Giustizia: Pannella lancia la “Seconda marcia per amnistia”, si svolgerà il giorno di Pasqua Ansa, 20 marzo 2012 "Come segno di speranza, e non di disperazione, di un minimo di dignità civile, un minimo di affermazione di coscienza, devo dare un segnale". Lo ha detto Marco Pannella, in diretta questa mattina a Radio Radicale, rilanciando la seconda marcia per l'amnistia, la giustizia, la libertà, in preparazione per il giorno di Pasqua. Il leader Radicale ha aggiunto: "C'è il problema in Italia della legalità ormai assunta da posizioni, obiettivi, struttura profonda di regime, per violare impunemente la legalità, non solo italiana ma europea. Come speranza contro la peste, contro questo Aids nel quale stiamo vivendo, andremo ad affermare la possibilità di una alternativa, per i carcerati e per il Paese, carcerato anch'esso. Ritengo mio dovere prepararmi come atto di speranza, di resistenza alternativa di fronte ad un potere trionfante, con risse che coprono questa realtà, un potere che nega diritto, diritti, decoro, prepararmi a passare allo sciopero della sete, perché davvero non possiamo continuare a dare la parola agli eventi. Esplodono i suicidi in Cina, in Tibet, e in Italia". L’appello di Marco Pannella (Notizie Radicali) Noi sottoscritti cittadini, riprendendo gli stessi obiettivi della “Marcia di Natale 2005 per l’amnistia, la giustizia e la libertà”, promuoviamo la Seconda Marcia invitando tutti i convocatori di allora a manifestare e manifestarsi perché oggi la situazione è palesemente più grave non solo per le condizioni delle carceri (oggi in Italia ci sono 7.000 detenuti in più che nel 2005), ma anche per l’immane numero degli oltre dieci milioni di procedimenti penali e civili pendenti che portano il nostro Paese ad essere costantemente sanzionato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa secondo il quale l’irragionevole durata dei processi costituisce un “grave il pericolo per lo stato di diritto” che si materializza nella “negazione dei diritti sanciti dalla Convenzione”. “Noi vogliamo servire lo Stato, non essere complici di violenza e illegalità contro la Giustizia e lo Stato stesso”, affermano i Direttori penitenziari. E noi tutti, promotori della “Seconda Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà” diciamo senza inimicizia e senza ostilità nei confronti di alcuno che intendiamo offrire come forza supplementare quella che devono avere in primo luogo tutti i responsabili istituzionali. Per questo, con il nostro impegno, intendiamo dar seguito alle parole che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pronunciò il 28 luglio 2011 in occasione del Convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, svoltosi presso la Sala Zuccari del Senato. Parole che vogliamo qui ricordare e che per noi costituiscono, tanto sono pregnanti, l’essenza stessa della prossima Marcia di Pasqua: “una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Occorre “mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere”. Occorre sottolineare “il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative. Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari”. “Evidente in generale è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo”... “c’è un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. “Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo Convegno ma in altri non meno fondamentali? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non fosse altro per istinto di sopravvivenza nazionale? Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte”. Giustizia: il digiuno di Marco Pannella e le “priorità” di Ignazio Marino di Valter Vecellio L’Opinione, 20 marzo 2012 “Francamente non credo che la giustizia sia una priorità in questo momento. Forse è la priorità di alcuni esponenti del centro-destra”. Così il senatore Ignazio Marino in una lunga intervista al “Fatto quotidiano”. Marino poi prosegue sostenendo di essere “contro il bavaglio alle intercettazioni e faccio sempre l’esempio della clinica Santa Rita dove dei chirurghi, e fatico a dirlo da chirurgo, toglievano delle mammelle senza tumore solo per guadagnare un migliaio di euro in più. Senza le intercettazioni questo scandalo non sarebbe stato scoperto”. A parte il particolare che se si è scoperto grazie alle intercettazioni che dei chirurghi facevano quello che facevano e per questo sono inquisiti e sotto processo, bisognerebbe capire la ragione per cui erano sotto “ascolto”, per quale motivo quelle intercettazioni erano state autorizzate; ma una motivo ci sarà senz’altro e probabilmente siamo noi colpevolmente ignoranti. Ad ogni modo ridurre la questione della giustizia a questo, è davvero indicativo di come certe questioni vengono trattate, percepite; e rubrichiamo dunque il senatore Marino tra “la brava gente”: pubblica opinione a cui viene negata informazione e conoscenza, e viene perciò privata della condizione preliminare per potersi formare un’opinione, più vicini ai sudditi che ai cittadini. Dunque, come sostiene il senatore Marino, la questione giustizia non è una priorità, “in questo momento”. Quando sarà, il momento? E lasciamo perdere (anche se non bisognerebbe lasciarlo perdere per nulla), le condizioni delle nostre carceri, i suicidi di detenuti e agenti di polizia penitenziaria, l’intollerabile quantità di detenuti in attesa di giudizio e che verranno poi dichiarati innocenti, i processi che si sa quando cominciano e mai quando finiscono con relative condanne da parte delle corti di giustizia europee, i tribunali e gli uffici giudiziari soffocati da migliaia di procedimenti destinati inevitabilmente a finire in prescrizione; lasciamo dunque perdere tutto questo enorme carico di sofferenza che non è risarcibile, si patisce e basta. Lasciamo perdere tutto questo. “Monetizziamo” per quello che si può fare. In una audizione in commissione Bilancio della Camera (14 marzo scorso), il capo economista dell’Ocse Pier Carlo Padoan, ha trattato la questione della corruzione e della lentezza della giustizia: e li ha indicati come “gli ostacoli per la competitività di un paese civile e moderno”. Con buona pace del senatore Marino, per il quale la questione giustizia non è una priorità, “in questo momento”. Secondo il Comitato investitori esteri di Confindustria (il documento è del novembre scorso), “il buon funzionamento della giustizia, la semplificazione e la chiarezza delle norme, devono essere considerati una delle leve decisive per potenziare l’attrattività degli investimenti esteri in Italia, che riguardano al momento circa 14 mila imprese per circa un milione e trecentomila dipendenti”. Con buona pace del senatore Marino, per il quale la questione giustizia non è una priorità, “in questo momento”. Lasciamo perdere il penale (anche se non bisognerebbe lasciarlo perdere per nulla); occupiamoci del civile. Occorrono circa 500 giorni per una sentenza civile di primo grado: 553, per l’esattezza, a fronte dei 129 giorni in Austria e 286 in Francia. Il centro studi di Confindustria, che ha elaborato dati della Banca Mondiale, la soluzione di una controversia commerciale in Italia ha bisogno di circa 41 procedure diverse, comporta una durata di 1.210 giorni di durata e deve sostenere costi complessivi pari al 30 per cento dell’intero valore della controversia. Nei paesi occidentali, le procedure sono una trentina, e i tempi molto più rapidi: circa 300 giorni negli Stati Uniti, 394 in Germania. I costi sono sotto il 20 per cento del valore della causa. E si calcola che una giustizia più rapida del 10 per cento varrebbe un aumento annuo del prodotto interno lordo pari allo 0,8 per cento. Con buona pace del senatore Marino, per il quale la questione giustizia non è una priorità, “in questo momento”. Forse qualcuno ricorda “Il mistero del capitale”, un libro di qualche anno fa dell’economista peruviano Hernando De Soto. Sosteneva, in sostanza, che la mancanza di un sistema legale che protegga la proprietà e l’attività delle imprese è un problema tipico dei paesi molto arretrati, e che lo sviluppo appunto va di pari passo con l’efficienza della giustizia. Quella giustizia che, secondo il senatore Marino, non è una priorità “in questo momento”. Come i pochi dati che abbiamo squadernato dimostrano, si tratta invece di una priorità, e proprio in questo momento. Per questo Marco Pannella ha cominciato qualche giorno fa uno sciopero della fame ad oltranza, e i radicali hanno indetto per il giorno di Pasqua una Marcia “per l’amnistia, la giustizia e la legalità”. È da sperare che in questo fazzoletto di giorni che ci separa dalla Pasqua anche il senatore Marino si convinca che quella della giustizia è una priorità, e decida di aderire e anche lui marciare. Le repliche del Senatore Marino (Pd) Da Ignazio Marino riceviamo una replica, questa: “Gentilissimo Valter Vecellio, essendo lei un giornalista professionista immagino sappia bene che il titolo di una intervista su un giornale non lo scrive l’intervistato ma, a volte con una certa forzatura, la direzione del giornale. L’intervista verteva su aspetti specifici del tema giustizia, come le intercettazioni, il reato di concussione, che in quei giorni erano tema di dibattito sui media. Non, quindi, sulla materia generale e certamente ancor meno sulle condanne in sede europea che vengono inflitte all’Italia, sulla situazione degli uffici giudiziari, o sui processi prescritti. Non spetta certamente a me, concordare con il giornalista le domande che mi vuole rivolgere perché rispetto la sua professione. Io credo che le intercettazioni siano uno strumento importante; penso che di giustizia sia urgente occuparsi anche per non ritardare le nuove norme sulla corruzione; ritengo però che non sia il momento di intervenire sulla cancellazione del reato di concussione ora che è in corso, proprio per questo reato, un processo in cui è coinvolto Silvio Berlusconi. Davvero spiace ricevere critiche così da lei. Durante la campagna per le primarie del 2009 denunciai più volte l’iniquità del sistema giustizia: nella mia mozione dedicai ampi spazi all’alto numero di processi conclusi con prescrizione del reato per decorrenza dei termini e alla lentezza insostenibile delle sentenze. Una palese manifestazione di resa da parte della giustizia