Giustizia: noi e il digiuno di Marco Pannella… dare vita a una “Lega per l’Amnistia” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 15 marzo 2012 In queste ore il tam tam radicale sta “battendo” la notizia che Marco Pannella si accinge a intraprendere “per ora” un nuovo sciopero della fame, ad oltranza, fino a obiettivo raggiunto; e l’obiettivo, evidentemente, è quello di porre al centro dell’agenda politica la questione della giustizia che non c’è, dell’intollerabile lunghezza dei tempi del processo che procura al nostro paese condanne su condanne da parte delle istituzioni europee, comporta un intasamento dei tribunali e degli uffici giudiziari con magistrati letteralmente affogati tra centinaia e migliaia di fascicoli, una giustizia denegata che ogni anno fa sì che oltre 150 mila processi vadano in prescrizione; e, naturalmente, “l’appendice”, costituita dalla situazione nelle carceri. Una situazione denunciata nel luglio scorso con parole accorate dal presidente della Repubblica; e però quella denuncia non è mai più stata rinnovata, e - cosa più grave - non ha avuto alcun pratico riscontro, che i blandi provvedimenti varati dal governo di Mario Monti e predisposti dal ministro della Giustizia Paola Severino sono l’equivalente di un’aspirina a chi sta per tirare le cuoia per una polmonite. La proposta radicale è di varare un’amnistia, primo e imprescindibile provvedimento per poi avviare finalmente una riforma della giustizia degna di questo nome. C’è chi subito, per ragioni corporative o di belluina e demagogica speculazione politica ha detto “no”, senza però chiarire che cosa si deve e può fare in alternativa; ma soprattutto si finge di non sentire, si nasconde la testa sotto la sabbia; posizione ipocrita e irresponsabile, perché ignorare un problema, rinunciare a governarlo significa solo lasciarlo ulteriormente incancrenire. Ma per tornare all’annunciato sciopero della fame di Pannella. Molte compagne e compagni in queste ore si stanno chiedendo che cosa si può fare a sostegno di questa lotta, di questo obiettivo. Unirsi al digiuno? Lo si vedrà. In passato lo stesso Pannella, quando ne ha ravvisato la necessità, ha chiesto ai cittadini, e soprattutto alla comunità penitenziaria di unirsi a lui con questa forma di lotta, per un giorno, una settimana. Ma forse si può fare anche altro. Non in alternativa, ma complementare. Forse è giunto davvero il tempo come hanno suggerito su “Notizie Radicali” del 2 marzo scorso Marco Del Ciello ed Emiliano Silvestri, di dare vita a una “Lega per l’Amnistia”, nella quale si raccolgano quelle energie, quelle personalità di area o non di area che questa iniziativa la condividono e la ritengono giusta. Un’altra possibilità collaterale potrebbe essere quella di far approvare Ordini del Giorno a consigli comunali e provinciali. Al tempo della battaglia radicale contro lo sterminio per fame nel mondo, tra le altre cose, si riuscì a realizzare una rete di comuni e amministratori che aderirono all’iniziativa. Certo, richiede che chi può e chi sente la battaglia contatti sindaci, presidenti, amministratori, e li “convinca” dell’urgenza, dell’impellenza della cosa. E analogo lavoro si potrebbe fare nelle università: giuristi e professori di materie giuridiche potrebbero così finalmente palesarsi e dare un contributo. Si possono scrivere lettere, e in primo luogo indirizzarle al Quirinale, chiedendo, rispettosamente, al presidente della Repubblica perché non fa uso dello strumento costituzionale del messaggio alle Camere, e porre la questione - da lui stesso posta a luglio - dell’impellente urgenza di provvedere, e fare qualcosa a fronte di una situazione insostenibile e intollerabile. Sono le prime cose che sono venute in mente, mentre questa nota veniva compilata. Non sono, certo, le sole e le uniche cose che si possono fare; altre, pensandoci insieme e proponendocele l’un l’altro, senz’altro verranno; e saranno utili da affiancare a quelle iniziative che metteranno in campo Pannella da una parte e in Parlamento i nostri deputati e senatori. Non è retorica il “se vuoi, puoi; se puoi, devi”. Giustizia: ancora non applicate nuove regole per detenuti ricoverati in reparti ospedalieri Ansa, 15 marzo 2012 L’ex guardasigilli Angelino Alfano aveva assicurato, con una lettera del 5 agosto 2010, che i correttivi introdotti sulla struttura di medicina protetta dell’ospedale Pertini di Roma, dopo il caso di Stefano Cucchi, per la comunicazione tra i medici e i familiari del detenuto ricoverato, sarebbero stati estesi entro breve anche alle altre strutture di medicina penitenziaria. E invece in quasi due anni questo protocollo non è mai stato recepito. Solo all’inizio del mese di marzo 2012 sono state fatte partire dal ministero di Giustizia le lettere per le strutture sanitarie protette. È quanto rende noto la commissione d’inchiesta del Senato sul Ssn. La circostanza è emersa durante l’audizione dell’8 febbraio, pubblicata ora, di Giulio Belcolle, responsabile del reparto di medicina protetta di Belcolle (Vt), in cui la commissione aveva voluto approfondire l’applicazione delle modifiche ai protocolli organizzativi, per garantire una migliore comunicazione tra medici e familiari dei pazienti di questi reparti. Ma Starnini ha fatto sapere che “il protocollo in questione è stato studiato dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e dalle regioni. È la base su cui i provveditorati dell’amministrazione penitenziaria e le varie Regioni dovrebbero poi stendere i protocolli locali, ma ciò non è ancora avvenuto. Il protocollo è ufficiale ma non mi risulta che sia stato recepito a livello regionale e quindi applicato alle realtà di Milano, Napoli, Roma, Viterbo o Palermo”. Tuttavia, ha aggiunto Starnini, “per quanto riguarda le realtà di Milano, Napoli e Viterbo - conclude - il problema dei familiari non si era mai posto in precedenza. Quanto è purtroppo accaduto presso l’ospedale Pertini (con Cucchi ndr) è legato all’inesperienza dei colleghi che ci lavorano”. Giustizia: Ismu; diminuiscono i detenuti stranieri nelle carceri italiane Ansa, 15 marzo 2012 Secondo uno studio della Fondazione Ismu nel corso dell’ultimo anno vi è stata una inversione di tendenza con un calo del 2,5%. Diminuiscono i detenuti stranieri nelle carceri italiane. Secondo una ricerca della Fondazione Ismu, su dati del Ministero della giustizia aggiornati all’inizio di febbraio, i reclusi stranieri erano 24.231, in maggioranza marocchini (20,1%), rumeni (14,8%), tunisini (13,1%) e albanesi (11,6%), di cui il 5% donne, soprattutto rumene (272) e nigeriane (170). Rispetto alla stessa data del 2010 la diminuzione complessiva di detenuti stranieri è stata del 2,6% (del 2,5% tra gli uomini e del 4,7% tra le donne). Passando alle nazionalità la diminuzione maggiore si registra nel collettivo algerino (-17,6%), il quale segna comunque ancora il tasso di carcerazione maggiore con un detenuto ogni circa 35 residenti in Italia. In aumento invece i detenuti rumeni (+3,3%), tunisini (+1,5%) ed egiziani (+9,7%). L’incidenza degli stranieri nelle carceri italiane è scesa leggermente dal 36,8% del 1° febbraio 2011 al 36,2% di poco più di un mese fa. Giustizia: Sappe; il lavoro in carcere rende poco, necessari più sgravi fiscali alle imprese Ansa, 15 marzo 2012 “È necessaria una collaborazione serrata tra enti locali, privati, aziende e penitenziario”. Giovanni Battista Durante del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria interviene sul rapporto stilato dal garante dei detenuti Alberto Gromi che denunciava un numero troppo ridotto di offerte lavorative per i detenuti. “Il problema”, spiega Durante, “è che il lavoro in carcere costa di più e rende meno. Sono pertanto necessari sgravi alle aziende che decidono di investire su un detenuto”. L’Emilia Romagna ha la percentuale più bassa di detenuti lavoratori a livello nazionale, il 18 per cento rispetto al 20 per cento. Una quota bassissima se si tiene presente che in questa percentuale vengono annoverati anche i detenuti che lavorano un paio d’ore al giorno in rotazione. “Ma per rieducare e reintrodurre il detenuto nella società è necessario un percorso costante e coerente”, continua Durante. “C’è un progetto di legge bocciato dalla Commissione Bilancio per mancanza di fondi che prevede supporto economico alle imprese che scelgono di investire sulle strutture carcerarie, la speranza è che questo decreto vada in porto”. Giustizia: Bertoldi (Vis-Pdl); negli Opg situazione indegna di un Paese civile Agenparl, 15 marzo 2012 “La situazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia evidenziata dalla Commissione d’inchiesta speciale del Senato della Repubblica è a dir poco indegna per un Paese civile e occidentale che viene universalmente considerato tale. “Ho visionato oggi i filmati documentari prodotti dalla Commissione del Senato direttamente girati durante una visita non programmata dei Senatori Saccomanno e Marino, devo ammettere di essere rimasto a dir poco basito da quelle che sono le condizioni della persona umana e di coloro che sono rinchiusi in questi veri e propri lager”. “La tutela dei più deboli in una Paese civile deve essere un presupposto essenziale, in questo caso si può benissimo parlare di una palese ed evidente violazione dei diritti umani, anche perché per quasi 1/3 di questi detenuti non ci sarebbero i requisiti psichiatrici e giudiziari per essere rinchiusi.” Inoltre le condizioni nei suddetti ‘lager’ violano chiaramente i diritti basilari sottolineati dalla Carta fondamentale dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione italiana. “Esprimo infine la mia più viva preoccupazione e la speranza che queste strutture vengano al più presto chiuse e tramutate in veri Ospedali utili a curare i nostri veri malati”. Nel merito uniamo alle proteste degli ultimi mesi. È quanto afferma l’on. Bertoldi (Vis-Pdl). Giustizia: dopo sentenza Cassazione, è polemica su arresti domiciliari per stupro gruppo di Antonio Mariozzi Ansa, 15 marzo 2012 Dopo circa otto mesi trascorsi in carcere a Cassino, vanno agli arresti domiciliari i due giovani accusati di aver stuprato, l’anno scorso, una minorenne di Sora, nel Frusinate. La decisione è stata presa dal Tribunale del Riesame di Roma dopo una recente sentenza della Cassazione. La Suprema Corte, lo scorso febbraio, ha stabilito che per le violenze sessuali di gruppo non è obbligatorio ricorrere al carcere ma possono anche essere decise misure cautelari alternative. I due giovani - di 24 e 21 anni residenti a Isola Liri e Sora, in Ciociaria - erano stati arrestati dopo la denuncia di una minorenne di Sora, che li aveva accusati di violenza sessuale. Lo stupro, secondo le indagini della polizia, sarebbe avvenuto nella notte tra il 23 e il 24 giugno dello scorso anno. La ragazzina aveva trascorso qualche ora in un pub di Sora e mentre stava tornando a piedi a casa (era in compagnia della sorella maggiorenne che aveva proseguito da sola), non molto distante dal locale, era stata avvicinata dai due giovani che l’avevano fatta salire sulla loro vettura. Invece di accompagnarla a casa, sempre secondo le accuse, i giovani si