposte indicate dai radicali, cosa offrono in cambio? O ritengono che la situazione sia ulteriormente sopportabile, che non sia così grave come dicono tutti? Abbiamo il diritto di chiederlo, hanno il dovere di dircelo.- Perché, ha ancora ragione Irene Testa, “non dobbiamo aspettare, come già ha annunciato, che Marco Pannella passi allo sciopero della sete, per essere poi investiti dell’emergenza e non sapere come essergli davvero d’aiuto”. Anche perché davvero, mai come questa volta, aiutare Pannella significa aiutare tutti noi ad uscire dalla mortifera sabbia mobile in cui siamo impantanati. Se si vuole si può; se si può si deve. Giustizia: Osapp; sovraffollamento oltre ogni limite si attendono segnali da governo e parlamento Comunicato stampa, 27 marzo 2012 “Per comprendere la reale entità del dramma delle carceri italiane, nei cui confronti nessun politico responsabile dovrebbe restare inoperoso e meno che mai i componenti tecnici del Governo Monti, basta considerare che in oltre 16 istituti di pena su 210 funzionanti i detenuti sono più del doppio dei posti disponibili, mentre in altri 60, ad ogni due posti letto, se ne deve aggiungere almeno un terzo spesso costituito da un materasso per terra.” è quanto di legge in una nota indirizzata ai Gruppi Parlamentari di Camera e Senato a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Il record assoluto del sovraffollamento penitenziario lo raggiunge il carcere di Brescia con una presenza detentiva di oltre il 169% superiore alla capienza (555 detenuti per 206 posti equivalenti a 5,2 detenuti ogni 2 posti) - sostiene il leader dell’Osapp - seguito da Busto Arsizio (+150%), Vicenza (+138%), Milano S. Vittore e Reggio Calabria (+136%), Como (+133%), Taranto (+130%), Bologna (+122%), Ancona e Treviso (+119%), Pesaro (115%), Pisa (+114%), Firenze Sollicciano (+105%), Locri (+103%), Catania Bicocca e Lecce (+101%)”. “Ulteriori preoccupazioni - prosegue il sindacalista - derivano anche dal fatto che il sovraffollamento penitenziario, un tempo prerogativa delle carceri del Nord, per una maggiore presenza di detenuti extracomunitari, si è progressivamente esteso alle regioni del Centro e del Sud come la Puglia, che con l’84% di detenuti eccedenti i posti disponibili è la più sovraffollata d’Italia, seguita da Calabria (+60%), Marche (+47%), Lazio (+40%), Campania (+38%) e Sicilia (+33%), in molti casi segno di una maggiore presenza detentiva legata alle associazioni criminali e, quindi, di crescenti rischi per il personale di polizia penitenziaria che vi opera in scarsità di organici, di mezzi e di risorse. “. “Ma, nonostante gli allarmi, i gravi episodi quotidiani e i costanti appelli che lanciamo - conclude Beneduci - dopo il fervore iniziale, da tempo non giungono segnali significativi dalla Guardasigilli Severino, probabilmente e come i precedenti Ministri della Giustizia, maggiormente indaffarata nei confronti di 10mila magistrati che assillata dalle sorti di 110mila donne e uomini che nel carcere vivono, operano e purtroppo, a volte, muoiono”. 66.313 detenuti per 45.757 posti: sconfitta per la legalità e fallimento Governo Monti “66.313 detenuti in 45.757 posti nelle carceri italiane (dati del 25 marzo 2013) e con 8 regioni su 20 (Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e veneto) che hanno persino superato, oltre a quella regolamentare anche la capienza massima tollerabile, rappresentano non un risultato, ma uno dei principali fallimenti del Governo Monti, oltre che una costante sconfitta delle legalità nel nostro Paese.” ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Visto l’aumento dei suicidi, degli atti di autolesionismo in generale e delle aggressioni in carcere soprattutto in danno del personale di polizia penitenziaria - prosegue il leader dell’Osapp - il timore più che fondato è che un sovraffollamento penitenziario che non supera le 67mila presenze detentive sia considerato normale e possa persino giustificare l’attuale e assordante silenzio delle istituzioni e della politica, con poche eccezioni”. “Infatti, tranne che per qualche tenue progetto nell’ambito di un’amministrazione penitenziaria centrale oggi quanto che mai precaria perché di designazione tecnica e non politica, nulla sta allontanato il sistema penitenziario dalle emergenze legate alla promiscuità dei soggetti, all’inigienicità ed insalubrità degli ambienti ed alla penuria di risorse e di personale, con il rischio che i veri problemi di un carcere che non funziona si rendano evidenti attraverso nuove recrudescenze criminali che dall’interno degli istituti di pena si riverserebbero sulla società civile”. “Auspichiamo, quindi - conclude Beneduci - che il Governo e il Parlamento elaborino nuovi progetti rivolti a deflazionare nei fatti e non sulla carta il sistema e che la Guardasigilli Severino riapra e renda fattivo un tavolo di proposta e confronto tra le Parti, conclusosi prima del tempo”. Giustizia: Papa (Pdl); informazione Rai sulle carceri è gravemente inadeguata Ansa, 27 marzo 2012 “Apprendo dalle agenzie di stampa della proposta presentata dal conduttore Giletti a Radio Rai per un programma sulle carceri”. Lo dichiara in una nota il deputato del Pdl Alfonso Papa in merito al programma proposto dal noto conduttore nel maggio dello scorso anno e a cui non ha fatto seguito alcuna risposta. Non conosco i dettagli del format, ma non ho motivo per dubitare che sia un format di qualità. Piuttosto mi preme sottolineare che tale notizia giunge nel giorno in cui l’Osapp denuncia ancora una volta come i nostri istituti detentivi siano ormai sovraffollati oltre ogni limite. Rispetto a questa realtà l’informazione fornita dall’azienda del cosiddetto servizio pubblico (pagata coi soldi dei contribuenti) è a dir poco inadeguata, centellinata”. “Ritengo - conclude l’onorevole Papa - che la Rai debba profondere maggiori sforzi nell’opera di informazione e sensibilizzazione dei cittadini rispetto a quanto accade a pochi chilometri dalle loro case, nei loro quartieri, una tortura legalizzata fuori da ogni standard di legalità nazionale e internazionale. Ecco, forse proprio su questo l’azienda di Stato potrebbe riacquistare una credibilità, che al momento mi pare francamente ridotta all’osso”. Giustizia: moglie di un detenuto; giocano con le speranze di chi sta in carcere di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 27 marzo 2012 Un detenuto ha dovuto attendere oltre un anno per poter essere accolto da una comunità terapeutica, pur avendone diritto. È la storia di un uomo ristretto nel penitenziario di Bollate che non ha potuto ancora usufruire delle cure che gli necessitano e che, a causa delle lungaggini, ha reagito con una brutta depressione che lo ha portato al tentativo estremo di togliersi la vita. Sua moglie Katia Guerra ha dato avvio ad una battaglia che, forse, a breve avrà un lieto fine. Ci racconta perché ha iniziato la sua battaglia? Mio marito è detenuto presso la casa di reclusione di Bollate e da circa un anno aspetto di vederlo trasferito nella comunità Alfa Omega di Graffignana. Mi avevano detto che lo avrebbero fatto sin dal settembre 2011, poi mi hanno detto entro la fine dell’anno, per poi far slittare la data ad aprile del 2012, ma solo in affidamento. Affidamento che, però, non è ancora definitivo e loro lo sapevano sin dall’inizio. Il punto è che parlano di arresti domiciliari in comunità, ma finché non c’è una sentenza definitiva questo non si può fare. Mi sento presa in giro, da sempre conoscevano la situazione, avevano promesso di accoglierlo generando tante aspettative poi deluse. Suo marito come ha vissuto questo anno di continui rimandi? Malissimo. Purtroppo quando si fanno queste cose non si tiene conto della psicologia di un detenuto. Chiusi in una cella ci si attacca a qualsiasi speranza. Non si può giocare con i sentimenti delle persone detenute e con quelle dei loro familiari. Vincenzo da settembre a dicembre è caduto in profonda crisi depressiva al punto di volersi togliere la vita. Se la cosa non è finita in tragedia è solo grazie alla tempestività del personale di Bollate. Lei ha inviato una lettera firmata a tutti i giornali locali per richiamare l’attenzione sul caso, ha ottenuto risposte? Sì, per fortuna. Proprio questa mattina, grazie alla pubblicazione della lettera da parte di un giornale di Lodi, mi ha contattata la comunità Pellicano che si è dimostrata disponibile ad accogliere mio marito. Al 99% dal 4 aprile dovrebbe, dunque, essere trasferito in questa struttura. Ho dato mandato al mio avvocato di fare subito un’ istanza. Un giudice non dice mai di no ad una persona che si deve fare curare, ma aspettiamo ancora un pò prima di cantare vittoria. Si sente parlare molto di problemi in carcere, sovraffollamento, diritti dei detenuti calpestati, di una giustizia “ingiusta”. Suo marito ha dovuto fare i conti con tutto questo? No, per fortuna. Mio marito è detenuto in uno dei pochi posti dove le cose funzionano come si deve. A Milano Bollate si pensa anche alla rieducazione dei ristretti. Per quanto riguarda, invece, la giustizia italiana non ce l’ho con lei. Il problema di mio marito è legato ad un altro aspetto, alle promesse mancate e ai ritardi non giustificati di una comunità che aveva promesso di accoglierlo e che, per