e, in ultima analisi, dello stato, con effetti negativi per tutti: per il reo e per chi è innocente, per la vittima come per l’opinione pubblica, per i giudici e per l’organizzazione amministrativa della giustizia. Potrà dire che non si tratta di un impegno parificabile a quello di marco Pannella, dalla cui battaglia nonviolenta sono sempre stato impressionato; tuttavia non ritengo sia il momento di promuovere o costruire divisioni tra noi. Aggiungo che dovrebbe conoscere il mio impegno per gli internati nei manicomi criminali che ha appena reso possibile l’approvazione, il 14 febbraio scorso, di una legge per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Una in chiesta di due anni che mi ha portato, insieme a parlamentari radicali come Donatella Poretti, anche in alcune carceri, come quelle di Favignana (che certamente Rita Bernardini ben conosce), dove abbiamo denunciato a più riprese, per esempio, la presenza dell’amianto nei bagni. La giustizia, per me, come i diritti (ricorderà forse il mio impegno sul testamento biologico www.testamentobiologico.it) è un tema centrale che quasi 70mila detenuti italiani vivono in condizioni drammatiche e anche perché sono troppi gli italiani che attendono risposte dalla nostra Magistratura. Sottolineo, infine, che non sapevo della vostra “Marcia per l’amnistia, la giustizia e la legalità” altrimenti ne avrei fatto certamente evidenziato l’importanza (così come ho fatto per altre iniziative radicali). Grazie per l’attenzione”. Giustizia: Savino (Pdl); sì all’amnistia, situazione delle nostre carceri è insostenibile Agi, 20 marzo 2012 “Io l’ho detto e lo ribadisco: sono favorevole all’amnistia, in difformità con le indicazioni del mio segretario”. Lo ha detto la deputata del Pdl Elvira Savino, intervistata da Radio Radicale. “La situazione delle nostre carceri è insostenibile, c’è una ipocrisia di fondo sulla situazione carceraria, basti pensare a quella sorta di welfare parallelo che consente ad alcuni di vivere con meno sofferenza la detenzione”, ha detto la Savino. “L’amnistia avrebbe una efficacia pratica sull’arretrato spaventoso di cui soffre la giustizia penale, che non potrebbe mai essere recuperato se non con l’amnistia. Solo così riusciremmo a rendere più umana la detenzione, su cui siamo condannati dall’Europa, e a rendere più efficiente il nostro Paese”, ha concluso la deputata del Pdl. Giustizia: ministro Severino; valutiamo di riaprire Pianosa e l’Asinara, per detenuti del 41-bis Adnkronos, 20 marzo 2012 Per il collocamento dei detenuti sottoposti a regime stretto previsto dall’articolo 41 bis, il governo “sta valutando la riapertura delle carceri insulari come Asinara e soprattutto Pianosa”. Lo ha affermato in Commissione Antimafia il ministro della Giustizia, Paola Severino. Severino aggiunge che tali riapertura saranno effettuate “solo se le spese di ristrutturazione saranno adeguate. Il governo ha avviato una approfondita riflessione” sul punto. “Stiamo valutando la possibilità di riaprire il carcere dell’Asinara e soprattutto quello di Pianosa, che per la sua dimensione e configurazione strutturale si presta da un lato a ospitare un elevato numero di ristretti e dall’altro di garantire la loro separazione”. Oltre alle due isole citate, verrà valutata anche una ristrutturazione delle restanti strutture insulari, se ciò non dovesse significare un “ingente investimento economico”. In merito al 41 bis Severino lo valuta una misura “efficace a cui abbiamo concesso deroghe solo in via eccezionale e comprovata”. Il governo dunque è orientato a “mantenere l’attuale conformazione” del regime carcerario stretto. “Il regime speciale - ha aggiunto il ministro - ha un ruolo centrale per il contrasto alla criminalità organizzata e la legge del 2009 lo ha rafforzato”. Granata: (Fli) bene Severino su riapertura Asinara e Pianosa “La riapertura degli istituti di Asinara e Pianosa è una richiesta che Futuro e Libertà ha portato avanti sin dall’inizio della legislatura, sia per motivi legati alla sicurezza e prevenzione rispetto ai detenuti in regime di 41 bis, poiché appartenenti alla criminalità organizzata, sia perché consentirebbe di liberare gli istituti ordinari garantendo una maggiore vivibilità e sicurezza per gli altri detenuti”. Lo dice il vice presidente della commissione Antimafia e deputato di Futuro e Libertà, Fabio Granata. Pili (Pdl): il ministro Severino si scordi dell’Asinara “Le esternazioni del ministro Severino sulla possibile riapertura del carcere dell’Asinara sono fantasie che appartengono più alle provocazioni che alle cose serie. Si occupasse il Ministro dei vuoti in organico delle carceri sarde piuttosto che riproporre temi e argomenti che non appartengono più alla disponibilità del suo dicastero”. Lo ha detto il deputato del Pdl Mauro Pili, rispondendo alle dichiarazioni del ministro della Giustizia durante l’audizione in commissione parlamentare antimafia. “Mi sembra di rileggere affermazioni d’altri tempi di chi pensava di vedere la Sardegna come la Cayenna d’Italia. Una visione che pensavamo definitivamente decaduta proprio con la chiusura dell’Asinara. Forse non sa il Ministro che quell’isola ora è un’area destinata a parco naturale e che i progetti di sviluppo non riguardano carceri, ma turismo e valorizzazione ambientale. Questi Ministri che parlano senza cognizione di causa - conclude Pili - farebbero bene a studiare i problemi prima di parlare a vanvera”. Cappellacci (Pdl): riapertura carcere Asinara proposta irricevibile e anacronistica “La proposta di riutilizzare l’Isola dell’Asinara per ospitare detenuti è irricevibile”. Così il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci commenta le dichiarazioni del ministro della Giustizia Severino durante l’audizione presso la Commissione parlamentare antimafia. “La Sardegna sta andando in tutt’altra direzione - spiega Cappellacci - quella di uno sviluppo turistico dell’isola basato su progetti sostenibili e compatibili con l’ambiente. Abbiamo attivato dei percorsi per realizzare l’albergo diffuso, un centro diving, un centro velico, un ristorante a chilometri zero, ittiturismo e altre attività legate al chartering nautico”. “Vogliamo che l’Asinara diventi l’emblema di uno sviluppo che porti non solo benessere economico, ma anche un miglioramento della qualità della vita nel rispetto dei valori della società sarda. Non accetteremo - conclude il presidente della Regione - che tali attività siano messe in discussione in nome di proposte anacronistiche”. Matteoli (Pdl): eccessivi i costi per riaprire Pianosa “Appena il ministro della Giustizia, Paola Severino, avrà tutte le informazioni necessarie, ritengo che accantonerà l’idea di riaprire il carcere a Pianosa. Le attuali condizioni della struttura di pena, i costi eccessivi per riattivarla, per raggiungerla e per gestirla sconsigliano una riapertura del carcere”. Lo ha affermato l’ex ministro Pdl delle Infrastrutture, Altero Matteoli, replicando all’idea lanciata dal ministro della Giustizia, Paola Severino, di riaprire il carcere di Pianosa. Gonnella (Antigone): irrazionale riaprire carceri Asinara e Pianosa “Le carceri di Pianosa e l’Asinara sono state chiuse non moltissimi anni fa, con legge del 1998, per evidenti violazioni dei diritti umani”. A ricordarlo è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, che si dice contrario all’ipotesi di riaprire i penitenziari sulle isole. “La corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò per la prima volta l’Italia per trattamento inumano e degradante nei confronti di un detenuto - spiega Gonnella - proprio in seguito a due casi di reclusi a Pianosa”. “Per questo - prosegue - siamo contrari e giudichiamo irrazionale e antieconomica un’ipotesi del genere. In luoghi così lontani dagli sguardi - spiega Gonnella - è più facile che ci siano tentazioni di soprusi”. Inoltre, prosegue il presidente di Antigone “in un momento in cui non ci sono ingressi d’emergenza di detenuti per terrorismo o mafia è impensabile voler tornare a riaprire penitenziari che costano tre volte più degli altri, per il costo del trasporto di beni e servizi su un’isola. C’è inoltre da non sottovalutare la difficoltà di trovare personale disposto ad andare a vivere in isolamento. Piuttosto - conclude Gonnella - perché non ristrutturare carceri più accessibili, come ad esempio Livorno, un istituto relativamente nuovo ma già parzialmente chiuso per mancanza di manutenzione”. Socialismo Diritti Riforme: proposta riapertura Asinara caduta stile “Una proposta che danneggia la Sardegna riconfigurandola come isola-carcere, ne moltiplica le servitù penitenziarie e negando prospettive serie di una riforma del sistema detentivo. Una inattesa caduta di stile di un Ministro in cui sono state riposte molte speranze”. Lo sostiene in una nota Maria Grazia Caligaris, ex consigliera regionale e presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento alla proposta del Ministro della Giustizia Paola Severino di riattivare l’Asinara e Pianosa. “Il problema delle carceri - ha aggiunto - deve essere assunto nella sua interezza non puntando sull’incremento degli spazi di reclusione. Non servono isole bunker anche perché sono contrarie ai fondamenti costituzionali e ostacolano la risocializzazione di chi sconta una pena detentiva. La questione è ormai sociale e investe diversi ministeri da quello alle politiche sociali fino al lavoro. La Sardegna è stanca di un uso del territorio che favorisce lo spopolamento”. “Il sovraffollamento dei Penitenziari deve essere affrontato e risolto con atti di coraggio. Soluzioni facili come la riapertura di Istituti chiusi da diversi lustri servono solo - conclude Caligaris - a distrarre dalla necessità di costruire reali opportunità di crescita civile”. Legambiente boccia Severino: no a Pianosa e Asinara Legambiente boccia senza se e senza ma la proposta annunciata oggi dal ministro della Giustizia Paola Severino, di riaprire le carceri a Pianosa, all’Asinara e in altre zone insulari, per i detenuti condannati al 41 bis. “No al ritorno delle super carceri nelle piccole isole: la stagione è finita e riaprirla non ha senso”, sottolinea Legambiente. E - ricorda il presidente Vittorio Cogliati Dezza - “tutte le isole minori italiane sono aree