sarebbero però diretti su una stradina nelle campagne di Sora, dove la minorenne sarebbe stata violentata a turno. Gli arrestati - difesi dagli avvocati Lucio Marziale, Nicola Ottaviani, Mariangela Di Passio e Giuseppe Di Mascio - hanno sempre negato ogni addebito, sostenendo invece che la ragazzina fosse consenziente. Il tribunale del Riesame di Cassino aveva confermato il carcere per i due giovani. Dopo un ricorso degli avvocati difensori, il Riesame di Roma ha rivalutato la vicenda alla luce del nuovo principio della Corte di Cassazione, decidendo di concedere gli arresti domiciliare ai due ventenni accusati di violenza sessuale di gruppo. L’applicazione della sentenza della Cassazione ha innescato una polemica sulle scarcerazioni facili per chi è accusato di stupro. “Ecco i risultati di quella scellerata sentenza!”, tuona la senatrice della Lega Nord, Angela Maraventano. Mentre la deputata del Pd Barbara Pollastrini, parla di “arretramento grave sul diritto alla giustizia delle donne”. E Teresa Bellanova, deputata del Pd, aggiunge: “le donne sono sempre sole di fronte alla violenza”. “La speranza - commenta l’avv. Giuseppe Di Mascio - è che questa decisione dei concedere gli arresti domiciliari non scateni un altro massacro mediatico di due giovani, che sono innocenti fino a prova contraria. Siamo in attesa di conoscere le motivazione e non è da escludere anche un esito del quadro indiziario. La decisione del Riesame non è solo un mero recepimento, ma una valutazione che coinvolge anche il merito della vicenda”. Quella sentenza “estensiva” che rende possibili misure alternative La decisione del Tribunale del riesame di Roma di concedere gli arresti domiciliari a due giovani accusati di “violenza sessuale di gruppo” ai danni di una ragazzina del frusinate è figlia di una sentenza, largamente criticata, dello scorso febbraio della terza sezione penale della Cassazione, che ha dato un’ interpretazione estensiva alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale. A partire dal 2009, con l’approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale - nata sulla base di un diffuso allarme sociale legato alla recrudescenza di episodi di aggressioni alle donne - non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze particolari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza. La Corte Costituzionale, nell’estate del 2010, ha ritenuto la norma relativa alla violenza sessuale compiuta da una sola persona in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto sì alle alternative al carcere “nell’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure”. Nel febbraio scorso, la terza sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.4377/12) - proprio occupandosi della vicenda dei due giovani accusati dello stupro di gruppo ai danni della ragazzina del frusinate - ha stabilito che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale compiuti da una singola persona e atti sessuali su minorenni sono in toto applicabili anche alla “violenza sessuale di gruppo” (art. 609 octies codice penale), dal momento che quest’ultimo reato presenta caratteristiche essenziali non difformi da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. “Unica interpretazione compatibile” con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale - ha concluso la Cassazione - “è quella che estende la possibilità per il giudice di applicare misure diverse dalla custodia carceraria anche agli indagati sottoposti a misura cautelare” per il reato di violenza sessuale di gruppo. Alla luce di questa decisione, il Tribunale del riesame di Roma, investito dalla stessa Cassazione, ha ora ritenuto di poter concedere i domiciliari ai due giovani accusati dello stupro di gruppo ai danni della ragazzina del frusinate. Giustizia: Uil-Pa; pronti a marciare verso Ministero del Lavoro, contro decreto “salva Italia” Tm News, 15 marzo 2012 “Non escludo che tra qualche minuto si possa decidere per un corteo dei manifestanti diretto verso il Ministero del Lavoro. Benché coscienti che il corteo non è autorizzato siamo pronti e determinati a forzare i blocchi anche se ciò vorrà dire mettere in difficoltà, se non di contrapporci, i colleghi comandati al servizio di ordine pubblico”. Lo dice in una nota Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, che insieme agli altri sindacati del comparto sicurezza sta manifestando a Roma in Via XX Settembre contro la bozza di regolamento delle modalità di accesso alla pensione prevista nel decreto “salva Italia” per il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico. “Nonostante gli innumerevoli inviti, le sollecitazioni e le intermediazioni - spiega Sarno - prendiamo atto che, dopo oltre tre ore di manifestazione, il ministro Fornero continua ad osservare un assordante silenzio rispetto alla richiesta di incontro fattagli pervenire dai manifestanti. Riteniamo questo silenzio offensivo, oltre che intollerabile ancor più perché si intende negare ciò che è stato accordato solo qualche giorno fa ad una delegazione dell’aerea antagonista”. “Ogni responsabilità di ciò che potrebbe accadere, evidentemente, non potrà essere addossata a chi, pacificamente e responsabilmente porta in pazza il disagio, la rabbia la frustrazione e la difesa dei diritti di lavoratori che sono stanchi e stremati e non possono tollerare oltre l’indifferenza della classe politica”, conclude il sindacalista. Giustizia: periti escludono demenza, Bernardo Provenzano “capace di intendere” Ansa, 15 marzo 2012 Nonostante sia gravemente malato, il boss Bernardo Provenzano “può partecipare coscientemente al processo e difendersi utilmente”. Lo sostengono i consulenti incaricati dalla corte d’assise d’appello di Palermo di chiarire se il padrino di Corleone sia capace di intendere e di volere. Accertamento sollecitato ai giudici dal difensore del boss, Rosalba Di Gregorio, che ha più volte denunciato le gravissime condizioni fisiche e mentali del suo cliente. I due medici - Iaccarino e Crisci - hanno escluso, dunque, che sussista l’infermità che per il codice di procedura penale pregiudica la cosciente partecipazione al processo del capomafia, imputato in appello dell’omicidio di Ignazio Panepinto, ucciso durante la guerra di mafia degli anni 80. Sulla lucidità del boss i due periti - un neurologo e uno psichiatra - non hanno dubbi, ma che Provenzano sia molto malato si evince anche dalla relazione depositata alla corte: oltre a un inizio di Parkinson e un’encefalite destinata a peggiorare, il capomafia, detenuto al 41 bis a Parma, avrebbe problemi al colon. Tanto che il carcere sollecita da mesi l’effettuazione di una colonscopia che all’interno dell’istituto di pena non può essere fatta e che, per problemi di sicurezza legati al trasferimento all’esterno del paziente, è difficilissimo fare fuori. All’istanza il legale ha allegato le lettere ricevute dal suo cliente: “sono sconnesse, dimostrano la sua difficoltà a capire e seguire cosa gli si dice”, commenta. Dal carcere, inoltre, si chiede a un neurologo di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane che non sarebbe più in grado di assolvere. Un quadro grave, dunque, sul quale l’avvocato sentirà i periti che il 30 marzo compariranno davanti alla corte d’assise d’appello per illustrare la loro relazione. Sonia Alfano: Provenzano sta bene e il figlio la smetta “Ancora una volta siamo costretti ad ascoltare il figlio del sanguinario boss Bernardo Provenzano che continua a invocare umanità per il padre detenuto in regime di 41 bis. Mi trovo costretta a ribadire quanto già espresso mesi fa: ho fatto visita a Provenzano in carcere, mi è parso in buona salute e lui stesso mi ha detto che non gli manca nulla”. Lo dice l’eurodeputato e responsabile nazionale del dipartimento Antimafia di Idv, Sonia Alfano. “Per cui - aggiunge - il figlio smetta di auspicarne la scarcerazione: è condannato all’ergastolo per le crudeltà di cui è stato capace e dovrà scontare la sua pena fino all’ultimo giorno. Sono certa che il Servizio Pubblico, che oggi intervista il figlio del più crudele capomafia, presto darà spazio, come fatto in passato, anche ai figli delle vittime innocenti di Provenzano o dei suoi sodali. Per esempio sarebbe bello poter sentire una testimonianza di Milly Giaccone, figlia del prof. Giaccone, ucciso per non aver ceduto al ricatto dei mafiosi che gli chiedevano di falsificare una perizia calligrafica”. “Milly Giaccone - conclude - aveva soltanto 23 anni quando vide suo padre morto tra i viali alberati del Policlinico, a Palermo”. Giustizia: caso Parmalat; legali Tanzi “in ospedale sembra spaventapasseri” Ansa, 15 marzo 2012 “Sembra uno spaventapasseri con degli abiti di risulta addosso. È una situazione veramente drammatica”. Calisto Tanzi è stato descritto così dall’avvocato Gian Piero Biancolella che gli ha fatto visita nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma dove l’ex patron della Parmalat è in cura da alcuni giorni. “Le sue parole? All’inizio sono state delle lacrime perché è persona che si commuove - ha aggiunto l’avvocato Fabio Belloni, anche lui in visita - Tanzi è preoccupato per la sua famiglia, è preoccupato per lo stato di salute della moglie e, ovviamente, è preoccupato anche per il proprio stato di salute perché in realtà dopo nove giorni di trattamenti ha ulteriormente perso peso”. La visita è arrivata all’indomani della decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna di chiedere ulteriori documenti per esprimersi sulla richiesta di scarcerazione avanzata dai legali di Tanzi. “Confidiamo - ha concluso Biancolella - che il provvedimento di ieri sia un primo passo avanti perché venga accertato in che modo Calisto Tanzi dovrà scontare la sua pena”. Intanto il 26 marzo nuova udienza a Bologna per il processo di appello del crac Parmalat. Calisto Tanzi ha già espresso il desiderio di essere presente se le sue condizioni di salute lo consentiranno. Giustizia: sul regime di 41-bis un vuoto di memoria di Gennaro Malgieri Il Tempo, 15 marzo 2012 Non ci sta a passare per capro espiatorio. Rifiuta categoricamente le ricostruzioni proposte dagli ex-ministri della Giustizia Claudio Martelli e Giovanni Conso. Rabbrividisce di fronte all’accusa, che respinge ai mittenti, di essere stato lo “stratega” dell’abrogazione del 41-bis dell’ordinamento penitenziario che prevedeva il carcere duro per i mafiosi. E respinge il coinvolgimento nella presunta trattativa tra Stato e “uomini d’onore” che sarebbe stata perfezionata tra il 1992 ed 1994, anni segnati dalle stragi in cui persero la vita, tra gli altri, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si difende e contrattacca, Nicolò Amato, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria fino al 4 giugno 1993 quando, dopo undici anni, senza una convincente motivazione, venne dimissionato da Conso. Adesso, chiamato in causa da coloro ai quali rispondeva istituzionalmente, negala tendenza attribuitagli ad “ammorbidire” le disposizioni carcerarie per i mafiosi e ricorda la sua intransigenza con un libro destinato a far discutere il cui titolo è la sintesi di una tragedia collettiva e di un tormento personale: 