Giustizia: una professione per il detenuto, la legge si blocca alla Camera di Eleonora Martini Il Manifesto, 1 marzo 2012 C’è un luogo più degli altri - il carcere - dove lavorare è vivere. Ieri la Camera è stata a un passo dall’approvare una legge che, seppure altamente insufficiente, per qualche detenuto (sempre troppo pochi) sarebbe stata una mezza benedizione. Un provvedimento che modificando e rifinanziando la vigente legge Smuraglia, favorisce maggiormente l’insediamento lavorativo dei carcerati. Si è fermata invece per mancanza di copertura finanziaria, perché non è chiaro dove attingere quei 6 milioni e mezzo di euro da investire - per una volta a ragione - sulla sicurezza. La commissione Bilancio di Montecitorio ha dato parere negativo alla legge bipartisan (primo firmatario Renato Farina e condivisa da tutti i partiti e perfino da due deputati leghisti), e a questo punto il testo dovrà tornare in commissione Giustizia. “Contiamo di trovare una soluzione entro la fine di marzo”, rassicura la relatrice del provvedimento Messia Mosca, deputata Pd. Stipati in 67 mila in uno spazio pensato al massimo per recludere 43 mila persone, per i detenuti il lavoro assume un valore difficilmente comprensibile per chi non ha mai provato la segregazione. Oggi quei 12 mila reclusi (il 17%) che hanno la fortuna dì poter uscire qualche ora dalla propria sovraffollata cella e svolgere - a rotazione - una mansione per poche decine di euro al mese (quasi mai sufficienti nemmeno per pagare la somma dovuta per il mantenimento in carcere), lavorano per l’amministrazione penitenziaria come addetti alle pulizie, alla cucina, alla lavanderia o alla biblioteca. Non certo lavori formativi per progettare un futuro. Questo tipo di mansioni vengono pagate attingendo al fondo delle “mercedi”, ormai ridotto al lumicino per i continui tagli. La legge che ieri ha subito uno stop alla Camera (in prima lettura, poi eventualmente passerà al Senato) si occupa invece di abbozzare una formazione per il lavoratore detenuto e di seguirlo almeno per un anno dopo la scarcerazione, il periodo più delicato per il “reinserimento” sociale. La norma dispone infatti l’aumento dei benefici fiscali - da 500 a 700 euro l’anno per detenuto - per le aziende e le cooperative sociali che assumono carcerati, e allunga il periodo di copertura degli sgravi fino a un anno oltre la detenzione. Attualmente sono 866 detenuti ché lavorano alle dipendenze di aziende esterne grazie agli sgravi della legge Smuraglia, il cui fondo di 4 milioni di euro non viene comunque rifinanziato da quasi un anno. “Sono i telefonisti del call-center di Rebibbia piuttosto che gli addetti all’impianto di riciclaggio rifiuti di Secondigliano”, racconta la deputata Radicale Rita Bernardini. Relatrice del provvedimento in commissione Giustizia, secondo Bernardini “6,5 milioni servono a poco e niente, e invece va estesa molto di più la platea di detenuti. Sappiamo infatti che la recidiva si abbatte solo con il lavoro che offre una professionalità”. Ma c’è di più: “Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure dì sicurezza - ha ricordato ieri Donato Capece, segretario del Sappe, che si è detto “amareggiato” per lo stop di Montecitorio - ed è elemento cardine del trattamento penitenziario e strumento privilegiato diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società”. Giustizia: stop alla legge sul lavoro in carcere… pure i detenuti diventano disoccupati di Rossella Gemma L’Opinione, 1 marzo 2012 Arriva lo stop, per mancanza di copertura finanziaria, dalla commissione Bilancio della Camera alle norme per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti che dovevano essere esaminate dall’Aula di Montecitorio. La commissione ha dato parere contrario sul testo: dovrà tornare in commissione. Il testo unificato, su cui in Aula è stata già svolta la discussione generale, doveva essere esaminato con votazioni da martedì, ma mancava il parere della commissione Bilancio, che, appunto, è arrivato in senso negativo. “Anche se avremmo preferito votare la legge sull’inserimento lavorativo dei detenuti nel pomeriggio come previsto, accettiamo le osservazioni della commissione Bilancio sulla copertura finanziaria e il conseguente approfondimento; sarà così possibile evitare il varo di una legge che potrebbe altrimenti trovare difficile applicazione. Possiamo comunque arrivare all’approvazione da parte dell’Aula nel mese di marzo senza nessun intoppo”. Così il commento Alessia Mosca, deputata Pd, relatrice della legge sull’inserimento lavorativo dei detenuti. Deluso anche il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Mi amareggia prendere atto dello stop, per mancanza di copertura finanziaria, della commissione Bilancio della Camera alle norme per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti. Ricordo che il lavoro è obbligatorio per i condannati ed è fondamentale per rieducare il detenuto e reinserirlo nella società. C’è ipocrisia su questo argomento”. Il segretario del Sappe, Donato Capece, prende atto della battuta di arresto della legge per l’inserimento lavorativo dei detenuti. “Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, a lavorare è una percentuale irrisoria, con ciò alimentando una tensione detentiva che genera condizioni di lavoro drammatiche per gli agenti della Polizia Penitenziaria”, aggiunge Capece. “Il mio auspicio è che il provvedimento possa andare avanti. Un precedente c’è: la legge Meduri di riforma dell’ordinamento dei direttori carcerari, ingiusta e ingiustificata in quanto ha regalato privilegi economici e di carriera ad una minoranza di dirigenti senza concorsi o mobilità di sede! Quel provvedimento è diventato legge nonostante il parere contrario della Commissione Bilancio: spero che sia cosi anche per il lavoro dei detenuti”, conclude il sindacalista. Giustizia: Modavi; solo 25% dei detenuti lavora, agevolare le aziende che assumono Adnkronos, 1 marzo 2012 Bisogna agevolare le aziende che assumono detenuti o ex detenuti: tra questi, chi lavora torna a delinquere solo nel 5% dei casi, a dimostrazione che la rieducazione è riuscita. Lo sostiene Irma Casula, presidente nazionale del Movimento delle Associazioni