Giustizia: una seconda marcia a Pasqua per l’amnistia e la legalità… ecco i perché di Valeria Centorame Notizie Radicali, 21 marzo 2012 A chi sorprendentemente e forse con buona dose di ipocrisia dichiara che il tema Giustizia non sia centrale in questo momento nel nostro Paese, perché le forze politiche ed il Governo tecnico debbono concentrarsi sulla soluzione della crisi economica, a chi sorprendentemente dichiara proprio che il “ruolo di un Governo tecnico” non sia quello di avviare la sacrosanta riforma del sistema Giustizia che il nostro Paese aspetta invano da anni vorrei porre una domanda: quanto ha inciso il malfunzionamento della giustizia nella nostra attuale crisi economica? E vorrei rispondere con una stima effettuata da Mauro Sylos Labini del Centro Studi Confindustria ad esempio che suggerisce: “c’è contagio tra la lentezza della giustizia e quella dell’economia italiane: nel periodo 2000-07 se i tempi dei processi fossero stati la metà di quelli effettivi (cioè fossero stati come quelli francesi), ciò si sarebbe potuto associare a un incremento del Pil di due punti aggiuntivi rispetto agli otto messi a segno in quel periodo”. Tutto ciò perché se la giustizia è lenta, scoraggia le nuove iniziative imprenditoriali e dissuade dall’avventurarsi verso scale dimensionali superiori che comportano inevitabilmente relazioni commerciali molto più fitte e complesse. Questo, a parità di altre condizioni, abbassa il livello della ricchezza prodotta annualmente (misurata dal Pil) e riduce la competitività e l’attrattività degli investimenti. Si può inoltre rispondere con la stessa dettagliata relazione alla Camera del Ministro Severino che conferma tutto ciò: “Per quanto possa apparire paradossale, proprio oggi, in presenza di una drammatica congiuntura economica internazionale, si presenta l’occasione di riformare il sistema giudiziario, proprio perché “Il problema in cima alla lista resta quello della giustizia lenta che costa un punto percentuale di Prodotto interno lordo: “Un quadro che desta forti preoccupazioni sia in ordine all’enorme mole dell’arretrato da smaltire che, al 30 giugno del 2011, è pari a quasi 9 milioni di processi.” Allora abbiamo piena consapevolezza che invece il problema Giustizia sia invece proprio uno dei nodi centrali e la priorità da affrontare e da risolvere ora e da questo Governo Tecnico, anche con decisioni non sempre totalmente condivise, come peraltro in nome della soluzione della crisi e di ciò che ci chiede l’Europa si sta già facendo su altri fronti. Sono anni che il partito radicale conduce una lotta nonviolenta per la l’amnistia, la giustizia, la legalità perché dove c’è strage di legalità c’è strage di popoli e la stessa Europa ci condanna e ci ammonisce perché abbiamo messo in pericolo lo stato di legalità del nostro Paese proprio con il persistere dello stato di fragranza criminale ed in assenza di riforme serie che abbiano manifestato il reale cambiamento di tendenza nel tempo. Nel 2005 si avviò una straordinaria Marcia di Natale sul tema, partecipata da moltissime personalità politiche e non solo e da diversi senatori a vita tra cui: Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Francesco Cossiga, Rita Levi Montalcini, Giorgio Napolitano, Sergio Pininfarina. In quella marcia si chiedeva l’amnistia e l’indulto per le condizioni che si erano venute a creare all’epoca; Nel 2005 uno dei nostri manifesti recitava “Attualmente sono 60.000 i detenuti nel nostro paese, un record nella storia repubblicana” Abbiamo oggi a 7 anni di distanza un nuovo e drammatico record! i detenuti sono divenuti oltre 67.000 i procedimenti pendenti sono migliaia, come le amnistie mascherate sotto il nome di “prescrizione” e le condanne che continuamente riceviamo dalla Corte Europea altrettante. Tutto ciò in una congiuntura economica che non ci permette di fare progetti reali e seri per far divenire ad esempio il carcere ciò che recita la nostra stessa Costituzione e ciò che realmente avrebbe un effetto sulla Sicurezza: “un luogo di rieducazione e di recupero” Le nostre carceri sono divenute vere e proprie discariche sociali, abitate perlopiù da microdelinquenza, immigrati, tossicodipendenti, malati di mente e persone in attesa di giudizio(per la metà innocenti) persone che non possono pagarsi la cosiddetta Amnistia mascherata con il nome di “prescrizione” chi ha mai visto un miliardario in carcere per anni? È questa la resa dello Stato! la non uguaglianza di fronte alla legge ed alle pene (disumane) non di certo l’Amnistia prevista dalla Costituzione e che porrebbe fine a questa strage di legalità e di diritto! La verità è che le condizioni sono letteralmente e drammaticamente peggiorate dall’epoca proprio perché all’indulto varato nel 2006 non seguì l’Amnistia e la Riforma della Giustizia che avrebbero permesso, la prima di deflazionare le migliaia di procedimenti pendenti (visto che estingue non solo la pena, ma anche il reato) e la seconda il non ripetersi dell’ingolfamento sia dei procedimenti che del sovraffollamento delle carceri. Rimane quindi oggi sempre più prepotentemente urgente la grande questione sociale sollevata, con la Marcia di Natale del 2005, da Don Mazzi e Marco Pannella e che riguardava non solo la situazione catastrofica delle carceri, ma anche e soprattutto la vicenda tragica di milioni di cittadini italiani in attesa da dieci o quindici anni di una decisione giudiziaria essendo parti in causa negli attuali milioni di processi pendenti e la deriva economica che ciò ha comportato e comporta nel nostro Paese. È quindi obbiettivo ambizioso, ma doveroso di questo Governo tecnico, quello di chiedere non un atto di clemenza, ma il ripristino di legalità nel nostro Paese anche tramite provvedimenti non totalmente condivisi e non sempre per ragioni ed ideologie politiche quanto per opportunismo di consenso elettorale. Con l’augurio finale che i cittadini tutti abbiano la possibilità ed il diritto alla seria informazione, ad un dibattito reale sul tema che spieghi le ragioni ed i perché, fuori dai luoghi comuni, avulso da commenti spot-populisti sterili e demagoghi, ma imperniato sulla realtà dei fatti, perché Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole si sappia, mentre il resto è propaganda invito alla partecipazione di massa ed alla diffusione con ogni mezzo di questa straordinaria iniziativa. Amnistia per la Repubblica! Giustizia: l’obiettivo è la legalità di Giovanni Tamburino (Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) Il Manifesto, 21 marzo 2012 Caro Mauro Palma, rispondo alle osservazioni poste cortesemente nella lettera aperta pubblicata sul Manifesto l’11 marzo scorso. Vivo nel mondo delle carceri da oltre quaranta anni, ho visitato moltissimi istituti, conosco la complessità e la diversità delle situazioni. Nelle carceri esistono realtà positive e accettabili, mentre altre sono intollerabili. In generale c’è una grave insufficienza sul fronte delle offerte di lavoro: cito questo dato perché è una delle carenze più pesanti nella vita di ogni giorno. L’ozio senza alternative abbrutisce, ammala, può uccidere. Conosco il valore degli operatori penitenziari, dalla dirigenza alla Polizia Penitenziaria al personale del comparto ministeri che reggono valorosamente l’urto delle difficoltà che investono il sistema penitenziario. Riportare le carceri alla legalità è l’obiettivo, tra l’altro, della legge cosiddetta “salva carceri” del Ministro Severino che mi ha onorato dell’incarico di capo del Dipartimento, a cui dedicherò energie ed esperienza. I primi effetti di quella nuova legge, da misurare insieme al risultato della legge 199 del 2010, stanno nei numeri che mostrano una flessione lievissima, che però dura da oltre un anno, delle presenze dei detenuti: da un picco di quasi 69 mila a metà 2010 a 66.600 di qualche giorno fa. Per quanto riguarda la