Detenzione e reinserimento, i nodi irrisolti Il Mattino di Padova, 26 marzo 2012 In ogni incontro con le scuole in carcere, c’è sempre uno studente che chiede: “ma com’è la giornata qui dentro?”, e paradossalmente le persone detenute, che magari hanno già risposto a domande difficili, che andavano a scavare nella loro vita, invece di tirare un sospiro di sollievo per una domanda così, facile facile, si ritrovano imbarazzate a non saper rispondere. È la domanda apparentemente più semplice, questa, in realtà la più complicata: perché c’è pochissimo da raccontare in una ordinaria giornata di carcere. Però un detenuto, Luigi Guida, ha provato a fare una cosa diversa: ha confrontato una giornata trascorsa in un carcere dove è possibile fare un percorso di reinserimento vero, con una giornata di carcere-parcheggio, da dove si può uscire solo peggiori di come si è entrati. Un’ordinaria giornata di carcere “poco rieducativo” Sono Luigi, ho trent’anni. Le mie esperienze con il carcere sono partite quando avevo sedici anni, già nel minorile, per ritrovarmi oggi ad aver fatto fuori e dentro dal carcere come se fosse diventata la cosa più normale di questo mondo, ma soprattutto senza aver mai riflettuto sulla gravità dei miei errori. E così ho collezionato un lungo fine pena, accumulando dal mio primo reato ad oggi oltre venti anni di carcere, per essere diventato una persona peggiore di come ero entrato. In molti istituti addirittura, nonostante avessi poco più di vent’anni, mi è stato detto da parte degli operatori che ormai ero una persona irrecuperabile, invece io penso che siano stati gli stessi anni passati in carcere a farmi diventare come loro mi hanno definito. Parecchi anni li ho trascorsi tra il carcere di Genova e Lanciano, chiuso per ventidue ore al giorno in cella, e queste erano le attività per il recupero del condannato: come cultura la TV, come sport giocare a carte, o fare qualche flessione chiuso in bagno, perché essendo in otto in cella era l’unico posto dove evitare il fumo delle sigarette, e come “corsi di formazione” c’era la possibilità di incontrare altri detenuti nell’ora d’aria: questo sì che è il trattamento previsto dalla nostra Costituzione per fare diventare una persona migliore di come è entrata in galera! Le giornate che ho trascorso in carcere negli ultimi anni erano tutte più o meno così: Ore 7:00 un agente viene ad aprire il blindo, ci si alza tutti e otto per fare la fila per andare in bagno. Ore 8:00 lo stesso agente, accompagnato da altri colleghi, viene a contarti e a fare la battitura delle sbarre alle finestre, da cui fuoriescono dei rumori assordanti. Subito dopo passa il carrello del caffè e del latte, un liquido bianco spesso allungato con l’acqua per far sì che ce ne sia un po’ in più nei bicchieri, e i detenuti non si lamentino per la quantità scarsa. Ore 9:00 arriva il primo appuntamento “formativo” della giornata, si scende a fare l’ora d’aria, tre sezioni con celle da otto, tutti ammucchiati in una vasca di cemento con alle estremità pezzi di ferri a punta per evitare che ci salti sopra. Lì si apprendono le novità del carcere, chi entra, chi esce, tra le discussioni più gettonate c’è quella di riuscire a trovare il modo di diventare più furbi per non entrare più in un posto cosi orribile, ma non perché si pensa di voler ritornare a vivere nella legalità, viceversa perché ci si illude che alla prossima saremo più furbi nel non farci beccare, aspettando e sognando quel colpo che sistemi per sempre la tua vita, senza accorgerti che questi tipi di ragionamenti ormai la vita te la stanno sottraendo. Ore 10:30 si ritorna in cella e si riprende il resto delle attività culturali, cioè guardare la TV. Tra i programmi più gettonati tra noi giovani c’è Uomini e donne, dove il confronto tra noi è di altissimo livello culturale, comprende lunghi apprezzamenti sull’aspetto fisico dei personaggi e si conclude ricordando qualche esperienza personale avuta con ragazze. Ore 11:30 ripassa il carrello del vitto, oggi come ieri e per tutto l’anno ci sarà un menù stabilito, che come primo offre pasta spesso scotta e poco condita, di secondo quando sei fortunato c’è la carne, che sarà comunque piena di grasso e di qualità scadente, a tal punto che quando la mangi sembra di masticare un chewingum, vorresti protestare, ma se lo fai ti ritrovi con un rapporto disciplinare e in isolamento, per accorgerti che al tuo rientro in sezione non è cambiato nulla se non il fatto che tu hai perso quarantacinque giorni di sconto di pena. Ore 13:00 un nuovo appuntamento formativo, si ritorna tutti all’aria, i temi che si affrontano sono sempre gli stessi, la conseguenza di questo tipo di socializzazione ti porterà minimo due volte alla settimana a partecipare a delle risse nei passeggi, dove quasi sempre le motivazioni che portano a gesti del genere sono futili, conseguenza di una rabbia accumulata all’interno delle persone che subiscono questo tipo di trattamento. Ore 14:30 si ritorna in cella e si inizia a dar vita a lunghissime partite a carte intorno a un tavolo, che verranno interrotte da una nuova conta fatta dall’agente. Ore 17:00 passa il carrello della cena, di solito come primo ci sono avanzi di verdura bollita chiamati minestra. Ore 19:30 l’ora più attesa dalla maggior parte della popolazione detenuta, l’ora degli psicofarmaci, lì sì che c’è l’imbarazzo della scelta, l’amministrazione non bada a spese, purché la persona dorma e non dia fastidio. Ore 20:00 una voce nel silenzio della sezione annuncia un’altra conta ed è la quarta dall’inizio della giornata. Ore 21:00 nelle celle si spengono le luci e si inizia a lottare con i propri pensieri per dormire, sarà forse a causa delle troppe attività culturali e rieducative che abbiamo svolto durante la giornata se non siamo abbastanza stanchi da fare un bel sonno profondo? Non è che per caso il fatto che tante persone che sono state in carcere ricommettono reati è quasi sempre la conseguenza di avere sperimentato solo questo tipo di trattamento penitenziario? Un’ordinaria giornata di carcere almeno un po’ rieducativo Ho descritto gli aspetti negativi delle esperienze che ho avuto in lunghi anni di carcerazione ed ho evidenziato come quel tipo di trattamento non faccia altro che rendere un detenuto peggiore di come è entrato, con la conseguenza che quasi sicuramente, dopo aver scontato la sua pena, ritornerà a vivere nell’illegalità, come è successo spesso a me in passato. Ora voglio provare a sottolineare la diversità che c’è tra quella realtà e quella che ho trovato nella Casa di reclusione di Padova, dove da un anno e mezzo, se pure con fatica, mi è stata data la possibilità di iniziare quel percorso di rieducazione che qualsiasi carcere dovrebbe predisporre nei confronti dei detenuti, ma che è sempre più difficile trovare. Ore 7:00 inizia l’apertura del blindo che ti fa capire che da li a poco ti apriranno anche il cancello per farti partecipare a qualche attività, che nel mio caso è quella con “Ristretti Orizzonti”. Ore 8:30 si scende giù in redazione, dove inizia la mia giornata formativa (altri detenuti vanno a lavorare o vanno a scuola, purtroppo per il sovraffollamento una buona metà degli 830 detenuti presenti non è impegnata in nulla). Fra le molte attività ci sono gli incontri con gli studenti, un progetto che permette ai ragazzi di conoscere la realtà del carcere e le persone che ci vivono all’interno, e permette a noi di raccontarci con mille difficoltà, ma proprio questo continuo confrontarsi raccontando le proprie esperienze negative ci permette di elaborarle e cambiare idea su molti aspetti della nostra vita passata. Ore 11:30 si ritorna in sezione, dove viene distribuito il pranzo, che anche qui non sembra della quantità prevista dalla tabella ministeriale, ma almeno la qualità pare migliore di quella degli altri istituti. Ore13:00 si scende in redazione, dove detenuti e volontari intorno a un tavolo confrontano le proprie idee, discutono di vari argomenti, leggono, studiano, imparano a scrivere articoli che verranno poi inseriti nella nostra rivista o pubblicati sul Mattino di Padova. Ore15:30 si ritorna in sezione, dove le celle sono aperte, io in attesa della cena vado a fare un po’ di attività fisica all’aria, che è prevista per chi va a scuola. Ore17:00 dopo la doccia si cena, ma quasi sempre sei obbligato a cucinare qualcosa sul fornelletto da campeggio, altrimenti il vitto dell’amministrazione non basta, la diversità dagli altri istituti è che qui noi abbiamo denunciato le cose che non funzionano per farle migliorare, e l’effetto non è stato quello di trovarti con un rapporto disciplinare o una denuncia e in isolamento per farti smettere di esprimere le tue idee, ma c’é stato un confronto con il direttore. Ore18:00 le celle sono aperte, quindi si ha la possibilità di passeggiare in sezione e fare due chiacchiere con altri detenuti, dove la differenza con altri istituti è che tra noi detenuti si parla molto meno dei reati che ci hanno portato in carcere, ma si pensa di più a quando ci verrà data la possibilità di cominciare un percorso di reinserimento. Ore 19:30 si ritorna tutti in cella, c’é la chiusura del blindo e io inizio a scrivere una lettera alle mie figlie, e poi vado a dormire. Sono a Padova da un anno e mezzo, il risultato di questo tipo di trattamento mi ha permesso, per la prima volta dopo quasi dieci anni di carcere, di presentare la richiesta della liberazione anticipata prevista come sconto di pena quando il detenuto adotta un buon comportamento, e soprattutto ho visto la volontà da parte degli operatori di iniziare un lavoro con me e nessuno mi ha detto che sono irrecuperabile nonostante la mia giovane età, quindi non so dire se in futuro riuscirò a cambiare radicalmente, e a “redimermi” del tutto, ma sono felice già dei risultati che ho ottenuto fino a questo momento, modificando alcuni aspetti della mia personalità sia nel modo di pensare che di agire. Sarebbe una grande vittoria da parte mia, se in questa