protette, già istituite o in via di istituzione, e hanno da tempo sposato una politica di valorizzazione turistica del territorio, che non può conciliarsi in alcun modo con carceri di massima sicurezza”. “Siamo ben consapevoli dell’esigenza di un regime carcerario particolare per alcuni reati e dell’emergenza vivibilità nelle strutture carcerarie italiane - prosegue Cogliati Dezza - ma le esperienze carcerarie sulle isole hanno già dimostrato la loro insostenibilità economica e ambientale”. “La scelta di chiudere queste strutture sulle isole - conclude il presidente di Legambiente - è stata politica ma soprattutto economica, e non si capisce, quindi, quale potrebbe essere ora, in tempi di crisi e di tagli, il tornaconto per il Paese e la ratio che ha portato a concepire questa soluzione”. Giustizia: intervista a Mario Staderini “le nostre carceri sono al collasso” di Sara D’Aietti Inquirer, 20 marzo 2012 Dallo stato delle carceri si misura il livello di civiltà di un Paese. Lo Stato non ripaga mai con la vendetta, ma vince con il diritto e l’applicazione scrupolosa di regole e legge. È il modo migliore per dimostrare ai criminali l’intima diversità tra legalità della nostra democrazia e ogni forma di intollerabile arbitrio”. Queste sono le parole con cui il ministro della Giustizia, Paola Severino, citando Voltaire, ha inaugurato l’anno giudiziario nella città di Catania. E il Presidente Schifani ha commentato di recente: “Si può privare la persona che sbaglia della sua libertà, ma non della sua dignità”. Qual è dunque lo stato attuale delle patrie galere? Il nuovo Governo porterà aria nuova nella giustizia? “Inquirer” lo ha chiesto a Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani, responsabile politico del Movimento, di cui ha anche la rappresentanza legale. Staderini, secondo lei il nuovo Governo porrà rimedio alla situazione drammatica delle nostre prigioni? “Il Ministro Severino ha preso posizioni importanti nei confronti della Giustizia ma, correttamente, ha sempre rimandato la responsabilità di proporre risoluzioni incisive ai partiti. Non basteranno i tribunali specializzati per le imprese o l’informatizzazione dei servizi a risolvere il problema centrale del collasso della giustizia italiana: l’abnorme numero dei processi pendenti”. Quindi, benedetta amnistia? “Come il Ministro, riteniamo che una giustizia tardiva sia in realtà una giustizia negata ma, pur apprezzando la sua attenzione per i tanti detenuti in attesa di giudizio, sappiamo che il sistema giudiziario non potrà mai ripartire senza un drastico taglio agli attuali 11 milioni di processi pendenti. Questo è il senso e la forza della nostra proposta di amnistia, l’unica soluzione concreta per rispondere con tempestività a una tale urgenza istituzionale. Altre proposte, efficaci nell’immediato, nessuno le ha avanzate. Nemmeno il Ministro che infatti non si è detta contraria alla nostra soluzione”. Voi parlate di tragedia sociale ed umana che si consuma giorno e notte nelle nostre carceri. Perché? “Abbiamo in Italia 206 carceri e 44 mila posti branda. Sono in galera 68 mila detenuti, quindi 24 mila in più. Manca l’assistenza psicologica, il lavoro è impossibile, per quasi tutti si tratta di stare 22 ore in quelle celle da 9 metri quadrati che dividono in sei. Negli ultimi dieci anni, nelle carceri italiane, sono morti 650 detenuti per suicidio o presunto tale, insieme a 87 agenti di polizia penitenziaria. Avviene sotto gli occhi di tutti, come se si trattasse di qualcosa di inevitabile. Senza considerare che il 40 per cento dei carcerati è in attesa di giudizio, la metà di loro sarà assolta: logico che la situazione rischia di sfuggire di mano”. Tra l’altro, non tutti i detenuti occupano le celle per reati gravi quali mafia e terrorismo… “In genere nelle prigioni restano i poveracci, quelli che non hanno da pagare avvocati che gli garantiscano quella amnistia di classe che è la prescrizione, con quasi 200 mila processi l’anno che saltano grazie alla bancarotta della giustizia italiana. Nel 2008 sono stati prescritti 154.665 procedimenti; nel 2009 altri 143.825; nel 2010 circa 170 mila, in pratica 400 al giorno. Il problema è che oggi si criminalizza tutto, dovremmo iniziare a cancellare i reati senza vittima: basterebbe superare la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini per oltrepassare la follia di 28 mila detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti o per immigrazione clandestina, reati senza vittima, intollerabili per una cultura liberale. Per reati come la corruzione o la truffa, invece, c’è quasi la certezza dell’impunità”. Leggiamo che in carcere c’è chi non ha saponetta per lavarsi nè carta igienica, mentre altri stanno “benissimo” con ogni genere di comfort: da cosa dipende questa disparità di trattamento? “I ricchi e i poveri, i forti e i deboli esistono in ogni realtà umana. Cosa diversa è prendere atto che negli ultimi tempi siano anche aumentati i prezzi dei market interni nelle carceri, che sembra siano gestiti tutti da una unica società. Vogliamo vederci più chiaro”. A parte le denunce di varie realtà sociali, tra cui la Polizia penitenziaria che risente dello stesso dramma emergenziale, i testimonial in trincea siete ancora voi, Pannella in testa… “Perché si teme l’impopolarità, soprattutto da chi non saprebbe governare in maniera diversa dall’ingenerare paura. E non si capisce la gravità per la tenuta dello Stato di diritto di tollerare lo status quo. Marco è unico nel contrapporre sé stesso, letteralmente il proprio corpo, di fronte a quelle che risultano palesemente delle violenze inaccettabili. Un testimonial d’eccezione era Giovanni Paolo II. In Parlamento chiese a gran voce un atto di clemenza per quelle prigioni che visitava spesso, ma venne ignorato neanche fosse un Radicale. Non si riuscirà a far passare questa battaglia sino a quando gli italiani non potranno conoscere quanto accade ai prigionieri e quali sono le soluzioni proposte”. Giustizia: da Milano a Napoli, carceri inumane… e “scaricabarile” sulle responsabilità di Maurizio Tortorella Panorama, 20 marzo 2012 Qui Napoli - Il guardasigilli Paola Severino ha chiesto una dettagliata informativa sullo stato in cui versa il carcere di Poggioreale, a Napoli. Una denuncia, in particolare, ha allarmato il ministro della Giustizia: pare che nel più disastrato istituto penitenziario italiano i pasti vengano “offerti” da soggetti legati alla camorra ai detenuti più indigenti. C’è chi ipotizza che questo sia uno strumento di arruolamento nelle file della criminalità organizzata. Paola Severino avrebbe intenzione di recarsi personalmente all’interno del carcere di Poggioreale per verificare la gravità delle condizioni di vita dei reclusi. E proprio sulla complessità delle problematiche legate alla vita di questi detenuti, aggravate dalla condizione di sovraffollamento (quasi 2.800 reclusi, rispetto a una capacità ottimale di 1.300, e per il 60% in custodia cautelare) è in corso anche un’inchiesta della procura di Napoli. A sollecitare l’indagine, con un esposto depositato ormai oltre un anno fa dall’avvocato napoletano Riccardo Polidoro, sono stati i legali riuniti nell’associazione Il carcere possibile. Nella denuncia si parla di strutture sanitarie interne inadeguate; della mancanza del rispetto degli spazi previsti dalla legge (9 mq per detenuto), in celle trasformate ormai in dormitori con letti a castello che in molti casi raggiungono 7 (sette!) livelli di altezza. Poggioreale è anche tutto questo, e molto altro ancora: ci sono interi padiglioni le cui mura interne trasudano umidità e dunque si rivelano luoghi malsani, soprattutto per chi è già affetto da patologie respiratorie. Infine, la denuncia riguarda le cucine di Poggioreale, da decenni abbandonate al degrado, e la qualità del cibo offerto dalla mensa. Un elemento su cui la camorra ha facile gioco per arruolare nuove leve tra i detenuti che non ricevono aiuti economici dall’esterno. Accade così sempre più spesso che questi detenuti indigenti vengano “adottati” da reclusi legati ai clan e aiutati ad acquistare allo spaccio dello stesso carcere carne o pasta che poi possono essere cucinate in cella. Si crea così un legame umano che può trasformarsi in vera e propria affiliazione a una cosca. Qui Milano - “È vero che le condizioni carcerarie sono “inumane”, però non è l’autorità giudiziaria che deve prendere provvedimenti ma, in questo caso, al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia”. È questa la prima “certificazione giudiziaria” della situazione disastrosa delle carceri italiane. E non si riferisce a una degradata prigione del Mezzogiorno, ma al carcere di San Vittore, nella civilissima Milano. A scrivere queste parole è il giudice Laura Marchiondelli, che ha appena rigettato la richiesta di scarcerazione di quattro tunisini, detenuti per avere partecipato a una rivolta nel Cie, avanzata dai legali Eugenio Losco e Mauro Straini, che in un’istanza avevano sottolineato le condizioni “inumane e illegali” della carcerazione cui erano sottoposti proprio a San Vittore i loro assistiti. “Vivono in sei, chiusi per 20 ore al giorno in uno spazio di 12 metri quadrati, con la possibilità di fare nient’altro che stare sdraiati nel letto, semplicemente perché tutti quanti in piedi contemporaneamente non ci starebbero”: è così che ai primi di marzo i due avvocati descrivevano nella loro istanza la vita in carcere dei quattro tunisini, chiusi in celle infestate di scarafaggi e prive di acqua calda. Condizioni che, recitava l’istanza, sono in insanabile contrasto con molte norme, a partire dall’articolo 27 della Costituzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”) e dall’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Il reclamo, doverosamente, è stato trasmesso dal giudice Marchiondelli al ministro della Giustizia. Rilevato, scrive il giudice “che l’attuazione della politica dell’ordine e della sicurezza negli istituti e servizi penitenziari e del trattamento dei detenuti e degli internati non compete già all’autorità giudiziaria, bensì al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nell’ambito del ministero della Giustizia, al quale si reputa doveroso trasmettere copia della lettera in data 6 marzo 2012 