necessità di aumentare la disponibilità dei posti detentivi, ribadisco che non se ne può fare a meno perché comunque, rispetto ai 47-48mila posti effettivi, abbiamo oltre 66 mila detenuti, con uno scarto evidente e intollerabile. L’Italia è infatti, come sai perfettamente, sotto la media europea quanto al rapporto popolazione-detenuti, mentre è molto indietro nel rapporto posti carcere-detenuti. Aumentare i posti letto, sistemare le strutture esistenti vuol dire migliorare le condizioni di vita dei detenuti e le condizioni di lavoro del personale, non certo inseguire la politica della carcerazione. Per realizzare un carcere umano sono fermamente convinto della necessità di rafforzare il sistema delle misure alternative e di introdurre sanzioni sostitutive della detenzione. I provvedimenti del Ministro e del Governo vanno in questa direzione. La gestione del personale è una delle tre direttrici che giustamente richiami nella Tua lettera. Uno dei punti più complessi e difficili è stato da me affrontato con una iniziativa immediata che ha già portato alla definizione delle piante organiche del personale in servizio nella sede centrale del Dap, nei provveditorati regionali e nelle Scuole di formazione. La proposta, che vede una drastica riduzione del fenomeno delle applicazioni dagli istituti al Dap e dunque la restituzione di una quota non irrilevante del personale alla “prima linea”, saranno discusse con le Organizzazioni Sindacali. Confido di trovare in esse l’appoggio che mi attendo per coerenza con posizioni sempre ribadite. Da ultimo, Tu ricordi il caso di una presunta responsabilità di operatori di polizia penitenziaria per maltrattamenti ai danni di detenuti. È evidente che spetta all’autorità giudiziaria stabilire la responsabilità degli operatori accusati di comportamenti penalmente illeciti, talché quando la magistratura assolve è in linea di massima ingiustificato allontanare il personale coinvolto. Altra questione è il dovere dell’Amministrazione di vigilare affinché non si verifichino situazioni lesive dei diritti delle persone detenute. Rispetto a questa questione non ho davvero bisogno di dire come la penso. Qualunque istituzione dello Stato deve vivere nel rispetto della legalità e considero che garantire che questo avvenga nella istituzione carceraria sia la prima delle mie responsabilità. Giustizia: tutti contro l’ipotesi di riapertura delle carceri di Pianosa e Asinara Ristretti Orizzonti, 21 marzo 2012 Favi (Pd): no alla riapertura di Pianosa e Asinara “Il Pd è decisamente contrario a qualsiasi ipotesi di riapertura degli istituti penitenziari di Pianosa e Asinara. Negli anni passati, dopo una lunga e travagliata disputa, si è riusciti a restituire le due isole ospitanti le carceri alla loro più appropriata destinazione di parchi naturali”. Lo afferma Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd. “Siamo convinti - conclude Favi - che le esigenze penitenziarie, anche quelle più sensibili ai problemi della sicurezza, possono trovare soluzione su altri istituti presenti e futuri, senza rimettere in discussione scelte già prese”. Pisanu: su riapertura Asinara ministro frainteso “Non c’è nessun allarme sul futuro dell’Asinara”. Lo afferma, in una nota, il presidente della Commissione Antimafia, il senatore del Pdl Giuseppe Pisanu. “Le parole pronunciate ieri in Commissione Antimafia dal ministro della Giustizia Paola Severino sono state fraintese. Il ministro, infatti - spiega Pisanu - rispondendo ad una domanda del senatore Lumia, ha parlato dei nuovi istituti carcerari sardi che prevedono reparti speciali per detenuti in regime di 41 bis e si è riferita inoltre alla teorica possibilità di recuperare agli stessi fini esclusivamente l’isola di Pianosa. Ma non ha detto nulla sull’Asinara, ben sapendo che essa è Parco naturale e non può essere in alcun modo retrocessa alla sua vecchia destinazione. Lo stesso senatore Lumia, da me interpellato, ha chiarito che con la sua domanda non intendeva affatto riferirsi all’Asinara. Nessun problema, dunque, per la nostra splendida isoletta - conclude il presidente Pisanu - se non quello di reperire le risorse necessarie a farla progredire come prezioso parco naturale”. Osapp: sbagliato riproporre Pianosa e Asinara per 41 bis “Riproporre l’apertura di Pianosa e di Asinara come ha fatto il ministro della Giustizia Paola Severino significa rievocare modelli detentivi obsoleti e oggi assai costosi. Ed è abbastanza strano che mentre il nuovo capo dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, si preoccupa di istituire carceri cosiddette leggere, la guardasigilli voglia ripristinare vecchie carceri pesanti”. Ad affermarlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria. “Tra l’altro - prosegue il sindacalista - mentre le carceri in cui allocare i non oltre 700 detenuti sottoposti al 41 bis già ci sono, nell’incontro al Dap di ieri tra i provveditori regionali dell’amministrazione penitenziaria si è parlato di modifiche al piano-carceri e non certo di utilizzare le già scarse risorse disponibili per la ristrutturazione dei due istituti”. Per Beneduci, “il problema che il ministro dovrebbe, invece, affrontare concretamente piuttosto che in maniera del tutto estemporanea riguarda il fatto che anche con le nuove misure l’emergenza penitenziaria del Paese permane inalterata: se i detenuti nell’ultimo mese non sono cresciuti (66.456 presenze per 45.757 ieri, 20 marzo) stanno invece aumentando i suicidi e le aggressioni nei confronti dei poliziotti penitenziari. Meglio sarebbe immaginare e realizzare modelli detentivi diversi dagli attuali per i reati di minori allarme e pericolosità o quando sia pienamente accertato il recupero sociale, dove anche Pianosa e Asinara, troverebbero idonea collocazione senza particolari interventi edilizi e, se del caso, attraverso una gestione dei servizi e della custodia integralmente affidata alle associazioni di volontariato”. Amadu (Pdl): no a proposta Severino su Asinara “Respingiamo al mittente la proposta del ministro Paola Severino di riaprire l’Isola dell’Asinara per accogliere detenuti soprattutto quelli sottoposti al regime di 41 bis”. Salvatore Amadu (Pdl), presidente della Commissione Diritti civili del Consiglio regionale, prende posizione sull’ipotesi avanzata oggi dal ministro. “Ormai, il destino dell’Asinara è quello di polo attrattivo e turistico, per cui è impensabile un tornare indietro con la storia e riempire l’isola di detenuti pericolosi come era fino a qualche tempo fa”. “Preoccupa anche la dichiarazione del Ministro quando afferma che i nuovi carceri di Cagliari e Sassari saranno destinati ai detenuti in regime di 41 bis, in quanto una legge affermerebbe che questi devono essere destinati alle aree insulari”, prosegue Amadu. “Ritengo, invece, che queste nuove strutture debbano accogliere detenuti sardi reclusi in carceri della penisola proprio perché un’altra legge prevede l’avvicinamento dei detenuti alle rispettive famiglie”. “Qualunque scelta il governo nazionale farà, non può essere imposta”, avverte il presidente della commissione Diritti civili, “ma dovrà passare al vaglio degli organi istituzionali della Sardegna”. Cossa (Rif. Sardi): affermazioni Severino su Asinara sono schiaffo a Sardegna “Le dichiarazioni del ministro Severino sono l’ennesimo schiaffo alla Sardegna da parte di un governo e di uno Stato che si dimostrano ancora una volta nemici della nostra terra”. Lo afferma il vice presidente del Consiglio regionale della Sardegna e coordinatore regionale dei Riformatori sardi, Michele Cossa, in relazione alla ventilata ipotesi di riaprire il carcere all’Asinara. “Il governo - prosegue Cossa - vuole sbattere in Sardegna, come si diceva un tempo, i delinquenti di ogni parte d’Italia, portando nella nostra Isola anche coloro che sono soggetti al regime speciale del 41 bis. È ora che lo