detenzione riuscissi a diventare una persona migliore di quella che ero quando sono entrato, e non peggiore come è sempre accaduto in altre carcerazioni. Giustizia: Pannella; amnistia unica riforma possibile, si compirebbe cosa quasi miracolosa Adnkronos, 26 marzo 2012 “Avete il dovere di essere in disaccordo come me se ritenete che ci sia un eccesso in quel che dico. Ma io dico che a strage di legalità segue strage di persone, a strage di legalità segue strage di popoli”. Lo ha detto Marco Pannella, nel corso della consueta conversazione domenicale con Massimo Bordin, a Radio Radicale. “La giustizia vi sembra in buone condizioni? Si suicidano gli imprenditori, almeno 31 suicidi perché disperati dalla violenza dello Stato; si suicidano detenuti, carcerati dico io. Si suicidano agenti di polizia penitenziaria, che - come tutti gli appartenenti alla comunità reclusa - vivono in condizioni barbare, condizioni di cui il sindacato non si occupa quasi”, ha detto il leader Radicale. “Eppure quella per l’amnistia che proponiamo sembra una lotta senza speranza, se anche Angelino Alfano è costretto dai fatti ad affermare che lui è credibile non solo come erede ma anche come massima autorità responsabile del Pdl, e pare che l’unica cosa su cui di fatto si è impuntato è non permettere l’amnistia”, ha aggiunto Pannella. “Noi sappiamo - ha affermato Pannella - che con l’amnistia si compirebbe una cosa quasi miracolosa, il superamento di una trentennale o quarantennale flagranza di reato, contro lo Stato di diritto e contro i diritti costituzionali del nostro Stato. Sarebbe una grande riforma di struttura”. Pannella è tornato a rivolgersi alla informazione italiana, e al silenzio sulla marcia indetta per il giorno di Pasqua: “Un regime è tale non solo quando esercita violenza istituzionale per vietare ed imporre, ma anche quando, nel succedersi di generazioni, l’antidemocrazia diventa un riflesso, qualcosa che si acquisisce come normale”. La Seconda marcia per l’amnistia “il giorno della Resurrezione” potrebbe essere “resurrezione della speranza anche per noi, e vedremo se riusciremo”, ha concluso Pannella. Giustizia: Bonino; la marcia per l’amnistia è silenziata, non se ne occupa nessuno Agi, 26 marzo 2012 Solo che ovunque, che si parli di lavoro, economia o liberalizzazioni, si scopre che la giustizia è il vero motivo del blocco del nostro Paese”. Lo ha detto Emma Bonino, ricordando la “seconda marcia di Pasqua per l’amnistia, la giustizia, la libertà”, indetta dai Radicali per la domenica di Pasqua a Roma. “Che la si guardi dal punto di vista della reputazione internazionale, della malagiustizia, della crescita, questo cancro spunta imperioso. Una situazione che ha come conseguenza ultima la condizione delle carceri, che coinvolge tutti, dai detenuti alle guardie penitenziarie, pure molto meno tutelate di altre categorie di lavoratori nel nostro Paese”, ha aggiunto la Bonino. “Noi proponiamo come unica riforma strutturale l’amnistia per la legalità, non tanto per liberare le carceri ma le scrivanie dei giudici. 9 milioni di processi pendenti e 200 mila prescrizioni l’anno, amnistia strisciante, come dicono. Un groviglio in cui - diciamo noi - le piccole riforme non sono all’altezza del problema così come si presenta”. “Il nostro Paese è tecnicamente criminale, nel senso che viola le leggi che si è dato. Noi Radicali facciamo per anni battaglie che non interessano a nessuno, e poi improvvisamente esplodono. Credo che sarà anche questo il caso. Non ci resta che insistere, e le adesioni che stanno arrivando mi sembrano importanti. Ma i media, e il dibattito conseguente, continua ad essere completamente inesistente”, ha concluso la senatrice radicale. Giustizia: Gherardo Colombo; no all’amnistia, sì alla depenalizzazione dei reati minori Ansa, 26 marzo 2012 “L’amnistia incondizionata non è la strada giusta; perché è necessario fare in modo che le persone che hanno commesso dei reati recuperino il senso di responsabilità nei confronti delle altre persone. Attraverso l’amnistia, invece, il senso di responsabilità non viene recuperato”. Lo ha dichiarato il magistrato Gherardo Colombo a Radio Radicale interpellato sulla Seconda marcia per l’amnistia promossa dai Radicali. “Io - ha detto Colombo, che fece parte del pool di Mani Pulite - sarei per abolire addirittura il carcere però sostituendolo con dei percorsi che effettivamente possano andare verso il recupero delle persone alla società. Credo che la risposta alla devianza - ha aggiunto - debba essere il recupero della relazione e non l’esclusione dalla relazione. Il carcere è uno strumento inadeguato; la pena è assolutamente inadatta a recuperare le persone; anzi può essere momento di riconferma della decisione di andare verso la trasgressione”. “Credo che si dovrebbe trovare, rapidamente, un altro sistema - ha aggiunto - perché oggi il problema del carcere è un problema enorme nel senso che le persone non possono essere fatte vivere così, nelle condizioni di sovraffollamento che esistono oggi”. Piuttosto che puntare sull’amnistia, secondo Colombo serve di più “agire sulla depenalizzazione; se si ritiene che alcuni comportamenti non debbano avere come conseguenza il carcere, li si depenalizza e basta. Invece l’amnistia è qualche cosa che è prevista dalla Costituzione ma secondo me non è completamente in linea con l’educazione alla responsabilità ne con il riconoscimento della dignità delle persone. Un’elargizione da parte del potere invece che qualche cosa di istituzionalizzato”, ha concluso. Giustizia: il ministro Severino; le carcere devono essere luoghi di ritorno alla società Italpress, 26 marzo 2012 “Sto insistendo per recuperare quella somma che è assolutamente necessaria per cambiare la filosofia del rapporto tra detenuto e il carcere. Il carcere deve essere un luogo certamente di punizione ma anche di redenzione, di ritorno alla società. Noi dobbiamo fare qualunque sacrificio perché questo avvenga”. Così il Ministro della Giustizia, Paola Severino Di Benedetto, intervistata da Monica Maggioni nella puntata di Speciale Tg1 - l’inchiesta dedicata all’emergenza carceri, in onda questa sera. Sull’ipotesi di riaprire le carceri di Pianosa e dell’Asinara, chiuse nel 1998, ha dichiarato: “tra un pensierino e la decisione di riaprire queste carceri ci passa una bella distanza, ci passeranno delle verifiche. Io vorrei verificare la situazione dell’Asinara e di Pianosa, non perché necessariamente debbano essere riaperti ai 41bis, ma perché, per esempio, potrebbero essere dei luoghi per degli esperimenti che tengano conto anche dell’aspetto ambientale”. “Noi - ha aggiunto Severino - abbiamo già un esperimento isolano molto importante che è quello della Gorgona nella quale alcuni detenuti lavorano sul territorio per proteggere l’ambiente, per tutelarlo, per dare una mano in senso attivo alla protezione di ciò che li circonda. Ecco, se fosse possibile ripetere questo esperimento, perché chiudersi prima ancora di aver verificato?” Parlando del problema della carenza di organici della Polizia Penitenziaria, il Ministro della Giustizia ha infine annunciato che quest’anno sarà immesso nuovo personale: “Avremo - ha detto - 700 persone in più nell’organico. Il che non è poco in un momento nel quale c’è il blocco delle assunzioni. Siamo in controtendenza”. Giustizia: Ordinamento Penitenziario, arriva la Carta sui diritti e doveri dei detenuti di Anna Costagliola www.diritto.it, 26 marzo 2012 Sottoposto all’esame del Consiglio dei Ministri nella seduta dello scorso 23 marzo, è in dirittura di arrivo un D.p.r. recante Modifiche al D.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 in materia di Carta dei diritti e dei doveri del detenuto e dell’internato. Si prevede l’introduzione della Carta nell’ordinamento penitenziario in sostituzione della mera informazione sui diritti e doveri, disciplina e trattamento prevista dalla normativa vigente. L’art. 32, comma 2, Ord. Pen. prevede infatti che “i detenuti e gli internati all’atto del loro ingresso negli istituti e, quando sia necessario, successivamente, sono informati delle disposizioni generali e particolari attinenti ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al trattamento”. In attuazione di tale disposizione, gli artt. 23 e 69 del regolamento n. 230/2000 prevedono che al detenuto e all’internato venga consegnato un semplice estratto delle principali disposizioni previste nella normativa vigente. Per garantire l’effettivo esercizio dei propri diritti e una maggiore consapevolezza delle regole che conformano la vita nel contesto carcerario, l’informativa verrà sostituita da un documento più ampio, che dovrà contenere una chiara esplicazione del regime al quale il condannato e l’internato sono sottoposti, dei diritti che agli stessi spettano e dei doveri ai quali è necessario conformarsi all’interno della casa circondariale, nonché una descrizione delle strutture e dei servizi penitenziari ad essi riservati. Il documento dovrà fornire, pertanto, informazioni dettagliate di varia natura e contemplerà altresì le disposizioni relative alla concessione delle misure alternative alla detenzione. Un successivo decreto del ministro della giustizia stabilirà le modalità per portare a conoscenza la Carta dei diritti e dei doveri anche ai familiari di detenuti e internati. Il nuovo provvedimento, introducendo un’ulteriore modifica alle norme sull’ordinamento penitenziario, prevede inoltre che al momento del colloquio con il direttore della struttura carceraria, questi debba fornire un’adeguata informazione anche rispetto alle modalità di controllo elettronico ex art. 275bis c.p.p., ovvero alla possibilità di essere sottoposti a sorveglianza elettronica a distanza, laddove i detenuti possano beneficiare della detenzione domiciliare o degli arresti domiciliari. Tale preventiva informazione è diretta ad acquisire il consenso del detenuto a detta modalità di controllo, del quale verrà senza ritardo informata l’autorità giudiziaria competente per le proprie eventuali determinazioni in merito. Con questa previsione, il legislatore intende ridurre il rischio di emanare provvedimenti che potrebbero non ricevere applicazione per il diniego del loro destinatario. Infatti, l’art. 275bis c.p.p. prevede tutt’ora che il consenso in questione venga richiesto solo al momento in cui il provvedimento debba essere materialmente eseguito. Pertanto, ferma restando la possibilità per il detenuto di negare il consenso fino a tale momento, la modifica normativa vale ad anticipare la comunicazione della eventuale disponibilità dello stesso al momento del suo ingresso nell’istituto penitenziario, così da realizzare, ove ne sussistano le condizioni, un periodo di permanenza minima all’interno del carcere. Il testo del provvedimento (“Modifiche al D.p.r. 30 giugno 2000, n. 230. Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà” - Schema di D.p.r.) Art. 1 - (Modifiche al D.p.r. 30 giugno 2000, n. 230) 1. Al D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 23, il comma 5 è sostituito dal seguente: “5. Il direttore dell’istituto, o un operatore penitenziario da lui designato, svolge un colloquio con il soggetto, al fine di conoscere le notizie necessarie per le iscrizioni nel registro, previsto dall’articolo 7 del Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale di cui al decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334, e per iniziare la compilazione della cartella personale, nonché allo scopo di fornirgli le informazioni previste dal primo comma dell’articolo 32 della legge e di consegnargli la carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati prevista nel comma 2 dell’articolo 69 del presente regolamento. In particolare, vengono forniti chiarimenti sulla possibilità di ammissione alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefici penitenziari e viene contestualmente richiesto al detenuto il consenso all’eventuale utilizzo delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di cui all’art. 275 - bis del codice di procedura penale. Il verbale contenente la relativa dichiarazione del detenuto viene trasmesso senza ritardo all’autorità giudiziaria competente”; b) all’art. 69, il con1ma 2 è sostituito dal seguente: “2. All’atto dell’ingresso a ciascun detenuto o internato è consegnata la carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati, contenente l’indicazione dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati, delle strutture e dei servizi ad essi riservati. Il contenuto della carta è stabilito con decreto del Ministro della giustizia da emanarsi entro centottanta giorni decorrenti dall’entrata in vigore della presente disposizione. Il decreto regola, altresì, le modalità con le quali la carta dei diritti deve essere portata a conoscenza dei familiari del detenuto e dell’internato. La carta dei diritti è fornita nelle lingue più diffuse tra i detenuti e internati stranieri.”. Giustizia: Sappe; ripensare la detenzione minorile, dopo evasione detenuti Ipm Palermo Comunicato stampa, 26 marzo 2012 “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente. Ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente ed è sintomo di sincera preoccupazione se queste criticità si manifestano con sempre maggiore frequenza nella giustizia minorile. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente, ripensando completamente un settore delicato come questo (che ha in carico per lo più soggetti particolarmente vulnerabili, considerata la giovane età e talvolta la mancanza di concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi) partendo dall’assegnazione non più rinviabile di Funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria nei vari Reparti. Inquieta, in questo contesto, quanto avvenuto ieri nel carcere minorile Malaspina di Palermo, dove due detenuti sono evasi seppur per poche ore. Prezioso e fondamentale alla loro celere cattura è stato, al riguardo, l’operato dei poliziotti penitenziari del carcere minorile palermitano, che si sono subito messi alla caccia dei due evasi: in nove colleghi hanno rischiato la vita dopo due speronamenti nel centro Città di Bagheria con due auto del Corpo distrutte. Dopo averli avvistati per ben tre volte i due detenuti si sono dati alla fuga malgrado l’alt imposto dal nostro personale, che al termine di un lungo servizio di appostamenti e pedinamenti, ha catturato i fuggitivi. Ai nostri valorosi colleghi va tutta la solidarietà del Sappe. Ma, ribadisco, tutta la mia sincera preoccupazione se le tensioni che già da molto tempo si registrano nei penitenziari per adulti iniziano a verificarsi anche nelle strutture detentive per minori. La tensione è alta non solo nelle carceri per adulti ma anche in quelle per minori. E questo non è certo un segnale positivo”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. Capece sottolinea “che alla data del 5 marzo scorso erano 513 i minorenni detenuti negli Istituti di Pena per minori italiani, 32 dei quali a Palermo. Quella della detenzione minorile è una specificità della giustizia di cui si parla, a torto, sempre troppo poco. Eppure è sempre più frequente l’utilizzo dei minori coinvolti in attività criminose. Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, personale specializzato nel trattamento dei detenuti minorenni, fanno davvero un encomiabile lavoro con una utenza particolarmente difficile e con molte criticità. Ma bisogna intervenire concretamente. Partendo da una rifondazione complessiva del mondo della giustizia minorile, oggi peraltro senza un Capo Dipartimento e già questa è una grave anomalia. Ci si deve attivare perché anche nella Giustizia Minorile vengano assegnati stabilmente in servizio Commissari della Polizia Penitenziaria in grado di conciliare al meglio le esigenze di sicurezza a quella rieducative. E ci si deve attivare affinché gli ultra diciottenni, come uno degli evasi di Palermo, possano all’occorrenza essere trasferiti nelle strutture per adulti, perché è impensabile e problematico che minori di 14 - 15 - 16 anni abbiano contatto con detenuti alla soglia dei 21 anni: in questo modo vengono meno tutti quei principi del trattamento del minore ed i rischi per la sua incolumità personale sono altissimi. Ma è fondamentale e prioritario rifondare il Dipartimento della Giustizia Minorile”. Lettere: il carcere a Pianosa e l’esempio (sbagliato) di Gorgona, l’isola proibita di Legambiente Toscana Ristretti Orizzonti, 26 marzo 2012 Dopo aver prospettato la riapertura del carcere speciale per mafiosi a Pianosa il ministro della Giustizia Paola Severino sembra rivedere la sua azzardata ipotesi prospettata incautamente solo pochi giorni fa alla Commissione antimafia e, dopo essere stata sepolta da critiche da destra e sinistra sugli enormi costi economici e gestionali che questo comporterebbe, ieri ha detto durante l’inchiesta di Speciale Tg1 dedicata all’emergenza carceri: “Tra un pensierino e la decisione di riaprire queste carceri ci passa una bella distanza, ci passeranno delle verifiche. Io vorrei verificare la situazione dell’Asinara e di Pianosa, non perché necessariamente debbano essere riaperti ai 41bis, ma perché, per esempio, potrebbero essere dei luoghi per degli esperimenti che tengano conto anche dell’aspetto ambientale. Noi abbiamo già un esperimento isolano molto importante che è quello della Gorgona nella quale alcuni detenuti lavorano sul territorio per proteggere l’ambiente, per tutelarlo, per dare una mano in senso attivo alla protezione di ciò che li circonda. Ecco, se fosse possibile ripetere questo esperimento, perché chiudersi prima ancora di aver verificato?”. Una bella marcia indietro, visto che un groppo di detenuti a Pianosa ci sono già, ma che non tiene conto di diverse cose: il Piano del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, il numero massimo di visitatori/residenti ammesso a Pianosa (250 attualmente, 450 con le fogne e l’acqua e il recupero degli immobili che non ci sono) e che soprattutto fa un esempio che non sembra più calzante: quello dell’isola di Gorgona, sempre nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Infatti, dopo le segnalazioni di abusi e comportamenti non proprio consoni alla presenza di un Parco degli anni passati, in molti a Livorno, dalla quale l’isola dipende territorialmente ed amministrativamente, e nell’Arcipelago Toscano si pongono con curiosità e qualcuno con preoccupazione, una domanda: che fine hanno fatto le attività di visita all’isola di Gorgona? Visto che l’isola carcere presentata come modello da seguire è l’unica di tutto dell’Arcipelago (Montecristo compresa) dove da tempo non si effettuano attività di fruizione eco - turistica. Ma come è nata e si è evoluta l’attività di visita all’isola? e quali le ragioni della presente empasse? Dalla metà degli anni 80 esisteva un servizio che consentiva ai cittadini, in numero contingentato, di visitare la più piccola isola del Parco nazionale. Guide esperte, qualificate ed appassionate, in accordo con la Circoscrizione 2 del Comune di Livorno, permettevano ai visitatori di scoprire l’isola attraverso programmi di escursionismo terrestre e marino, in visite giornaliere e anche con soggiorni. Con la istituzione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, le attività sono proseguite senza soluzione di continuità, in accordo e con il patrocinio dell’Ente. E oggi? Dall’autunno 2010 le visite sono state ufficialmente interrotte in attesa di una determinazione più precisa delle modalità di visita e condivisa tra Parco, Comune di Livorno e Amministrazione Penitenziaria, ma l’accordo non è stato ancora siglato e le visite sono ancora sospese. L’impressione che da più parti si ha, è che il Comune di Livorno, che con l’istituzione del Parco Nazionale si era progressivamente disinteressato delle attività sull’isola di Gorgona, adesso rivendichi un ruolo che in effetti non ha, cercando di scavalcare il Parco (che appare preoccupantemente rinunciatario) nella