oltre un anno, lo ha rimandato, accendendo in lui e in me false speranze. Ho chiesto spiegazioni e mi hanno risposto che avrebbero tenuta aperta solo la disponibilità in affidamento per poi aggiungere che si tratta di “problemi organizzativi”. Mi chiedo come una comunità possa avere questo tipo di problemi considerando che esiste un decreto del Ministro di grazia e giustizia che li abilita all’accoglienza. Cosa le ha lasciato dentro tutta questa storia? Tantissima rabbia. Non si può giocare con i sentimenti e le speranze delle persone detenute e poi la comunità in questione è uscita con proclami su tutti i giornali per aver accolto personaggi noti come Fiorani. Allora mi chiedo se il punto sia il rango delle persone da accogliere. I detenuti dovrebbero essere trattati tutti allo stesso modo, aldilà della classe sociale di appartenenza. Mio marito è ancora in carcere, ma ha bisogno di essere curato, ha bisogno di aiuto e questo aiuto lo può ricevere solo in una comunità. Giustizia: l’uomo in casa diventa assassino, una donna uccisa ogni due giorni di Adriano Sofri La Repubblica, 27 marzo 2012 Quarantasei donne uccise dall’inizio dell’anno. Vittime dell’uomo che avevano accanto. Una strage silenziosa. La legge non basta: serve una nuova cultura. Prendiamo una frase così: Gli uomini uccidono le donne. È una generalizzazione spaventosa: la stragrande maggioranza degli uomini non uccidono le donne. Eppure a una frase così succede di reagire con assai minor indignazione e minor sorpresa di quanto la statistica consentirebbe. Non dico delle donne, che sanno bene che cosa vuol dire la frase. Ma gli uomini, anche se la statistica dice che in Italia, non so, uno su 400mila ammazza una donna in un anno, ammetteranno di sentire confusamente come mai uomini ammazzano donne. L’uomo è cacciatore, si dice: il cacciatore gode di scovare la preda, inseguirla, braccarla, catturarla - e farla finita. Al centro del millenario addestramento dell’uomo maschio sta il desiderio, e la certezza del diritto naturale, di possedere la donna. È una metà della cosa: prendi la donna, la chiudi a chiave, la usi, la fai figliare e lustrare stivali, la bastoni ogni tanto, perché non si distragga dall’obbedienza, come fai con gli altri animali addomesticati. L’altra metà della cosa sta nella sensazione che la “tua” donna ti sfugga, anche quando l’hai riempita di botte e di moine, che il diritto di possederla è eluso da un’impossibilità. Non c’è carceriere che possa voltare le spalle tranquillamente al suo prigioniero. Non c’è prigioniero più irriducibile della donna. L’uomo avverte con offesa, paura, vergogna questo scacco indomabile, e al suo fondo una propria inferiorità sessuale, un piacere pallido rispetto a quello che immagina sconfinato e astratto della donna - la sua capacità di puttana - e, quando si persuada di averla perduta e di non poter più vivere senza di lei, la uccide. Lui, mediamente, vive: a volte tenta il suicidio, per lo più lo manca. Dice: “Sono incapace di intendere e di volere, perciò l’ho ammazzata”. L’altro ieri le diceva: “Sono pazzo d’amore per te”. Voleva dire: “Sono incapace d’intendere e di volere, perciò ti amo”. Vivrà, compiangendosi, nel ricordo di lei, ormai soltanto sua - e comunque di nessun altro. Ho scritto questa orrenda cosa: non perché non veda che è grossolanamente orrenda, ma perché penso che si avvicini alla verità. È una di quelle che si dicono male con le parole, dunque si preferirà fare un vuoto - un raptus, un’uscita da sé di cui non resterà memoria - e puntare sulle attenuanti generiche. Specifiche, fino a ieri, quando ammazzare una donna, specialmente la “propria” donna, era poco meno di un atto onorevole. La disparità, in questo campo, è senza uguali. Di fatto, perché le donne che ammazzano il “loro” uomo sono così rare da far leggere due volte la notizia, per controllare che non sia un benedetto errore del titolista - trafiletti, del resto. E di diritto e perfino di lessico, perché la parola era una sola, finora, a designare l’ammazzamento coniugale, uxoricidio, l’uccisione della moglie. Il nuovo conio di “femminicidio” non è un puntiglio rivendicativo, è l’adeguamento stentato della lingua e della legge a una stortura di millenni. A meno che non fosse esaltata, che è l’altra faccia dell’avvento dell’amore romantico, gran rivoluzione in cui, nella nostra parte di mondo, si mescolarono la considerazione arcaica della donna forte e ribelle e infine domata in Grecia, e la nuova tenerezza che volle risarcirne l’inferiorità nel cristianesimo. Strada facendo, l’amore cavalleresco si conquistò uno spazio formidabile, e la donna dell’ideale non poté toccarsi nemmeno con un fiore - quanto alla reale, aveva il suo daffare, e non l’ha mai smesso: bella storia, grandiosamente rovesciata in amori così mirabili da indurre l’uomo ad ammazzarla, l’amata, e diventare così un eroe romantico, o un grande delinquente espressionista, o almeno un poveretto da compatire, per aver tanto sovrumanamente amato. L’uomo che uccide la “sua” donna compie il più alto sacrificio di sé, in tutta una sublime tradizione artistica e letteraria, più che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e faticosamente, ci si divincola da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazione per l’uomo che uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria. E gli si vede dietro la moltitudine di ometti “tranquilli”, “perbene” - sono sempre questi, all’indomani, gli aggettivi dei vicini - che pestano con regolarità mogli e fidanzate e amanti e prostitute e figlie, le tormentano, le insultano e ricattano e spaventano e violentano. Panni sporchi di famiglia. Pressoché tutti gli omicidi che ho incontrato in galera - dov’ero loro collega - avevano ammazzato donne: la “loro”, o prostitute, dunque di nessuno, dunque di tutti. Vi passa la voglia di simpatizzare per Otello e Moosbrugger, per la Sonata a Kreutzer o per l’Assassino speranza delle donne. Le statistiche oscillano: viene ammazzata una donna, in Italia, ogni due giorni, ogni tre, secondo le più ottimistiche. Se le donne non fossero il genere umano, la parte decisiva del genere umano, e venissero guardate per un momento come un’etnia, o un gruppo religioso, o una preferenza sessuale, non se ne potrebbe spiegare l’inerzia di fronte alla persecuzione, la rinuncia a un’autodifesa militante. Questo varrebbe fin dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita in tanta parte del mondo, che è sì altra cosa ma strettissimamente legata. Quel titolo, Uomini che odiano le donne, è diventato proverbiale scendendo da un nord civile e favoloso come la Svezia, una tremenda rivelazione. L’Italia, come le succede, si batte per il record, spinta dalla rapidità febbricitante dei suoi cambiamenti, dal ritardo alla rivalsa, e oggi le deplorazioni internazionali contro il femminicidio ci mettono assieme al Messico di Ciudad Juarez. Oggi si parla di questo, ci si informa. È molto importante. Sono due gli strumenti decisivi per affrontare l’assassinio delle donne (e gli stupri, le persecuzioni, le botte, le minacce e le vite di paura): la polizia - e le leggi - e la cultura. La polizia femminile è il più significativo progresso del nostro Stato (e dell’Afghanistan). I due strumenti non sono, come si pensa, agli antipodi, una che arriva dopo il fatto, l’altra che lo previene da molto lontano. Vanno assieme, per prevenire da vicino e da lontano, e per sanzionare, materialmente e moralmente. Escono libri - l’ultimo che ho visto è “Il silenzio degli uomini”, di Iaia Caputo, Feltrinelli. Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale (Laterza), sciorina un repertorio impressionante di fantasie maschili passate per scienza e legge. La Rai ha programmi nuovi ed efficaci. Su Rai 3 “Amore criminale”, ora condotto da Luisa Ranieri, ha raccontato decine di storie di donne uccise, storie di persone altrimenti gelate in un numero statistico, ognuna a suo modo terribile. Da oggi Rai 1 trasmette quattro film contro le violenze sulle donne, di Liliana Cavani, Margarethe von Trotta e Marco Pontecorvo. Nel web sono ormai numerosi i siti che aggiornano fedelmente e discutono le notizie sulle donne assassinate, rinvenute, quando ci arrivano, dentro le cronache locali. Ci sono gruppi di uomini che hanno deciso di parlare di sé, come l’associazione “Maschile plurale”. Torno all’inizio. Noi uomini, se appena siamo capaci di ricordarci del modo in cui siamo stati iniziati, e non ci dichiariamo esonerati, sappiamo che cos’è la voglia frustrata o vendicativa o compiaciuta di malmenare e vessare le donne e la loro libertà. Lo sappiamo, come Endrigo quando passava da via Broletto, al numero 34, dove dorme l’amore mio. Non si sveglierà. Proprio sotto il cuore c’è un forellino rosso, rosso come un fiore. Giustizia: Presidente Tribunale Palermo; ingiusti i domiciliari per Aiello, scarcerato per favismo Adnkronos, 27 marzo 2012 La decisione dei giudici del Tribunale dell’Aquila di scarcerare l’ex re delle cliniche di Bagheria, Michele Aiello e di scontare la fine della pena a 15 anni e mezzo di carcere agli arresti domiciliari per una forma di favismo “è un’ingiustizia”. E a dirlo non è un cittadino comune, ma Vittorio Alcamo, Presidente del Tribunale di Palermo, che in primo grado condannò