Giustizia: per le carceri italiane ci vorrebbe una stagione di riforme Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) www.socialnews.it, 22 marzo 2012 Nelle carceri italiane sono recluse 22.000 persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. In concreto, ciò significa che i detenuti non hanno spazio vitale, nelle celle sono costretti a stare in piedi alternativamente, non godono di un minimo di riservatezza quando usufruiscono del bagno, devono dividersi un paio di docce in cento e più persone, oziano chiusi in pochi metri quadrati per 22 ore al giorno. In questo condizioni, non esiste chance di recupero sociale. Le prigioni sono oramai dei dormitori fatiscenti e sporchi, nei quali le condizioni di esistenza hanno oltrepassato la soglia del tollerabile. Lo ha dichiarato il Presidente della Repubblica, lo ha fatto notare anche il Pontefice, lo ha ribadito il Ministro della Giustizia. Eppure, non cambia nulla, o molto poco. Ci vorrebbe una stagione di riforme, la quale, però, stenta a farsi largo tra le mura di un pensiero politico ancora troppo condizionato da una ricerca affannosa di consenso. Questo si ottiene più facilmente parlando alla pancia delle persone. Il paradigma dei diritti umani richiede, invece, coraggio. Il sovraffollamento è determinato da varie cause concorrenti: un’anomalia tutta italiana consiste nell’eccesso di carcerazione di persone in attesa di giudizio (il triplo rispetto a molti Paesi europei), di persone che hanno violato la legge sulle droghe (il doppio rispetto alla media europea), di immigrati detenuti (numeri persino più corposi rispetto a Nazioni caratterizzate da una tradizione di immigrazione, come Francia ed Inghilterra). In questo contesto, appare quasi inutile una tra le migliori leggi penitenziarie del vecchio continente, seppure, nel tempo, contro-riformata varie volte. Come sempre accade nel nostro Paese, il gap tra norme e prassi è però vistoso. Non sempre ciò si riscontra nelle altre Democrazie europee, soprattutto in quelle nordiche. In Norvegia, ad esempio, hanno sperimentato le liste di attesa penitenziaria: nessuno può essere incarcerato se non vi è posto. In Germania, la Corte Costituzionale ha affermato che lo Stato deve rinunciare al potere di punire se non si trova nelle condizioni di assicurare una vita detentiva dignitosa. Il sovraffollamento, fonte di malattie e di violazioni di legge, non può però mai legittimare l’uso della violenza. Per 48 anni, l’Italia non aveva mai subito condanne da parte della Corte Europea per i Diritti Umani per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti Umani del 1950, la quale proibisce la tortura. Negli ultimi sei anni, ne ha subite ben cinque. Negli ultimi mesi, noi di Antigone ci siamo costituiti due volte in giudizio (ad Asti e Firenze) per violenze brutali perpetrate da esponenti della polizia penitenziaria nei confronti di persone detenute. Gli autori facevano parte di squadrette penitenziarie, gruppi di agenti di polizia penitenziaria usi a maltrattare i reclusi fuori da ogni regola. Ad uno di loro hanno strappato i capelli con le mani. Oggi, finalmente, hanno luogo i primi processi, seppure tra molte resistenze ed omertà. La tortura, però, non è considerata ancora un crimine per il nostro ordinamento, nonostante le plurime sollecitazioni giunte dall’Onu. L’Italia si è impegnata ad adeguare l’ordinamento interno a quello internazionale dal 1989, ma è rimasta inadempiente. Quest’anno riceveremo la visita degli ispettori europei anti-tortura. Vedremo cosa verrà detto loro. Intanto, nelle galere italiane si muore. Nel solo 2011 i suicidi sono stati 66, uno ogni mille detenuti. Un numero impressionante, segno di una condizione nella quale i detenuti ed i loro problemi risultano anonimi per i loro custodi. Eppure, qualcosa contro violenze e morti si potrebbe fare subito: il Governo dovrebbe anch’esso costituirsi parte civile ogniqualvolta si instauri un processo per violenze. Il messaggio per chi agisce violenza sarebbe dirompente. In secondo luogo, bisognerebbe garantire ai detenuti la possibilità di avere contatti telefonici frequenti con i loro parenti ed i loro amici. Ciò aiuterebbe tantissimo a sopportare meglio la solitudine e ad evitare i suicidi. I diritti umani richiedono forme di controllo e monitoraggio. L’Italia non ha mai istituito un organismo di controllo delle condizioni di detenzione, nonostante sia obbligata a farlo da documenti internazionali che firma con tanta facilità. Da qualche anno abbiamo quindi deciso di dare vita ad un organismo di tutela non governativa dei diritti delle persone private della libertà. A noi possono rivolgersi detenuti, familiari, conoscenti, per richiedere una consulenza legale. Abbiamo presentato alla Corte Europea 130 ricorsi circostanziati per sovraffollamento. Nel 2009, l’Italia è stata condannata a Strasburgo perché a Roma un detenuto era costretto a vivere in meno di tre metri quadrati. In ognuno dei 130 ricorsi presentati, la situazione è paragonabile, se non peggiore. La nostra struttura è composta da avvocati ed esperti che lavorano in totale gratuità. La maggior parte delle lamentele dei detenuti riguarda la salute negata, i trasferimenti non concessi, le angherie subite. Di fronte ad un quadro così allarmante, è possibile intervenire. L’assenza di risorse non è una giustificazione: il problema è principalmente culturale. Giustizia: il contro-primato italiano sulle carceri di Sandro Gozi (Parlamentare Pd) Europa, 22 marzo 2012 Un’altra condanna della Corte europea dei diritti umani, l’ultima di una lunga serie di richiami sulle carceri italiane, sulla lentezza dei processi e sull’inadeguatezza della legge Pinto, sui risarcimenti delle vittime di errori giudiziari, sulla custodia cautelare. A cui si aggiungono quelle della Corte di giustizia europea sulla responsabilità civile dei giudici. La giustizia italiana produce illegalità europea. Nell’era dei contagi, mentre tutti sono preoccupati per il virus finanziario greco, la malattia democratica italiana sta infettando l’Europa. E un altro sciopero della fame nella dura battaglia di Marco Pannella contro un sistema che ha spinto lo stesso segretario generale del Consiglio, Thorbjorn Jagland, ad accusare apertamente l’Italia di snaturare così il fine ultimo della Corte europea dei diritti dell’uomo. Che sarebbe quello di cessare le violazioni dei diritti fondamentali dopo una condanna, di rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il rispetto. Assieme a Russia e Ucraina, infatti, siamo i più condannati in Europa. Non una bella compagnia, non un bel primato. E la mancanza di azioni più coercitive delle istituzioni europee contro l’Italia rischiano di trasformare Consiglio d’Europa e Unione europea in complici dell’illegalità italiana. Il governo Monti ha cominciato a dare risposte, con il decreto sul “sovraffollamento delle carceri”. Un passo avanti. Ma tutti sappiamo che rispetto agli obblighi europei è una risposta parziale, insufficiente e che riguarda solo alcuni aspetti della malatissima giustizia italiana. Ogni giorno, nelle patrie galere, viene negata la dignità personale, vengono violati i diritti fondamentali. Ma un uomo non è il suo errore. E un detenuto non è solo il crimine che ha commesso. Né un uomo deve pagare oltre misura per gli errori che ha compiuto. Le nostre prigioni ci allontanano ogni giorno di più dall’Europa: sul tema dei diritti, siamo una paese alla deriva, con uno spread elevatissimo rispetto a quell’Europa che abbiamo voluto e di cui ci piace tanto parlare. Sono anni che l’Italia viene condannata per le sue carceri disumane. Già nel 2009 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva stabilito nell’ormai famoso caso Sulejmanovic contro Italia che, “sebbene non sia possibile fissare in maniera certa e definitiva lo spazio personale che deve essere riconosciuto a ciascun detenuto all’interno della propria cella, ai termini della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la mancanza evidente di spazio costituisce violazione dell’articolo 3 della Convenzione, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti”. Noi invece, in Italia, applichiamo le direttive Ue sullo spazio vitale dei polli da allevamento o per il trasporto degli animali, ma neghiamo lo spazio minimo vitale alle donne e agli uomini che scontano la loro pena nelle nostre carceri. Il problema del nostro sistema giudiziario però non si limita alla mancanza di spazi adeguati. Un’altra grave anomalia è la lentezza della giustizia. Problema per il quale l’Italia è sottoposta dal 2001 (sì, avete letto bene, da 11 anni) ad un monitoraggio periodico da parte del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulle misure adottate (o meglio non adottate…) per risolverlo. Monitoraggio che ha portato a varie condanne, dopo gli scarsi risultati ottenuti dagli inviti rivolti dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa al governo italiano per modificare la cosiddetta “legge Pinto” e accelerare la corresponsione degli indennizzi per eccessiva durata dei processi previsti da tale legge. La risoluzione faceva seguito ad un’altra sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il caso Gaglione, che ha constatato in 475 casi la violazione della Convenzione europea da parte dello stato italiano per i ritardi nella corresponsione dell’indennizzo. I processi italiani sono giudicati come irragionevoli, iniqui e troppo lunghi. Ma è arrivato il momento che ad occuparsi del “caso Italia” sia la stessa Unione europea, che ha poteri ben più stringenti rispetto al Consiglio d’Europa. Con il trattato di Lisbona, infatti, l’Ue può e deve occuparsi direttamente delle gravi violazioni dei diritti fondamentali che avvengono al suo interno. Si potrebbe obiettare che le questioni sulla detenzione rientrano nella competenza degli stati membri e non in quella dell’Unione europea. Tuttavia, esse possono avere un impatto diretto sul buon funzionamento del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie all’interno dell’Unione. E ciò può costituire la base per un intervento