Giustizia: Piano di edilizia penitenziaria, il Governo ci riprova di Andrea Managò e Chiara Organtini L’Espresso, 9 maggio 2012 Torino, Camerino, Pordenone e Catania le città dove dovrebbero essere edificati i nuovi istituti penitenziari, per un totale di 1.800 posti. Il sovraffollamento continua, il piano della Severino non ha funzionato e allora Monti mette sul piatto 447 milioni. Obiettivo: costruire quattro nuovi penitenziari e allargarne molti altri. Ma anche così, ci sarebbero circa 10 mila detenuti oltre la capienza. Anche il governo Monti prova a mettere in campo un suo piano carceri. A tre anni e mezzo dal varo di quello targato Angelino Alfano, che non ha prodotto uno solo degli undici nuovi penitenziari pianificati, ora l’esecutivo tecnico ha stilato un suo programma di edilizia carceraria. Il decreto salva carceri, primo tentativo del governo Monti di intervenire su un sovraffollamento che ad aprile sfiorava le 22 mila unità, finora non ha dato i risultati attesi: dopo due mesi dalla sua approvazione il numero dei detenuti è sceso di appena 300 persone. Ora i tecnici si cimentano con una sfida ancora più difficile, anche in relazione al poco tempo a disposizione. Il 18 aprile, in un’audizione alla Commissione Giustizia della Camera, il Commissario all’attuazione del Piano carceri Angelo Sinesio ha svelato i dettagli del nuovo programma a cui intende lavorare l’esecutivo. Il testo prevede di realizzare 11.573 nuovi “posti detentivi”, ben 2.200 in più rispetto a quello di Alfano. Visti i cantieri aperti negli ultimi tre anni, circa 2.800 posti costruiti tra ristrutturazioni e nuovi padiglioni aperti in carceri già attive, l’impresa appare piuttosto ardua. Specie in considerazione delle risorse a disposizione del Commissario per attuare il piano, 447 milioni di euro: 228 in meno rispetto al precedente. Così, più che abbattere i costi, Sinesio e il suo gruppo di lavoro puntano a rimodulare la qualità della spesa. Nel suo piano le nuove carceri si riducono a 4: Torino, Camerino, Pordenone e Catania, per un totale di 1.800 posti. In quest’ultimo caso si tratta del riadattamento di un padiglione ora destinato ai minori. A conti fatti la maggior parte dei posti, 4.759, verrebbe realizzata tramite il completamento di 17 padiglioni ed il recupero di spazi presenti all’interno di altri 10 penitenziari. Ulteriori 3.600 posti deriverebbero dalla costruzione di 16 padiglioni in altrettanti istituti già attivi: da Opera (Milano) a Rebibbia (Roma), passando per Secondigliano (Napoli), Bologna, Sulmona, Lecce e Trapani. Da due mesi sono scaduti i termini di gara per 1.800 posti, suddivisi in 8 nuovi padiglioni, per una spesa complessiva di circa 100 milioni di euro. Entro maggio dovrebbe arrivare anche il bando per Camerino. Ma se per quest’ultimo istituto i fondi sono stati già stanziati, per Catania, Pordenone e Torino il Cipe ha programmato le risorse senza poi sbloccarle. Ecco allora che l’attuazione del nuovo piano, così come di quello precedente, rimane strettamente vincolata ai fondi a disposizione. Per mandato il Commissario può spendere solo le risorse che ha effettivamente in cassa: al momento non sono tutte quelle necessarie alla realizzazione del piano. Di sicuro non farà ricorso al project financing per reperirne altre, come ipotizzato dall’articolo 43 dell’ultimo decreto inserito da esponenti della maggioranza nel Mille proroghe, perché il commissariamento non prevede la possibilità di ricorrere a questo tipo di intervento. Un primo passo per mettere in sicurezza i cantieri arriverà il 17 maggio, quando sulla Gazzetta Ufficiale verrà pubblicata una convenzione stipulata con il ministero dell’Interno che prevede controlli antimafia per ogni ditta, anche quelle in subappalto, impegnata nei cantieri penitenziari. Se i cantieri partissero realmente Sinesio vorrebbe imprimere una svolta anche sulla qualità delle strutture. Da poco il Commissario ha sottoscritto degli accordi con alcuni mobilifici per far costruire le suppellettili delle nuove celle direttamente ai detenuti. Un progetto in linea con l’ambizione di dare vita a “celle camere da letto” secondo gli standard europei. A meno di un anno dalla fine della legislatura, oggi più che mai il sovraffollamento delle carceri non figura ai primi posti nell’agenda dei partiti che sostengono il governo. Sinesio vorrebbe concludere il suo mandato (31 dicembre 2012) dopo aver messo a bando tutte le risorse a sua disposizione. Ci riuscirà? Giustizia: Severino; risorse non per costruire nuove carceri, ma per ampliare le esistenti Adnkronos, 9 maggio 2012 Sul pianeta carceri occorre, “utilizzando al meglio le risorse finanziarie disponibili, orientarle piuttosto che verso la costruzione di nuove carceri, verso l’ampliamento e l’aumento dei padiglioni nelle carceri già esistenti”. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia Paola Severino, intervenendo al Csm. A tale proposito il Guardasigilli ha assicurato che “l’impegno del ministero è anche nella direzione di assicurare le essenziali condizioni di dignità umana nell’universo carcerario per rianimare, in modo sensibile, la funzione rieducativa della pena, la possibilità di accesso al lavoro carcerario e le modalità di accoglienza e custodia di ciascun detenuto”. Su questo fronte Severino ha inoltre sottolineato che “si lavora su modelli alternativi per accrescere la possibilità di lavoro carcerario, per ottimizzare la polizia penitenziaria impiegata nella vigilanza, utilizzando al meglio le risorse finanziarie disponibili”. Giustizia: le condanne della Corte di Strasburgo e l’indifferenza della politica di Valter Vecellio Notizie Radicali, 9 maggio 2012 Non se ne parla, non se ne viene informati, se non grazie alle corrispondenze di questa radio. L’Italia vanta il più alto numero di condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo per violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; e sono condanne che si ripetono, si accumulano. Non tanto o non solo per la situazione delle carceri italiane, c’è anche questo; le condanne sono sempre più frequenti dopo l’introduzione nell’articolo 111 della Costituzione del principio della “ragionevole durata” del processo. Che tutto è, in Italia, meno che un processo con una ragionevole durata. Tutto questo a fronte dell’indifferenza della vera “antipolitica” che governa il paese. Quello che ci viene raccomandato in modo sempre più pressante è approntare dispositivi e correttivi che consentano non solo ampliare il ricorso alle misure alternative alla detenzione prevedendo norme che ne favoriscano l’applicazione, ma soprattutto pensare di riservare il carcere solo ai reati di particolare gravità; e nel contempo varare provvedimenti che favoriscano un processo che sia non solo equo, ma rapido; perché un processo lento è la negazione stessa della giustizia di cui tutti hanno diritto. La marcia per l’amnistia del 25 aprile, le iniziative di Marco Pannella e dei radicali, questa situazione denunciano e individuano come madre di tutti i problemi del paese. Le carceri, come non ci si stanca di ripetere, sono l’appendice di questo problema, con i loro circa 66mila detenuti stipati in celle fatiscenti che ne dovrebbero contenere meno di cinquantamila; ma il dato significativo è che di quei 66mila, quasi trentamila sono in galera senza una condanna