Giustizia: emergenza carceri… emergenza di civiltà La Repubblica, 8 maggio 2012 Emma Bonino, parlando in piazza in occasione del 25 aprile, ha definito il carcere una cloaca sociale nella quale vengono scaricati tutti i problemi che la società non è in grado di affrontare. Nei giorni successivi il presidente del Senato, Renato Schifani, presumibilmente dopo avere informato il presidente della Repubblica, si è riservato di investire con urgenza del problema le altre autorità dello Stato. Purtroppo fino a oggi il “governo dei tecnici” non è riuscito a realizzare qualcosa di significativo per avviare a soluzione la crisi. A fronte dello scandalo del sovraffollamento - circa 67.000 detenuti per una capienza di 45.000 - il ministro Paola Severino ha adottato un decreto pomposamente definito “svuota carceri”, convertito in legge il 17 febbraio. Accanto ad alcune opportune modifiche del Codice di procedura penale, è stato ampliato da un anno a diciotto mesi il tempo conclusivo di pena che, ricorrendo determinate condizioni, il condannato può trascorrere non in carcere ma agli arresti domiciliari. Mancano ancora i dati relativi all’efficacia del provvedimento, ma secondo molte stime la riduzione sarà minima. Tra l’altro, allarma la tendenza alla crescita del numero dei ristretti in carcere pur in assenza di particolari esplosioni di criminalità. A fronte dell’aumento continuo della popolazione detenuta, l’idea che si propone è quella dell’aumento progressivo dei “posti letto”. Saranno 80.000 a fine legislatura, diceva l’ex ministro Alfano; e anche con il nuovo governo l’idea di costruire nuove carceri riaffiora. Eppure il problema, per la democrazia, è quello del come ridurre il numero dei reclusi, o di restringere i casi della cosiddetta “carcerazione preventiva”, considerando il carcere, in una caso e nell’altro, una restrizione della libertà dettata da estrema necessità. Il fatto è che oggi la politica criminale, anziché ispirarsi alla prospettiva del diritto penale minimo, con la deflazione dei reati e con l’individuazione per quanto riguarda la pena di sanzioni diverse dal carcere, è dettata dalla logica di un intervento repressivo continuamente crescente. La tendenza non è nata oggi. Se nel corso degli anni novanta il numero dei detenuti era inferiore ai 50.000, nel 1999 è salito a 51.000, e nel 2000 a 53.000, significative avvisaglie di quel che stava per arrivare. Poi la crescita è stata costante. Tale prospettiva dà il senso di un cambiamento radicale nella concezione stessa della pena in Italia. Quasi a voler dire: nella società neoliberista per ogni tipo di devianza marginale, comunque determinata, la risposta è una sola, il carcere, cioè l’esclusione. Non a caso si è parlato di un passaggio dallo stato sociale allo stato penale. Sembra infatti che l’abbandono del welfare imponga di governare in altro modo, più semplice, la criticità sociale. Di qui la criminalizzazione e la carcerazione crescenti. Certo, è difficile che il governo Monti possa invertire la rotta, o anche solo dare un qualche sostegno alla giusta richiesta del partito radicale di un provvedimento di amnistia-indulto. E però dando una prima risposta alla sollecitazione del presidente Renato Schifani il Parlamento potrebbe adottare con urgenza qualche intervento riformatore, come un’abrogazione parziale della legge sulle droghe (Franco Corleone, già sottosegretario nel primo governo Prodi, ha ricordato di recente che un terzo di coloro che ogni anno entrano in carcere deve rispondere di detenzione di sostanze stupefacenti). Nel clima che si determinerebbe, i magistrati potrebbero essere indotti a utilizzare in modo più discreto la custodia cautelare in carcere degli indagati. Cosa avverrà? Certamente bisognerà trovare un rimedio per questa situazione che, oltre a determinare la violazione di diritti fondamentali delle persone, disonora il nostro paese. Giustizia: don Luigi Ciotti; sovraffollamento delle carceri per colpa di leggi, non di reati Redattore Sociale, 8 maggio 2012 Don Luigi Ciotti punta il dito contro la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. “Sono state fatte per incarcerare. Il grande killer è la sicurezza, in suo nome si è fatto di tutto. E allo stesso tempo si è andati alla ricerca di leggi ad personam”. Le carceri scoppiano per colpa delle leggi, non perché sono in aumento i reati. Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente del Gruppo Abele, punta il dito contro due leggi in particolare: la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sul consumo di droghe. “Sono state fatte per incarcerare - afferma il sacerdote. Allo stesso tempo con la ex Cirelli si impedisce ai recidivi di accedere alle misure alternative”. Sui perché il carcere scoppia e come si può uscire da una situazione così disumana, il gruppo Abele ha organizzato una due giorni di studio, lunedì 7 e martedì 8 maggio, alla Certosa di Avigliana, in provincia di Torino, dal titolo “Qualcosa di meglio del carcere”. “Il grande killer è la sicurezza - ha detto in apertura delle giornate -, in sui nome si è fatto di tutto. E allo stesso tempo si è andati alla ricerca di leggi ad personam”. Secondo il sacerdote è necessario ripartire dalla cultura. “Viviamo in un periodo di pensieri sbrigativi - ha aggiunto -, in cui pochi cercano di capire le ragioni del malessere. Il punto è che più carcere non significa più sicurezza. Anzi. Gli interventi sociali possono fare più della repressione penale”. Alle giornate di studio sono stati invitati magistrati, operatori penitenziari e rappresentanti del mondo del volontariato e del terzo settore. “Sul tema carcerario è necessario che si apra una nuova stagione caratterizzata da una rinnovata attenzione garantista della magistratura e da un intervento più ampio e coraggioso del legislatore - aggiunge Livio Pepino, responsabile Edizioni Gruppo Abele. In carcere si sta male. Stanno male i detenuti, gli operatori e il personale di custodia. Lo dimostra, anche in termini quantitativi, l’aumento dei suicidi e degli atti di autolesionismo: oltre un migliaio di persone l’anno, detenuti ma anche agenti penitenziari, attentano alla propria vita e il numero di morti ha sfiorato nel 2011 le 200 persone. Lo Stato penale sta sempre più sostituendo lo Stato sociale, con un effetto paradossale: la sensazione di insicurezza dei cittadini non diminuisce e il carcere si riempie di marginali (migranti, assuntori di sostanze, poveri, persone con disturbi