a firma degli imputati sopra indicati, allegata alla richiesta di revoca della misura cautelare, per quanto ritenuta di competenza”. I legali hanno contestato la decisione: “Andremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo. E continueremo a proporre analoghe istanze” hanno aggiunto “per ogni singolo detenuto che denuncerà simili condizioni detentive e invitiamo tutti gli avvocati penalisti a fare altrettanto”. Giustizia: si dimette Capo del Dipartimento Minorile, forse sostituito da Simonetta Matone Dire, 20 marzo 2012 “Abbiamo appreso che da qualche ora il Capo del Dipartimento della Giustizia Minorile, Emanuela Romeo Pasetti, ha presentato le dimissioni dall’incarico. A parte la singolarità di dimissioni che intervengono solo dopo poche ore della presa in possesso da Capo Dipartimento, intendiamo ringraziare l’ex Capo Dgm per aver fatto chiarezza, con giudizi inopportuni quanto incompetenti, sul dimenticato mondo della Giustizia minorile. Ad onor del vero avremmo chiesto noi le dimissioni del Capo Dgm che non ha mai interloquito con le organizzazioni sindacali. Parimenti gli annunci di epurazioni e intenti dichiarati di rivoluzioni non hanno contribuito a rendere agevole il benvenuto alla Romeo Pasetti”. Così Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari. “Auspicando che il ministro Severino voglia accettare le dimissioni - continua la nota - non possiamo non rivolgere allo stesso ministro, anche in ragione della nostra storia di attenzione e sostegno verso la Giustizia Minorile, fervida preghiera di rivolgere la massima attenzione al mondo della Giustizia Minorile che è, e resta, un capo saldo della nostra civiltà giuridica e del sistema penale”. A fronte di queste dimissione “invitiamo il ministro Severino a riflettere sull’opportunità di affidare la guida del Dipartimento della Giustizia Minorile, qualora s’intenda mantenerlo in vita, a dei professionisti del settore prescelti per competenza e, possibilmente, immuni da tentazioni pseudo-rivoluzionarie fine a se stesse”. A questo punto, conclude la Uil, “ci chiediamo se non sia giunta l’ora di affidare, anche in via sperimentale, ad un dirigente della Giustizia Minorile l’incarico di Capo Dipartimento”. Sappe: forse nuovo Capo Dipartimento sarà Simonetta Matone “Le dimissioni di Manuela Romeo Pasetti dall’incarico di Capo Dipartimento della Giustizia Minorile, assunto peraltro da pochi giorni, sono il segno tangibile di una rifondazione complessiva che deve interessare il mondo della giustizia minorile. Non so quali siano le ragioni che hanno indotto la Capo Dipartimento a prendere questa decisione, ma certo erano arrivati anche a noi i segnali di insofferenza del Personale per alcune sue esternazioni”. Qui non si tratta, a mio avviso, di avere scelto evidentemente la persona sbagliata per un Dipartimento delicato come quello della giustizia minorile. Si deve ripensare completamente un settore delicato come questo, che ha in carico per lo più soggetti particolarmente vulnerabili, considerata la giovane età e talvolta la mancanza di concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi. Non so peraltro se siano vere le prime indiscrezioni che danno l’attuale Vice Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Simonetta Matone destinata alla guida della Giustizia Minorile, anche alla luce della pertinente esperienza magistrato presso il Tribunale dei minori di Roma, sostituita nell’incarico attuale da un magistrato dell’Ufficio Ispettivo del Dap. Quel che so è che un settore delicato come quello della giustizia minorile non può rimanere senza una guida autorevole e soprattutto salda”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. Giustizia: Diritto alla verità… È stato morto un ragazzo di Marcello Pesarini Ristretti Orizzonti, 20 marzo 2012 “Le persone che più mi hanno aiutato nella mia ricerca di verità sono state quelle che non ho conosciuto, che hanno partecipato alle mobilitazioni, hanno cercato anche loro la verità e la dignità dove vivono, coi loro mezzi: loro mi hanno resa forte”: questo il senso di una bellissima dichiarazione di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi. La sala del cinema Azzurro ad Ancona è piena come lo fu una settimana fa per “148: i mostri dell’indifferenza” storia di Stefano Cucchi. La ricerca della verità assume i volti e le menti degli avvocati del foro di Ancona, dei giovanissimi tifosi di calcio “Sosteniamo l’Ancona” che regalano il cappellino di lana a Patrizia, a rinsaldare il legame delle tifoserie contro l’uso distorto ed improprio della forza da parte della Polizia, di tanto associazionismo e volontariato nel sociale, nella controinformazione. Un mondo che chiede alle autorità di onorare il proprio ruolo, e per sé rivendica il proprio ruolo di cittadinanza attiva. Come fa Laura della CGIL che presenta la campagna anti OPG, per rendere attiva la dismissione degli ospedali giudiziari penitenziari e la presa in carico anche nelle Marche dei detenuti liberati. Federico Aldrovandi, che una notte incontrò la polizia Si parte subito con un sovraccarico di informazioni, nel senso di notizie. Le notizie su Federico sono contraddittorie, ed anche assurde. Tendono a creare una barriera di fumo. Come per Stefano ne esce una violenza latente presente nel corpo della Polizia. Se confrontata con i primi anni della mia militanza politica, negli anni 70, si tende ad approfittare di una persona isolata, facile bersaglio delle violenze della polizia. Vorrei parlare di violenze cieche che ripagano le occasioni mancate, nelle quali gli agenti della polizia debbono avere subito l’omertà forzata, l’immobilità. Ma si tratta di tentativi di interpretazione, che non riescono a sopportare tanta violenza e tanta impunità. Dirà poi Patrizia, madre di Federico. “Non avrei mai pensato che tanta cattiveria fosse andata ad abitare in persone così banali”. È necessario un lungo periodo anche qui, come per Stefano, perché la famiglia abbia il coraggio, anzi scelga come metodo, di pubblicare la foto di Federico martoriato in un blog. L’aiuto, difficile a bucare lo schermo, dei giornali indipendenti. Il blog della mamma di Federico che parte come l’anno nuovo, simbolicamente, il 2 gennaio. Pian piano parte l’inchiesta sugli agenti, come vengono riesumati i manganelli come arma usata dagli stessi. Fino ad ora la procura ha difeso la Polizia, ma la pressione dei lettori del blog, del giornali costruisce un’opinione pubblica, solida e lineare nella solidarietà da stadio, strutturata nei centri sociali e nelle cittadinanze. Belle le immagini di “Ferrara si è alzata la nebbia” in cui la città, anzi le città si svegliano, proprio contro l’omertà ed il menefreghismo. Molto bella l’evidenza del cartello “Zona del silenzio”, tipico nei pressi di stadi, ippodromi, zone militari, trasformata nell’accezione in zona del mutismo, dell’omertà. Nascono le testimonianze abortite da sole, la donna che sente rumori, che sente una persona che si agita: qui viene da chiedersi se sia nato un nuovo mostro, il cittadino che si agita da sé, senza ragioni ed in assenza di ingerenze da altre persone. Così era stata prodotta tutta l’informazione dei primi giorni, forse mesi: un ragazzo era morto, si era fatto male, aveva dato in escandescenze. In questo mi viene da ripensare che la Polizia, quando vuole avere ragione, non bada a spese. Vedi la dinamica di Pinelli, assolutamente impossibile. La testimonianza della donna proveniente dall’Africa vale da sola mille discorsi sulla convivenza e sull’integrazione. La donna, in attesa di ottenere il permesso di soggiorno, ricorda quanto non aveva potuto dire in precedenza, mentre gli agenti di polizia passano parte della mattinata seguente l’uccisione di Federico a controllare che nessuno nella “Zona del silenzio” abbia intenzione di testimoniare. Il coraggio nascerà grazie alle mobilitazioni ed all’azione degli avvocati, e questa è una metafora della società. Molto vero il fatto che la prova si forma in aula, di fronte alle contraddizioni fra mancati verbali e mancata inchiesta. L’insistenza sulla figura del ragazzo Federico tratteggiato come un gatto selvaggio potrebbe essere raffrontata con la costruzione della colpevolezza nei processi per stregoneria. Il film, che non è un film ma un documentario su fatti veri, riesce comunque ad evocare i raffronti con il passato ed a suscitare moniti per il futuro. Abbiamo scelto Vincenzo Varagona, giornalista di Rai 3, conduttore di Tg Marche, come animatore del dibattito seguito alla proiezione, perché ritenevamo necessaria, anche noi organizzatori, la presenza dell’informazione locale. Il giornalista, appassionato dei temi della giustizia e della dignità umana, ha permesso al regista e giornalista Filippo Vendemmiati di descrivere la perdita di autonomia all’interno del servizio pubblico, e le scelte di produrre materiale solo nei casi dove l’informazione squarcia il velo di omertà. Fabio Anselmo in qualità di legale di molte famiglie come Aldrovandi, Cucchi, Uva, colpite dalla violenza poliziesca e dal tentativo di insabbiamento da parte delle altre istituzioni, ha ricordato la perdita di etica sia nel campo medico che in quello della magistratura. Patrizia Moretti ci ha saputo ricordare, col suo esempio ma anche con le sue parole, che non ci possono essere battaglie vinte o perse, ma che a tutte si deve partecipare (è una citazione nota, ma sintetizzava la sua persona), per noi e per chi ci seguirà. Per permettere a chi lavora nelle forze dell’ordine e nella magistratura di fare il proprio dovere. Lettere: nella galera di Cagliari, siamo costretti a vivere in condizioni vergognose www.radiocarcere.com, 20 marzo 2012 Pubblichiamo una lettera scritta da una persona detenuta nel carcere Buoncammino di Cagliari. Antica e degradata galera costruita nel 1897. Una lettera che rappresenta bene anche uno dei tantissimi casi di negazione del diritto alla salute in carcere. Negazione di un diritto ineludibile che miete sempre più vittime nelle patrie galere. “Cara Radio Carcere, qui nel carcere di Cagliari tutti noi detenuti viviamo in condizioni vergognose. Condizioni vergognose di cui sono vittime anche gli agenti della polizia penitenziaria e gli operatori del carcere. Insieme ai miei compagni detenuti