Stato italiano la finisca di trattare la Sardegna come il posto dove rinchiudere tutti i malavitosi che le altre regioni non vogliono”. “Il governo - conclude Cossa - pensi piuttosto a risarcire la Sardegna, dandole quanto le spetta. La nostra terra e il nostro popolo hanno dato abbastanza all’Italia”. Corleone: no Asinara e Pianosa per massima sicurezza “Se si pensa a un carcere speciale di massima sicurezza” per l’Asinara e Pianosa, io lo combatterò fino in fondo”. Lo ha detto Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze, commentando le dichiarazioni del ministro della Giustizia Paola Severino sull’idea di riflettere a proposito della riapertura delle due carceri insulari. “Occorre trovare le sedi - ha aggiunto - per una discussione seria e non improvvisata”. Per Corleone pensare alla riapertura di Asinara e Pianosa “significa dimenticare, trascurare un dibattito che ha occupato le forze politiche e il Parlamento con una decisione che aveva molte ragioni che non possono essere superate d’incanto. In particolare oggi queste isole fanno parte del sistema dei parchi regionali, e quindi ogni decisione va valutata, per esempio nel caso di Pianosa, con la Regione Toscana e il sistema dei parchi”. Un carcere di massima sicurezza in un contesto simile ‘non è compatibile con lo sviluppo del parcò, ha concluso Corleone. Satta (Upc): situazione in Sardegna al collasso e Asinara aggiungerebbe problemi “La situazione delle carceri sarde è già al collasso, tanto che alcune dovrebbero essere chiuse. L’apertura del penitenziario dell’Asinara aggiungerebbe solo altri problemi. E poi la Sardegna non può diventare il bagno penale d’Italia. Piuttosto lo Stato investa nell’industria dell’isola”. Lo afferma Antonio Satta, segretario dell’Upc in merito alla comunicazione del ministro dela Giustizia Paola Severino sulla riapertura di Asinara e Pianosa. “Non è pensabile aggiungere sovraffollamento a sovraffollamento. Per l’Asinara va studiato un piano di recupero che attiri i turisti e porti occupazione - conclude Satta. Ci auguriamo che il ministro Severino torni sulle sue parole”. Vitali (Pdl): su Pianosa e Asinara Severino ascolti agenti penitenziari “Severino in maggior conto la posizione dei sindacati della polizia penitenziaria, fortemente critici sulla riapertura delle strutture di Pianosa e dell’Asinara”. È quanto dichiara Luigi Vitali, responsabile nazionale dell’ordinamento penitenziario del Pdl. “Si faccia ripartire subito il piano carceri -scrive Vitali- che mi risulta abbia risorse quasi intonse, con l’intervento dei privati così come consentito espressamente grazie ad una norma inserita dal ministro della Giustizia in un recente provvedimento. I tempi - conclude - “saranno molto più brevi, grazie alla nomina del commissario per le emergenze, nella realizzazione di strutture detentive differenziate, che ci facciano andare aventi e non indietro.” Coop San Giacomo: a Pianosa c’è albergo gestito da reclusi A Pianosa conciliare carcere e turismo è possibile. A pensarla così è la cooperativa sociale San Giacomo, che sull’isola, grazie all’impiego di detenuti, ha già riaperto albergo e ristorante e per il prossimo fine settimana attende i primi turisti. “Non sono contrario alla riapertura di un carcere - spiega Brunello De Batte, vicepresidente della cooperativa e responsabile della struttura gestita a Pianosa - perché potrebbe essere un modo per far rivivere l’isola: penso ad una struttura di carcere attenuato, tipo una colonia agricola in cui impiegare non più di un centinaio di detenuti. Sono invece contrario - aggiunge De Batte - ad un carcere di massima sicurezza per i detenuti del regime 41 bis. In quel caso sarebbe la fine di ogni attività e soprattutto di ogni presenza turistica”. Un carcere di massima sicurezza inoltre, secondo De Batte, avrebbe costi altissimi. “Mai io alla riapertura del carcere a Pianosa - prosegue - ci credo poco: se ne torna a parlare tutte le volte che cambia un ministro e poi non se ne fa di niente”. Certo è che l’isola avrebbe bisogno di grande manutenzione: le vecchie abitazioni delle guardie carcerarie abbandonate da anni cadono a pezzi, così come la struttura carceraria, l’acquedotto ha bisogno di manutenzione. Per iniziativa del comune di Campo nell’Elba dal porticciolo di Marina di Campo, all’isola d’Elba, ogni giorno parte un collegamento con l’isola di Pianosa. Il piccolo albergo con una decina di camere doppie e il ristorante annesso si animano soprattutto con l’arrivo della bella stagione. La cooperativa di detenuti, una decina quelli impiegati sull’isola di Pianosa, aspetta le vacanze di Pasqua, nella speranza che la spiaggia di cala Giovanna o il trekking guidato sull’isola possa tornare ad attrarre turisti. Nel 2011, l’albergo, al suo primo anno di apertura, ha fatto segnare un discreto successo. Ma il sogno di Brunello De Batte è quello di far nascere sull’isola una scuola di formazione per i detenuti, per insegnare loro a operare nel settore del turismo, una volta tornati in libertà. Giustizia: Cassazione; sindrome depressiva compatibile con custodia cautelare in carcere Agi, 21 marzo 2012 La depressione è una patologia compatibile con la misura cautelare in carcere. Lo sottolinea la Cassazione, annullando con rinvio una ordinanza del Riesame di Palermo con la quale erano stati concessi gli arresti domiciliari ad un indagato per associazione mafiosa. Secondo il Riesame “l’ipotizzato rischio suicidario” riscontrato nell’uomo era rilevante tanto da giustificare la sostituzione della custodia in carcere con i domiciliari. Contro tale ordinanza era ricorso in Cassazione il pubblico ministero e la seconda sezione penale della Suprema Corte ha accolto le tesi di quest’ultimo. “Le condizioni di salute particolarmente gravi che precludono la custodia in carcere - si legge nella sentenza n.10963 depositata oggi - non devono identificarsi con quelle patologie che, ancorché marcate, sono connaturali alla privazione della libertà personale, quali la sindrome ansioso-depressiva, bensì con quelle patologie che, a prescindere dalla posizione in vinculis del paziente, si oggettivizzano da sole, assumono una propria autonomia e sono connotate, oltre che dalla gravità, dalla insuscettibilità di essere risolte o di essere curate in costanza di detenzione, per non essere praticabili i normali interventi diagnostici e terapeutici in ambiente carcerario, intendendosi per tale anche quello costituito dai centri clinici dell’amministrazione penitenziaria”. Giustizia: il Sappe diserta incontro con capo Dap Il Velino, 21 marzo 2012 Capece contesta anche l’organizzazione della Festa del Corpo di polizia penitenziaria, che si terrà a Roma il prossimo 18 maggio alla presenza del capo dello Stato: “Anziché farla in una piazza, all’aperto, tra la gente, ci si chiude ancora una volta in un’aula di una Scuola di Polizia. E non è evidentemente un caso che nel gruppo di lavoro istituito per organizzare la cerimonia che celebra il quarto Corpo di Polizia dello Stato, composto da educatori e direttori che non indossano la nostra orgogliosa divisa, ci sia un solo poliziotto, peraltro inserito dopo le nostre proteste. A qualcuno del Dap probabilmente i compiti di polizia spaventano”. “Il Sappe - conclude Capece - terrà un sit-in di protesta a Roma il 3 aprile per denunciare i gravi problemi con i quali quotidianamente si confronta la Polizia penitenziaria e che alimentano tensione - come i costanti e continui eventi critici -, gli straordinari, gli avanzamenti di carriera, gli assegni di funzione e le missioni non pagate e, da ultimo, l’assurda riforma che farà andare in pensione i poliziotti a 70 anni. Tutto questo nell’indifferenza dell’Amministrazione penitenziaria e delle istituzioni. Grideremo in piazza la nostra rabbia. E se nulla cambierà, non è escluso che manifesteremo anche il giorno della Festa del Corpo