gestione completa delle visite guidate e modificando una situazione che ben funzionava. Il servizio di visita organizzato e condotto per tanti anni da una Cooperativa ambientale, che agiva da collegamento tra Parco e isola, assicurava infatti un controllo puntuale e consentiva a chiunque (gruppi organizzati da agenzie turistiche, singoli cittadini, associazioni, scuole) di recarsi sull’isola, gestendo con regolarità una attività altamente qualificata e apprezzata, con la garanzia di un corretto rispetto delle regole vigenti in un ambiente così delicato (isola - Parco) e talvolta anche molto difficile con cui interloquire (isola - carcere). Ma non solo. Le attività di turismo culturale della cooperativa erano funzionali rispetto ai valori di conoscenza e tutela dell’ambiente portati avanti dalla cooperativa stessa, con prestigiose collaborazioni: vale la pena di ricordare il grande patrimonio culturale, di ricerca scientifica e storico - archeologica, che ha comportato in questi decenni e raccolto in numerose pubblicazioni e libri che hanno consentito all’Isola di Gorgona di essere diffusamente più conosciuta e più apprezzata. La situazione che si è creata nell’ultimo anno e mezzo ha invece avuto come risultati la interruzione di questi servizi e oltretutto la apertura a soggetti non sempre sembrano altrettanto qualificati che hanno svolto attività non propriamente “regolari” sull’isola e che, in ogni caso, sembrano essere svolte fuori da ogni controllo del Parco. Come si vede quello che il ministro Severino chiama “Esperimento isolano molto importante” di fatto non esiste più ed è preoccupante che nessuno la abbia informata. È Gorgona che dovrebbe ri - imparare da Pianosa, dove il turismo contingentato è arrivato grazie all’istituzione del Parco ed alla chiusura del carcere, e non viceversa... Ed è abbastanza incredibile che uno Stato che ha abbandonato le strutture carcerarie e l’enorme patrimonio edilizio di Pianosa al degrado se ne ricordi solo per questo continuo ed ormai stucchevole stop - and - go carcerario che dobbiamo subire ad ogni rinnovo di ministro. Quale sarà il futuro di quello che era il “modello” Gorgona”? La primavera è già iniziata, ma ancora non si parla di ripresa delle attività. Sulle altre isole studenti e turisti già imparano a conoscere e amare il nostro arcipelago, e tra poco il Walking Festival permetterà gratuitamente a tutti di scoprire le sue meraviglie. Gorgona rimarrà esclusa di nuovo da tutto questo? Si può ancora sperare che le parti, nel ruolo delle proprie competenze, giungano ad un accordo che valorizzi, e non annienti, ciò che di buono è stato fatto, per l’isola e per i cittadini, in questi lunghi anni? Sicilia: intervista a Garante detenuti Fleres; incentivare buona condotta e pene alternative di Luigi Erbetta www.forzadelsud.it, 26 marzo 2012 Il problema della condizione delle carceri italiane è una delle piaghe del Paese. L’onorevole Salvo Fleres si sta battendo strenuamente per portare all’attenzione questa emergenza. Grande Sud News lo ha intervistato per fare un bilancio di quanto è stato fatto dal governo finora e quanto si può ancora fare. L’on. Fleres ha commentato anche la spaccatura nel centrosinistra in vista delle elezioni amministrative di Palermo. Cosa ha fatto il governo per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane? Ha fatto purtroppo troppo poco. Sia il primo che il secondo provvedimento svuota carceri sono serviti a poco. Cosa propone per ovviare a questa emergenza? Abbiamo proposto due strade. La prima è incentivare la pratica della scarcerazione per buona condotta, introducendo un’attività interna di studio. Puntiamo a triplicare il numero delle persone che possano essere ammessi a questo beneficio. La seconda è il non assimilare il concetto di pena con il concetto di carcere. Alcuni reati possono essere puniti con pene alternative. Bisogna tenere in considerazione che nelle carceri italiane sono previsti 44 mila posti a fronte di 67 mila detenuti che attualmente stanno scontando una pena negli istituti penitenziari. Perugia: un lavoro dopo il carcere, con il progetto “Ri.usci.re” e la cooperativa Gulliver www.agoravox.it, 26 marzo 2012 Cosa accomuna una donna nigeriana che di mestiere lavora in un’industria di confetture, un’altra impiegata in un ristorante, un folignate occupato in una ditta di materiali in polistirolo e un bresciano che fa da receptionist in un hotel? Due cose, che visti i presupposti non sono poche. La prima è che tutti e quattro sono ex detenuti. La seconda è un nome: Luca Verdolini, della cooperativa Gulliver, promotrice del progetto “Ri.usci.re” a cui tutti e quattro partecipano. “È l’unica mosca bianca nel panorama dei progetti per reintegrare gli ex detenuti - dice Massimo, ex pilota di aereo, bresciano di nascita, che adesso lavora in un hotel del centro di Perugia. Gli altri fanno solo parole, Luca invece dà un aiuto concreto”. Sono quattro storie diverse quelle che raccontano i protagonisti. Le due donne, ad esempio, sono emigrate dalla Nigeria rispettivamente diciassette e diciannove anni fa. Alle spalle hanno situazioni di disagio, ma entrambe hanno trovato in carcere la possibilità di riscattarsi. “In questo momento di crisi è difficile trovare un lavoro, specie se si esce da un penitenziario e si è etichettati come delinquenti - dice Maria (la chiameremo con questo nome visto che preferisce mantenere l’anonimato) -. Io ho 37 anni e tre figli, come li potrei mantenere senza un lavoro?”. Anche Massimiliano, folignate di 43 anni “come non se ne trovano più” si ritiene fortunato di avere ottenuto la borsa lavoro di “Ri.usci.re” proprio adesso: “Per cinque mesi ho la possibilità di farmi conoscere, poi speriamo che alla scadenza mi assumano. È un buon progetto sia per me che per l’azienda che mi ospita, perché forma un nuovo dipendente senza alcun costo”. Il progetto è lodato da tutti, ex detenuti e datori di lavoro. Come Gabriele, che ha accolto Massimo e si dice fiero di averlo fatto: “Superare i pregiudizi è difficile, ma alla fine ho avuto ragione. Questa esperienza ti dà molto in cambio del tuo coinvolgimento. Tu dai 1 in rispetto alla persona con cui ti trovi ad avere a che fare e ricevi 10, perché poi diventi un punto di riferimento e si crea un rapporto umano speciale”. Come dice Gabriele, “non si finisce in galera per una malattia, ma perché non si ha potuto apprezzare determinati valori”. Un errore, per quanto tragico, non può rovinare una vita. È d’accordo con lui Luca, datore di lavoro di Miriam (anche lei vuole restare nell’anonimato): “Il nostro sistema giudiziario è estremamente ingiusto. Io cerco di dare una mano perché in futuro mi potrei trovare nelle stesse condizioni”. Delle brutte situazioni, che non coinvolgono soltanto la persona che ha sbagliato, ma anche i suoi familiari. Miriam ha due figli, una bambina che vive ancora in Nigeria e aspetta il ricongiungimento familiare, e un ragazzo di 15 anni che vive in Italia e qui frequenta la scuola: “Lui ha vissuto male la mia detenzione, anche se ho scontato un periodo ai domiciliari - dice Miriam. A scuola era stato additato come il figlio della delinquente, ora per fortuna le cose vanno meglio: io lavoro e lui è diventato più autonomo, e cambiando scuola si è trovato meglio”. Però Miriam per il suo futuro non pensa a sé stessa, ma agli altri: “Quando tutto sarà finito voglio che la mia casa diventi un luogo di accoglienza per le persone in difficoltà, come lo sono stata io”. Modena: Garante Desi Bruno visita Case di lavoro; “abolire misure di sicurezza detentive” Dire, 26 marzo 2012 “Ritengo necessario lavorare per l’abolizione delle Case lavoro e delle colonie agricole poiché è venuto meno il senso della loro presenza nel nostro ordinamento”. Lo ha dichiarato Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative delle libertà personali, dopo la visita alla Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Mo), dove ha incontrato la direttrice della struttura e gli internati, autori di una missiva al Garante per informarla di aver inoltrato al magistrato di sorveglianza di Modena la richiesta di revoca della misura di sicurezza, per una serie di motivi, primo fra tutti l’illegittimità costituzionale della materia penale che regola questo Istituto. La struttura di Saliceta San Giuliano è una delle quattro presenti sul territorio italiano (le altre sono a Castelfranco Emilia, sempre nell’area modenese, a Sulmona e a Favignana). Nelle Case lavoro sono internate quelle persone che hanno commesso reati, hanno scontato una pena e a cui il magistrato ha applicato questa ulteriore misura di sicurezza perché considerate socialmente pericolose. Queste misure di sicurezza hanno come obbligo il lavoro come mezzo per arrivare al reinserimento sociale, ma, nella realtà, mancano progetti di lavoro effettivo e remunerato, quindi le case diventato a tutti gli effetti misure di sicurezza senza date finali certe, tanto che possono essere prorogate fino a che il giudice di sorveglianza non ritenga cessata la pericolosità sociale. Bruno ha parlato a questo proposito di “ergastolo bianco”, proprio perché la detenzione in queste strutture può diventare a tempo indeterminato: di qui la protesta dei detenuti che sostengono di preferire un raddoppio della pena in carcere, piuttosto che essere destinati alla Casa lavoro. Ma chi sono gli internati di Saliceta San Giuliano? Sono 63 uomini (su 67 posti), di cui il 6-7% stranieri (una percentuale in crescita), con altre 25 persone che sono fuori in licenza o occupati in progetti finali di inserimento. Dei 63 citati, 4 lavorano all’esterno, due assunti da una cooperativa sociale e due con una borsa lavoro del Comune di Modena. Gli altri sono occupati 10/15 giorni al mese perché manca il lavoro, per lo più svolgono mansioni domestiche dentro l’Istituto, mentre tre di loro sono occupati in tipografia, con un una remunerazione che va dagli 80 euro per dieci giorni di lavoro, ai 220 euro per un mese. La maggioranza