psichiatrici)”. Giustizia: audizione del Comitato “Stop Opg” in Commissione d’inchiesta al Senato Ristretti Orizzonti, 8 maggio 2012 Il Comitato nazionale Stop Opg in audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, sulla nuova legge (9/2012) per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Nel corso dell’audizione abbiamo espresso grande preoccupazione per il rischio che tutto il processo di superamento degli Opg si riduca al trasferimento degli internati nelle strutture regionali di internamento: i “mini Opg” (le nuove strutture previste dalla legge, in cui saranno disposte le misure di sicurezza detentive in luogo degli attuali Opg). Infatti, mentre oltre 1.300 persone restano internate nei vecchi Opg, non risulta che in generale le Aziende sanitarie locali e i Dipartimenti di salute mentale stiano organizzando presa in carico e dimissioni. Tutta l’attenzione è concentrata sulla discussione, tra Ministero della Salute e Conferenza delle Regioni, sul decreto che deve fissare i requisiti dei “mini Opg”. Mentre il vero obiettivo del processo di superamento degli attuali Ospedali Psichiatrici Giudiziari deve essere la dimissione delle persone internate e il loro inserimento sociale con Progetti terapeutico riabilitativi individuali, diversificati a seconda dei bisogni assistenziali. Riprodurre con le nuove strutture pratiche di istituzionalizzazione, con il binomio “cura e custodia” tipico del manicomio, sarebbe un fallimento. Per questo abbiamo presentato una serie di proposte per attuare la nuova legge, con la priorità assoluta di garantire alle persone internate misure alternative all’internamento e al ricovero, destinando le risorse stanziate ai Dipartimenti di Salute Mentale. Rendendoci disponibile, con i comitati regionali di Stop Opg, a monitorare l’attuazione di questo percorso. Infine, abbiamo confermato la necessità di intervenire alla radice del problema, con la modifica degli articoli del codice penale e di procedura penale inerenti a imputabilità, pericolosità sociale e misure di sicurezza, all’origine del retrivo istituto giuridico dell’Opg. Giustizia: Radicali; diritto di voto ai detenuti, presentato un disegno di legge Ristretti Orizzonti, 8 maggio 2012 Il disegno di legge, scaturisce dall’impegno e dalla riflessione dell’associazione radicale “Il detenuto ignoto”. Legislatura 16º - Disegno di legge N. 3092 dei senatori Poretti e Perduca. “Il presente disegno di legge dà attuazione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione II, 18 gennaio 2011, Presidente Tulkens, ricorso n. 126/05, Scoppola contro Italia (n. 3): essa recepisce istanze da tempo enunciate, fondate sul sacrosanto principio secondo cui i diritti civili e politici sono universali; fra i diritti politici, in primo luogo, vi è il diritto all’elettorato attivo. L’esclusione di coloro che sono in esecuzione penale, a volte anche dopo molti anni dal “fine pena”, ossia sino a che non interviene la riabilitazione, configura un’ingiustificata preclusione all’esercizio di uno dei diritti fondamentali dell’individuo. Il presente disegno di legge prevede l’eliminazione della privazione del diritto di elettorato attivo dall’elenco delle pene accessorie. La complessiva serie di effetti che consegue alla condanna continua a rispecchiare un’ottica di esclusione dal contesto sociale e democratico, e comunque non di aiuto al recupero sociale della persona che, pur avendo sbagliato e scontato la sua pena, si trova privata di importanti diritti, quali, ad esempio, il diritto di elettorato attivo. Tale limitazione non può che costituire uno scoglio insormontabile ai fini di un effettivo reinserimento sociale: per tale motivo, è dunque auspicabile un intervento legislativo in un campo che da tempo non ha subito modifiche migliorative e che, invece, avrebbe effetti positivi proprio in vista di quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Eppure, non trovando soddisfazione a livello nazionale, il ricorso fondato su questi elementari princìpi di civiltà ha trovato accoglimento a Strasburgo: nella citata sentenza la Corte - pur muovendo dall’affermazione per cui il diritto di voto è suscettibile di limitazioni ad opera del legislatore nazionale, che gode di un ampio margine di apprezzamento - ha rivendicato il proprio sindacato sulla compatibilità convenzionale delle scelte operate dai parlamenti nazionali; sindacato volto a verificare se la soluzione adottata a livello nazionale sia rispettosa del dettato dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e in particolare se la limitazione al principio del suffragio universale riposi su giustificazioni legittime e se sia proporzionata. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che la restrizione del diritto elettorale attivo esistente in Italia non rispettasse il requisito della proporzione, riscontrando anche a proposito della normatività italiana quel carattere di automatismo che è dimostrato dal fatto che della condanna all’interdizione perpetua dai pubblici uffici (e, conseguentemente, della privazione del diritto di voto) non venga neppure fatta esplicita menzione nella sentenza di condanna. Si può dedurre anzitutto, dal testo della sentenza europea, che le censure della Corte non coinvolgono le restrizioni del diritto di elettorato passivo, che infatti il presente disegno di legge fa salve. I giudici di Strasburgo riconoscono, poi, che la previsione da parte della legge di restrizioni all’esercizio del diritto di voto per coloro che hanno riportato condanne penali non è, di per sé, in contrasto con il dettato convenzionale. La scelta è quindi tra rimuoverle del tutto, ovvero rimuovere soltanto la loro automaticità, senza che vi sia stato un accertamento giurisdizionale - che trovi eco in motivazione - circa la proporzione della misura in rapporto alla condotta dell’autore del reato, alle sue condizioni personali e alle circostanze fattuali del caso di specie. La scelta del presente disegno di legge è la prima, e più semplice delle due alternative: ciò anche alla luce di quanto sia già difficile l’esercizio del diritto di voto attivo per coloro che in carcere (i detenuti in custodia cautelare e quelli condannati per reati “non ostativi”) conservano il diritto di voto. Si tratta di una popolazione stimabile in più di trentamila detenuti, di cui appena il 10 per cento nelle scorse elezioni ha avuto modo di esercitare tale imprescindibile diritto-dovere. L’enorme astensionismo delle persone detenute non