a Roma per chiedere attenzione all’unica persona che si è dimostrata attenta e sensibile ai nostri problemi, il capo dello Stato”. Giustizia: detenuto per 7 anni a Guantánamo e Bagram e per altri 2 in Italia, ora è stato assolto di Igor Greganti Ansa, 21 marzo 2012 Dopo aver passato anni e anni nelle basi militari americane di Guantánamo e Bagram, tra torture e vessazioni, erano stati consegnati alle autorità italiane perché su di loro pendevano ordinanze cautelari per terrorismo, emesse dai magistrati milanesi. Finiti dunque in carcere anche in Italia, chi per oltre un anno chi per quasi due anni e mezzo, i tre presunti terroristi sono stati alla fine tutti scarcerati, ad uno ad uno, in tre diversi processi dai giudici del capoluogo lombardo. L’ultimo ad uscire dal penitenziario di Vigevano (Pavia) - dopo 7 anni da detenuto per gli americani a Bagram in Afghanistan e 2 anni e 3 mesi di carcerazione disposta dalla magistratura italiana - è stato Moez Fezzani. L’uomo, cittadino libico di 43 anni e difeso dall’avvocato Giuseppe De Carlo, è stato infatti assolto oggi con formula piena, “per non aver commesso il fatto”, dall’accusa di associazione per delinquere aggravata dalle finalità di terrorismo, mentre la Procura per lui aveva chiesto una condanna a 12 anni. I giudici della prima Corte d’Assise di Milano (presidente Anna Introini, giudice a latere Ilaria Simi De Burgis) hanno deciso anche per l’immediata liberazione. Così come era avvenuto poco più di un mese fa, il 6 febbraio, per il tunisino Riad Nasri che, dopo essere stato condannato in primo grado a 6 anni, era stato prosciolto e scarcerato. Il terzo, Ben Mabrouk Adel, anche lui tunisino, invece, era stato scarcerato dal gup di Milano nel febbraio 2011, dopo una condanna a 2 anni, ma con sospensione della pena. Ottenuta anche perché il pm Armando Spataro, nel chiedere l’applicazione delle attenuanti generiche, aveva fatto riferimento alla sua lunga e illegittima carcerazione a Guantánamo, avvenuta con modalità “disumane”. Fezzani, Nasri e Mabrouk erano stati consegnati alle autorità italiane tra novembre e dicembre del 2009, in base a un accordo tra l’allora premier Berlusconi e Barack Obama, dopo che per un paio d’anni, dal 2007, i magistrati milanesi avevano chiesto più volte senza successo agli Usa di farli arrivare in Italia per poter eseguire le ordinanze cautelari. La Procura milanese ovviamente muoveva ai tre accuse diverse rispetto a quelle per cui loro erano rinchiusi nelle basi americane. In particolare, stando alle indagini del pm Elio Ramondini, Fezzani e Nasri avrebbero fatto parte, tra il 1997 e il 2001, di una “cellula” legata al “Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento” con base anche a Milano, che reclutava martiri da inviare nei Paesi in guerra. Appena arrivati in Italia nei loro verbali, davanti al gip Guido Salvini e al pm, Nasri e Fezzani avevano raccontato tutto quello che avevano passato. Il primo ha descritto i suoi 8 anni a Guantánamo: “Mi hanno legato con le mani ai piedi con una cuffia in testa facendomi sentire, per più di 20 ore consecutive della musica da discoteca ad alto volume (...) nelle celle veniva alzata la temperatura dell’aria condizionata per alcuni giorni fino a far sudare le pareti (...) e poi abbassata facendoci soffrire il freddo”. Simile il trattamento per Fezzani a Bagram: “Quando ho avuto problemi ai denti, invece di curarmeli me li hanno strappati”. Nelle motivazioni dell’assoluzione per Nasri - che uscito dal carcere ha chiesto di essere rimpatriato in Tunisia - i giudici hanno scritto: “La circostanza che fosse un terrorista internazionale, che potrebbe ricavarsi dall’essere stato fatto prigioniero dagli americani in Afghanistan e detenuto a Guantánamo, non è sufficiente a provare quelle condotte di reclutamento, coordinamento, addestramento dei terroristi che transitavano nel nostro Paese”. Per le motivazioni della sentenza riguardante Fezzani, invece, serviranno 30 giorni. Lettere: la chiusura degli Opg e la “faccia di conseguenza” della psichiatria di Adolfo Ferraro www.forumsalutementale.it, 21 marzo 2012 Eccola. La faccia di conseguenza della psichiatria. L’ipocrisia del potere che si propone come anti/potere, ma che alla fine cerca solo di salvare la propria dignità in bilico. Vogliamo l’impossibile, ma se offrite qualcosa che ci rassicura dalla idea del nostro fallimento vi saremo grati lo stesso. Il buonismo di chi si vuole mettere a posto con la propria coscienza, e distribuisce comprensione e caramelle alla menta. Le dimenticanze e le volute distrazioni. Oppure: io non posso, dipende dagli altri. Sembrano temporaneamente sopiti i tempi delle inchieste e degli scandali degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sui media, i politici che si sono impegnati ritengono di avere raggiunto un epocale cambiamento, e il silenzio sta per scendere ancora sui manicomi criminali che dovrebbero essere smantellati per lasciare posto ad un numero di strutture più piccole e numericamente proliferanti (dalle sei attuali si passerà alle diciannove che si dovrebbero organizzare). Mantenendo ovviamente la struttura di galera/ospedale, cioè manicomio. Ovviamente se ci si riesce. Una vittoria, dicono alcuni; una sconfitta, replicano altri; un pericolo per la società, affermano i conservatori; nuove regole che partono dal rispetto dei valori, ma che riguardano sempre i valori di chi domina e non di chi viene dominato osservano altri ancora. Cambiare il codice penale o interpretarlo diversamente? Perché un malato di mente non viene giudicato come sano quando commette un reato? Perché è malato di mente, replicano altri , e quindi non consapevole delle proprie azioni. E chi lo dice? Quale significato ha un reato per un malato di mente e per un soggetto sano? Vuoi vedere che tutti quelli che commettono un reato sono malati di mente? Macché, e lo sappiamo bene. Provenzano ritiene di non essere capace di intendere e di volere. Adesso. E poi, figuriamoci, non ci sono i soldi per i malati di mente “liberi” (lo sanno bene i servizi di salute mentale e soprattutto le famiglie dei pazienti) e voi volete mettere in circolo millecinquecento disgraziati/criminali che sono al sicuro nelle galere travestite da ospedali, e quindi nelle ambiguità che producono i mostri. Adesso, proprio adesso che la politica è quella di una indiscriminata riduzione della spesa sanitaria. Malati di mente che farebbero bene a rimanere dove stanno, così non creano problemi e potranno essere resuscitati ogni qualvolta si potrà evidenziare uno scandalo. A piacere. Soddisfatta la società che costruisce mostri. Il fatto è che i malati di mente “pericolosi” in Italia non sono più di cento / centocinquanta persone. Gli altri sono - in genere - poveri disgraziati capitati nelle maglie della giustizia solo perché non si sapevano difendere, o magari volevano dare un segno della loro esistenza. Un grido d’aiuto, insomma. Come facciamo noi “sani” ogni tanto. Quando litighiamo col coniuge o passiamo col rosso. Le sfumature, in questa società che si sta trasformando, non esistono. Bianco o nero, così siamo più sicuri. E vedi tu dove ti vuoi o ti puoi piazzare. Sublimare la frustrazione con la rappresentazione di un ruolo che costringe a prendere posizione personale, ma non la posizione di chi è pienamente coinvolto suo malgrado, e di cui, alla fine, in pochi realmente se ne importano. Ci sono altri interessi, compresi quelli della psichiatria ufficiale che produrrà nuovi primari e altri finanziamenti, se ci sono, per soddisfare i portafogli e i poteri personali. Dovremmo rileggere ogni tanto Artaud. Il manicomio giudiziario come un enorme camaleonte che cambia colore a seconda degli occhi di chi lo guarda. Bene, bravi, un passo in avanti verso la civiltà. Belle parole che nascondono i personali interessi o le paure represse. Abbiamo bisogno