1 giorni del dolore, la notte della ragione (Armando editore). Amato nega di essere stato a conoscenza delle presunte trattative. “Se qualcuno mi avesse detto - scrive - o io avessi visto, sentito, saputo, o anche solo sospettato qualcosa di un tale criminoso e ripugnante dialogo, lo avrei immediatamente reso pubblico e denunciato, facendo al contempo quanto era nelle mie possibilità per stroncarlo”. E del resto, come avrebbe potuto un funzionario, per quanto di alto rango, intessere una trama come quella che viene vagheggiata, all’insaputa dei suoi superiori, e cioè dei ministri? Amato sostiene che soltanto un pazzo potrebbe immaginare di avere un ruolo in un negoziato in cui dovrebbe interloquire con i boss mafiosi in nome e per conto dello Stato all’insaputa di chi lo rappresenta. Una tesi che non sta in piedi. E per demolirla offre numerose prove, a cominciare da quelle comunicazioni del presidente dell’antimafia Beppe Pisanu nelle quali si conclude che la strage di Capaci sia stata attuata per ragioni diverse dalla presunta trattativa: un punto sul quale i sostenitori del criminoso intreccio indugiano con maniacale sperpero di congetture. Amato, che nella sua lunga attività ha svolto tra l’altro le funzioni di pm nel processo Moro e si è battuto contro il “partito della trattativa” con le Br, proponeva piuttosto di “modernizzare” il 41 bis con una legge che prevedesse l’obbligatorietà del controllo audio e della registrazione dei colloqui dei detenuti per impedire che comunicassero con l’esterno. Un provvedimento respinto sulle prime che poi vide attuazione nove anni dopo la sua formulazione. Per di più l’allora direttore del Dap, cercò di evitare quello che oggi chiama “turismo giudiziario” da un tribunale all’altro dei mafiosi per ridurre al minimo i contatti e stabilire un sistema di videoconferenze. Neppure in questo venne assecondato. E il suo ministro Martelli non volle saperne di relegare cinquemila detenuti legati alla criminalità organizzata in 121 carceri speciali applicando così, nella maniera più dura, il dettato proprio del 41 bis, così come oggi dimentica che la lista dei cinquanta mafiosi detenuti all’Ucciardone e trasferiti a Pianosa dopo l’assassinio di Borsellino fu stilata proprio da Amato. Nell’ampia ricostruzione l’ex-direttore del Dap aggiunge documenti che gettano nuova luce sulla vicenda. Per esempio una lettera di familiari di mafiosi, pervenuta il 17 febbraio 1993 al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nella quale, con toni minacciosi ci si riferiva agli “squadristi al servizio del dittatore Amato” e si rivendicava “dignità di detenuti ai detenuti”: una dura contestazione del carcere duro che l’alto funzionario, dunque, garantiva con fermezza. Di questa lettera non si è mai parlato. E stupisce che il suo “recupero” sia avvenuto circa vent’anni dopo. In un Paese civile, osserva Amato, “sarebbe stata portata immediatamente a conoscenza del capo del Dap, unico, per legge, competente a decidere direttamente o a proporre al ministro della giustizia la politica penitenziaria di cui il 41 bis era allora parte fondamentale”. Come mai questo “buco” nella memoria istituzionale? Perché venne sottovalutato un atto inviato alla massima autorità dello Stato? Il memoriale di Amato aiuta a dare risposte a questi interrogativi oltre a farci comprendere come in ragione della propria indipendenza un funzionario dello Stato venne emarginato nel momento del dispiegamento maggiore della criminale potenza della mafia. Campania: la Crvg presenta il “Rapporto carcere 2011”; la detenzione è simbolo di inciviltà Il Ciriaco, 15 marzo 2012 La Conferenza regionale volontariato e giustizia Campania ha presentato oggi il Rapporto 2011 sullo stato delle carceri italiane. I numeri confermano lo stato di emergenza in cui versano gli istituti di detenzione con i detenuti che sono costretti a scontare la propria pena in ambienti sovraffollati. Al centro della conferenza, però, c’è stato il tema della funzione rieducativa che dovrebbe svolgere il carcere, invece si tratta di un luogo esclusivamente punitivo che, oltre a non favorire il reinserimento del detenuto nella società, non fa altro che emarginarlo ulteriormente alimentando la criminalità. In carcere, secondo gli organizzatori della Conferenza, dovrebbe essere portata avanti la cosiddetta funzione riparativa della pena ovvero far capire ai detenuti che, oltre a scontare la pena, devono far di tutto per riparare il danno. In questo subentra il lavoro svolto dai volontari. In un sistema carcerario definito come la “vergogna per una società civile”, i volontari devono riuscire a migliorare la condizione esistenziale dei detenuti. “I carcerati entrano colpevoli di un reato, ma escono vittime di un altro reato: a loro viene negata l’esistenza”, in sostanza è questa l’accusa mossa verso un sistema di detenzione volto a togliere tutto al detenuto. “Nel momento in cui un uomo viene privato dei propri affetti, quest’uomo si incattivisce e non può che uscire peggiorato dal carcere”. I volontari che operano negli istituti, quindi, hanno il dovere di sopperire a queste disfunzioni del sistema facendo in modo che i detenuti li percepiscano come parte non integrante del carcere. Devono mettersi dalla parte dei detenuti e non dei carcerieri soprattutto alla luce del fatto che chi finisce in cella non è altro che la vittima di un sistema sociale che non funziona. I numeri presenti nel rapporto carcere 2011 dicono che oltre il 90% dei detenuti sono tossicodipendenti, migranti e poveri. Solo una piccolissima parte, quindi, ha commesso reati collegati alla criminalità organizzata. Il rapporto vuole in sostanza essere una provocazione verso la società italiana che si preoccupa sempre meno delle persone con maggiori difficoltà, preferendo imboccare la strada più sicura, anche da un punto di vista mediatico, che è quella dell’incarcerazione, col rischio calcolato dagli analisti di produrre maggiore criminalità. Lo spiega bene la dott.ssa Annamaria De Gruttola citando uno studio dell’Università di Torino in cui si evince che la percentuale di recidiva tende a diminuire di molto in presenza di detenuti a cui è stato offerto un percorso di riabilitazione. Il percorso da seguire per migliorare il sistema carcerario italiano è dunque quello di “tenere in carcere quante meno persone è possibile garantendo loro il reinserimento e facendoli lavorare sul territorio”. L’Assessore Sergio Barbaro: il carcere è punto di arrivo del fallimento della società Intervenuto al margine della Conferenza regionale volontariato e giustizia Campania, l’assessore Sergio Barbaro ha affrontato la questione carceri in Italia. “Mi rendo conto che quando si parla di abolire il carcere, non si fa altro che lanciare una provocazione, però una cosa è evidente: il carcere è il punto di arrivo di quanto non ha funzionato prima. Noi viviamo in un sistema che non produce cultura, benessere e aiuti a chi ne ha bisogno. Se non rimuoviamo le cause che hanno portato qualcuno a commettere un reato e finire in prigione, il problema non si risolverà e gli istituti di detenzione non basteranno mai. Il carcere, quindi, è il punto di arrivo di un fallimento che, più che essere personale, rappresenta il fallimento della società”. Chi ha commesso un reato, oltre a scontare giustamente una pena deve essere anche messo in grado di poter ritornare a una vita condotta nel rispetto della legalità: “Partendo dalla convinzione che non tutti i reati e i detenuti sono uguali - spiega Barbaro - è fondamentale individuare dei percorsi di recupero per loro. Attualmente la detenzione è una punizione che non offre recupero anzi tende a peggiorare la condizione esistenziale delle persone. Il reinserimento deve nascere già dentro le carceri”. In merito a quest’ultimo aspetto l’assessore Barbaro annuncia che il Comune di Avellino ha già cominciato a muoversi in questa direzione: “Stiamo sottoscrivendo una convenzione con il Tribunale per avere in carico qualche detenuto che verrebbe a svolgere delle mansioni all’interno del Comune. Certo si tratterà di un numero molto limitato, ma conferma la volontà del Comune di muoversi in direzione del reinserimento dei detenuti considerando questa l’unica strada percorribile”. Genova: detenuto muore soffocato a Marassi Secondo la ricostruzione della polizia penitenziaria, il quarantenne sarebbe morto mangiando dei bocconi di carne. Inutili i tentativi di rianimarlo da parte del personale del 118 intervenuto in via del Piano. Tragedia nel carcere di Marassi a Genova. Un detenuto di circa quarant'anni è morto soffocato da un boccone di carne mentre stava pranzando. L'incidente è avvenuto all'interno della casa circondariale di via del Piano nel pomeriggio di oggi, giovedì 15 marzo 2012. È stata la polizia penitenziaria a ricostruire la dinamica dell'episodio. Per oltre un'ora, il personale del 118 intervenuto sul posto ha tentato di rianimare l'uomo inutilmente. La salma è stata trasferita all'istituto di medicina legale del San Martino a disposizione del pubblico ministero di turno Vittorio Ranieri Miniati per eventuali accertamenti. Bologna: rapporto Ausl; affollamento record alla Dozza, dossier verso Procura Dire, 15 marzo 2012 Mai così tanti detenuti all’interno del carcere di Bologna: 1.071 (701 le donne e 633 gli stranieri), a fronte di una capacità ricettiva di 483 posti. Sono i dati che emergono dal rapporto semestrale che l’Ausl di Bologna ha trasmesso alle autorità competenti, lo scorso 30 gennaio, sulla base di un’ispezione svolta alla Dozza il 30 dicembre 2011. A diffonderne i risultati, assicurando che quello delle presenze complessive è il “picco” più alto di sempre, è il circolo Chico Mendes che, in collaborazione con l’Istituto di ricerca medico-sociale Lorusso, ha stilato un dossier pronto per essere inviato anche alla Procura di Bologna. Già lo scorso 27 febbraio, in realtà, il record era stato di nuovo superato: dopo una visita alla Dozza, infatti, gli avvocati penalisti parlarono di 1.083 detenuti presenti. L’impostazione del monitoraggio che le istituzioni fanno delle carceri è “ottocentesca”, lamenta il portavoce del circolo, Vito Totire, oggi in conferenza stampa: una volta escluso il pericolo di “focolai epidemici”, non c’è alcuna attenzione verso le sofferenze patite dai detenuti. Anche dal punto di vista immediatamente sanitario, però, non mancano le preoccupazioni visto che nel rapporto dell’Ausl si parla di otto casi sospetti di tubercolosi e di un caso sospetto di scabbia. Poi c’è l’affollamento, “inaccettabile” per Totire: i numeri confermano che i penitenziari “sono sempre meno uno strumento di lotta al crimine e sempre più luoghi di internamento dei poveri”. Dunque bisognerebbe “demolire” la Dozza, azzarda Totire, “non simbolicamente ma con le ruspe”. In pratica, alla struttura serve una “ristrutturazione corposa” che ad esempio preveda un refettorio per ogni raggio, per evitare che si cucini e mangi a pochi passi dai bagni, nonché spazi ad hoc per tutelare anche chi nel carcere lavora dal fumo passivo. Del resto, “dopo la visita di una qualunque autorità sanitaria con autonomia di