definitiva e oltre tredicimila in attesa di un giudizio di primo grado, insomma un processo che non arriva mai! Amnistia, dunque, per avviare, tra le altre cose la riforma del processo penale: perché la percentuale dei detenuti ancora imputati e quindi presumibilmente innocenti è altissima, pari al 43 per cento. Dovrebbero occuparsene non solo i giuristi, ma anche gli economisti. I processi per ingiusta detenzione o per errore giudiziario nel 2011 hanno comportato risarcimenti pagati dallo Stato per 46 milioni di euro. L’esasperante lentezza dei processi penali e civili italiani costano all’Italia qualcosa come 96 milioni di euro l’anno di mancata ricchezza. La Confindustria stima che smaltire l’enorme mole di arretrato comporterebbe automaticamente per la nostra economia un balzo del 4,9 per cento del Pil, e anche solo l’abbattere del 10 per cento i tempi degli attuali processi, procurerebbe un aumento dello 0,8 per cento del Pil. Grazie al cattivo funzionamento della giustizia le imprese ci rimettono oltre 2 miliardi di euro l’anno, e il costo medio sopportato dalle imprese italiane rappresenta circa il 30 per cento del valore della controversia stessa, a fronte del 19 per cento nella media degli altri paesi europei. Come si vede, questione di diritti umani violati, di leggi e Costituzione clamorosamente tradite, ma anche di denaro pubblico, cioè nostro, che viene sperperato. Amnistia, per far quadrare i conti di uno stato al collasso per una crisi che sembra non finire mai e che viene scandita a ritmo quotidiano da suicidi di piccole partite iva, persone che hanno perso il lavoro, imprenditori che vantano crediti dalla pubblica amministrazione che non paga ma al tempo stesso ti cava il sangue attraverso quell’ente che il buon gusto imporrebbe un cambio di nome, visto che si chiama “Equitalia”. Oggi, anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, è la giornata della memoria di tutte le vittime del terrorismo. Ci vorrebbe anche una giornata della memoria per ricordare le centinaia e centinaia di vittime di questa situazione, della giustizia, della negata e della cattiva giustizia. Giustizia: appello Senatori al ministro Severino; dia ok su reato tortura in codice penale Tm News, 9 maggio 2012 Introdurre nel codice penale italiano il reato di tortura anche attraverso emendamenti ai disegni di legge di adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale e alla legge Comunitaria. È l’iniziativa di cui si fanno promotori i senatori che siedono nella commissione Diritti Umani, auspicando che “il ministro della Giustizia, che in occasione di una audizione si era riservata di riflettere sul problema, esprima su questi emendamenti un parere positivo”. L’annuncio è stato dato a conclusione dell’audizione dell’Unione delle Camere Penali che si è svolta oggi in commissione Diritti Umani del Senato. L’Unione delle Camere Penali parla infatti di autentica “emergenza civile” che deve essere affrontata anche adeguando il sistema legislativo italiano agli standard europei e internazionali e alle Convenzioni che l’Italia ha sottoscritto. A conclusione dell’indagine conoscitiva sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, la Commissione aveva già sottolineato all’unanimità “l’importanza e l’urgenza dell’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano”. Giustizia: Radicali; chiarire casi bambini reclusi con le madri Agenparl, 9 maggio 2012 Un’interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia, Paola Severino, per sapere se vi siano e quanti siano ad oggi i bambini sotto i tre anni reclusi in carcere insieme alle madri. L’hanno presentata i deputati radicali, prima firmataria Rita Bernardini, a seguito di una vicenda che ha avuto luogo a Cagliari, dove lo scorso gennaio “un bambino di due anni di età e una bimba di appena 6 mesi avrebbero trascorso due giorni e due notti in una cella del Buoncammino di Cagliari”. “I piccoli sono stati arrestati insieme alla mamma, G.O., di nazionalità nigeriana lunedì 9 gennaio 2012 alle 6.45, nonostante un’apposita normativa stabilisca che solo condizioni eccezionali possono giustifica re la permanenza in un carcere di creature di così tenera età - scrive la deputata radicale - la vicenda è stata chiarita e risolta dopo che il giudice Alessandro Castello ha effettuato l’interrogatorio di convalida dell’arresto alla donna che si è presentata al cospetto del magistrato accompagnata dall’avvocato Luisella Pani e dai piccoli tra le braccia. Preso atto della situazione, il magistrato ha disposto quindi immediatamente gli arresti domiciliari e la donna ha potuto far rientro nella sua abitazione”. L’interrogazione chiede anche “se non intenda provvedere alla immediata creazione di un istituto a custodia attenuata nella città di Cagliari”. Giustizia: processo per morte Stefano Cucchi; Corte assise affida perizia a 6 medici di Milano Ansa, 9 maggio 2012 Sono sei i tecnici milanesi ai quali la III Corte d’assise di Roma ha affidato oggi l’incarico di stabilire la causa della morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni fermato a Roma il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini. Il pool di esperti è guidato da Marco Grandi e da Cristina Cattaneo, entrambi del “Labanof” (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense) situato presso la sezione di Medicina legale del Dipartimento di Morfologia umana e Scienze biomediche dell’Università di Milano. Insieme con loro, sono stati incaricati anche Giancarlo Marenzi (specialista in cardiologia e medicina interna), Erik Sgazerla (direttore della Clinica neurologica dell’Università Bicocca di Milano) e Gaetano Iapichino (ordinario di Anestesia e Rianimazione dell’ Università di Milano), nonché Luigi Baranga (urologo dell’Asl Icp di Milano). Entro il prossimo 18 luglio dovranno depositare la perizia con la quale dovranno accertare: epoca, cause e mezzi che causarono la morte di Cucchi; natura e causa delle lesioni prima dell’ingresso del giovane nel carcere di Regina Coeli; se l’ assistenza sia stata prestata nel rispetto delle regole proprie dell’attività medico-sanitaria e se la stessa abbia contribuito a causare la morte. Giustizia: il Dap assume calciatori; interrogazione di Borghezio (Lega) in Commissione europea Agenparl, 9 maggio 2012 Con un’interrogazione rivolta alla Commissione europea l’On. Borghezio, rilevando che “in Italia, nel 2010 e nel 2011, cioè in piena crisi economico-finanziaria, sono stati indetti due concorsi pubblici per assumere giocatori di calcio, per la società calcistica “Astrea” della Polizia Penitenziaria (serie D del campionato di calcio italiano)”, richiama l’attenzione delle autorità economico-finanziarie europee su questo caso limite di spreco di denaro pubblico da parte del Governo italiano. “L’Europa - rileva Borghezio - non può rimanere inerte, proprio nel momento in cui mister Monti va a predicare in giro per il mondo la sua fanatica adesione alle politiche di tagli a 360 gradi, di fronte a una simile situazione, che, forse, non ha l’eguale in nessun Paese del terzo mondo”. “La vicenda, portata alla luce da un’inchiesta televisiva delle “Iene” - aggiunge Borghezio - è, per la verità, l’epifenomeno di una cultura di governo tipica del centralismo romano, che, per la verità, richiama il ricordo del panem et circenses. È ora di finirla, per questo e per gli altri mille casi, spesso sconosciuti ai più, di spese farlocche, ma sicuramente indirizzate ad accontentare settori del pubblico impiego e/o clientes politici, che pesano oggi come oggi in maniera insopportabile sul bilancio di un Paese quasi sull’orlo del default”. “Invece di finanziare il gioco del calcio semi-professionale degli agenti di Polizia penitenziaria, lo Stato italiano farebbe meglio a far lavorare tutti i detenuti, come avviene in molti Stati del mondo in cui vale la regola cara a noi padani del chi non lavora non mangia!”