da parte dell’Unione. Non a caso, su questo tema l’attenzione delle istituzioni comunitarie negli ultimi anni è stata sempre più alta. Nel 2009 il Consiglio europeo ha adottato il programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014, che prevede un impegno particolare dell’Europa in materia di detenzione. Nel 2011 poi la Commissione europea, con un apposito Libro verde, ha deciso di approfondire il legame tra le condizioni della detenzione e gli strumenti del riconoscimento reciproco adottati a livello europeo, come ad esempio il mandato d’arresto europeo o l’ordinanza cautelare europea, intende esaminare le misure alternative alla custodia cautelare, e stabilire norme minime Ue sulla durata massima della custodia. Di recente, il parlamento europeo ha poi approvato una risoluzione sulle condizioni detentive nell’Ue, invitando gli stati membri a stanziare idonee risorse all’ammodernamento delle carceri e chiedendo alla Commissione europea di avanzare una proposta legislativa sui diritti delle persone private della libertà, di sviluppare regole minime per le condizioni carcerarie e di detenzione nonché standard uniformi per il risarcimento delle persone ingiustamente detenute o condannate. Sono esattamente gli stessi punti su cui alla camera dei deputati abbiamo impegnato il governo: non possiamo chiedere agli italiani anni di sacrifici per parametri economici e tollerare ancora a lungo che lo stato violi costantemente alcuni principi fondamentali alla base della comunità europea di cittadinanza. Ma dobbiamo pretendere un’azione più rapida e incisiva anche da parte delle istituzioni europee. E se la tolleranza dell’illegalità italiana, se l’inerzia europea continuerà, alle denunce contro l’Italia, dovranno seguire denunce contro le stesse istituzioni Ue. Sulla carta, Europa di Lisbona significa più democrazia, più libertà fondamentali, più doveri da parte degli stati membri. Ma l’Italia, e l’Europa stessa, non sono ancora entrate in questa nuova logica. Tuttora, in Europa, la vita democratica è enunciata nei trattati ma non praticata nelle politiche. Così, la democrazia reale europea rischia di soffocare nella culla la democrazia europea che vogliamo e dobbiamo costruire. Giustizia: noi e il digiuno di Marco Pannella… “grazie” a Sandro Gozi di Valter Vecellio Notizie Radicali, 22 marzo 2012 Ancora una volta bisogna dire grazie a Stefano Manichini, Federico Orlando, Mario Lavia, i responsabili di un quotidiano “povero” come “Europa”, che pur nella scarsità di pagine che hanno a disposizione, riescono tuttavia ogni giorno a fornire informazione e darci elementi preziosi di riflessione e confronto. Il “grazie” di oggi è per l’articolo di un parlamentare del Pd, Sandro Gozi, che interviene con un articolo che riassume efficacemente la situazione: “Carceri, il contro-primato italiano”. L’intero suo articolo lo trovate riprodotto nella rassegna stampa. Qui se ne riporta solo una parte: “La giustizia italiana produce illegalità europea. Nell’era dei contagi, mentre tutti sono preoccupati per il virus finanziario greco, la malattia democratica italiana sta infettando l’Europa. E un altro sciopero della fame nella dura battaglia di Marco Pannella contro un sistema che ha spinto lo stesso segretario generale del Consiglio, Thorbjorn Jagland, ad accusare apertamente l’Italia a snaturare così il fine ultimo della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Che sarebbe quello di cessare le violazioni dei diritti fondamentali dopo una condanna, di rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il rispetto. Assieme a Russia e Ucraina, infatti, siamo in più condannati in Europa. Non una bella compagnia, non un bel primato. E la mancanza di azioni coercitive delle istituzioni europee contro l’Italia rischiano di trasformare Consiglio d’Europa e Unione Europea in complici dell’illegalità italiana”. Ed è quello che Pannella segnala da giorni, da settimane, inascoltato; della denuncia di Jagland su “Notizie Radicali” ne avevamo riferito il 24 gennaio (“Il segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland sul “caso Italia”). Coglie nel segno, Gozi, quando parla di virus che dall’Italia rischia di infettare - se già l’ha fatto - l’Europa. E i sintomi, in questo senso, già si colgono; a volerli e saperli cogliere, beninteso. Da anni, inascoltati, si segnalava la preoccupante situazione nei tribunali e negli uffici giudiziari, con il loro spaventoso numero di processi che vanno in fumo per prescrizione. E contestualmente, il numero di detenuti suicidi e comunque morti in carcere; sempre in solitudine da tempo si segnala che anche tra gli agenti della polizia penitenziaria scattano con inquietante frequenza un meccanismo per cui si preferisce farla finita. Giustizia: anche i carcerati hanno i loro diritti… un convegno per parlarne di Riccardo Scarpa L’Opinione, 22 marzo 2012 Non è vero che i carcerati debbano vivere in strutture fatiscenti o comunque inadeguate, stipati in più in una piccola stanza, soggetti agli abusi dei prepotenti, in quanto mancano le risorse per dotare il Paese di strutture nuove, architettonicamente adeguate, e soprattutto umane, dove la pena consista nella restrizione della libertà e non in violenza fisiche e morali ulteriori, a cui nessun giudice dello Stato li ha condannati. Questo non solo in quanto le carceri sono affollate da soggetti che non vi dovrebbero essere, come tossicodipendenti che dovrebbero essere considerati malati ed affidati al servizio sanitario nazionale, immigrati clandestini i quali andrebbero rimpatriati e non rinchiusi in strutture penitenziarie a spese del contribuente per l’introduzione d’un reato assurdo a soli scopi demagogici e quant’altro o, come ha dichiarato di recente il ministro Paola Severino, in quanto dovrebbero essere introdotte pene diverse dalla detenzione ad esempio allo svolgimento obbligato di servizi d’utilità sociale per quei reati di minore allarme sociale, ma in quanto lo Stato Italiano ha risorse sovrabbondanti disponibili per nuova edilizia carceraria. Infatti quegli edifici spesso anche molto antichi sono posti nei centri storici delle maggiori città italiane e gli ergastoli in isole dalla natura magnifica, e potrebbero essere benissimo ceduti per più consoni utilizzi di prestigio in cambio della costruzione di strutture modello, adeguate ai tempi e capienti. È questo il dato fondamentale che emerge dal dibattito su: “L’universo della detenzione, storia architettura e norme dei modelli penitenziari”, svoltosi a Roma presso la sede nazionale della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo con Arturo Diaconale de L’Opinione e Stefano Folli de Il Sole 24 Ore, i senatori Luigi Compagna (Pdl) e Valerio Zanone (Presidente d’Onore della Lidu), il Prof. Giovanni Puglisi, Presidente della Commissione italiana per l’Unesco, Enrico Sbriglia Direttore Generale del Ministero della Giustizia, presieduto dall’On. Alfredo Arpaia Presidente della Lidu, e coordinato da Riccardo Scarpa, Segretario Nazionale dell’organizzazione, con la occasione di presentazione di un libro dallo stesso titolo, curato da Domenico Alessandro de Rossi ed edito pei tipi di Mursia. Il dibattito rientra in una nuova fase d’iniziativa civile della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, la più antica associazione in Italia per l’affermazione dei Diritti degli esseri umani, fondata nel 1909 da Ernesto Nathan, ed una delle cento sessantadue leghe nazionali appartenenti alla Fédération Internationale des Ligues des Droits de l’Homme - Fidh, l’organizzazione non governativa con sede a Parigi, che anche la Lidu ha concorso a fondare nel 1922. Giustizia: Giovanni Torrente; bene l’indulto, meglio l’amnistia missione svuotare le carceri intervista di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 22 marzo 2012 Giovanni Torrente, facoltà di Giurisprudenza di Torino, ci spiega che l’indulto è positivo ma che l’amnistia è molto meglio. L’indulto del 2006 ha avuto degli effetti positivi sul sistema penitenziario italiano, ma l’amnistia potrebbe averne molti di più. Lo ha detto alla “Voce” Giovanni Torrente, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, che ha realizzato uno studio sugli effetti dell’indulto del 2006 per l’associazione. Antigone. Giovanni Torrente, nel 2007 lei ha pubblicato un’analisi sugli effetti dell’indulto votato nel 2006 dal Parlamento. Quali sono state le conclusioni dello studio? “Il nostro studio ha avuto diverse fasi nel monitoraggio. In ultima analisi siamo ani vati a prendere in esame i risultati di questo provvedimento nell’arco di cinque anni. E oggi possiamo dire che i risultati della nostra ricerca sono definitivi perché si riferiscono alla recidiva quinquennale. La ricerca conferma quanto era stato già dimostrato dalla letteratura negli anni passati quando si era trattato di studiare la recidiva per i provvedimenti di clemenza. La recidiva di persone che beneficiano di provvedimenti demenziali non è superiore rispetto a quella di chi esce dal carcere o finisce la pena entro i termini previsti. Nel caso dell’indulto del 2006 abbiamo notato tuia recidiva sensibilmente inferiore rispetto all’ordinario. Infatti, a cinque anni dall’entrata in vigore dell’indulto, la recidiva per i reati commessi è calata, dal 70 per cento circa, al 34 per cento. Il calo è stato molto sensibile”. L’indulto del 2006 ha prodotto effetti sul sistema penitenziario? “Gli effetti sono stati indubbiamente positivi per lo svuotamento delle carceri. I beneficiari del provvedimento sono stati circa 35mila. La deflazione negli istituti di pena è stata molto sensibile. Il periodo nel quale il sistema penitenziario è tornato nell’ottica dei posti disponibili è stato di circa un anno. Tutto è tornato così nei canoni della legalità. L’amnistia potrebbe avere gli stessi effetti cancellando anche l’arretrato giudiziario”. Negli ultimi 20 anni l’assenza di provvedimenti di clemenza ha consolidato la microcriminalità? “Il discorso è molto complesso. La carcerazione è spesso un elemento criminogeno invece che un momento di rieducazione