degli internati ha commesso più reati, di qui la pericolosità sociale, il 20% ha compiuto reati legati alla criminalità organizzata, molti poi hanno problemi di tossicodipendenza, affrontato con la sola somministrazione di metadone da parte dell’Asl, e/o di disagio psichiatrico. L’80% di queste persone, inoltre, arriva alla Casa lavoro su provvedimenti della magistratura della Campania e della Lombardia: si tratta per lo più di internati senza riferimenti sociali, abitativi, di lavoro e spesso hanno perduto anche i legami famigliari dopo una vita trascorsa in carcere. E questo è ancora più vero se si tratta di stranieri, spesso privi di documenti, il che crea difficoltà ancora più evidenti di reinserimento sociale. “Già nell’VIII legislatura, - ha ricordato Bruno - in Regione Emilia - Romagna, alcuni consiglieri (Borghi, Richetti, Monari, Monaco, Alberti, Piva) presentarono una proposta di disegno di legge alle Camere per abrogare le norme del Codice penale che prevedono l’assegnazione alla Casa lavoro o alla colonia agricola, due misure detentive - ha aggiunto - retaggio dell’epoca fascista perché previste dal Codice Rocco. Questo progetto è fermo, ma la mia idea è quella di ridargli impulso anche a fronte dell’abolizione dal 2013 degli ospedali psichiatrici giudiziari e del fatto che queste misure detentive non stanno funzionando, perché non assicurano un lavoro, né il reinserimento sociale attraverso specifici progetti che non si riescono a realizzare”. Castelfranco Emilia: struttura modello, ma è quasi inutilizzata In un Paese dove un metro quadrato in più o in meno fa la differenza quando si parla di condizioni di vita dei detenuti c’è invece una struttura, in provincia di Modena, dove spazi immensi e pronti all’uso vengono abbandonati a loro stessi: è la casa di reclusione San Giovanni di Castelfranco dell’Emilia, che ha ricevuto venerdì pomeriggio la visita della Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative delle libertà personali, Desi Bruno. La struttura ospita al momento in una sezione 43 internati sottoposti a misure di sicurezza, nell’altra 17 detenuti con problemi di tossicodipendenza in custodia attenuata, nonostante una capienza praticamente doppia, pari a 33 persone. Non è l’unica delle contraddizioni di una realtà che per alcuni aspetti potrebbe indicare un modello a livello nazionale, e il Garante cita a proposito proprio le condizioni dei detenuti in custodia attenuata, ma che per altri “rappresenta il fallimento del sistema”, come ammette lo stesso direttore della casa di reclusione di fronte alla situazione delle diverse persone in condizione di forte disagio sociale che sono internate praticamente a tempo indeterminato ma senza alcuna programmazione. Se infatti, ad esempio, “si vedono finalmente internati e detenuti che mangiano in un refettorio e non in cella”, racconta Bruno, poi però gli internati con problemi psichiatrici possono contare sull’aiuto di una sola operatrice, che nel futuro sarà affiancata al massimo da un’altra persona, nonostante le continue richieste e lamentele della direzione, e comunque non a tempo pieno. A stupire, e non di certo in positivo, la Garante sono state in particolare le potenzialità non espresse dalla casa di reclusione: ci sono infatti “strutture di lavoro importanti”, spiega Bruno, ma ad esempio la lavanderia, che al momento occupa a tempo pieno sei persone in custodia attenuata e lavora per cinque carceri in regione e anche per due realtà esterne, viene sfruttata solo per metà delle sue possibilità, e due enormi officine meccaniche, con tanto di forno di verniciatura, giacciono completamente inutilizzate. E se “definire sottoutilizzata l’azienda agricola è dire poco” a causa delle decine di ettari di terreno non curati, assicura sempre la Garante, la vicenda più inspiegabile rimane quella dell’area pedagogica: all’interno degli oltre 2.000 metri quadrati di fabbricato si trovano infatti già pronti una biblioteca, laboratori, aule per le lezioni, in pratica “una struttura che potrebbe tranquillamente ospitare una università”, semplifica Bruno, ma si tratta di spazi quasi completamente inutilizzati. Per questo motivo Bruno chiede l’intervento del nuovo capo di dipartimento, con l’auspicio che “possa andare a verificare di persona le potenzialità di aree tali da costituire una struttura a misura d’uomo e di diritti costituzionali”: secondo la Garante, infatti, San Giovanni potrebbe essere “un progetto sperimentale che permetta davvero ai detenuti di lavorare”, ad esempio “un istituto per dimittendi che ospiti 200 persone”. Per portare l’attenzione sulla struttura, l’idea di Bruno è allora quella di organizzare proprio a San Giovanni dopo l’estate un convegno sulle condizioni dei detenuti in Italia. Foggia: Radicali in visita ispettiva ala Casa Circondariale; 725 detenuti, con 406 posti Gazzetta del Sud, 26 marzo 2012 Sovraffollamento, inattività e la presenza di due bambini che giocavano in una specie di parco giochi dentro le mura del carcere. Questa la situazione trovata dai Radicali nella Casa circondariale di Foggia. Gli esponenti dell’associazione “Mariateresa Di Lascia” hanno effettuato un’ispezione accompagnati dalla deputata Rita Bernardini. Sono state evidenziate le numerose criticità del carcere foggiano, dove attualmente si trovano 725 detenuti sui 406 posti disponibili. Molti di loro, si denuncia, passano “21 ore chiusi in piccole celle da dividere anche in otto, senza nessun tipo di attività lavorativa, con contatti rarissimi con educatori e psicologi”. Un problema del quale, si spiega, ne fanno le spese anche gli agenti penitenziari, sotto organico. “Alcuni di loro hanno ancora le ferie del 2010 da scontare”. “Il reparto infermeria - si denuncia - non funziona da almeno vent’anni, così anche per le cose meno gravi e detenuti devono essere scortati ogni volta in ospedale”. “L’immagine simbolo di questa visita - sostiene la segretaria della “Di Lascia” Elisabetta Tomaiuolo” - resta forse quella di due bambini di un anno e mezzo e due anni. Li abbiamo visti giocare in un piccolo parco giochi - conclude - chiuso tra le alte mura del carcere”. Osapp: alta tensione in carcere, calci e pugni a 3 agenti Quello avvenuto lo scorso sabato nell’Istituto di pena di Foggia non è che l’ennesimo segnale della grave situazione vissuta tra quelle mura. Un detenuto ha aggredito tre agenti penitenziari, due assistenti capo e un sovrintendente, provocando loro ferite e contusioni. A denunciare l’accaduto l’Osapp, l’organizzazione sindacale della polizia penitenziaria. Le cause che avrebbero scatenato la condotta del detenuto sarebbero ancora da accertare, ma alla radice del problema ci sarebbe un disagio ben più grave che affligge la casa circondariale di Foggia: il sovraffollamento. Il carcere di Foggia può ospitare 350 uomini e 21 donne. La realtà invece è ben diversa: dietro quelle sbarre ci sono 710 uomini e 40 donne, quasi il doppio dunque, con una percentuale del 95% di sovraffollamento. Da qui la richiesta del sindacato: l’assegnazione urgente di almeno 80 nuove unità tra donne e uomini della Polizia penitenziaria. Condizioni, quelle patite nell’istituto di pena (sia dai detenuti che dalle guardie penitenziarie) toccate con mano anche dai radicali dell’associazione foggiana “Mariateresa Di Lascia” che sabato scorso hanno effettuato un’ispezione, di quasi sei ore, accompagnati dalla deputata Rita Bernardini, da Maria Cristina Affatato, da pochi mesi direttrice del carcere, e dal comandante della polizia penitenziaria Montanaro. Piccole celle da dividere anche in otto, rarissimi contatti con educatori e psicologi, chiesa inagibile, reparto infermeria non funzionante da almeno vent’anni, nessun tipo di attività lavorativa sebbene nel carcere siano presenti una falegnameria e una sartoria con tutti i macchinari, agenti penitenziari sotto organico, alcuni dei quali con ferie da scontare dal 2010. Queste la criticità evidenziate dalla deputata radicale Bernardini nel carcere di Foggia, in una regione, la Puglia, che fa registrare il maggior sovraffollamento d’Italia. All’analisi dei radicali sull’Istituto di pena dauno si deve aggiungere il numero dei suicidi, più di sei nell’ultimo decennio (l’ultimo solo un mese fa), quello dei tentativi di suicidio, i quasi 90 atti autolesionismo e i casi di manifestazioni di protesta e sciopero della fame. Grosseto: interrogazione Evangelisti (Idv); a quando il nuovo carcere? è atteso da 30 anni In Toscana, 26 marzo 2012 Interrogazione al Ministro della giustizia. “Non è giunto il momento di realizzare una nuova casa circondariale? I tempi sembrano essere maturi per dar sostanza a un progetto previsto da oltre 30 anni. Quale futuro per il carcere di Grosseto? Lo chiede l’on. Fabio Evangelisti, Segretario Idv Toscana, che questa mattina ha depositato a Montecitorio un’interrogazione al Ministro della Giustizia, Paola Severino, nella quale chiede alla Guardasigilli quali decisioni abbia maturato in merito alla destinazione finale della Casa Circondariale di Grosseto. “La casa circondariale di Grosseto è una struttura penitenziaria risalente al 1850, situata nel centro storico della città e non più rispondente ai dettami della riforma penitenziaria, alle esigenze della popolazione detenuta, circa trenta persone, e a quelle del personale che vi presta servizio. Inoltre risulta essere assolutamente inadeguata alle necessità dell’attività giudiziaria, mancando com’è di un idoneo reparto di isolamento”, spiega Evangelisti, che sabato 17 marzo ha visitato la struttura maremmana insieme al Consigliere comunale Idv, Stefano Rosini, e il Presidente del Circolo Idv Comune di Grosseto, Massimo Travison. “Dopo la nostra visita, anche grazie a un proficuo e collaborativo confronto con la Direttrice Maria Cristina Morrone - chiediamo al Ministro Severino, che tanta attenzione sta mostrando alle condizioni di reclusione e di lavoro nelle carceri italiane, se non sia giunto il momento di realizzare una nuova casa