Giustizia: dalla politica più coraggio per affrontare i problemi delle carceri di Valentina Ascione Gli Altri, 13 marzo 2012 Le immagini del carcere di Gazzi, a Messina, apparse in questi giorni sul sito del “Corriere della Sera” sono una chiara testimonianza di come a 7 mesi dal reportage girato con i colleghi di “Radio Radicale”, Simone Sapienza e Pasquale Anselmi, nulla sia cambiato nelle condizioni di quell’istituto. Di come i principi costituzionali e le regole sancite dall’ordinamento penitenziario, visti attraverso le sbarre della struttura siciliana, siano rimasti un orizzonte lontanissimo; e la qualità della vita dei reclusi ancora al di sotto dei livelli minimi di decenza, dove la dignità umana non è che un concetto astratto. Era l’agosto del 2011. Al governo c’era ancora Silvio Berlusconi; Franco Ionta alla guida del Dap, mentre Francesco Nitto Palma sedeva da poche settimane a Via Arenula, succeduto ad Angelino Alfano nella carica di Guardasigilli. Per la prima volta una telecamera entrava nella cosiddetta “Sosta”: il reparto di transito che il sovraffollamento ha “promosso” a vera e propria sezione. Dove i detenuti stanno chiusi in otto, o anche di più, in bugigattoli bui e maleodoranti per il gabinetto a vista. Impilati su letti a castello di quattro piani, con l’ultimo a un palmo dal soffitto divorato dall’umidità. Costretti a fare i turni per mangiare o anche solo muovere qualche passo nei pochi metri quadrati disponibili al netto dei miseri arredi. Furono quelle immagini, più di tutte, a destare scalpore. A fare il giro delle tv e della rete. A entrare nelle università e in diverse “stanze dei bottoni”. La storia oggi si ripete. Davanti alla denuncia del “Corriere della Sera” ci si straccia le vesti, come nell’antico rituale, ma una volta esaurita l’indignazione, cosa resterà? Indignarsi, in fondo, costa davvero poco. Assai più alto appare invece il prezzo dell’azione in un Paese dove, specialmente negli ultimi anni, la classe dirigente ha gestito di disagio sociale come un problema di ordine pubblico, alimentando il bisogno di sicurezza dei cittadini, per poi soddisfarlo con politiche securitarie e proibizioniste i cui danni sono oggi sotto gli occhi di tutti. Nelle nostre galere sovraffollate, abitate per un terzo da stranieri, per un altro da tossicodipendenti, e poi da poveri e malati a migliaia. I provvedimenti messi in atto dal ministro Paola Severino in questi primi mesi di governo per far fronte al sovraffollamento carcerario sono un segnale positivo di attenzione al problema, ma ancora insufficienti. Concedere la detenzione domiciliare a 3 o 4 mila detenuti non basta infatti a decongestionare un sistema che conta un esubero di oltre 20 mila unità. Un esecutivo tecnico, libero dalle tenaglie del consenso elettorale, può fare di più. Adottare misure drastiche per uscire subito dall’emergenza e realizzare - finalmente - una riforma strutturale della Giustizia per ricondurre entro i confini della legalità non solo le carceri, ma l’intero sistema. Può fare una rivoluzione, una rivoluzione culturale, in un Paese in cui la legalità è diventata rivoluzionaria. Serve coraggio. Giustizia: il Consiglio d’Europa promuove (con riserva) il piano anti-sovraffollamento Ansa, 13 marzo 2012 Il piano d’azione presentato dall’Italia per rimediare al sovraffollamento nelle carceri, problema per cui il nostro paese è stato condannato dalla Corte di Strasburgo nel 2009, è stato considerato positivamente dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. L’esecutivo del Consiglio d’Europa, nell’esaminare le misure attuate dall’Italia per eliminare le cause che hanno portato la Corte a riscontrare una violazione dei diritti di un detenuto, perché in cella aveva a disposizione troppo poco spazio, ha preso nota in particolare dell’intenzione da parte delle autorità di adottare una politica penitenziaria che favorisca migliori condizioni detentive e misure alternative al carcere, ma anche la costruzione di nuovi centri detentivi (piano carceri), chiedendo tuttavia all’Italia di “specificare l’impatto atteso o già rilevato di queste misure”. Inoltre, il Comitato dei ministri dice di aver “preso nota del riconoscimento da parte della magistratura del diritto al risarcimento dei detenuti costretti in celle sovraffollate”, ma ha osservato che il solo risarcimento non può essere ritenuto un rimedio sufficiente a condizioni detentive improprie e ha quindi chiesto alle autorità italiane di specificare se la magistratura possa anche indicare quali misure pratiche devono essere prese per migliorare le condizioni del detenuto ancora in carcere quando questo si trovi in condizioni di sovraffollamento. Il Comitato dei ministri riesaminerà la questione il prossimo settembre sulla base dei nuovi elementi comunicati dalle autorità. Giustizia: intervista ad Alfonso Papa (Pdl); servono mezzi alternativi, al posto del 41-bis di Dimitri Buffa L’opinione, 13 marzo 2012 Il concorso esterno in associazione mafiosa? Un reato impossibile usato solo per dimostrare teoremi giudiziari che si basano sulla parola non riscontrata e spesso non riscontrabile dei pentiti, i quali diventano tali dopo lunghi periodi di carcere preventivo in 41 bis...”. Per il deputato Pdl Alfonso Papa, già magistrato alla procura di Napoli prima di entrare in politica e ancora prima di venire travolto dalla vicenda giudiziaria per la quale adesso è sotto processo, tutto si tiene. Da quando è uscito dall’inferno di Poggioreale ha cambiato il proprio stile di vita: adesso passa quasi più tempo lui a fare visite nei penitenziari italiani di quanto non ne passino Marco Pannella e Rita Bernardini, cui peraltro talvolta si accompagna in queste ispezioni. È anche diventato un accanito sostenitore di quella “amnistia per la repubblica” di cui proprio Pannella parla a getto continuo in ogni convegno o trasmissione radiofonica o televisiva cui capita di partecipare. A cominciare dalle chiacchierate domenicali con Massimo Bordin a Radio radicale. Papa, dopo l’esperienza carceraria, è come rinato a nuova vita politica: più fatti e meno slogan populisti. Qualcuno pensa, visti gli attuali problemi interni al Pdl e al Pd, che se la cura ha funzionato con lui. Onorevole Papa, lei cosa ne pensa di questa diatriba sul concorso esterno in associazione mafiosa? È una disputa cui manca un elemento essenziale, l’onestà intellettuale di chiamare le cose con il proprio nome. E cioè? Trattasi, di tutta evidenza di un reato impossibile, perché alla mafia o si appartiene o non si appartiene. E quindi? L’invenzione, che non trova riscontro normativo e non essendo l’Italia un paese di common law si tratta dell’unico caso di norma di uso consuetudinario giurisprudenziale, è stata pensata per trovare un riscontro alle parole di quei pentiti che in molti casi un riscontro o non lo trovano o faticano moltissimo a trovarlo. Lei lo sa che adesso la accuseranno di lesa maestà per il fatto che questo reato fu voluto da Falcone e Borsellino? Il reato è un mostro giuridico, un reato associativo è in quanto tale alternativo al concorso. Falcone e Borsellino vengono tirati nella polemica perché ovviamente non possono pronunciarsi in merito. La verità è che l’applicazione e l’uso di questo strumento avviene subito dopo la morte dei due magistrati, per iniziativa della procura di Palermo, dando il via a innumerevoli indagini sui rapporti presunti tra mafia e politica grandissima parte delle quali finita nel nulla, come risultato finale processuale. Insomma un reato che serve solo ad alcune procure, una in particolare? Purtroppo è così. E nasce dall’esigenza di potere condannare anche in mancanza di idonei riscontri processuali alle parole dei pentiti. Inoltre quando Falcone semplicemente teorizzava l’utilizzo di questo strumento di cui si è avvalso poco e nulla finché è stato vivo, veniva criticato da Leoluca Orlando per il motivo opposto: gli si diceva che contestando questo reato ai politici evitava di incriminarli per associazione mafiosa vera e propria. Accadde così anche quando ci fu la polemica delle carte nei cassetti, si può tranquillamente dire che per Falcone questa ipotesi