. Lettere: ex detenuta racconta lo strazio dei bambini detenuti a Bellizzi Irpino Notizie Radicali, 9 maggio 2012 Nel carcere femminile di Bellizzi Irpino la sveglia al mattino è data dai pianti dei bambini che vivono chiusi nelle celle con le loro mamme. I pianti al mattino prestissimo si sostituiscono al grande silenzio di tutte le ore del giorno e della notte ed echeggiano nei corridoi, si mischiano tra di loro fino a diventare un solo pianto di angoscia che entra in tutte le celle. Chi si sveglia con quei pianti sa che c’è stato qualcuno che è stato capace di condannare al carcere l’innocenza vera e propria e condannato così una madre ad una ancor più angosciante pena. I bambini in carcere vivono le condizioni generali del carcere riservate alle detenute, quindi, orari stabiliti dall’organizzazione carceraria e limitazioni negli orari di uscita per i passeggi. I primi anni di vita di un bambino sono gli anni della scoperta , dello sviluppo della personalità e dell’apprendimento. Queste piccole vittime sono bambini che porteranno per sempre il segno della detenzione nel loro ricordo perché il carcere è un posto che nessun bambino mai può meritare. In un carcere non c’è niente che può fare bene ad un bambino, c’è sempre qualcosa, invece, che può ferire la sua sensibilità. Questi bambini sono in continuo contatto con una realtà deprimente e vista la lor tenera età tutto quanto vedono e sentono sarà elaborato comunque dal loro cervello e si calcificherà nei loro ricordi. I bambini di Bellizzi si svegliano in una cella angusta e la cella è un posto dove anche l’essenziale non c’è. L’igiene è scarsa, le strutture igieniche sono fatiscenti, gli spazi aperti sono sporchi e fatti di solo cemento e ferro. Gli spazi adibiti ai passeggi sono infestati di pidocchi della ruggine e i bambini non hanno dove sedersi né hanno con loro un giocattolo, una palla. I bambini che vivono nel carcere di Bellizzi non vedono mai un filo d’erba, mai un fiore, mai la luna, mai una stella , bensì solo muri sbarre e cancelli. Come allo zoo . Un bambino detenuto non riuscirà mai a capire perché deve stare chiuso in gabbia come allo zoo e perché quelli che hanno le chiavi lo tengono chiuso dentro . Sono bambini che convivono col dolore fisico e psichico delle detenute, donne in forte stato depressivo, quasi tutte in terapia antidepressiva e ansiolitica. È un carcere con medico presente 24 ore su 24 e quindi al carcere di Bellizzi sono destinate molte detenute in terapia medica fisioterapica e psicologica. Sono quasi tutti bambini poveri la cui vita ha già negato un giocattolo e ai quali il carcere toglie le emozioni, perché non c’è nessun momento bello in carcere. Molti di questi bambini dividono lo spazio della cella con altre detenute oltre che con la loro mamma e le celle sono molto piccole, limitano la libertà di movimento e la creatività dei bambini è prigioniera con loro. Sono bambini la cui salute è minata dall’esposizione continua al fumo passivo. Il tempo in carcere è scandito come da una clessidra dalla durata di una sigaretta fumata, il tempo di fumare una sigaretta, l’angoscia prevale sulla ragione e sul sentimento e una sigaretta che finisce è un altro poco di tempo che è passato e la voglia di far passare il tempo in carcere è tantissima cosi che fumare è un rito alla quale nessuna detenuta sa sottrarsi, nemmeno in presenza dei bambini. Una detenuta riesce a fumare anche tre pacchetti di sigarette al giorno… e così anche i bambini fumano. Quando si sta in cella si guarda in alto sulla porta della cella dove su una mensola un piccolissimo televisore rappresenta l’unica finestra sul mondo e così anche per un bambino di Bellizzi il mondo è chiuso in una scatola e se lo vuole vedere deve alzare gli occhi. Lo spazio adibito a loro è un’aula che ricorda quella di una scuola dell’infanzia ma anche quella ha le sbarre ed è piuttosto buia… e con tutti gli sforzi che si possono fare è sempre un’aula di un carcere e i bambini non ci vanno volentieri. I giorni in carcere sono tutti uguali, anche quelli dei bambini che passano gran parte del giorno attaccati con le manine alle sbarre del cancello della cella in attesa che qualcuno apra il cancello per poter uscire. Alle agenti della Penitenziaria che passano per il controllo i bambini chiedono sempre ogni volta: Perché non apri? Voglio uscire! All’imbrunire cala un sipario di tristezza nel cuore di tutte le detenute, la notte è lunga… e i bambini lo sanno lo sentono lo vivono. Una madre in carcere col proprio figlio è la massima espressione del fallimento della società civile. Non so se nel medioevo avrebbero mai detenuto un bambino di soli due o tre anni. Chi si batte per i diritti umani e quelli dell’infanzia sa della strage di innocenti che si consuma nelle nostre carceri? Lettera firmata Napoli: Sappe; a Poggioreale 640mila € al mese per i detenuti, riciclaggio denaro della camorra? Comunicato stampa, 9 maggio 2012 Movimentazione record di denaro nel carcere di Napoli Poggioreale, tra i più affollati d’Italia con più di 2.700 detenuti presenti a fronte di una capacità regolamentare della struttura di circa 1.500 posti letto. 640mila euro ogni mese, 8 milioni di euro all’anno, senza tracciabilità e con il rischio di manovre neppure troppo oscure della camorra. La denuncia è del Sappe, il primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri, che ha informato il Presidente del Consiglio Mario Monti ed i ministri di Interno e Giustizia Cancellieri e Severino. Spiega Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Nella Casa Circondariale di Napoli Poggioreale la movimentazione di denaro che entra in istituto ogni mese, vale a dire circa 640 mila euro, si ottiene all’anno una cifra di circa 8 milioni di euro, al netto di eventuali vaglia postali, in mano ai reclusi. In occasione dei circa 600 colloqui che vi si tengono ogni giorno, a causa del versamento presso l’ufficio del Bollettario di una somma di denaro che può raggiungere gli ottocento euro mensili, tenuto conto che ogni recluso ha a disposizione un tetto massimo di circa 200 euro settimanali, entra negli otto padiglioni un fiume di denaro: vale a dire che, poiché in ogni cella si trovano otto - dieci reclusi, ogni camera di detenzione può disporre di quasi otto mila euro al mese. Vi sarebbe allora da spiegare tale movimentazione record di denaro, che non lascia alcuna tracciabilità, dal momento che non può non sorgere il sospetto che si tratti di compensi per affiliare e per gli affiliati ai clan camorristici. La perplessità è ancora più consona se si confrontano i dati con quelli di altre realtà carcerarie nazionali dove ogni detenuto incamera quattro volte di meno. Sembra, invero, che la struttura napoletana sia diventata una palestra criminale, una