è solo dovuto a disinteresse, spesso è anche conseguenza di ritardi nell’informazione e nelle procedure che intercorrono dalla “domandina” del singolo detenuto al rilascio della tessera elettorale da parte dei comuni, all’allestimento dei seggi “volanti” negli istituti di pena. L’associazione “Il detenuto ignoto” ha più volte monitorato come nel periodo pre-elettorale, a soli quindici giorni dall’appuntamento per le elezioni, spesso nelle bacheche di molte carceri non vengono affisse le istruzioni di ciò che devono fare i detenuti per essere ammessi al voto in carcere. Questo è sicuramente grave, anche perché il diritto-dovere di voto dovrebbe essere incoraggiato tra i detenuti, in adempimento del fine prioritario di “rieducazione” che la Costituzione affida alla pena in Italia, invece risulta essere spesso, di fatto, ostacolato. Non consentire ai detenuti che mantengono l’elettorato attivo una partecipazione libera al voto significa vanificare e calpestare quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione. Significa dare luogo a un ignobile meccanismo di “cancellazione sociale” dell’individuo recluso e a una, veramente inaccettabile, privazione di diritti. Il presente disegno di legge, che scaturisce dall’impegno e dalla riflessione dell’associazione radicale “Il detenuto ignoto”, mira quindi ad eliminare la privazione del diritto di elettorato attivo dal novero delle pene accessorie, e in particolare dalle limitazioni attualmente riconducibili all’interdizione dai pubblici uffici, previste all’articolo 28 del codice penale. Di conseguenza, si prevede anche l’eliminazione, dal testo unico sulle liste elettorali (di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223) del riferimento ai condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici (lettera d) del comma 1 dell’articolo 2) e di coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata (lettera e) del medesimo comma). Testo del Disegno di Legge Art. 1. 1. L’articolo 28 del codice penale è sostituito dal seguente: “Art. 28. - (Interdizione dai pubblici uffici). - L’interdizione dai pubblici uffici è perpetua o temporanea. L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato: 1) del diritto di elettorato passivo o di eleggibilità, in qualsiasi comizio elettorale; 2) di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; 3) dell’ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura; 4) dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche; 5) degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico; 6) di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque ufficio, servizio, grado, o titolo e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti; 7) della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti. L’interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l’interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze. Essa non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque. La legge determina i casi nei quali l’interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi”. Art. 2. 1. All’articolo 2, comma 1, del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, le lettere d) ed e) sono abrogate. Emilia Romagna: l’Assemblea legislativa chiede potenziamento scuole per detenuti Dire, 8 maggio 2012 Potenziare le lezioni scolastiche all’interno delle carceri in Emilia-Romagna, soprattutto per i detenuti stranieri. A chiederlo è una risoluzione presentata dalla capogruppo Idv in Regione, Liana Barbati, e approvata oggi dall’Assemblea legislativa con i voti della maggioranza (contrari Pdl e Lega nord). Il documento impegna quindi la Giunta Errani a “supportare e consolidare la rete fra soggetti pubblici e privati che programmano e realizzano corsi di lingua italiana ed educazione civica rivolti a cittadini stranieri in regime di detenzione”. Le scuole dentro i penitenziari, in particolare le classi di elementari e medie, hanno subito negli ultimi anni “tagli al personale docente”. A questo va aggiunto “l’alto tasso di detenuti extracomunitari” nelle carceri emiliano-romagnole, che raggiunge il 52,4% contro il 36,7% della media nazionale. Ad aggravare la situazione, sostiene Barbati, ci pensa infine il “forte sovraffollamento” degli istituti in Emilia-Romagna, dove l’indice è del 182,5% contro la media nazionale del 151%. Il mix di questi problemi rende dunque complicata l’istruzione scolastica in carcere. Nella risoluzione si chiede dunque alla Giunta regionale di collaborare col Garante “per realizzare il coordinamento e la razionalizzazione dei contenuti e delle azioni formative, in modo da comporre un quadro d’insieme dell’offerta e della programmazione degli interventi”. Inoltre, la maggioranza chiede i vertici di viale Aldo Moro di “favorire nei tavoli di lavoro interistituzionali l’attività di definizione di indicatori di qualità per la progettazione di percorsi formativi, l’attività di coordinamento e sostegno finalizzato all’aggiornamento degli insegnanti e anche la programmazione di un’offerta linguistica complementare a quella dei Centri territoriali permanenti”, da cui dipende la scuola in carcere. Contrari Pdl e Lega nord: per il capogruppo del Carroccio, Mauro Manfredini, la risoluzione “si occupa di una spesa di importanza secondaria a fronte della crisi economica in atto”. Cagliari: nuovo stop al carcere di Uta, spesi inutilmente 40 milioni di soldi pubblici L’Unione Sarda, 8 maggio 2012 “Danno e beffa che meritano un’attenta analisi. Opere Pubbliche ha incassato circa 40 milioni di euro, una parte rilevante dei 58 milioni e 840 mila euro stanziati dallo Stato per la costruzione del nuovo carcere di Cagliari”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento all’ennesima sospensione dei lavori nel cantiere di Uta in seguito al mancato pagamento degli stipendi ai lavoratori e al licenziamento di undici operai. “Appare sconcertante che mentre il Presidente del Consiglio invita i cittadini a segnalare gli sprechi, nella relazione del Ministero della Giustizia a quello dei Rapporti con il Parlamento, non si faccia - sottolinea Caligaris - alcun cenno ai gravissimi ritardi nel completamento delle opere la cui realizzazione doveva essere ultimata da oltre un anno. Il fallimento del Piano straordinario carceri promosso dal Consiglio dei Ministri nel gennaio 2009 è chiaro ormai a tutti ma non sembra interessare il Governo”. “In una situazione di totale immobilità, l’unica strada percorribile - afferma la presidente di SDR - è quella di un sopralluogo di tecnici del Ministero competente in grado di valutare l’entità della struttura e fornire spiegazioni sul comportamento anomalo di Opere Pubbliche che pur avendo utilizzato le facilitazioni derivanti dal carattere di urgenza dei lavori, senza rispettare tempi, adempimenti e assumendo atteggiamenti lesivi dei diritti dei lavoratori non ha risolto il problema del sovraffollamento, imperativo categorico del Piano ministeriale”. “La questione peraltro non si limita al caso Uta. Si deve ricordare che l’investimento complessivo del Piano in Sardegna è stato di 160 milioni di euro. Oltre quello di Cagliari, sono stati finanziati i nuovi Istituti Penitenziari di Sassari (53 milioni e 710 mila euro), Oristano (36 milioni e 150 mila euro) e Tempio (33 milioni). Nessun nuova struttura però è entrata in funzione con buona pace - conclude Caligaris - di quelli che ritengono la trasparenza un valore da perseguire costantemente e gli Istituti Penitenziari di grandi dimensioni sono antistorici e antieconomici”. Modena: l’assessore Francesca Maletti risponde a un’interrogazione sul carcere S. Anna www.modena2000.it, 8 maggio 2012 “Sono 328 le persone attualmente detenute al carcere di S. Anna; un numero più contenuto rispetto al passato, perché tre sezioni sono state svuotate per consentire il rifacimento di sistema idrico e docce, ma, dal momento che i lavori in atto rendono inutilizzabili anche degli spazi, non mutano le condizioni di sovraffollamento del carcere”. Lo ha detto l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Modena Francesca Maletti rispondendo all’interrogazione illustrata in Consiglio comunale lunedì 7 maggio da Federico Ricci di Sinistra per Modena. “A luglio - ha precisato l’assessore - si concluderanno i lavori e occorrerà ragionare attentamente sul numero di persone da detenere, perché più detenuti ci sono, più è difficile garantire i diritti umani”. Il consigliere, che ha presentato l’istanza a febbraio, dopo aver ricordato i decessi avvenuti in altre carceri italiane, ha chiesto “se il freddo abbia determinato condizioni di sofferenza tra i carcerati di S. Anna” e ha soprattutto insistito sulla necessità di garantire i diritti umani nel carcere, anche evitando condizioni di sovraffollamento. Ha inoltre, sottolineato la necessità di istituire in Italia un’autorità indipendente, “un Osservatorio che avrebbe competenza anche sulla realtà modenese, attraverso l’assunzione di un protocollo europeo firmato anche dall’Italia ma mai ratificato”. L’assessore ha riferito che “nelle sezioni di detenzione del S. Anna il riscaldamento è perfettamente funzionante e lo è stato anche fra gennaio e febbraio, quindi nessun detenuto è stato leso nel diritto di essere custodito in un ambiente adeguatamente riscaldato. Diversamente è accaduto in altre aree, come il salone privo di riscaldamento e il cui utilizzo è stato quindi limitato”. Inoltre, dei detenuti presenti al S. Anna circa il 70 per cento sono stranieri, 27 donne e solo 140 con condanna definitiva. L’organico di polizia penitenziaria è costituito da 177 unità, quelle assegnate sono 193, di cui 27 distaccate in altri istituti della provincia e altre tre in aspettativa. L’assessore ha anche ricordato le attività che si svolgono all’interno della casa circondariale, a partire dai corsi professionali, finanziati dalla Provincia, e dedicati alla coltivazione di prodotti biologici e alla ristorazione. Altre iniziative riguardano la danza terapia nella sezione femminile, dove a breve partirà anche un laboratorio per la lavorazione dei tessuti. Nella sezione maschile, oltre ai corsi scolastici, è attivo un laboratorio di arte terapia e un corso di gipsografia finanziato dal Rotary. A cadenza periodica si svolgono anche attività di gruppo per detenuti stranieri, per quelli tossicodipendenti e corsi di genitorialità. Maletti ha infine detto che a Modena il garante dei detenuti coincide con quello regionale proprio perché non è facile interloquire con la direzione provinciale penitenziaria e che a breve si terrà un Comitato locale carcere, in cui saranno affrontate le tematiche discusse in Consiglio. Sandro Bellei del Pdl ha chiesto la trasformazione in interpellanza per comunicare al Consiglio che nei prossimi giorni (lunedì 14 maggio) al Sant’Anna saranno ufficialmente presentati alcuni locali offerti dai Lions club della provincia di Modena e destinati a ospitare i figli dei detenuti durante le visite delle famiglie. Per il Pd, Francesco Rocco, tra i firmatari dell’interrogazione, è intervenuto per sottolineare l’importanza di continuare a porre il problema delle condizioni di vita “disumane” all’interno del carcere e di farlo sia per i detenuti e per il personale penitenziario, che per un fattore culturale di civiltà. Anche Maurizio Dori ha ribadito che spesso “i diritti umani vengono calpestati nei carceri italiani” e “il sovraffollamento mette a rischio l’incolumità dei detenuti e del personale penitenziario”. In conclusione, Ricci ha dichiarato che è “difficile dirsi soddisfatti o insoddisfatti di fronte ai dati forniti dall’assessore che costituiscono una cartina di tornasole della situazione”. Ha ricordato che “da un recente sondaggio Swg risulta che la maggior parte degli italiani avverte come prioritaria la risoluzione del problema del sovraffollamento delle carceri” e ha ricondotto il fenomeno all’uso eccessivo della custodia cautelare, alla legge sull’immigrazione e a quella sulle droghe che produce oltre un terzo degli ingressi carcerari, “laddove nel 2011 l’Onu ha preso atto del fallimento di questa politica, che non colpisce le cause ma crea solo sovraffollamento”. Ricci ha anche chiesto all’assessore di farsi portavoce presso la direttrice del carcere del rilancio di misure alternative e di recupero sociale. Cagliari: Sdr; si sono aggravate condizioni salute di un detenuto malato di aids Comunicato stampa, 8 maggio 2012 “Si sono aggravate le condizioni di salute di S.I., 40 anni, cagliaritano, malato di Aids, ricoverato nel Centro Diagnostico Terapeutico della Casa Circondariale di Buoncammino. L’uomo, gravemente sofferente, è costretto su una sedia a rotelle. Una situazione che sta trasformando la pena detentiva in una tortura fisica psicologica”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha raccolto il nuovo appello del detenuto. “La vita all’interno di una struttura penitenziaria vetusta e sovraffollata - sottolinea Caligaris - costituisce di per sé