Aiello, ritenuto prestanome del boss mafioso Bernardo Provenzano, a 14 anni di carcere nell’ambito del processo per le cosiddette “talpe” della Procura in cui fu condannato anche l’ex Presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro. Alcamo ha scritto una lunga lettera-denuncia al quotidiano “Repubblica” in cui spiega perché ritiene ingiusta la scarcerazione di Aiello, condannato per associazione mafiosa. “Faccio parte di un paese in cui i giudici improntano il loro delicato ruolo istituzionale a criteri di sobrietà, serietà e riservatezza e celebrano i valori di Falcone e Borsellino non solo una volta l’anno con parole vuote ma ogni giorno con il loro lavoro - scrive Alcamo nella lettera - In cui le sentenze sono rese nel nome del popolo italiano e la legge è uguale per tutti, siano essi poveri cristi o governatori. In cui le pene definitive vanno scontate per intero e con uguali modalità”. Esprime rispetto per l’ex governatore Cuffaro che, subito dopo la sentenza definitiva a 7 anni, si presentò spontaneamente in carcere a Roma: “Un paese in cui le pene definitive vanno scontate per intero e con uguali modalità - scrive Alcamo. E in un paese in cui, devo ammetterlo, un ex potente governatore regionale, Salvatore Cuffaro, si costituisce in carcere per scontare la sua pena dimostrando dignità e rispetto per le istituzioni”. “Eppure - prosegue - oggi mi consento uno sconfinamento nell’altra, e ben più popolata, Italia e me ne scuso anticipatamente. Quella dove, purtroppo, accade tutto il contrario dove un imputato, Michele Aiello, condannato con sentenza in giudicato alla pena di 15 anni e sei mesi di reclusione per mafia è stato autorizzato dal Tribunale di sorveglianza de L’Aquila a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare: per intolleranza alimentare alle fave e ai piselli. Quell’Italia in cui, alla faccia dei detenuti comuni affetti da favismo e ben più serie malattie che scontano anni di carcere, esistono disparità così evidenti da meritare la definizione di ingiustizie. Quell’Italia in cui nessuno si indigna più ed in cui si può arrivare a simili offese dell’intelligenza comune e dei diritti degli altri cittadini privi di mezzi”. Severino dispone verifiche su domiciliari ad Aiello Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha incaricato gli ispettori del dicastero di fare accertamenti preliminari sul caso di Michele Aiello, condannato a quindici anni e mezzo di reclusione per associazione mafiosa, nei confronti del quale, nei giorni scorsi, il tribunale di sorveglianza dell’Aquila ha disposto gli arresti domiciliari. Aiello era detenuto nel carcere di Sulmona, ed è affetto da favismo, il che lo rendeva intollerante al cibo che veniva servito nel penitenziario. Questa sarebbe stata la motivazione con cui il tribunale di sorveglianza ha spiegato la sostituzione della misura in carcere con quella ai domiciliari. Ora gli ispettori del ministero acquisiranno copia degli atti del tribunale abruzzese e verificheranno quanto accaduto. Lettere: si devono chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari di Franco Previte Oggi, 27 marzo 2012 Sull’abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari prevista nel marzo 2013. Da troppo tempo questa situazione viene ri-evocata, ma volutamente ri-ignorata ! Sulla aberrante situazione in cui versano i 6 ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), dove albergano circa 1500 detenuti dei quali circa il 40% sarebbero dimissibili, si continua a parlare quasi ogni giorno imperterriti, senza agire con la dovuta urgenza. Anche il Signor Presidente della Repubblica li ha definiti “ estremo orrore dei residui Opg, inconcepibile in qualsiasi Paese appena civile”, ma di fatto sono allegramente ancora aperti, malgrado si è arrivati a stabilire la chiusura entro il marzo 2013.Mio malgrado ed a pro- memoria per “alcuni”, debbo ricordare che il 7 ottobre 1998 assieme all’Opera don Guanella e don Orione ho inoltrato al Parlamento Italiano una Petizione (assegnata col n. 520 alla 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica e col n. 714 assegnata alla 12 ° Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati), con la quale si richiedeva, e tutt’ora viene richiesto, che “sugli attuali Presidi Socio Sanitari - siano essi ospedali psichiatrici, che “manicomi” giudiziari ancora “aperti”- a cura delle Regioni ed entro anni 2 devono essere apportati interventi di ristrutturazione edilizia degli edifici secondo linee moderne confacenti onde neutralizzare i disagi che gli utenti potrebbero subire o provocare. Le opere edilizie devono essere atte ad accogliere non più di 4 degenti per camera”. Le successive Petizioni, da me ri-inoltrate, ultime quelle del 15 aprile 2008 e tutt’ora giacenti in Parlamento, (col n. 5 e 6 assegnata alla 12° Commissione Igiene e Sanità e Commissione Esteri del Senato della Repubblica, annunciata in Aula il 28 maggio 2008 prot. N 231/s e col n. 9 assegnata alla 12° Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, annunciata in Aula il 27 maggio 2009 prot. n. 2008/0015270/gen/tn), in merito alla riforma delle leggi 180 e 833/1978, al punto 10° richiede, “ una definitiva progettazione per gli ospedali psichiatrici giudiziari, adeguando la normativa penale a quella civile in quanto le due leggi non hanno “distinto” il malato mentale responsabile di atti criminosi da quello relativamente innocuo,” e richiedente la totale chiusura degli Opg che dura da ben 34 anni ! In breve debbo ricordare che il diritto di petizione, sancito dall’art. 50 della n/s Costituzione, spetta a quivis de populo, cioè ad ogni cittadino maggiorenne ed è un mezzo di collaborazione di tutto il popolo all’opera legislativa esplicata dalle Camere, perché permette a chiunque di segnalare alle stesse i bisogni, le aspirazioni, le esigenze popolari di carattere generale affinché “queste” vi provvedano. Sono documenti quelli da noi prodotti e non chiacchiere “ per chiedere od esporre comuni necessità”(art.50) carenti da ben 34 anni !, senza dimenticare, mai, che la sovranità appartiene al popolo (art.1 comma 2). Sono questioni assai complesse e delicate che avvolgono la qualità giuridica, etica o squisitamente politica, le cui soluzioni sono di competenza delle Camere Legislative, sospinte, ma non risolvibili, né da Convegni Seminari Rapporti, né da una “Commissione Parlamentare d’Inchiesta”, né dal Ministro della Salute che recentemente in un Messaggio inviato all’Ufficio Nazionale per la Pastorale Sanitaria della CEI che il 17 marzo u.s. ha tenuto un seminario sulla salute delle carceri, spiega “ si sta lavorando sui requisiti minimi per le strutture che ospiteranno le persone internate negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, nonostante le difficoltà applicative non trascurabili” (da Roma Sette 20 marzo 2012). Sono parole, purtroppo parole, solo parole ! Gli ospedali psichiatrici giudiziari, dove tuttora sono ospitati i “reclusi”, sono malgrado tutto, seguiti dai centri penitenziari gestiti dall’amministrazione giudiziaria le cui competenze socio-sanitarie dovrebbero passare al Servizio Sanitario Nazionale, la cui piena funzione sarà svolta dal Dsm (Dipartimento di salute mentale), come viene solo affermato (?) entro marzo 2013. “È pertanto inconcepibile e inaccettabile, a mio avviso, che delle persone in Ospedale Psichiatrico Giudiziario siano costrette a restare in una struttura carceraria perché mancano posti all’esterno “, è il risultato, evidenziato nel punto 117 del Rapporto dr. Alvaro Gil-Robles “Commissario Europeo per i Diritti Umani” sulla sua visita in Italia 10/17 giugno 2005, CommDH (2005) 9 Strasburgo 14 dicembre 2995 . Una “lectio schola aliquem auditum ire” davvero esemplare, soprattutto per l’Italia. Un “nosocomio” da tutti conosciuto. Le condizioni igieniche vergognose, sempre secondo quel “Documento” della Commissione Parlamentare condotta dal Senatore Ignazio Marino, tra altre anomalie riscontrate, sono in breve : “tre metri quadro” di spazio per ogni detenuto, “acqua ghiacciata da bere sotto il water” “ affollamento in stanze ridotte” ed altre “cose” irripetibili, che non abbiamo alcuna difficoltà a ritenerle vere, insomma dimostrano una situazione disumana che il rispetto per cani e gatti resta ed è superiore a quello che avviene in questi lager, “situazioni!”, ripeto, conosciute da ben 34 anni, che ci fanno accapponare la pelle ri-conoscerle solo ora ! Ma dove sono stati e cosa hanno fatto i politici fin oggi? È doveroso, necessario, nonché impellente, ricordare che la legge 180/1978, la famosa legge Basaglia priva del Regolamento d’Applicazione, ha voluto abolire i “manicomi”, ha attivato poche strutture residenziali alternative previste dai vari “Progetti-Obiettivi di salute mentale” ed “altro”, ma non ha migliorato le condizioni dei malati, così come la legge 833 (che garantisce l’universalità delle cure ai malati di mente ), non ha “chiuso” questi Ospedali Psichiatrici Giudiziari in contrasto con il dettami Costituzionali, contro la stessa legge, contro il Piano Sanitario 2003-2005, contro i vari Provvedimenti Legislativi e che non ha adeguato la normativa penale a quella civile per i 6 OPG, contro ogni logica etica . Sulla gestione di quest’ultimi è molto interessante il Documento