del reo. Fino al 1990 i provvedimenti di clemenza erano frequenti. L’assenza di questi provvedimenti ha avuto un effetto negativo sul sistema carcerario dal punto di vista del sovraffollamento. I penitenziari si sono riempiti di ladri di polli”. Cosa pensa del dibattito sull’amnistia? “Credo che il panorama politico sconti ancora il panico per l’entrata in vigore dell’indulto. Il termine amnistia è spacciato come una parola negativa. Lo abbiamo visto quando è stato approvato il decreto Severino, che è stato considerato un’amnistia mascherata”. Giustizia: Severino visiterà ex carceri Asinara e Pianosa, per valutare possibile riapertura La Nazione, 22 marzo 2012 L’ipotesi di una presenza di detenuti non in regime di 41-bis potrebbe anche concretizzarsi con attività di tipo agricolo, di tutela ambientale o comunque di manutenzione delle strutture ormai fatiscenti. Uno degli scopi delle visite che il ministro Severino intende compiere nelle due isole è anche quello di procedere ad una valutazione sulla fattibilità di progetti che prevedano la presenza dei detenuti all’Asinara e a Pianosa, ma in un sistema di compatibilità con la tutela ambientale e turistica delle isole. Sempre secondo quanto appreso, anche questo aspetto sarebbe stato toccato nell’incontro in cui è stato discusso della scuola della magistratura a Castelpulci e al quale, oltre al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e al presidente della corte d’appello di Firenze Fabio Massimo Drago ed al procuratore generale Beniamino Deidda, ha preso parte anche il capo del Dap Giovanni Tamburino: un’occasione durante la quale sarebbe stato fatta una ricognizione sulla situazione dei carceri in Toscana e quindi, ultima solo in ordine di tempo, anche su quella dell’isola di Pianosa dove l’ipotesi di una presenza di detenuti non in regime di 41 bis potrebbe anche concretizzarsi con attività di tipo agricolo, di tutela ambientale o comunque di manutenzione delle strutture ormai fatiscenti, prospettate dalla stessa cooperativa sociale di detenuti che lavora sull’isola. Possibile un “carcere leggero” all’Asinara (La Nuova Sardegna) “Ho già deciso di verificare di persona la situazione a Pianosa e all’Asinara”: il ministro della Giustizia puntualizza la sua “necessità di compiere una riflessione sull’opportunità di riaprire le diramazioni” nell’isola-carcere Quasi si sorprende del polverone sollevato con quelle dichiarazioni che hanno rimesso al centro della “riflessione” l’Asinara e Pianosa, ma anche il 41-bis e una sempre più efficace lotta alla mafia. Il ministro della Giustizia Paola Severino d’altronde l’aveva detto fin dal suo insediamento in via Arenula: “Le carceri sono la prima urgenza”. Ministro, allora si riapre veramente il carcere dell’Asinara oppure è stata fraintesa, come sostiene il presidente della Commissione antimafia Giuseppe Pisanu? “Procediamo con ordine: martedì, in occasione dell’audizione in Commissione antimafia, ho risposto a una domanda molto precisa dell’onorevole Giuseppe Lumia che chiedeva se il governo avesse previsto l’apertura di 41-bis nelle zone insulari, con particolare ed esclusivo riferimento a Pianosa e Asinara. Io ho premesso che a Sassari e Cagliari saranno di imminente apertura nuovi istituti - e in parte verranno destinati a tale scopo; mi sono poi limitata a sottolineare la necessità di compiere una approfondita riflessione sull’opportunità di riaprire le diramazioni nelle isole dell’Asinara e, soprattutto, Pianosa”. E dunque? “E dunque non c’è alcuna decisione presa in tal senso, perché questa riflessione presuppone una analisi molto accurata dello stato dei luoghi, dei costi di ristrutturazione e dell’idoneità delle strutture”. Tra le critiche che le hanno rivolto c’è anche quella di non conoscere i luoghi e di non essersi confrontata con le istituzioni locali... “Ho già deciso di verificare di persona la situazione, con un sopralluogo che intendo fare sia all’Asinara che a Pianosa”. Ma nel caso di una sua valutazione positiva, per una o per entrambe le isole, l’obiettivo sarà sempre quello di ospitare detenuti in regime di 41-bis? “Non è detto. Sul modello dell’isola di Gorgona, ad esempio, si potrebbero ospitare detenuti impiegati in lavori di tutela e di valorizzazione delle risorse ambientali e naturali. In scala ridotta, un piccolo nucleo di detenuti ancora ospiti a Pianosa hanno già avviato qualcosa di simile: la cooperativa San Giacomo gestisce sull’isola un piccolo albergo e un ristorante. È una idea, ma prima di realizzarla vanno fatte le necessarie verifiche e adeguate valutazioni”. Riflessione più ampia, quindi, e ragionamento articolato sulle ex isole-carcere. Sceglie la linea del confronto il Guardasigilli e la sua posizione non è certo diversa da quella trapelata dopo l’a udizione in Commissione antimafia presieduta dal senatore sassarese Giuseppe Pisanu. Era stato propio lui, ieri, a stemperare le tensioni: “Non c’è nessun allarme sul futuro dell’Asinara, le parole pronunciate dal ministro della Giustizia Paola Severino sono state fraintese: ha semplicemente risposto a una domanda del senatore Lumia, ben sapendo che l’Asinara è Parco nazionale e non può in alcun modo essere retrocessa alla sua vecchia destinazione”. Per Pisanu, quindi, nessun problema “per la nostra splendida isoletta, se non quello di reperire le risorse necessarie a farla progredire come prezioso parco naturale”. Il ministro Paola Severino, allieva di Giovanni Maria Flick - anche lui da ministro della Giustizia nel governo Prodi si era occupato, insieme all’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Arturo Parisi, dell’Asinara - sarà presto sull’isola. Per verificare di persona la situazione, magari anche per capire se quel progetto del cosiddetto “carcere leggero” - da anni nel cassetto del ministero e del Dap - ha ancora senso oppure no. Cioè se detenuti a basso indice di pericolosità possono lavorare in un parco che funziona. Giustizia: Sarno (Uil-Penitenziari); riaprire carceri di Pianosa e Asinara costerebbe troppo di Gianmaria Roberti La Discussione, 22 marzo 2012 L’idea di fondo, quella di “creare circuiti penitenziari omogenei”, è valida. Ma riaprire le carceri di Pianosa e dell’Asinara “non si può: costerebbe troppo”, sostiene Eugenio Sarno, segretario generale Uil penitenziari. Perché ritiene non praticabile la proposta del ministro Severino? Occorre mantenere il 41 bis come strumento anche di prevenzione della gestione degli affari criminali all’interno delle carceri, anche se col tempo si è annacquato. Dissentiamo sull’apertura di Asinara e Pianosa, non tanto rispetto al principio quanto alla opportunità. Aggregare in 1-2 istituti tutti i 41 bis ci trova d’accordo, perché concretizza la nostra idea di circuiti penitenziari omogenei, e tra l’altro andremo incontro ad un notevole risparmio di forza lavoro, sempre che questi istituti siano poi attrezzati con centri clinici ed un servizio di teleconferenza. Altrimenti ci sarebbe una diseconomia dovuta al pendolarismo giudiziario di persone scortate da un congruo numero di agenti di polizia penitenziaria. Non riteniamo utile la riapertura perché quelle due strutture sono degradate a tal punto che occorrerebbe mettere molti soldi sul tavolo, laddove ci sono strutture già idonee all’uopo. Da alcune parti si sollevano anche obiezioni di stampo ambientalista… Non entro in argomentazioni dei politici riguardo la presenza di parchi ecologici nelle aree interessate. Ma i soldi che servirebbero per ristrutturare quegli istituti, potrebbero servire per ristrutturare altre strutture nazionali, che all’80% sono state costruite prima del 1800. Il personale di polizia penitenziaria come accoglierebbe la riapertura? Occorre anche fare una riflessione sul personale da destinare a sedi non certo ambite. Ma quali potrebbero essere valide alternative a Pianosa ed Asinara, luoghi isolati e adatti a spezzare il legame tra boss e territori di appartenenza? Sono diverse le strutture che risponderebbero a queste esigenze. Una cosa si deve escludere a priori: non devono essere nelle regioni contaminate dalle organizzazioni criminali. Tolte quelle 4 regioni, ci sono strutture idonee e già pronte in tutta Italia. Strutture idonee, ma non sono morfologicamente isolate come Pianosa e Asinara. L’isolamento produttivo non deriva dalla collocazione insulare del penitenziario, ma da una serie di norme e disposizioni che possono rendere più o meno efficace il 41 bis. E su questo ci sono anche sentenze che vanno in senso opposto: possiamo tenerli pure ad Asinara e Pianosa, ma se ai. detenuti si consente un numero di colloqui maggiore, la lettura quotidiani, momenti in cui si possono mandare messaggi in codice, lo strumento non serve. Ma giurisprudenza e norme hanno affievolito, negli anni, il 41 bis? Credo che il 41 bis debba impedire ad alcuni soggetti di comunicare fra loro e quindi all’esterno e dare ordini. Rispetto a questo non dimentico il valore di garantire anche una dignità detentiva a questi soggetti: per dirla francamente trovo inutile che debba stare con luce accesa 24 ore, molto più idoneo intervenire sul piano della prevenzione, come il controllo della corrispondenza e registrare i colloqui. Giustizia: riaprire il carcere di Pianosa… è una follia di Fabrizio Ciuffini (Segretario regionale Cisl Fns della Toscana) www.toscananews24.it, 22 marzo 2012 Era la fine del 2009 ed anche il ministro della Giustizia Alfano ebbe la folle idea di proporre la riapertura del carcere sull’isola di Pianosa. Dopo che ci hanno spiegato che il governo dei politici era inadeguato, qualcuno sperava che il governo dei tecnici, vista la grave crisi nel Paese, avrebbe evitato sciocchezze. Invece passa il tempo, cambiano i governi, ma la follia resta annidata nelle stanze del ministero di via Arenula, dove ad ogni nuovo ministro che arriva c’è qualcuno che ripropone la stessa malsana idea: riaprire Pianosa. La situazione penitenziaria in Toscana è una vera emergenza, con 4000 detenuti invece dei 3000 massimo che potremmo ospitare, con una carenza di personale di polizia penitenziaria superiore