motivo di afflizione. Quando le condizioni di salute sono compromesse, come nel caso di una malattia grave come l’Aids, la permanenza provoca un profondo disagio. L’uomo non è più in grado di badare a se stesso e non riesce più a trovare sollievo neppure con l’impegno dei medici, degli infermieri e degli Agenti di Polizia Penitenziaria”. “S.I. - evidenzia la presidente di SDR - è assistito dai familiari con i quali effettua regolari colloqui. La famiglia ha manifestato all’assistente sociale dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE) la disponibilità ad accoglierlo a casa. L’uomo però manifesta un atteggiamento rassegnato e sfiduciato. È convinto che la sua prospettiva di vita è seriamente compromessa e il suo stato non cambierà”. Il detenuto, assistito dall’avvocato Anna Maria Busia, ha presentato istanza di differimento pena al Tribunale di Sorveglianza di Cagliari lo scorso febbraio, ma ancora inspiegabilmente la domanda non ha ottenuto risposta. Bologna: detenuto domiciliare liberato con tre giorni di ritardo, presenta querela Dire, 8 maggio 2012 L’hanno liberato con tre giorni di ritardo, lunedì anziché venerdì, e ha deciso di non accettarlo. Per questo ha bussato in Procura per fare querela. Il protagonista è un moldavo di 20 anni, arrestato in febbraio per furto e ricettazione e finito prima in carcere e poi ai domiciliari. Stando a quanto denunciato dal suo legale Antonio Piccolo, il decreto con cui il gip stabiliva la liberazione per il 20enne sarebbe arrivato via fax al suo studio alle 11 di venerdì 13 aprile (quando l’avvocato era fuori città). Lo straniero, però, non è stato liberato fino a lunedì mattina, dopo che Piccolo, rientrato a Bologna, si è interessato della cosa e ha telefonato prima in Tribunale e poi al commissariato Bolognina-Pontevecchio. Ora la denuncia di Piccolo è sulla scrivania del procuratore aggiunto Valter Giovannini, che ha aperto un fascicolo conoscitivo sul caso e lo assegnerà ad un pm per accertamenti. “È stato il mio cliente a scegliere di presentare querela. Il fatto di non essere stato liberato non gli è proprio andato giù”, spiega Piccolo, a cui invece non sono piaciuti i “toni di sufficienza e tracotanza” che avrebbero usato gli agenti del commissariato Bolognina-Pontevecchio di fronte alle sue rimostranze di lunedì mattina. Nella querela sono raccontati i fatti. “Naturalmente sarà l’autorità giudiziaria a valutare la denuncia ed eventualmente a decidere la qualificazione dei fatti, io di mio ho richiamato il reato di sequestro di persona”, dice il legale. Piccolo aggiunge: “Sono cose che possono succedere, lo so e me ne rendo conto. L’errore può capitare, non è bello, ma può capitare. Quello che non mi è piaciuto sono stati i toni usati”. Piccolo spiega che il lunedì mattina, 16 aprile, dopo aver visto che era arrivato l’ordine di scarcerazione dal gip, ha contattato il suo cliente, scoprendo così che era ancora agli arresti domiciliari. “Per prima cosa ho contattato la cancelleria del gip per accertarmi che l’atto fosse stato trasmesso anche alla Polizia, perché a volte un disguido può capitare. Mi hanno detto che il fax era stato inviato al commissariato pochi minuti prima che a me”. Quindi di venerdì mattina. Eppure il 20enne moldavo era ancora chiuso in casa. A questo punto, Piccolo racconta di aver chiamato il commissariato per chiedere spiegazioni. “Mi hanno trattato con sufficienza. E allora io dico: non giochiamo con i diritti delle persone, perché con la libertà non si scherza”, spiega il legale, che si chiede: “E se io lunedì non mi fossi attivato, come sarebbe andata?”. Il ragazzo moldavo, alla fine, è stato scarcerato verso mezzogiorno del lunedì. Era agli arresti domiciliari per una custodia cautelare, spiega Piccolo, legata ad un arresto avvenuto a febbraio, quando insieme ad un’altra persona venne fermato a bordo di un’auto rubata. Per questa vicenda, spiega il legale, “ho già concordato con il pm un patteggiamento ad un anno e mezzo, pena sospesa, per il prossimo luglio”. È anche in virtù di questo accordo che il legale aveva fatto istanza di scarcerazione. A far “arrabbiare” il 20enne è stato anche il fatto che l’altro giovane arrestato con lui, che pure era in carcere (e non ai domiciliari), era stato liberato una settimana prima. “Avevo presentato istanza per entrambi, ma il gip l’ha firmata solo per il primo. Quando me ne sono accorto, ho segnalato la cosa al gip che la settimana successiva ha accordato la liberazione anche lui. Che però nel frattempo c’è rimasto male sapendo che l’altro era già libero”, conclude. Piacenza: convegno con Gherardo Colombo “questo carcere dovrebbe essere abolito” www.piacenzasera.it, 8 maggio 2012 Carcere, pena e recupero del detenuto. Sono questi i temi affrontati da Gherardo Colombo, ex magistrato divenuto famoso per aver condotto o contribuito a inchieste celebri quali la scoperta della Loggia P2, il delitto Giorgio Ambrosoli, Mani pulite, i processi Imi-Sir/Lodo Mondadori/Sme, durante un convegno con gli studenti dell’Università Cattolica di Piacenza. L’incontro è stato l’occasione per presentare il suo ultimo libro, “Il perdono responsabile”, dedicato ai temi della detenzione e delle pene sanzionatorie. “Il carcere, questo carcere dovrebbe essere abolito - spiega Colombo - Premesso che chi è pericoloso deve stare da un’altra parte, è comunque interesse della cittadinanza che le persone che abbiano commesso un reato vengano recuperati piuttosto che esclusi. Ma questo non succede”. Per rispondere a questa esigenza l’ex magistrato nel suo ultimo libro indaga quindi le basi di un nuovo concetto e di nuove pratiche di giustizia che lentamente emergono negli ordinamenti internazionali e nel nostro. Pratiche che non riguardano solamente i tribunali e le carceri, ma incoraggiano un sostanziale rinnovamento nel tessuto profondo della nostra società: riguardano l’essenza stessa della convivenza civile. E a proposito di convivenza civile e rinnovo della società, prima dell’incontro con gli studenti Colombo è tornato sul recente risultato elettorale delle amministrative, che ha visto in tutta Italia un forte astensionismo: “È una questione complicata - commenta Colombo - Oltre al fatto che la politica tradizionale ha dato prova di inadeguatezza, anche la cittadinanza complessivamente non è del tutto responsabile. Responsabilità vuol dire infatti dare e chiedere risposte, mentre c’è la tendenza a fare in modo che a risolvere i problemi siano altri”. “Da