Conclusivo dell’Indagine Conoscitiva del Senato sullo “stato di assistenza psichiatrica in Italia” nei riguardi della medicina psichiatrica penitenziaria dove “ né una dimissione forzata, né il mancato invio in Opg risolvono il problema di fondo dei trattamenti di pazienti autori di reati spesso di reati violenti che non sono sovrapponibili per percorso terapeutico, alla restante popolazione di pazienti psichiatrici (letterali affermazioni, Resoconto Sommario n. 312 Senato della Repubblica del 1 febbraio 2006 - Legislatura 14°). Questo vuol dire che i pazienti dovrebbero essere affidati a personale specializzato per arrivare alla nozione di tutela della salute mentale superando l’accezione di “psichiatria”, in termini di prevenzione e diagnosi precoce destinando il 5% minimo dei fondi sanitari. Purtroppo oggi si continua a dare ampia rilevanza al superamento dei “manicomi”, rispetto alla gravità dei malati sul territorio ed alle priorità come nel caso in esame, mentre le famiglie, i “malati”, anche quelli in Ospedali Psichiatrici Giudiziari, sono soli e questa situazione urgente ed irrevocabile ha una sua drammatica attualità e riscontri tragici, malgrado il gran clamore, con ipocrisia, che si va instaurando con le sole parole in Convegni Seminari Rapporti Documenti Inchieste, dimenticando che anche questi, non solo cani e gatti, sono da essere attenzionati, perché esseri umani. Giustizia: detenuti “speciali”… in barba alla legge di Annalisa Chirico www.notapolitica.it, 27 marzo 2012 Perché deve restare in carcere un uomo ultrasettantenne accusato di truffa aggravata? L’accento va posto sulla parola “accusato” perché il soggetto in questione è solamente tale: non c’è condanna, ma un’inchiesta. Un’inchiesta che deve fare il suo corso, la giustizia ha i suoi tempi (elefanticamente lunghi in Italia, siamo d’accordo). Ma quali sarebbero le supreme esigenze cautelari che giustificano la detenzione preventiva se l’accusa si chiama “truffa aggravata”? A questi interrogativi se ne aggiungono poi altri. Perché non gli è stata risparmiata l’umiliazione della ripresa fotografica in manette? Come si spiega la stravagante coincidenza per cui al momento dell’arresto, avvenuto durante un incontro tra lui e il sindaco, davanti al palazzo erano assiepate truppe di fotografi e teleoperatori? Mortificazione esemplare. Perché il primo interrogatorio lungo tre ore è avvenuto dopo cinque, dico cinque giorni di segregazione senza dargli neppure la possibilità di conferire con l’avvocato? Non ricopre più alcuna carica societaria. È nel suo diritto difendersi nel processo, e solo il processo stabilità se è colpevole o innocente. Ma non è questo il punto. Come lui ci sono migliaia di detenuti, il 43% della popolazione carceraria italiana dietro le sbarre da presunti innocenti. Lo dice la Costituzione che sono presunti innocenti, e il Codice di procedura penale prescrive di ricorrere al carcere senza condanna soltanto in via residuale ed eccezionale “quando ogni altra misura risulti inadeguata”. Ecco, perché per lui non vengono disposti, per esempio, gli arresti domiciliari? Si può tenere sotto controllo senza torturare, a meno che, s’intende, lo scopo non sia segnatamente quello di torturare per estorcere e fiaccare. Ah, scordavo, il nome del detenuto speciale è Francesco Bellavista Caltagirone. Tenete a bada gli spiriti animali. Lazio: nelle carceri della regione grave situazione sanitaria Dire, 27 marzo 2012 Da 10 giorni un detenuto del carcere di Frosinone sta attuando lo sciopero della fame perché, per la mancanza da oltre di 2 mesi di anestetico e di materiale odontoiatrico, non può essere sottoposto alle cure dentarie di cui ha bisogno. La denuncia è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che, nei giorni scorsi, aveva diffuso un dossier sulla situazione in cui versa la sanità nelle 14 strutture carcerarie della Regione. Il dossier si era occupato anche del carcere di Frosinone, una struttura che, secondo gli ultimi dati, dovrebbe contenere 325 detenuti e invece ne ospita 532. In base alle segnalazioni raccolte, nell’Istituto del capoluogo ciociaro, ogni turno di lavoro viene coperto da due soli infermieri (uno solo la sera), che devono contemporaneamente garantire la somministrazione dei farmaci, l’effettuazione dei prelievi e l’assistenza ai medici nel corso delle visite. Nella stessa struttura - come in quelle di Cassino, Viterbo e Regina Coeli - da mesi non è più possibile effettuare la fisioterapia. Per quanto riguarda, poi, visite, accertamenti e consulenze, a Frosinone mancano il diabetologo e l’ortopedico; cardiologo, infettivologo e psichiatra sono a disposizione solo poche ore al mese. Per questo problema gli operatori sanitari hanno chiesto alle rispettive direzioni, senza avere risposta, l’aumento delle ore di infermieri e specialisti. Riguardo il caso denunciato, al Garante risulta che, da oltre due mesi, mancano nel carcere sia l’anestetico che il materiale odontoiatrico necessario alle cure e che quindi, dall’inizio del 2012, sono state sospese estrazioni, cure canalari ed ogni altro tipo di intervento odontoiatrico con numerosi disagi per decine di detenuti. In particolare risulta che l’anestetico è stato richiesto dai sanitari del carcere all’apposito ufficio della Asl ma che ancora non si è avuta risposta. Per questi motivi, il detenuto oggetto della denuncia del Garante ha avviato lo sciopero della fame. “Quello della tutela della salute in carcere è un tema di stretta attualità che ci preoccupa molto - ha detto Marroni - Una situazione che è peggiorata con il continuo aumento dei detenuti e con il passaggio, fra le competenze delle Regioni, della sanità in carcere e che non è destinata a migliorare a breve. Per questo siamo in contatto quotidiano con gli uffici della Regione Lazio, con quelli dell’Osservatorio Regionale per la salute in carcere e con le singole Asl per individuare quali fra le situazioni più critiche, come quella segnalata a Frosinone, possano trovare una soluzione con l’impegno delle parti e con l’utilizzo intelligente delle risorse disponibili”. MONTINO: MANCANO FARMACI, MA REGIONE PORTA CABARET “Dopo il “Natale per tutti” è arrivato “Un sorriso per tutti” l’ennesima mossa propagandistica della Polverini che continua a portare spettacolini, musica e cabaret all’interno degli istituti penitenziari. Sarebbe pure un’iniziativa ammirevole se non fosse che mentre nelle carceri mancano anche i farmaci, la Regione porta le brioche. Non si capisce, infatti, di cosa debbano sorridere i detenuti visto che non possono neanche sottoporsi alle cure dentarie. Tanto che a Frosinone si fa lo sciopero della fame per la mancanza di anestetico e di materiale odontoiatrico”. Lo dice, in una nota, il capogruppo del Pd alla Pisana, Esterino Montino. “Il garante dei detenuti, Angiolo Marroni - dice ancora Montino - denuncia da mesi, inascoltato, una mancanza di assistenza sanitaria gravissima con macchinari inutilizzati e sale mediche vuote. Eppure la legge dice che le condizioni di salute dei detenuti devono essere garantite dalle Regione e quindi dalle singole Asl del territorio. Cure che spettano alle oltre 6.500 persone ospitate all’interno dei nostri penitenziari. Ma non ci sono dottori, infermieri e addirittura il minimo di materiale indispensabile. In molti penitenziari del Lazio manca anche una cassetta di Pronto soccorso. A Rieti non si riesce a garantire il servizio medico e infermieristico per il nuovo carcere perché non ci sono gli operatori sanitari. E la struttura resta chiusa per la metà dei posti. Sarebbe il caso che invece di partecipare a performance canore e comiche di musica e cabaret a Velletri, nella casa circondariale di Cassino, dentro le carceri di Latina e Civitavecchia, la Polverini assicurasse personale e le risorse minime per garantire l’assistenza sanitaria. Altrimenti - conclude Montino - si rischia di fare come sul Titanic: il sistema penitenziario e i suoi ospiti affondano mentre l’orchestra regionale suona”. Cangemi: iniziative culturali nelle carceri molto apprezzate “Il consigliere Montino parla di cose che non conosce. Le iniziative culturali nelle carceri, anche attraverso la musica e lo spettacolo, sono molto apprezzate sia dalle direzioni, che hanno condiviso il progetto con la Regione, sia dagli stessi detenuti che hanno più volte ringraziato la presidente Polverini”. È quanto dichiara l’assessore alla Sicurezza ed Enti Locali della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi. “Anche perché queste brioche, come le definisce Montino facendo sfoggio del suo cattivo gusto - sottolinea Cangemi - si sono tradotte in corsi di musica e di teatro che hanno permesso ai detenuti di acquisire una formazione specifica che contribuisce alla rieducazione e al reinserimento sociale. A Rebibbia, tanto per fare un esempio, il laboratorio teatrale ha portato addirittura ad un film, quello dei fratelli Taviani, che ha vinto l’Orso d’oro a Berlino e ha aperto la strada al mestiere di attore per alcuni detenuti, oltre ad aver coinvolto gli altri in un esperimento che ha lasciato un segno positivo nelle loro vite. Le parole che abbiamo potuto ascoltare direttamente dai detenuti sul valore della cultura, oltre in 1500 ad aver partecipato alle nostre iniziative, sono