alle 800 unità. Le strutture che ospitano i penitenziari della Toscana cascano a pezzi, spesso non funzionano i sistemi di sicurezza, i diritti del Personale vengono costantemente violati ed il Ministro che fa? Di carceri sulle isole della Toscana ne abbiamo già due, Porto Azzurro e Gorgona, dove il Personale vive una situazione pesantissima. Gorgona, ad esempio, è senza la mensa da ottobre del 2011 ed ora, a causa di carenza di soldi per l’acquisto di carburante, il ministero vuole tagliare le corse delle motovedette, sistema essenziale di collegamento con la terraferma. Ma in Toscana abbiamo situazioni indegne strutturalmente, come Lucca, Pistoia, Livorno, Siena, Pisa ed invece di intervenire per garantire il rispetto delle norme di sicurezza, ma soprattutto il rispetto della dignità delle Persone, sia chi in questi carceri è costretto a viverci per espiare una condanna, sia per il Personale che ci deve lavorare tra mille difficoltà, si pensa ad una sciocchezza come quella della riapertura di Pianosa. Vogliamo dire al ministro Severino che non sappiamo più come assicurare tutte le traduzioni dei detenuti ai processi, negli spostamenti tra carcere e carcere, nelle visite e ricoveri ospedalieri, sia per un parco automezzi vergognoso, con automezzi che hanno percorso centinaia di migliaia di chilometri e non garantiscono piena affidabilità, sia che non vengono pagate le spese a centinaia e centinaia di Poliziotti Penitenziari che ogni giorno affrontano trasferte fuori sede anticipando di tasca propria ogni impegno economico, e lei ministro Severino vuole riaprire Pianosa? La polizia penitenziaria della Toscana è stanca di questa situazione e la Cisl Fns si fa portavoce di un disagio profondo, grave, che ogni giorno risulta inascoltato soprattutto da una dirigenza penitenziaria regionale che gestisce questo settore come una nave alla deriva, con la differenza che, pensando al naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio, a differenza del comandante Schettino, non abbandonano la propria poltrona di potere neanche adesso che l’acqua gli è ormai arrivata al collo. Ministro Severino cambi idea su Pianosa, vada in Consiglio dei ministri e spieghi ai suoi colleghi che servono investimenti immediati sull’esistente, per dare certezza che lo Stato questa nave la vuole riportare sulla giusta rotta di navigazione, soprattutto quella della dignità. Giustizia: Osapp; serve formazione specifica per agenti addetti a reparti psichiatrici Ansa, 22 marzo 2012 “Il detenuto che ieri ha aggredito un agente di polizia penitenziaria nel carcere di Reggio Calabria, già condannato e in regime detentivo per l’omicidio della moglie, era recidivo. Aveva già sputato a un assistente capo e alcuni giorni aveva incendiato un materasso. La direzione era stata informata, eppure i provvedimenti nei suoi confronti sono arrivati in ritardo”. Lo afferma il vice-segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp Domenico Nicotra in merito all’aggressione, avvenuta ieri nel reparto psichiatrico della struttura, da parte di un detenuto che ha sferrato un pugno in viso ad un agente. “È necessaria ed urgente continua Nicotra - la formazione specifica per il personale della polizia penitenziaria che opera nelle sezioni psichiatriche. Il Governo chiude gli ospedali psichiatrici giudiziari e in ogni carcere il personale si trova a fronteggiare le emergenze create dai detenuti con problemi psichici. Ecco perché è molto importante rivedere la formazione degli agenti che saranno destinati in ogni carcere ai reparti specialistici”. Per Nicotra l’episodio avvenuto a Reggio Calabria fa emergere ancora una volta la condizione di “scarsa sicurezza in cui è costretto ad operare il personale di polizia penitenziaria a causa del sovraffollamento e la carenza di uomini e donne. Nell’istituto reggino, a fronte di una capienza regolamentare di 180 detenuti - conclude - attualmente ce ne sono oltre 370, molti dei quali appartenenti alla criminalità organizzata. Una situazione simile vi è nel carcere di piazza Lanza a Catania”. Giustizia: capo Dipartimento Minorile; dimissioni perché svuotati da nostre funzioni Ansa, 22 marzo 2012 Il capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Manuela Romei Pasetti, non spiega i motivi che l’hanno portata a presentare al guardasigilli, Paola Severino, le proprie dimissioni dopo poco più di un mese dalla nomina, ma nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Giustizia della Camera, oggi, ha sollevato una serie di rilievi allo schema di decreto che dovrebbe riorganizzare il ministero di via Arenula, che la portano a ritenere, nel caso il provvedimento fosse attuato, il proprio dipartimento “svuotato dalle sue funzioni”. I centri sul territorio, ha spiegato Romei Pasetti, “non sarebbero più nella disponibilità del Dipartimento, privato di risorse e personale”, mentre alcune funzioni proprie della giustizia minorile verrebbero affidate al Dap, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, e al Dog (Dipartimento per l’organizzazione della giustizia), facendo venire meno la specializzazione”. Il Dag ha nel proprio organico 42 mila persone, di cui 1.380 specializzati dal Dipartimento della Giustizia minorile, altre 42 mila sono nella polizia penitenziaria, alla dipendenze del Dap, di cui 800-850 che si occupano di minori. “I problemi che ho sollevato sono concreti, e rimarrebbero tali chiunque fosse a Capo del Dipartimento”, ha detto Romei Pasetti, rispondendo al termine dell’audizione a una domanda sulla possibilità che le sue dimissioni possano essere ritirate. La Commissione ha ascoltato anche Donatella Caponetti, dirigente dei centri giustizia minorile di Lazio e Campania, che ha espresso l’uguale preoccupazione che “se attuato, il progetto di riforma porterebbe alla paralisi della Giustizia minorile” e in sostanza alla chiusura del Dipartimento, “il cui capo sarebbe poco più che il direttore di un centro studi”. Di diversa opinione il capo del Dap, Giovanni Tamburino, e il capo del Dag, Luigi Biritteri, che - sentiti sempre oggi dalla Commissione Giustizia - hanno detto di non ritenere a rischio la specificità della Giustizia minorile. Secondo Tamburino, la questione è piuttosto “l’autonomia”, ma si tratta di una scelta “politica”, mentre “la razionalizzazione e la riduzione della spesa dipendono dalla legge”, che ha imposto i tagli. Per il Dap - ha spiegato Tamburino ai deputati - dalla riorganizzazione del ministero non deriverebbe “nessun tipo di problema”, perché “il personale viene specializzato e continuerebbe ad essere specializzato”. Giustizia: Senato; fino a 3 anni di carcere per l’esercizio abusivo di professione Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2012 Reclusione fino a tre anni, sanzione pecuniaria da 10mila euro, confisca dello studio e dei beni di cui il finto professionista si serve per l’esercizio della sua attività. La commissione Giustizia del Senato ha approvato il Ddl sull’esercizio abusivo delle professioni che inasprisce le pene previste per questo reato. Lo annuncia il primo firmatario del provvedimento, Franco Cardiello (Pdl). Che spiega: “Mentre oggi è prevista una sanzione pecuniaria fino a 500 euro o la reclusione di 6 mesi, pene che il patteggiamento di fatto vanificano, con grande nocumento dei cittadini truffati, con il nuovo Ddl - osserva Cardiello - la pena è innalzata, prevedendo la reclusione da 6 mesi a 3 anni a cui si affianca obbligatoriamente una sanzione economica, da mille a 10mila euro. Inoltre, ora è prevista anche la confisca dello studio e dei beni strumentali di chi esercita abusivamente una professione”. L’auspicio è ora che la norma approvata ieri dalla commissione Giustizia, aggiunge Cardiello, “possa arrivare presto all’esame dell’Aula”. La disposizione, licenziata con l’approvazione di emendamenti che modificano dunque il testo base, ha registrato il voto favorevole di Pdl, Lega Nord, IdV, Udc, mentre ha espresso voto contrario il Pd. A spiegare la posizione dei democratici è la capogruppo Pd in commissione, Silvia Della Monica. “Noi avevamo chiesto la depenalizzazione del reato, perché se si va nella direzione di un alleggerimento delle carceri, non possiamo poi approvare norme che di fatto appesantiscono la situazione”, ha detto Della Monica. Che si è però detta favorevole a un “deciso inasprimento delle sanzioni amministrative che arrivino fino alla confisca dei beni” senza però giungere alla pena detentiva”. Lettere: la donna che lavora nella Polizia penitenziaria di Simona Carandente Il Mediano, 22 marzo 2012 Pianeta carcere e pari opportunità. Il ruolo delle operatrici penitenziarie è delicato e di particolare impatto personale e sociale. Quello della parità di condizioni tra uomo e donna nell’accesso a talune professioni, specie se ad appannaggio prettamente maschile, è un tema che torna prepotentemente ad affacciarsi alla ribalta, nell’evidente scopo di delimitare e poi colmare le difficoltà del sesso femminile nell’imporsi nel mondo del lavoro, a parità di condizioni e con i medesimi trattamenti dei colleghi dell’altro sesso. Per quel che riguarda strettamente da vicino il mondo forense, il ruolo della donna comincia ad essere socialmente legittimato: sia in magistratura che nel mondo dell’avvocatura, infatti, le donne sono riuscite a farsi strada, in tempi recenti più che mai, giungendo a ricoprire ruoli di prestigio con risultati eccellenti, senza limitare il loro ruolo a collaboratrici di canuti colleghi o attività di mero segretariato. Sicuramente delicato, oltre che di particolare impatto personale e sociale, è invece il ruolo delle operatrici penitenziarie, il cui numero tende ad aumentare progressivamente nelle carceri di tutta Europa, senza che ciò equivalga a ghettizzarne il ruolo o sminuirne di fatto le mansioni. La categoria delle operatrici penitenziarie impone di fatto, più che ogni altra, un contatto diretto con la figura del detenuto, sia all’interno dell’Istituto che per quel che concerne l’attività di traduzione in udienza, con compiti di sorveglianza e di scorta continui. Tale