pensiero ed azione- assicura Totire - la Dozza verrebbe immediatamente chiusa”. Questo perché la struttura “non risponde ai criteri minimi di igiene e sicurezza”, continua il portavoce del circolo Mendes, con “gravi rischi igienico-sanitari e psico-relazionali”. All’Ausl bisognerebbe concedere “effettivi poteri ispettivi” e sanzionatori, sottolinea Totire, mentre oggi “le visite dei rappresentanti istituzionali si limitano a fotografare l’esistente, lanciare grida manzoniane e poi non cambiare nulla”. Totire, inoltre, si appella anche ai sindacati del personale penitenziario: devono chiedere che anche i lavoratori “vengano posti sotto la tutela dell’Ausl” e non dell’attuale organismo che se ne occupa, un ente “sconosciuto ai più” e che fa capo allo stesso ministero della Giustizia, così “il controllore coincide con il controllato”. Sul tema dei suicidi, poi, Totire segnala che alla Dozza non esiste (poiché lo spazio è usato per la detenzione) il “polo di accoglienza” destinato ad accogliere i nuovi detenuti, cioè “quelli più a rischio”. I detenuti a cui è concesso di lavorare, infine, sono pochi (“dal 5% al 10%) e non possono eleggere un rappresentante per la sicurezza. Nel rapporto dell’Ausl, comunque, si segnalano alcuni miglioramenti rispetto al passato. Nella cucina della sezione femminile, ad esempio, “sono state rimosse le carenze più volte segnalate”, recita il documento, tinteggiando le pareti e sostituendo gli arredi danneggiati. Oppure “permane il miglioramento delle condizioni igieniche generali - continua il rapporto - dei cortili e delle aree esterne sottostanti le celle”, in particolare grazie ai provvedimenti adottati per allontanare i piccioni (anche se una “piccola colonia” resiste). Il dossier del circolo Mendes, poi, si sofferma anche sul carcere minorile del Pratello. Qui il rapporto dell’Ausl segnala la presenza di 24 persone su 24 posti attivi ed una capacità ricettiva che sarebbe di 44 unità: 16 detenuti sono stranieri e non ci sono donne. Sulla situazione del Pratello, Totire riferisce di due casi accertati di tubercolosi e rileva, in particolare, che il monitoraggio dell’Ausl “non ha rilevato nulla sugli episodi di abuso e bullismo” emersi di recente: al contrario, occorre cominciare a “ragionare nell’ottica di un’osservazione sistemica e che misuri anche il disagio individuale”. Un altro capitolo del dossier riguarda invece il Cie di via Mattei. “Ancora una volta il rapporto dell’Ausl lo esclude e di questo continuiamo a chiedere conto all’Ausl stessa e alla Regione”, manda a dire Totire: il Cie “è un carcere più carcere del carcere, ma questa identità viene ancora negata”. Inoltre, “anche gli ergastolani o i sottoposti al 41bis possono nominare un medico di fiducia- sottolinea Totire- mentre chi è detenuto al Cie no, è una situazione intollerabile”. Anche rispetto alla struttura di via Mattei, poi, Totire si chiede “chi tuteli dal punto di vista istituzionale gli operatori che lavorano all’interno”. Prendendo spunto dai recenti casi di overdose, invece, il portavoce del circolo Mendes afferma: “Siamo sicuri che se queste persone avessero avuto un altro tipo di supporto psicologico e medico, per loro non ci sarebbe potuto essere un epilogo diverso?”. Totire, infine, invita a prestare attenzione al decreto “svuota carceri” e l’impatto sugli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg): la Regione deve presto convocare “una conferenza pubblica e poi un gruppo di lavoro- è l’appello- sulla dismissione degli Opg e la costruzione di valide alternative”. Busto Arsizio: l’emergenza continua anche dopo il decreto Severino, fuori solo 4 detenuti su 40 Varese News, 15 marzo 2012 Il cosiddetto “svuota-carceri” non è servito in via per Cassano che resta sovraffollato. Il direttore Sorrentino: “Su 40 aventi diritto solo 4 sono usciti”. Tantissimi stranieri, troppi tossicodipendenti: “Serve depenalizzazione droghe”. Orazio Sorrentino è l’ex-vicedirettore del carcere di Opera. Lì stanno rinchiusi in regime di 41 bis personaggi come Francesco Schiavone, Totò Riina, Giuseppe Setola; insomma i boss più sanguinari e temuti degli ultimi 30 anni. Da luglio dell’anno scorso Sorrentino si ritrova a dirigere una realtà carceraria molto diversa, quella della casa circondariale di via Cassano 102 a Busto Arsizio: “Quando sono arrivato ho trovato una situazione al limite della sopportazione - racconta - una struttura da 167 posti che però si ritrovava a contenere 455 detenuti, punta massima mai raggiunta prima”. Una situazione talmente critica che fu costretto a mandare una lettera a Procura, Tribunale e presidi dell’ordine pubblico perché il carcere non poteva più accettare un solo detenuto in più: “Mi ritrovai in una situazione dalla quale l’unica via d’uscita era fermare il flusso di persone in entrata”. Oggi la situazione è ancora critica ma sicuramente migliore rispetto a qualche mese fa: “Siamo a quota 397, da tempo non si scendeva sotto la soglia dei 400”. Attualmente è il secondo carcere più affollato d’Italia. Sorrentino sorride quando gli viene chiesto se la diminuzione è avvenuta per effetto del decreto svuota-carceri: “Solo in minima parte - spiega - per effetto di quel decreto i detenuti che ne potevano beneficiare erano 40 ma solo 4 di questi sono usciti per scontare gli ultimi 18 mesi ai domiciliari. Gli altri 36 sono stranieri che un domicilio non ce l’hanno e quindi restano qui”. A far diminuire un po’ il numero eccessivo di carcerati è stata la riduzione dei tempi per la convalida dell’arresto scesi da 48+48 ore a sole 48 ore: “Questa modifica alla normativa ha permesso di far entrare meno persone in carcere, soprattutto quelle che poi sarebbero uscite dopo soli due giorni - spiega Sorrentino - in buona sostanza anche le forze dell’ordine arrestano meno persone e fanno più denunce a piede libero”. Se questo è un bene o un male per la società non spetta al direttore dirlo ma l’effetto positivo nella struttura c’è stato eccome: “Basti pensare a quanto lavoro in meno devono fare all’ufficio di immatricolazione dei detenuti”. Sorrentino ha ben presente le due soluzioni per risolvere buona parte del problema del sovraffollamento del sistema carcerario, senza costruirne di nuovi ma toccano temi molto delicati e sui quali in Italia si fa una gran fatica anche solo a dibattere: “Le due vere soluzioni sono: una legge che depenalizzi l’uso delle droghe (di fatto sparirebbe lo spaccio al dettaglio e anche le grandi organizzazioni criminali subirebbero un grande colpo, ndr) e il superamento del reato di clandestinità”. Il 30% dei detenuti nella casa circondariale bustocca è dentro per reati legati al traffico e allo spaccio di stupefacenti e buona parte di queste persone è dentro per piccolo spaccio. Solo questi numeri fanno capire la pesantezza sul totale dei detenuti di questo tipo di carcerati. Un problema strettamente legato anche al problema della tossicodipendenza tra i detenuti stessi, una questione difficile da risolvere “tanto che a Busto abbiamo dovuto creare un’area a parte per loro”. Solo qualche mese fa uno di loro è morto dopo aver inalato troppo gas da un fornellino. L’altro problema è l’alta percentuale di stranieri anche a causa dell’aeroporto di Malpensa: “I detenuti per reati commessi all’aeroporto rappresentano il 15% del totale, sono quasi tutti ovulatori e stranieri”. Infine Sorrentino fa presente anche l’alto numero di detenuti cosiddetti definitivi, ovvero che hanno ricevuto una condanna definitiva e che dovrebbero stare in altre strutture: “In una casa circondariale dovrebbero stare solo detenuti in attesa di giudizio mentre qui ne abbiamo 150 che, teoricamente dovrebbero stare in altre strutture”. Oltre a tutti questi problemi, infine, il direttore deve fare i conti con il sottodimensionamento del numero di agenti di Polizia Penitenziaria anche se, fortunatamente, di recente ne sono stati assegnati per concorso altri 17: “Siamo ancora al di sotto del numero previsto in pianta organica ma la situazione è migliorata”. Verona: la Garante dei detenuti in Consiglio comunale per la relazione sull’attività svolta L’Arena, 15 marzo 2012 Verona. Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona, Margherita Forestan, ha illustrato questo pomeriggio al Consiglio comunale la relazione sull’attività svolta lo scorso anno. “Se il 2010 è stato l’anno d’inizio del mio mandato, in cui si è reso necessario chiedere alla comunità politica e finanziaria veronese un rapido intervento sulle emergenze - ha detto la Garante - il 2011 mi ha consentito di raccogliere i frutti di una programmazione che ha coinvolto molti attori e si è concretizzata in azioni diversificate, all’interno e all’esterno del carcere. Con il sostegno dell’amministrazione comunale - ha spiegato - sono stati attivati diversi servizi tra cui “Sportello Dentro”, uno sportello polifunzionale all’interno del carcere dove le persone detenute e il personale di servizio possono presentare istanze e istruire procedimenti e pratiche amministrative; il corso di mediazione culturale, per acquisire una maggiore capacità di gestione delle diversità culturali; il corso di informatica, volto a migliorare l’efficienza della direzione e del personale della Polizia Penitenziaria; l’operazione per contrastare l’infestazione di piccioni ed assicurare maggior igiene nei cortili”. Tra le attività culturali: le visite alla Basilica di Santa Anastasia, al Museo di Castelvecchio, alle mostre “Chagall. Un mondo sottosopra” e “Henri Cartier - Bresson Photographe” e le rassegne dedicate alla musica, al teatro e alla letteratura. “Un’importante novità - ha sottolineato la Garante - è stato l’avvio del “Progetto Esodo”, nato per preparare e sostenere detenuti ed ex detenuti nel difficile percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Finanziato dalla Fondazione Cariverona, ha permesso la costruzione all’interno del carcere di un panificio e di un capannone per i lavori di saldatura e l’attivazione di corsi di panificazione, saldatura, edilizia, pasticceria, sartoria, cucina e agraria, che hanno coinvolto un totale di oltre cento persone nel periodo giugno-dicembre 2011. Infine, grazie alla donazione della onlus Biondani-Ravetta, è stato realizzato il nuovo ingresso alla Casa Circondariale con un’area ludica per i bambini, che fa del carcere di Montorio un vero modello”. “Restano comunque molti i problemi da affrontare - ha ricordato Forestan - uno su tutti il sovraffollamento, che non si risolve neppure con l’ultimo decreto Severino, definito con un linguaggio intollerabile “svuota carceri”. A Verona, nel corso del 2011, sono state solo 50 le persone che ne hanno usufruito”. “Il 2012 offre altre sfide - ha concluso la Garante - è mio desiderio poterle affrontare e raccontare, mai dimenticando che il carcere è un cantiere infinito”. Lucca: don Giuseppe Giordano, cappellano del carcere, racconta il mondo dei “rinchiusi” di Brunella Menchini www.loschermo.it, 15 marzo 2012 Il carcere di Lucca torna alla ribalta della cronaca a scadenze regolari per incidenti più o meno gravi: per qualche giorno si rincorrono gli appelli contro il sovraffollamento, annunci semiseri