vorremo che tu Radio Carcere, facesse sentire il nostro grido di dolore. Un grido di dolore che raccogliete solo voi e che vorremo arrivasse fino a dentro alle aule parlamentari. Un grido di dolore che non vuol significare impunità, ma che vuol chiedere legalità e dignità della pena. Dignità e legalità che sono inesistenti nel carcere di Cagliari. Carcere dove tutti noi siamo costretti a vivere per tutto il giorno in celle, di appena 9 mq, occupate da 3 o 4 detenuti. Celle dove viviamo nell’abbandono, celle dove il pavimento di cemento è rovinato e si sgretola ogni giorno, celle dove soffriamo il gelo più assoluto a causa della mancanza di riscaldamenti, celle dove non c’è acqua calda ma ghiacciata, celle, dove infine, non viene rispettato il nostro diritto ad esse curati. Io, ad esempio, sono uno dei tanti detenuti di Cagliari che è malato, ma che non è curato. Ho diverse vertebre inclinate e ho subito una frattura sacro lombare, in grave stato avanzato. In pratica vivo la mia pena sdraiato sulla branda e pieno di dolori lancinanti che ogni giorno mi fanno impazzire. Avrei bisogno di una visita specialistica e di cure specialistiche, ma qui nessuno fa nulla per me e mi lasciano abbandonato nella mia cella e ai miei dolori. Ho paura di rimanere paralizzato, ho paura che le mie lesioni se non curate causino lesioni permanenti, quando qui i medici si limitano ad imbottirmi di farmaci fortissimi che fanno sempre meno effetto sul mio corpo assai provato. Solo il mio compagno di cella, che si chiama Francesco, mi è vicino e mi accudisce giorno e notte, ma i medici dove sono? Che fanno per me? Nulla, purtroppo ancora nulla. Sappi comunque che anche noi siamo stanchi di vivere come bestie e di essere presi in giro da questa politica e ci stiamo organizzando per fare la battitura 2 volte al giorno e anche lo sciopero della fame. Con stima e affetto. Stefano, dal carcere Buoncammino di Cagliari Sicilia: il Garante Fleres; destinare mio compenso per attività lavorative a favore dei detenuti Italpress, 20 marzo 2012 “Sarei molto contento se il compenso che la legge destina al Garante dei diritti dei detenuti, compenso al quale ho da tempo e come è ben noto rinunziato, venga destinato al rifinanziamento del capitolo relativo alla l.r. 16/99, che prevede un contributo per l’avvio di attività di impresa a favore dei detenuti”. Lo afferma in una lettera il senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Regione siciliana. Il contenuto della lettera è stato inoltrato al presidente della Regione, al presidente ed ai componenti della Commissione bilancio presso l’Assemblea Regionale Siciliana ed agli Assessori competenti. “I soggetti che hanno beneficiato di tale norma - ha proseguito Fleres - continuano a svolgere l’attività per cui gli è stato concesso il contributo e, ovviamente, non hanno più fatto accesso in carcere. Mi auguro che questa richiesta - ha concluso Fleres - venga accolta dai destinatari della mia missiva e non accada ciò che è successo lo scorso anno quando ho chiesto che le somme destinate al mio compenso venissero stornate sul capitolo di spesa destinato allo svolgimento delle attività istituzionali del Garante dei diritti dei detenuti, richiesta che è rimasta inascoltata”. Friuli Venezia Giulia: carceri affollate, 900 reclusi per 500 posti letto e 70% di detenuti stranieri Ansa, 20 marzo 2012 Quasi 900 detenuti nei cinque penitenziari regionali su 500 posti letto. È la situazione carceri in Fvg testimoniata dal segretario generale Sindacato della Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece, in visita in Fvg. Se il problema del sovraffollamento è contenuto grazie al Corpo di Polizia Penitenziaria, ha detto Capece, “le misure recentemente approvate dal Governo potrebbero cambiare in meglio la situazione”. Oggi 300 detenuti della regione sono in attesa di giudizio definitivo: e “l’effetto più concreto” che si otterrà con la legge voluta dalla Ministro Severino è ridurre la tensione determinata dagli “oltre 20 mila persone che ogni anno entrano ed escono dalle carceri nell’arco di 3 giorni”, e che per il Sappe vanno espulsi: “Oggi nelle carceri del Fvg abbiamo una percentuale di detenuti stranieri di circa 60-70%. Occorre, dunque, “avviare rapidamente le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinché scontino la pena nei Paesi d’origine, modificando anche l’attuale legislazione che prevede il paradosso del consenso delle persone interessate”. Sardegna: Sdr; assegnati 3 educatori per nuove strutture penitenziarie Ristretti Orizzonti, 20 marzo 2012 L’imminente inaugurazione di due nuove strutture penitenziarie, ed in particolare quelle di Massama (Oristano) e Tempio Pausania, in Gallura, ha indotto la Direzione Generale del Personale e della Formazione del Ministero della Giustizia a rinforzare il numero dei funzionari della professionalità giuridico-pedagogica. Nell’ambito dell’assunzione di 32 educatori, tre infatti sono stati assegnati al Provveditorato di Cagliari, che risulta “avere le maggiori carenze organiche”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ricordando che si tratta dell’espletamento di un concorso bandito ormai nel lontano 2003. “Il Ministero della Giustizia, con l’autorizzazione di quello della Pubblica Amministrazione e Semplificazione sta procedendo - sottolinea Caligaris - all’assunzione di una parte dei 44 educatori, tra cui alcuni giovani laureati sardi, appartenenti all’ultima trance di 397 vincitori. Una vicenda che si protrae da quasi 10 anni e che ha indotto molti a cambiare mestiere non potendo nel frattempo svolgere alcuna attività alternativa. È stata insomma posta finalmente la parola fine a una situazione paradossale che ha danneggiato e leso i diritti acquisiti da giovani laureati”. “L’auspicio - conclude la Presidente di Sdr - è che il numero degli educatori sia ulteriormente rafforzato in quanto palesemente insufficiente alle esigenze e che al più presto si proceda anche con l’assunzione delle altre figure professionali indispensabili affinché le nuove strutture penitenziarie possano garantire un utile servizio. Quello dei cittadini privati della libertà è infatti ormai un problema sociale che deve essere affrontato nell’ottica di garantire la sicurezza e la dignità a chi sconta la pena. Indispensabile inoltre abbattere la recidiva rafforzando le pene alternative al carcere”. Napoli: “Telesal”, progetto di telemedicina per le detenute del carcere di Pozzuoli www.julienews.it, 20 marzo 2012 Telesal, il progetto di telemedicina dell’Agenzia Spaziale Italiana, dal 22 marzo 2012, arriva nel carcere di Pozzuoli per una settimana di prevenzione per la salute delle donne, detenute ed operatrici del Carcere Femminile di Pozzuoli. È questa la finalità del progetto “Le Donne di Dentro”, promosso dall’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Napoli, Giuseppina Tommasielli con la collaborazione di Telesal, del Policlinico Federico II di Napoli e dell’Asl Napoli 2 Nord. Il mezzo mobile Telesal, attrezzato con apparecchiature ad alta definizione per lo screening mammografico, entrerà all’interno del carcere femminile di Pozzuoli e permetterà, a tutte coloro che ne avranno fatto richiesta, di sottoporsi all’esame e di conoscere in tempo reale il risultato del test e, qualora se ne evidenziasse il bisogno, di essere prese in cura dal personale specialistico dell’ASL Napoli 2 Nord. Rispondendo alla richiesta dell’Assessore Tommasielli Telesal ha inteso, con l’esperienza di Pozzuoli, dimostrare che la sua tecnologia innovativa è in grado di dare risposte alle criticità e alle emergenze dalla sanità in carcere. Infatti, quando si parla di criticità del sistema carcerario oggi non si può più solo denunciare il problema del sovraffollamento delle case circondariali, perché è altrettanto evidente il problema di riuscire a garantire la salute, sia fisica che psicologica, di oltre 66.000 persone di cui 24.000 stranieri. La competenza e la tutela della salute in ambito penitenziario è passata dal 1 aprile 2008 alle Regioni, che da tale data hanno assunto la responsabilità di garantire l’esigibilità del diritto alla tutela della salute del detenuto. Le difficoltà e i tagli alle spese, conseguenza di un periodo caratterizzato da una crisi economica sempre più conclamata, stanno rendendo il compito delle Regioni ancor più arduo, tanto che oggi in diverse realtà è evidente la difficoltà a poter garantire gli obiettivi di salute dei detenuti secondo i livelli essenziali ed uniformi previsti dal piano sanitario nazionale. Oggi Telesal entra in una struttura carceraria con un mezzo mobile che permette lo screening mammografico, ma vuole con questo dimostrare che questo singolo esempio può essere paradigmatico per immaginare un domani un ambulatorio a trecentosessanta gradi, di medicina generale e specialistica, che varca la soglia del carcere e offre al contempo tutela della salute e risparmio sulle spese e nessuna necessità di scorte. Questo evento è inteso come una vetrina per le istituzioni, che alla luce di ciò che emergerà avranno una nuova consapevolezza nel ridisegnare la problematica sanitaria penitenziaria nell’attuale contesto in cui sono imprescindibili qualità e contenimento delle spese. Marsala (Tp): mancano soldi, nuovo carcere non si farà più; l’attuale “ospita” detenuti dal 1818 La Sicilia, 20 marzo 2012 Il nuovo carcere di Marsala non si farà più. Almeno per adesso. Nell’ambito, infatti, dei diversi “tagli” alla spesa pubblica, ritenuti necessari per evitare il tracollo economico dello Stato il ministro della Giustizia Paola Severino ha firmato il decreto con cui si cassa una serie di nuove strutture penitenziarie previste dal precedente governo. Tra le opere che non saranno realizzate c’è anche il nuovo carcere di contrada Scacciaiazzo, una struttura che avrebbe potuto ospitare fino a 250 detenuti, per cui erano stati stanziati 40 milioni e 500 mila euro. L’ok al finanziamento, nell’ambito del piano carceri, era stato deciso, il 24 giugno 2010, dal Comitato di Sorveglianza composto dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, da quello delle Infrastrutture, Altero Matteoli, e dal Capo dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso. A metà settembre dello stesso