di reato fu una lama a doppio taglio. E questi pentiti, sbaglio o in molti casi iniziano a parlare dopo lunghi periodi di detenzione in regime di 41 bis? Purtroppo non si sbaglia affatto. Il combinato disposto della carcerazione preventiva in 41 bis, che per me andrebbe abolita in quanto trattasi di tortura psicofisica vera e propria e della contestazione di quel reato per me impossibile che è il concorso esterno in associazione mafiosa ha prodotto i tanti processi per mafia che si trascinano per anni con clamore ma che quasi sempre finiscono in un nulla di fatto. Troppi pentiti sono passati dal carcere duro al programma di protezione, come folgorati sulla via di Damasco, io penso che solo noi al mondo, e gli Stati Uniti con Guantánamo, istituito però solo dopo l’11 settembre 2001, custodiamo le persone con queste modalità. Ma uno stato democratico ha altri metodi per tutelare la sicurezza. Inoltre, ammesso e non concesso che il 41 bis possa essere una pena supplementare per un mafioso condannato definitivamente, mi pare assurdo che sia estesa ai detenuti in attesa di giudizio, per la costituzione innocenti, solo perché c’è un’imputazione di criminalità organizzata. Le condanne che abbiamo ricevuto in Europa, e questo pochi lo sottolineano, non sono state per il 41 bis in sé ma per l’averlo utilizzato a fini di ricerca della prova, cioè per indurre qualcuno a pentirsi. E se questa non è tortura mi dica lei cosa è? Giustizia: Sappe; vinto ricorso su lavoro straordinario, ora il ministero dovrà pagare Ansa, 13 marzo 2012 Il lavoro straordinario degli agenti di polizia penitenziaria che supera le 36 ore settimanali, compreso quello nei festivi, va pagato. Lo ha stabilito una sentenza del Consiglio di Stato confermando la decisione del Tar dell’Emilia-Romagna (sezione di Parma) a cui il ministero della Giustizia aveva fatto appello. A riferirlo è una nota del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria che ha sostenuto il ricorso. A sollevare il caso, nel 2009, erano stati 117 agenti in servizio nel carcere di Parma. Il Tar diede loro ragione condannando l’amministrazione penitenziaria a liquidare a ciascuno gli straordinari maturati dall’ottobre 2004. Ma il ministero aveva fatto ricorso, ritenendo che “il servizio prestato - ricostruisce il Sappe - pur in eccedenza all’orario settimanale di 36 ore, non costituisse lavoro straordinario” e quindi non doveva essere pagato di più. La sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito invece due principi: lo straordinario va calcolato su base settimanale, e non più giornaliera; va pagato anche a chi lavora nei giorni festivi, in aggiunta al riposo compensativo già previsto. Ora il ministero dovrà pagare migliaia di euro di straordinari arretrati a chi ha fatto ricorso. Il Sappe chiede all’amministrazione penitenziaria di “emanare una circolare per adeguarsi alla sentenza”, che a questo punto potrebbe rappresentare un precedente nazionale e quindi una regola, valida - secondo il Sappe - anche per altri corpi di polizia. Giustizia: caso Parmalat; giudice sorveglianza decide il 15 marzo su libertà per Tanzi Ansa, 13 marzo 2012 Il tribunale di sorveglianza di Bologna deciderà il 15 maggio sull’istanza di scarcerazione presentata dal collegio difensivo di Calisto Tanzi, ex patron Parmalat, attualmente ricoverato nell’ospedale Maggiore di Parma ma di fatto ancora detenuto a causa del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a più di dieci anni pronunciata dal tribunale di Milano al termine del processo per aggiotaggio e violazione delle regole di mercato. Stando all’avvocato Giampiero Biancolella, i giudici bolognesi chiamati a decidere sul ‘destinò dell’ex cavaliere del lavoro, attendono di ricevere due relazioni per poter stabilire se Tanzi debba scontare la pena nel carcere di Parma o se possano essere a lui concesse la detenzione domiciliare o la scarcerazione. Le due relazioni a cui ha fatto riferimento il legale sono: quella che dovrà essere stesa dai tecnici che si occupano dell’assistenza sociale del detenuto e quella che invece dovrà pervenire dai medici dell’ospedale di Parma che hanno avuto in cura Tanzi nel corso del ricovero nell’unità creata appositamente per i carcerati. ‘Si tratta - ha spiegato Biancolella - di un passo avanti seppur piccolo. Le condizioni di Tanzi sono quelle che tutti abbiamo potuto vedere nel corso dell’udienza del 6 marzo del tribunale della libertà: Tanzi ha perso peso consistentemente e è alimentato attraverso un sondino gastricò. Tanzi è apparso nel corso dell’ultima udienza molto provato dal regime detentivo. Toccherà quindi agli assistenti sociali che lavorano nel penitenziario di via Burla a Parma dire se le condizioni dell’ex patron Parmalat sono compatibili con il regime carcerario o se, al contrario, per Tanzi non si renda necessaria altra misura di espiazione della pena. Un peso notevole, di conseguenza, avranno anche le relazioni dei medici dell’ospedale parmigiano che, nel corso dell’ultimo mese, hanno avuto Tanzi in cura. Giustizia: uccise rapinatore, gioielliere assolto “sparò solo per legittima difesa” di Ottavia Giustetti La Repubblica, 13 marzo 2012 Otto mesi da “giustiziere”. Da quel tragico pomeriggio del 10 agosto, quando due uomini entrarono nel suo negozio fingendosi clienti e tentarono la rapina. E fino a ieri pomeriggio, al momento della sentenza del giudice, Cristina Palmesin: il colpo di pistola che uccise uno dei due rapinatori fu sparato per legittima difesa. “Non sono un giustiziere” ha spiegato in lacrime Pierangelo Conzano, 49 anni, che era accusato di omicidio colposo con eccesso di legittima difesa per quel proiettile. “Dal giorno della rapina mi hanno guardato tutti con sospetto - ha detto - mi hanno dato persino dello squadrista mentre ho cercato solamente di difendermi”. La dinamica del tentativo di rapina e della colluttazione, quel giorno nel piccolo negozio del quartiere di San Salvario, è documentato dalle telecamere della gioielleria. Era pomeriggio inoltrato quando Iaris Iacono, 32 anni, e Francesco Procopio, 35, entrarono come normali clienti. I parenti raccontarono poi che avevano problemi di dipendenza dalla cocaina ed erano forse in cerca di soldi. Il primo aveva iniziato a parlare con il gioielliere, l’altro pareva tranquillo, in attesa del proprio turno. All’improvviso Procopio scavalcò il banco, saltando dove si trovava il gioielliere che nel frattempo, intuito il pericolo, impugnava la pistola che teneva sotto il bancone. Partì un colpo. Il rapinatore, ferito al braccio destro, provò a raggiungere l’uscita rimanendo bloccato tra le due porte d’ingresso, mentre il suo complice tentava di disarmare il gioielliere. Ci vollero due minuti prima che la porta si aprisse e che il ladro ferito potesse uscire. Percorsi un centinaio di metri a piedi, stremato, cadde per terra in una pozza di sangue. Quando i carabinieri arrivarono lo trovarono già morto e con addosso una pistola giocattolo. L’autopsia stabilì che il colpo gli aveva reciso l’arteria omerale provocando un’emorragia fatale. Iacono, invece, trattenuto nel locale dal gioielliere, fu arrestato in flagranza di reato ed è stato condannato a un anno e mezzo per tentata rapina. Da quel 10 agosto al gioielliere è stato notificato il sequestro del negozio e l’accusa di omicidio colposo con eccesso di legittima difesa. Nel corso del processo, per il quale l’avvocato Stefano Castrale, che difende il gioielliere, ha scelto il rito abbreviato, i legali di parte civile hanno descritto Conzano come una persona dal grilletto facile. “È stata una tragica fatalità - ha detto lui dopo la sentenza - in 30 anni di porto d’armi quella è stata la prima volta che ho sparato un colpo”. Lettere: la pratica, il pensiero, la speranza di Gemma Brandi Ristretti Orizzonti, 13 marzo 2012 Non è difficile, per chi lavora in carcere da qualche decennio e pensa a proposito di quello che fa, riconoscersi nelle considerazioni del Direttore Generale del Dap, affidate alle pagine di “La Repubblica”. Premetto di condividere anche l’idea di Don Milani il quale sosteneva che, a forza di dire una cosa, la facciamo diventare