di costruzioni imminenti di nuovi istituti, visite dei politici. Poi più niente. Giuseppe Giordano, da tre anni cappellano del carcere, ci accompagna in un viaggio immaginario attraverso le celle con esempi singoli e storie di detenuti mostrandoci la reclusione attraverso gli occhi di chi la subisce. Un ragionare umano, mai retorico e di non semplice divulgazione perché non fa leva sull’istinto che impone di rispondere a chi delinque con la stessa moneta. Uno sguardo attento e pratico dentro una realtà che tanto spesso, nel parlare comune, assolve la funzione dell’angolo del tappeto sotto cui nascondere la spazzatura. Qual è il primo problema del carcere di Lucca? “I problemi grossi sono due, lo spazio ed il lavoro”. Partiamo dallo spazio… “Il carcere di San Giorgio è sovraffollato. Ospita circa il doppio delle persone che potrebbe contenere. E non crediamo ai bei discorsi che si sentono che la popolazione carceraria è composta in massima parte da extracomunitari, gli italiani non sono in numero minore. Un quarto circa dei detenuti, poi, sono in attesa di giudizio. È noto che l’edificio era in origine un antico convento di suore dominicane. È una struttura che risale al ‘600. La parte vecchia del convento è migliore perché ha celle piccole ma grandi corridoi, mentre la parte ricavata dagli altri edifici, la così detta terza sezione è in condizioni pessime. Le sezioni sono tre: in prima e in seconda sezione, essendo un carcere a custodia attenuata, c’è la possibilità di chiudere i corridoi e lasciare aperte le celle, questo è un bene perché esiste un minimo di socializzazione, cosa che non sarebbe possibile in un istituto di nuova costruzione”. Quindi non c’è bisogno di un nuovo carcere a Lucca? “Un carcere nuovo è una bella cosa soprattutto per chi lo fa e per chi lo commissiona, per tutto il giro di soldi che c’è dietro. Sicuramente non per i detenuti. I nuovi carceri vengono costruiti con criteri che non sono più legati al territorio quindi ospitano detenuti di qualsiasi genere. La struttura è modulo, con diversi bracci, ogni braccio una sezione: sezione massima sicurezza, sezione pedofili, sezione con tipologie particolarissime di reato. Tanti carceri in uno, ognuno con le proprie caratteristiche. Le stessa guardie che vanno da uno all’atro settore, non hanno mai un target di contatto con le persone e quindi incupiscono e induriscono con tutti. Tutti i bracci, poi, convergono in una piazzola dove c’è una guardia in un gabbiotto di vetro anti proiettile che monitorizza corridoi e celle con le videocamere. C’è un enorme perdita di rapporti umani. Una totale disumanizzazione. È una cosa abbastanza triste: con meno spesa si potrebbero migliorare le strutture vecchie senza perderne i pregi. Non dimentichiamoci poi che la casa circondariale di San Giorgio era nata per le esigenze del territorio, destinata, quindi, ad ospitare gli autori di reati così detti minori. Questo non sarebbe valido per un nuovo carcere, che verrebbe ad accogliere malviventi di ogni genere, con tutto quello che ne consegue. Non so quanto questa cosa possa piacere ai lucchesi”. Il secondo problema, dicevamo, è il lavoro… “Si, manca il lavoro. Il carcere ha due direttive, una è la sorveglianza e l’altra è il trattamento e dovrebbero camminare insieme almeno finché parliamo della detenzione non come vendetta ma come un tentativo di riabilitazione. Ma come si fa a riabilitare se non si fa lavorare? Il carcere, come ogni altro edificio, è caduto sotto l’egida di gente che è venuta a fare i controlli ed ha esercitato, secondo la legge, il proprio potere. È stata chiusa la parte femminile, per le finestre non a norma (parte tutt’ora completamente vuota perché non hanno mai avuto i soldi per restaurarla), poi è toccato ai vari laboratori. Una volta c’era la falegnameria, l’officina, tante cose. Poi lì mancava l’altezza, là mancava l’areazione e sono stati tutti chiusi dalle Asl o dall’ispettorato del lavoro”. Com’è la giornata media di un detenuto? “Il tempo è scandito dai pasti: intorno alle 8 passa la colazione, alle 9 c’è l’ora d’aria su due turni, fino alle 11. Alle 11 c’è la conta e si chiudono le sezioni. Le celle rimangono poi aperte per il mangiare fino alle 3. Poi dalle 3 alle 5 le due turnazioni d’aria e infine, la cena. Il momento di lavoro si collocherebbe nel pomeriggio. Ci sono tante possibilità anche lavori minimi: una volta impagliavano le sedie. Adesso non c’è un’attività”. Droga? “C’è il Sert interno. Tutte le mattina si vedono filate di gente che aspetta il metadone. Perché essere tossico è una fortuna. Se uno è tossico al trattamento ha più possibilità. Per questo si dichiarano tutti tossici e mirano ad avere un programma Sert. Ad esempio se sei condannato ma tossicodipendente, puoi stare a casa. Se ce l’hai una casa, ovviamente”. E qui entriamo nel terreno brullo di chi è solo o di chi è abbandonato dalla famiglia… “Chi non ha nessuno è solo. Prendiamo il problema dei piccoli bisogni personali. In carcere, oltre alla spesa, non entra niente da fuori. Sapone, dentifricio, sigarette: senza soldi non si comprano. Quelli che non hanno nessuno, come fanno? Ne fanno a meno. Questa è gente che non ha un euro in tasca: molti non hanno la possibilità di comprarsi un pacchetto di caffè. È una questione di dignità dell’essere umano. Non è una cosa di poco conto”. Poi ci sono i clandestini… “Già i clandestini. Grazie alla legge che aveva dichiarato la clandestinità un reato il carcere si era riempito. Mettevano fuori qualcuno, si scommetteva: quanto? Entro 20 giorni torna. E tornava. Un anno e due mesi di pena. E come ne usciva? Come era entrato. Bello preciso. Questa gente avrebbe bisogno di una mediazione culturale c’è un servizio fatto da volontari ma è sempre un pò zoppicante. In alcuni casi sono veramente necessari perché ci si trova con dei conflitti anche con la famiglia esterna che non è facile gestire: non si può parlare solo con il detenuto, bisogna cercare anche il rapporto con chi è fuori”. Carcere e violenza: un binomio inscindibile? “Il mondo del carcere è un mondo violento, c’è poco da fare. Ma contrariamente a quello che siamo portati a pensare tra le guardie ed i detenuti non c’è un rapporto violento: certo ci sono momenti in cui bisogna intervenire ma non è la regola. Due anni fa ci fu una protesta grossa, una lotta fra marocchini e albanesi: la sera battevano sulle sbarre ma ultimamente la situazione è tranquilla. Ogni tanto c’è qualche matto che sbotta ma niente di che. Dobbiamo tener presente che molti di loro vengono da posti dove prevalere con la forza è l’unico valore. Ci sono culture, come quella latino americana dove la violenza è affermazione, l’uomo vale perché ‘menà. Di fronte a queste cose il lavoro culturale si fa con grandissima difficoltà. In carcere, poi, c’è anche tanta gente con problemi psichici che non ha patologie tali da poterla mettere in ospedali psichiatrici giudiziari: persone borderline, con stati depressivi, altri con eccitazione costante. Personalità schizoidi o paranoiche”. Qual è la funzione del cappellano del carcere? “La funzione del cappellano è piuttosto strana perché non appartiene a nessun ramo nè del trattamento né della sorveglianza. In fondo dovrei occuparmi dei cattolici e ci sono dei carceri dove il cappellano è costretto a questo. Io per fortuna posso parlare con tutti e cerco di tenere con tutti un rapporto”. “Io sono stato fortunato - conclude don Beppe - perché sono figlio del primario del manicomio e so cosa vuol dire il mondo ristretto dei richiusi. Tutti i mondi chiusi, per ragioni psichiatriche o giudiziarie, hanno le loro caratteristiche e bisogna imparare a tenerle sempre presenti”. Napoli: 50 detenuti impiegati in lavori pubblica utilità Adnkronos, 15 marzo 2012 La giunta comunale di Napoli ha approvato oggi, su proposta dell’assessore alle Politiche sociali Sergio D’angelo, uno schema di convenzione con il Tribunale di Napoli che consentirà di impiegare 50 detenuti, 20 presso i servizi del Comune di Napoli e 30 presso le organizzazioni del terzo settore, in lavori di pubblica utilità. L’iniziativa consentirà quindi al condannato, in alcuni casi tassativamente previsti dalla legge, di poter espiare la pena al di fuori delle strutture penitenziarie puntando al suo recupero e reinserimento nella società civile. “La convenzione sollecitata dal Ministero della Giustizia - spiega D’Angelo - prevede l’avviamento a lavoro di pubblica utilità per detenuti che, avendo manifestato questa aspirazione, lasciano ben sperare ai fini del loro concreto reinserimento nel tessuto sociale collettivo. È infatti un dato ormai acquisito che una percentuale altissima, circa il 70%, dei condannati che hanno espiato la pena in regime detentivo, ritorna ben presto in carcere perché ricade nel delitto, specialmente in una realtà come quella della provincia partenopea dove è altissimo il tasso di criminalità e di degrado sociale dal quale i giovani non riescono a sottrarsi. L’obiettivo che si intende perseguire è quindi di offrire una seconda possibilità a chi ne faccia richiesta e potrà dirsi raggiunta anche se uno solo dei condannati riuscirà, dopo di essa, a chiudere in maniera definitiva la propria esperienza delinquenziale”. Avellino: intesa Comune-Istituti di pena; detenuti lavorano a recupero giardini pubblici Corriere del Mezzogiorno, 15 marzo 2012 I detenuti del carcere di Lauro in prima linea per il recupero delle aree verdi degradate. In collaborazione con l’amministrazione dell’Istituto a custodia attenuata di Lauro: si precederà alla ripulitura dell’area comunale “Piazza Marginale - Lancellotti”, con la messa a dimora di numerose specie di piante assegnate al Comune di Lauro dalla Regione Campania. Ad operare sono 7 detenuti del carcere avellinese, che sulla base di un rapporto di collaborazione avviato a settembre, in occasione della visita del cardinale Sepe, provvederanno a riqualificare le aree verdi e garantire la fruibilità di alcune aree pubbliche particolarmente compromesse da anni di abbandono e degrado. Il gruppo di detenuti-volontari provvederà a rimuovere i numerosi rifiuti abbandonati nell’area della villetta “Piazza Marginale - Lancellotti” per poi proseguire la propria azione di messa a dimora delle piante, in altre aree verdi del territorio comunale. Sono quasi 400 le piante assegnate al Comune di Lauro, sulla base di una relazione tecnica effettuata dagli agronomi locali. A coordinare le operazioni sono l’assessore comunale Rossano Sergio Boglione con l’educatrice del carcere, Livia Bonfrisco, l’agronomo Cesare Limoncelli, su disposizione del dirigente reggente Paolo Pastena e del magistrato di sorveglianza del Tribunale di Avellino, Giovanna Spinelli. “Questo è il nostro modo di operare per contrastare tutti i fenomeni di degrado umano ed urbano - ha spiegato il sindaco di Lauro Salvatore Mazzocca. In queste operazioni, effettuate in sinergia con le forze dell’ordine a cui vanno i nostri ringraziamenti, è necessario garantire tutto il supporto necessario per ripristinare il decoro e la vivibilità dell’ambiente urbano, per dare sostegno all’azione di recupero effettuata ogni giorno