accademia nella quale la criminalità organizzata riesce ad allevare e a reclutare manodopera: da non dimenticare quello che accadde anni fa nel padiglione “Milano”, dove si potevano distinguere i capi della camorra dalla manovalanza”. Il Sappe sottolinea inoltre che ogni giorno, nel carcere napoletano, “si buttano circa 2500 pasti al giorno: uno spreco inconcepibile che evidenzia una netta contraddizione, quando dai bollettari compilati dal personale del Corpo emergono cifre e bilanci che rendono superfluo il vitto fornito dall’Amministrazione, a fronte delle numerosissime richieste che pervengono al sopravvitto: un volume di denaro da far impallidire una società per azioni quotata in borsa. Di fatto i due terzi del cibo preparato e pagato dallo Stato finiscono nella spazzatura: e questo è vergognoso oltreché immorale in tempi di crisi come quelli attuali”. Ma anche questa sarebbe una manovra della camorra per acquisire consenso tra i detenuti: “la maggior parte dei detenuti cucina in cella e ai più indigenti i boss forniscono la sussistenza quotidiana rifornendoli di cibo, che diventa quindi occasione di affiliazione e sottomissione”. Il Sappe chiede quindi al Presidente del Consiglio ed ai Ministri Cancellieri e Severino come mai, nonostante le formali, aperte e reiterate denunce più volte apparse su giornali non solo locali ma di ampia tiratura nazionale “non siano stati assunti provvedimenti pertinenti, finalizzati a sradicare determinate situazioni che alimentano costantemente la malavita organizzata”. Perché, “considerato l’attuale periodo di crisi economica generalizzata, non vengano effettuate indagini tributarie e fiscali ad ampio raggio nell’intero settore, quando, invece, viene richiesto di segnalare gli sprechi e si dispongono accertamenti sui consumi di varie utenze nei confronti della massa dei cittadini”. Ma soprattutto, conclude il Sappe, “come è possibile che soggetti e famiglie indigenti e nullatenenti siano in grado di depositare ingenti somme di denaro a favore di detenuti di Napoli Poggioreale per i quali lo Stato si fa carico del gratuito patrocinio?” Lazio: l’Assessore Cangemi: “f@rete-shop”, un progetto lungimirante e da riproporre Dire, 9 maggio 2012 “Il progetto f@rete-shop 2011 conclusosi, di fatto, oggi deve essere salutato come un vero successo ed una iniziativa molto interessante, da portare avanti. Il mio impegno si muove in questa direzione”. Lo ha detto l’assessore agli Enti Locali e Politiche per la Sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, partecipando, oggi, presso la sala convegni dell’ufficio esecuzione penale esterna del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Lazio, all’evento conclusivo del progetto pilota f@rete-shop 2011, progetto pensato per contribuire allo sviluppo di competenze, spendibili per l’inclusione sociale di persone condannate, al momento della re-immissione in libertà, inserendo i detenuti nel mondo del lavoro e organizzando uno spazio di e-commerce per i prodotti realizzati all’interno degli istituti penitenziari del Lazio, sul sito regionale f@rete del Dap. “Concordo pienamente con quanto si legge sulla Relazione parlamentare sul lavoro in carcere del 2011- ha aggiunto l’assessore Cangemi - e non solo da un punto di vista statistico e strettamente economico-finanziario (La diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio per la collettività di circa 51 milioni di euro all’anno, risulta dalla relazione parlamentare), ma anche e soprattutto sotto il profilo puramente umano e sociale: offrire ai detenuti un’opportunità di crescita personale, anche grazie ad accresciuti pre-requisiti e requisiti lavorativi, è senza ombra di dubbio la miglior ‘curà ad una qualsiasi recidiva”. Il progetto, nato dalla collaborazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Lazio (Dap) - Ufficio dell’esecuzione penale esterna - con Regione Lazio, casa circondariale di Rebibbia, con la gestione di alcune cooperative sociali, ha preso avvio nel maggio 2011 e si è concluso nel febbraio di quest’anno. Si è svolto a Roma, presso gli spazi della Città dell’Altra economia, a Testaccio, e si è articolato in tre moduli formativi: modulo di base, avanzato e di specializzazione. “Il progetto- ha concluso Cangemi- si è proposto di indirizzare le potenzialità individuali dei detenuti verso attività socialmente accettabili e di favorire la formazione di professionalità specifiche richieste dal mercato del lavoro. Vista la riuscita dell’iniziativa, confermo la mia personale disponibilità a proseguire in questa direzione. La stessa direzione, tra l’altro, verso cui sono stati indirizzati tutti gli interventi che hanno caratterizzato l’azione dell’assessorato che dirigo sin dal giorno del mio primo insediamento in giunta, condivisa in pieno dalla Presidente della Regione, Renata Polverini: il reinserimento lavorativo dei detenuti che, come abbiamo visto fa anche risparmiare denaro pubblico, è il risultato cui sono diretti tutti i nostri sforzi. E da un punto di vista economico-finanziario e, soprattutto, da un punto di vista etico e sociale”. Rimini: Comunità Papa Giovanni XXIII; progetto CEC - Comunità Educante con i Carcerati www.nqnews.it, 9 maggio 2012 Un’alternativa al carcere per tutti ma soprattutto una sistemazione per 50 donne detenute e madri di bimbi piccoli. Due facce dello stesso progetto pilota che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha illustrato, durante una visita guidata nelle strutture dell’associazione, al presidente del dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), Giovanni Tamburino. La Papa Giovanni XXIII sta sperimentando un progetto chiamato, Cec: Comunità Educante con i Carcerati, “importante perché - dicono dalla comunità - il 70% dei detenuti in carcere, una volta fuori, torna a delinquere, mentre questa percentuale per chi è stato in una struttura alternativa scende al 10%”. Tamburino alle 11.30 ha iniziato la visita delle strutture. Prima tappa la casa “Madre del perdono”, a Taverna di Montecolombo (Rimini), avviata nel 2008, dove ha potuto ascoltare le testimonianze di alcuni detenuti, 15 persone tra italiani e stranieri che sono in regime di arresti domiciliari. Poi a Saludecio ha potuto vedere la casa “Madre della Riconciliazione” e una casa famiglia della Papa Giovanni. Presenti alla visita la direttrice del carcere di Rimini Maria Benassi, il procuratore capo Paolo Giovagnoli, Don Nevio Faitanini, cappellano del carcere di Rimini, il vice-sindaco di Rimini Gloria Lisi e Nicola Boscoletto, Presidente della cooperativa Giotto che presso il carcere di Padova lavora con 120 detenuti. A Tamburino, i volontari della Papa Giovanni XIII hanno proposto un modello di accoglienza per 50 donne detenute che hanno figli piccoli, con un’età inferiore, ai 3 anni. Per loro un’alternativa al carcere potrebbe essere l’accoglienza in una delle 300 case famiglie dell’associazione dove potrebbero tenere i figli. Prato: la Polizia penitenziaria protesta per le condizioni nel carcere La Dogaia Il Tirreno, 9 maggio 2012 Sono allarmanti i dati diffusi dal Lisiapp e dal Sappe alle altre organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria di Prato. “La situazione penitenziaria pratese è fuori controllo. Ci troviamo davanti ad una palese presa in giro degli organi dirigenti del Provveditorato regionale