quanto leggiamo sui giornali - prosegue l’ex magistrato - sembra che il malaffare non sia scomparso dal mondo della politica. Del resto ci sarebbe da chiedersi perché dovrebbe essere diverso visto che non è stato fatto nulla per rendere più difficile la corruzione e nulla per rendere più facile la sua scoperta”. Roma: “Beccati a scrivere”; la rivista detenuti, venerdì presentazione a Rebibbia Dire, 8 maggio 2012 Oltre 150 persone hanno chiesto l’autorizzazione per entrare nel carcere di Rebibbia venerdì, quando a Roma la III casa circondariale si aprirà al pubblico per la presentazione della rivista “Beccati a scrivere”, realizzata da Express onlus con una redazione di giovani detenuti, e la mostra d’arte “Dentro la Gal(l)er(i)a” firmata made in Jail. “Beccati a scrivere” è un semestrale di 32 pagine realizzato dall’associazione Express onlus insieme ai giovani detenuti. Ogni uscita 1.500 copie saranno distribuite in tutte le carceri del Lazio, nel territorio circostante Rebibbia e tra i singoli e gli enti interessati. Un’iniziativa editoriale dell’associazione, con il patrocinio e il contributo del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio e con il patrocinio del Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’università la “Sapienza” di Roma. In redazione i detenuti presenti nell’istituto, che accoglie giovani tossicodipendenti in fase avanzata di trattamento e con un residuo di pena non superiore ai 6 anni. Direzione responsabile di Claudia Farallo, giornalista specializzata in media education. Nel primo numero: intervista ad Angiolo Marroni (garante dei diritti dei detenuti del Lazio) e commento di Mario Morcellini (direttore Dipartimento comunicazione e ricerca sociale, università Sapienza); cronache recluse di sport e teatro; racconti di vita dei ragazzi detenuti, le loro storie e le riflessioni sul cambiamento; come prevenire la tossicodipendenza; scheda segnaletica del gatto della III casa di Rebibbia, “Nerone El Gordo”, e ruolo degli animali in carcere; consigli per seguire un’alimentazione corretta (anche in un penitenziario); e infine ricette di cucina, cruciverba, poesie e umorismo. Intervengono alla presentazione, oltre a tutta la redazione (reclusa e non): Angiolo Marroni (garante dei diritti dei detenuti del Lazio), Valeria Giordano (Sociologia della metropoli, università Sapienza) e Gemma Marotta (Criminologia e sociologia della devianza, università Sapienza). Conduce l’incontro Daniela De Robert (giornalista Rai Tg2). Al termine della presentazione si inaugurerà la mostra d’arte “Dentro la Gal(l)er(i)a” dell’associazione made in Jail, con dimostrazioni pratiche di serigrafia. A pranzo, un rinfresco a cura dei ragazzi detenuti. L’appuntamento è, dunque, per venerdì dalle 10.30 alle 11.30, presso la III casa circondariale di Rebibbia in via Bartolo Longo 82 (metro B-Rebibbia). Immigrazione: assessore Teresa Marzocchi (Emilia Romagna) “esperimento Cie è fallito” Asca, 8 maggio 2012 “L’esperimento dei Cie (Centri identificazione espulsione) è fallito, occorre cambiare strutture che non hanno più senso di essere”. Lo comunica, in una nota, l’assessore regionale alle politiche sociali Emilia-Romagna, Teresa Marzocchi, al consigliere Roberto Sconciaforni (Fds) che, in una interrogazione alla Giunta a risposta immediata, chiedeva di intervenire sulla situazione del Cie di Bologna che dopo l’ulteriore abbassamento della quota giornaliera per la gestione della struttura per immigrati, con un bando al massimo ribasso (si passerà dagli attuali 72 euro a 28 euro a persona), porterebbe ad un aggravio della già difficile situazione, mettendo a rischio anche lo sportello Sos donna. L’assessore, dopo aver ricordato che i Cie sono di esclusiva competenza dello Stato (le gare di appalto per la gestione dei centri vengono effettuate dalle Prefetture) e che non esistono spazi di manovra per le Regioni, ha rilevato “di aver inviato, congiuntamente al Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, una lettera al ministro Cancellieri, nella quale si esprimeva la massima preoccupazione per quanto sta accadendo nei Cie, chiedendo di prendere in considerazione la necessità di garantire la difesa dei diritti e della dignità delle persone ristrette”. Una nuova informativa al ministro, ha aggiunto l’assessore, sarà inviata nei prossimi giorni dal presidente della Regione, Vasco Errani. Marzocchi ha poi concluso definendo la situazione dei trattenuti nei Cie “molto negativa”, evidenziando il recente rapporto della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, presentata il 17 aprile scorso, che parla dei Cie come di “una realtà spesso inaccettabile, in cui, nonostante il lavoro encomiabile degli operatori e delle forze dell’ordine, il tempo si fa vuoto, inutile... e come su questi temi gravi l’incapacità della politica di immaginare e attuare percorsi diversi, rispettosi della storia personale di ciascuno e attenti a valorizzare il contributo che la società può ancora ricevere da ognuno”. Sconciaforni, soddisfatto della risposta dell’assessore, ha definito i Cie “carceri, senza diritti”, sottolineando “la gravità della scelta di indire un bando al ribasso”. Droghe: il ministro Riccardi riceve associazioni “affrontare problema delle carceri” Asca, 8 maggio 2012 Il ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione Andrea Riccardi, con delega alla lotta alle tossicodipendenze, ha incontrato questa mattina una delegazione di diverse associazioni che si occupano del recupero dei tossicodipendenti (Cnca, Itaca, Antigone, Forum Droga, Gruppo Abele, Fuoriluogo). Lo comunica, in una nota, il ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione. La delegazione gli ha manifestato la necessità di un maggiore coinvolgimento delle rappresentanze delle comunità terapeutiche sulle politiche della prevenzione e del recupero e ha sottolineato la situazione molto pesante che si è determinata nelle carceri, per la presenza di un alto numero di tossicodipendenti. Riccardi ha ringraziato per i suggerimenti e le riflessioni offerte e ha assicurato la “piena disponibilità al dialogo e al confronto sulle tematiche sul tappeto”. Il ministro ha detto che “condivide da tempo la preoccupazione per il tema dei tossicodipendenti in carcere, spiegando che è già in contatto con il ministro della Giustizia per studiare e affrontare congiuntamente questo delicato problema”. La delegazione - secondo quanto riferisce Franco Corleone di Fuoriluogo - nell’incontro