per noi il migliore riconoscimento. Le parole del consigliere Montino, invece, suonano davvero stonate, tanto per restare in tema, e ci auguriamo che non arrivino alle orecchie dei detenuti, perché offendono la loro dignità”. “In merito, infine, all’assistenza sanitaria - conclude Cangemi - proprio al carcere di Velletri dove si è svolta di recente l’iniziativa “Un sorriso per Tutti”, solo grazie a questa amministrazione è stato rinforzato il personale medico che permetterà l’apertura di un secondo padiglione dell’Istituto penitenziario. Ed è solo un esempio. Nei prossimi giorni presenteremo infatti a Rebibbia, insieme alla presidente Polverini, i risultati dell’iniziativa di prevenzione “Salute nelle carceri”, Montino la smetta perciò di fare propaganda sulla pelle di chi non può neanche rispondergli come meriterebbe”. Foschi (Pd): diritto alla salute viene prima di tutto “Mi sembra che Montino abbia parlato di iniziative ammirevoli, se non fosse che appaiono fuori luogo in posti in cui la Giunta Polverini non riesce neppure a garantire il minimo di assistenza dovuta. Gli spettacoli vanno bene, ma anche in una famiglia non si portano i figli al cinema se prima non si garantisce loro il farmaco per l’influenza e le cure dal dentista. I detenuti del Lazio non vedono garantito il loro costituzionale diritto alla salute. Questa è la verita”. Non lo dice solo il capogruppo del Pd, lo sanno i detenuti e anche le strutture penitenziarie. Lo sa molto bene il garante dei detenuti e lo scrive nel suo rapporto. Infine lo sanno gli stessi direttori delle Asl nominati dal centrodestra che vivono sulla loro pelle i problemi di chi non ha mezzi e personale per intervenire e risolvere la situazione. I solerti esponenti del centrodestra nella foga di una difesa a oltranza della Polverini, nascondono l’evidenza di un diritto calpestato quotidianamente. Informo anche gli esponenti del centrodestra di evitare amenità: affermare che 1500 detenuti hanno seguito iniziative Regione può essere indice di successo, certamente, facilitato però, altrettanto certamente, dal sovraffollamento disumano delle celle. Infine ricordo a tutti che a Rebibbia le attività teatrali sono una costante che va avanti da 9 anni. Da molto tempo prima, dunque, dell’arrivo della compagnia Polverini; e che il successo del film dei Taviani oltre che dei grandi registi è frutto di questa lunga storia e dei detenuti”. Lo afferma in una nota il consigliere regionale del Lazio del Pd, Enzo Foschi. Nieri (Sel): situazione sanità penitenziaria critica “Lo sciopero della fame del detenuto recluso nel carcere di Frosinone, che ha l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla drammatica assenza di farmaci per le cure odontoiatriche, solleva una questione già nota a chi si occupa di carcere e non più accettabile, ossia le inadempienze del sistema sanitario regionale per ciò che riguarda la sanità penitenziaria. Un problema che abbiamo avuto modo di sollevare anche a seguito di una nostra recente visita al carcere di Regina Coeli, a Roma”. Lo dice in una nota Luigi Nieri, capogruppo di Sinistra, ecologia e libertà nel Consiglio regionale del Lazio, che aggiunge: “In quell’occasione denunciammo le gravi condizioni igienico-sanitarie in cui versavano i detenuti, nonché l’inadeguatezza del centro clinico di quell’istituto. Ma si tratta, purtroppo, di una condizione diffusa, come ha anche denunciato il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e come ci ricorda lo sciopero in corso del detenuto”. Nieri ricorda poi che “nel corso di quella visita sollecitammo un intervento da parte della presidente Polverini proprio sul tema della sanità penitenziaria. Un appello ancora oggi ampiamente disatteso. Non possiamo, dunque, non rilevare la grave insufficienza delle azioni della Regione in materia di sanità penitenziaria. Si tratta di un’emergenza che richiede interventi concreti e alla quale la presidente della Regione Lazio dovrebbe dedicare le necessarie attenzioni”. Sicilia: Garante dei diritti dei detenuti; carceri sovraffollate e organico ridotto Ansa, 27 marzo 2012 Carceri sovraffollate e carenza di organico. Lo denuncia il senatore Salvo Fleres, Garante per i diritti dei detenuti, nella relazione annuale sulla sua attività inviata al presidente dell’Ars, Francesco Cascio, e al presidente della regione, Raffaele Lombardo, presentata nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chiaramonte, ad Enna. Al 31 dicembre dello scorso anno erano 7.714 i detenuti nelle 33 carceri siciliane, a fronte di una capienza di 5.084, di cui 7.508 uomini e 206 donne, mentre 1.725 gli extracomunitari e 1.644 le persone in attesa di primo giudizio. Otto i suicidi e 91 i tentati suicidi, 493 gli atti di autolesionismo in carcere, 33 gli atti di aggressione alla polizia penitenziaria, 44 gli agenti feriti mentre 763 gli scioperi della fame e 800 il personale in meno rispetto all’organico previsto. “La soluzione non può esse solo quella della costruzione di altre carceri, per alcuni reati vanno previste pene alternative” ha detto Fleres, che ha annunciato, assieme al sindaco di Enna Paolo Garofalo, che parteciperà alla manifestazione promossa dai Radicali a Roma, a Pasqua, a favore dell’amnistia. Un provvedimento che trova l’appoggio anche del parlamentare Ugo Maria Grimaldi di Forza del Sud. Intanto, mentre va avanti il ricorso dei 500 detenuti di Piazza Lanza a Catania, che hanno avviato una class action per i danni subiti a causa del sovraffollamento, nuove carceri saranno costruite a Catania Mistretta, Sciacca e Marsala. Orari lavoro falsati: indagine su Ufficio Garante detenuti Il sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, Daniela Varone, ha disposto una perquisizione nell’ufficio del garante dei diritti dei detenuti in Sicilia per acquisire documentazione nell’ambito di un’indagine per l’ipotesi di truffa. Gli atti serviranno a verificare se, come emerso da primi accertamenti eseguiti dalla Guardia di finanza il 30 novembre dell’anno scorso, gli orari di lavoro del persone dell’ufficio siano stati “falsati”. In sostanza alcuni dipendenti “apporrebbero la firma in entrata e in uscita indicando orari non veritieri”. Il garante, Salvo Fleres, senatore di Grande Sud, ricorda in un comunicato che nello scorso febbraio aveva segnalato “più volte, ma invano, segnalato anomalie nella citata gestione dell’ufficio”, in una nota al dipartimento regionale Funzione pubblica e al presidente della Regione, “per i provvedimenti di loro competenza”. Fleres aveva anche sottolineato che “l’Ufficio, come ho più volte chiesto al presidente della Regione, non ha bisogno di un dirigente super pagato come il dott. Buscemi, le cui funzioni, in atto, mirano esclusivamente a inficiare la funzionalità dell’ufficio e non a tutelare i diritti dei detenuti. Infatti, malgrado il suo stipendio e le indennità aggiuntive varie, non si reca, da tempo, presso le strutture penitenziarie, né consente ad altri di farlo”. Calabria: Sappe; carceri sovraffollate, il Governo si attivi per il rimpatrio dei detenuti stranieri Il Velino, 27 marzo 2012 “La Calabria è la Regione d’Italia nella quale sono detenute complessivamente oltre 3mila persone nei 12 penitenziari regionali che hanno complessivamente una capienza regolamentare di poco superiore ai 1.800 posti letto. La mia presenza qui vuole essere testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi quotidiani delle colleghe e dei colleghi in servizio in Calabria”. A dichiararlo è Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria -, che da oggi è in Calabria in visita agli agenti di Polizia penitenziaria in servizio nelle carceri di Catanzaro, Paola, Castrovillari e Rossano con il Segretario Generale Aggiunto Sappe Giovanni Battista Durante ed il Segretario Nazionale Damiano Bellucci. In programma anche l’incontro dei quadri sindacali Sappe di tutta la Regione. “Fino ad oggi la drammatica situazione determinata dal sovraffollamento è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria”, prosegue. “Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Calabria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Le misure recentemente approvate dal Governo per contrastare il sovraffollamento penitenziario potrebbero cambiare in meglio la situazione complessiva. Oggi 1.545 degli oltre 3mila detenuti presenti in Calabria sono in attesa di un giudizio definitivo: e l’effetto più concreto che si otterrà con la legge fortemente voluta dalla Ministro Guardasigilli Severino è quello di ridurre la tensione detentiva determinata dal numero di persone che transitano per le strutture carcerarie per periodi brevissimi, Evitare cioè il meccanismo delle “porte girevoli”, cioè gli ingressi e le uscite dal carcere per soli pochi giorni: si stima, infatti, che ogni anno oltre 20 mila persone entrano ed escono dagli istituti penitenziari nell’arco di tre giorni. Iniziative, dunque, importanti, ma che da sole non posso bastare a risolvere l’emergenza carceri”. Il SAPPE ritiene che il Governo debba attivarsi per l’espulsione dei detenuti stranieri. “Oggi nelle carceri italiane abbiamo una percentuale di detenuti stranieri del 36%: parliamo di più di 24mila ristretti. Questo accentua - per le difficoltà di comunicazione e per una serie di