delle carceri e della struttura penitenziaria di Prato, dove lo scorso ottobre ci promettevano di risolvere almeno il disagio dei poliziotti”. È quanto ha affermato il segretario generale aggiunto del Lisiapp (Libero sindacato appartenenti polizia penitenziaria) Giuseppe Boccino, che ha chiamato in causa per le promesse “da marinaio” del provveditore regionale e il direttore del carcere La Dogaia di Prato. “Con le promesse il personale è stanco - ha sottolineato il dirigente Lisiapp - da ottobre si continua ad assistere ad una carenza di organico sempre piu forte, l’invio di nuove unità previste è stata inferiore a quanto assicuratoci, venendo ulteriormente vanificata dai legittimi trasferimenti annuali del personale ad altre sedi. Esiste un grave sovraffollamento di detenuti, in continua crescita, nonostante le promesse del provveditore sul blocco delle nuove assegnazioni: tutto è rimasto lettera morta. A tutto ciò dobbiamo le gravi carenze igieniche e strutturali, un aumento di eventi critici violenti auto ed etero aggressivi, culminati con aggressioni al personale di polizia penitenziaria”. “Queste situazioni - ha infine concluso il sindacalista - sono eventi di sicuro figlie di una cattiva gestione apicale, che svilisce il ruolo del personale e accentua la gestione dei comportamenti anomali, ciò provocando nei detenuti una totale indifferenza al rispetto degli agenti chiamati in prima linea”. Roma: domani delegazione del Csm in visita con Tamburino al carcere di Rebibbia Il Velino, 9 maggio 2012 Giovedì 10 maggio, alle 13, il vicepresidente del Csm Michele Vietti, i componenti del comitato di presidenza e della commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza, accompagnati dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, si recheranno in visita presso la casa circondariale di Rebibbia (reparti Nuovo Complesso e Femminile). Nel corso della visita sono previsti, tra gli altri, l’incontro con un gruppo di operatori rappresentativi delle diverse professionalità che operano a Rebibbia e, successivamente, un incontro con un gruppo di detenuti. Giornalisti, fotografi e foto-cineoperatori interessati a seguire entrambi gli incontri dovranno richiedere un accredito presso il Nuovo Complesso inviando una mail a cc.rebibbianc.roma@giustizia.it (per ulteriori informazioni tel. 06.43980202) e un ulteriore accredito presso la Casa Circondariale Femminile inviando un fax al nr. 06.4100711 (per ulteriori informazioni tel. 06.41594205). Aosta: detenuto offrì sesso al Cappellano in cambio di chiavetta internet, condannato a 30 mesi La Stampa, 9 maggio 2012 Due anni e mezzo di carcere a un pentito di mafia accusato di aver promesso prestazioni sessuali al prete del carcere di Brissogne in cambio della consegna in cella di una chiavetta per la connessione a Internet. Marco Messina, 29 anni di Palermo, pentito di mafia ora detenuto a Vicenza, è stato condannato a due anni e sei mesi di per aver cercato di corrompere l’ex cappellano del carcere di Brissogne, Renato Tallone, promettendogli favori sessuali se gli avesse portato in cella una chiavetta Internet. Il pm Marlinda Mineccia aveva chiesto la condanna a un anno e otto mesi. Tallone, che ha già patteggiato un anno quattro mesi e 20 giorni, questa mattina si è presentato al processo ma si è avvalso della facoltà di non rispondere, abbandonando subito il palazzo di giustizia. Il religioso a maggio del 2010 si era lasciato coinvolgere in un giro di promesse sessuali da parte di alcuni detenuti, introducendo all’interno del carcere sigari, liquori e anche una chiavetta Internet per Messina spedita a casa del prete dalla madre del giovane pentito. Tallone era stato scoperto al momento di entrare in carcere e la chiavetta era stata sequestrata. Durante l’udienza c’è stato uno scontro tra il magistrato inquirente e il collaboratore di giustizia su quanto si era verificato all’interno de carcere. Messina ha sostenuto di aver solo chiesto al cappellano un favore senza promettere nulla, mentre il pm sosteneva che la chiavetta doveva entrare nel carcere per permettere a Messina di mettersi in contatto via Internet con il mondo esterno. Il difensore di Messina ha sostenuto che la corruzione da parte del suo assistito nei confronti del cappellano non è ma stata provata e il suo assistito non ha mai promesso favori sessuali al prete. La sentenza è attesa nel pomeriggio. Avellino: Uil-Pa; agenti aggrediti da detenuto nel carcere di Ariano Irpino Adnkronos, 9 maggio 2012 Due agenti della Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti nel pomeriggio da un detenuto di 45 anni, ristretto nella Casa Circondariale di Ariano Irpino. L’uomo, trasferito a casa della madre per beneficiare degli arresti domiciliari ma rifiutato dalla donna, prima ha tentato di aggredirla, poi si è scagliato sugli agenti intervenuti. I due, in servizio presso il Nucleo Provinciale Traduzione di Avellino, sono tutt’ora ricoverati presso l’ospedale di Ariano Irpino, ove si trova anche il detenuto. A riferire l’episodio il segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno. “L’episodio conferma quanto sia difficile il nostro lavoro. Evidentemente anche quando le criticità oltrepassano le mura dei penitenziari la freddezza, la competenza, e la professionalità dei nostri colleghi è indispensabile per evitare il peggio - commenta Sarno. Esprimo vivo compiacimento nei confronti dei colleghi che hanno impedito al detenuto di perpetrare violenza in danno della madre, così come speriamo tutti che nelle concitate fasi nessuno abbia riportato danni fisici significativi.” Cagliari: detenuto fugge dal Tribunale, rincorso e arrestato dai carabinieri L’Unione Sarda, 9 maggio 2012 Un detenuto di Iglesias, accompagnato in Tribunale a Cagliari per un’udienza, ha tentato di evadere dall’aula dove si sarebbe dovuto svolgere il processo. Si chiama Emanuele Locci, 32 anni di Iglesias, l’uomo che questa mattina ha tentato la fuga dal Tribunale di Cagliari, dove doveva comparire come imputato ad un processo per rapina. Bloccato all’uscita dai carabinieri è stato arrestato dai Carabinieri. Dovrà rispondere di due nuove accuse: tentata evasione e resistenza a pubblico ufficiale. Locci è stato accompagnato in Tribunale per un’udienza che lo vede imputato per rapina. Nell’area sicurezza ha spintonato gli agenti che lo piantonavano e si è messo a correre verso l’uscita, inseguito da polizia e carabinieri e facendo scoppiare un parapiglia nei corridoi del palazzo di Giustizia, e facendo cadere a terre alcune persone presenti nel Tribunale. Tre militari dei comandi della stazione dei carabinieri di Iglesias e Gonnesa, che avrebbero dovuto partecipare a un’udienza come testimoni, hanno notato la fuga riuscendo a bloccare Locci dopo una breve colluttazione e arrestandolo in collaborazione con gli agenti della Polizia penitenziaria che non lo avevano mai perso di vista. Il 32enne è accusato di tentata evasione e resistenza a pubblico ufficiale. Accompagnato nell’aula, su disposizione del magistrato di turno, è stato processato per direttissima patteggiando nove mesi per il tentativo di evasione e per la resistenza. Cagliari: rifornì di droga cliente detenuto, avvocato condannato a 3 anni di carcere L’Unione Sarda, 9 maggio 2012 Ha patteggiato tre anni di reclusione l’avvocato Domenico Alessandrini, finito