vera: “sono stanco”, “ti odio”, “ti amo”, “il mio lavoro fa schifo”, “sono un uomo felice”, eccetera. Anche quando si sbandiera acriticamente l’aumento del numero dei suicidi nei reclusori italiani, si fa una operazione pericolosa, perché si racconta una balla più o meno consapevole e si rischia in tal modo di mandare a effetto una escalation delle auto soppressioni. Mi fermo al dato di Ristretti Orizzonti sulle morti in carcere, anche per suicidio, nell’ultimo decennio ed estrapolo gli eventi 2001 e 2011: in mezzo un indulto, che comportò il quasi dimezzamento della popolazione penitenziaria e la correlata riduzione dei decessi, quindi un aumento - finora apparso inarrestabile, ci comunica Giovanni Tamburino - degli ospiti, che tocca punte di oltre il 50% tra allora e ora: nel 2001 morti in carcere 177, suicidi in carcere 69; nel 2011 morti in carcere 186, suicidi in carcere 66. Considerata la crescita netta delle presenze, siamo dunque di fronte, numeri alla mano, a una sensibile caduta percentuale dei suicidi nelle prigioni italiane. Questo non significa che la sofferenza lì sia diminuita con il sovraffollamento e la riduzione di benefici e personale. Non è alle morti che dobbiamo far sostenere la richiesta di un trattamento civile delle persone detenute. Basterebbe piuttosto richiamare l’aumento dei rientri in carcere. Sostiene, il Direttore Generale, che maggiore sicurezza sociale comporta minore carcere, e senza dubbio di sicurezza sociale ha bisogno anche il carcere, che dovrebbe mostrare al reo un volto forte e magnanimo, essere capace di un esercizio benigno della coazione, per abbattere il pericolo di recidiva e il risentimento che alimentano il circolo vizioso della carcerizzazione sociale. È innegabile che la salute ha una parte non secondaria nel favorire il passaggio verso un esercizio benigno della coazione e, dentro come fuori, maggiore salute comporta maggiore sicurezza. Ma la salute è il frutto di una azione complessa cui partecipano, con la sanità, molti altri soggetti: educazione, lavoro, sociale, cultura, sport, affetti, amicizia, giustizia. Sono invece in netta ascesa i Poliziotti Penitenziari che si tolgono la vita. Ogni volta che leggo di una simile dolorosa scomparsa, provo a farmi una idea, dalle scarne notizie di stampa, del profilo professionale e umano di questi individui, anche perché una di tali tragedie mi ha sfiorata e ha lasciato un vuoto nella mia vita. E d’altra parte, ogni suicidio meriterebbe di essere pensato, perché non sia vana quella morte. Il passaggio dal secondino a un agente che partecipa di un potere-sapere crescente, nel quale la punizione/vendetta ha ceduto via via il posto alla pena/rieducazione, è stato un grande giro di boa che ha avuto illustri teorizzatori ottocenteschi. Nel frattempo la popolazione delle carceri è cambiata e al classico ospite delle galere si è sostituito un soggetto sempre più difficile da trattare, anche fuori del carcere. Ecco perché occorre condurre verso un rinnovamento delle conoscenze chi lavora negli istituti di pena, visto che non è possibile modificare il tipo di ospite. Sentirsi impotenti di fronte a una utenza che richiede forme di presa in carico per effettuare le quali gli operatori della sanità, ad esempio, devono formarsi e fare esperienze di lungo corso, può mortificare e introdurre un esiziale sentimento di inutilità. Anche i numeri hanno la loro importanza e la riduzione di agenti sul front office della urgenza quotidiana comporta burnout dei pochi rimasti: esisteranno pure o saranno da codificare del Livelli Essenziali di Sorveglianza, dei Les, a imitazione dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) del Sistema Sanitario Nazionale! La qualità però non è meno importante della quantità. Serve una qualificazione degli addetti alla sicurezza in carcere, che tenga conto della presenza di percentuali elevatissime di persone tossicodipendenti, di portatori di sofferenza psichica severa, di soggetti sradicati dalla loro origine culturologica e sociale. Di pari passo la società esterna dovrà farsi meno insicura e non alimentare gratuitamente l’accesso alle prigioni di soggetti malati. Tutto ciò potrebbe apparire lapalissiano solo a chi non sa dove mettere le mani e preferisce rinviare a poi quel che non riesce ad affrontare oggi, non a chi confida nel fatto che siano chiamati a risolvere tali problemi i portatori di una pratica e una teoria nel campo, in una parola i competenti. E come non concordare con Giovanni Tamburino circa l’affrettata cessione di aree idonee a sperimentare un modo diverso di stare in carcere? Faccio riferimento alle due isole italiane citate nella intervista, Pianosa e L’Asinara, due paradisi che avrebbero consentito di percorrere la sperimentazione di una coazione infine benigna, perché necessaria, individualizzata, umana. Mi chiedo se non si abbia la forza di fare un passo indietro rispetto a quella affrettata cessione. Lettere: noi volontari, una vita di impegno per gli altri… e scusate se disturbiamo Ristretti Orizzonti, 13 marzo 2012 Rispetto al “bene” a volte basta un piccolo alito di vento perché vada disperso e, quanto si è fatto per una vita, non conti più nulla. È questa l’impressione che abbiamo rispetto a quanto sta accadendo a Tina Ciccarelli e l’Associazione “Noi Famiglie padovane contro l’emarginazione”. Le associazioni sono impegnate da sempre nell’accettare sfide ardue che dimostrano come lavorando su terreni difficili, a volte impossibili, sia invece possibile conseguire risultati e cambiamenti inattesi. Un operato che non contrasta le leggi, bensì trova il modo di coniugare il dovere della legge, all’amore dell’azione volontaria. Anche in questo specifico caso, il rispetto di una legge e l’indicazione del Tribunale, prevede di far scontare una pena con determinate condizioni, azione che diviene, grazie all’associazione, sfida ed impegno affinché questa azione “possa” trasformarsi, per chi deve scontare la pena, non in un percorso agevolato, bensì in una positiva assunzione di responsabilità ed una volontà personale a cambiare. Molte volte sembra che, con il loro operato, le associazioni, disturbino: perché credono che le persone possono cambiare, credono che una vita spesa per gli altri - ad affrontare situazioni che tutti definiscono impossibili- sia una vita Giusta. Poi, nel tempo, la società riscopre che quei valori, portati avanti anche con difficoltà rispetto all’opinione pubblica, sono quegli stessi valori che ogn’uno vorrebbe trovare nel territorio dove vive: solidarietà, pace, rispetto del creato. Ecco perché, anche se il bene sembra così fragile e poco duraturo, le associazioni si ostinano a realizzarlo, così come riteniamo nostro impegno sostenere con forza chi ha donato tutta la sua vita contro l’emarginazione, come Tina Ciccarelli e la sua associazione. Giorgio Ortolani, presidente Centro Servizi Padova solidale Emilio Noaro, MoVI presidente Regionale del Veneto Salvatore Sechi, MoVi presidente Provinciale di Padova Marilena Bertante, presidente Avo Regionale Consulta del Volontariato della Provincia di Padova Roberto Sartori, presidente Avis Provinciale di Padova Piero Pelà Zanni, presidente Auser Provinciale di Padova Amerigo Lissandron, presidente Anteas Provinciale di Padova Daniele Sandonà, Cosep Padova Francesca Succu, Associazione Amministratore di Sostegno Ornella Favero, Granello di Senape Padova Lazio: il Garante; nelle carceri situazione sanitaria critica, mancano personale e risorse Agi, 13 marzo 2012 Mesi di attesa per interventi chirurgici anche delicati, lunghe liste d’attesa per ogni tipo di prestazione, macchinari nuovi e mai utilizzati per mancanza di tecnici, specialisti presenti una volta a settimana che devono far fronte ad oltre 600 pazienti, appuntamenti diagnostici fuori del carcere prenotati da mesi che saltano per mancanza di scorta. È il drammatico quadro della sanità penitenziaria nel Lazio fornito dal Garante dei detenuti, Angiolo Marroni. Il sistema carcerario regionale ha una situazione infrastrutturale potenzialmente buona, con infermerie in ognuno dei 14 istituti della Regione, un Centro clinico di rilievo nazionale