dato, tuttavia, non costituisce un limite per la crescita esponenziale di personale femminile, tenuto altresì conto che l’aumento della popolazione straniera impone, di fatto, al personale penitenziario un atteggiamento di mediazione e di comunicazione, necessario per potere interloquire costantemente con tali “minoranze”. In Italia, conformemente ad altri paesi europei, la legge vuole che nelle carceri sia presente personale dello stesso sesso dei detenuti: questo per garantire agli stessi il rispetto della dignità personale e della propria intimità, così come si conviene ad un paese civile che intraveda nella pena detentiva grosse potenzialità rieducative. In Francia, invece, la presenza di personale femminile nelle carceri, pur se maschili, è contemplata e legittimata, pur se tale personale viene utilizzato soprattutto nell’ufficio matricola, nell’accoglienza dei visitatori e sorveglianza dei colloqui: del resto, com’è facile comprendere, la presenza femminile è soggetta a restrizioni in caso di interventi, quali doccia e perquisizione personale, in cui il soggetto di sesso maschile può mostrarsi nudo. In Germania, il personale femminile penitenziario viene impiegato soprattutto in servizi specialistici in veste di educatrici, assistenti sociali, psicologhe. Particolare importanza, tuttavia, viene riconosciuta alla parità tra uomo e donna: si punta, difatti, all’indifferenziata acquisizione di competenze ed alla osservanza di identiche modalità di condotta. Caso singolare è quello della civilissima Spagna che, con legge del 2007, ha istituzionalmente previsto la parità dei sessi all’interno del sistema penitenziario spagnolo, abolendo anche dal punto di vista legislativo le differenze nell’accesso alla professione, già vigenti nel precedente sistema, parificando di fatto la figura dell’operatrice penitenziaria a quella del collega maschio di pari ordine e grado. Toscana: il 73% dei detenuti nelle carceri regionali ha almeno una patologia Asca, 22 marzo 2012 Il 73% dei detenuti negli istituti toscani è affetto da almeno una patologia. È quanto emerge da un’indagine condotta nel 2010 dall’Osservatorio per la salute in carcere coordinato dall’Ars (Agenzia regionale di sanità) su 2.985 detenuti, cioè il 71,6% del totale. Dall’indagine risulta che i detenuti europei e nordafricani sono in genere più sani di quelli italiani, principalmente per la loro giovane età (in media sono più giovani di 10 anni). Il 27% dei detenuti sono sani, il 39,8% ha una diagnosi solo internistica, l’8% solo psichiatrica, il 25,2% internistica e psichiatrica insieme. Nonostante la giovane età dell’intera popolazione detenuta (età media 38 anni), la richiesta sanitaria risulta essere molto forte e caratterizzata da tre grandi temi: salute mentale, disturbi dell’apparato digerente e malattie infettive e parassitarie. In particolare, la salute mentale dei detenuti risulta compromessa da disturbi legati al consumo di droghe (12,7%) e disturbi di tipo nevrotico (10,9%), spesso associati a reazioni di adattamento connesse con l’inserimento in ambiente penitenziario. A queste malattie vanno associati i numerosi tentati suicidi che rappresentano un’emergenza per il sistema penitenziario, con valori di gran lunga superiori a quelli riferiti alla popolazione generale: 4% in carcere, 0,006% fuori. Il 10% ha alle spalle almeno un episodio di autolesionismo. Più alta tra i detenuti anche l’incidenza di tubercolosi: 0,4% in carcere, 0,006% fuori. Livorno: il punto sul carcere delle Sughere di Marco Solimano (Garante comunale dei diritti dei detenuti) www.toscananews24.it, 22 marzo 2012 È cosa oramai risaputa che la Casa circondariale di Livorno, tra novembre e dicembre dello scorso anno, ha subito un vero e proprio sfollamento che ha interessato circa 350 detenuti. Due interi settori del carcere, il padiglione D (media sicurezza) circa 250 detenuti ed il padiglione C (alta sicurezza) circa 100 detenuti, sono stati letteralmente svuotati in quanto definiti pericolanti a seguito di accertamenti eseguiti da tecnici del ministero. La maggior parte dei detenuti sono stati accolti, fin dove è stato possibile, all’interno di carceri toscane, peggiorando di gran lunga situazioni già critiche per sovraffollamento, altri sono stati distribuiti nella carceri italiane che avevano posti disponibili. Come se ciò non bastasse sono state svuotate anche le due sezioni femminili per “far posto” ai nuovi arrestati essendo, al momento, fruibile solo la sezione transito e il reparto semiliberi ove sono alloggiati anche i detenuti addetti alle lavorazioni interne. In conclusione attualmente all’interno delle Sughere sono reclusi 120-130 detenuti, distribuiti fra sezione transito ed ex-sezioni femminili e nessuna donna. Tutto questo avviene mentre è in fase di ultimazione un nuovo padiglione, costruito a ridosso del campo sportivo interno, i cui lavori di attuazione si protraggono da ben oltre cinque anni. Sembrava dovesse essere consegnato a dicembre scorso, poi si è parlato di giugno 2012, ora voci consistenti ed autorevoli ci dicono che la consegna slitterà ancora, e si parla non prima del 2013. Tutto ciò è inaccettabile ed incomprensibile. Il nuovo padiglione arriverà ad ospitare circa 200 detenuti, ed essendo di nuova costruzione, saranno rispettati gli standard previsti dall’Ordinamento penitenziario per quel che riguarda l’igiene e la profilassi (acqua calda e doccia in ogni cella). Ma soprattutto l’apertura del padiglione consentirebbe ai tanti concittadini disseminati nelle carceri di Toscana ed oltre, di ritornare nei luoghi di origine (principio della territorialità della pena), tenere vivo il rapporto familiare ed affettivo ed evitare di sottoporre a spese significative e disagi importanti i tanti familiari che si mettono in movimento ogni settimana per garantire i colloqui ai loro congiunti detenuti. Allo stato attuale una donna arrestata a Livorno o in provincia viene inviata, da subito, come minimo nel carcere di Empoli, Siena o Firenze, mancando, al momento, una sezione femminile a Livorno, un carcere che negli ultimi anni ha espresso un turn over annuale di circa 1.300-1.400 detenuti. I bisogni di tutte queste persone meritano la giusta considerazione: per questo ed anche per molte altre questioni il nuovo padiglione dovrà essere quanto prima consegnato alla direzione della casa circondariale di Livorno. Non si comprendono i motivi di questo continuo slittamento dei tempi di consegna, anche perché non vengono fornite spiegazioni. È bene, invece, che qualcuno, forse il Provveditorato Regionale, informi la città sullo stato dell’arte ed assuma impegni non più dilazionabili. L’Ufficio del garante continuerà a seguire con attenzione l’evolvere delle cose attivando tutti gli strumenti necessari per garantire una puntuale informazione e una rapida conclusione della vicenda. Pisa: dalla Regione 35mila euro per migliorare assistenza sanitaria ai detenuti Redattore Sociale, 22 marzo 2012 È quanto ha stanziato la regione al fine di aumentare il numero di ricoveri e interventi chirurgici, ridurre i tempi di ricovero, migliorare il turn-over sui posti-letto. La giunta regionale ha approvato, e finanziato con 35.000 euro, un progetto presentato dalla Asl 5 per il miglioramento dell’assistenza sanitaria nel Centro clinico del carcere Don Bosco di Pisa. Il progetto si propone di migliorare la qualità della degenza e dell’assistenza, di aumentare il numero di ricoveri e interventi chirurgici, di ridurre i tempi di ricovero, di migliorare il turn-over sui posti-letto. “Da tempo la regione Toscana è impegnata sul fronte della salute in carcere - sottolinea l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - La salute è un diritto di tutti indistintamente. Liberi cittadini e detenuti sono uguali davanti alla malattia e hanno diritto ad avere le stesse opportunità e prestazioni sanitarie. Per questo abbiamo approvato delibere, varato linee di intervento, messo a punto iniziative perché la salute in carcere non resti un diritto solo sulla carta, ma diventi una realtà. Il progetto per migliorare l’assistenza sanitaria all’interno del carcere Don Bosco di Pisa va in questa direzione”. Il progetto prevede la riorganizzazione delle stanze di degenza per acuti; la creazione di una decharge room di 17 posti-letto per i pazienti dimessi in attesa di traduzione; la sostituzione della Tac attuale con quella del pronto soccorso di Pontedera; l’installazione della nuova colonna laparoscopica per gli interventi chirurgici; l’informatizzazione del sistema di accettazione dei pazienti; l’attivazione del Ris-pacs (il sistema digitalizzato di trasmissione degli esami radiografici) per la radiologia tradizionale; la distribuzione della nuova carta dei servizi a tutti i detenuti ricoverati nel centro clinico; la sperimentazione di un sistema di telemedicina per le urgenze cardiologiche. Il nuovo assetto prevede 32 posti-letto per la sezione maschile e 7 per quella femminile, più 17 posti-letto nella decharge room, una zona a bassa assistenza sanitaria dove possano essere ospitati i pazienti già dimessi. Il ministero di Giustizia ha espresso apprezzamento per questa importante iniziativa che valorizza una struttura di particolare rilievo per l’amministrazione penitenziaria: il Centro clinico del carcere Don Bosco è stato individuato in sede di Conferenza Stato-Regioni tra i Centri Diagnostici Terapeutici definiti “necessari e insopprimibili”. La struttura del centro supera infatti una logica ed una competenza limitate al territorio regionale: il centro effettua prestazioni specialistiche che garantiscono i bisogni assistenziali della popolazione carceraria proveniente dall’intero territorio nazionale. Il progetto organizzativo del Centro clinico ha il preciso obiettivo di garantire i bisogni sanitari dei detenuti secondo i criteri di efficienza ed efficacia che caratterizzano le moderne strutture ospedaliere, pur tenendo inevitabilmente conto dell’ambito penitenziario nel quale è inserito. Forlì: il Garante regionale dei detenuti Desi Bruno “sovraffollamento contenuto” www.forlitoday.it, 