in cella con l’accusa di aver passato della droga a un cliente durante un colloquio a Buoncammino. Stessa sorte è toccata al destinatario della droga, Renzo Cogoni, quartese. Stando all’accusa (l’inchiesta è stata coordinata dal pm Danilo Tronci) lo scambio di droga era avvenuto il 18 gennaio di un anno fa, giorno in cui Cogoni venne perquisito dagli agenti penitenziari di Buoncammino che gli trovarono nascosti nel giubbotto 35 grammi di hascisc e dieci dosi di cocaina. Al momento del ritrovamento della droga il detenuto aveva appena incontrato il suo legale nella sala colloqui del carcere. Cinema: “Film Spray” entra in carcere, 33 titoli in concorso tra lungometraggi e cortometraggi www.intoscana.it, 9 maggio 2012 Il cinema italiano, escluso dalla distribuzione, entra nelle carceri di Sollicciano (Firenze), Rebibbia (Roma) e Massa Marittima, nonché alla comunità “Il Forteto” di Dicomano (Firenze) grazie alla quarta edizione di Film Spray, la rassegna dedicata al cinema nostrano, organizzata dal 10 al 12 maggio dall’Istituto per stranieri Lorenzo de Medici di Firenze. La rassegna sarà visibile, in contemporanea, anche al pubblico: a Firenze nella chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini, a Montecatini al Cine Club Fedic e a Pisa a Corte Tripoli Cinematografica. Il programma presenta 33 titoli in concorso (tra lungometraggi e cortometraggi) che saranno votati sia dai detenuti che dal pubblico: la somma dei voti decreterà i vincitori che entreranno a far parte del progetto Film Spray Wolrd, che è un tour che li porterà nel circuito mondiale dell’Istituto Lorenzo de Medici tra università, campus, scuole e accademie cinematografiche. “L’obiettivo - ha detto Marcello Zeppi, direttore artistico del festival - è di creare una distribuzione parallela a quella di mercato il quale penalizza da un lato la produzione indipendente negando la distribuzione agli autori, e, dall’altro, la libera scelta delle persone che si trovano di fronte un’offerta composta esclusivamente da pellicole selezionate dal sistema”. Tra gli eventi speciali saranno presentate tre anticipazioni di film girati in Toscana (e che usciranno in sala): “La storia di Sonia” di Lorenzo Guarnieri, “Sarebbe stato facile” di Graziano Salvadori (con Alessandro Paci) e “Una vita da sogno” di Domenico Costanzo, prodotto da Giorgio Leopardi, con Massimo Ceccherini e Carlo Monni. Tra gli eventi speciali l’omaggio al regista e produttore fiorentino Carlo Quinterio con una sezione dedicata ai suoi film tra cui “Night Train to Venice”, con un giovanissimo Hugh Grant, e “Pontormo” dedicato alla vita del celebre artista, interpretato da Joe Mantegna. Un focus sarà dedicato alla cinematografia ucraina. Tra gli eventi collaterali saranno organizzati due convegni: uno sulla “Filiera del cinema” e l’altro sul tema “Firenze e la Toscana, sedi naturali delle Co-Produzioni Cinematografiche Internazionali”. Droga: senatore Giovanardi presenta disegno di legge per recupero tossicodipendenti detenuti Ansa, 9 maggio 2012 Il Senatore del Pdl Carlo Giovanardi ha presentato un disegno di legge che prevede la modifica dell’art. 94 del Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, concernente l’affidamento in prova in casi particolari. Il disegno di legge intende consentire al maggior numero di tossicodipendenti che hanno commesso reati, di espiare la propria pena presso una struttura sociosanitaria residenziale, pubblica o del privato sociale, al fine di trasformare la detenzione in carcere in un’opportunità di cura e di recupero. La misura si applica su autorizzazione del magistrato per limiti di pena che passano dagli attuali 6 a 7 anni ovvero da 4 a 5 se la pena è relativa ai reati di cui all’art. 4 bis della legge n. 354 del 1995 con la possibilità al positivo completamento del programma di recupero della concessione di una detrazione della metà della pena eventualmente residua. “Il vero nodo da sciogliere una volta approvata la modifica, sarà - sottolinea Giovanardi - quello dei finanziamenti delle strutture di recupero, attraverso un rapporto virtuoso Stato-Regioni con intese che permettano di dirottare risorse recuperate dal decongestionamento delle carceri in direzione dei programmi di recupero”. Droghe: Serpelloni (Dpa); più impegno per misure alternative ai detenuti tossicodipendenti Ansa, 9 maggio 2012 Il capo del Dipartimento politiche antidroga: “La prossima settimana è stato fissato un incontro con i tecnici per studiare ulteriormente le misure da poter applicare per una maggiore finalità riabilitativa delle pene alternative”. Continua l’attività del Dipartimento Politiche Antidroga, la cui delega è affidata al Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi, per incrementare l’utilizzo del ricorso alle misure alternative alla carcerazione delle persone tossicodipendenti recluse. Una nota del Dipartimento ricorda che “il progetto Droga e Carcere, attivato da questo dipartimento, ha attivato il suo percorso nelle varie città italiane con l’incontro tra magistrati di sorveglianza, operatori Uepe, (Uffici esecuzione penale esterna) direttori dei carceri, rappresentanti dei servizi delle Dipendenze e le Comunità Terapeutiche, nel corso del quale è stato proposto un nuovo protocollo operativo che si basa sul miglioramento del coordinamento delle forze in campo al fine di ridurre i tempi di attivazione delle pene alternative e di aumentare il numero dei fruitori”. “Ho ricevuto un forte mandato di priorità - ha dichiarato Giovanni Serpelloni capo del Dpa - da parte del Ministro Riccardi fin dall’inizio del suo insediamento, per intensificare l’attività sul carcere e per questo da mesi mi sto dedicando personalmente a tale progetto. La settimana scorsa siamo stati a Lecce, alla fine di questa settimana saremo a Cagliari e la prossima ad Ancona. Nei prossimi mesi continueremo l’operazione che ha come scopo quello di implementare operativamente le linee d’indirizzo a suo tempo scritte e divulgate a tutte le regioni da questo dipartimento. La scorsa settimana, ho incontrato il Direttore del Dap, dott. Tamburino e alcuni suoi collaboratori, per studiare anche altre soluzioni che, come da sempre auspicato dal nostro dipartimento, prevedono la possibilità di attivare percorsi alternativi al carcere già durante il processo per direttissima in modo da evitare l’entrata nei penitenziari delle persone tossicodipendenti”. “Siamo contenti - ha proseguito Serpelloni - che anche varie organizzazioni del volontariato e associazioni abbiano manifestato, al ministro Riccardi, il loro interesse e supporto a queste attività che, oltre a produrre percorsi di recupero dei tossicodipendenti, potranno diminuire anche il sovraffollamento delle carceri italiane. Il Dpa ha già fornito indirizzi e proposte complete anche per valutare eventuali modifiche normative al fine di agevolare ulteriormente gli obiettivi descritti. A questo proposito, la prossima settimana è stato fissato un incontro con i tecnici del Dpa per studiare ulteriormente le misure da poter applicare per una maggiore finalità riabilitativa delle pene alternative. Voglio infine rassicurare - conclude il capo del Dpa - tutti coloro che hanno interesse alla cosa, sulla mia personale presenza e sul mio impegno sull’argomento che non è solo di oggi e che sicuramente verrà mantenuto per il