a Regina Coeli, una infermeria di terzo livello a Rebibbia N.C., due strutture sanitarie protette al “Pertini” di Roma e al “Belcolle” di Viterbo, una struttura di osservazione psichiatrica a Rebibbia N.C. ed una per i minorati psichici a Rebibbia Penale Rebibbia. “Ma queste strutture, per funzionare bene hanno bisogno di personale e di risorse, che non ci sono - denuncia il Garante dei detenuti - e, soprattutto, sono dimensionate su una capienza regolamentare di 4.500 detenuti, mentre oggi, nel Lazio, siamo arrivati ad oltre 6.800. Per questo, in queste ultime settimane, dopo i quattro decessi in un mese registrati solo a Roma, ho chiesto ai miei collaboratori di fare un check up alla sanità penitenziaria. I risultati che ne sono usciti disegnano un quadro a dir poco critico che conferma come il diritto alla salute sia quello più fra i meno garantiti in carcere”. Qualche esempio. Nel carcere di Frosinone ogni turno viene coperto da due soli infermieri (uno la sera), in una struttura che ospita 540 reclusi. In una delle sezioni di Rebibbia N.C. con oltre 400 detenuti, il turno viene garantito da due/tre infermieri. A Velletri, il nuovo padiglione per oltre 200 reclusi è stato parzialmente aperto in attesa delle assunzioni del personale medico e paramedico. Al “Mammagialla” di Viterbo, gli infermieri sono insufficienti, come a Cassino, dove ci sono molte difficoltà nell’ottenere il ricovero dei detenuti nell’ospedale cittadino, nonostante le richieste presentate dalla direzione sanitaria del carcere al pronto soccorso dell’ospedale. A Frosinone, Cassino, Viterbo e Regina Coeli da mesi non è possibile effettuare la fisioterapia. L’assistenza sanitaria in carcere prevede, come succede ai liberi cittadini, visite quotidiane e periodiche per accertamenti, diagnostica e consulenze. A Cassino e Velletri c’è l’ecografo ma manca lo specialista, sempre a Cassino da mesi è stato chiuso il gabinetto odontoiatrico, a Regina Coeli l’attività di odontoiatria sociale è stata sospesa da dicembre. A Frosinone mancano il diabetologo e l’ortopedico; cardiologo, infettivologo e psichiatra sono a disposizione solo poche ore al mese. Un discorso a parte meritano le visite fuori dal carcere, spesso prenotate mesi prima e poi saltate all’ultimo momento per mancanza di agenti di polizia penitenziaria necessari per la scorta. Genova: a Marassi muore detenuto malato di Hiv, era nella sezione per psichiatrici di Riccardo Arena Radio Carcere, 13 marzo 2012 Attilio Dal Zot, detenuto nel carcere Marassi di Genova, è morto domenica 11 marzo, intorno alle 3 del mattino. Dal Zot, che aveva circa 35 anni, era affetto da hiv in uno stato avanzato, eppure era detenuto nella 6^ sezione del carcere Marassi. Una sezione c.d. a grande sorveglianza e dedicata a persone detenute con problemi psichiatrici. Una sezione dove è assai scarsa l’assistenza medica in quanto tutt’ora non fa parte del c.d. centro clinico e dove la c.d. grande sorveglianza altro non è che un controllo dei detenuti ogni 15 minuti da parte degli agenti. Un controllo che evidentemente non è sufficiente per coloro che soffrono di patologie come l’Hiv. Dai primi accertamenti, pare del Del Zot sia morto per infarto o per ictus, ma si attende l’esito della autopsia. Una morte che probabilmente poteva essere evitata, considerate le condizioni cliniche di Del Zot e vista l’insufficiente assistenza sanitaria prestata nel carcere Marassi di Genova. Infine, quanto alla vicenda di Del Zot, una domanda sorge spontanea: perché Attilio Del Zot era in una sezione per malati psichiatrici se era affetto da Hiv? Salgono così a 33 i decessi registrati nelle carceri dall’inizio del 2012. Di Giovan Paolo (Pd): indagare su morte carcere di Marassi “Apprendiamo che c’è stata una nuova morte nel carcere di Marassi a Genova. È la terza dall’inizio dell’anno in quel penitenziario, la quindicesima in tutta Italia. Non vogliamo puntare il dito contro qualcuno in particolare, ma chiediamo con forza che si torni a parlare di vivibilità nelle carceri”. Lo afferma in una nota il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria. “Si tratta di un detenuto che era sottoposto a una stretta sorveglianza - continua Di Giovan Paolo. È chiaro che bisogna riproporre il tema della reale necessità di essere in un penitenziario fino a sentenza definitiva. Su questa nuova morte chiederà chiarimenti al governo, che giovedì verrà a rispondere in Parlamento a una mia interrogazione sul censimento nei penitenziari. Non lanciamo accuse, ma vogliamo capire”. Milano: custodia in “condizioni disumane”, 6 detenuti chiedono al Gip la scarcerazione Ansa, 13 marzo 2012 “Vivono in sei, chiusi per venti ore al giorno in uno spazio di dodici metri quadrati, con la possibilità di fare nient’altro che stare sdraiati nel letto, semplicemente perché tutti quanti in piedi contemporaneamente non ci starebbero”. È uno dei passaggi dell’istanza con cui i legali di 4 tunisini, arrestati nei mesi scorsi per alcuni disordini nel Cie di Milano, hanno chiesto al gip milanese Laura Marchiondelli la scarcerazione, basandosi sulle condizioni di detenzione “illegali” e “non umane”, data la situazione di “sovraffollamento carcerario” del penitenziario di San Vittore. I quattro giovani stranieri, arrestati lo scorso 18 gennaio in seguito ad alcuni disordini avvenuti nel Cie di via Corelli e in attesa di processo - spiegano i loro legali, gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini - sono detenuti in celle “infestate di scarafaggi” e “prive di acqua calda”. La pulizia delle celle, si legge ancora nella istanza depositata al gip, “è affidata a loro stessi, ma non gli viene fornito il materiale necessario per farlo”. E “il ricambio d’aria è impossibile perché l’unica finestra è ostruita dai letti a tre piani”. Condizioni che, scrivono i legali, sono “in insanabile contrasto” con molte norme, come l’articolo 27 della Costituzione (“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”) e l’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. “La situazione di illegalità delle condizioni detentive - chiariscono inoltre gli avvocati - coinvolge la quasi totalità dei detenuti nella carceri italiane e deve cessare al più presto”. I legali ricordano anche le “condanne per violazione del divieto di trattamenti inumani da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Alla magistratura, dunque, gli avvocati chiedono “di prenderne atto e trarre l’unica conseguenza possibile: non applicare la custodia cautelare in carcere, finché questa sarà attuata con le modalità illegali e inumane”. I legali, nella richiesta, si richiamano anche alle parole pronunciate da Giorgio Napolitano lo scorso 28 agosto, il quale aveva detto che “ripugna la condizione attuale delle carceri e dei detenuti”. I difensori, infine, chiedono al gip che se non vorrà liberare i detenuti, invii almeno gli atti “alla Corte Costituzionale per la valutazione della conformità” della detenzione alle norme nazionali e internazionali. Papa (Pdl): sì a scarcerazione tunisini da San Vittore “Quando la carcerazione contrasta con la Costituzione diventa una pratica fuorilegge che va interrotta”. Lo dice il deputato del Pdl, Alfonso Papa, a proposito della richiesta di scarcerazione avanzata dai legali di quattro detenuti tunisini nel carcere di San Vittore. “Lo Stato è titolare di una potestà punitiva, non di un arbitrio - aggiunge. Come già stabilito da alcune importanti sentenze delle supreme corti in Germania e negli Stati Uniti, una detenzione lesiva della dignità umana va interrotta perché lo Stato perde il diritto di punire. La situazione del carcere milanese è la regola delle galere italiane. La detenzione dovrebbe essere privazione della libertà, non della dignità”. I legali dei quattro detenuti, sottolinea il parlamentare, “chiedono alla magistratura di non disporre più la custodia cautelare in carcere fin quando le condizioni detentive saranno quelle attuali. Io mi unisco al loro appello, e lo faccio da ex pm che nella sua carriera ha richiesto soltanto quattro volte la custodia cautelare in carcere, non per una deformazione personale ma in virtù di una pedissequa applicazione della legge. In Italia - conclude Papa - assistiamo a un abuso sistematico dello strumento cautelare utilizzato come mezzo di anticipazione della pena e di estorsione delle confessioni. Se questa non è tortura, che cos’è?”