dall’amministrazione dell’istituto a custodia attenuata di Lauro e per garantire anche un futuro migliore a questi ragazzi, un tempo in difficoltà, ma che grazie a questo tipo di azioni potranno trovare in futuro lavoro adeguato a loro in strutture idonee”. “Si tratta di un’esperienza davvero costruttiva, perché abbiamo potuto conoscere delle persone straordinarie, che si stanno impegnando tantissimo e che stanno consegnando a tutti i cittadini un insegnamento fondamentale: quando si decide di rimboccarsi le maniche ed impegnarsi in prima persona i risultati si vedono. Con il loro aiuto potremo riconsegnare questi luoghi a chi li frequenta per passeggiare, fare jogging, respirare aria pulita, ed intendiamo impegnarci attivamente per difenderli e renderli finalmente più vivibili”. Molto soddisfatta l’educatrice Livia Bonfrisco: “Grazie a questo tipo di attività stiamo assistendo non solo al rifiorire di questo spazio verde del comune, ma anche al rifiorire della speranza nei nostri ragazzi, che sono contenti di essere impegnati in questo modo e sono finalmente proiettati verso un reinserimento che loro sentono più vicino. E la speranza sembra trasmettersi anche agli altri, ai cittadini di Lauro che hanno salutato con gioia l’azione che stanno svolgendo in questi giorni i nostri ragazzi. Si tratta davvero di un messaggio davvero positivo”. Roma: sottopose un detenuto a “cure forzate”, giudizio abbreviato per medico di Regina Coeli Agi, 15 marzo 2012 Ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato Rolando Degli Angioli, medico di guardia in servizio presso il carcere di Regina Coeli, per il quale il pm Francesco Scavo ha chiesto il rinvio a giudizio per avere costretto, il 20 luglio 2008, un detenuto francese (Julien Monnet, arrestato il giorno prima con l’accusa di aver scaraventato la figlia contro la scalinata dell’altare della patria) a subire “un trattamento sanitario illegittimo e immotivato”. Nell’udienza del 14 giugno prossimo, davanti al gup Riccardo Amoroso, Degli Angioli, che risponde di falso, abuso di ufficio e di concorso in violenza privata con l’infermiere Luigi Di Paolo con l’aggravante dell’abuso dei poteri, renderà dichiarazioni spontanee per ribadire la propria estraneità ai fatti contestati. L’infermiere sarà giudicato, invece, con il rito ordinario. Stando al pm, i due imputati, durante una visita medica, avrebbero indebitamente inserito a Monnet (una volta immobilizzato) “un catetere vescicale” senza che il trattamento sanitario fosse supportato “da un quadro clinico di riferimento”. Degli Angioli avrebbe poi falsamente omesso di trascrivere l’intervento eseguito nell’apposito registro, al fine di non renderlo pubblico, così causando un danno ingiusto alla vittima. Monnet, informatico parigino di 42 anni assolto poi dal tribunale perché incapace di intendere e di volere nel momento in cui gli cadde a terra la figlioletta di 5 anni, si costituirà parte civile tramite gli avvocati Michele e Alessandro Gentiloni. Milano: arrestato per pedofilia, in passato già altre due condanne “castratemi chimicamente” Adnkronos, 15 marzo 2012 Un uomo di 49 anni è stato fermato nei giorni scorsi per induzione a esibizioni pornografiche di minorenni, violenza sessuale, corruzione di minorenni. Nessun incontro di persona: “Nel virtuale scatta in me un meccanismo di eccitazione”. Ma la sua richiesta non potrà essere presa in considerazione dal gip. Già condannato due volte per pedofilia ora arrestato per una nuova inchiesta a suo carico chiede la castrazione chimica. È la richiesta “estrema” sollecitata davanti al gip di Milano da un allenatore di pallavolo di 49 anni arrestato sabato scorso per induzione a esibizioni pornografiche di minorenni, violenza sessuale, corruzione di minorenni, perché avrebbe adescato ragazze minorenni sul web, avvalendosi di falsi profili creati su diversi social network attraverso i quali si presentava come un quindicenne. L’uomo, allenatore di pallavolo femminile nell’hinterland milanese, è finito in carcere nell’ambito dell’inchiesta condotta dai carabinieri di Trezzano sul Naviglio, comune alle porte di Milano e coordinata dal pm di Milano Giovanni Polizzi, ed è stato interrogato dal giudice Donatella Banci Buonamici. L’allenatore, detenuto a San Vittore, difeso dall’avvocato Andrea Marini, ha spiegato di essere in cura da un professore e psicologo che lavora presso il carcere di Bollate (Milano) e ha chiesto di essere trasferito in questo penitenziario, poiché ha detto di essere “malato”. Ha precisato comunque di aver “sempre rifiutato incontri di persona” con le ragazze conosciute tramite i social network, ma “purtroppo - ha aggiunto a verbale - nel virtuale scatta in me un meccanismo di eccitazione”. La richiesta di castrazione chimica non potrà in alcun modo essere presa in considerazione dal gip, che dovrà limitarsi a valutare se trasferire a Bollate l’ allenatore. Empoli: presentazione del progetto “Oltre i muri” e del libro “Alice nel paese delle domandine” Ristretti Orizzonti, 15 marzo 2012 Un incontro sulla condizione carceraria attuale nei due istituti regionali - la Casa Circondariale femminile di Empoli e Sollicciano - con il progetto scuola-carcere “Oltre i muri” del liceo scientifico “Il Pontormo”, più la presentazione del libro “Alice nel paese delle domandine”, che raccoglie i racconti delle detenute di Sollicciano. Tutto questo accade venerdì 16 marzo 2012 alle 10, all’auditorium del liceo scientifico e delle scienze umane “Il Pontormo”, in via Raffaello Sanzio, 159 a Empoli. “Ma i giovani? Cosa pensano, cosa sanno del carcere? Cosa sanno i giovani italiani della complessità del sistema carcerario e soprattutto, quale rappresentazione hanno del sistema penitenziario e della sua funzione sociale?”. Queste sono le domande che hanno animato la ricerca realizzata recentemente, a livello nazionale, dal Forum Nazionale dei Giovani dal titolo “I Giovani pensano il carcere”. Da qui l’incontro-dibattito di venerdì. Di seguito il programma della mattinata. Alle 10 apre la mattinata con gli onori di casa Daniela Borghesi, dirigente scolastica de “Il Pontormo”; a seguire Daniela Lastri, consigliera regionale; Carlo Pasquinucci, vicesindaco e assessore alle politiche sociali del Comune di Empoli. Alle 10.20 Presentazione dell’incontro e del progetto “Oltre i muri” con Laura Turini e Ludovico Arte, docenti de “Il Pontormo”. Alle 10.30 presentazione del libro “Alice nel paese delle domandine” e proiezione di un video a cura di Monica Sarsini, curatrice del libro e Chiara Graziati, docente del “Il Pontormo”. Alle 11 La condizione carceraria in Italia e la figura del garante dei detenuti, con Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze. Alle 11.20, la Casa Circondariale di Sollicciano: caratteristiche generali e articolazione dell’area educativa, a cura di Oreste Cacurri, direttore della Casa Circondariale di Sollicciano; Gianfranco Politi, responsabile area educativa della Casa Circondariale di Sollicciano. Alle 11.40 Antonella Tuoni, direttrice della Casa Circondariale di Empoli e Maria Grazia Grassi, vice commissario di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Empoli, parleranno de La Casa Circondariale di Empoli: caratteristiche generali e presentazione del profilo dell’agente di polizia penitenziaria. Alle 12 ci sarà il dibattito con docenti e studenti ed alle 13 la chiusura dell’incontro. In che cosa consiste il progetto “Oltre i muri” La realtà del carcere è una realtà che merita attenzione e riflessione da parte della società civile. La realtà carceraria in Italia è stata definita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Dal sovraffollamento alle drammatiche condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti e le figure professionali coinvolte (agenti di polizia penitenziaria, educatori, psicologi, medici eccetera). In una sintesi del report della ricerca, che ha coinvolto un rappresentativo campione di giovani fra i 18 e 34 anni, si legge: “nonostante la dichiarata poca informazione in loro possesso, gli intervistati si dichiarano favorevoli alle misure che favoriscono processi di inserimento lavorativo e di educazione all’interno delle carceri. I giovani vogliono saperne di più, si dichiarano poco informati ma riconoscono il valore della questione carceraria, hanno un atteggiamento positivo nei confronti delle condizioni dei detenuti e credono nei processi rieducativi”. Da queste riflessioni e da questi dati, è nato “Oltre i muri”, progetto da configurarsi anche come efficace momento di prevenzione di comportamenti “devianti”, messi in atto da parte di adolescenti e giovani, che sembrano talvolta non essere sufficientemente consapevoli del confine tra trasgressione e crimine. Aosta: la Casa circondariale di Brissogne assume tre nuovi professionisti Aosta Oggi, 15 marzo 2012 Tre assunzioni di personale civile potenzieranno l’attività della Casa circondariale di Brissogne. Dal 19 marzo prossimo, arriveranno un educatore, un contabile e un collaboratore amministrativo. Queste figure professionali sono state attinte dalla graduatoria del concorso 2008 grazie ad una deroga al blocco delle assunzioni specifica per gli istituti penitenziari italiani. In questa ottica, nel 2011, l’organico della polizia penitenziaria è stato rafforzato con cinque agenti. Dice il direttore Domenico Minervini: “È una decisione sollecitata dall’ex capo Dipartimento Franco Ionta sostenitore di come per una gestione qualitativa delle carceri sia indispensabile considerare una adeguata presenza in tutti i settori. Ritengo basilari i tre nuovi professionisti. L’impegno degli agenti, volto a garantire la sicurezza e il trattamento dei detenuti - sottolinea il direttore - non è sufficiente. Il loro ruolo, fondamentale, deve, in ogni caso, essere completato con il contributo di figure civili che, come nel caso degli educatori, collaborino nell’instaurare un contatto giornaliero con gli ospiti del carcere e curino l’attività lavorativa e scolastica sotto la mia supervisione”. Puntualizza: “Tutti gli operatori contribuiscono al raggiungimento dell’obiettivo istituzionale del penitenziario. Ovvero, all’osservanza di quanto sancito dalla Costituzione italiana “Le pene devono tendere alla rieducazione del detenuto. Articolo 27”. Ad oggi, la popolazione carceraria, a Brissogne, è di 280 persone, perlopiù extracomunitari. La capienza massima non può superare i 290 detenuti; deve essere va garantito, in cella, uno spazio vitale minimo di 3 metri quadri per ogni ospite. “Osserviamo, con la massima attenzione, questo regolamento - dichiara Domenico Minervini - per scongiurare malcontenti che potrebbero sfociare in vere e proprie proteste. La convivenza è a livelli soddisfacenti al punto che, quando si verificano disagi strutturali, sono gli stessi detenuti a rendersi utili per risolverli”, conclude. Messina: ex detenuto tenta di darsi fuoco davanti al Comune “non voglio più delinquere” www.normanno.com, 15 marzo 2012 Il quarantacinquenne disoccupato Raffaele Fornaro, con tanto di accendino e bottiglietta contenente liquido infiammabile, è arrivato a Palazzo Zanca minacciando di darsi