di sicurezze, viene detto spesso. Lombroso - e le sue desuete teorie sull’atavismo e la fisiognomica - viene sostituito dalle più moderne neuroscienze , dove tutto è un problema di neuroni e neurotrasmettitori. Chimica. Un passo avanti verso la civiltà , come si conviene in una società in crisi e che per questo necessita di certezze sicure. Oggi come alla fine dell’ottocento, con un futuro che spaventa. Oggi come allora, con la medesima necessità di catalogare e chiudere e sequestrare quello che non deve essere visto. Non ho mai incontrato ricchi nel manicomio giudiziario (tranne i simulatori). Un caso? La psichiatria attuale si sta adagiando tra Dsm - IV e farmaci, e così il futuro è sicuro. Ci basta? A volte sì, o almeno per adesso. Poi si vedrà, quando sarà necessario un nuovo scandalo che scuota le coscienze e ci induca alla faccia di conseguenza. Un nuovo scandalo, del resto, lo abbiamo sempre pronto. Marche: il “tour degli orrori” nei sette istituti penitenziari della regione Notizie Radicali, 21 marzo 2012 Era partito il 27 Febbraio il tour della regione Marche per visitare sette istituti penitenziari della regione. Si è partiti con carcere di Montacuto e si è passati in rassegnata le carceri delle varie provincie. Oggi questa esperienza è terminata e ad esprimersi sulla questione è Roberto Raffaelli, rappresentante del gruppo consiliare Idv in delegazione, che sottoscrive quanto dichiarato dall’On. Borghesi, vice presidente dell’Italia dei Valori alla Camera. “Il ministro Severino solleciti interventi mirati per la polizia penitenziaria. La situazione nelle carceri italiane non è più sostenibile, e i primi a pagarne le conseguenze sono gli agenti di custodia, con condizioni di lavoro molto difficili, ai limiti della sopportazione. Ho fatto visita al carcere della mia città - spiega Borghesi - ma idealmente alle strutture di detenzione di tutto il Paese, proprio per rendermi conto, sia delle condizioni dei carcerati, che di quelle degli addetti della polizia penitenziaria. Sempre più spesso questi lavoratori sotto organico e sopportano anche il peso delle diminuite condizioni di sicurezza all’interno delle carceri”. Le Marche sono la quarta regione d’Italia per sovraffollamento e, proprio il carcere di Montacuto è diventato caso nazionale da quando lo scorso giugno Marco Pannella, Rita Bernardini e Segio Rovasio sono andati in visita all’istituto penitenziario anconetano e a seguito di ciò, hanno denunciato il grave stato di illegalità della struttura. Inoltre proprio lo scorso 18 Febbraio, la dirigenza dell’associazione Radicali Marche ha visitato di nuovo il carcere di Montacuto insieme al suo leader Marco Pannella, denunciandone le condizioni di violazione di diritti umani nel convegno che si è tenuto nel pomeriggio dello stesso giorno, dal titolo “Amnistia per la giustizia, i diritti, la legalità”. Ad oggi l’unica soluzione sembra quella dell’Amnistia e di una complementare riforma del sistema giustizia. Questione profonda e complessa dunque, quel che è certo è che ancora oggi, nonostante la grande presa di coscienza dei politici e dei cittadini, per molti il sovraffollamento delle carceri resta solo un problema di numeri e di gestione. Ma nelle carceri c’è violenza, violazione di diritto e diritti umani, siamo a rischio fusione e il timer è all’ultimo giro di lancette. Sardegna: sì Consiglio a mozione contro trasformazione carceri in strutture massima sicurezza Adnkronos, 21 marzo 2012 È stata approvata dal Consiglio regionale della Sardegna la mozione “sulle iniziative da assumere per evitare che gli istituti penitenziari sardi siano trasformati in carceri di massima sicurezza e per consentire l’immediata consegna dei lavori per la realizzazione di quattro nuove strutture penitenziarie”. “In attuazione dell’articolo 44 bis della legge n. 14 del 2009 - si legge nella mozione, recante norme in materia di infrastrutture carcerarie, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha adottato un programma di interventi che prevede la realizzazione in Sardegna di nuove infrastrutture penitenziarie (Cagliari, Sassari, Oristano e Tempio) e l’aumento della capienza di quelle esistenti (Nuoro e Lanusei). Con la delibera del 31 luglio 2009 (Interventi di edilizia carceraria. Assegnazione delle risorse) il Cipe ha disposto l’assegnazione di complessivi 133 milioni di euro per il completamento dei nuovi istituiti penitenziari sardi”. Nel programma del Dap si legge: “Tra gli interventi programmati merita di essere ricordata la previsione di due padiglioni detentivi presso i nuovi istituti di Cagliari e Sassari (per complessivi 180 posti) destinati a ospitare i detenuti sottoposti al particolare regime dell’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario”. La mozione impegna il Presidente della Regione e la Giunta regionale “a chiedere chiarezza allo Stato in ordine alla volontà di concentrare in Sardegna un numero di detenuti sottoposti al regime carcerario del 41 bis, ossia legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso”. Poi ad “adottare nei confronti del Governo ogni iniziativa utile a evitare che gli istituti penitenziari sardi vengano trasformati in carceri di massima sicurezza e venga impedito, con ogni mezzo, il trasferimento dei boss mafiosi nell’Isola”. Infine “a chiedere al Governo che vengano portati a conclusione i lavori e consegnate in tempi certi le quattro nuove strutture penitenziarie della Sardegna necessarie a fare fronte all’inadeguatezza e fatiscenza in cui versano gli edifici che ospitano gli istituti penitenziari sardi e al problema del sovraffollamento”. La mozione è stata presentata il 6 marzo scorso, ma nel corso della discussione sono emersi numerosi i riferimenti alla proposta del ministro della Giustizia Paola Severino sull’ipotesi di riaprire il carcere dell’Asinara. Nuoro: Cucca (Pd); allarme su Badu ‘e Carros… non vogliamo detenuti in regime di 41-bis L’Unione Sarda, 21 marzo 2012 Scatta l’allarme ancora una volta sul pianeta carcerario isolano. Su Badu ‘e Carros in particolare. Ancora una volta, infatti, si ripresenta la paura che possano arrivare presto nel penitenziario barbaricino reclusi sottoposti al regime 41 bis. È quanto emerso ieri sera nel corso di un convegno “Oltre le mura, un uomo”, organizzato dal Pd e dell’associazione Ut unum sint. Nei prossimi giorni - ha annunciato il consigliere regionale Giuseppe Luigi Cucca - la commissione diritti civili presenterà una risoluzione che impegna la Regione a pretendere risposte certe dal Governo. La Sardegna deve sapere: deve sapere se è vero che stanno per arrivare nell’isola oltre duemila detenuti; deve sapere se è vero che questi duemila detenuti sono in gran parte detenuti sottoposti al regime 41-bis; deve sapere se è vero che i 41-bis del resto d’Italia saranno confinati nell’isola e distribuiti tra le celle della nuova sezione di Badu ‘e Carros, di Bancali (Sassari) e di Uta (Cagliari). A sollevare il caso, stavolta, è il consigliere regionale Giuseppe Luigi Cucca, coordinatore di un convegno bipartisan organizzato nell’auditorium della biblioteca Satta, ieri sera, “Oltre le mura, un uomo. Percorsi di inclusione tra principi e opere”. Appuntamento “trasversale” voluto dal gruppo consiliare Pd e dall’associazione nuorese Ut unum sint. Solleva il caso, Cucca, tra le righe della sua introduzione alla serata, ricordando le recenti parole di Beppe Pisanu: “Le infiltrazioni è inevitabile che ci siano”. “Con tutte le conseguenze che ne derivano” aggiunge subito l’avvocato consigliere regionale, componente della Commissione sui diritti civili. “Ecco perché è necessario approvare nell’immediatezza - annuncia al pubblico della Satta - una risoluzione che impegni la Regione a verificare se le notizie paventate in questi ultimi tempi siano vere o no, e qualora risultassero vere a prenderne le contromisure”. Intanto, la