atteggiamenti troppo spesso aggressivi - le criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. Ecco, queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi.” Il Sappe ritiene che il Governo debba dunque “avviare rapidamente le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinché scontino la pena nei Paesi d’origine, modificando anche l’attuale legislazione che prevede il paradosso del consenso delle persone interessate”. Verona: otto detenuti faranno guardiania a monumenti, grazie a Progetto Exodus Ansa, 27 marzo 2012 Otto tra ex detenuti e carcerati a fine pena faranno servizio di guardiania all’Arena di Verona e alla Casa di Giulietta. È il risultato del progetto Exodus che da un anno, in Veneto, è stato lanciato nelle province di Verona, Vicenza e Belluno - sponsor Cariverona - che vede coinvolta la Caritas e le associazioni di volontariato che si occupano dei detenuti. In un anno alcuni ex detenuti e detenute sono state reinseriti - ad esempio chi come muratore ed una come pasticcera - nonostante la crisi, ma quello di Verona è il primo caso in cui è un amministrazione comunale a dare loro un posto di lavoro. Nello specifico il risultato è stato ottenuto grazie all’interessamento di una dirigente del comune scaligero, Margherita Forestan, che è il Garante per le carceri. Ha trovato i posti per un contratto a termine di sei mesi in cui le otto persone controlleranno che i monumenti non vengano imbrattati o danneggiati da turisti poco rispettosi del luogo, come riferisce il Corriere di Verona. Il progetto Exodus, che ha il placet del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, si basa su quattro punti. Il primo - spiega all’Ansa Maurizio Ruzzenenti, dell’associazione Progetto Carcere 663 - di formare i detenuti ad un lavoro in modo tale da poter sperare di trovare occupazione una volta in libertà; il secondo assecondarli nella ricerca di un’occupazione; il terzo nell’assistenza psicologica al carcerato e alle loro famiglie per il post detenzione; ed in fine la ricerca di un alloggio. “Il tallone d’Achille di Exodus - rileva Ruzzenenti - è purtroppo, a causa della crisi, il lavoro ma siamo riusciti a collocare alcuni ex detenuti e per fortuna una soluzione, come quella di Verona, è venuta dall’amministrazione comunale”. Firenze: l’Ucpi visita carcere Sollicciano; i detenuti sono oltre il doppio della capienza consentita Adnkronos, 27 marzo 2012 Una delegazione dell’Unione delle Camere Penali, composta dagli avvocati Manuela Deorsola ed Ezio Menzione, componenti della Giunta, Michele Passione, componente dell’Osservatorio Carcere e del Direttivo della Camera Penale di Firenze, Chiara Lombardo (direttivo camera penale di Firenze) e Luca Maggiora (Responsabile carcere CP Firenze) ha visitato questa mattina la casa circondariale di Sollicciano (Firenze), proseguendo così il “viaggio” nelle carceri italiane cominciato da Torino, proseguito a Roma , Trieste e Bologna e che proseguirà nelle prossime settimane a Regina Coeli (Roma) e San Vittore (Milano) e Marassi di Genova. “I numeri - spiega l’Ucpi in una nota - fotografano una situazione problematica: più di mille infatti sono i detenuti a fronte di una capienza tollerabile di 457; il personale di polizia penitenziaria sotto organico (480 unità a fronte dei 685 regolamentari); solo 8 educatori. Troppi detenuti in attesa di giudizio, una somma irrisoria di fondi per la manutenzione dell’istituto (circa 20 mila euro l’anno), e mille altri problemi che hanno trovato purtroppo reale conferma. Non può bastare lo sforzo del personale dell’istituto per far fronte a queste carenze. Strutturalmente il carcere di Sollicciano è di notevoli dimensioni , ma non per questo risulta adeguato: le celle che potrebbero contenere solo un detenuto, sono utilizzate da tre persone, quelle da due sono utilizzate da sei e in ogni sezione occupata da 63 detenuti, esistono bagni con 4 docce”. Catania: conferenza della Fidapa; la difficile vita delle poche donne detenute a piazza Lanza La Sicilia, 27 marzo 2012 Organizzata dalla Fidapa di Paternò, si è svolta una conferenza sul tema detenzione e reinserimento sociale: aspetti etici giuridici e sociali, con gli interventi della direttrice di piazza Lanza, Elisabetta Zito, del garante dei diritti dei detenuti siciliani Salvo Fleres, il deputato nazionale Salvo Torrisi, componente della commissione giustizia della Camera e l’avvocato Vito Pirrone, presidente della sezione Anf di Catania. La conferenza è stata introdotta dalla presidente Fidapa Barbara Nicolosi, la quale ha illustrato un progetto che la sezione Fidapa di Paternò intende portare avanti all’interno della Casa Circondariale di piazza Lanza. La direttrice Elisabetta Zito ha poi parlato delle donne detenute nell’istituto di pena di piazza Lanza, raccontando la loro vita. L’esiguo numero delle donne detenute se da un canto è un vantaggio perché, almeno loro, non subiscono il sovraffollamento all’interno delle celle, dall’altro è un limite, perché non tutte le strutture offrono la possibilità alle donna di tenere con sé i figli (ovviamente fino a tre anni); e più in generale i limiti derivano anche dal fatto che le strutture sono in prevalenza occupate da uomini e quindi, in un certo senso, sono organizzate a misura d’”uomo”. Peraltro la rigida separazione tra uomini e donne che viene mantenuta all’interno del carcere impedisce alle donne (in minoranza) di accedere agli spazi e alle attività per i detenuti. Il senatore Fleres, intervenuto nelle sue vesti di garante, ha offerto spunti di riflessione sulle nostre responsabilità e sul nostro impegno per il reinserimento: “Il dopo (carcere) può essere una opportunità o un rischio”. L’avvocato Pirrone, componente della commissione dei diritti umani del Senato della Repubblica, ha sottolineato come il carcere nella nostra Costituzione dovrebbe essere una esperienza provvisoria, che preluda al rientro nella società. In realtà abbiamo una legislazione che favorisce sempre più i percorsi che dal sociale portano al penale: “Si ritiene il carcere come un’entità fuori dalla società, ma la verità è che il carcere è parte della nostra società”. Sempre secondo Pirrone, la pena carceraria dovrebbe essere considerata per il reo come un momento di opportunità. C’è una forte domanda di sicurezza , e la risposta deve nascere già dal carcere. Ci deve essere un ponte tra società e carcere. I suicidi in carcere sono la metafora di una giustizia che non funziona. Brescia: Canton Mombello è il carcere più affollato della Regione Qui Brescia, 27 marzo 2012 Un record negativo, ma non inatteso. In una nota che ha per destinatari i gruppi parlamentari di Camera e Senato, l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) denuncia un sovraffollamento ormai al limite nelle carceri italiane e a Canton Mombello spetta il primo posto in Italia con una presenza detentiva di oltre il 169% superiore alla capienza (555 detenuti per 206 posti equivalenti a 5,2 detenuti ogni due posti). Seguono Busto Arsizio (+150%), Vicenza (+138%), Milano S. Vittore e Reggio Calabria (+136%), Como (+133%), Taranto (+130%), Bologna (+122%), Ancona e Treviso (+119%), Pesaro (115%), Pisa (+114%), Firenze Sollicciano (+105%), Locri (+103%), Catania Bicocca e Lecce (+101%). Settantasei carceri sui 210 complessivi sono ormai “oltre ogni limite” e in 16 istituti di pena i detenuti sono ormai “più del doppio dei posti disponibili, mentre in altri 60, ogni due posti letto, se ne deve aggiungere almeno un terzo spesso costituito da un materasso per terra”. E se un tempo il sovraffollamento penitenziario era prerogativa delle carceri del Nord, per una maggiore presenza di detenuti extracomunitari, ora - segnala il sindacato - si è progressivamente esteso alle regioni del Centro e del Sud come la Puglia, che con l’84% di detenuti eccedenti i posti disponibili è quella che soffre di più per le carceri che scoppiano, seguita dalla Calabria (+60%), dalle Marche (+47%), dal Lazio (+40%), dalla Campania (+38%) e dalla Sicilia (+33%). Un fenomeno che in molti casi è “segno di una maggiore presenza detentiva legata alle associazioni criminali e, quindi, di crescenti rischi per il personale di polizia penitenziaria che vi opera in scarsità di organici, di mezzi e di risorse”. Eppure nessuno fa nulla: “Nonostante gli allarmi, i gravi episodi quotidiani e i costanti appelli che lanciamo da tempo non giungono segnali significativi dalla Guardasigilli Severino”, lamenta il segretario Leo Beneduci, “probabilmente e come i precedenti Ministri della Giustizia, maggiormente indaffarata nei confronti di 10mila magistrati che assillata dalle sorti di 110mila donne e uomini che nel carcere vivono, operano e purtroppo, a volte, muoiono”. Cagliari: Sdr; a Buoncammino incontro Operatori - Asl su sanità penitenziaria Dire, 27 marzo 2012 Prima concreta importante iniziativa del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Sardegna che intende fare chiarezza sulle prospettive della sanità penitenziaria essendo trascorsi ormai 8 mesi dalla firma del decreto da parte del Presidente della Repubblica delle norme di attuazione. Il prossimo 11 aprile è infatti in programma nella Casa Circondariale di Buoncammino un primo incontro con le diverse figure professionali interessate e i vertici dell’Asl n. 8, dell’Azienda Mista e di quella Ospedaliera “Brotzu” di Cagliari. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” sottolineando “l’assurdo ritardo della Regione su un tema particolarmente sensibile per i cittadini privati della libertà e i loro familiari”. “La questione - evidenzia Caligaris - deve essere risolta al più presto altrimenti la Regione faccia un atto di umiltà e chieda il Commissariamento. I Medici, gli Infermieri e i Tecnici devono vedere rispettati i loro diritti ma è anche vero che la Costituzione parla chiaro sul principio inderogabile del rispetto della salute anche per le persone ristrette. I tempi della riorganizzazione del servizio nella nostra isola stanno superando qualsiasi ipotesi negativa con la conseguenza che l’incertezza in cui si trova il sistema pesa gravemente sul clima di fiducia che deve caratterizzare i rapporti all’interno degli Istituti di Pena”. “La situazione risulta particolarmente delicata a Buoncammino, dove si trova un Centro Diagnostico Terapeutico a cui afferiscono detenuti di tutte le altre regioni italiane. Al sovraffollamento, con in media 40 detenuti ricoverati contro i 30 regolamentari, si aggiunge - afferma la presidente di Sdr - il disagio per le ristrettezze anche finanziarie garantite alla struttura. Il Ministero della Giustizia peraltro ha già prorogato il finanziamento mentre esiste un fondo nel bilancio della Regione Sardegna con destinazione vincolata per la Medicina Penitenziaria”. “Nonostante le diverse sollecitazioni da parte, oltre che di Sdr, anche dei Medici Penitenziari, finora la Regione si è limitata ad abbozzare delle linee-guida che tuttavia sono meramente indicative. Manca invece una chiara visione del problema che non può essere risolto né con le Guardie Mediche né affidando la Sanità Penitenziaria ai giovani laureati in Medicina. Non è però neppure pensabile che si attenda l’organizzazione di uno corso di studi specialistico nell’ambito della Facoltà universitaria. Occorre invece intervenire in tempi brevi per individuare una specifica Direzione e per fare in modo - conclude Caligaris - che siano garantiti i livelli essenziali di assistenza tenendo conto che le persone private della libertà non hanno perso il diritto alla salute”. Sempre per iniziativa del Provveditorato, che ha individuato nei responsabili dell’area della sicurezza i tutor, è previsto un incontro, il 13 aprile prossimo, nel carcere di Iglesias con gli attori del territorio del Sulcis-Iglesiente. Verona: nuovo accesso per i familiari in visita, il carcere diventa più umano di Giorgia Cozzolino L’Arena, 27 marzo 2012 Basta code umilianti sotto il sole o la pioggia, spazi anche per i bimbi Il plauso del vescovo Zenti: “Così l’impatto sarà meno traumatico”. Di tutti i cancelli di cui può essere costituito un carcere, a un detenuto interessa solo quello d’uscita, ma da ieri, anche quello d’ingresso ha un lato positivo persino per chi sta scontando una pena. La casa circondariale di Montorio ha infatti inaugurato il nuovo accesso all’istituto penitenziario, un’entrata dedicata ai familiari dei detenuti in visita che non è più rappresentata da una lunga e tetra coda all’aperto, sotto il solleone o la pioggia e il freddo, ma che è una struttura adeguata anche ai bambini dove. Una confortevole sala d’attesa fornita di giochi e colori per i bambini e animata da educatori e clown che cercheranno, come spiega Margherita Forestan, garante dei diritti dei detenuti, “di rendere l’arrivo al carcere meno traumatico una sorta di “mamma vengo anch’io”, un modo per umanizzare questo luogo di detenzione”. “Non è facile coltivare le relazioni parentali o crearle tra detenuti e figli”, sottolinea la direttrice dell’istituto penitenziario Mariagrazia Bregoli, “creare un ambiente confortevole facilita l’avvicinamento ed è un modo per andare incontro ai familiari che sono spesso le vittime oscure dei crimini commessi dai detenuti”. Ad inaugurare il nuovo ingresso a misura di bambino ci pensa il vescovo monsignor Giuseppe Zenti che dopo la benedizione dice: “Questoè un luogo significativo, un locale che rende meno traumatico per i bambini il contatto con il carcere”. L’intervento, realizzato nell’ex palazzina del Sert e costato 60mila euro, è stato possibile grazie al contributo della Fondazione Biondani Ravetta. “Abbiamo dato il nostro contributo a una iniziativa voluta dal garante dei detenuti Margherita Forestan”, spiegano Vincenzo Quaratino e Bianca Biondani Ravetta, rispettivamente vice e presidente della fondazione, “siamo convinti così di manifestare sentimenti di fraternità anche verso chi ha sbagliato”. Presenti all’inaugurazione anche i consiglieri della commissione Servizi sociali presieduta da Antonia Pavesi che ha anche visitato la struttura penitenziaria e ha avuto un momento di dialogo con alcuni detenuti. La garante Forestan ha infatti accompagnato in un “tour” all’interno del carcere, nella sezione maschile, illustrando le aree comuni e facendo vedere anche tutte le iniziative di lavoro che vengono promosse dall’azienda Lavoro e futuro di Giuseppe Ongaro e Edgardo Somma che impiega circa 70 carcerati in lavori di manifattura e confezionamento. La visita ha permesso anche di scoprire le bontà cucinate dai carcerati che, grazie all’associazione La Libellula, stanno facendo un corso per panificatori. I detenuti che hanno avuto modo di esprimere i propri pensieri ai consiglieri, nel pochissimo tempo loro concesso e interrotti dalla direzione, hanno sottolineato una serie di problemi dovuti al sovraffollamento e chiesto soprattutto spazi per poter sfogare “i carichi di tensione dovuti alla convivenza”. A causa del numero eccessivo di detenuti, più del doppio per cui è stato progettato il carcere, e per via della scarsità di agenti penitenziari, ai carcerati è concesso, per esempio, andare in palestra solo una volta al mese.” Lecce: domani conclusione del laboratorio teatrale “Io ci provo” rivolto ai detenuti Lecce Prima, 27 marzo 2012 Arriva a conclusione mercoledì 28 marzo alle ore 16.00 il progetto “Io ci provo” laboratorio percorso teatrale rivolto ai detenuti della sezione maschile della “Casa circondariale Borgo S. Nicola” di Lecce iniziato a novembre con la messa in scena di “Io non sopporto niente e nessuno, nemmeno Spoon River” con Michel B, Amedeo D, Gerardo D, Michele F, Etilvio G, Rodolfo G, Samuel M, Giuseppe M, Alessio P, Raffaele P, Giovanni P, Pasquale S, Mino T, Fabio T, con la regia di Paola Leone , coadiuvata dagli assistenti Antonio Miccoli e Fabio Tinella, realizzato da Factory Compagnia Transadriatica. Il pubblico che mercoledì varcherà la soglia del carcere per assistere alla rappresentazione messa in scena dai detenuti-attori porterà con sé un libro che fungerà da biglietto d’ingresso e rimarrà come traccia del proprio passaggio e della propria partecipazione al progetto all’interno della biblioteca del carcere. In scena a dare voce ai morti di Edgar Lee Master, 13 detenuti attori e un attore professionista. Un prologo ci presenta e ci rappresenta, poi una collina Spoon River, dove un rito si ripete ogni giorno, ogni notte, un rito al quale non riusciamo, non sappiamo e non vogliamo sottrarci; un rito che consumiamo sempre come fosse la prima volta. Cambia l’intensità ma non quello che vogliamo dire… pur sapendo che non succederà nulla, che nulla cambierà, che Spoon River rimarrà Spoon River. Gli abitanti della collina lo sanno bene, riconoscono la voce interiore di ognuno di loro, basta uno sguardo per sapere che sta per accadere quello che accade ogni notte: il raccontar-ci l’esser-ci ogni notte così come ci si presenta davanti, così come ci arriva nella nostra verità. Il progetto guarda alla valorizzazione del rapporto che esiste tra individuo e gruppo, al recupero della relazione, al superamento di quella polarità che sempre di più emerge in tempi moderni tra individuo e collettività; alla promozione del teatro come forma artistica-culturale che assume un importante valenza educativa, formativa e sociale. Il teatro che facciamo è un teatro che punta all’espressione, alla formazione e all’interazione, all’inclusione tra individui, persone, gruppi e luoghi. Ma soprattutto è un’opportunità reale spesso negata anche fuori dal carcere, penso alle periferie buie e isolate dove molti giovani crescono e dove non vi sono luoghi che favoriscono la scoperta delle arti e di se stessi. “Io ci provo” è l’opportunità di nutrirsi di cultura, quella cultura che forse non si è mai incontrata prima della permanenza nell’istituto penitenziario, quella cultura che nutre l’anima e quando l’anima è nutrita, diventa più facile guardarsi “dentro” e si riesce meglio anche a vedere il “fuori” da più punti di vista. Sono convinta che il dentro di ognuno di noi cambia attraverso l’opportunità che il fuori ci mette a disposizione e il fuori può trasformarsi attraverso il cambiamento interiore di ogni individuo che incide sulla comunità con il suo agire, con il suo essere. Per questo il progetto “Io ci Provo” nasce dall’esigenza di intervenire in quei luoghi e con quelle persone che non hanno mai avuto l’opportunità di scoprire il fuori che ti cambia dentro, “Io ci provo” prova a creare quella situazione favorevole alla trasformazione che non è facile da