di Volontariato Italiano (Modavi). “Il disinteresse sulla questione - scrive in una nota - nasce soprattutto a causa della diffusa concezione della detenzione come momento di repressione e non di rieducazione. Si confonde, forse, la vendetta con la giustizia”. Eppure, da un punto di vista legislativo, “abbiamo uno dei migliori ordinamenti al mondo, ma dobbiamo investire su questo settore”, sostiene Simonetta Matone, vicecapo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ai microfoni di Frequenza Modavi, la web radio del sociale. Il problema, secondo Matone, sarebbe la mancanza di fondi destinatari alle carceri: “I politici - dichiara - devono capire che sulle carceri non si può fare economia”. Nella direzione di un miglioramento della gestione carceri che si concili con una gestione funzionale delle risorse va certamente la proposta di legge di cui Renato Farina (Pdl) è stato primo firmatario: “Proponiamo agevolazioni alle aziende che assumono detenuti o ex detenuti - spiega Farina. “In Italia lavora il 25% dei carcerati - continua - tra questi solo il 5% torna a commettere reati; chi non lavora, per il 90%, è recidivo. Un punto percentuale in meno di recidiva fa risparmiare allo Stato 60 milioni di euro. Investire soldi nella rieducazione, oltre a essere giusto, è anche conveniente”. Giustizia: Tamburino (Dap); entro 1 mese 2.000 nuovi posti negli istituti di pena Italpress, 1 marzo 2012 “Nel giro di un mese verranno consegnati al Dap istituti o parti di istituti, per un totale di 2.000 posti”. Lo ha rivelato ai microfoni di “Start - La notizia non può attendere”, Giovanni Tamburino che da due settimane è a capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Tamburino, nella prima intervista dopo la sua nomina rilasciata in esclusiva a Radio 1 Rai, ha affrontato il problema del sovraffollamento delle carceri definendolo “un fenomeno ancora grave e che va risolto urgentemente”, sia perché si creano situazioni “insostenibili”, sia perché “l’Italia si trova sotto la verifica e il controllo dell’Ue e della Corte di Strasburgo. Il sovraffollamento delle carceri per il capo del Dap porta a “situazioni inaccettabili” e che rendono la detenzione “ai limiti dell’invivibilità”. Ma quello del sovraffollamento degli istituti di pena non è il solo grande problema: “Anche la questione del personale è molto grave - ha aggiunto il magistrato - rispetto ad un organico necessario stimato in 41.390 persone, ne abbiamo in servizio circa 34 mila: quindi 7 mila unità in meno”. Tamburino ha sottolineato come ci siano comunque “istituti di pena dove la vita del detenuto e il lavoro del personale si svolge in condizioni dignitose”. Giovanni Tamburino ha definito positivi i primi effetti del provvedimento svuota-carceri: “A fine 2011 5 mila persone che dovevano scontare un residuo di pena lo hanno fatto ai domiciliari”. Il capo del Dap - che ha ringraziato il ministro della Giustizia, Paola Severino, e il governo per la nomina - ha fornito altri dati, drammatici, come quelli sui suicidi in cella: “In carcere ci si toglie la vita 12 volte di più rispetto alla media nazionale italiana”. Un dato preoccupante su cui Tamburino insisterà nel corso del suo mandato. Così come “inaccettabile” è la questione dei detenuti-lavoratori: “Solo il 20% dei reclusi lavora”, ha spiegato Tamburino nel corso dell’intervista a Radio 1 Rai, “troppo poco, specie se pensiamo che in Germania sono l’80%”. Giustizia: decreto svuota-carceri finanziato con 7 mln € tolti a cooperazione internazionale Vita, 1 marzo 2012 Il decreto svuota-carceri è stato finanziato con sette milioni di euro prelevati dalla voce cooperazione allo sviluppo internazionale del Ministero degli esteri. Lo ha riferito il ministro alla Cooperazione, Andrea Riccardi, nel suo intervento al convegno “La cooperazione internazionale dell’Italia: una risorsa da valorizzare, modernizzare, rilanciare” che si è svolto questa mattina alla Sala delle Colonne della Camera dei deputati a Roma, esprimendo la sua “costernazione”, ma anche la sua ferma volontà a recuperarne una parte. “Non ho smesso di lottare provando a ridurre questo taglio e spero di arrivare a qualche risultato positivo”, ha detto. Quanto al finanziamento della cooperazione, Riccardi ha preannunciato che sarà possibile “recuperare qualche risorsa” nella spending review. E anche che è in via di valutazione “la possibilità di attuare in Italia un qualche prelievo di solidarietà, come per i biglietti aerei” in altri paesi. Il ministro ha anche anticipato ai rappresentanti delle organizzazioni non governative riuniti questa mattina al convegno l’obiettivo di arrivare “all’approvazione di una dichiarazione interministeriale sulle coerenze delle politiche che stabilisca la particolarità del ministero sulla materia e individui un coordinamento interministeriale per il coordinamento”. Riccardi ha sottolineato che le diverse realtà della cooperazione devono “lavorare in sinergia, creare più sinergie operative” rispetto a quanto non lo facciano ora. Per Riccardi è necessario a questo scopo che i diversi attori “abbiano un luogo dove condividere processi e prospettive, un tavolo inter istituzionale, uno spazio per il confronto strategico nazionale”. Giustizia: Dap; estradato in Italia latitante albanese, era evaso dal carcere di Terni Adnkronos, 1 marzo 2012 È stato estradato in Italia dall’Albania, Ardian Ostrovica, giunto stamani all’aeroporto di Fiumicino con volo di linea proveniente da Tirana, accompagnato dal personale del Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia-Interpol di Roma. Il latitante, spiega una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è stato consegnato agli uomini del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria e a quelli del reparto di Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Terni. Ostrovica era stato condannato a 20 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, avendo causato un incidente nel quale erano rimaste uccise tre ragazze. In carcere dal febbraio del 2000, avrebbe terminato la pena nel 2015, ma il 15 agosto del 2010 è evaso dall’istituto di Terni non rientrando da un permesso premio. A conclusione di una lunga e complessa