circondariale. I tempi sembrano essere maturi per dar sostanza a un progetto previsto da oltre trent’anni”. “La costruzione di un nuovo carcere a Grosseto fu prevista già nel lontano 1981 e fu inserita nel programma aggiuntivo di edilizia penitenziaria. Poiché il comune di Grosseto nel frattempo non aveva provveduto a individuare un’area per la costruzione del nuovo carcere, il Comitato paritetico per l’edilizia penitenziaria deliberava lo stralcio dell’opera dal programma e l’utilizzo dei fondi programmati a favore di altre opere pubbliche. Successivamente, nel 1997 fu emanato un decreto ministeriale che decretava la chiusura della casa circondariale di Grosseto per la grave precarietà strutturale disponendone il trasferimento nel territorio di Massa Marittima. Nel 1998, con nuovo decreto ministeriale, la casa circondariale di Grosseto manteneva l’originaria sede, poiché a seguito di un ulteriore approfondimento si era rilevato che per assolvere appieno alle esigenze dell’autorità giudiziaria del circondario interessato, era necessario mantenere in funzione la struttura di Grosseto pur con ridotto numero di detenuti, in considerazione delle condizioni e delle caratteristiche dell’immobile. Ad oggi, lo abbiamo toccato con mano, il carcere di Grosseto è ancora funzionante e nonostante l’interesse delle autorità locali e giudiziarie più volte rappresentato e la disponibilità del terreno data dal comune, non è stata mai presa nuovamente in considerazione la costruzione di un nuovo istituto penitenziario, malgrado la provincia di Grosseto risulti la più estesa della regione Toscana e avrebbe bisogno di casa circondariale in grado di accogliere almeno duecento detenuti”. “Il fabbricato, oggi, presenta infatti delle forti deficienze per quanto riguarda la sicurezza interna ed esterna”, continua Evangelisti. “Le finestre delle celle dei detenuti affacciano sulla pubblica via, solo il lato posteriore della struttura è munito di muro di cinta, gli impianti di sicurezza che dovrebbero, in parte, ovviare a queste carenze strutturali e di sicurezza sono inefficienti, la struttura è priva di posto di blocco. Rispetto agli standard di sicurezza previsti dal dlgs 81/2008, insomma, qualsiasi sforzo organizzativo e finanziario non appare in grado di raggiungere i risultati che la normativa vigente prescrive per mancanza e inadeguatezza di spazi disponibili e per la vetustà del fabbricato”. “Inoltre - continua il Segretario Idv - manca una caserma per gli agenti. Attualmente, qualche unità di personale che pernotta in istituto è alloggiato al terzo piano del fabbricato, precedentemente utilizzato come sezione femminile, dove l’unica via di fuga è rappresentata da una scalinata che attraversa i due piani adibiti a sezione e sbarrata con cancelli. E i disagi per i lavoratori del carcere non si fermano qui: la mensa obbligatoria di servizio del personale è stata chiusa poiché la ditta appaltatrice ha contestato la inadeguatezza degli impianti, anche se all’interno dell’istituto è funzionante una cucina per i detenuti; mancano gli spazi sufficienti da destinare a magazzini, manca un autoparco dove custodire i mezzi dell’Amministrazione”. “Insomma, il fabbricato presenta tali carenze logistiche strutturali, nonché impiantistiche, difficilmente colmabili con interventi di manutenzione straordinaria, eccessivamente onerosi e non risolutivi delle problematiche esistenti. Tutto questo evidenzia un evidente aspetto antieconomico nel rapporto costo - benefici, ovvero la non convenienza a effettuare cospicui interventi sull’edificio in questione per la sua modesta rilevanza, sia sotto l’aspetto della sicurezza sia riguardo alla sua esigua ricettività”. Reggio Calabria: progetto di educazione alla salute per detenuti minori e giovani adulti Redattore Sociale, 26 marzo 2012 Partito il progetto Percorso socio-sanitario per la tutela dei minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria in area penale interna ed esterna”. “Percorso socio-sanitario per la tutela dei minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria in area penale interna ed esterna”. Questa la denominazione del progetto avviato a Reggio Calabria, con un incontro pubblico nei locali della biblioteca provinciale. L’iniziativa è promossa e finanziata dalla regione Calabria - dipartimento Tutela della salute, nell’ambito del Piano sanitario nazionale. L’amministrazione regionale, per la realizzazione del progetto in partenariato col Centro di giustizia minorile per la Calabria e la Basilicata, ha scelto l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro (Asp) per la presenza sul territorio catanzarese dell’unico istituto penale per i minorenni della regione. L’iniziativa progettuale prevede una serie di azioni finalizzate a sostenere il percorso educativo dei minori in trattamento, rivolte all’educazione alla salute come cura di sé: tra queste vi è il lavoro di rete, la formazione del personale minorile, la formazione - animazione dei minori dell’area penale collocati nelle comunità del territorio tramite laboratori, la peer-education con realizzazione di spot di educazione sanitaria e la preparazione alla fuoriuscita dei minori e giovani dall’istituto penale per i minorenni. Dagli esperti presenti è stata espressa la soddisfazione della Giustizia minorile per l’approvazione di tale progettualità che ha ricevuto nei mesi scorsi il plauso ufficiale del ministero della Giustizia e che potrà dare risposte concrete ai bisogni in tema di tutela della salute dei minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria; un’iniziativa che rafforzerà la sinergia già avviata con la regione Calabria, in materia di sanità penitenziaria, anche nel territorio reggino. In occasione della presentazione del progetto sono stati affrontati i problemi ancora irrisolti relativi alla presa in carico per il trattamento dei minori e giovani - adulti in doppia diagnosi, con disturbi psico - comportamentali e psichiatrici in carico alla giustizia minorile. La giornata inaugurale ha registrato la presenza di Antonio Montuoro referente dell’Asp di Catanzaro per la sanità penitenziaria; Bernardo Grande direttore del Sert di Catanzaro con l’équipe tecnico professionale (medico, infermiere, psicologo, educatore, sociologo) che curerà la formazione del personale e dei giovani autori di reato; Luciano Lucania referente Asp di Reggio Calabria per la sanità penitenziaria; Caterina De Stefano Direttore del Sert di Reggio Calabria. Per la Giustizia minorile erano presenti: Mirella Petrillo, funzionaria del Centro per la giustizia minorile; Giuseppina Garreffa, direttore dell’ufficio di Servizio sociale per i minorenni della città dello Stretto; Giuseppe Crucitta in rappresentanza del Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria. All’avvio del progetto ha partecipato una rappresentanza della fitta rete di associazioni del privato sociale, delle comunità e dei gruppi appartamento operanti nel territorio cittadino e provinciale che ospitano giovani e giovanissimi sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile. La prossima azione del progetto nella città di Reggio Calabria sarà la formazione, a cura dell’èquipe del Sert di Catanzaro, rivolta agli operatori dei servizi minorili e del privato sociale sul tema delle malattie sessualmente trasmissibili. Oristano: i detenuti al lavoro per il restauro della Reggia L’Unione Sarda, 26 marzo 2012 Una sfida doppia. Rieducare i detenuti e insegnare loro un mestiere. E al tempo stesso restituire l’ex reggia giudicale alla città e restaurarla, proprio con l’aiuto di carcerati che godono della semilibertà o di altri benefici. Una scommessa del gruppo di lavoro che già in passato ha puntato su un progetto di recupero per i detenuti. Uomini che, affiancati da tutor ed esperti, per mesi sono stati impegnati negli scavi archeologici di Fordongianus. Un’attività che ha dato i suoi frutti e ora potrebbe essere replicata proprio nel cuore di Oristano. In quella reggia che in età medioevale ospitava gli Arborea e oggi, da tanti anni ormai, ospita la casa circondariale in piazza Manno. Non appena il nuovo carcere di Massama diventerà realtà, ci sarà il problema del futuro della ex reggia. E la proposta degli esperti sembra una delle ipotesi più concretizzabili, con un nutrito pacchetto di vantaggi. A iniziare dalla possibilità di mettere in piedi una sorta di laboratorio di restauro. Ma non una bottega qualsiasi. Un’officina che possa servire a sistemare la struttura e a “restaurare” anche i detenuti attraverso un mirato programma di recupero che insegni loro un lavoro. Mestiere che potrebbero subito mettere in pratica nell’edificio di piazza Manno che ha bisogno di manutenzione e ristrutturazioni. Questa opzione ha anche un altro vantaggio: non lasciar cadere nell’abbandono l’ex reggia giudicale. Il rischio non è affatto infondato. Sono diversi gli edifici pubblici dimenticati e inutilizzati. Tenere chiusa una struttura come quella di piazza Manno sarebbe un danno e un’offesa anche alla città, privata ancora una volta di un luogo storico così importante. Roma: dalla Farnesina donazione di libri per i detenuti stranieri di Rebibbia Il Velino, 26 marzo 2012 Libri per i detenuti stranieri del carcere romano di Rebibbia. Oltre duecento pubblicazioni, scritte in varie lingue, sono state donate dai dipendenti del ministero degli Esteri, che hanno aderito all’iniziativa di beneficenza “Non solo italiani”. Si tratta di un evento curato dall’organizzazione non governativa “Voci dei popoli del mondo” e dalla Glocal University Network (Gun), che si è svolto giovedì e venerdì e che ha consentito di raccogliere decine di pubblicazioni provenienti dalle sedi estere. Una piccola biblioteca di libri nuovi ed usati - scritti in serbo, croato, bulgaro, polacco, ungherese, turco, nonché spagnolo, portoghese ed arabo, insieme a riviste, pubblicazioni di poesie, dizionari e grammatiche. “C’è stata una grande partecipazione, abbiamo avuto un riscontro molto