Regione, deve anche dare gambe al garante dei detenuti “della cui legge istitutiva, Giuseppe Luigi Cucca è il padre”, gli riconosce il collega avvocato Pietro Pittalis, “rivale” politico schierato con il Pdl, collega nella Commissione diritti civili. E non a caso entrambi, annunciano che ormai è tutto pronto. Che dieci giorni fa la Regione ha stanziato i fondi necessari e i funzionari del palazzo hanno individuato l’organigramma. Questione di poco, ora, e anche la Sardegna, così come altre undici regioni italiane, avrà il suo garante dei detenuti. Parole sottoscritte anche dall’altra esponente del Pdl presente al tavolo dei relatori: Lina Lunesu, subentrata a Silvestro Ladu, ora in Parlamento ma fino all’ultimo presidente della Commissione diritti civili (posto ora occupato dal sassarese Salvatore Amadu (Pdl anche lui). “E poi speriamo di dare gambe anche al resto della legge regionale 7 febbraio 2011 nº 7, istitutiva del garante ma che prevede anche diversi interventi a “favore dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria”, dai minori alle donne e agli stranieri”. Stranieri? Compresi i detenuti islamici di cui tanto si sussurra in questi giorni, ma di cui nessuno ha notizie certe sul loro possibile arrivo in Sardegna, e non soltanto a Macomer? Domande senza risposte che la Regione deve porre al Governo. Fermo restando che la situazione carceraria sarda è già alquanto critica. Lo hanno sottolineato tutti i relatori, compresi don Pietro Borrotzu, il sindaco Sandro Bianchi, il magistrato di sorveglianza del tribunale di Nuoro Adriana Carta e il presidente dell’Ordine degli avvocati nuoresi Priamo Siotto. Con Pietro Pittalis che ha fatto il mea culpa della politica senza tuttavia tralasciare un aspetto di cui si parla ancora troppo poco: il ricorso dei giudici alla carcerazione preventiva e lo scarso utilizzo, invece, delle misure alternative alla detenzione carceraria. Reggio Calabria: Nucera (Regione); aprire penitenziario di Arghillà di Ilaria Calabrò www.calabrianews.it, 21 marzo 2012 “Mi fa grande piacere notare nell’attuale Ministro della Giustizia on. Paola Severino, una grande sensibilità verso la situazione carceraria italiana. Le nostre carceri sono da tempo al collasso, sia come presenza di detenuti ospitati, al di là di ogni ragionevole possibilità, sia per le carenze croniche di agenti di Polizia Penitenziaria e mezzi”. È quanto commenta il Segretario Questore del Consiglio regionale on. Giovanni Nucera, dopo l’audizione del Ministro Severino in Commissione Antimafia che non ha escluso la possibilità di riaprire le vecchie carceri dell’Asinara e di Pianosa. “Comprendo la nostalgia istituzionale di un uomo di Governo, verso due strutture - afferma Nucera - che hanno fatto la storia carceraria dell’Italia: l’Asinara che ha ospitato boss mafiosi e terroristi sottoposti al regime del carcere duro, è rimasto aperto per oltre un secolo. Pianosa ha chiuso i battenti nell’agosto 1998. Ma domandiamoci - esorta il Segretario Questore del Consiglio regionale - quanto costerebbe la loro riapertura? Nel frattempo il Ministero è impegnato nella costruzione di altre 9 carceri, tra cui quello già quasi pronto di contrada Rugola di Arghillà a Reggio Calabria, costato oltre 90 mln di euro. Una struttura di 300 posti, considerata di massima sicurezza, con laboratori per le attività lavorative, campi da calcio, aree verdi. Quel carcere ormai quasi completato attende solo di entrare in funzione. Da tempo; mentre la Casa Circondariale di San Pietro è stipata di detenuti: 370 su una capienza strutturale di 170. Ricordo che lo scorso mese di settembre nella sua prima visita ufficiale da Ministro della Giustizia, il Sen. Nitto Palma, in accoglimento delle nostre ripetute sollecitazioni annunciò, che entro il 2012 sarà aperto un primo padiglione del nuovo carcere reggino. Mi chiedo perché a fronte delle spese necessarie per ripristinare due vecchi e cadenti penitenziari, anche se ancora strutturalmente idonei - evidenzia l’on. Giovanni Nucera - non si pensa di completare e aprire le strutture già costruite e che, nel caso di Reggio Calabria, “non richiedono interventi di tipo straordinario”, come ammise l’allora Ministro della Giustizia che auspicò la possibilità di “poter utilizzare il carcere di Arghillà entro la fine dell’anno nuovo”. “Una soluzione di breve periodo che contribuirebbe a far diminuire, quanto meno in Calabria il forte sovraffollamento carcerario. Non credo - prosegue l’on. Giovanni Nucera - che serva inseguire suggestioni per la soluzione di un problema, quello dell’affollamento delle carceri e delle necessità di nuovi istituti penitenziari, che invece può essere risolto guardando alla concretezza delle cose ed ad una più razionale visione della realtà”. “L’apertura del nuovo carcere ad Arghillà determinerebbe, inoltre - conclude l’on. Nucera - un forte impatto sociale sul territorio. Pensiamo al personale, penitenziario, amministrativo, dei servizi, che sarebbe necessario al suo funzionamento, ma anche alle tante opportunità che una struttura del genere creerebbe in un quartiere tra i più problematici della città, attraverso l’apertura di attività commerciali, di impresa e del relativo personale”. Salerno: Assessore Odierna; Centro per ex detenuti psichiatrici, non ci sono pericoli per residenti www.salernonotizie.it, 21 marzo 2012 L’assessore alle Politiche sociali, Sebastiano Odierna, interviene sulla decisione della Direzione Aziendale dell’Asl di destinare a centro residenziale sanitario per detenuti psichiatrici la struttura sita in località Mariconda di Salerno. “Bisogna, innanzitutto - dichiara l’assessore Odierna - sottolineare che il centro residenziale che sorgerà non ha nulla in comune con quanto previsto nel cosiddetto “Decreto svuota carceri”, in quanto la struttura non assolverà in alcun modo a quanto previsto per i nuovi Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) del decreto stesso. L’individuazione della struttura sita in località Mariconda a Salerno per la creazione di una Struttura Psichiatrica Residenziale (Sir) è stata effettuata sulla base del fatto che essa risulta costruita con fondi vincolati per le strutture sanitarie residenziali essendoci, in essa, un ‘modulò inutilizzato. La decisione è stata presa, dunque, con tutte le valutazioni di funzionalità, operatività ed opportunità e ciò contrariamente a quanto sostenuto dal sindaco Vincenzo de Luca. Inoltre, in essa, già da diversi anni vi sono ricoverati pazienti con problematiche psichiatriche, dimessi dagli Ospedali Psichiatrici”. “Ad ogni modo - continua l’Assessore Odierna - nei prossimi giorni verrà effettuato un sopralluogo tecnico, che stabilirà gli eventuali e necessari interventi già finanziati dalla Regione Campania. La struttura destinata alla riconversione in centro residenziale sanitario per ex detenuti psichiatrici risulta essere adeguata sotto il profilo della sicurezza, non essendoci alcun pericolo per i residenti in quanto i pazienti che verranno ospitati hanno già scontato la pena prevista per la loro detenzione e non presentano alcuna pericolosità sociale”. “La struttura - conclude - difatti si pone come un presidio a valle degli Opg, la cui finalità è quella di favorire il reinserimento graduale e definitivo di questi pazienti nelle loro comunità di origine”. Brindisi: “Biblioteche scatenate”, al via progetto nelle carceri www.giornaledipuglia.com, 21 marzo 2012 Una bellissima iniziativa, che riguarderà 8 carcerati della casa circondariale di Brindisi, prenderà il via venerdì 23 marzo: si tratta del progetto dal titolo “Biblioteche scatenate”, finanziato dall’Ispedis (Istituzione per la prevenzione dell’emarginazione e del disagio sociale) organismo strumentale del Comune di Brindisi grazie al bando “Vita alle Idee” 2011-2012, in collaborazione con la Fondazione Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo”. Nel