indagine diretta dal pm della Procura della Repubblica di Terni, Elisabetta Massini, ed eseguita dal personale del reparto di Polizia Penitenziaria di Terni, l’uomo era stato arrestato il 24 novembre scorso nei pressi di Tirana dal personale del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia-Interpol Roma, in collaborazione con la Polizia albanese. Le indagini sono state attivate, subito dopo la notizia dell’evasione, da parte del personale del Reparto di Polizia Penitenziaria di Terni anche attraverso numerose attività tecniche e di controllo del territorio, sotto il coordinamento del Nucleo Investigativo Centrale (N.I.C.) della stessa Polizia Penitenziaria che ha pianificato le attività di Polizia Giudiziaria finalizzate alla ricerca e localizzazione del latitante, con l’importante contributo fornito del personale di Polizia Penitenziaria dei Provveditorati dell’Amministrazione Penitenziaria di Bari, Firenze, Torino e dell’Istituto di Treviso. Gli indizi raccolti durante le indagini hanno consentito l’emissione del mandato di arresto europeo per la cattura del latitante in area Schengen. Nel maggio 2011, a seguito del rientro del ricercato nella capitale albanese, la Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Firenze formulava richiesta al ministro della Giustizia per la ricerca del latitante in ambito internazionale. Grazie alla rilevanza degli elementi forniti agli organismi internazionali di polizia da parte del personale del reparto di Polizia Penitenziaria di Terni, il latitante è stato rintracciato ed arrestato a Kamez, in Albania, il 24 novembre 2011. Lettere: nessuna pena se reato di “particolare tenuità”… è giusto? risponde Sergio Zavoli (Senatore del Pd) Oggi, 1 marzo 2012 La benemerita strategia semplificatoria dedicata dal governo Monti all’universo-giustizia, tra molti consensi sta anche suscitando riflessioni qua e là problematiche. L’idea, in sé civilissima, di ridurre i tempi in cui la burocrazia lascia da sempre galleggiare indagini, istruttorie, carcerazioni, processi, secondo i più dubbiosi potrebbe tradursi in una paradossale perdita di certezza, e quindi di equità, proprio nel tentativo di imprimere al diritto, e alla sua macchina, il massimo di razionalità. Un solo esempio: c’è chi fa rilevare che così come quando le carceri “scoppiavano” si ricorreva ad amnistie, indulti, sconti di pena, ora, per i piccoli reati, si nega persino il processo. E sufficiente alleggerire, in fase istruttoria, la modalità del reato; che può venire archiviato, e il colpevole esserne prosciolto, se “il fatto è di particolare tenuità”. Rimarrà solo traccia della vicenda nel certificato penale, e la parte offesa potrà chiedere il risarcimento dei danni; ma il processo sarà concluso, e non si sottrarranno tempo e denaro a processi di comprovata gravità. Ciò parrebbe un risultato di cui compiacersi se non intervenisse una domanda: la vittima non rimane un protagonista assente? E la legge, interpretando la sua natura evolutiva, per ciò stesso rimane comunque erogatrice di una “giustizia giusta”? La sentenza, si sa, è ardua. Per principio. Ciò che scioglie qualche dubbio è la ricerca di modalità che non contraddicano un’antica sapienza, cioè preservando certezza, solerzia e trasparenza, prime luci della giustizia. Resta, legittima, una riflessione: se i reati più piccoli verranno giudicati senza processo per non concedere troppo alle liturgie procedurali, non si toglierà qualcosa al criterio primario dell’equità? Per scongiurare il definitivo collasso della giustizia, un intervento responsabile e risoluto è da preferirsi al pannicello di giornata, tiepido e inconcludente. Lombardia: appello al governo; stanziare risorse necessarie per legge su lavoro in carcere Ana, 1 marzo 2012 “Lo stop alle norme per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti, da parte della Commissione della Camera, è un fatto grave”. Lo ha detto in una nota - l’assessore regionale alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale Giulio Boscagli, in merito alla decisione della Commissione Bilancio della Camera sulle norme per l’inserimento lavorativo dei detenuti. “La possibilità di svolgere un lavoro nel periodo di detenzione - spiega Boscagli - da una parte ha lo scopo di migliorare le condizioni di vita dei detenuti, dall’altra di garantire maggiori possibilità di reinserimento. È comprovato, infatti, che la recidiva relativa ai soggetti che all’interno delle carceri hanno usufruito di percorsi lavorativi formativi si riduce decisamente. In Lombardia l’esperienza positiva del carcere di Bollate ne è una testimonianza concreta. Se a livello nazionale abbiamo una recidiva del 68 per cento, a Bollate, dove la maggior parte dei detenuti può lavorare, essa scende tra il 12 e il 15 per cento”. “Mi auguro - conclude l’assessore regionale - che il provvedimento venga al più presto approvato e che il Governo decida di stanziare le risorse necessarie per garantire una reale opportunità di lavoro a tutti i detenuti. Ogni euro investito per il reinserimento di queste persone, infatti, è in prospettiva un risparmio per l’intera società”. Sicilia: Caronia (Pid); usare fondi del Garante dei detenuti per progetti di recupero Adnkronos, 1 marzo 2012 “La condizione dei penitenziari siciliani è allarmante con indici di sovraffollamento tra i più alti in Italia, strutture spesso fatiscenti, carenze igieniche e di organico della Polizia penitenziaria. E ancora una volta invece di cercare rimedi concreti a queste problematiche la politica si perde in polemiche”. Lo dice il parlamentare regionale siciliano del Pid, Marianna Caronia. “La Regione - spiega - ha un ufficio apposito, quello del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti che deve monitorare, assistere e tutelare le persone private della libertà da eventuali abusi della pubblica amministrazione, trattamenti umilianti o inadeguati, violazione dei diritti fondamentali. A questa struttura vengono assegnati 176mila euro, una parte di questa cifra è destinata al Garante e la restante parte copre le spese per il funzionamento dell’ufficio. Propongo di compiere un atto di responsabilità e fare in modo che le risorse disponibili siano