22 marzo 2012 Un situazione di sovraffollamento “contenuta”. È quella che ha riscontrato il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Desi Bruno, visitando la casa circondariale di Forlì. Sono infatti presenti 151 detenuti, rispetto ai 135 previsti, di cui 77 stranieri e 74 italiani. Le donne sono 20, in una sezione dedicata, che soffre di una carenza di personale, soprattutto per quel che riguarda il servizio notturno. “L’obiettivo della direzione del carcere - ha spiegato Bruno - è quella di mantenere questi numeri per poter assicurare le iniziative che sono in corso. La struttura carceraria è molto vecchia e dovrà essere dismessa. Per la nuova Casa circondariale, però, si dovranno attendere tre anni, anche se il nuovo edificio avrebbe dovuto essere ultimato nel 2012, ma una serie di difficoltà ha portato a posticipare la partenza dei lavori a quest’anno”. “I problemi dell’attuale carcere forlivese sono strutturali: un’ordinanza del sindaco ha comunque imposto una serie di lavori, dal rifacimento del tetto, al ripristino delle grondaie e delle celle, dalla ristrutturazione dei bagni, alla tinteggiatura e alla ripavimentazione - si legge in una nota della Regione. Il carcere ha subito quindi un restyling, grazie a un contributo “modesto” dell’amministrazione penitenziaria e a risorse reperite dal volontariato e da aziende del territorio forlivese e cesenate, che, per esempio, hanno fornito la pavimentazione, mentre tutti i lavori sono stati eseguiti dai detenuti”. “Mancano tuttavia le risorse per risolvere il problema delle infiltrazioni e delle grondaie e i 70.000 euro per riaprire una sezione a custodia attenuata per i detenuti tossicodipendenti, oggi chiusa per inagibilità dovuta a problemi strutturali - continua il comunicato della Regione. Nel carcere è inoltre presente una sezione a custodia attenuata per persone in semilibertà e per chi è in procinto di essere dimesso. Si tratta, in questo caso, del cosiddetto ‘codice biancò, nel cui ambito i detenuti sono a cella aperta, sorvegliati con un sistema di videosorveglianza. Esiste anche una sezione per chi ha commesso reati sessuali. Per questi detenuti è previsto un progetto di ascolto unico in Emilia-Romagna, che contempla la presenza di uno psicologo dedicato”. Bruno ha incontrato la direttrice del carcere, lo staff dei responsabili delle varie aree e le associazioni di volontariato. “Ho visto - ha commentato a margine della visita - una grande condivisione di intenti e una positiva sinergia tra volontariato e la direzione dell’area educativa e della sicurezza”. Ci sono infatti molte attività in corso, per esempio attività di assemblaggio elettrico e di riciclo della carta in due laboratori interni, attività culturali, come un laboratorio di pittura, e trattamentali di gruppo per i detenuti definitivi. Sono contemplati anche corsi di alfabetizzazione, di scuola media e ragioneria. “Particolare attenzione è rivolta alla salute dei detenuti attraverso un consistente numero di visite mediche annuali, a cui si aggiungono tre educatori e personale dedicato ai tossicodipendenti - sottolinea la Regione. Sono anche da evidenziare: un progetto, promosso dal volontariato, rivolto all’accoglienza dei famigliari in attesa di colloquio, il lavoro esterno, a cui sono ammessi 11 detenuti, e l’attivazione del progetto Raee, che è un’attività di laboratorio esterna, in collaborazione con gli enti locali, Hera e Technè. Tutte queste attività hanno portato, nel decennio, a una riduzione dell’80% degli episodi di autolesionismo e di sciopero della fame”. Il Garante ha espresso un “giudizio positivo, in particolare sulla sinergia tra i vari attori, sul numero delle attività messe in atto, sulle poche assenze da parte del personale carcerario e sulla cura delle persone. Auspico pertanto - ha detto - che l’attuale direzione possa rimanere per gestire il passaggio al nuovo carcere”. Nuoro: il nuovo braccio del carcere di Badu ‘e Carros non sarà destinato ai detenuti 41-bis La nuova Sardegna, 22 marzo 2012 Il nuovo braccio del carcere di Badu ‘e Carros non sarà destinato ai 41-bis. E non è previsto che alcun super-detenuto vada a raggiungere il boss dei Casalesi Antonio Iovine nella “porcilaia” del penitenziario barbaricino. La notizia arriva dal Dap. E, nonostante sia frutto di un colloquio informale, è degna del più totale credito, visto che a riferirla è una fonte che con il dipartimento non è certo tenera: la deputata radicale Rita Bernardini. Ma se sui 41-bis si incassa la buona nuova (anche se nulla, chiaramente, è dato sapere sul futuro di Iovine), dall’altra arriva puntuale l’allarme sulle drammatiche carenze di personale a Badu ‘e Carros. Complicate dal fatto che le aperture di carceri “a saldo zero” previste dal ministro Severino stanno innescando una pericolosa mobilità tra la polizia penitenziaria, che rischia di asciugare ancor di più un organico già da allarme rosso. “Mi ero fatta carico - spiega la deputata radicale - della situazione del carcere nuorese dopo la mia visita del mese scorso. E ho espressamente chiesto al Dap se fosse previsto l’invio di 41-bis a Nuoro. Mi hanno assicurato, seppur informalmente, che non è nei loro programmi. Speriamo ora che le altre situazioni legate a quel carcere si risolvano al più presto”. “Altre situazioni” che ben chiarisce il segretario provinciale dell’Ugl polizia penitenziaria Libero Russo, che a Badu ‘e Carros ci lavora. “Da diversi mesi - spiega - denunciamo il totale stato d’abbandono da parte dei vertici dell’amministrazione penitenziaria: a Nuoro servono uomini. Non si può pensare di portare avanti un istituto dove la maggior parte dei detenuti appartengono al circuito di Alta sicurezza; scandaloso pensare di gestirlo con un organico ormai depauperato dai numerosi pensionamenti mai rimpiazzati. Badu ‘e Carros, una volta fiore all’occhiello, è a rischio implosione per la grave carenza d’organico che, allo stato attuale, è di almeno sessanta unità”. “Sono diversi mesi - continua Russo - che denunciamo la mancanza di sicurezza che in certi momenti è scesa sotto la soglia minima; il peggio è stato scongiurato solo per merito del personale di polizia penitenziaria che ha sempre dimostrato grande professionalità, spirito di sacrificio e alto senso dello Stato. Basti pensare che il reparto femminile da diversi mesi garantisce il turno con una sola unità in tutta la sezione detentiva”. “Certo non ci confortano le dichiarazioni rilasciate dal ministro Severino in visita presso gli istituti isolani - attacca Russo - dove ha confermato che nessuna unità di polizia penitenziaria sarà inviata in Sardegna in occasione dell’ormai prossima apertura dei nuovi istituti. Queste dichiarazioni ci fanno rabbrividire e ci auguriamo che il Dipartimento prenda coscienza della grave situazione che stanno vivendo gli istituti della Sardegna. Bisogna stabilizzare il personale che a vario titolo si trova distaccato da diversi anni e che ha ormai radicato i propri interessi sul territorio, inviare qui un consistente numero di persone, attingendo dalle graduatorie nazionali, anche per favorire il rientro dei colleghi sardi nella propria terra, ammodernare le strutture e ampliare il parco macchine in dotazione ai nuclei traduzioni e piantonamenti, che a causa dei numerosi chilometraggi e malfunzionamenti non garantiscono sicurezza né agli operatori di polizia né tanto meno ai tradotti. Si è sentito parlare tanto dell’umanizzazione della pena, argomento che non ha lasciato indifferente neanche il Papa, tanto meno il presidente della Repubblica. Condividiamo pienamente quanto detto, ma vorremmo che si parlasse anche della polizia penitenziaria che in quel degrado ci lavora e lo vive quotidianamente”. Teramo: detenuti e disabili, al via il progetto “Global care disability” Asca, 22 marzo 2012 Si chiama “Global care disability” ed è il progetto presentato questa mattina, in Comune, dall’assessore alle Politiche Sociali, Giorgio D’Ignazio. Una doppia finalità per due diverse categorie di svantaggiati: i disabili e i detenuti. Da una parte, infatti, si punta a favorire i processi di socializzazione, dall’altra si vuole dare una seconda possibilità a coloro che hanno sbagliato e, dopo aver scontato la loro pena, sentono forte il bisogno di tornare ad essere, in un certo, utili alla società. E l’unione sembra quasi delle più perfette. Insieme potranno andare al cinema o semplicemente a fare la spesa, incidendo positivamente sul benessere l’uno degli altri. Saranno 40 gli utenti coinvolti, 20 per ogni tipologia. Il progetto è finanziato dalla Regione Abruzzo per un totale di 18mila euro. Partner dell’iniziativa saranno l’associazione “Verso il futuro” e l’ufficio di esecuzione penale esterna Uepe di Pescara. I volontari saranno impegnati nelle ore pomeridiane fino a novembre. Pistoia: nominato il Garante comunale dei diritti dei detenuti, è Antonio Sammartino Ristretti Orizzonti, 22 marzo 2012 Pistoia è il terzo comune in Toscana ad avere istituito tale figura. È una figura di tipo volontaristico. Percepisce soltanto un rimborso spese. Il consiglio comunale ha scelto il garante delle persone private della libertà personale. Le candidature erano due. È stato eletto il dottor Antonio Sammartino, che già opera nel carcere pistoiese come membro dell’associazione di volontariato “In cammino”. Pistoia è il terzo comune della Toscana ad avere il garante dei detenuti. La figura è prevista da un regolamento specifico che il consiglio comunale ha approvato il 17 ottobre scorso. Il garante ha fra i suoi compiti quello di favorire la partecipazione delle persone private della libertà personale alla vita civile e alla fruizione dei servizi comunali, di promuovere iniziative di sensibilizzazione e di vigilare sul rispetto dei diritti. Il garante è tenuto ad interessare le autorità competenti qualora riceva notizia di violazioni. “Il garante, ha detto l’assessore Lattari, è una figura interessante sia per la mediazione fra il territorio e il carcere sia per l’attenzione che può suscitare sulle problematiche della detenzione. È una figura di tipo volontaristico, che riceve soltanto un rimborso spese. Riveste un alto profilo morale e non può essere considerata solo sotto un profilo assistenziale”. Saluzzo (Cn): delegazione parlamentare in visita al carcere…. 