corso del progetto i carcerati scelti faranno un percorso che va dalla lettura del libro di Fabio Volo dal titolo “Il tempo che vorrei” fino alla scrittura della propria esperienza di solitudine nelle carceri dove il mondo della cultura scritta non c’è tranne in rare eccezioni. Saranno anche previsti otto incontri mensili di tre ore fino a giugno, per detenuti anche di nazionalità diverse che saranno accompagnati dalla dottoressa Katiuscia Di Rocco, direttrice della Fondazione Biblioteca Pubblica De Leo, prima nella lettura dei libri di Fabio Volo e poi in esercitazioni alla scrittura autobiografica. Gli ultimi incontri saranno dedicati alla preparazione e all’accoglienza dell’autore Fabio Volo per un dibattito finale. “Non è facile capire cosa significa avvicinarsi da adulti per la prima volta alla lettura” ha dichiarato la dottoressa Di Rocco “per la prima volta imparare a leggere e a scrivere, per la prima volta accorgersi che si è in qualche modo nella condizione di poter esercitare quel micro-potere che la competenza della lettura e della scrittura riesce a darci; credo che sia importante entrare in questo mondo così segreto, così misterioso di chi si avvicina in un’età non canonica a imparare a leggere e a scrivere, e che sia inoltre fondamentale cogliere quelle sfumature che talvolta ci sfuggono. Le letture e scritture creative nella narrazione autobiografica sono un’importante attività intramuraria nel processo di recupero delle persone in stato di prigionia”. Treviso: la “Bottega grafica” dell’Ipm sarà protagonista di un convegno a Salerno La Tribuna, 21 marzo 2012 La “Bottega grafica” dell’istituto penale minorile di Treviso sarà protagonista venerdì a Salerno al convegno “La giustizia riparativa tra scenari giuridici e sperimentazioni sociali”, organizzato dall’università di Salerno, dal Movi Campania (Movimento di volontariato italiano) e dal ministero della Giustizia. A muovere l’interesse degli organizzatori è stata proprio l’originalità dell’esperienza della Bottega che vede i giovani detenuti impegnati a realizzare loghi, manifesti, brochure e altro materiale promozionale per enti pubblici ed organizzazioni del terzo settore. Prima di procedere con il lavoro grafico infatti, i ragazzi devono conoscere l’ente o l’associazione committente, le finalità, gli obiettivi, i valori fondanti, le tipologie delle persone seguite e le attività. Quando è possibile vengono anche organizzati incontri specifici tra i giovani reclusi e i rappresentanti delle organizzazioni. In questo modo i giovani detenuti conoscono persone e realtà positive, situazioni di legalità, di giustizia e di solidarietà. Miliano: presentazione nuova collezione della “Sartoria San Vittore”, magistrati clienti migliori di Cristina Manara Ansa, 21 marzo 2012 Mai che chiedano un prezzo di favore. Sono i magistrati i “migliori clienti” della Cooperativa Alice nei cui laboratori di sartoria all’interno del carcere detenute ed ex detenute confezionano ogni anno circa 2 mila 500 capi, un centinaio dei quali, appunto toghe. “Un lavoro che è risultato fondamentale, soprattutto nell’ultimo anno, per il budget” assicura Alice che nella boutique a due passi da Sant’Ambrogio dove ha sede il negozio “Sartoria San Vittore” lavora da anni. Qui domani pomeriggio verrà presentata la nuova collezione disegnata dalla stilista Rosita Onofri. La fantasia è stata trasformata in abiti, camicie, pantaloni e maglie in cotone e jersey dal talento e dalla professionalità di 27 donne. Sei detenute a Bollate, altrettante a San Vittore. Sono invece una quindicina quelle che lavorano nel laboratorio esterno, dove due terzi ha un passato galeotto o si trova in semilibertà o ancora in affidamento ai servizi sociali. Alcune sono assunte, altre con borsa lavoro, a tutte è comunque garantita una retribuzione. La collaborazione a volte dura da tempo. Il ricordo di Alessandro Brevi, uno dei fondatori della cooperativa impegnata da anni nel reinserimento delle persone detenute nel mondo del lavoro, va ad una ragazza di origine cinese: “Tra i cinque di detenzione e quelli che sono seguiti in libertà ha collaborato con noi per 15 anni”. Ora ha una sua attività. Dopo la formazione, che si acquisisce lentamente, capita sia difficile separarsi da collaboratrici che, una volta finita di scontare la pena, escono dal carcere. “Dopo” può capitare che l’attività continui o appreso il mestiere, questo diventi lo spunto per aprire un’attività in proprio, come un negozio di riparazioni. Abiti da sposa, ma anche teatrali, una linea pret a porter e poi toghe (per ciascuna almeno 3 giorni di lavoro, un centinaio quelle realizzate nell’ultimo anno) per avvocati e magistrati è quanto viene realizzato. Sensibilità e solidarietà sono i fili conduttori della cooperativa. Il passaparola, il canale attraverso cui realizza la vendita delle proprie collezioni. L’ultima per la primavera estate si presenta all’insegna del colore, arricchito da un gioco di intrecci, fasce e frange. Roma: il Garante Pegorari; detenute fai da te per la dipintura delle celle Il Tempo, 21 marzo 2012 Sono stati consegnati questa mattina al carcere femminile di Rebibbia 44 bidoni di vernice destinati alle detenute per il tinteggio fai da te delle celle. L’iniziativa è stata promossa dall’assessore capitolino all’Ambiente, Marco Visconti, e dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Filippo Pegorari. Soddisfatto dell’iniziativa il Garante Pegorari, secondo cui “in questa maniera si è contribuito in modo concreto alla pulitura delle celle, considerando che l’amministrazione penitenziaria si è vista costretta a tagliare i fondi destinati proprio a tale voce”. Quella di oggi è stata la seconda visita effettuata dall’assessore Visconti all’interno della casa di reclusione di Rebibbia Femminile dopo quella del 7 dicembre dello scorso anno, quando sono state consegnate 10 pecore da latte di razza sarda per la promozione del lavoro nell’istituto penitenziario. Pesaro: “Shakespeare in carcere”, i giornalisti interessati a partecipare devono farne richiesta Ristretti Orizzonti, 21 marzo 2012 In relazione all’invito fatto dal Teatro Aenigma a partecipare in quanto giornalisti alle celebrazioni della Giornata Mondiale del Teatro (25 marzo 2012), “Shakespeare in carcere”, diversamente da quanto specificato, comunichiamo che deve essere fatta prima possibile una richiesta alla Direzione della Casa Circondariale specificando il nome del giornale, il proprio nome, cognome e data di nascita all’indirizzo E-mail: cc.pesaro@giustizia.it e chiedendo conferma del permesso al numero 0721.281986. Mistretta (Me): Crivop onlus; il 31 marzo l’Arpa di Davide nella Casa Circondariale Ristretti Orizzonti, 21 marzo 2012 Sabato 31 marzo la Crivop ritorna con “L’arpa di Davide” tra i detenuti della Casa circondariale di Mistretta (Me). “Vogliamo tenere vivo quel verso in Ebrei 13:3 dove dice: Ricordatevi dei carcerati, come se foste in carcere con loro… i volontari della Crivop insieme al gruppo musicale L’Arpa di Davide si esibirà ancora una volta dopo l’ultima volta del 25 giugno 2011 per portare due ore di serenità e gioia a quanti sono ristretti”. Alla fine della manifestazione come sempre, saranno offerti dai volontari della Crivop dolci fatti in casa e bibite. Michele Recupero Presidente Nazionale Crivop Onlus Immigrazione: Garante regionale detenuti Desi Bruno; guai a scadimento gestione Cie Bologna Dire, 21 marzo 2012 È ora di una riflessione seria sui Cie e sui “fantasmi” che ci vivono. È l’invito della garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, Desi Bruno, a poche ore di distanza dalla pubblicazione del nuovo bando per la gestione del centro per l’identificazione e l’espulsione dei migranti irregolari di Bologna. Un bando al massimo ribasso, dove si passerà dai 70 euro di spesa giornaliera per