impiegate interamente in progetti per i detenuti. Anzi - rilancia il parlamentare - raddoppiamo la cifra e usiamola per migliorare la qualità della vita di quanti popolano le nostre carceri, sia detenuti sia agenti di Polizia. Facciamo in modo di avviare seri percorsi riabilitativi, che favoriscano un effettivo reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale ed economico una volta scontata la condanna”. “La Regione ha certamente al suo interno le professionalità per seguire queste delicate iniziative - conclude Caronia - e può farlo senza aggravio di costi per le casse regionali. Le risorse disponibili vengano spese, dal primo all’ultimo centesimo, solo ed esclusivamente per migliorare le nostre carceri e aiutare chi sta pagando per i propri errori e vuole ricostruirsi una vita”. Cagliari: le spose del carcere di Buoncammino Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2012 Sei a Cagliari, nella parte più alta della città, in cima al colle di San Lorenzo. Ci sei arrivato percorrendo una salita tortuosa, dopo aver visitato la cittadella dei Musei, e poi un lungo viale alberato disseminato di panchine affacciate sull’anfiteatro romano e sui tetti della città. Hai un libro sotto il braccio e una mezza bottiglia di minerale. Nella luce fresca del tardo pomeriggio ti fermi a guardare un edificio. È una specie di fortezza, con quattro garitte ottagonali coperte da cupolette a spicchi e imponenti mura di cinta che lo rinserrano da tutti i lati. È il Buoncammino, il carcere, un nome che ti risuona dentro come un sermone. Non puoi immaginare che abbiano costruito un carcere in un posto così, su un viale in cui soffia un vento docile e profumato e dove incontri universitari che amoreggiano e turisti che si riposano dopo aver scalato il quartiere di Castello. Hai un pò di tempo a disposizione prima del tramonto, e ti avvicini costeggiando le mura. All’improvviso senti una specie di richiamo, voci piene di sentimento, grida a tratti esasperate, e vuoi guardare, capire. Ti trovi di fronte a una scena che serberai nella memoria per molto tempo. Sulle prime pensi che sia un sit-in, ci sono donne che invadono un grande spiazzo di terra a ridosso del carcere, bambini dalle facce confuse, che forse vorrebbero dileguarsi, andare a giocare a pallone, e che invece sono costretti a stare là con le loro madri. Queste donne portano appese al petto le foto di famiglia, alzano lenzuola coperte di scritte fatte con lo spray, le loro grida dall’inflessione cagliaritana fortissima hanno una gravità monotona. Più in là, distaccati, alcuni gruppetti isolati di ragazzine urlano all’indirizzo dei detenuti, sollevano bambini piccolissimi, li mostrano ai compagni reclusi. È una forma di comunicazione che sembra arrivare da un altro tempo, un momento privato che deve essere vissuto pubblicamente per cause di forza maggiore. Raccontano così le loro giornate, cercano di restituire ai mariti un’idea vaga, un’impressione, di come sia la vita fuori dal carcere. Alcune di loro arrivano a raccontare l’intimità perduta, si agitano, si toccano i capelli, cercano di apparire desiderabili anche così, cercano di farsi ricordare, tra le loro frasi a volte spuntano parole oscene che descrivono una forma di amore prepotente e feroce. Fa effetto vedere come nell’era della comunicazione globale queste donne siano costrette ad adoperare un linguaggio così antico e plateale per parlare coi loro cari. Non succede solo a Cagliari, ma anche in altre carceri italiane, e succede da sempre, è una consuetudine testimoniata già da certi vecchi film in bianco e nero. A parte questo, raramente se ne parla. Eppure anche loro, pur non avendo debiti con la giustizia, scontano una pena, si portano addosso un pezzo di galera. Sono lì, dall’altra parte delle sbarre, magari perché una sola ora di visita non basta, o perché a parlare sotto lo sguardo di un agente di polizia penitenziaria non c’è la stessa intimità che trovano, invece, nel confidarsi urlando a voce piena tra la polvere di un terrapieno. Sassari: delitto Erittu al San Sebastiano, Vandi resta in carcere La Nuova Sardegna, 1 marzo 2012 Respinta anche la quarta richiesta di scarcerazione per Pino Vandi, sassarese di 48 anni arrestato per il delitto del detenuto di San Sebastiano Marco Erittu, risalente al 2007. A negare la liberazione all’indagato, considerato uno dei principali punti di riferimento della criminalità locale, è stata la Corte di Cassazione, che ha rigettato l’istanza della difesa lo scorso 24 febbraio. Le motivazioni dei giudici devono ancora essere rese note. Gli avvocati Elias Vacca e Patrizio Rovelli avevano impugnato la prima decisione del tribunale del Riesame di Cagliari (indaga la Direzione distrettuale antimafia), che a sua volta aveva confermato la decisione del gip Giorgio Altieri di non concedere gli arresti domiciliari. Ma pende un altro ricorso. Vandi è accusato dal pm della Dda Giancarlo Moi e dal collega sassarese Giovanni Porcheddu di aver ordinato l’omicidio di un detenuto scomodo, forse perché a conoscenza del suo coinvolgimento, non è chiaro a quale titolo, nei sequestri di persona insoluti di Paoletto Ruju e Giovanni Sechi. Retroscena rivelati dal reo confesso Giuseppe Bigella, con dichiarazioni già cristallizzate in un incidente probatorio. Proprio su presunte contraddizioni di Bigella si fondava il ricorso per Cassazione proposto dalla difesa, evidentemente con motivi non condivisi dagli ermellini romani. Vandi era stato arrestato a metà luglio scorso dal Ros di Nuoro e dai carabinieri del Nucleo investigativo di Sassari assieme all’agente di polizia penitenziaria Mario Sanna, assistito dall’avvocato Agostinangelo Marras, e a Bigella (difeso dal legale di un altro foro). Indagato un altro detenuto, Nicola Pinna (difeso da Luca Sciaccaluga), mai arrestato. Vandi è detenuto nel carcere di Vigevano, presumibilmente perché l’inchiesta della Dda conta molti indagati e testimoni proprio tra i detenuti delle carceri isolane e tra gli stessi agenti. Alcuni di quelli in servizio a San Sebastiano negli anni passati, potrebbero essere coinvolti nell’inchiesta-bis su un presunto traffico di droga tra le celle, possibile proprio grazie alla connivenza