fuoco. Allo stremo, sopraffatto dalla disperazione. Raffaele Fornaro, un quarantacinquenne messinese disoccupato, ex detenuto è arrivato nella mattinata a Palazzo Zanca con un accendino e una bottiglietta di liquido infiammabile. L’uomo ha minacciato di darsi fuoco, un gesto estremo, frutto anche di porte chiuse in faccia e incertezza sul domani. Sul posto sono giunte immediatamente forze dell’ordine e vigili del fuoco per tentare di placare la disperazione dell’uomo, estrema esternazione di un forte e pericoloso malessere dovuto alla mancanza di occupazione che da tempo affligge la città, e ancora di più chi, come lui, ha un passato dietro le sbarre. L’ex detenuto ha spiegato che non lascerà palazzo Zanca fino a quando non verrà ricevuto dal sindaco. “Restero qui - ha detto Fornaro - finché non mi daranno un posto di lavoro che mi permetta di mantenere mia moglie e mio figlio di un anno e sei mesi. Non voglio più delinquere come in passato ma le istituzioni mi devono aiutare. Se non dovesse accadere da domani inizierò uno sciopero della fame e della sete ad oltranza”. Napoli: oggi il convegno della Camera Penale sulle prospettive dei detenuti italiani di Simona Carandente www.ilmediano.it, 15 marzo 2012 Oggi 15 marzo si terrà presso la sede della Camera Penale di Napoli, sita all’interno del Nuovo Palazzo di Giustizia, una conferenza stampa tendente a fare il punto ancora una volta sulle condizioni della popolazione carceraria negli istituti di pena e sulle prospettive della popolazione penitenziaria in Italia e sul territorio campano. Vero e proprio leitmotiv dell’evento, la delicata questione delle morti all’interno delle strutture carcerarie e l’elevatissimo tasso di suicidi: si calcola che, a far data dall’inizio del 2012 ve ne siano già 13 casi, su un numero totale di 34 morti accertate. Dati allarmanti, specie se confrontati con i numeri degli anni scorsi, ove le morti suicide ammontano quasi al 40 per cento del totale (66 su 186 nel solo anno 2011). Nell’occasione verranno proiettate due preziose video-testimonianze, al centro già nei giorni scorsi di accesi dibattiti della cronaca : si tratta di un video prodotto da Radio Radicale, dall’emblematico titolo “Giustamente”, e di una video inchiesta del Corriere della sera, a firma di Antonio Crispino. Documenti che fanno riflettere, prodotto dell’ingresso delle telecamere all’interno delle strutture penitenziarie e non solo all’interno delle celle. Detenuti, psicologi, cappellani, personale penitenziario: a tutti viene data la possibilità di poter dire la loro, mostrando l’altra faccia di una realtà che rimane nascosta, confinata tra le mura dei penitenziari, della quale si parla spesso ma senza guardarla troppo da vicino. A dir poco sconcertante, poi, la video inchiesta del Corriere della Sera, che si introduce all’interno delle celle mostrando una realtà incredibile: celle minuscole con dodici persone, costrette a fare i propri bisogni pubblicamente, nello stesso limitato spazio in cui vivono e cucinano, senza alcuna dignità e senza alcuna prospettiva di cambiamento nel breve periodo. L’ingresso delle troupe televisive all’interno dei penitenziari appare piuttosto significativo: è sintomatico di una rinnovata sensibilità dell’opinione pubblica rispetto al problema carcere, e getta le basi per la diffusione di un’informazione di massa sulla vita dei detenuti, con modalità inaccessibili anche ai cosiddetti “addetti ai lavori”. Primi veri, concreti passi verso una risoluzione della questione penitenziaria, che più di ogni altra deve passare attraverso le singole coscienze prima che nelle alte sfere. Tempio Pausania: anche i detenuti al lavoro per la costruzione del nuovo carcere La Nuova Sardegna, 15 marzo 2012 Un cuoco, tre falegnami, un elettricista e diversi manovali. È la forza lavoro che, dall’inizio del mese, si occupa quotidianamente di allestire il nuovo carcere di Nuchis, la cui apertura viene annunciata e rinviato di mese in mese. I lavoratori sono tutti detenuti, che prestano la loro opera regolarmente pagati e in regola con i versamenti assicurativi e previdenziali. Una decina di persone che stanno arredando le celle e gli spazi comuni, ma anche effettuando quelle operazioni propedeutiche all’apertura della nuova casa circondariale. Ogni giorno lasciano la “Rotonda” di Tempio, accompagnati dalla polizia penitenziaria, per recarsi al lavoro. Un progetto, questo, che potrebbe essere ampliato una volta che Nuchis aprirà i battenti, con l’impiego degli “ospiti” negli opifici della zona che aderiranno alle richieste del Provveditorato regionale. Queste operazioni hanno però un’altra faccia della medaglia: essendo pochi gli agenti in servizio alla vecchia “Rotonda”, 17 detenuti sono stati smistati nelle carceri di Sassari e Alghero, in attesa che il ministero provveda a completare gli organici. Nelle prossime settimane saranno pubblicati gli interpelli, ovvero le richieste di trasferimento all’interno del corpo della polizia penitenziaria, e sono in molti, stando alle indiscrezioni, a voler prestare servizio in città. Nulla di ufficiale, comunque, perché l’apertura della casa circondariale, secondo le disposizioni del Provveditorato regionale, è un evento coperto da misure si sicurezza. “L’inaugurazione - dicono al Provveditorato, sarà invece un fatto pubblico, alla presenza del ministro guardasigilli”. Ferrara: corsi di alfabetizzazione per i detenuti, con il sostegno del Lions Club La Nuova Ferrara, 15 marzo 2012 Il carcere deve fare parte della città; non si tratta di un “non luogo” che la gente deve ignorare. Società e istituzione hanno il compito di lavorare insieme per tessere una rete collaborativa a sostegno di tutti coloro che lavorano e vivono nell’istituto penitenziario. Sono questi i primi aspetti emersi durante l’appuntamento di ieri mattina, tenutosi in occasione della presentazione dei Corsi di alfabetizzazione per stranieri, all’interno della Casa Circondariale di Ferrara. “Per impostare un discorso di reinserimento e riabilitazione, - ha affermato Francesco Colaiacovo, Presidente del consiglio comunale di Ferrara - si deve partire dalla cultura. La donazione di questi libri scolastici, ai detenuti, da parte del Lions Club di Ferrara Diamanti è un segno positivo di collaborazione e sensibilità”. I corsi di alfabetizzazione e i libri di testo, saranno tre; ciascuno avrà un livello di difficoltà diverso, in questo modo, si potrà partire dalle basi indispensabili per la comunicazione fino ad arrivare ad una conoscenza media linguistica e culturale. “Siamo felici di poter dare questo contributo - spiega Anna Maria Quarzi, presidentessa del Club. Solo con scuola e istruzione possiamo impostare un piccolo cambiamento per migliorare la società. Questo corso e questi libri sono il primo mattone di una costruzione che deve crescere, migliorarsi e approfondirsi sempre”. Durante la conferenza sono stati tanti gli interventi dei presenti e, in particolar modo, Marcello Marighelli, Garante dei detenuti per il comune e la provincia di Ferrara, ha sottolineato che: “Istruzione e lavoro sono due percorsi che non dovranno sovrapporsi, escludendo uno all’altro, ma dovranno camminare insieme. Con questo lavoro cerchiamo di cambiare lo sguardo della società verso il carcere e quello dei detenuti verso la società”. Il direttore della Casa Circondariale, Francesco Cacciolla ha espresso soddisfazione per l’iniziativa e per le modalità con cui ha preso vita: “Nel tempo abbiamo lavorato tanto e abbiamo colpito la sensibilità di molta gente che ci sostiene. L’Istituto di Ferrara è uno dei più sicuri in Italia e continuiamo a lavorare per migliorarci”. Non saranno percorsi di studio fini a se stessi; al termine di ognuno verrà rilasciato un attestato che permetterà di proseguire negli studi, dagli elementari a quelli superiori. Gorizia: la cronaca della tentata evasione di tre detenuti di Corrado Barbacini Il Piccolo, 15 marzo 2012 “Sbirro di m..., ora vedi chi comanda”. A pronunciare questa frase domenica sera e a guidare la tentata fuga è stato Giuseppe Console, 23 anni, uno dei due assassini di Giovanni Novacco. Console era all’interno della cella numero 4 del carcere di Gorizia e con una gamba del tavolo stava picchiando con forza un ispettore della penitenziaria che era trattenuto per le braccia da altri due reclusi, Massimiliano Ciarloni, 33 anni, ritenuto l’assassino dell’idraulico Eugen Melinte e Bruno Esposito, 23 anni, già condannato per rapina, entrambi monfalconesi. L’ispettore della penitenziaria si chiama Francesco Santoro e ha una quarantina d’anni. Mentre Console picchiava colpendo il capo, il tronco e le ginocchia del sottufficiale, Esposito, per impedire che l’ispettore urlasse e chiedesse aiuto, gli teneva una mano premuta sulla bocca. Questa è stata la scena clou di quella che avrebbe dovuto essere l’evasione dei tre detenuti dal carcere di Gorizia, programmata, anzi pianificata, per domenica sera, quando c’è poco personale di controllo. Un blitz che poi fortunatamente è fallito. Ma il piano, così è emerso dalle prime indagini degli agenti della polizia penitenziaria di Gorizia, era stato concepito proprio da Giuseppe Console e poi condiviso dagli altri due detenuti: doveva essere la fuga prima dell’udienza preliminare prevista per lunedì 26 marzo davanti al presidente aggiunto del Gip, Guido Patriarchi. L’idea di “Beppe da Roian” era quella di tentare il tutto per tutto per prendere le chiavi dal cinturone dell’ispettore Santoro (considerato uno tra gli agenti più disponibili e comprensivi verso i detenuti), dopo averlo aggredito e picchiato a sangue. E poi, assieme agli altri due, tentare una sortita passando attraverso la porta principale che è l’ultimo ostacolo verso la libertà. A questo piano Console ha lavorato per settimane, studiando orari, abitudini e procedure all’interno del carcere goriziano. Poi lo ha proposto a Esposito e, pochi giorni fa, a Ciarloni appena giunto in quella cella dopo essere arrestato dai poliziotti di Monfalcone. A inchiodare l’assassino di Giovanni Novacco alle nuove responsabilità sono le dichiarazioni non solo della guardia aggredita (che ha subito lesioni guaribili in più di 40 giorni), ma anche di altri due detenuti reclusi nella cella numero 4 assieme a lui, Ciarloni ed Esposito. Sono stati interrogati come testimoni dagli investigatori e hanno raccontato come l’idea della fuga ha poco a poco preso corpo nella mente di Giuseppe Console. Il pretesto è stato quello dell’acqua calda che nelle celle non c’è. Dai rubinetti infatti esce solo acqua fredda. Per prendere quella calda bisogna andare con un secchio fino alle docce che si trovano sull’altro piano. Ecco cosa è successo: verso le 19 di domenica, Esposito ha chiamato ad alta voce la guardia. Pochi minuti dopo la porta della cella è stata aperta dall’ispettore Santoro che aveva le chiavi appese al cinturone. Esposito era dietro alla porta. Per distrare l’agente, Console (che teneva la gamba di legno del tavolo nascosta dietro di sé) gli ha chiesto se poteva anche inviare un fax dall’apparecchio dell’ufficio matricola. L’agente non ha fatto in tempo a rispondere alla domanda