200 posti, 430 detenuti La Stampa, 22 marzo 2012 Chiedono un’ispezione ma soprattutto che venga risolto il problema alla radice: ovvero ridurre da 430 a 200 il numero dei detenuti visto che i posti previsti sono questi. Queste le conclusioni della delegazione composta dall’europarlamentare Gianni Vattimo (Italia dei Valori), dai Consiglieri regionali Eleonora Artesio (Federazione della Sinistra) e Fabrizio Biolè (Movimento 5 Stelle) e dai volontari dell’associazione Antigone che questa mattina hanno visitato il carcere di Saluzzo dove è rinchiuso uno dei No Tav arrestati e in attesa di giudizio. Al termine si è tenuta una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche Alberto Perino e Lele Rizzo del Movimento No Tav e l’avvocato Emanuele D’Amico. Nel comunicato diffuso dopo visita e conferenza stampa si legge:”Lo stato che abbiamo riscontrato - sottolinea Eleonora Artesio, capogruppo regionale della Federazione della Sinistra - è molto grave sotto il profilo del sovraffollamento: a fronte di una capacità di circa 200 posti, sono circa 430 le persone detenute, con l’ovvia conseguenza di celle strapiene e gravi problemi di spazio. Ciò determina delle situazioni del tutto anormali, come quella che riguarda Giorgio Rossetto, ovvero di persone in attesa di giudizio che si trovano rinchiuse nel settore di massima sorveglianza, con limitazioni ad esempio sulle ore di socialità (l’”ora d’aria” in un cunicolo anziché all’esterno). Inoltre chi è in attesa di giudizio non può partecipare alle attività di laboratorio e alle altre attività del carcere. Diversi detenuti hanno sottolineato il problema di poter ottenere in tempi ragionevoli delle visite mediche specialistiche”. Modena: essere genitori in carcere… ecco le loro difficoltà La Gazzetta di Modena, 22 marzo 2012 La Festa del papà di lunedì scorso è stata una giornata particolare anche in carcere. La direttrice di Sant’Anna Rosa Alba Casella ha spiegato come anche una struttura che complica i rapporti, come un carcere, possa intervenire anche sulle relazioni. Cosa prevedono le leggi e i regolamenti carcerari per consentire lo sviluppo delle relazioni familiari e in particolare il rapporto del detenuto con i figli piccoli? “L’ordinamento penitenziario attribuisce grande rilevanza alle relazioni familiari del detenuto, conferendogli un valore insostituibile nel percorso di recupero dello stesso. In quest’ottica il regolamento di esecuzione della legge penitenziaria, emanato nel 2000, ha elevato da quattro a sei i colloqui di cui il detenuto può fruire mensilmente, senza alcuna limitazione in ordine alla frequenza ed alla cumulabilità degli stessi. La stessa normativa, dopo aver previsto che ogni colloquio ha la durata di un’ora, prevede la concessione di ulteriori colloqui - oltre il limite mensile dei sei - quando questi si svolgono con figli di età inferiore a 10 anni. L’amministrazione penitenziaria, inoltre, ha da tempo ed in più occasioni richiamato l’attenzione sulla necessità di favorire e sostenere gli incontri tra genitori e figli con l’obiettivo di evitare che le limitazioni dovute alla detenzione snaturino gli effetti positivi delle relazioni affettive. A tal fine viene raccomandato che i colloqui si svolgano, dal punto di vista logistico, nelle migliori condizioni possibili, in particolare quando sono presenti bambini in tenera età. Per questo motivo sono state già da tempo allestite all’interno dell’istituto due ludoteche in cui i bambini possono, durante il colloquio, giocare con i propri genitori detenuti, e vengono organizzati momenti di festa - come appunto la festa del papà - in modo da favorire e sostenere le relazioni con i figli minori”. C’è spazio, secondo lei, nella concreta situazione in cui si trova il carcere di Modena, per fare di più e meglio in quest’ambito? Quali iniziative ritiene possibili? “Da anni e con la collaborazione dei volontari si cerca di assicurare che i colloqui si svolgano nelle migliori condizioni possibili. A breve sarà recuperata la cosiddetta “area verde”, uno spazio all’aperto in cui è consentita la partecipazione di tutto il nucleo familiare, anche quando composto da più di tre persone (limite previsto per i familiari che accedono al colloquio). È necessario, inoltre, aiutare la relazione tra genitore detenuto e figli non solo attraverso la riscoperta del ruolo genitoriale, ma anche della fiducia nella relazione con i figli e la compagna, implementando le iniziative a sostegno della genitorialità. La detenzione apporta, infatti, profonde modifiche all’interno del nucleo familiare, intervenendo sugli equilibri relazionali dei componenti e può costituire fonte di molte problematiche che si riflettono sullo sviluppo dei figli, in particolare se minori, anche a distanza di tempo. Le risposte disadattive dei figli alle situazioni di stress provocate dalla detenzione del genitore possono essere le più varie e spaziare dal disturbo fisico, associato a ritardo nello sviluppo, a manifestazioni di irrequietezza o aggressività sul piano comportamentale, senza escludere atteggiamenti da pseudo adulti o stigmatizzanti. A tal fine sarebbe importante operare in stretta collaborazione con i servizi che seguono i minori, o soltanto segnalare le eventuali difficoltà del nucleo nel gestire la situazione di detenzione, a salvaguardia sia dei diritti del genitore detenuto sia quelli del minore”. Se il marito è chiuso in cella È sabato, il mio giorno libero dal lavoro e giorno di colloquio al carcere di Modena dove mio marito è detenuto da quasi due anni. Non ce la faccio più. Che servano più soldi? Potrei risparmiare i soldi con cui pago una donna che bada ai bambini mentre io vado in fabbrica. Meno male che mi aspettano alla stazione i volontari che mi risparmiano il taxi e così arrivo all’accettazione colloqui. Non ho alcun pacco da lasciare a lui, per non perdere tempo alla buca pranzi. Faccio colloquio una volta al mese, quando riesco con i soldi, e chiedo di poter fare tre ore, ma è troppo tardi, e per di più tre ore le concedono solo al venerdì. Il tempo non passa mai e sono le 11,30 che ancora aspetto. Finalmente ci chiamano, un altro cancello da oltrepassare, aspettiamo che escano gli altri e finalmente papà. Sono quasi le 12 e per tutta risposta alla mia fatica, alla mia sopportazione, poco dopo le 13,30 ci avvisano che dobbiamo prepararci ad uscire. “Ma ho chiesto due ore, vengo da lontano, ho i bambini, vengo una volta al mese”. “Ci spiace ma si è fatto tardi”. Sono di nuovo alla stazione. La moglie di un detenuto La Spezia: tentata evasione, detenuto straniero bloccato dagli agenti Ansa, 22 marzo 2012 Un tentativo di evasione è stato sventato oggi dagli agenti di polizia penitenziaria del carcere “Villa Andreino” della Spezia. Lo ha riferito Roberto Martinelli, segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). Intorno a mezzogiorno, al termine dell’ora d’aria un detenuto straniero invece di rientrare in cella si sarebbe nascosto nel vano caldaie del carcere in attesa del momento opportuno per fuggire. “Grazie però all’attenzione del collega che si è accorto che presso i passeggi mancava un detenuto rispetto a quelli contati all’inizio dell’ora d’aria - ha riferito Martinelli - è stato dato l’allarme e le immediate ricerche hanno permesso di fermare il detenuto. Bravissimi i colleghi di La Spezia, che lavorano costantemente in condizioni difficili, in una realtà caratterizzata dall’alta percentuale di detenuti stranieri (più del 60 per cento dei presenti)”. Salerno: interrogazione dei Radicali; gravi inadempienze Asl su internati in Opg di Aversa Agenparl, 22 marzo 2012 “Ho presentato oggi un’interrogazione ai ministri della Salute e della Giustizia chiedendo urgenti interventi relativi a una vicenda scandalosa che si trascina da tempo e che si consuma, letteralmente, sulla pelle di persone colpevoli solo di essere incappati in una macchina burocratica miope che non tiene in alcun conto dei diritti delle persone. Mi riferisco alle gravi inadempienze dell’Asl di Salerno nei confronti di alcuni internati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. In particolare segnalo il caso del signor A.B., rinchiuso nell’Opg da due anni in relazione a un reato di lesioni compiuto in stato di incapacità di intendere e volere. In vista del riesame della sua situazione, Michele Capano, componente della direzione di Radicali italiani, nella sua veste di avvocato si è rivolto ai vertici della Asl e ai medici responsabili per sollecitarli a una formulazione di proposte di collocazione sanitaria al magistrato di sorveglianza. Immotivatamente, ma non meno colpevolmente, all’udienza del 1 marzo l’Asl di Salerno non si è neppure presentata, ne si è rivolta al magistrato di sorveglianza per segnalare una struttura utile, e questo nonostante lo stesso capano avesse indicato già dal 2 gennaio un ente disponibile all’accoglienza del signor A.B. La conseguenza di questa grave inadempienza è che il magistrato non poté a questo punto che disporre la proroga della detenzione nell’Opg, per l’assenza di proposte da parte dell’Asl. Nella stessa situazione del signor A.B. vi sono almeno una ventina di cittadini, condannati all’ ergastolo bianco” dell’internamento sine die. Su questa vicenda, Michele Capano ha intrapreso uno sciopero della fame dalla mezzanotte di oggi”. È quanto scrive in una nota Maria Antonietta Farina Coscioni deputata radicale e presidente onoraria dell’Associazione Luca Coscioni. Caserta: studenti ed detenuti del carcere di Carinola, insieme per discutere di filosofia Ansa, 22 marzo 2012 Ergastolani e studenti dell’Università Federico II di Napoli discutono seduti fianco a fianco di filosofia, di verità e di felicità: accade al carcere di massima sicurezza di Carinola che ospita 400 detenuti, alcuni di loro tra i 1.800 che in Italia devono scontare il carcere a vita senza benefici, con la