di alcuni poliziotti. Questa parte dell’inchiesta, è coperta da un riserbo molto fitto, ma potrebbe portare presto a clamorose svolte. Mentre è alle battute finali quella sull’omicidio del detenuto, che seguirà rito ordinario: i pm sembrano aver abbandonato l’idea del giudizio immediato. La Spezia: la procura fa acquisire gli atti su appalto per l’ammodernamento del carcere La Repubblica, 1 marzo 2012 La procura di La Spezia ha incaricato i finanzieri del nucleo di polizia tributaria di acquisire a Genova, nella sede del Provveditorato della Liguria, tutto l’incartamento riguardante l’affidamento di un appalto (la gara è del 2004 ma per vari motivi i lavori sono iniziati con forte ritardo) per l’ammodernamento di alcuni settori del carcere. All’origine dell’accertamento un controllo della finanza che avrebbe rilevato irregolarità o vere e proprie assenze dei contratti, nelle posizioni di alcuni operai impiegati dalla Gestecos, l’impresa romana titolare dei lavori. Una situazione davvero particolare se confermata dal prosieguo delle indagini, perché le ditte che lavorano per il Provveditorato, e specie quelle incaricate di interventi in caserme, questure, carceri, devono garantire un altissimo livello di serietà ed affidabilità (il cosiddetto Nos, Nulla Osta Sicurezza). Anche se la società avrebbe parlato di un equivoco che verrà chiarito, la procura ha deciso di analizzare l’intero fascicolo. Al momento non ci sono indagati. La Gestecos, impresa molto nota, a La Spezia partecipa alla cordata per il nuovo Waterfront nell’omonima società in cui le altre quote sono, tra gli altri, nelle mani della Carispe, Termomeccanica, Carlo Agnese spa, Gabriele Volpi, Giorgio Bucchioni. Augusta (Sr): denuncia alla Procura “il carcere cade a pezzi” La Sicilia, 1 marzo 2012 Denunciate alla Procura della Repubblica di Siracusa le gravi carenze che affliggono la casa di reclusione di Augusta. L’esposto è stato presentato dalla segreteria generale del Cnpp (Coordinamento nazionale polizia penitenziaria). Una denuncia scaturita dai continui solleciti del segretario provinciale, Massimiliano Di Carlo che ha più volte interessato dei fatti la direzione nazionale del sindacato. La nota, a firma del segretario generale Giuseppe Di Carlo, è stata inoltre inviata al capo del Dap, al provveditore regionale della Sicilia e al direttore del carcere di contrada Piano Ippolito. Attraverso l’esposto si chiede l’immediata soluzione delle varie problematiche di cui soffre il penitenziario. Soluzione che potrà arrivare solo con incisivi interventi. La segreteria generale del Cnpp chiede altresì l’individuazione di tutti i responsabili che, nel corso degli anni, hanno determinato le attuali criticità. “L’organizzazione sindacale, dopo i numerosi interventi volti a denunciare la gravissima situazione lavorativa all’interno del carcere, deve constatare, con rammarico - scrive Giuseppe Di Carlo - che tutte le autorità sinora coinvolte non hanno adottato alcun provvedimento concreto né manifestato alcun cenno d’interessamento”. Il Cnpp, ritiene sia più che mai necessario sanare le carenze strutturali ed igienico sanitarie, dovute al cedimento delle inferriate esterne, allo scoppio e cedimento della canna fumaria del gruppo elettrogeno, alla presenza serbatoi di gas inutilizzati di impianti elettrici non a norma. Nella nota viene anche denunciata l’inagibilità del camminamento lungo muro di cinta, l’anello antincendio non funzionante, le pareti scrostate, i sanitari malridotti, le docce fatiscenti, i riscaldamenti non funzionanti, le infiltrazioni d’acqua, la precarietà dei dispositivi elettrici delle celle ed altro ancora. “Si tratta di disfunzioni già accertate e relazionate anche dal Comando provinciale Vigili del fuoco, dalla Direzione della Casa di Reclusione e dai rappresentanti della sicurezza dei luoghi di Lavoro”. “Considerato che la struttura è peraltro gravata da carenza d’organico, non colmata nemmeno dal disperso interpello straordinario appositamente indetto dal Prap di Palermo e dal sovraffollamento che ha nettamente oltrepassato la capienza tollerabile - aggiunge il segretario nazionale del Cnpp - diviene oltremodo preoccupante il disagio lavorativo di cui tutti sanno parlare solo nei momenti più drammatici e quando tutto è diventato irrimediabile”. Da anni sono sempre accesi i riflettori sulle problematiche del carcere di Augusta. La scorsa settimana, come si ricorderà, a seguito della nota redatta dai rappresentanti della sicurezza sui luoghi di lavoro della Polizia penitenziaria della Casa reclusione di contrada Piano Ippolito, sulla drammatica situazione igienico-sanitaria e strutturale del carcere penitenziario illustrata in tale nota sono intervenute sia l’Ugl che la segreteria provinciale della Fsa/Cnpp. Nuoro: Sdr; urge trasferire per gravi motivi di salute detenuto Badu e Carros Ristretti Orizzonti, 1 marzo 2012 “È urgente il trasferimento dal carcere di Nuoro di Biagio Campailla, 42 anni. Lo conferma la recente diagnosi del neurochirurgo dell’Ospedale San Francesco dott. Carlo Piu che ha suggerito un esame più approfondito nel Centro di Neurochirurgia di Rovigo per un possibile intervento chirurgico”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha accolto l’ennesimo appello della madre del detenuto Iolanda Di Salvo, preoccupata per l’aggravarsi delle condizioni del figlio. “Lo specialista, dirigente medico dell’Unità Operativa di Neurochirurgia del San Francesco, evidenzia - osserva Caligaris - la presenza di un’ipostenia dell’arto superiore sinistro. In sostanza l’uomo rischia, oltre che dolori insopportabili, una paralisi del braccio corrispondente. Insomma ancora una volta i certificati medici non lasciano spazio a soluzioni alternative. In Sardegna infatti come sottolinea il dott. Piu non si esegue tale intervento”. “Le condizioni di salute del detenuto, peraltro diabetico, insulino dipendente, si sono quindi progressivamente aggravate - sostiene la presidente di Sdr - negli ultimi mesi divenendo sempre più pericolose per il mantenimento della funzionalità del braccio sinistro. Sulle condizioni di salute si era espresso nei mesi precedenti anche Georges Mansour, che ha redatto uno specifico