ospite a 30 euro. Per Bruno è “inaccettabile ipotizzare uno scadimento delle condizioni di vita per le persone trattenute, tenuto anche conto che al Cie di Bologna da anni sono in atto sforzi per aprire il centro all’esterno e tentare di ridurre il danno di una restrizione finalizzata all’espulsione”. Per la garante sono troppi i punti critici nei Cie. Preoccupa in particolare “la ricorrente presenza di stranieri presenti sul territorio dello Stato da moltissimi anni e che hanno perso il permesso di soggiorno per mancato rinnovo o revoca: la loro presenza nel Cie suscita notevoli perplessità in quanto trattasi non di rado di persone che hanno un radicamento in Italia, a volte una famiglia, incensurate”. Con una legislazione meno rigida, spiega la garante, sarebbe semplice regolarizzare la loro posizione. Ma nei centri c’è anche una presenza siginificativa di richiedenti asilo, persone con problemi di tossicodipendenza, donne vittime di tratta: tutte situazioni che secondo Bruno non sono compatibili con la detenzione. L’aumento della permanenza sino a 180 giorni, inoltre, “ha aumentato la conflittualità, i gesti di autolesionismo, i danneggiamenti”. Ci sono poi persone “che non vengono identificate, perché il paese di provenienza non le riconosce, e restano al Cie per poi uscire e rientrare, in un girone infernale che rende queste persone prive di qualunque riferimento. Ci vogliamo occupare di questi fantasmi? Ha senso trattenere chi non verrà mai riconosciuto?”. Il riferimento è al caso dei due ragazzi nati a Sassuolo da genitori di origine bosniaca: rinchiusi nel Cie di Modena, la loro situazione è in stallo perché la Bosnia non li riconosce. Sul caso è nata una mobilitazione che ha portato a diverse udienze davanti al giudice di pace modenese. La decisione finale, che era attesa per oggi, però non è ancora arrivata. Tutto pare rimandato a domani mattina. Il comunicato di Desi Brubo Garante Detenuti Emilia Romagna Anche a Bologna bando di affidamento della gestione al massimo ribasso, si impone una riflessione sui Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione) Anche al Cie di Bologna, dopo quello di Modena, si ripropone il problema del bando al massimo ribasso per l’affidamento della gestione del centro, con base d’asta 30 Euro. Inaccettabile ipotizzare uno scadimento delle condizioni di vita per le persone trattenute, tenuto anche conto che al Cie di Bologna da anni sono in atto sforzi per “aprire “ il centro all’esterno e tentare di ridurre il danno di una restrizione finalizzata all’espulsione. Come è noto, le persone che si trovano ristrette al Centro di Identificazione ed Espulsione sono destinate all’allontanamento dallo Stato italiano e subiscono una restrizione della libertà personale che può raggiungere i 180 gg. non per effetto della commissione di reati, come stabilisce l’art. 13 Cost., che sancisce la inviolabilità della libertà personale e i casi in cui la persona può esserne privata, ma per la mera irregolare presenza sul territorio, qualunque sia la causa pregressa che ha determinato tale irregolarità. Si tratta di una condizione di privazione difficilmente accettata dalle persone che la subiscono, sia che provengano dal carcere, e che quindi hanno già scontato la pena inflitta per i reati commessi, sia per le persone che sono al Cie per non essere muniti di permesso di soggiorno o perché lo stesso è scaduto e non è stato più rinnovato (anche solo per la perdita di un lavoro). A ciò si accompagna quasi sempre il fallimento del progetto migratorio che aveva accompagnato l’abbandono del paese d’origine, con tutto ciò che comporta di drammatico nel dover ritornare indietro. Queste le persistenti criticità: - la persistente ed elevata incidenza sulla popolazione ospite di persone provenienti da uno stato di detenzione in carcere. Trattasi nella quasi totalità di uomini che hanno alle spalle soprattutto condanne in materia di stupefacenti o di reati contro il patrimonio. - la ricorrente presenza di stranieri presenti sul territorio dello Stato da moltissimi anni e che hanno perso il permesso di soggiorno per mancato rinnovo o revoca , anche con riferimento a tale categoria la loro presenza nel Cie suscita notevoli perplessità in quanto trattasi non di rado di persone che hanno un radicamento in Italia, a volte una famiglia, incensurate ed in relazione alle quali una minore rigidità della legislazione attualmente in vigore permetterebbe una pronta regolarizzazione; - la presenza significativa di richiedenti asilo; - la non infrequente presenza di stranieri tossicodipendenti o affetti da patologie di dubbia compatibilità con la detenzione; la provenienza della gran parte delle donne straniere trattenute dal mondo della prostituzione e dello sfruttamento sessuale. A ciò si aggiunge il fatto che la permanenza sino a 180 giorni ha aumentato la conflittualità , i gesti di autolesionismo, i danneggiamenti. Ci sono poi persone che non vengono identificate, perché il paese di provenienza non le riconosce, e restano al Cie per poi uscire e rientrare, in un girone infernale che rende queste persone prive di qualunque riferimento. Ci vogliamo occupare di questi fantasmi? Ha senso trattenere chi non verrà mai riconosciuto? Ed ancora, se espulsione deve essere secondo la legislazione vigente, è possibile che non si riesca ad effettuare la procedura di identificazione per le persone che provengono dal carcere nei periodi di detenzione, spesso lunghi, ed evitare ulteriori privazioni della libertà personale con il trattenimento al CIE, con ciò che comporta in termini di ulteriore sofferenza ed anche spesa per la collettività? E infine trovare al Cie persone meramente irregolari , specie quelle che sono state radicate sul territorio e che hanno lavorato e hanno famiglie sul territorio, e che devono rientrare in paesi di origine pressoché sconosciuti, impone una riflessione seria ed urgente proprio nel momento in cui si riapre il tema della cittadinanza a chi , figlio di stranieri, è nato in Italia. Immigrazione: legali a gip Milano; fateci entrare nel Cie con i cronisti “è interesse pubblico” Ansa, 21 marzo 2012 I legali di 4 tunisini, imputati per alcuni disordini avvenuti nel Cie di Milano a gennaio, hanno chiesto al gip di “essere autorizzati” ad accedere nel centro di identificazione ed espulsione accompagnati anche da tre giornalisti, perché “esiste un rilevante interesse pubblico” nell’entrare e verificare lo “stato di quei luoghi”. In particolare, gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini hanno avanzato al gip di Milano Laura Marchiondelli l’istanza perché - spiegano - verificare “lo stato dei luoghi e del settore e in particolare”, dove è avvenuto l’incendio di cui sono accusati gli immigrati, è necessario per poter difendersi nel processo. L’istanza è stata formulata sulla base della norma che prevede le indagini difensive anche in relazione ai “luoghi non aperti al pubblico”, come i Cie. La norma indica infatti che bisogna richiedere il ‘via liberà del gip. I due legali hanno anche chiesto che possano accedere assieme a loro una giornalista del Tg3 Lombardia, una collega di “Terre di Mezzo” e un altro cronista di Radio Popolare. I legali infatti hanno spiegato che una giornalista nei giorni scorsi aveva chiesto alla Prefettura di poter entrare per andare a vedere cosa era accaduto nel centro a seguito dei disordini, ma l’accesso le era stato negato “per ragioni di sicurezza”. Gli stessi avvocati nei giorni scorsi avevano denunciato, sempre attraverso una istanza al gip, le condizioni disumane della detenzione dei 4 tunisini (per loro il processo è fissato per il 24 maggio) a San Vittore, a causa del sovraffollamento. Richiesta di scarcerazione bocciata, ma con alcuni atti trasmessi dal giudice al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, competente sulle politiche carcerarie.