formula del “fine pena mai”. L’iniziativa apre oggi il programma dell’VIII edizione de “L’Arte della felicità, incontri e conversazioni”, il festival filosofico che si svolge a Napoli fino al 1 aprile: tra le novità di quest’anno anche cinque momenti di confronto nelle case circondariali della regione Campania. Titolo della sezione, “La verità in prigione”, coordinata dal professore Giuseppe Ferrero, docente di Filosofia morale ed Etica dell’ambiente all’Università di Napoli Federico II, che da anni tiene corsi di filosofia nelle carceri e lavora per la creazione di un Polo Universitario carcerario. L’incontro inaugurale, introdotto dalla direttrice dell’istituto di pena casertano Carmen Campi, ha visto per circa due ore intervenire dieci ergastolani che partecipano al corso di filosofia del professor Ferraro, compreso alcuni reduci dal regime di 41 bis. Molta l’emozione sia tra i detenuti, che hanno raccontato il loro percorso di espiazione e il ruolo della lettura e della conoscenza nella vita da reclusi, che tra i giovani, il personale del carcere e gli operatori. Ferraro ha proposto ai suoi alunni detenuti di realizzare degli audio libri da destinare ai non vedenti registrando le lori voci nella lettura di romanzi. “La verità in carcere” farà tappa nei prossimi giorni anche nelle case circondariali di Poggioreale, Secondigliano, Bellizzi Irpino e Pozzuoli. L’Arte della Felicità, manifestazione ideata da Luciano Stella e Francesca Mauro, è sostenuta dall’assessorato alle Politiche giovanili di Napoli e della Camera di Commercio Industria Artigianato ed Agricoltura di Napoli. Tolmezzo (Ud): torna il laboratorio di musica in carcere col rocker Bonano Messaggero Veneto, 22 marzo 2012 Riprenderanno per il sesto anno le lezioni-concerto di Massimo Bonano, rocker friulano, cantante e chitarrista della band dei Danka, all’interno del carcere. L’esperienza rientra nelle attività socio-culturali promosse dal Css Teatro stabile di innovazione del Fvg nell’ambito d’un progetto di contrasto all’esclusione sociale, alla devianza e alla criminalità realizzato con il sostegno dell’assessorato alla Salute e Protezione sociale. Leader del gruppo dei Danka e per anni vocalist di Elisa, Bonano nel 2005 ha pubblicato il suo primo cd “Giusto o sbagliato”, preceduto dal singolo “Il mondo è lontano”. Il laboratorio di musica si rivolge ai detenuti del carcere di Tolmezzo e prevede quindici incontri bisettimanali, da lunedì prossimo al 21 maggio. A disposizione una strumentazione di chitarre elettriche e acustiche, un basso, una batteria, una testiera e relativi impianti di amplificazione. A Tolmezzo il Progetto del Css è attivo anche in campo teatrale: s’è da poco concluso, con un piccolo saggio sul palcoscenico del carcere, il laboratorio teatrale curato dall’attore e volontario Sandro Carpini, intitolato “Strano Bar” e nato dalle storie e improvvisazioni dei detenuti. Immigrazione: gare d’appalto al massimo ribasso, il governo taglia del 70% i fondi ai Cie Il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2012 A Bologna e a Modena i centri d’identificazione ed espulsione gestiti da Daniele Giovanardi passano dai 70 e 75 euro per “ospite” a 30. A rischio servizi basilari per i detenuti e riduzione drastica dei posti di lavoro tra il personale delle strutture Anche i Centri d’identificazione ed espulsione dovranno fare i conti con i tagli del budget. Il governo infatti ha deciso di dimezzare le risorse destinate alla gestione delle due strutture di Modena e Bologna. Le nuove gare d’appalto non solo sono impostate sul criterio del massimo ribasso, ma prevedono una base d’asta di partenza pari a 30 euro per persona, ossia meno della metà di quanto spendono oggi i due centri emiliani. Un colpo di scure che mette in serio pericolo i servizi di assistenza e di sostegno psicologico. Ex Centro di permanenza temporanea (Cpt), il Cie di Bologna è affidato in appalto fino ad agosto alla Confraternita della Misericordia, l’ente con a capo Daniele Giovanardi, fratello del senatore Carlo Giovanardi. Il bando per la nuova gestione è stato pubblicato pochi giorni fa e scadrà a fine aprile. Mentre quello per il Cie di Modena, per ora in mano sempre alla Confraternita della Misericordia, è già stato chiuso. Entrambe le gare hanno adottato il criterio del massimo ribasso: senza superare la soglia dei 30 euro al giorno a persona, si aggiudica l’appalto chi offre il minor prezzo. E chi riesce a far rientrare in quella cifra non solo vitto e alloggio, ma anche i servizi igienici, i costi amministrativi e il lavoro di operatori diurni e notturni, infermieri (24 ore su 24), medici (8 ore al giorno), assistenti sociali, mediatori, psicologi. Difficile se si considera che oggi entrambe le strutture spendono più del doppio: 70 euro Bologna, e 75 Modena. Il timore è che un taglio del 70% costringa i gestori a sacrificare il personale, privando gli stranieri di servizi come l’insegnamento della lingua, e condannandoli all’isolamento. “Con risorse così ridotte - spiega il responsabile del progetto sociale nel Cie di Bologna Franco Pilati- si dovrà risparmiare sui servizi sociali, considerati non essenziali in un contesto come questo”. A Bologna i posti di lavoro a rischio sono una quindicina, mentre a Modena sono in bilico 8 assistenti. “Chiaramente noi parteciperemo - fa sapere Anna Lombardo, l’attuale direttrice del Centro bolognese - ma cercando di imporre i nostri costi”. Così come hanno fatto a Modena, dove la gara è andata deserta: non si è presentato nessuno, se non la Misericordia, la quale ha riproposto gli stessi prezzi della gestione precedente. La questione è già approdata in Parlamento. La deputata del Pd Sandra Zampa ha presentato un’interpellanza urgente al ministero dell’Interno, chiedendo la sospensione dei bandi. “Io sono sconcertata - commenta la parlamentare - questa è una gravissima violazione dei diritti minimi. Ho già scritto una lettera personale al ministro Annamaria Cancellieri, chiedendole un incontro. Voglio sperare che non sia stata ben informata dai funzionari”. Il riferimento è al sottosegretario all’Interno Saverio Ruperto, che in aula, secondo la democratica, avrebbe dimostrato di non conoscere bene l’argomento. “Forse - prosegue - sarebbe il caso che facesse un giro nei Cie prima di dire che l’intenzione del bando è quella di migliorare i servizi”. Per adesso al Viminale non sembrano disposti a fare un passo indietro. “La previsione dei costi - ha spiegato il sottosegretario Ruperto - ha tenuto conto degli esiti delle gare svolte in altre parti del territorio nazionale, dove il prezzo si è mantenuto sotto i 30 euro. Cito gli esempi di Foggia, dei due centri a Bari, di un centro a Varese e di quello a Trapani-Milo”. Immigrazione: Cie Modena; la protesta di 46 “ospiti”… “Qui si vive come i maiali” di Carlo Gregori La Gazzetta di Modena, 22 marzo 2012 Il postino entra in redazione e consegna una lettera che ha un mittente insolito: Ammari F. È uno degli “ospiti” del Cie, la struttura per identificare ed espellere i clandestini al centro della cronaca non solo per la storia dei due fratelli sassolesi senza patria ma anche per l’asta al ribasso per la gestione finita deserta e per le proteste durante l’ultima visita di Barbolini del Pd. Il contenuto della lettera è drammatico. È un grido d’allarme sulle pessime condizioni igieniche denunciate dall’autore ma è sottoscritto sul retro da ben 45 altri “ospiti”. Ecco il testo integrale della lettera riportato fedelmente: “Protesto sulla vita che stiamo subendo nel Cie di Modena. Siamo in sessanta persone divise su sei blocchi. Primo: in tutti i blocchi non c’è una finestra. I bagni: per entrare bisogna che ti metti una maschera altrimenti vomiti. Ci sono persone che soffrono d’asma e l’assenza delle finestre gli causa ogni giorno l’attacco d’asma. La puzza che c’è nei blocchi è simile a quella che si sente nelle fattorie dei maiali. Quello che chiediamo è che almeno ci trattino come cani, perché i cani in Italia da come abbiamo visto in tv sono trattati meglio di noi”. “Dunque quello che speriamo è che il sindaco di Modena venga qui da noi, così vede con i suoi occhi la realtà dei fatti cioè le condizioni di vita che stiamo subendo. Neanche nel Terzo Mondo si trovano. Grazie. Sono Ammari F. e voglio diventare cane. Chiedo aiuto grazie”. Che le condizioni di vita siano pensanti è noto, ma per quello che riguarda l’inattività forzata che fa diventare le giornate lunghissime. Di questo si era parlato anche nel corso della recente visita del garante regionale per i diritti dei detenuti Desi Bruno. Lei stessa aveva assicurato di aver avviato pratiche per poter permettere ai volontari di entrare al Cie di Modena e Bologna, gli unici due in regione, per trovare forme decorose per far passare la giornata agli “ospiti”. Ma che le condizioni igieniche fossero tali, finora non era stato detto da nessuno. La gara al ribasso sicuramente renderà difficile la gestione: lo hanno detto gli stessi operatori della Misericordia. Russia: evade in elicottero, ma viene catturato da polizia Adnkronos, 22 marzo 2012 Un’audace evasione in elicottero da un carcere russo si è conclusa con la cattura del detenuto. Lo ha raccontato l’agenzia stampa russa interfax, riferendo che il carcerato, Aleksei Shestakov, era fuggito durante l’ora d’aria grazie ad una corda calata da un elicottero nel cortile di un carcere della provincia settentrionale di Vologoda. Ma la polizia ha poi individuato l’evaso vicino al villaggio di Gryazovets, lungo l’autostrada Mosca- San Pietroburgo, e lo ha catturato. Shestakov ha tentato di resistere ed è stato leggermente ferito, ha riferito Valery Gribakin, portavoce del ministero degli Interni. L’elicottero Mi-2 era stato sequestrato in un campeggio dove era appena atterrato. Una donna e un uomo, probabilmente il fratello dell’evaso, avevano costretto il pilota a far rotta verso il carcere, minacciandolo con la pistola. Ad operazione conclusa l’elicottero è stato abbandonato e il pilota è stato rilasciato illeso. Condannato a 24 anni di carcere, Shestakov ne ha scontati 10.