certificato dopo i risultati di una risonanza magnetica della colonna cervicale, con cui sottolineava “un rischio di paresi e di parestesia per la presenza di un’ernia discale”. Le vicissitudini sanitarie di Biagio Campailla sono iniziate nel mese di agosto del 2011. Allora la madre rivoltasi all’associazione Sdr aveva espresso vive preoccupazioni per la salute del figlio trasferito inopinatamente a Nuoro. La donna, anziana, ma soprattutto in precarie condizioni di salute, abita in Belgio. Ha quindi ripetutamente chiesto che venga accettata la domanda di trasferimento del figlio per poter effettuare i colloqui in un Istituto più facilmente raggiungibile nel territorio nazionale essendo la sede di Nuoro eccezionalmente distante. Della vicenda si è interessato il Consolato italiano in Belgio che ha preso contatti con le autorità per verificare le reali condizioni di salute del detenuto sollecitando anche il suo trasferimento in una struttura detentiva belga. “Per mio figlio non chiedo la libertà - sostiene l’anziana madre - ma un trattamento umano e le indispensabili cure” Trieste: Garante dei detenuti; maratona di polemiche in Consiglio comunale Il Piccolo, 1 marzo 2012 Otto ore di lavoro per fabbricare un solo prodotto (l’istituzione del Garante dei detenuti) benché il programma ne prevedesse uno in più come minimo (la discussione sulla nuova Ici). Eppoi doppia diaria per tutti, perché quel lavoro si è sfilacciato ben oltre la mezzanotte. Poco produttivi e tanto costosi, insomma, quelli del Consiglio comunale. Roba da far saltare i nervi a Marchionne. La politica però non è una catena di montaggio. E così, l’altra notte, in Municipio si è armeggiato a lungo sullo stesso bullone. Due chiavi lo stringevano. Non nella stessa direzione. Da una parte la maggioranza di Cosolini (che alla fine l’ha spuntata, con la forza dei numeri) secondo cui il Garante dei detenuti - presente già in diverse altre città - è un segno di umanità. Dall’altra l’opposizione, per la quale invece, così com’è, il Garante non è un segno. Ma un pegno, inteso come promessa da mantenere con qualche sostenitore, forse un trombato, alle elezioni del 2011. Una spesa che - malignano bandelliani e berluscones - mostra imbarazzi e crepe fin dentro lo stesso Pd, “come se la consigliera Cogliati avesse cercato una rivincita sulla Famulari per non essere stata nominata a suo tempo assessore al Welfare da Cosolini”. Il dibattito sul Garante dei detenuti, iniziato alle 20 di lunedì, si è esaurito quand’erano quasi le 4 di ieri, causando appunto lo slittamento dell’esame delle mozioni sull’Imu. Primi a cantar successo i due firmatari della proposta di delibera di iniziativa consiliare, la stessa Maria Grazia Cogliati Dezza e Pietro Faraguna: “L’istituzione del Garante rappresenta un piccolo passo di civiltà su un tema, le carceri, in cui l’Italia è a livelli da Terzo mondo, nonostante il generoso lavoro degli operatori penitenziari in una realtà positiva qual è l’istituto diretto dal dottor Sbriglia”, scrivono i proponenti denunciando l’opposizione dell’opposizione, solo “apparentemente sostenuta da motivazioni etiche legate al contenimento della spesa”. E la “contrarietà stupisce ancor di più considerato che la figura del Garante è contemplata dall’ordinamento penitenziario in forza di una legge imputabile alla precedente maggioranza parlamentare Pdl-Lega”. Ma questo - tuona da Fli Michele Lobianco, che per inciso è collega di partito di Sbriglia - “altro non è che l’ennesimo atto politico dell’amministrazione Cosolini, che si tradurrà in una nuova nomina. Già ora molte sono le figure istituzionali che hanno titolo sia di accesso che di controllo, i magistrati, i parlamentari, i consiglieri regionali, e l’Azienda sanitaria, non dimenticando che il vero Garante è lo stesso direttore della casa circondariale, peraltro mai voluto sentire dalla maggioranza”. Maggioranza che - lamenta Paolo Menis, capogruppo grillino - “non ha voluto stabilire un tetto di spesa per l’indennità del Garante: avevamo proposto un costo annuale massimo di 6mila euro ma l’emendamento è stato bocciato”. “È sconvolgente - incalza dal Pdl Everest Bertoli - la facilità con cui la maggioranza mette le mani in tasca ai triestini per pagare i debiti elettorali. Mi appello alla saggezza di Cosolini, cui spetta il compito di decidere quanto costerà la poltrona, affinché faccia in modo che non costi nulla per le casse del Comune. Faccia in modo che la mazzata dell’Imu che si abbatterà per sua scelta sulle famiglie non sia sprecata in “poltrone per i compagni”. “Nonostante si predichi austerità - osserva infine Franco Bandelli, ricordando che a margine è passata la mozione di Un’altra Trieste sulla solidarietà alle famiglie dei marò in India - ci si inventa il modo per dare un contentino a qualche scontento della politica. Anziché accogliere la nostra richiesta, di far coincidere il garante con l’assessore alle Politiche sociali, si è deciso di assecondare le pretese e i disegni di alcuni consiglieri del Pd”. Chiamata in causa, Laura Famulari precisa: “È vero che ho detto in aula di avere le competenze adeguate per eventualmente fare il Garante (l’attuale assessore al Welfare è dipendente del Tribunale, ndr) ma è anche vero che ho precisato che il regolamento deve valere in astratto, e le competenze che io ho un altro assessore potrebbe, un domani, non averle”. Ivrea (To): detenuto in sciopero della fame da 15 giorni, per proclamare sua innocenza La Sentinella, 1 marzo 2012 “Ha già perso 8 chili nelle ultime due settimane. Giuseppe Nigro, 43 anni, un passato da dimenticare e da riscattare, sta conducendo lo sciopero della fame per protestare contro quella che lui definisce un’ingiustizia: una condanna per concorso in rapina confermata in sede di appello poco più di un mese fa. Ad incastrarlo non sarebbe stata una prova investigativa, ma la parola di un pentito. Da un anno e mezzo è rinchiuso nel carcere di Ivrea, Giuseppe Nigro e la sua intenzione è quella di giungere al deperimento organico. “Mi sono sempre proclamato innocente e non ho mai voluto accettare nessun compromesso davanti ai giudici - spiega Nigro. Lotterò fino a quando potrò per gridare la mia