positivo - sottolinea Igiea Lanza, presidente dell’ong Voci dei popoli del mondo. Il Mae ci ha aiutato tantissimo, abbiamo allestito un banco davanti al ministero e in 48 ore sono stati raccolti oltre duecento libri, tra cui intere enciclopedie, e in lingue difficili da reperire”. La prima donazione, prevista dopo le vacanze di Pasqua e alla presenza del Garante dei detenuti del Comune di Roma Filippo Pegorari, andrà alla biblioteca “Papillon” del carcere di Rebibbia. Il successo dell’iniziativa, che ha potuto contare sul coinvolgimento e la collaborazione dell’Associazione Consorti dei dipendenti Mae, ha convinto gli organizzatori a programmare eventi simili in futuro su scala nazionale. Milano: corruppe guardia per foto in carcere, 14 mesi in appello a Fabrizio Corona Agi, 26 marzo 2012 La corte d’appello di Milano ha ridotto a un anno e due mesi la condanna a Fabrizio Corona nella vicenda in cui è imputato con l’accusa di corruzione per avere scattato alcune foto in carcere, quando era detenuto, grazie a una macchina fotografica introdotta a San Vittore, corrompendo una guardia carceraria. In primo grado era stato condannato a un anno e otto mesi. Secondo quanto ricostruito dall’accusa, tra il 13 aprile e il 15 giugno 2007, quando era agli arresti nell’ambito dell’inchiesta “Vallettopoli”, si fece consegnare dalla guardia carceraria Pasquale Costanzo, una macchina fotografica “usa e getta” per ritrarsi in un servizio all’interno di San Vittore. Milano: la Caritas a “Fà la cosa giusta”, con riproduzione cella per detenuti La Repubblica, 26 marzo 2012 Un “percorso sensoriale” per denunciare la condizione di sovraffollamento delle carceri. E un dialogo sul perdono responsabile con l’ex pm del pool Mani pulite, Gherardo Colombo, e l’ispettore generale dei cappellani don Virgilio Balducchi. Caritas Ambrosiana partecipa alla fiera nazionale del consumo critico e degli stili sostenibili con una duplice proposta. “Negli ultimi 20 anni il numero dei detenuti in Italia è cresciuto costantemente. La conseguenza - sottolinea Caritas - è che in carcere la popolazione dei reclusi è doppia rispetto a quella regolamentare. E in Lombardia arriva quasi a toccare il quadruplo. Che cosa significa condividere 8 metri quadrati in 6 persone? Sarà possibile provarlo, visitando lo stand “Extrema ratio” di Caritas Ambrosiana allestito alla fiera nazionale del consumo critico e degli stili sostenibili “Fa la cosa giusta!”, in programma dal 30 marzo al 1 aprile, negli spazi di Fiera Milano city a Milano, Porta Scarampo, 14. Nello spazio espositivo, i detenuti del carcere di Bollate hanno riprodotto in dimensioni reali una cella dentro la quale i visitatori saranno invitati a entrare, dopo essersi sottoposti a una serie di gesti (farsi fotografare, lasciare le impronte digitali, depositare le borse). L’esperienza di detenzione temporanea, che durerà 5 minuti, sarà sufficientemente fedele all’esperienza reale, per poter vivere sulla propria pelle la condizione di sovraffollamento dei nostri penitenziari da più parti denunciata. Alcuni espedienti scenici (l’utilizzo di luci abbaglianti nel corridoio di accesso, ad esempio) irrobustiranno la percezione d’isolamento, solitudine, e angoscia che prova chiunque si trova in condizione di reclusione. Al termine del percorso sensoriale saranno offerti un dossier e alcune letture sulla condizione carceraria italiana”. Venerdì 30 marzo, inoltre, chi vorrà approfondire il tema potrà assistere al dibattito tra due testimoni di primo piano, seppure su fronti diversi, del pianeta giustizia: il pubblico ministro alla Procura della Repubblica di Milano durante i processi di Mani pulite, Gherardo Colombo, e l’Ispettore generale dei cappellani dell’amministrazione penitenziaria, don Virgilio Balducchi. L’ex magistrato e il sacerdote parleranno dell’efficacia del sistema penitenziario, della finalità delle reclusione, del significato del perdono e della giustizia riparativa. Pavia: la Radio Rtp e il carcere di Torre del Gallo…. un progetto “Oltre il Muro” Ristretti Orizzonti, 26 marzo 2012 Il progetto Oltre il Muro è nato nel 2010 ed ha preso avvio a febbraio dello scorso anno. L’idea di base è partita dalla volontà da parte di Radio Ticino Pavia, di coinvolgere il Carcere di Torre del Gallo di Pavia e le persone ristrette all’interno della casa circondariale della città. Il progetto prevede la realizzazione di una trasmissione quindicinale registrata interamente all’interno della struttura carceraria: i detenuti, scelti dagli educatori e dagli agenti di polizia penitenziaria, si turnano nella conduzione della trasmissione, che in scaletta prevede momenti di dialogo su temi d’attualità (possono vedere la televisione, quindi, anche nelle ultime puntate, hanno parlato della legislazione sulle carceri, dell’amnistia e della carcerazione preventiva, insieme a temi più leggeri come Sanremo oppure il Grande Fratello), sulle iniziative del carcere a cui i detenuti partecipano (spettacoli, laboratori, corsi di formazione), sui momenti dedicati all’ascolto della musica (i conduttori ideano una play list che poi la radio metterà in onda durante la puntata) o alla lettura. Tra i temi trattati anche la cucina: spesso infatti i detenuti cucinano all’interno delle loro celle usando mezzi improvvisati ma con risultati ottimi, tanto che alcuni di loro hanno scoperto una vera e propria passione che vogliono mettere a frutto una volta terminato il periodo di pena. Una parte della trasmissione, di solito quella finale, è dedicata al “fine pena”, ovvero ad un ragionamento su quello che aspetta i detenuti una volta che saranno liberi: non sempre il fine pena è un momento di felicità, per alcuni di loro rimane un problema il decidere dove poter abitare; per altri invece è un bel ritorno in famiglia oppure un ingresso in una comunità terapeutica. Lo scopo del progetto è quello di cercare di sensibilizzare la città alla presenza del Carcere come realtà viva e pulsante e non solo come cittadella di detenzione: conoscere le attività che vi vengono svolte giornalmente, ascoltare la voce e le idee dei detenuti, è un modo per avviare una riflessione ed una relazione con una realtà che comunque conta la presenza di più di 600 individui, praticamente un piccolo paese alle porte della città. È anche importante che il carcere si avvicini alla città ascoltando la radio e gli avvenimenti che a Pavia accadono quotidianamente: in questo caso lo strumento radiofonico diventa sia di servizio che di informazione. Il nome Oltre il Muro arriva da questa idea di fondo: oltre il muro c’è il carcere e i detenuti per chi guarda dalla città e c’è la città per chi guarda dalle finestre del carcere. Collaborazione con il Laboratorio Universitario cil Il progetto Oltre il Muro è stato reso possibile grazie alla collaborazione con il LabCil, il laboratorio universitario Comunicare le Identità Locali che fa capo al corso interfacoltà di comunicazione Cim dell’Università degli Studi di Pavia. Gli studenti che effettuano il loro stage presso il LabCil possono partecipare alle varie fasi della realizzazione della trasmissione: previo permesso scritto dal carcere, almeno due studenti possono entrare presso la casa circondariale e prendere parte alle registrazioni delle puntate, possono inoltre collaborare attivamente al montaggio e alla messa in onda delle trasmissioni. C’è quindi un importante aspetto formativo dedicato agli studenti universitari di Cim: Oltre il Muro diventa un momento per confrontarsi con una realtà spesso distante come quella carceraria e imparare un lavoro come quello del giornalista radiofonico oppure, più semplicemente, del fonico di post produzione. Torre del Gallo Concert Al termine del primo periodo di messa in onda, Rtp ha organizzato nel mese di luglio 2011 (sabato 16), il Tdg Concert, ovvero un concerto di due ore circa tenuto presso l’auditorium della Casa Circondariale, dedicato ai detenuti ed eseguito da 5 band locali pavesi. Un momento di svago per tutti i partecipanti e la riconferma della disponibilità che il carcere di Pavia ha sempre avuto nei confronti delle attività promosse da Radio Ticino Pavia. Al concerto hanno partecipato anche, ovviamente in qualità di spettatori, Rodolfo Faldini, Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Pavia e Francesco Brendolise, Assessore all’Inclusione Sociale della Provincia di Pavia; il direttore di Rtp Alessandro Repossi e Sergio Contrini, presidente della Coop. Il Convoglio che si occupa della formazione lavorativa di molti detenuti. Dal Tdg Concert è nato anche un cd audio che raccoglie la registrazione del concerto e quindi l’esibizione delle Band che hanno preso parte al momento musicale. Verona: la Garante dei detenuti; sabato Festa del papà al carcere di Montorio Ristretti Orizzonti, 26 marzo 2012 Nella mattinata di sabato 24 marzo, all’interno del carcere di Montorio si è celebrata la Festa del Papà. L’iniziativa è stata promossa dalla Direzione della Casa Circondariale, dalla Direzione dell’area pedagogica, dalla Polizia Penitenziaria e dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona Margherita Forestan, in collaborazione con le associazioni “Microcosmo” e “Essere Clown a Verona”. “È stato scelto di festeggiare oggi, di sabato e non lunedì 19 marzo, per consentire a quanti più bambini possibile di parteciparvi, superando i problemi legati ai giorni di scuola e alla possibilità dei familiari ad accompagnarli. - ha spiegato la Garante - Erano presenti 45 ragazzini di diverse età e per tutti loro si sono trovate modalità di intrattenimento attraverso il gioco, il dialogo e soprattutto le tante diverse affettuosità tra genitori e figli. Una pizza e dei dolci hanno chiuso la giornata - ha concluso Forestan - che resta per Verona la prima Festa del Papà celebrata anche all’interno del carcere”. Vicenza: l’alpinista Tom Perry ha incontrato i detenuti del San Pio X Giornale di Vicenza, 26 marzo 2012 L’alpinista scalzo ha raccontato le sue avventure in giro