con Riccardi “si è soffermata tra l’altro sul problema dei consumatori, spesso piccoli spacciatori, che finiscono in carcere”, e ha illustrato al ministro una proposta di legge, che è già stata presentata alla Camera e al Senato, che intende “alleggerire” il reato di detenzione di piccole quantità di droga, portando la pena, attualmente fino a 6 anni di carcere, a un massimo di tre anni, “in modo da poter usufruire maggiormente delle misure alternative al carcere”. “Il ministro - conclude Corleone - si è mostrato interessato e si è dichiarato d’accordo sulla necessità di interrompere il flusso in entrata di tossicodipendenti nelle carceri”. Droghe: il vero crimine è il proibizionismo… di Mario Staderini Notizie Radicali, 8 maggio 2012 “Il proibizionismo è un crimine che produce enormi costi sociali, economici e sanitari” -ha dichiarato Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani partecipando alla Million Marijuana March sabato 5 maggio a Roma e in altre 420 città del mondo. “Insieme a miei compagni partecipo alla Marcia per chiedere il superamento delle leggi proibizioniste e l’immediato accesso dei pazienti alla cannabis terapeutica. L’auto coltivazione della cannabis andrebbe non solo consentita, ma promossa perché garantisce al consumatore la qualità del prodotto, lo libera dal mercato criminale e riduce i profitti delle mafie. Sia calendarizzata la proposta di legge n. 2641 a prima firma Rita Bernardini per la depenalizzazione della coltivazione domestica” ha proseguito Staderini. “La legge Fini-Giovanardi significa 28 mila le persone detenute per averla violata e un mercato illegale che garantisce alle mafie un giro d’affari annuo di almeno 24 miliardi di euro, coinvolgendo 250/400 mila piccoli spacciatori, 4,3 milioni di consumatori, con oltre 800 mila persone coinvolte in procedimenti amministrativi per possesso di droga. Per una verifica imparziale e rigorosa delle politiche in atto in materia di tossicodipendenze, occorre che il Governo Monti, a cui ho scritto il 19 aprile scorso, convochi entro fine anno la Sesta Conferenza nazionale sulle droghe prevista dal D.p.r. 309/1990”. Papa (Pdl): l’unica via è depenalizzare “Il Ministro Andrea Riccardi, che oggi ha incontrato diverse associazioni impegnate nella lotta contro la tossicodipendenza, ha dichiarato che “è necessario affrontare la delicata questione dei tossicodipendenti”. “Bene ha fatto il Ministro a manifestare la sua attenzione e sensibilità verso un tema così importante che coinvolge migliaia di cittadini”. Lo afferma in una nota il deputato del Pdl Alfonso Papa. “Per passare dalle parole ai fatti, però, occorre ora che il Ministro ponga al governo e, in particolare, al collega Guardasigilli la necessità improrogabile di realizzare un vasto programma di depenalizzazione che parta proprio dai reati legati alle droghe leggere”. “La legge Fini - Giovanardi è una legge ottusamente proibizionista, che ha fatto più male che bene. Oltre un terzo dei detenuti - conclude l’onorevole Papa - sono ristretti in galera per via di questa legge che equipara droghe pesanti e droghe leggere, spacciatore e consumatore. Si tratta di un reato senza vittima inventato al fine di spandere terrore; un reato artificiale che, come ogni legge proibizionista, ha l’unico effetto di alimentare mercato nero, criminalità organizzata e consumo fuori controllo”. Israele: Croce Rossa; pericolo morte per 6 detenuti palestinesi in sciopero della fame Ansa, 8 maggio 2012 Sei dei palestinesi in sciopero della fame per chiedere la revoca degli arresti amministrativi sono in pericolo di morte, ha affermato il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) che ne ha chiesto l’immediato trasferimento in strutture mediche adeguate. Il Cicr chiede inoltre ad Israele di consentire le visite dei familiari. “Siamo estremamente preoccupati per l’aggravarsi delle condizioni di salute di sei detenuti palestinesi in sciopero della fame, afferma il Cicr in una nota. Esortiamo le autorità a trasferire senza rinvii tutti e sei i detenuti in un ospedale adeguato in modo che le loro condizioni possano essere costantemente monitorate e in modo che possano ricevere assistenza medica specializzata”, ha detto il capo della delegazione del Cicr in Israele e nei territori occupati Juan Pedro Schaerer citato nella nota. Il Cicr ricorda quindi che i detenuti hanno il diritto di scegliere liberamente se dare il consenso ad essere alimentati o a ricevere un trattamento medico e deplora il fatto che le autorità israeliane abbiano sospeso le visite dei familiari per i detenuti in sciopero della fame. Circa 1.600 palestinesi reclusi per reati legati all’intifada conducono uno sciopero della fame nelle prigioni israeliane dal 17 aprile. Ue: Israele consenta visite a prigionieri in sciopero fame Israele deve autorizzare urgentemente i prigionieri palestinesi che stanno effettuando lo sciopero della fame a ricevere il necessario trattamento medico e le visite dei loro familiari. In un comunicato, la delegazione dell’Unione Europea a Gerusalemme e Ramallah ha espresso preoccupazione per le condizioni di salute di diversi detenuti, due dei quali rifiutano il cibo da quasi 70 giorni, un periodo di tempo che i medici considerano potenzialmente fatale. Sono cinque i detenuti che destano maggiore preoccupazione. Bilal Diab, 27 anni, e Thaer Halahla, 33, hanno iniziato lo sciopero della fame da 10 settimane, Hassan Safdi, 31 anni, rifiuta il cibo da 65 giorni e Omar Abu Shlal, 40 anni, da 63 giorni. Il quinto detenuto, Jaffar Ezzedine, non mangia da 48 giorni. Hunger Palestina… di Paola Caridi www.eilmensile.it, 8 maggio 2012 1.550 uomini. Questo è il numero approssimativo dei detenuti palestinesi in sciopero della fame. 1.550, forse di più. Perché alcune fonti parlano di duemila, altre di 2.500. Potrebbe essere una cifra esagerata. E allora fermiamoci ai 1550. 1.550 uomini in sciopero della fame, in una protesta partita formalmente il 17 aprile scorso, il “giorno dei prigionieri”. 1.550 detenuti palestinesi che nelle carceri israeliane rifiutano il cibo. Di sicuro da venti giorni, il che non è uno scherzo. Alcuni di loro, però, non mangiano (per protesta) non da venti, bensì da quaranta, e alcuni da 70 giorni. 