innocenza. Scrivo alla Sentinella fino a quando avrò ancora la forza per farlo, perché presto sarò un vegetale”. In passato, Giuseppe Nigro ha commesso “molti errori”. Ha scontato 16 anni di carcere per poi arrivare alla semilibertà e all’affidamento. “Quando sono uscito dal carcere mi sono costruito una nuova vita - scrive. Ho trovato lavoro come cuoco e in quei cinque anni mi sono sempre comportato come un cittadino onesto, non ho mai commesso un reato”. Poi l’11 agosto del 2010, all’ufficio postale di Arona (Vco) viene commessa una rapina. Bottino 700 euro. Dalle telecamere, gli investigatori riconoscono l’autore materiale. Quest’ultimo, però, chiama in causa, come informatore, proprio Nigro. L’uomo, così, finisce di nuovo in carcere. In primo grado il pm chiede una pena a 9 anni e mezzo. I giudici di Verbania lo condannano a 6 anni. In appello, a Torino, la pena viene ridotta a 4 anni. Nigro scrive un lungo memoriale e comincia un primo sciopero della fame, durante il quale perderà ben 16 chili. “L’unica mia speranza, oggi, è la Cassazione - scrive Giuseppe Nigro. Ho chiesto più volte gli arresti domiciliari, ma la mia richiesta è sempre stata respinta. Ma non ho intenzione di starmene con le mani in mano. Lotterò fino alla fine per dimostrare la mia innocenza, perché io con quella rapina non c’entro nulla”. Olbia: impresa costruttrice “consegna” nuovo carcere; mancano gli arredi… e gli agenti La Nuova Sardegna, 1 marzo 2012 L’impresa appaltate che ha realizzato il nuovo carcere di Nuchis consegnerà, questa mattina, la struttura penitenziaria ai funzionari del ministero della Giustizia. Un passaggio formale che precede la apertura - che stando alle dichiarazioni del ministro guardasigilli dovrebbe essere imminente - dell’istituto penitenziario nella quale saranno ospitati 150 detenuti. Il carcere di Nuchis, sin da domani, avrà comunque al suo interno sei detenuti i quali, però, andranno nella nuova struttura soltanto per lavorare. C’è infatti da sistemare il mobilio, sinora accatastato negli ampi garage della struttura sorta a Nuchis, all’interno delle celle (tutte a due posti, con stanza separata per i servizi) e arredare cucine e spazi comuni. L’avvio della operatività della struttura è ancora indefinita: mancano gli agenti della polizia penitenziaria, come ha spiegato il comandante delle carceri Maria Elena Mariotti, che dovrebbe garantire la protezione e sicurezza di detenuti e istituto. Cinema: “Diaz, Don’t Clean up this blood”, di Daniele Vicari di Silvia D’Onghia e Malcom Pagani Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2012 “Sembrava una macelleria messicana” disse in tribunale Michelangelo Fournier ai giudici genovesi. Il vicecapo del VII nucleo del reparto mobile di Roma in servizio effettivo alla Diaz. L’enigma vivente di una lunga notte iniziata il 22 luglio 2001 e non ancora terminata. Né santo né eroe, ma l’unico individuo in divisa che entrò in relazione con le vittime di un assalto brutale, si tolse il casco, allontanò spintonando aguzzini con la pettorina: “Basta, basta” e temendo che la tedesca Melanie Jonasch fosse morta: “Io sono rimasto terrorizzato, basito quando ho trovato la ragazza con la testa aperta” interruppe il massacro. Una figura complessa che, fotografata nelle sue contraddizioni e senza beatificazioni, il regista Daniele Vicari traspone nel film Diaz con fedele aderenza alla dialettica esposta da Fournier in un’aula giudiziaria. Fournier, l’unico poliziotto in grado non promosso sul campo per la mattanza di via Cesare Battisti, parlò di “macelleria messicana” in due distinte occasioni. Deposizioni sofferte, in bilico tra verità e senso della comunità da preservare: “Sono nato in una famiglia di poliziotti, non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento cosi grave da parte dei miei colleghi”. L’ultima volta, nel giugno 2007, ammise di non aver avuto la forza di dire tutto ciò che sapeva “per spirito di appartenenza”. Michelangelo Fournier, l’uomo d’ordine con il cuore a destra che divideva le ricreazioni scolastiche con l’ex parlamentare verde Paolo Cento. Il “pentito” come semplicisticamente dissero in molti. Il dirigente detestato da un pezzo consistente di movimento secondo il quale non si decise a confessare sulla spinta dell’indignazione, ma solo perché riconosciuto da alcune vittime dell’assalto alla Diaz. Fournier, il funzionario avversato dai quadri che videro nella sua opposizione a Canterini, un’eversione inaccettabile per tempi, modi e forma. Nella pellicola prodotta da Fandango si vede Claudio Santamaria (che lo interpreta) con la maglietta della Folgore, mentre all’alba delle dieci di sera (circa un’ora prima dell’assalto alla Diaz) tenta di consumare in compagnia di un paio di colleghi un pasto nel ristorante improvvisato per le Forze dell’ordine in zona Fiera. Viene avvicinato da Vincenzo Canterini. I due sono diversissimi per carattere e inclinazione. Entrambi stravolti. Svegli da ore. Davanti ai Pm Zucca e Cardona, il racconto di Fournier è una lama: “Il comandante Canterini poi venne da me e disse: ‘C’è la necessità di raggruppare immediatamente gli uomini, è stata individuata una struttura presso la quale sembra abbiano trovato ricovero buona parte degli Anarco Insurrezionalisti”. Le stesse frasi del film. Una menzogna. Troppi “sembra”. Un’unica conseguenza. Oltre 90 feriti. Due tentati omicidi. Fratture multiple. I reparti di Canterini e Fournier, seguendo strade diverse, arrivano alla scuola Diaz. Il secondo giunge quando le operazioni di sfondamento del cancello sono in corsa, ma è tra i primi a entrare. Sale le scale, forse sferra qualche colpo (c’è concitazione, molti testimoni glielo imputano e Vicari, in ogni caso, non opta per il manicheismo e lo mostra) poi arriva al primo piano. Lì si ferma. “Ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra (...)”