futuro, avendo cura di accogliere, con grande disponibilità, qualsiasi valida indicazione tecnico-scientifica ed operativa che le varie organizzazioni operanti sul territorio vorranno fornire a questo Dipartimento”. Sappe: bene Dpa, no al carcere per i tossicodipendenti “Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe è fermamente impegnato per incrementare l’utilizzo del ricorso alle misure alternative al carcere delle persone tossicodipendenti recluse. Per questo giudichiamo importanti e positivi gli sforzi che sta compiendo nell’analoga direzione il Dipartimento nazionale antidroga”. Lo dichiara Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria. Il Sappe torna a sottolineare come “nelle carceri italiane più del 25% circa dei detenuti è tossicodipendente ed anche il 20% degli stranieri ha problemi di droga. Se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga. Alcuni recenti fatti di cronaca hanno dimostrato che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati o di familiari e amici si ristretti ammessi a colloquio, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari. Spesso è la professionalità della Polizia Penitenziaria a consentire di individuare i responsabili e di denunciarli all’autorità giudiziaria, ma ciò non è sufficiente. Nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi. La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all’esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Nonostante ciò queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commetto reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione”. San Petrignano: bene governo su alternative a carcere Piace alla comunità di San Patrignano l’apertura di credito, da parte del ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione Andrea Riccardi, sul possibile incremento del ricorso alle misure alternative al carcere per i detenuti tossicodipendenti. “Siamo convinti da sempre - scrive la comunità di recupero riminese in una nota - che il carcere non sia il luogo ideale per progettare un reale recupero dalla tossicodipendenza in condizioni drug free viste le condizioni di sovraffollamento, la circolazione delle sostanze stupefacenti e l’uso in mantenimento e quindi non orientato al recupero, dei farmaci sostitutivi”. A giudizio di San Patrignano, appare necessario migliorare e rendere più fluidi gli strumenti già esistenti, facilitando l’accesso al carcere di operatori in grado di motivare i detenuti tossicodipendenti a scegliere programmi drug free, peraltro già previsti dalla legge. Non a caso, dal 1988, la comunità ha accolto oltre 3.600 persone in regime di arresti domiciliari e di affidamento in prova ai servizi sociali, sostituendo più di 4.000 anni di carcere in percorsi riabilitativi orientati al pieno recupero e al reinserimento sociale e lavorativo. Nel solo 2011, chiosa la nota, sono state presenti in comunità 54 ragazzi agli arresti domiciliari e 121 con provvedimenti di affidamento o di detenzione. La comunità si è occupata di circa 500 processi penali e di 50 cause civili. India: caso marò italiani, nuovo rinvio della Corte suprema Corriere della Sera, 9 maggio 2012 Rimandata al 26 luglio decisione su legittimità arresto. Da decidere entro la settimana il trasferimento in “luogo diverso dal carcere”. La Corte Suprema indiana ha rinviato al 26 luglio il ricorso italiano relativo alla legittimità costituzionale dell’arresto dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati della morte di due pescatori indiani. Già fissata per martedì, l’udienza è stata rinviata ad oggi su richiesta dei legali dei marò che hanno chiesto più tempo per studiare la memoria contraria alla richiesta italiana depositata dal ministero degli Esteri indiano. L’India rivendica il diritto dello Stato del Kerala a processare i due fucilieri del San Marco, sostenendo che “la richiesta italiana è mal concepita”. Nell’udienza, la Corte Suprema ha ordinato allo stato del Kerala di prendere una decisione entro una settimana sul trasferimento dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in un “luogo che non sia il carcere”. La decisione sul trasferimento deve essere presa “nello spirito” di quanto già disposto dal giudice di Kollam, nel Kerala, che sta istruendo la causa contro i due marò detenuti a Trivandrum con l’accusa di aver ucciso due pescatori lo scorso 15 febbraio mentre si trovavano in servizio di anti pirateria sulla petroliera Enrica Lexie. Lo scorso 5 marzo, il magistrato di Kollam aveva deciso l’incarcerazione dei due marò lasciando però liberi polizia e Direzione delle carceri del Kerala di studiare una collocazione “diversa” da quella offerta dal penitenziario centrale di Trivandrum. Nonostante le insistenze degli italiani, da allora non si è arrivato però ad alcuna soluzione alternativa. Il team legale italiano, guidato dall’avvocato Harish Salve, ha quindi deciso di sollevare il caso con una petizione davanti alla Corte Suprema di New Delhi nell’udienza dedicata a discutere il ricorso della legittimità costituzionale. A sua difesa, il rappresentante del Kerala, Gopal Subramaniam ha detto che il trasferimento in una “guest-house”, come richiesto dall’Italia in considerazione dello status dei due marò, non è stata finora possibile perché “richiede tempo trovare un’adeguata sistemazione con le necessarie misure di sicurezza”. Nella seduta è stato anche sottolineato che il governo di New Delhi non ha obiezioni all’eventuale trasferimento. Nell’ordine della Corte Suprema è inoltre precisato che la sistemazione al di fuori del carcere dei due marò “non limita il diritto di chiedere la libertà provvisoria dietro cauzione”. Venezuela: sparatoria in carcere nel nord, polizia usa gas lacrimogeni La Presse, 9 maggio 2012 Una sparatoria è scoppiata nella prigione venezuelana di La Planta, nel nord del Paese, dove la polizia ha usato gas lacrimogeni per riportare la situazione sotto controllo. La portavoce della struttura, Iris Varela, ha riferito in televisione che un gruppo di detenuti ha organizzato una protesta contro il trasferimento in altre carceri. Soldati della Guardia nazionale in tenuta antisommossa sono appostati fuori dalla prigione, circondata da fumo provocato dai gas lacrimogeni. Le emittenti locali hanno mostrato i parenti dei detenuti in lacrime fuori di fronte alla struttura, due dei quali curati dai vigili del fuoco per aver respirato il gas. La portavoce della prigione ha fatto appello alla calma, spiegando che molti detenuti sono già stati trasferiti altrove perché le autorità hanno in programma di chiudere la struttura sovraffollata. Al momento non ci sono notizie di feriti nella sparatoria. Ucraina: Yulia Timoshenko dopo 18 giorni interrompe lo sciopero della fame Ansa, 9 maggio 2012 Dopo 18 giorni senza mangiare, con 10 kg in meno, una temperatura corporea scesa a 35,7 gradi e una pressione molto bassa, la leader dell’opposizione ucraina Yulia Timoshenko interromperà oggi lo sciopero della fame iniziato dopo aver denunciato di essere stata picchiata in carcere. Ad annunciarlo è la figlia Ievghenia. Kiev intanto è stata costretta a rimandare l’imminente vertice di Yalta, boicottato da molti presidenti dell’Europa centro-orientale per solidarietà alla Timoshenko. L’eroina della Rivoluzione arancione non potrà tornare subito a mangiare come se nulla fosse. Prima, spiega