anno, si era tenuto anche vertice operativo in Municipio e un sopralluogo a Scacciaiazzo dei tecnici del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Le cattive non si esauriscono qui. In previsione c’è, infatti, la chiusura dell’attuale carcere che, nonostante i vari adeguamenti, rimane sempre una struttura troppo vecchia e inadeguata. Sia sotto il profilo della vivibilità dei detenuti (una quarantina), che della sicurezza. L’antico castello normanno ospita carcerati sin dal 1818 e ha la qualifica di “casa circondariale”, idonea cioè ad accogliere detenuti in attesa di giudizio o che al massimo devono scontare pene non superiori a 5 anni di reclusione. Per questo, il sindaco Carini aveva chiesto all’ex ministro Alfano la realizzazione del nuovo carcere. Una richiesta ribadita in occasione della visita del Guardasigilli al cantiere del costruendo Palazzo di Giustizia (29 luglio 2008). In quell’occasione, il primo cittadino consegnò all’esponente del governo Berlusconi la richiesta ufficiale per la costruzione del nuovo carcere, indicando anche l’area (140 mila metri quadri) sulla quale doveva essere edificato. “L’opera ha una sua priorità - disse Alfano - anche se le risorse economiche sono scarse”. In precedenza (20 settembre 2006), a Montecitorio, rispondendo ad un’interrogazione sulle strutture penitenziarie, l’allora vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli aveva inserito il nuovo carcere di Marsala nell’elenco delle opere i cui lavori dovevano essere avviati addirittura “entro la fine” di quell’anno. Adesso, è arrivata la doccia fredda. Roma: sperimentazione di un collegamento audio-video tra Rebibbia e Tribunale sorveglianza Il Velino, 20 marzo 2012 Tra il tribunale di sorveglianza di Roma e il carcere di Rebibbia è attualmente in via di sperimentazione un collegamento audio-video per i colloqui tra magistrati e i detenuti che hanno dato il loro assenso. Lo ha reso noto il ministro della Giustizia, Paola Severino, nel corso della sua audizione in commissione Antimafia. Il Guardasigilli ha sottolineato come la videoconferenza può “contemperare il diritto alla partecipazione al processo col contenimento della spesa pubblica”, senza contare che “gli sviluppi tecnologici” offrono un risultato “non paragonabile rispetto fino a qualche anno fa”. In questo senso, ha aggiunto la Severino, “è allo studio la possibilità di estendere la partecipazione dei detenuti tramite il collegamento in videoconferenza tra istituti penitenziari e gli uffici giudiziari, con notevole risparmio in termini di spesa e di uomini per le traduzioni”. Imperia: screzi continui con altri reclusi, Bellavista Caltagirone cambia cella di Giulio Geluardi La Stampa, 20 marzo 2012 Chi lo conosce certo non può evitarlo. Ma comunque lo sa. Il carattere di Francesco Bellavista Caltagirone, in qualsiasi modo lo si può definire, non è certamente remissivo. Anzi. Ed è forse per la marcata esuberanza, che per qualcuno sconfina nell’arroganza, che l’altro giorno gli agenti della polizia penitenziaria di Imperia hanno deciso che, per evitare problemi a tutti, loro compresi, non trattati in maniera soft, era forse meglio cambiarlo di cella. Caltagirone, patron della società Acqua Marcia, in carcere a Imperia dal 5 marzo scorso con l’accusa di truffa aggravata in concorso per la vicenda del nuovo porto turistico del capoluogo, quel compagno di prigionia con cui condivideva i pochi metri di spazio vitale, proprio non lo digeriva. E la cosa era assolutamente reciproca. Screzi, litigi, incomprensioni, persino l’insopportabile russare nel sonno, tutte cose che in uno contesto che non si può certamente paragonare a quello di ville in Costa Azzurra e lussuosi appartamenti romani, si amplificano fino a diventare insostenibili. Capita nelle normali famiglie, figuriamoci in carcere. E così, dopo i primi giorni di convivenza forzata, sono cominciate le prime “parole”, probabilmente anche i primi vaff... sempre reciproci. E così anche il suo compagno di cella, un italiano detenuto per reati ordinari, che all’interno dello stesso carcere viene considerata una persona “estremamente puntuale e precisa” e “che ha capito come ci si deve comportare in cella in un regime di detenzione al fine di scontare regolarmente la pena”, stanco di battibecchi a quanto pare dovuti al forte carattere di Caltagirone, ha chiesto e ottenuto il trasferimento del compagno in un’altra stanza di reclusione. Una richiesta accettata di buon grado dalla direzione del carcere anche perché lo stesso Caltagirone aveva espresso identico desiderio. Ora l’imprenditore romano occupa una nuova cella, con chi non si sa. Ma potrebbe essere comunque per poco tempo. Il ricorso dei suoi legali presentato al Tribunale del riesame di Genova sarà discusso il 23 marzo prossimo. Il suo caso sarà esaminato insieme a quello dell’ex direttore generale della Porto di Imperia spa Carlo Conti, anche lui arrestato il 5 marzo con la stessa accusa di truffa aggravata in concorso. Potrebbe essere la data decisiva per il rilascio di entrambi e la trasformazione della detenzione in arresti domiciliari che nel caso di Caltagirone sarebbero nella sua residenza romana. Il gip di Imperia, Ottavio Colamartino, nei giorni scorsi aveva respinto la richiesta di scarcerazione dell’imprenditore romano nonostante gli avvocati avessero evidenziato il clima dì collaborazione con il loro assistito, l’età (73 anni) e lo stato di salute. Nel caso di Carlo Conti i legali non escludono nemmeno la definitiva scarcerazione. Pistoia: con una biblioteca la vita in carcere sarà meno difficile Il Tirreno, 20 marzo 2012 “Dona un libro per i detenuti”. È l’invito del Gruppo biblioteca del tribunale, con lo scopo di allestire una biblioteca nella casa circondariale di Pistoia. Promotore dell’iniziativa è il responsabile del Gruppo, avvocato Nicola Caldarulo, ma indistintamente tutti applaudono a questa bella idea, parte della rassegna “Carcere e cultura”: la camera penale, il Comitato pari opportunità e l’Ordine degli avvocati, tutti compartecipi all’iniziativa. L’appuntamento per la raccolta dei testi è per il 29 marzo, dalle 15,30 alle 18, nell’aula penale del tribunale di Pistoia: alcuni giudici ed avvocati e probabilmente uno o più detenuti leggeranno dei brani dei libri offerti, presente anche il presidente di sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo. Entusiasta il presidente del tribunale Fabrizio Amato: “Il carcere di Pistoia ospita 150 detenuti - rivela - la metà dei quali sono stranieri: arabi, albanesi, rumeni. Mi auguro pervengano anche testi nella loro lingua. Ma ogni dono sarà graditissimo: si pensi che i detenuti non possono usare né computer né cellulare, il che aumenta il loro distacco dal mondo esterno. È un’iniziativa a cui teniamo molto perché rappresenta una goccia di sollievo contro la gravità della situazione dei carcerati. Dobbiamo anche obbedire alla Coistituzione - continua Amato - che parla della pena come mezzo di reinserimento nella società: in questo senso, la cultura può essere un valido aiuto. I pistoiesi ne prendano coscienza. L’invio di un libro è un segnale di compartecipazione che dall’esterno giunge ai reclusi che sono e restano, sempre e prima di tutto delle persone”. Accorato anche l’appello del presidente della Camera penale, avvocato Andrea Mitresi (“Le condizioni del carcere sono davvero assai tristi”) come quello del presidente del comitato pari opportunità, avvocato Chiara Lensi che invita a tener conto che nel carcere di Pistoia c’è il doppio di detenuti di quanti se ne potrebbero accogliere. Bologna: alla Dozza nasce biblioteca universitaria Redattore Sociale, 20 marzo 2012 Già 41 i volumi presenti, ma per completarla ne serviranno più di 100: così i detenuti iscritti all’università avranno a disposizione i testi per gli esami. L’iniziativa è dell’Ordine dei commercialisti insieme ai volontari di Ausilio per la cultura. Nel carcere di Bologna nasce una biblioteca universitaria in piena regola. E così per i detenuti iscritti all’università d’ora in poi sarà più facile preparare gli esami. L’iniziativa è dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Bologna che, grazie all’aiuto dei volontari di Ausilio per la cultura, ha già riempito gli scaffali della biblioteca con 41 volumi. Testi utili per preparare gli esami di Giurisprudenza, Scienze politiche, Lettere e Agraria. “Ma ce ne vorranno più di 100 per completarla”, spiegano dall’Ordine, “se si considera che i corsi universitari ai quali possono accedere i detenuti (ossia quelli che non hanno l’esame d’ingresso e che non prevedono l’obbligo di frequenza) sono una decina”. L’Ordine sta anche studiando la possibilità di coinvolgere docenti universitari per organizzare delle lezioni dentro il carcere una o due volte al mese. Con quella universitaria salgono a nove le biblioteche presenti all’interno della casa circondariale: a rifornirle sono i volontari di Ausilio per la cultura, quelli di Avoc e dell’Istituto Poggeschi, che già aiutano i detenuti a preparare gli esami universitari. “Le domande sono tantissime”, spiega Laura Luchetta, coordinatrice del gruppo che ha creato il contatto tra i commercialisti e la direzione del carcere, “ogni mese facciamo entrare circa 200 libri”. La nascita della biblioteca universitaria, spiega Gianfranco Tomassoli, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Bologna, “è frutto di un accordo siglato tra la direzione della casa circondariale e l’Ordine, lo scorso novembre. Mi rendo conto che i problemi dei detenuti sono tanti e tutti molto seri. Ma anche l’aspetto culturale ha una sua importanza. L’impegno allo studio e alla lettura, durante il periodo di detenzione, costituiscono un momento importante per il recupero dei detenuti oltre che attività che aiutano gli individui a trascorrere meglio le giornate. Mi auguro che con questo piccolo contributo si riesca in quale modo a migliorare la loro qualità della vita”. Napoli: “L’arte della felicità”, la filosofia entra in carcere Agi, 20 marzo 2012 Pochi fondi ma molte idee per scoprire “L’arte della felicità”. L’ottava edizione della rassegna culturale, che si terrà a Napoli da 22 marzo al primo aprile, questo anno è dedicata al tema della ‘verità con incontri e conversazioni di