. Milano: nasce l’Ufficio anagrafe a Bollate, il servizio fa parte del progetto Rete Civica Redattore Sociale, 13 marzo 2012 Inaugurato oggi, il servizio fa parte del progetto Rete Civica. Arletti (ufficio corsi e lavoro del penitenziario milanese): “è l’idea di una piccola città all’interno del carcere che possa offrire tutti i servizi che vengono dati ai liberi cittadini”. Inaugurato stamane uno sportello dell’anagrafe del comune di Milano all’interno del carcere di Bollate. Al taglio del nastro erano presenti, tra gli altri, gli assessori Daniela Benelli (Area metropolitana) e Lucia Castellano (Casa) e il direttore del carcere Massimo Parisi. A partire da oggi, ogni secondo mercoledì del mese, lo sportello sarà aperto per 3 ore, dalle 9 alle 12, ai detenuti e al personale penitenziario. Si offriranno tutti quei servizi, quali rinnovo carte d’identità, cambio di residenza, atti notarili, autentiche di firma, che vengono erogati ai liberi cittadini. Lo sportello è un nuovo “nodo” della Rete Civica del carcere di Bollate: “L’idea di fondo è quella di creare una piccola città all’interno dell’istituto che possa offrire tutti i servizi che vengono dati normalmente alla popolazione”, sostiene Annamaria Arletti, responsabile del progetto. All’interno del penitenziario ci sono già altri operatori, quasi tutti del terzo settore: il Sicet (Sindacato inquilini casa e territorio) grazie al quale, solo nel 2011, 120 domande di case popolari sono state presentate da detenuti prossimi alla libertà, l’Acli (Associazione cristiana lavoratori italiani) il cui intervento nello stesso anno ha portato alla richiesta di 400 domande di disoccupazione. Non mancano però ambizioni per il futuro: l’inserimento di uno sportello Inps e di un Ufficio immigrazione. “Il nostro obiettivo è coinvolgere la pubblica amministrazione all’interno del carcere, perché non possiamo basarci solo sull’attività di volontari, che possono offrire un tempo limitato, o di agenti di rete che lavorano su progetti temporanei” conclude Annamaria Arletti. Agrigento: per il nuovo carcere di Sciacca non ci sono più i fondi promessi La Sicilia, 13 marzo 2012 Cambio al vertice della Casa circondariale saccense. Fabio Prestopino lascia la direzione della struttura penitenziaria per assumere analogo incarico a Pisa. La nuova destinazione per Prestopino rappresenta una promozione dopo ben otto anni di attività in una struttura che viene mantenuta operativa nonostante la presenza di parecchie criticità dal punto di vista strutturale. “Lo ringraziamo per il lavoro svolto con equilibrio e attenzione alle dinamiche sociali e sindacali - affermano oggi i sindacalisti della Cgil Calogero Attardi, Franco Zammuto e Rosario Di Prima nel loro saluto di commiato - al direttore va riconosciuta la particolare sensibilità dimostrata nelle relazione con le organizzazioni sindacali, nel rispetto delle leggi dello Stato, adoperandosi per migliorare le condizione di vivibilità di tutto personale penitenziario, anche con le mille difficoltà strutturali, rendendo più funzionale e accogliente l’attuale immobile e facendosi portavoce di numerose richieste e sollecitazioni a tutti i livelli per la realizzazione della nuova casa circondariale”. E a proposito di nuovo carcere, giungono in città notizie poco ottimistiche circa il progetto annunciato due anni fa nell’ambito del piano carceri nazionale predisposto a suo tempo dal governo Berlusconi. Il Ministro della giustizia Paola Severino ha detto nel corso di alcuni interventi istituzionali che il nuovo governo intende rivedere il progetto di investimenti nel settore penitenziario. Facendo il punto alla Camera sull’edilizia carceraria, il Ministro ha spiegato che c’è l’orientamento di non dare corso al piano ordinario di edilizia per il 2011 assumendo come obiettivo principale il finanziamento degli interventi aggiuntivi per le opere già appaltate e per i servizi complementari. In sostanza, per le nuove carceri e quindi anche per Sciacca, non ci sono investimenti. Nel dicembre del 2010 era stata firmata l’intesa con la Regione Siciliana: i nuovi istituti dovevano essere realizzati a Catania, Marsala, Mistretta e Sciacca. In Sicilia 2.400 nuovi posti detentivi per un investimento complessivo di 195 milioni di euro, ma tutto adesso svanirà. Per il nuovo istituto carcerario di Sciacca, per il quale erano stati fatti anche dei sopralluoghi in un’area tra contrada Misilbesi e la statale 115, si dovevano investire 40,5 milioni di euro, Sul sito “Piano carceri” non c’è ancora nessuna modifica rispetto al progetto del precedente governo, ma le dichiarazioni del Ministro Severino non sembrano ottimistiche. Fermo (Pu): consigliere regionali Romagnoli, Ortenzi, Ciriaci e Malaspina visitano carcere Corriere Adriatico, 13 marzo 2012 Fermo Le consigliere regionali Rosalba Ortenzi (Pd), Franca Romagnoli (Fli), Maura Malaspina (Udc), Graziella Ciriaci (Pdl) e un delegato del gruppo consiliare Idv hanno visitato questa mattina la casa di reclusione di Fermo, accompagnati dal Garante dei detenuti Italo Tanoni. La delegazione, prima di effettuare il sopralluogo, ha incontrato la direttrice del carcere Eleonora Consoli, i rappresentanti della polizia penitenziaria e gli operatori. Nella casa circondariale di Fermo, costruita nei primi del ‘900, sono reclusi 82 detenuti, di cui 38 stranieri, a fronte di una capienza tollerabile di 63. Nel corso della visita sono state consegnate le copie del vademecum del carcere, la guida multilingue sui diritti e doveri dei detenuti. “Visitare il carcere di Fermo è sempre scioccante anche per chi come me si occupa di queste problematiche da anni, anche professionalmente - ha spiegato Romagnoli al termine. Rispetto alle criticità di sovraffollamento e carenza personale, comuni a tutti gli istituti, qui c’è una tale mancanza di spazi fisici, vitali e trattamentali e quindi di attività di svago e recupero che ti sconcerta umanamente. Palpabili l’impotenza dei dirigenti di fronte alla mancanza di risorse e prospettive, e la rassegnazione dei detenuti. Di nuovo carcere non se ne parla nel Piano Nazionale Istituti Penitenziari e non sono possibili ampliamenti. Da tempo sollecito un tavolo Comune-Provincia-Regione per affrontare la situazione”. Imperia: Onorevoli in “pellegrinaggio” da Francesco Caltagirone… per la visita c’è la fila La Repubblica, 13 marzo 2012 Tanti onorevoli in così poche ore il carcere di Imperia non li aveva mai visti prima. Ma se qualcuno pensa che, all’improvviso, ad un gruppetto di parlamentari romani sia scattato l’interesse per approfondire il cosiddetto “mal di carcere” si sbaglia: la processione cui si è assistito in questi giorni non è un miracolo ma ha un nome e cognome. Anzi due cognomi, Francesco Bellavista Caltagirone. Il primo a bussare è stato l’onorevole Giuseppe Consolo di Fli, seguito a ruota Riccardo Villari (Coesione Nazionale) e poi da Giuseppe Gianni dell’Udc e ancora ieri era annunciato l’arrivo di Mauro Del Vecchio del Pd. Visita respinta invece ad un alto prelato poiché i religiosi non rientrano nelle categorie previste dalla legge che consente il libero ingresso nelle carceri. Durissime e da diversi fronti le reazioni. A Consolo che aveva annunciato una visita ispettiva alla struttura ha replicato seccamente Roberto Martinelli del sindacato Sappe: “In realtà, come ci hanno detto i colleghi in servizio, Consolo non ha ritenuto opportuno fare un giro di tutta la struttura detentiva, non ha ritenuto opportuno incontrare i rappresentanti sindacali della Polizia penitenziaria e neppure gli altri detenuti oltre a Caltagirone Bellavista, con il quale si è intrattenuto mezz’ora circa nella saletta esterna alle sezioni detentive solitamente riservata ai Magistrati che accedono al carcere”. Sulla stessa linea anche Pasquale Indulgenza, consigliere comunale di Imperia per Rifondazione Comunista: “Il sottoscritto pratica il garantismo da