bizzarra. È stato trascinato nella cella e sbattuto con violenza sul pavimento. A questo punto Console ha estratto il pezzo di legno e mentre gli altri due tenevano per le braccia la guardia, lui lo ha bastonato senza pietà. Lo ha colpito anche sulla testa e alle ginocchia nel tentativo di spezzarle. I testimoni lo hanno sentito urlare: “Sbrirro di m..., ora vedi chi comanda qui”. L’ispettore ha cercato di resistere e ha gettato le chiavi verso il corridoio in modo tale da rendere difficile il loro recupero da parte dei tre detenuti. Poi è riuscito a urlare e chiedere aiuto. Il collega che si trovava al piano di sopra è accorso fino alla cella numero 4 e ha dato l’allarme chiamando altre guardie. Bloccati appena in tempo. Ieri i tre sono stati interrogati. Console ha fornito la sua versione: “L’ispettore quando è entrato nella cella mi è venuto addosso e io mi sono difeso. Gli ho dato una sberla. Non lo volevo aggredire. A picchiarlo sono stati gli altri due detenuti, Esposito e Ciarloni. Io non lo avrei mai fatto”. Immigrazione: Camera Penale Milano; Cie vietato a giornalisti, violato diritto cronaca Redattore Sociale, 15 marzo 2012 Il no ai giornalisti che vogliono visitare il Cie di via Corelli a Milano viola il diritto di cronaca. La Camera penale di Milano critica duramente Prefettura e Ministero dell’Interno. In un comunicato esprime “forte preoccupazione innanzi ad un simile rifiuto della Prefettura, ancor più grave dal momento che impedisce l’esercizio del diritto di cronaca costituzionalmente protetto e salvaguardato”. “La Camera Penale di Milano, nell’ambito di un percorso istituzionale già avviato con tutti i soggetti preposti alla delicata procedura amministrativa del trattenimento di cittadini stranieri nel Cie, non può non stigmatizzare il rifiuto opposto agli organi di stampa - inosservante della richiamata circolare ministeriale che al contrario ne garantisce l’accesso. Tale rifiuto, infatti, vanifica i principi di trasparenza e controllo che devono presiedere a qualsiasi forma di detenzione e trattenimento e che sono vigenti ed esistenti per qualsiasi altra istituzione penitenziaria esistente nel territorio nazionale”. Il Cie non è un carcere e l’accesso dei giornalisti dovrebbe essere facilitato. “Non si può non sottolineare che trattandosi di detenzione amministrativa - scrivono i penalisti di Milano, essa, per la sua stessa natura, dovrebbe consentire una maggiore facilità di accesso, di comunicazione e di interazione con l’esterno essendo istituto atto e volto al rimpatrio di stranieri. Le presunte ragioni di sicurezza, riportate nella richiamata missiva, se da un lato appaiono meramente strumentali al diniego comunicato, dall’altro determinano un evidente contrasto con il diritto alla trasparenza sulle condizioni di permanenza dei cittadini stranieri in detta struttura, che, si ricorda, oggi possono essere anche prorogate sino a 18 mesi”. “La Camera Penale auspica che il diniego all’acceso al Cie venga immediatamente ritirato e si farà promotrice a livello istituzionale di iniziative volte a consentire la possibilità di accesso anche in questi luoghi di detenzione come avviene in tutte le strutture detentive territoriali”. Immigrazione: Bologna; poliziotti arrestati, un agente ammette botte, non rapina Ansa, 15 marzo 2012 Giovanni Neretti, uno degli agenti delle Volanti della questura di Bologna arrestati il 5 marzo, avrebbe ammesso le botte ad un pusher, ma non la rapina. Il poliziotto, che dopo l’arresto fu colpito da un malore e si trova ancora all’ospedale Sant’Orsola, nel reparto detenuti, ha inviato una memoria alla Procura, attraverso il legale Fabrizio Petix, chiedendo di essere sentito. I quattro erano stati arrestati dalla Mobile, nell’indagine del procuratore aggiunto Valter Giovannini e Manuela Cavallo, perché accusati di aver picchiato e rapinato spacciatori extracomunitari. L’episodio contestato a Neretti è del 12 novembre: la pattuglia di cui faceva parte con il collega Valentino Andreani era intervenuta in un bar. Gli agenti fecero salire in auto un tunisino e lo portarono in una zona isolata a Castenaso, nell’hinterland. Poi arrivarono gli altri due arrestati, Francesco Pace e Alessandro Pellicciotta. Nella denuncia lo straniero racconta che fu ammanettato, picchiato e rapinato di 900 euro. Poi lasciato a terra, con le scarpe tagliate e il timpano destro perforato. L’ammissione di Neretti, che ha fatto espresso alle percosse inferte dai poliziotti, al taglio delle scarpe, ma non alla rapina, è un passo in avanti nelle indagini. Domani due dei suoi colleghi, Andreani e Pellicciotta, in carcere a Ferrara, saranno sentiti dai pm, dopo che nell’interrogatorio di garanzia si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Cuba: video girati clandestinamente da un detenuto mostrano l’orrore delle carceri Ansa, 15 marzo 2012 Una decina di video girati clandestinamente da un dissidente nelle prigioni cubane, sono stati pubblicati in esclusiva sull’on-line del quotidiano di Miami in lingua spagnola “El Nuevo Herald”, per denunciare le condizioni inumane e degradanti in cui sono costretti a vivere i prigionieri politici. L’iniziativa di protesta si registra a pochi giorni dalla visita del Papa nell’isola. Nei video, girati nella prigione più grande e di peggiore reputazione dell’isola, Combinado del Este, si possono vedere, tra l’altro, muri e water sporchi, infiltrazioni di acqua residuale e il cibo - si avverte - è peggiore di quello che viene dato in pasto agli animali. Dania Virgen Garcia, una dissidente che cura il blog “Cuba por Dentro”, ha spiegato che le immagini sono state girate a fine gennaio con una telecamera digitale fatta entrare di contrabbando, affinché tutti possano vedere la realtà delle carceri di Cuba”, dove il governo non permette le ispezioni del Comitato internazionale della Croce Rossa. Dissidenti occupano chiesa chiedendo liberazione detenuti politici I tredici oppositori del governo di Raul Castro che da ieri occupano una chiesa all’Avana, hanno diffuso un comunicato su Internet firmato dal direttore esecutivo nazionale del Partido Republicano de Cuba (Prc) Vladimir Calderon Frias, in cui si chiede, tra l’altro, la liberazione di tutti i prigionieri politici. Intanto l’ex detenuto dissidente Angel Moya Acosta, del Gruppo dei 75, ha detto attraverso la piattaforma “Hablalo Sin Miedo” che l’opposizione vuole una riunione con papa Benedetto XVI in occasione della sua imminente visita nell’Isola. “Approfittiamo della visita del Papa Benedetto XVI per far sapere che l’opposizione esiste, per quanto la politica internazionale guardi dal lato opposto e il regime lo neghi”. Tra le richieste avanzate: “la libertà senza condizioni dei prigionieri politici; che cessi la repressione e la persecuzione agli oppositori del regime; l’aumento salariale e delle pensioni di anzianità; l’accesso all’informazione senza censura incluso Internet”. Si chiede inoltre “un patto nazionale” per arrivare ad un governo di transizione” che porti “al funzionamento di uno stato di diritto”, mentre rivolgono un appello al popolo per uno “sciopero nazionale e di scendere in piazza per i propri diritti”. La blogger Yoani Sanchez, oggi da Twitter informa che i manifestanti “della Chiesa della Carità sono ancora” nel tempio. Marocco: si suicida 16enne costretta a sposare suo stupratore, che ha evitato il carcere Agi, 15 marzo 2012 In Marocco una 16enne costretta a sposare l’uomo che l’aveva violentata si è suicidata. Si chiamava Amina al Filali ed è stata stuprata e poi si è tolta la vita ingoiando veleno per topi la scorsa settimana a Larache, vicino a Tangeri nel nord del Marocco. Il marito-violentatore, grazie a quel matrimonio “riparatore” era riuscito a sfuggire al carcere. Lo ha denunciato Fouzia Assouli, presidente della Federazione della Lega democratica per i diritti della donna, con base a Casablanca. Per lo stupro il codice penale marocchino prevede pene fra i 5 e i 10 anni, fino a 20 se la vittima è minorenne. Ma un articolo consente di fatto che “in caso di matrimonio con la vittime il violentatore scampi alla prigione”. Siria: libero detenuto politico Shimon, era in carcere da 27 anni Aki, 15 marzo 2012 Le autorità siriane hanno rilasciato il detenuto politico in carcere da più tempo, ossia da 27 anni. Yaaqub Hanna Shimon, 49 anni, assiro originario della provincia nordorientale di al-Qamushli, era stato arrestato nel 1985 al suo rientro in Siria dal Libano, dove si era rifugiato per sfuggire al servizio militare, ma dove in quegli anni imperversava la guerra civile. Nonostante vi fosse un’amnistia presidenziale per gli obiettori di coscienza, Shimon fu ugualmente arrestato e rinchiuso nel carcere di al-Hasakeh, nel nord-est della Siria. Nel 1992 fu condannato ai lavori forzati a vita da una corte marziale, con l’accusa di essersi arruolato nell’esercito di uno Stato nemico, senza precisare quale. In Siria, a chi viene attribuita questa accusa è negato il diritto a essere difeso da un avvocato. In questi 27 anni di detenzione, sono state varate molte amnistie presidenziali, ma Shimon non ne ha mai beneficiato, e questo fa dire agli attivisti per i diritti umani che la sua detenzione arbitraria ha un retroscena politico. Le autorità siriane hanno rilasciato anche un altro detenuto politico assiro, Bir Adam Yuhanna, in carcere dal 1992. Stando alle dichiarazioni rilasciate da Shimon dopo il suo rilascio, il connazionale Yuhanna sarebbe stato arrestato 20 anni fa come ostaggio al posto del fratello, ricercato dalla giustizia. Secondo l’attivista siriano ed esperto di minoranze in Siria Yousef Sulayman il rilascio dei due detenuti in occasione del primo anniversario della rivoluzione siriana contro il regime del presidente Bashar al-Assad “non è casuale, ma ha lo scopo di distogliere l’attenzione della comunità assira dalle notizie relative alla rivolta e alle carneficine avvenute a Homs e Idlib”. Sulayman è stato tra i primi a incontrare Shimon dopo il suo rilascio ieri in tarda serata. “Nel mio incontro con lui, Shimon ha negato totalmente le accuse a lui rivolte, definendole false e costruite”, ha detto in un’intervista. “In questi 27 anni, Shimon ha perfino dimenticato la sua lingua madre”, ossia il siriaco, ha aggiunto l’attivista, dicendosi convinto che “il rilascio di Shimon e Yuhanna è una cosa buona, ma arriva molto in ritardo”. In particolare, “Shimon soffre ormai di una serie di malattie croniche che lo rendono inabile a svolgere qualunque lavoro e iniziare una nuova vita”. Russia, detenuto muore stuprato con una bottiglia: sotto accusa la polizia Agi, 15 marzo 2012 E' successo a Kazan, Sergei Nazarov, un uomo di 52 anni arrestato per furto è stato violentato in cella con una bottiglia di champagne ed è successivamente morto. Per l'episodio sono stati incriminati quattro agenti del dipartimento in Tatarstan. Qualche giorno fa un blogger d'opposizione, Aleksey Navalny, aveva dato la notizia. Ora i poliziotti sono stati accusati di aggressione di gruppo, negligenza, abuso d'ufficio e violenze. Subito dopo il grave episodio c'erano state manifestazioni davanti al Ministero dell'Interno in Tatarstan.