voci autorevoli del mondo intellettuale. La filosofa ungherese Agnes Heller, la giornalista egiziana Mona Eltahawy, blogger ed editoralista arrestata e torturata durante le proteste di Piazza Tahrir al Cairo, lo scrittore berlinese Ingo Schulze e gli italiani Gianni Vattimo, Aldo Masullo, Salvatore Natoli, Chiara Saraceno, Maurizio de Giovanni e Massimiliano Bruno, autore emergente della cinematografia italiana animeranno gli incontri organizzati da Luciano Stella e Francesca Mauro, che hanno attivato la rete degli “Amici dell’Arte della felicità”, creando un evento indipendente e prevalentemente autogestito anche se con il supporto dell’assessorato alle Politiche giovanili di Napoli e della Camera di Commercio di Napoli e alla collaborazione di volontari e di istituzioni culturali come il Consolato Generale degli Stati Uniti d America, il Goethe-Institut di Napoli. “L’arte della felicità” arriva anche in cinque carceri con “La Verità in prigione”, cinque incontri di filosofia con studenti e detenuti curati da Giuseppe Ferraro. Ai tradizionali “dialoghi in casa”, ospitati in dimore private si aggiungono anche dialoghi in alcuni luoghi di lavoro. Coinvolti 800 ragazzi di 60 istituti superiori napoletani. Reggio Calabria: agente aggredito da un detenuto del reparto psichiatrico Agi, 20 marzo 2012 Questa mattina un agente di Polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto nell’istituto di Reggio Calabria. L’agente aveva appena iniziato il turno di servizio presso il reparto psichiatrico - spiegano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, e Damiano Bellucci, segretario nazionale - quando è stato raggiunto da un pugno sferrato da un detenuto al volto, con estrema violenza. L’agente è stato trasportato in ospedale per le cure del caso. L’episodio non può non portare all’attenzione ancora una volta - sottolineano i rappresentanti sindacali - le condizioni di scarsa sicurezza in cui è costretto ad operare il personale di polizia penitenziaria, a causa del sovraffollamento e della carenza di uomini e donne. Infatti, nell’istituto reggino, a fronte di una capienza regolamentare di 180 detenuti, attualmente ce ne sono oltre 370, molti dei quali appartenenti alla criminalità organizzata. In ragione di tale tipologia di detenuti, la maggior parte dei quali non ancora condannati definitivamente nei tanti processi in corso, la polizia penitenziaria deve gestire molti maxi processi. La presenza della sezione osservanti (osservazione psichiatrica) aggrava ancora di più il lavoro degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria. Non bisogna altresì dimenticare che a Reggio Calabria c’è anche la sezione femminile, dove, in passato, spesso si è verificato che i turni di servizio sono stati effettuati da personale maschile per carenza di poliziotte. A causa delle descritte carenze il ricorso al lavoro straordinario è quotidiano. Il Sappe, oltre a chiedere l’immediata chiusura del reparto osservandi, per la mancanza di sicurezza di chi vi effettua servizio, esprime piena solidarietà al personale di Polizia Penitenziaria coinvolto nella vicenda. Viterbo: Progetto “La tv è vita”, in collaborazione tra l’Università e la Casa Circondariale Ristretti Orizzonti, 20 marzo 2012 In carcere la televisione assume centralità vitale assoluta. Il piccolo schermo, collocato al centro di ogni stanza-cella, è quasi sempre acceso. Scandisce con la sua programmazione le ore del giorno e della notte, detta il ritmo di giornate identiche le une alle altre. Finestra oltre le sbarre, contiguità con il vissuto esperienziale personale, scialuppa di salvataggio, strumento di relazione, viaggio, sogno, addirittura fuga, orizzonte catartico, e qualche volta strumento di persecuzione ossessivo. Migliaia di ore di televisione segnano un anno di vita in carcere. Il progetto “La tv è vita”, nato dalla collaborazione tra l’Università e la Casa Circondariale di Viterbo e realizzato tra ottobre 2009 e marzo 2010, ha coinvolto attivamente un gruppo di detenuti in un laboratorio di comunicazione televisiva: una scommessa per promuovere il confronto e la socializzazione tra persone che vivono nei due mondi del carcere e della società esterna, molto spesso non comunicanti. I detenuti, dopo aver riflettuto sulla propria esperienza di fruizione quotidiana televisiva, si sono confrontati con docenti, professionisti ed esperti del settore, giornalisti e registi, autori e produttori, che li hanno aiutati a costruire i presupposti per un rapporto consapevole con il medium e le basi per il progetto di un video che ponesse al centro la relazione tra detenuto e scatola televisiva. Dal successivo incontro dei detenuti con un gruppo di studenti e una telecamera, nasce il cortometraggio-documentario “La tv è vita”: attraverso la televisione, scatola magica e potente, abbiamo la possibilità di scoprire chi è, come e cosa vive un detenuto oggi, nello spazio della sorveglianza totale. “La Tv” è vita offre voce e volto a detenuti che mettono in gioco loro stessi con l’obiettivo finale di provare a sollecitare attraverso i media, nella società “esterna”, una cultura di attenzione al carcere e alla sua vita intensamente televisiva: luogo potenziale di comunicazione, ricerca, studio e magari anche di produzione creativa. In questo caso la televisione, quella del presente sociale, promiscua e molteplice, della convergenza digitale, diventa realmente una finestra per ognuno di noi. Il detenuto, ordinariamente rimosso dal panorama dei media, prima di tutto televisivo, più in generale dalla vita quotidiana di ognuno di noi, ritorna. Si riprende il diritto, e la possibilità, di parola. Immigrazione: per gestione Cie di Bologna; nuovo bando al massimo ribasso… 30 euro al giorno Redattore Sociale, 20 marzo 2012 Dopo il centro di Modena, gara d’appalto per la struttura di via Mattei con identici i criteri. Scadenza 29 aprile: 30 euro al giorno per la gestione. Zanda (Pd) annuncia battaglia: “I diritti umani vengano prima del risparmio”. La gestione del Cie di Bologna sarà affidata con il criterio del massimo ribasso, partendo da una base d’asta di 30 euro al giorno per ogni persona trattenuta. Si legge nel nuovo bando per la struttura di via Mattei, pubblicato ieri sul sito della prefettura, in scadenza il 29 aprile. I criteri sono identici a quelli adottati per il Cie di Modena, contro i quali l’onorevole del Pd Sandra Zampa ha presentato un’interpellanza al ministero dell’Interno, chiedendo la sospensione del bando. Ma il sottosegretario di Stato per l’Interno Saverio Ruperto, ha risposto spiegando che il criterio dei 30 euro è già stato adottato consuccesso per altri Cie, che comunque sono previsti controlli e che ormai è troppo tardi per sospendere i bandi, perché ne andrebbe della continuità del servizio. “Sono sconcertata”, dichiara la deputata Pd, “sembra che chi ci governa non sappia di cosa parla. Fanno finta di non capire che quei posti sono carceri e rischiano di diventare anche peggio, come canili”. Secondo la deputata, la gestione etica dei Cie emiliani è impossibile con la somma prevista dal nuovo bando. A Modena, dove la scadenza del bando è alla fine del mese, la Confraternita della Misericordia fino a oggi ha gestito la struttura con una diaria di 70 euro per ospite. Scendere a 30euro, secondo Zampa, è “allucinante”. “Con una cifra tanto bassa i casi sono due”, spiega l’onorevole, “o i servizi minimi non saranno garantiti, o si rischia che i centri finiscano in mano a ditte con infiltrazioni mafiose. L’esigenza di tagliare i costi non può avere la precedenza sul rispetto delle persone”. Con 30 euro al giorno per persona, secondo il bando, il gestore del Cie bolognese, che prevede 96 posti, dovrebbe garantire la presenza di 6 operatori diurni e 2 notturni, un infermiere 24 ore su 24, un medico per 8 ore al giorno, oltre a servizi di sostegno, assistenza sociale, mediazione linguistica, informazione normativa e (ove applicabile) insegnamento dell’italiano. “Presentando l’interpellanza”, racconta la deputata, “ho letto ai miei colleghi solo alcuni dei servizi e delle attività che dovrebbero essere coperti dai 30 euro quotidiani, e ho visto espressioni allibite. Ma sotto i nostri occhi succedono cose terribili: pensiamo alla donna nigeriana malata di Aids che è stata rimpatriata senza poter consultare un avvocato”. La deputata annuncia battaglia e intende dare visibilità agli uomini e alle donne reclusi nei Cie, tramite azioni sia istituzionali che rivolte al pubblico. “Scriverò al ministro Anna Maria Cancellieri, sono convinta che non sia informata di ciò che sta accadendo e spero che da lei avrò segnali diversi. Inoltre, chiederò un incontro del Pd bolognese per organizzare una manifestazione che porti l’attenzione sul problema dei Cie. Le persone che vi sono rinchiuse sono sacrificabili perché invisibili: le cose devono cambiare, non si può continuare a fregarsene solo perché non sono italiani”. Il primo passo è dunque fare conoscere sia ai cittadini che ai parlamentari le reali condizioni degli immigrati trattenuti nei centri, che spesso ricevono un trattamento al limite della legalità”. Tunisia: circa 2.500 detenuti graziati per la Festa Indipendenza Tm News, 20 marzo 2012 Circa 2.470 detenuti sono stati graziati dal presidente tunisino, Moncef Marzouki, in occasione del 56esimo anniversario dell’indipendenza del Paese. Lo rende noto un comunicato del ministero della Giustizia precisando che la maggioranza dei detenuti ha ottenuto uno sconto di pena. I detenuti di più di 65 anni o di meno di 20, o quelli affetti da gravi patologie o handicap hanno beneficiato di una libertà condizionata, aggiunge il ministero, precisando che anche dei detenuti di nazionalità libica hanno ottenuto la stessa misura. La Tunisia festeggia oggi il 56esimo anniversario dell’Indipendenza del Paese, conquistata dopo 75 anni di protettorato francese. Israele: si aggravano condizioni detenuta Hanaa Shalabi, da oltre un mese in sciopero della fame Nova, 20 marzo 2012 Sono gravi le condizioni della detenuta palestinese trentenne Hanaa Shalabi che sta portando avanti uno sciopero della fame ad oltranza nel carcere israeliano di Sharon. La Shalabi stata trasportata in un ospedale israeliano per l’aggravarsi della sue