. Fournier vede la Jonasch, chiede aiuto: “C’erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze”. Così nella realtà ricordata da Fournier. Così nella finzione sinistramente reale riproposta da Vicari. Fournier domanda scusa all’amica della Jonasch, Jennette Dreyer. Una reazione incongrua, spiegabile solo con un cambio di prospettiva definitivo, che è quello che sembra aver colpito, forse anche oltre le sue volontà, il Fournier del dopo G8. Non lo stesso uomo che sapeva dirigere l’ordine pubblico allo stadio con il dialogo e la fermezza. Ma un altro da sé. Nella terra di mezzo tra l’essere poliziotto o cittadino. Non più innocente comunque, dopo aver visto e partecipato agli interni della Diaz. Vicari lo inquadra mentre esce dalla scuola e si avvicina a Canterini. Il comandante gli ordina di sistemare i “prigionieri” sui blindati. Fournier si ribella. L’altro ribadisce l’ordine. I due si perdono di vista. Fournier va brevemente a Bolzaneto. Poi va altrove. Cerca di allontanarsi da una storia che comunque lo inseguirà per tutta l’esistenza. Quando il pm gli chiede dei Tonfa, i manganelli che hanno mandato in ospedale decine di ragazzi, Fournier sembra il marziano di Flaiano. Afferma che “il Tonfa è una cosa più seria, una cosa più complicata” e davanti alle domande del pubblico ministero si spiega meglio: “È uno sfollagente che non può essere utilizzato con la leggerezza con la quale si utilizza quello ordinario... può produrre grossi danni... i colpi in testa possono essere mortali con una buona percentuale di possibilità... è una follia perché si può ammazzare”. Nel film Diaz questo passaggio non c’è, perché le immagini descrivono quella pazzia meglio di qualsiasi istruttoria. Honduras: incendio carcere Comayagua, consegnati alle famiglie i resti delle prime vittime Ansa, 1 marzo 2012 I resti di 88 vittime, delle 170 finora identificate, dell’incendio del carcere centrale di Comayagua, sono stati consegnati alle rispettive famiglie, riporta la stampa locale. L’incidente, avvenuto lo scorso 14 febbraio, provocò la morte di 359 detenuti. Melvin Duarte, portavoce del Ministerio Público, ha dichiarato che “la restituzione dei resti delle vittime ai propri cari procede lentamente. Si tratta di un processo che prevede una difficile identificazione, considerate le tragiche condizioni in cui sono stati rinvenuti i corpi”. “Cerchiamo di identificare le vittime tramite impronte digitali e dentali. Dobbiamo essere sicuri al 100% di ciascun riconoscimento, per evitare in futuro ogni sorta di reclamo”. I medici forensi honduregni, continua Duarte, stanno collaborando con esperti provenienti da Cile, El Salvador, Guatemala, Messico e Perù. La prigione di Comayagua ha una capacità di 400 detenuti, ma ne ospitava quasi 900. I familiari delle vittime ritengono lo Stato responsabile delle condizioni di sovraffollamento delle carceri onduregne. La scorsa settimana, il ministro della Sicurezza Pompeyo Bonilla aveva affermato che “l’incendio di Comayagua è stato solo un tragico incidente”. La tesi di un banale incendio derivato da una sigaretta spenta male è stata sostenuta anche dal Procuratore generale Luis Rubi. Le fiamme, iniziate nel braccio 6 del carcere (dove su 104 detenuti si sono contati 100 morti), si estesero fino al braccio 10 incluso, cogliendo molti detenuti bloccati all’interno delle celle e senza via d’uscita. India: niente carcere per i marò italiani, attesa per la perizia sulle armi sequestrate Agi, 1 marzo 2012 Niente carcere per i due marò accusati di aver ucciso due pescatori indiani il 15 febbraio. Il tribunale di Kollam ha esteso fino a lunedì prossimo, 5 marzo, il fermo di polizia dei due fucilieri del San Marco, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. La decisione appare in controtendenza con l’obiettivo degli inquirenti, che puntavano alla trasformazione del fermo di polizia in fermo giudiziario. Era stato il capo della polizia del Kerala, Jacob Punnoos, ad annunciare che il team investigativo speciale - incaricato di indagare sulla complessa vicenda - avrebbe chiesto al magistrato distrettuale il trasferimento in prigione dei due marò. Per ora nessuna novità, invece, sulla perizia che dovrebbe svolgersi sulle armi sequestrate durante la perquisizione della petroliera Enrica Lexia, a cui l’Italia vorrebbe far partecipare due esperti dei Carabinieri, che si trovano già a Kochi. La difesa ha presentato una nuova richiesta perché assistano a tutte le fasi della perizia dopo che il giudice Aneesh Kumar, del tribunale di Kollam, aveva respinto l’istanza presentata in tal senso. I tecnici italiani potranno però prendere parte all’apertura delle casse e alle prove di sparo. Intanto, appare sempre più in salita la via del ricorso all’Alta Corte del Kerala presentato dalla difesa dei due marò per rivendicare la competenza della giurisdizione italiana in luogo di quella indiana. Il giudice P.S. Gopinathan, ha affermato che la petizione presenta “seri difetti”, aggiungendo che non esaminerà la documentazione finché non verranno “sanati”. Gopinathan ha persino espresso il dubbio che la firma, apposta da uno dei due marò sull’affidavit difensivo, sia autentica. L’udienza è stata aggiornata a domani. Anche la possibilità di arrivare ad un accordo extragiudiziale tra i marò e le famiglie dei pescatori sembra escluso. L’ipotesi era stata scartata anche dal primo ministro del Kerala, Oomen Chandy: “La legge indiana non prevede un accordo extragiudiziale in caso di accusa di omicidio”, aveva precisato ieri il premier. Ucraina: vertice Ppe rende omaggio a Tymoshenko in carcere Adnkronos, 1 marzo 2012 Tanti piccoli manifesti con il volto dell’ex premier Yulia Tymoshenko dietro delle sbarre squarciate e la frase “Libertà per l’Ucraina!” nella lingua del paese. Il vertice del Ppe, a cui partecipano tutti i principali leader europei della famiglia politica popolare, tra cui il presidente del Pdl Silvio Berlusconi e il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, rende così omaggio alla Tymoshenko in carcere da mesi. In un messaggio su Twitter, all’inizio della riunione, Casini ha ricordato la sedia lasciata vuota nella sala per ricordare la numero uno del Partito della patria ucraino, in prigione per una condanna per abuso d’ufficio da molti ritenuta politicamente motivata. Una tradizione, questa della “sedia vuota”, hanno spiegato dal Ppe, che si ripete dal vertice dei popolari europei tenutosi a Marsiglia lo scorso dicembre, quando era stata invitata a partecipare alla riunione la figlia dell’ex premier, Evgenia.