trovare in contesti degradati o semplicemente in contesti dove la vita è più dura di quella che noi immaginiamo. Il teatro per Paola Leone “è lo strumento che crea questa condizione, necessaria alla trasformazione individuale e collettiva. Tutto questo lavoro è stato fatto in sole 60 ore che non sono molte ma per noi è un inizio, l’inizio di un viaggio che speriamo possa proseguire il prossimo anno”. Cremona: slittano i tempi per il raddoppio del carcere, mancano allestimenti Agi, 27 marzo 2012 I lavori edili sono terminati. La struttura, nelle parti murarie, è ultimata. L’impresa ha fatto ciò che doveva. Quel che manca, adesso, sono tutti gli allestimenti. Nell’attesa che si parta per il rush finale, però, il cantiere è deserto. Vuoto come uno stadio vuoto. Va avanti così da due mesi. Si allungano i tempi per la consegna dei nuovi padiglioni della casa circondariale di via Cà del Ferro. A questo punto l’ipotesi di inaugurarli entro l’estate si allontana, probabilmente in maniera definitiva. C’è da augurarsi che si tratti di tempi burocratici fisiologici perché di tutto abbiamo bisogno tranne che di cattedrali nel deserto, soprattutto a fronte della situazione esplosiva in cui si trovano le carceri italiane (con Cremona a rappresentare una delle eccezioni più vistose: niente cameroni, terza branda in cella come soluzione temporanea, casi di autolesionismo ridotti al minimo rispetto a decine di strutture analoghe, contatti continui con la società civile). Droghe: Cnca; a Roma, sospensione bandi e chiusura dell’Agenzia delle tossicodipendenze Redattore Sociale, 27 marzo 2012 Le richieste al termine della presentazione del dossier sui finanziamenti del comune di Roma sulle tossicodipendenze. Chiesta anche la nascita di un tavolo per ripensare le politiche sociali nella capitale. “Sospensione immediata dell’affidamento dei bandi, chiusura dell’Agenzia comunale per le tossicodipendenze di Roma e la nascita di un tavolo per ripensare le politiche sociali nella capitale”. È quanto chiede Carlo De Angelis, portavoce del Roma Social Pride al termine della conferenza stampa di presentazione del dossier “La cricca di Alemanno (e Rampelli)” sui finanziamenti del comune di Roma sulle tossicodipendenze tenutasi questa mattina a Palazzo Madama a Roma. Il documento è un’aspra critica alla gestione dell’attuale amministrazione dei fondi per i servizi sul territorio, che per De Angelis mostra dei chiari segnali al mondo del terzo settore: “È un po’ ingombrante e va buttato fuori - ha spiegato -. La gestione ultima dei bandi risponde a questo: sono costruiti esattamente per far fuori il terzo settore”. E lo dimostra, ha aggiunto De Angelis, quel che sta accedendo anche in altri ambiti del sociale. “Se ci giriamo un attimo - ha affermato - troviamo le stesse politiche sui rom, sugli anziani o sui disabili”. Sulla richiesta della chiusura dell’agenzia per le tossicodipendenze della capitale, invece, De Angelis non lascia alternative: “L’agenzia è una struttura che non serve, succhia soldi e non dà risorse. È anche fuori dal controllo democratico e non c’è nessuno che sia in grado di richiamare il direttore alla gestione trasparente dell’attività”. Nonostante nella giornata di ieri sia predisposto l’affidamento definitivo dei servizi dei bandi incriminati, la partita non è ancora chiusa. La proroga negli affidamenti è fissata al 30 aprile e fino ad allora il Cnca ha annunciato battaglia. Da domani, infatti, sarà possibile accedere agli atti e il Cnca non esclude che si possa arrivare a presentare un ricorso al Tar del Lazio. Non si fermerà, ha promesso Carlo De Angelis, neanche il lavoro di studio sull’utilizzo dei fondi nel sociale da parte dell’amministrazione e non è esclusa la pubblicazione di altri dossier. Degli effetti che produrranno sul territorio romani i bandi, ne ha parlato anche la Fondazione Villa Maraini. “Non c’è un briciolo di senso nello smantellamento dei servizi che questa Agenzia comunale ha svolto in questi anni - ha affermato Vincenzo Palmieri, della Fondazione Villa Maraini -. Dai sei centri diurni adesso ce n’è soltanto uno, il nostro, con trenta persone da dover assistere e con la metà dei soldi in proporzione rispetto al passato. Così anche per i centri notturni. Da tre che ce n’erano, adesso ce n’è soltanto uno: il nostro. Dovremo accogliere le persone come se fosse un dormitorio”. Per Francesco Ferrante, senatore del Pd, quel che sta accadendo a Roma sul fronte delle tossicodipendenze è “particolarmente grave”. Per Ferrante “si tratta di una scelta ideologica di penalizzare tutti coloro che in questi anni hanno offerto un servizio di dignità ai tossicodipendenti. Scelta che mette in pericolo la vita delle persone e le esperienze di buone pratiche che queste cooperative hanno assicurato in questi anni”. E per don Armando Zappolini, presidente nazionale del Cnca intervenuto in chiusura della conferenza stampa, “quello che non serve alle dipendenze è proprio la questione ideologica”. “Abbiamo esperienza di quanto questa questione ideologica produca morti e feriti - ha spiegato Zappolini. Abbiamo le carceri riempite di tossicodipendenti e gente che rischia, come succederà qui a Roma se non si blocca questa operazione, di girovagare per strada senza nessuna risposta ai suoi bisogni”. Per tali ragioni, ha aggiunto Zappolini, quello di Roma “è un caso nazionale”. “Se questa operazione non viene bloccata, non saranno sconfitte le cooperative, le fondazioni o il Cnca. È tutta la città di Roma che è derubata di competenze e risorse preziose”. Per Zappolini, ora occorre che sia il mondo politico ad affrontare la questione. “Davanti all’aggressione ai diritti bisogna svegliare la politica e attivare una resistenza forte. Si deve mettere in moto tutto quello che serve per cambiare lo scenario politico. Non occorre avere altre prove per capire i danni che quest’approccio di Alemanno sta facendo alla città di Roma e non solo in questo ambito. Per questo dobbiamo avere l’obiettivo di mandarlo a casa”. Ferrante (Pd): Alemanno vuole punire tossicodipendenti “Dal dossier diffuso oggi dal Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza sul bando 2012 del Comune emerge con chiarezza come, da parte della giunta Alemanno, sia in atto un tentativo ideologico di cancellare e punire i tossicodipendenti, secondo la stessa logica della legge Fini-Giovanardi che ha riempito le carceri di persone che fanno uso di droga. Tutti i servizi dedicati a chi ha questi problemi, costruiti a Roma in anni di lavoro da realtà dell’associazionismo con comprovata esperienza, sono in via di eliminazione per favorire gli amici e gli amici degli amici del sindaco Alemanno”. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante, che oggi ha partecipato alla conferenza stampa in Senato in cui il Cnca ha presentato il dossier sui finanziamenti al Comune di Roma nel settore delle tossicodipendenze. “Il Cnca del Lazio - prosegue Ferrante - ha denunciato un’epurazione ideologica da parte della giunta Alemanno, con l’esclusione di molti dei suoi progetti e delle Comunità di recupero dal bando di finanziamento per i servizi alle tossicodipendenze. Di fatto gran parte dei fondi finiranno in servizi di generica prevenzione che non tengono conto delle centinaia di persone tossicodipendenti di Roma. Io denuncio anche l’assoluta mancanza di trasparenza delle procedure concorsuali che fanno capo all’Agenzia comunale per le tossicodipendenze, alle quali i rappresentanti del Pd nel consiglio comunale non hanno avuto accesso. Sulla questione ho presentato, con i colleghi Roberto Della Seta e Vincenzo Vita, un’interrogazione parlamentare rivolta ai ministri Riccardi e Fornero”. Iran: condannato a morte ragazzo 19 anni, commise omicidio da minorenne Aki, 27 marzo 2012 È stato condannato a morte per impiccagione il diciannovenne iraniano Hamid Ahmadi. Lo riferisce il sito d’informazione degli attivisti iraniani per i diritti umani ‘Hrdaì, spiegando che le autorità giudiziarie avrebbero comunicato pochi giorni fa alla famiglia di Hamid che il Tribunale della città di Siahkal (situata sul Mar Caspio, ndr) ha emesso la sentenza di morte nei confronti del giovane, riconosciuto colpevole di aver commesso, insieme ad altri complici, un omicidio. Il reato è stato commesso 4 anni fa quando Hamid era appena quindicenne. Da quella data, infatti, il giovane si trova recluso nel carcere di Siahkal. Stando al sito, la sentenza di morte sarebbe stata emanata a seguito del raggiungimento da parte di Hamid della maggiore età. Le organizzazioni internazionali attive nell’ambito dei diritti umani hanno condannato diverse volte la Repubblica Islamica dell’Iran per aver impiccato persone che hanno commesso reati da minorenni, violando così la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia che vieta la condanna a morte per coloro i quali hanno commesso i reati sotto i 18 anni di età. Secondo la legge islamica, vigente attualmente in Iran, l’omicidio volontario è punito con la pena capitale. L’unico modo per evitare l’esecuzione è quello di ottenere il perdono da parte dei familiari ed eredi della vittima, che potrebbero chiedere in cambio il dya (il prezzo del sangue), ovvero una quantità di denaro che, seppur simbolicamente, ricompensi la vita perduta della vittima.