condizioni di salute. La giovane detenuta sta mettendo in atto lo sciopero della fame da 33 giorni per protestare contro la carcerazione preventiva a cui sottoposta: un misura a cui lo stato ebraico spesso ricorre contro i cittadini palestinesi sospettati di attività ostili nei confronti di Israele, in attesa di disporre delle prove necessarie per processarli davanti a un tribunale. Il fermo di sei mesi spesso viene prolungato automaticamente per altri sei, e la pratica prosegue a tempo indeterminato. Hanaa si lamentata di essere stata picchiata più volte dai suoi carcerieri israeliani. Proteste sono state inscenate nei giorni scorsi in tutti i territori palestinesi per esprimere solidarietà verso la prigioniera. Turchia: giornalisti e oppositori politici “dentro”… criminali “fuori” di Murat Cinar www.eilmensile.it, 20 marzo 2012 In Turchia, in questo momento, sono più di cento i giornalisti detenuti. Nel frattempo, invece, è caduto in prescrizione il processo che cercava da anni i responsabili del Massacro di Sivas. Dopo 375 giorni di prigionia, Ahmet Sik, Nedim Sener, Sait Çakir e Coskun Musluk sono stati rilasciati il 12 marzo 2012, anniversario dell’ultimo colpo di stato, avvenuto nel 1980. Tranne Musluk (ricercatore universitario) tutti sono giornalisti e lavorano per il sito web di informazione indipendente Oda Tv e sono stati trattenuti in carcere da prima dell’inizio del processo perché ritenuti individui pericolosi per la società. Le prove addotte per dimostrare la sussistenza di reato erano costituite principalmente dal libro che avevano abbozzato a sei mani, pubblicato successivamente: “L’esercito dell’Imam”. Il testo è una ricerca approfondita sul partito al Governo, l’Akp, corredata da una serie di interviste, che mira a fare luce sul passato oscuro del movimento ed in particolare sul suo legame con Fettullah Gulen, ex imam e storico leader spirituale del movimento fondamentalista religioso turco, in esilio negli Usa da tempo. “L’esercito dell’Imam” parla di come, prima che Gulen migrasse negli Stati Uniti, in Turchia siano state intentate diverse cause contro di lui, per via delle sue attività politiche e religiose, che si supponeva avessero in realtà lo scopo di aiutarlo ad infiltrarsi in modo illegale tra le forze dell’ordine, nel sistema giuridico e nel sistema dell’istruzione pubblica e privata. Le accuse sono tutte attualmente cadute in prescrizione o, talvolta, ritenute insussistenti. Ahmet Sik sosteneva che, in Turchia, chi avesse toccato Gulen, avrebbe preso fuoco, cioè sarebbe stato preso di mira. Una seconda prova addotta per incastrare i giornalisti si basava su intercettazioni (centinaia di pagine) presentate durante il processo. Un’approfondita ricerca dimostra che le intercettazioni presentate come prove di attività illegali sono per lo più telefonate ordinarie o inerenti l’attività lavorativa dei tre uomini. Terza prova impugnata sono documentazioni che paiono svelare segreti di stato, reperite negli hard disk dei loro computer, da parte della polizia informatica. Eppure, grazie alle relazioni di tre Università statali turche e ad un istituto di ricerca informatica americana, durante il processo, la difesa è riuscita a dimostrare che tutto questo materiale è stato memorizzato nei computer degli imputati dopo che essi sono stati tradotti in carcere. La farsa del processo noto come “di Oda Tv” è ormai finita, ma la paura di parlare, in Turchia, è già dilagata. Chi esprime idee contro il Governo, il partito di maggioranza o magari Fettullah Gulen, “prende fuoco” e rischia grosso. Il giornalismo che fa informazione (vista come opposizione), prima di tutto. Qualche giorno fa, Özlem Agus, giornalista che ha riportato le condizioni tremende del Carcere Pozanti, episodi come tortura e violenza sessuale ai danni dei detenuti, è stata arrestata con l’accusa di propaganda a favore di un’organizzazione terroristica. Va specificato che le condizioni al Pozanti erano state precedentemente documentate anche da alcuni Parlamentari, soprattutto dei partiti all’opposizione Chp e Bdp, presso la Commissione dei Diritti Umani del Parlamento Nazionale della Turchia. Duecentouno minorenni detenuti, la maggior parte con l’accusa di attività politica illegale sono stati spostati, in seguito, in altri carceri ed il Ministero della Giustizia ha intentato delle cause contro i direttori e le guardie del Pozanti. Ciononostante Özlem Agus si trova tuttora in carcere. Il 6 Marzo scorso, in diverse città della Turchia, sono state arrestate 36 persone appartenenti agli organi di stampa dell’opposizione o membri/dirigenti del Bdp (Partito della Pace e della Democrazia). Oggi, nelle carceri turche, sono detenuti più di 100 giornalisti colpevoli di aver espresso critiche o pareri contrari a quelli del Governo. Alcuni cercano ancora di far sentire la propria voce e manifestare la propria opposizione attraverso semplici articoli politici o approfondimenti. Spesso il “bavaglio” frena la cosiddetta “stampa curda”, ma non soltanto. Per “stampa curda” si intendono giornali, riviste o agenzie che pubblicano notizie in lingua curda, in rispetto dei diritti civili dei cittadini turchi di origine curda. Tra questi i quotidiani Azadiya Welat e Atilim, l’agenzia stampa Diha, il canale televisivo Gün TV, il giornale Özgür Gündem, le riviste Bilim ve Gelecek, Tavir e Yuruyus , solo per citarne alcuni. La maggior parte ovviamente non viene ufficialmente accusata per la semplice attività giornalistica, ma tirando in ballo fittizie attività terroristiche, improbabili accuse di propaganda a favore di organizzazioni terroristiche, saccheggi, stupri oppure omicidi. Il Ministro delle Relazioni con l’Unione Europea Egemen Baris, il 1 Marzo, durante il programma Hard Talk della Bbc, affermo che in Turchia nessun lavoratore dell’informazione venisse detenuto a causa delle proprie idee e dei proprio servizi giornalistici, bensì esclusivamente per altri reati come quelli precedentemente elencati. Il giorno seguente, un Parlamentare del Chp, partito all’opposizione, Umut Oran, inoltrò al Ministro della Giustizia una richiesta ufficiale con lo scopo di chiedere ufficialmente quali dei giornalisti in carcere fossero stati accusati di questi reati. Fino ad oggi il Ministro non ha diramato nessun comunicato ufficiale e pubblico a proposito. La stessa richiesta era stata inoltrata anche il 1° Febbraio 2012 da parte della Parlamentare Melda Onur (sempre del Chp) a seguito di un’intervista del Primo Ministro Erdogan rilasciata al giornale Zaman (di ispirazione fondamentalista religiosa, ritenuto ufficiosamente l’organo di stampa dell’AKP): in quella intervista, il Primo Ministro asserì: “Detenzione di armi o esplosivi, falsificazione di documenti, violenza sessuale, tentativo di colpo di stato… Ecco per quali motivi vengono processate le persone che vengono chiamate giornalisti”. Anche questa richiesta non è stata ancora soddisfatta da parte del Ministro della Giustizia. Mentre i processi contro i giornalisti continuano, anche la durata del periodo di detenzione si dilata. Alcuni giornalisti sono in carcere da più di 5 anni ed aspettano ancora la conclusione del processo. Tra gli oltre cento giornalisti detenuti si annoverano dirigenti o direttori di alcune testate o addirittura l’intero gruppo redazionale di alcuni quotidiani o riviste che, ovviamente, almeno momentaneamente, non fanno più informazione. Oltre ai giornalisti sono detenuti 34 distributori. Da quanto emerge da una ricerca della rete di informazione indipendente BiaNet, 94 di questi 134 detenuti, sono curdi. Mentre le carceri si popolano di persone all’opposizione, avviene lo spopolamento inverso. Il 13 Marzo La Corte Penale Numero 11 di Ankara ha annunciato la caduta in prescrizione del processo sul Massacro di Sivas perché gli accusati, latitanti da più di 10 anni, non sono mai stati rintracciati e non sono mai, quindi, comparsi in giudizio. Un caso pubblico di una certa entità cade, così, automaticamente, in prescrizione. Tuttavia lo Stato avrebbe avuto la possibilità di salvare il processo, se solo avesse deciso di trasformare l’accusa in “crimine contro l’umanità”, senza, per altro, distorcere la semplice realtà. Infatti gli accusati si sono resi colpevoli di aver appiccato un incendio al centro della città di Sivas (nel cuore dell’Anatolia) in un albergo, causando la morte di 19 persone che si trovavano in città per il Festival Pir Sultan Abdal, il 2 Luglio 1993. Erano giornalisti, scrittori, politici, poeti, fotografi, ricercatori, attori, fumettisti ed attivisti, 19 persone arse vive mentre una folla era riunita in piazza a scandire slogan con il sostegno di alcuni amministratori locali. All’inizio furono arrestate 190 persone, poco dopo 60 di queste furono rilasciate. Nel 1994, furono rilasciati altri 37 accusati. Nel 2000 gli accusati erano soltanto 33, 8 di questi riuscirono ad evadere e sono tuttora latitanti. Due degli otto latitanti sono ormai morti. Gli altri sempre irreperibili. La Corte Penale Numero 11 di Ankara ha detto che les jeux sont fait e non si può più continuare con il processo. La parte più scioccante della questione riguarda gli avvocati dei detenuti, tutti personaggi pubblici, come l’ex Ministro della Giustizia Sevket Kazan del Partito Refah (che ha dato vita all’AKP) e parecchi avvocati che prima erano iscritti al Partito Saadet poi all’AKP. Alcuni di essi ricoprono posizioni amministrative. La reazione del Governo? Prima abbiamo visto quella per i giornalisti in carcere. E in merito a coloro che sono ancora latitanti ed hanno commesso un reato così grave come bruciare delle persone vive? Il giorno dopo la decisione del tribunale, il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan disse: “Spero che questa decisione faccia bene al nostro popolo: da anni sono recluse delle persone in carcere.” I giornalisti reclusi sono detenuti a causa del proprio lavoro con accuse false o costruite e meritano la pena; quelli che hanno bruciato civili in piazza sono fuori, senza catene e va bene così. In fondo si tratta di un Paese il cui Primo Ministro ha chiesto il risarcimento dei danni morali a fumettisti che l’hanno ritratto somigliante ad un gatto. Il mio micio Sansone si è chiuso in silenzio stampa, molto risentito.