decenni prima che altri esibissero cappi in Parlamento con aperte propensioni forcaiole e ritiene con forza che dovremmo costruire una società senza galere, ma le notizie di visite di deputati e senatori al carcere di Imperia e la visita pastorale di un altro prelato del Vaticano, suscitano una impressione che non può essere taciuta. Esprimo la mia solidarietà ai carcerati e al personale a diverso titolo impegnato nella struttura”. Ferrara: il Lions Club Diamanti dona testi scolastici per i detenuti La Nuova Ferrara, 13 marzo 2012 “Il carcere chiuso in se stesso genera solo criminalità ed è anche per questo che attraverso il Comitato carcere ci attiviamo per mettere in atto tutte le aperture possibili. Le difficoltà maggiori, ovviamente, derivano dalle sempre minori risorse. Ringraziamo pertanto il Lions Club Ferrara Diamanti per questa donazione, un piccolo ma importante contributo che ci aiuta anche a comprendere come il carcere sia qualcosa che riguarda tutti noi”. L’assessore comunale Chiara Sapigni ha salutato così, oggi in Municipio, le rappresentanti dell’associazione Lions Club Ferrara Diamanti che hanno donato testi scolastici per i corsi di alfabetizzazione per detenuti nella casa circondariale ferrarese. Oltre alle diverse socie del Lions all’incontro erano inoltre presenti il presidente del Consiglio comunale Francesco Colaiacovo, il Garante dei detenuti per il Comune e la Provincia Marcello Marighelli, l’assessore provinciale Caterina Ferri, la presidente del Lions Club Diamanti Anna Maria Quarzi, il direttore della casa circondariale Francesco Cacciola e il coordinatore del Ctp Giovanni Fioravanti. “Nella Casa Circondariale di Ferrara - è stato poi ricordato dagli ospiti - l’attività di istruzione costituisce uno dei pilastri del trattamento penitenziario e vede l’impegno dell’area educativa e il coinvolgimento di tutti gli altri operatori penitenziari, nonché la collaborazione della comunità esterna. Il Centro Territoriale Permanente, come previsto dagli ordinamenti penitenziario e scolastico, organizza corsi con proprio personale insegnante dove particolare rilievo assumono i corsi di alfabetizzazione italiana rivolti a cittadini stranieri”. “Il detenuto straniero che frequenta un corso di alfabetizzazione fa una scelta di integrazione, ha affermato il dirigente scolastico Giovanni Fioravanti. Una decisione che gli può consentire di progredire e di iniziare un vero e proprio percorso educativo, passando dall’ apprendimento della lingua e delle regole di civile convivenza ai corsi successivi: da tempo infatti, all’interno della struttura detentiva si svolgono anche corsi di istruzione e formazione permanente per il compimento della scuola dell’obbligo e della scuola superiore. Tutti gli istituti scolastici ferraresi - ha poi aggiunto - sono convenzionati con il Centro Territoriale per l’Istruzione e formazione permanente degli adulti (Ctp) per assicurare la presenza di insegnanti.” “La scuola è per noi un obiettivo primario perché solo l’istruzione può avviare il cambiamento. - ha ricordato la presidente Lions Diamanti Anna Maria Quarzi. Proprio questa certezza è anche alla base dell’attività svolta a livello internazionale dalla nostra associazione. Il nostro vuole essere quindi un piccolo ma determinante tassello, uno strumento per contribuire concretamente al percorso di comprensione reciproca e di miglioramento”. Genova: Uisp-Vivicittà, prologo nel carcere di Marassi Secolo XIX, 13 marzo 2012 Vivicittà, la manifestazione podistica internazionale organizzata dall’Uisp in contemporanea in 40 città italiane e 20 nel mondo (per il 2012 l’appuntamento è per il 15 aprile) e legata ad importanti temi di solidarietà e diritti, vedrà a Genova, quest’anno, un importante prologo. Mercoledì 28 marzo 2012, infatti, presso la Casa Circondariale di Marassi, si svolgerà, per la prima volta nella nostra città, “Vivicittà - Porte Aperte”. Lo start della corsa è previsto alle ore 16.30. I detenuti partecipanti correranno insieme ad una rappresentativa di atleti tesserati per associazioni della Lega atletica leggera Uisp. Si correrà lungo un tracciato di 3 chilometri. Dall’interno del carcere si uscirà per correre anche due giri esterni attorno alle mura dell’Istituto. Contemporaneamente, sul campo interno, si disputerà una partita di calcetto fra i partecipanti alle attività dei progetti di sport per tutti, arbitrata da un detenuto che ha seguito e superato il corso arbitri organizzato dalla Lega calcio Uisp. La manifestazione è organizzata dal Comitato Uisp di Genova e dalla Direzione della Casa Circondariale di Genova Marassi, con la collaborazione del Corpo di Polizia Penitenziaria, con l’intento di gettare un “ponte” tra l’esterno e l’interno delle mura dove l’Uisp è presente tramite le azioni dell’omonimo progetto. Gorizia: tre detenuti aggrediscono un agente portargli via le chiavi e tentare l’evasione di Franco Femia Il Piccolo, 13 marzo 2012 Tre detenuti aggrediscono una guardia carceraria per portargli via le chiavi e tentare l’evasione. E tra questi, da quanto si è saputo dalle scarne notizie che filtrano dal carcere goriziano, c’è Massimiliano Ciarloni, il monfalconese di 33 anni che proprio una settimana ha accoltellato a morte il ventenne Eugen Melinte ed ora è indagato di omicidio volontario. Sono queste le prime indiscrezioni emerse su un gravissimo episodio accaduto domenica sera all’interno della casa circondariale di via Barzellini. Erano circa le 19 quando tre detenuti, tutti italiani e in attesa di giudizio, hanno aggredito un agente della polizia penitenziale che era in servizio all’interno del carcere. Lo hanno trascinato in una cella con la volontà di immobilizzarlo e portargli il mazzo di chiavi e con queste poi aprire le varie porte del carcere e guadagnare l’uscita. Ma l’agente è riuscito a chiudersi nella cella e a chiamare in aiuto i colleghi, arrivati in forze. Su quanto accaduto l’altra sera in via Barzellini la direzione della casa circondariale ha aperto un’indagine interna tesa a ricostruire nei minimi particolari i fatti e a verificare le responsabilità di quanto accaduto, chi è stato il promotore del blitz e dell’aggressione. Un rapporto sarà inviato poi alla magistratura, che dovrà accertare i reati commessi dai detenuti che potrebbero andare dalla tentata evasione, al sequestro di persona, violenza, resistenza e lesioni. Ragusa: Sappe; sventato il tentativo di evasione di un detenuto Comunicato stampa, 13 marzo 2012 “È solamente grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che domenica mattina è stata impedita l’evasione di un detenuto dal carcere di Ragusa. È accaduto tutto in pochi minuti: il detenuto italiano, durante l’ora d’aria, approfittando dei livelli minimi di sicurezza per la consistente carenza di poliziotti che ha determinato l’accorpamento di più posti di servizio in capo ad un solo Basco Azzurro e la mancanza della sentinella armata sul muro di cinta, ha scavalcato i muri del cortile passeggi (compresa la rete metallica che era rotta) e si è incamminato dell’intercinta. Si era quindi nascosto dentro un piccolo casotto in attesa del momento opportuno per scavalcare il muro di cinta. Grazie però all’attenzione del collega che si è accorto che presso i passeggi mancava un detenuto rispetti a quelli contati all’inizio dell’ora d’aria è stato dato l’allarme e le immediate ricerche hanno permesso di fermare il detenuto. Bravissimi i colleghi di Ragusa, che lavorano costantemente in condizioni difficili: basti pensare che i detenuti presenti il 29 febbraio scorso erano 225 (206 uomini e 19 donne) a fronte di 173 posti letto regolamentari e gli agenti di Polizia Penitenziaria, che dovrebbero essere 116, sono invece circa 90. Questo grave episodio conferma ancora una volta le gravi criticità del sistema carcere.” È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione a quanto avvenuto domenica scorsa nel carcere siciliano di Ragusa. “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente” sottolinea il Sappe. “Lo confermano drammaticamente i gravi episodi accaduti nelle ultime ore nelle carceri italiane; lo evidenziano soprattutto i continui tentativi di evasione e le evasioni vere e proprie. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. C’è bisogno di una nuova politica dell’esecuzione della pena, che ripensi il sistema sanzionatorio”. E al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Tamburino che ha recentemente sottolineato il calo dei detenuti, il Sappe risponde che “la flessione è ad oggi impercettibile. Nelle 205 carceri italiane, il 31 gennaio scorso avevamo 66.973 persone che sono calate, un mese dopo, di poche centinaia, arrivando a 66.632. Il dato reale, dal quale partire per ripensare il sistema, è che ci sono in carcere 21mila persone detenute oltre la capienza regolamentare delle strutture e che più del 40% dei presenti sono in attesa di un giudizio definitivo.” Cinema: il film dei fratelli Taviani commuove Rebibbia di Fulvia Caprara La Stampa, 13 marzo 2012 Alla fine, davanti al buffet, arriva un momento in cui bisogna smettere di parlare, lasciare il piatto che si ha in mano anche se è pieno, salutare tutti e andar via. È ora di rientrare in cella, non c’è niente da fare, la serata più toccante finisce per chiudersi come tutte le altre. Ieri pomeriggio, nel teatro “Piero Angerosa” del carcere romano di Rebibbia, è stato proiettato il film dei fratelli Taviani Cesare deve morire, Orso d’oro all’ultima Berlinale: “La scena che mi ha più colpito - dice Giuseppe Perrone detenuto e interprete - è stata quando si vedono le porte che si chiudono. È strano, ma sullo schermo mi ha fatto più impressione di tutte le volte in cui la vedo nella realtà”. Il cinema serve anche a questo, guardarsi allo specchio e capire. Il ministro della Giustizia Paola Severino assicura che il “lavoro del governo sulle carceri continua” e che bisogna portare avanti “il disegno di legge che dice che ci devono essere sanzioni diverse dal carcere”. Perché i problemi sono tanti, e non è un caso che l’applauso più scrosciante della serata sia arrivato quando Paolo Taviani ha messo il dito in una delle piaghe più sentite: “È un’ingiustizia che questi esseri umani siano allontanati dalla società, dalla famiglia, dalle loro donne”. L’emozione è forte, si tocca con le mani, attraversa le poltrone su cui siedono i rappresentati istituzionali, dal presidente del Dap Giovanni Tamburino alla governatrice del Lazio Renata Polverini, tocca gli ospiti noti come il musicista premio Oscar Nicola Piovani e l’attore e regista Ascanio Celestini, coinvolge gli attori che si rivedono insieme ai compagni, travolge Vittorio Taviani che, con le lacrime agli occhi, dice: “Grazie al cinema, persone diverse hanno avuto la possibilità di avvicinarsi e di volersi bene. Shakespeare è un grande amico, ti dà la possibilità di incontrare gli altri, noi, insieme alle persone che stanno qui, abbiamo provato a guardare la vita e a raccontarla. Loro hanno portato in ogni battito, in ogni sguardo, il peso di un’esistenza con molte zone oscure e colpevoli”. Giovanni Arcuri, Cesare sullo schermo, racconta che nel film “ci siamo messi tutti in gioco, si può vivere la detenzione in vista di un futuro migliore”. Il suo compagno d’avventura, Giacomo Silvano, quasi non crede a ciò che ha appena visto: “Non avevo idea di quello che girare un film poteva significare. La mia prima impressione è stata “ma sono io quello lì? E quelli sono i miei amici?” Ho avuto i brividi dall’inizio alla fine”. Il film è il frutto di un lavoro lungo, intenso, importante. Ore e ore di prove e messe in scena teatrali, sotto la guida del regista Fabio Cavalli, e con il permesso del direttore di Rebibbia Carmelo Cantone che ha reso possibili le riprese tra le sbarre: “Hanno girato in un carcere dove vivono 1750 detenuti, non era semplice rendere compatibile la presenza di una troupe con la normale vita del penitenziario. Ma ne valeva la pena, era importante portare l’arte qui dentro, in questi ambienti”. Catanese, figlio di ferroviere, Cantone confessa che per lui il momento più commovente della pellicola è quello del provino, con i detenuti che devono salutare i loro cari: “Mi ha fatto ripensare a quando ero bambino e vedevo i parenti dei carcerati che andavano ad aspettarli sui binari dei treni, quando sapevano che sarebbero passati di lì perché venivano condotti ai processi”. Il ministro Severino dice che “Cesare deve morire” dipinge “con poche pennellate un luogo come il carcere che è, sì, di sofferenza, ma anche di redenzione. I Taviani ci hanno dato l’orgoglio di un’Italia che cresce anche sotto il profilo dell’arte e della cultura”. Televisione: Rai2; da domani “Presunto colpevole”, ovvero storie di malagiustizia Agi, 13 marzo 2012 “Presunto colpevole”, ovvero storie di malagiustizia. È il nuovo programma di Rai2, in onda da domani in seconda serata (ore 23.40). Sei puntate, ognuna delle quali con tre storie. Nella puntata d’esordio c’è la drammatica storia di Giuseppe Gulotta: il suo calvario è durato ben 36 anni, di cui 21 trascorsi tra le mura di una cella. Arrestato all’età di soli 18 anni e accusato di avere partecipato alla strage di due carabinieri ad Alcamo Marina (Trapani), massacrati a colpi di pistola, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Oggi di anni ne ha 54 ma chi potrà restituirgli la sua vita? Nella seconda storia il caso di Roberto Giannoni, impiegato di banca a Firenze portato via all’alba, in manette, dalla sua casa. Non ci tornerà più per sei anni. L’accusa: associazione a delinquere di stampo mafioso. Ma non era vero nulla. Nella terza storia, invece, è la volta di Maurizio Lauricella di Palermo, un’esistenza finita il giorno in cui è stato messo prima agli arresti domiciliari, poi in carcere, quello duro, all’Ucciardone. Che aveva mai fatto? Niente, assolutamente niente. Ma suo fratello, ogni volta che veniva arrestato, dava false generalità. Nessuno s’è mai preso la briga di controllare “Nulla riuscirà a ripagare queste persone per il torto che hanno subito - sottolineano gli autori - Nessuno potrà riavvolgere il nastro di vite distrutte da errori giudiziari. Perché non ci si rende conto, finché non ci si è dentro, che anche pochi giorni in carcere significano la perdita di un posto di lavoro, di un amore, della reputazione, della dignità. Per sempre. Anche se poi si verrà dichiarati innocenti. Storie drammatiche che hanno gettato nella disperazione famiglie intere. E ognuno, in qualsiasi momento, può essere un presunto colpevole”. “Presunto colpevole” è un programma scritto da Sergio Bertolini, Paola Bulbarelli, Giuseppe Ciulla, Andrea Ruggieri. Regia di Daniela Vismara. Immigrazione: la Garante dei detenuti; luci e ombre nel Cie di Modena Dire, 13 marzo 2012 Luci e ombre nel Cie di Modena: una struttura in condizioni migliori rispetto a quella di Bologna, ma “meno permeabile al tessuto sociale”. Così la garante regionale per i diritti dei detenuti, Desi Bruno, ha commentato la visita di oggi al Centro modenese. La prima preoccupazione, tuttavia è il possibile peggioramento dei servizi a seguito della gara d’appalto che prevede una base di 30 euro a persona al ribasso (attualmente la Misericordia ne spende circa 70). “La nostra preoccupazione - sottolinea Bruno - è che una cifra così contenuta possa far saltare qualcuno dei servizi indispensabili come quelli medico infermieristici, di assistenza psicologica e mediazione culturale attualmente assicurati con un peggioramento della qualità della vita per i trattenuti”. La garante, invece, ha chiesto “un incremento dei servizi con l’entrata del volontariato per attività ricreative, culturali e di sostegno oltre ad uno sportello per le informazioni legali per le persone trattenute”. Richiesta alla quale hanno risposto, con disponibilità a valutare i progetti presentati, la direzione della struttura e il rappresentante del Prefettura. “Attualmente nel Centro di Modena si trovano una sessantina di persone (il massimo della capienza), tutti uomini. La metà - spiega la garante - viene dal carcere, l’altra metà dal territorio. Alcuni sono dentro perché diventati irregolari dopo aver perso il permesso di soggiorno, e rischiano di essere rispediti in Paesi di provenienza dove spesso non hanno più legami e