per il mondo alla Casa circondariale di Vicenza. Incontro con l’atleta di Sovizzo “Ad un certo punto della mia vita ho deciso di cambiare. Tutti possono farcela, basta volerlo”. Un’ora d’aria così, se la ricorderanno per un pezzo i detenuti del carcere San Pio X. In sessanta minuti hanno praticamente fatto il giro del mondo, hanno respirato a pieni polmoni l’ossigeno puro dell’alta quota, hanno visto luoghi lontani, stupendi e inaccessibili, partecipato a imprese emozionanti. Hanno dimenticato la loro non facile condizione esistenziale, i problemi quotidiani di convivenza in una struttura insufficiente ad ospitarli: dovrebbero essere al massimo in 150, sono oltre il doppio. Una realtà non facile da vivere: la scorsa settimana un prigioniero ha picchiato un secondino. Ma per un’ora tutto è passato in secondo piano, gli ospiti della casa circondariale hanno potuto viaggiare, “liberamente”. E si sono pure divertiti. Tutto merito di Tom Perry, “l’uomo a piedi nudi”, come ormai è conosciuto in tutto il mondo. Il direttore dell’istituto di pena, Fabrizio Cacciabue ha invitato l’atleta di Sovizzo per una sorta di conferenza che si è risolta in un incredibile successo. Non era affatto facile e per niente scontato, ma Tom Perry c’è riuscito, senza presunzione, facendo sfoggio tra l’altro di una grandissima capacità comunicativa che gli ha consentito in proporsi con efficacia e semplicità ad una platea sicuramente non facile. Ha raccontato la sua vita, di come abbia deciso di diventare “Tom Perry”, della fatica fatta, degli sforzi non sempre ripagati, dei sacrifici sostenuti contro tutto e contro tutti per vincere la sua personalissima scommessa. “Ad un certo punto della mia vita ho deciso di voltare pagina, di cambiare. Mi sono posto un obbiettivo, ho cercato di raggiungerlo. Perché per tutti c’è la possibilità di cambiare vita, basta volerlo”, ha detto senza retorica. Nessuno ha fiatato, ammaliato dal racconto. E poi giù, a ripercorrere anche con l’aiuto di splendide immagini, tutte le imprese compiute in ormai dieci anni di attività, sulle montagne più alte e più belle del mondo, sui deserti più aridi, sui vulcani più affascinanti e pericolosi: dall’Etna al Fujiyama, dal Pico de Orizaba all’Aconcagua. Sempre a piedi nudi, sempre con quella “pazza idea in testa” di fare qualcosa che strada facendo, lo ha aiutato a tenere i piedi per terra, a dare peso e valore alle cose che contano. Un’ora d’aria che è diventata una terapia collettiva. Tom Perry ha parlato di coraggio e di paura, di sofferenza e di dolore, catturando l’attenzione della platea che, curiosa, al termine lo ha bombardato di domande. “Lo hai fatto per i soldi?”, gli è stato anche chiesto a bruciapelo. “Se avessi fatto quello che ho fatto per denaro, ora non sarei qui in mezzo a voi, a cercare nel mio piccolo di farvi stare un pò meglio. Sarei in tutt’altra parte, non credete?”. Applauso fragoroso. Al San Pio X ci sono detenuti di oltre trenta nazionalità. Con culture e religioni diverse. “Ho avuto la fortuna di girare il mondo, di conoscere tanta gente, ma ho capito una cosa: siamo tutti figli di uno stesso Dio, tutti fratelli sotto lo stesso cielo”, ha concluso “l’uomo a piedi nudi”. Altro applauso fragoroso, sincero. Un detenuto africano lo ha addirittura abbracciato: “Felice di averti conosciuto, Tom Perry”. Immigrazione: Forum Pd; cittadinanza per chi è nato in Italia e basta con i Cie di Luciana Cimino L’Unità, 26 marzo 2012 Le proposte in un documento dopo un anno e mezzo di discussione. “Nei centri i migranti restano anche per 18 mesi: questa è detenzione”. Se non lo farà questo governo tecnico, sarà uno dei primi atti della prossima legislatura: la cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia. E poi la riforma dei Cie, divenuti centri dove i migranti sono detenuti anche per 18 mesi. Bonificare il Paese dagli effetti nefasti della legge Bossi Fini e di dieci anni di politiche securitarie del centro destra. Con questo obiettivo il Forum immigrazione del partito democratico ha presentato un documento programmatico sul tema. Discusso per oltre un anno e mezzo dal Forum, ed esposto davanti alle delegazioni di trenta paesi (tutti immigrati militanti a vario livello nel partito o in associazioni ad esso collegate), la bozza sarà diffusa nei circoli territoriali e nelle feste dell’Unità in programma quest’estate. Per raccogliere modifiche ma soprattutto per condividerla con amministratori locali e militanti. Quello che vi viene proposto è infatti un completo cambio di rotta rispetto alle politiche degli ultimi anni. “La Bossi Fini non è riformabile, va pensionata, la proposta del Pd è alternativa concettualmente”, spiega Marco Pacciotti, coordinatore del Forum immigrazione. I democratici prevedono un percorso in tre fasi: per prima cosa un pacchetto di norme in grado di “bonificare le distorsioni più evidenti prodotte in questi anni”, dice Livia Turco, presidente del Forum e specifica: “Abrogazione del reato di immigrazione clandestina, la revisione dei requisiti per i ricongiungimenti familiari che oggi impediscono il diritto all’unità della famiglia, la modifica dei tempi del permesso di soggiorno consentendo la possibilità della ricerca di un lavoro”. Soprattutto il Pd parla di “superamento dei Cie” e cioè ricondurre il trattenimento solo al fine dell’identificazione dello straniero ma non più “carcere per innocenti”. “La destra ha portato la detenzione a 18 mesi, quanto nel codice è la pena per reati gravi contro la persona. E inammissibile relegare persone che hanno la sola colpa di non avere i documenti in regola a quella pena”, argomenta Pacciotti. E la Turco sottolinea: “Non c’è rapporto tra gli attuali Cie e i centri che avevamo previsto noi con la legge 40, chi lo sostiene dice un aberrazione giuridica”. La seconda fase prevede una legge delega per promuovere l’ingresso regolare e favorire l’integrazione. Infine un codice dell’immigrazione che stabilisca dei diritti chiari e che non possa essere “soggetto alle intemperie politiche”. “Dobbiamo tornare a un sistema di espulsioni coerente con la nostra Costituzione e con le leggi europee in materia”, dicono i democratici che si augurano una “battaglia culturale perché si capisca che siamo discontinui con quelle politiche”. E per questo le cose urgenti da affrontare sono due: la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia e il diritto di voto. Al vaglio delle Commissioni ci sono al momento due proposte di legge di iniziativa popolare sul tema presentate anche con il contributo fondamentale del Pd. “È importante che se ne parli ma nel caso non si dovesse fare in tempo in questa legislatura, la cittadinanza sarà uno dei primi atti del governo che si formerà nel 2013”. Spagna: io, torturato nel carcere italiano; detenuto per 2 anni a Roma e Napoli, poi assolto di Tommaso Caldarelli www.giornalettismo.com, 26 marzo 2012 Óscar Sánchez è tornato a Barcellona, dopo aver passato ben due anni accusato di un crimine che non aveva commesso: traffico di droga. È saltato fuori che un appartenente alla mafia uruguayana aveva utilizzato i suoi documenti per effettuare “varie transazioni”, precisa El Pais: insomma, un caso di furto di identità. E due anni di vita perduta nelle carceri italiane, dove, racconta Oscar, il detenuto sarebbe stato letteralmente seviziato. “A Roma”, dove l’uomo è stato inizialmente detenuto, “mi hanno trattato con rispetto, ma a Napoli è andata diversamente. Mi hanno picchiato con un bastone, bruciato con le sigarette, calciato nel petto, spinto la testa nell’armadio e inciso una “N” per “Napoli” nel mio braccio”, racconta Oscar, che però dice di non avercela con l’Italia: “Una cosa è l’Italia, un’altra quel che mi è successo. È stata un’esperienza che mi ha aiutato ad essere più uomo, più disciplinato e a dire di no alle cattive persone”, spiega Oscar. “Prima del mio arresto”, dice, “dicevo sì a tutti”. “Sanchez”, racconta El Pais, “è stato arrestato come sospetto narcotrafficante dopo che un membro della mafia uruguayana, Marcelo Roberto Marín, ha usato i suoi documenti per effettuare varie transazioni, come prenotare stanze di albergo. La difesa di Sanchez, come d’altronde la polizia spagnola, ha sempre affermato che l’uomo è stato vittima di furto di identità”. Inizialmente Sanchez aveva detto di aver perso la sua carta di identità, ma più tardi ha ammesso di averla prestata ad una conoscenza in cambio di denaro. Pensava che sarebbe stata utilizzata per una serie di questioni amministrative in favore di un soggetto senza documenti legali”, come un clandestino insomma. “Sembra che sia tutto a posto”, dice di lui il cugino, che lo è andato a prendere in Italia: Oscar è stato accolto dai suoi familiari, festanti. Svizzera: detenuto muore nel carcere di Lugano, inchiesta per accertare cause del decesso Associated Press, 26 marzo 2012 Ieri sera un detenuto nel carcere giudiziario “Farera” di Lugano è stato trovato morto nella sua cella. Si tratta di un 41enne svizzero in carcere preventivo. I soccorritori, nonostante gli sforzi per rianimarlo, non hanno potuto far altro che accertare il decesso. Su quanto accaduto è stata avviata un’inchiesta coordinata dalla Procura pubblica, non è escluso che possa essersi trattato di un gesto estremo. Arabia Saudita: nuova legge prevede frustate e carcere per chi molesta sessualmente donne Nova, 26 marzo 2012 Una bozza di legge che l'Assemblea della Shura (parlamento) dell'Arabia Saudita si appresta a esaminare nel corso di questo mese prevede frustate e carcere per chi molesta sessualmente una donna. Secondo il membro dell'Assemblea e docente di scienze politiche Sadqa Fadil, la nuova legge, approntata dalle Commissioni per gli affari religiosi e sociali dell'Assemblea, identifica i diversi reati nell'ambito delle molestie sessuali e stabilisce le pene per ciascuno di essi. Si tratta di un ventaglio di provvedimenti punitivi che partono dall'ammonizione e le sanzioni pecuniarie per finire con la flagellazione e il carcere.