la figlia, “ci vorrà una terapia di due settimane”, nella quale sarà seguita dal medico tedesco Lutz Harms, che ieri ha visto l’ex premier in carcere. La Timoshenko potrebbe aver deciso di terminare lo sciopero della fame per le sue condizioni di salute che, secondo Olexandr Plakhotniuk, uno dei suoi avvocati, a forza di “bere solo acqua”, sarebbero gravemente peggiorate, al punto che avrebbe perso addirittura dieci chili di peso. Intanto ieri, a dispetto di quanto dichiarato appena quattro giorni fa, la Timoshenko ha deciso di non farsi ricoverare all’ospedale di Kharkiv. Almeno non ancora, visto che, stando al sistema penitenziario ucraino, già da oggi potrebbe iniziare a curare l’ernia al disco di cui soffre da mesi nella clinica scelta dal governo. La figlia dell’ex premier mette però le mani avanti: saranno i medici tedeschi, sostiene, a decidere se sua madre è nelle condizioni adatte per essere trasferita dal carcere all’ospedale o meno. E comunque la Timoshenko accetterà di farsi ricoverare all’ospedale delle Ferrovie solo se sarà curata da sanitari di sua fiducia, quindi dai medici tedeschi della clinica “Charit” di Berlino. Finora l’ernia al disco di cui soffre l’ex premier non è stata curata adeguatamente. Il governo ucraino ha insistito a lungo perché la Timoshenko fosse curata in cella. Yulia Tymoshenko trasferita in ospedale di Khariv La leader della Rivoluzione arancione Yulia Tymoshenko è stata trasferita nell’ospedale di Khariv per essere sottoposta alle cure di un team internazionale di medici, tra cui uno specialista tedesco. “La Tymoshenko è stata trasferita in ospedale per essere curata da un gruppo di medici internazionali”, recita un comunicato del centro penitenziario dove era detenuta. Un corrispondente dell’Afp ha riferito di aver visto l’ex premier ucraina entrare in un convoglio di auto blindate proveniente dal carcere dove sta scontando una condanna a sette anni. La Tymonshenko aveva annunciato ieri l’intenzione di sospendere lo sciopero della fame iniziato ad aprile per protesta contro le violenze e i maltrattamenti subiti da parte delle guardie carcerarie. Con il suo trasferimento le autorità di Kiev puntano a disinnescare la crisi diplomatica che minaccia gli Europei di Calcio. Svezia: bufera sull’Ikea, sfruttava prigionieri politici a Cuba e Berlino Est per costruire armadi Panorama, 9 maggio 2012 Bufera su Ikea. Dopo le accuse di avere impiegato dei prigionieri cubani negli anni Ottanta per costruire i suoi mobili, adesso una nuova tegola cade sulla testa del colosso svedese dell’arredamento. Un ex prigioniero politico della Germania dell’Est ha denunciato di essere stato costretto ai lavori forzati per Ikea durante la sua detenzione. Adesso la storia passa nelle mani dei giudici ed Ikea rischia grosso, soprattutto in termini di immagine. Secondo le accuse, durante gli anni Ottanta il popolare mobilificio low-cost svedese ha siglato accordi con le autorità cubane e con la Stasi (i servizi segreti della Ddr), per utilizzare prigionieri politici nelle sue fabbriche. Questo genere di “politica aziendale” in realtà sarebbe stata adottata sin dagli anni Settanta, ma solo nel 1987 viene formalizzata con un accordo scritto, di cui è rimasta traccia negli archivi della Stasi. Tramite i “buoni uffici” della Germania dell’Est, le prigioni di Cuba hanno aperto le porte al mobilificio fondato nel 1943 da Ingvar Kamprad, dopo aver ricevuto il lasciapassare da parte del ministro degli interni dell’Avana. Secondo il documento, i siti di produzione Ikea vennero “incorporati nelle aree delle prigioni” che lo permettevano. In base al contratto del 1987, riportato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, Cuba si è impegnata a produrre 35mila tavoli da cucina, 10mila tavolini per bambini e 4mila armadi. E fin qui, Cuba. Ma un’altra denuncia adesso arriva dalla Germania, dove Dirk Maschke, ex detenuto nel carcere di Berlino est nel 1987, ha raccontato allo Spiegel di essere stato costretto ai lavori forzati per Ikea dagli agenti della Stasi e che, durante i turni di lavoro massacranti, i detenuti venivano sottoposti ad ogni genere di angheria da parte dei loro aguzzini, incluse percosse e violenze. Tanto che ancora oggi, dopo 25 anni, Maschke soffre di stress post-traumatico e si tiene ben lontano da tutto ciò che gli ricordi quella drammatica esperienza. Addetto alle cerniere per gli armadi. Questo era il compito del detenuto tedesco, arrestato e condannato a 19 anni di carcere con l’accusa di avere “causato danni alle istituzioni dello Stato con la sua attività”. Insomma, Maschke, che allora aveva 22 anni, aveva cercato più volte di raggiungere l’altra metà della sua famiglia, che viveva a Berlino ovest. La reazione di Ikea è stata immediata, soprattutto in seguito al polverone sollevato dalla telvisione svedese. I vertici del colosso di Kamprad hanno dichiarato di avere aperto un’inchiesta interna, per verificare se le loro informazioni coincidono con i documenti della Stasi. Un portavoce dell’azienda ha fatto sapere che Ikea “condanna l’utilizzo dei prigionieri politici” nelle sue fabbriche, e lo fa in modo netto e trasparente. L’azienda ha preso la faccenda molto seriamente, nonostante abbia negato l’utilizzo di lavoratori che scontavano una pena nelle carceri della Germania orientale e di Cuba. Ma, bisogna dire che Ikea non è nuova a questo genere di tempeste. L’anno scorso, Ingvar Kamprad fu accusato di essere stato un membro dello Svensk Socialistisk Samlin, il successore del partito nazista svedese. All’epoca Kamprad aveva 17 anni e le sue simpatie per i nazisti risultano da diverse lettere e testimonianze scritte. L’imperatore del mobile fai-da-te decise allora di mettere tutto a tacere, portando a 1 miliardo di dollari l’anno i fondi distribuiti da Ikea a varie organizzazioni umanitarie che curano progetti in Africa. Adesso, come si scuserà con i prigionieri cubani e con quelli della Ddr? Stati Uniti: detenuto candidato alle primarie del partito democratico, ottiene il 40% dei voti Ansa, 9 maggio 2012 Alle primarie democratiche in West Virginia, un detenuto di 53 anni ha strappato oltre il 40 per cento dei voti al presidente Barack Obama e in otto contee lo ha addirittura battuto. Lo riferisce la Cnn citando il segretario di stato della West Virginia, secondo cui il detenuto, Keith Judd, secondo i dati non ancora definitivi del voto di ieri, ha ottenuto il 42,28 per cento dei voti, contro il 57,72 per cento di Obama. Attualmente Judd si trova nel carcere di Texarcana, in Texas, dove sta scontando una condanna a 210 mesi di reclusione per estorsione. La data di scarcerazione prevista è 24 giugno 2013. Per ottenere almeno un delegato alla convention democratica in programma ai primi di settembre a Charlotte, in North Carolina, Judd ha bisogno giusto del 15 per cento dei voti. Per partecipare alle primarie in West Virginia ha dovuto solo pagare un contributo da 2.500 dollari e riempire un formulario. Probabilmente, non ha scelto la West Virginia a caso. Obama, infatti, qui non ha mai vinto. Alle primarie di quattro anni fa, l’ex first lady Hillary Clinton ottenne su di lui una schiacciante vittoria: 67 a 26 per cento, mentre alle elezioni presidenziali del novembre successivo ebbe la meglio il suo rivale repubblicano John McCain con un netto 56 a 43 per cento.