ragioni di andare”. Complessivamente, sono 594 le persone rinchiuse nel corso del 2011, di cui più della metà (282) provenienti dalla Tunisia e quasi un quarto (142) dal Marocco. Di queste, 116 in passato hanno avuto il permesso di soggiorno, 32 provenivano dal carcere, 384 hanno avuto un decreto di espulsione, 36 hanno richiesto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, 40 hanno richiesto asilo. Il tempo medio di permanenza nel corso dell’anno è stato di 35,13 giorni, la media delle presenze giornaliere di 56,25 persone. Immigrazione: agente arrestato per concussione; rapporti sessuali per permessi soggiorno Dire, 13 marzo 2012 Si chiama Claudio D’Orazi il poliziotto arrestato stamattina a Bologna dalla Squadra mobile con l’accusa di concussione sessuale: avrebbe costretto a rapporti sessuali almeno quattro donne straniere di cui seguiva la pratica per il rinnovo o la concessione del permesso di soggiorno all’ufficio immigrazione della Questura. L’assistente capo finito in carcere su decisione del gip Pasquale Gianniti e richiesta della Procura, ha 45 anni ed è sposato con figli. I fatti che gli vengono contestati dall’accusa risalgono fino al 2009: in totale, i rapporti sessuali avuti con le quattro straniere e di cui gli inquirenti hanno raccolto riscontri (in alcuni casi schiaccianti) sarebbero 10-11 e si sarebbero verificati dal 2009 fino a pochissimo tempo fa. D’Orazi, molto di recente, è stato trasferito dall’ufficio immigrazione a quello del personale, ma anche dopo il cambio di ufficio avrebbe continuato a cercare e importunare le ragazze. In conferenza stampa, stamattina, il questore Vincenzo Stingone ha ricordato il trasferimento del poliziotto, spiegando che “da qualche tempo non sta più all’ufficio immigrazione ed era spostato all’ufficio personale”. Più tardi, in mattinata, si apprende che il trasferimento - recentissimo - sarebbe arrivato in realtà su richiesta dello stesso D’Orazi. Accertamenti su altro agente Ufficio immigrazione Se Claudio D’Orazi è finito in cella questa mattina con l’accusa di concussione sessuale, le indagini della Procura di Bologna non si chiudono qui e proseguono. Ci sono infatti in corso accertamenti su un altro poliziotto che lavora all’ufficio stranieri (lo stesso in cui lavorava il 46enne finito in manette stamattina), che avrebbe avuto rapporti sessuali con una donna straniera di cui si occupava per la sua pratica del permesso di soggiorno. Questo secondo agente non è per ora indagato, sia chiaro, però il suo comportamento è al vaglio del pm Lorenzo Gestri e del procuratore aggiunto Valter Giovannini. La situazione va approfondita e capita meglio, ma per ora a suo carico gli inquirenti non hanno raccolto riscontri pesanti come quelli che hanno convinto il giudice Pasquale Gianniti e hanno portato in carcere D’Orazi. L’interrogatorio di garanzia dell’assistente capo è stato fissato per domani mattina: sarà sentito nel carcere della Dozza dal gip Gianniti, alla presenza del pm Gestri e dell’aggiunto Giovannini. Anche D’Orazi, come gli altri suoi colleghi finiti in manette lunedì scorso per rapina aggravata e lesioni nei confronti di pusher nordafricani, dopo l’interrogatorio di garanzia potrà scegliere se essere detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua a Vetere (prerogativa a cui hanno diritto gli appartenenti alle forze dell’ordine). Se invece deciderà di restare nel carcere ordinario (in un circuito protetto), sarà probabilmente trasferito nel penitenziario di Ferrara, come è accaduto ai poliziotti delle “volanti”. Francia: record storico di detenuti, a marzo oltre 66mila in cella Redattore Sociale, 13 marzo 2012 I dati del report mensile dell’Amministrazione penitenziaria. È il dato più alto registrato con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. In uscita in questi giorni anche un documentario sull’emergenza carceri, “A l’ombre de la Rèpublique” Sono 66.445 le persone detenute nelle carceri francesi al primo marzo 2012 secondo le statistiche mensili dell’amministrazione penitenziaria (Ap) rese note ieri. Un vero e proprio record storico, con un incremento del 6% rispetto a marzo 2011. Un picco massimo era stato già raggiunto a febbraio con 65.699 reclusi. Il numero di persone in detenzione provvisoria sale a 16.512 per 49.933 condannati, il 24,8% dei detenuti, con una flessione dell’1,4% rispetto all’anno precedente. 715 detenuti sono minori (l’1,1%) del totale. Proprio sulla questione dell’emergenza carceri, è uscito in questi giorni il documentario “A l’ombre de la Rèpublique”, girato all’interno di 4 istituti, di cui un carcere femminile e un istituto psichiatrico giudiziario, grazie al supporto del Controllore generale dei luoghi privati della libertà, Jean-Marie Delarue. Nonostante il tentativo di ostacolare il progetto da parte del ministero della Giustizia, Delarue ha portato con sé durante le sue incursioni a sorpresa negli istituti la reporter Stèphane Mercurio. “È uno dei primi film che ha la possibilità di mostrare tutto”, dichiara la realizzatrice. Svizzera: recinzione difettosa, detenuto evade dal carcere bernese di Witzwil www.swiss.info, 13 marzo 2012 Un 27enne detenuto francese è evaso nelle prime ore ieri dal carcere bernese di Witzwil, aiutato da una rete di recinzione difettosa. L’uomo stava scontando una pena di tre anni di reclusione per furto in banda, ha indicato oggi in una nota il Dipartimento militare e di polizia cantonale. Il francese si trovava dall’inizio di gennaio a Witzwil. Nella notte tra sabato e ieri ha forzato la finestra della sua cella e si è arrampicato sulla rete di sicurezza. Questa avrebbe dovuto far scattare l’allarme ma non lo ha fatto essendo difettosa. L’evasione è stata così scoperta soltanto il mattino. Dal 2009 gli istituti di pena bernesi sono stati più volte oggetto di notizie sui giornali a causa di evasioni, possesso di droghe da parte di detenuti e visite non autorizzate. Parecchie sono state anche le accuse alle autorità responsabili di praticare una “Kuscheljustiz”, una “giustizia delle coccole” che tratta troppo bene i delinquenti. Iran: due detenuti impiccati in pubblico a Mashad Adnkronos, 13 marzo 2012 Sono stati impiccati in pubblico stamani a Mashad, nell’Iran nordorientale, due detenuti accusati di stupro. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Fars, precisando che le condanne a morte sono state eseguite nella centrale piazza Ferdowsi. I due detenuti saliti al patibolo, uno dei quali di nazionalità afghana, erano stati arrestati meno di tre mesi. La Fars ha rivelato che si chiamavano Akram Norouz Zahi, noto anche come Yasein, e Mojtaba Afshar, conosciuto con il nome di Saddam. Secondo un rapporto diffuso dall’Ong Iran Human Rights, negli ultimi anni sono aumentate esponenzialmente le esecuzioni in pubblico nella Repubblica Islamica. Quest’anno sono già state eseguite almeno 15 impiccagioni, mentre erano state 65 lo scorso anno, 19 nel 2010 e 9 nel 2009. Yemen: al-Qaeda propone tregua e scambio di prigionieri con Sana’a Aki, 13 marzo 2012 La formazione jihadista yemenita denominata “Seguaci della Sharia”, che fa capo al gruppo di al-Qaeda, ha avanzato una proposta di tregua alle autorità di Sana’a. Secondo quanto si legge in un comunicato diffuso sui forum jihadisti in Internet, il gruppo armato ha chiesto la fine degli attacchi dell’esercito contro le proprie basi nel sud del paese e la scarcerazione dei propri uomini detenuti nelle carceri yemenite in cambio della liberazione dei 70 soldati e tre ufficiali catturati la scorsa settimana nell’attacco di Zinjibar, nella provincia di Abyen. “Siamo pronti a liberare i 73 militari nelle nostre mani - si legge - ma dovete rilasciare tutti i detenuti presenti nelle carceri politiche del paese”. I terroristi accusano l’ambasciata americana a Sana’a “dell’escalation di attacchi registrata di recente contro di noi, proprio mentre il governo di Sana’a ha aperto le porte al dialogo con tutti, compresi gli sciiti di al-Houthi”. I jihadisti chiedono inoltre “ai familiari dei soldati catturati di fare pressioni sul governo yemenita affinché risponda al nostro appello, che è saggio ed equo”.