10 detenuti sono sotto osservazione perché in condizioni critiche. Due di loro, Bilal Diab e Thaer Halahla rischiano di morire: sono al 70esimo giorno di sciopero della fame, e oggi la Corte Suprema israeliana ha rigettato il loro appello contro la detenzione preventiva. Perché questo è il motivo della protesta collettiva, la più importante nella lunga, tragica storia dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, dossier accuratamente nascosto ed evitato nei negoziati di questi ultimi decenni. I palestinesi vengono arrestati e messi in carcere spesso in detenzione preventiva, e dunque non solo senza processo, ma senza accusa. Una pratica costante e frequente, che rende assolutamente imprevedibile la durata della detenzione, precaria la vita, arbitraria la giustizia. Amnesty ha chiesto un intervento urgente a favore dei due detenuti che rischiano seriamente la loro vita, mentre il vero missing in action è il ruolo dell’informazione. Quello che sta succedendo lo si sa solo attraverso la Rete, i social network, twitter, Facebook, i blog, i siti di notizie. Raramente, e solo negli ultimissimi giorni, su qualche giornale. Rarissimamente sulla stampa italiana. Nonostante - sappiatelo - ci sono colleghi che un articolo sullo sciopero della fame nelle celle lo hanno proposto: nessuno, all’altra capo del telefono, lo ha però accettato, e pubblicato. Che senso ha, dal mero punto di vista dell’informazione? Se i 1550 detenuti fossero stati in Colombia, ci sarebbe almeno stata un vivo ampex nei telegiornali, e una breve sui quotidiani generalisti. E invece niente, o quasi niente. Sonderweg, il destino speciale di questa parte del Medio Oriente. Bilal Diab, 27 anni, è in detenzione preventiva dall’agosto scorso, prima per sei mesi. E poi, nello scorso febbraio, il periodo di detenzione amministrativa è stato rinnovato per altri sei mesi. Una pratica tanto frequente che molti prigionieri restano in carcere per anni, senza accuse. Il suo, insomma, non è un caso a parte, un caso speciale, è un caso come tanti. Ma né il suo, né quello degli altri fa notizia. Da anni. Mi ricordo che riuscii ad aver il permesso dalle autorità israeliane di visitare un carcere, e di parlare con degli attivisti palestinesi, accompagnata da un fotografo israeliano e una interprete. Fu una esperienza molto, molto interessante. A suo modo, per i giornalisti italiani, quasi unica. Proposi il reportage, me lo pubblicarono su un settimanale italiano, sacrificando le bellissime foto e il testo in uno spazio incredibilmente piccolo. Ho sempre trovato questa scelta - come molte altre - uno scadimento della qualità della nostra professione. Lo stesso scadimento che ha fatto trovare impreparato il giornalismo italiano di fronte alle rivoluzioni arabe, salvo rarissime eccezioni. 1550 uomini senza nome digiunano, la gran parte da 20 giorni. Alcuni da 40. Alcuni stanno per morire. In silenzio. Ha senso, da punto di vista dell’informazione? Ha senso, dal punto di vista della storia di questo conflitto? E ancor di più, ha senso dal punto di vista dei diritti (civili, umani)? Intere generazioni di palestinesi hanno passato almeno una notte in una galera israeliana, nella loro vita. Per un sasso tirato, una retata in un paesino della Cisgiordania, un lavoro nero, una multa non pagata, una litigata con un soldato a un checkpoint. Non solo, non sempre e non spesso per atti di terrorismo. Ne sapete qualcosa, di tutto questo? Vi hanno mai raccontato quante sono le carceri, in Israele, dove sono, quanti detenuti ci sono, in quali condizioni? Dovreste chiederlo alla Croce Rossa Internazionale, in sostanza l’unica che ha accesso al “dossier prigionieri”, un dossier polveroso, chiuso in un cassetto, che praticamente nessuno ha il coraggio di aprire. Salvo quando, dopo e forse a causa delle rivoluzioni arabe, qualcuno ha pensato di sollevare il caso, usare lo sciopero della fame, strumento antico e terribile perché oppone la debolezza all’uso della forza. Disarma chi ha la forza con la sola forza del digiuno. Vorrei andare al cinema e vedere Hunger, se non fossi qui a Gerusalemme. Perché quel caso, altrettanto controverso, segnò la mia generazione. Era il caso di un ragazzo, Bobby Sands. Qui, senza volto, ce ne sono molti, molti di più. Se volete sapere qualcosa, cercate #PalHunger su twitter. Troverete, per esempio, che la grafica araba, anche nel caso del digiuno di massa dei prigionieri palestinesi, sta mostrando tutte le sue abilità. Anche queste abilità sono la faccia nascosta degli arabi invisibili: non è una grafica nata dalle rivoluzioni, è piuttosto un’arte che le ha fecondate. Tailandia: condannato a 20 anni di carcere per “lesa maestà” muore in carcere Ansa, 8 maggio 2012 Ampon Tangnoppakul, un thailandese condannato a novembre a 20 anni di prigione per aver spedito 4 sms giudicati offensivi per la famiglia reale, è morto in carcere, per cause ancora non accertate. Lo ha riferito il suo avvocato. Ampon era considerato un “prigioniero di coscienza” da Amnesty International. Il caso di Ampon, 62 anni, malato di cancro, aveva suscitato scalpore per la durezza della pena nell’applicare la legge di lesa maestà vigente in Thailandia e spesso usata per tacitare il dissenso. Grecia: elezioni, in ala psichiatrica del carcere Korydallos vince Pasok Ansa, 8 maggio 2012 I detenuti delle carceri greche hanno seguito la tendenza nazionale, votando per i partiti minori e demolendo Nea Dimokratia e Pasok. Con un’eccezione: l’ala psichiatrica del carcere ateniese di Korydallos, il più grande del Paese, dove il Pasok ha raccolto il maggior numero di voti, ovvero 20. Lo dice al sito Newsit.gr Antonis Aravantinos, presidente del sindacato delle guardie carcerarie: “I detenuti hanno fatto a pezzi il sistema bipartitico, hanno votato per Tsipras (Syriza), Alba dorata, Greci indipendenti e in generale per i piccoli partiti. Il Pasok ha vinto solo nell’ala della prigione di Korydallos dove si trovano detenuti affetti da malattie mentali, ricevendo 20 voti”. Polonia: per campionati europei di calcio, a Danzica i detenuti puliranno le strade Adnkronos, 8 maggio 2012 In Polonia anche i detenuti parteciperanno allo sforzo organizzativo per i campionati europei di calcio Euro 2012, ospitati insieme all’Ucraina. In particolare, a Danzica, le autorità hanno annunciato che i detenuti delle prigioni cittadine saranno impiegati per la pulizia delle strade adiacenti lo stadio in occasione delle partite. Altri settanta detenuti sono già operativi nella pulizia della città, ma i responsabili dei penitenziari si sono detti disponibili a raddoppiarne il numero, se le autorità dovessero ritenerlo necessario, “per presentare al meglio la città a tifosi e turisti”.