Una grande mobilitazione sul problema sociale e civile della giustizia... di Marco Pannella, Rita Bernardini e Irene Testa Ristretti Orizzonti, 7 maggio 2012 Alle associazioni e organizzazioni che hanno partecipato alle precedenti riunioni. Ai parlamentari ed esponenti politici e sindacali che hanno partecipato alla Marcia del 25 aprile. Carissime e carissimi, il rischio fortissimo che abbiamo davanti in questo momento è quello - pur dopo il successo della marcia per l’amnistia del 25 aprile - che il problema sociale e civile della giustizia, che eravamo riusciti a sollevare, continui ad essere sottovalutato se non addirittura ignorato dal Governo e dal Parlamento. Noi, qui, stiamo riflettendo sul fatto che proprio ora, cioè all’indomani della tornata elettorale amministrativa ed “europea”, è necessario e urgente che riprenda una effettiva grande mobilitazione, totale, che parta quanto più possibile da tutti noi. Marco, che ha condotto sin qui un personale suo sciopero della fame, lo interrompe per comprendere e sollecitare una generale, reale controffensiva politica, sindacale, parlamentare e nonviolenta finalizzata all’effettivo e non declamatorio obiettivo dell’Amnistia, quale unica esistente concreta condizione e proposta di sicura, immediata Riforma della Giustizia e Penitenziaria. Ci auguriamo che anche voi avvertiate l’estrema urgenza dell’incontrarci (francamente e con la comunque effettiva amicizia) e confrontarci sul da farsi con un necessario - se possibile - salto di qualità e di forza della nostra comune lotta. Ci parrebbe opportuno allargare immediatamente gli inviti a nuove associazioni e “personalità”; vi chiediamo al più presto di suggerircene (con i loro effettivi recapiti), se possibile, di già verificandone la disponibilità. Cercheremo di avere la presenza e l’impegno oltre che dei nostri parlamentari e consiglieri regionali laziali degli altri esponenti politici che si sono già espressi e manifestati, a partire dai parlamentari radicali, di stare con noi per questa discussione urgente. Per questo, al momento, non suggeriamo date, non convochiamo sin d’ora una riunione che, a nostro avviso però, non dovrebbe andare oltre questo fine settimana. Per inserire un pensiero sorridente e ottimistico vi diciamo solo che qui a Torre Argentina il salone può essere attrezzato per avere un centinaio di posti. Giustizia: in Sicilia i detenuti non votano alle ammnistrative, si innesca polemica Asca, 7 maggio 2012 Inquieta il voto in quattro carceri della Sicilia. A partire dall’Ucciardone di Palermo dove è stato allestito un seggio speciale: su 600 detenuti, 5 hanno votato, facendo registrare 3 voti con regolare preferenze e 2 schede bianche. Più preoccupanti i dati della casa circondariale Pagliarelli, sempre nel capoluogo siciliano: su 1.282 reclusi, zero i votanti. Stessa musica nelle carceri di Agrigento e Trapani, dove in un totale di 911 carcerati nessun ha votato. Secondo il procuratore Antimafia Piero Grasso, o “è una sorta di protesta nei confronti della politica, oppure ci potrebbe essere un’altra motivazione, che è positiva, e cioè che nessuno ha dato indicazioni sul voto come si pensava una volta, perché mancano strutture capaci di farlo”. E ricorda “un pizzino che abbiamo sequestrato nel corso delle indagini quando ero procuratore a Palermo. Allora c’era qualcuno che chiedeva a Provenzano di dare indicazioni per chi dovesse votare. Purtroppo, però, non abbiamo trovato il pizzino di risposta”. I deputati Radicali presentano un’interpellanza Secondo quanto riportato dal quotidiano “La Repubblica” i detenuti dell’Ucciardone e del Pagliarelli avrebbero nella quasi totalità disertato le urne delle comunali per ordine della mafia: su 1.200 aventi diritto nessuno ha chiesto il seggio speciale per poter votare, mentre all’Ucciardone su quasi 600 detenuti solo cinque di loro hanno chiesto di votare ma pare che a votare siano stati anche meno. Precisato che per legge non tutti i detenuti hanno diritto di voto, informiamo di aver depositato un’interpellanza per chiedere chiarimenti al Ministro della Giustizia e a quello dell’interno per sapere se a loro risulti che vi siano state iniziative volte a dissuadere o impedire ai detenuti di recarsi alle urne, se tutti i detenuti siano stati informati della consultazione elettorale in corso e se siano stati messi nelle condizioni di poter votare potendo disporre, per esempio, della tessera elettorale. Inoltre abbiamo richiesto la convocazione urgente della Commissione antimafia per comprendere le ragioni di quanto accaduto sicuri, invece, del fatto che - vigendo in Italia il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale - la Procura abbia già aperto un’inchiesta. A Palermo la mafia non ha votato, di Gianpiero Casagni (www.sudmagazine.it) I due candidati sindaco che a Palermo andranno al probabile ballottaggio lo faranno senza aver preso il voto dei detenuti delle carceri di Pagliarelli o dell’Ucciardone. Che sia un caso o, piuttosto, una scelta organizzata, il fatto è che oggi nel carcere di Pagliarelli alla chiusura del seggio speciale dei circa 1.400 “ospiti”, fra detenuti comuni, quelli in alta sorveglianza perché accusati di mafia e quelle della sezione femminile che hanno ancora il diritto di votare, nessuno si è presentato in cabina. Ed è la prima volta che accade. La situazione “curiosa” si è registrata anche all’Ucciardone dove sono ospitati detenuti per reati più lievi e dove solo in quattro si sono presentati per esprimere il voto. Proprio ieri il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso parlava di pericolo di inquinamento mafioso nelle elezioni comunali, ma adesso c’è la certezza che la mafia in custodia cautelare - o quantomeno i presunti mafiosi che gli stessi magistrati hanno arrestato - non ha votato alle comunali di Palermo. E, forse, avrà invitato all’astensione anche i propri familiari. Cosa significhi questa astensione al primo turno è tutto da decriptare ma ciò non lascia ben sperare per il ballottaggio. Sonia Alfano: trattativa potrebbe essere in corso “Se il non voto dei detenuti delle carceri di Pagliarelli e dell’Ucciardone dovesse essere interpretato come un segnale alla politica, è un fatto molto grave. Se è un messaggio, significa che la famosa trattativa è ancora in corso e che parte della politica ha continuato a tenere contatti con la mafia”. Lo dice il presidente della Commissione Europea Antimafia, Sonia Alfano, commentando la notizia “A Palermo la mafia non ha votato” pubblicata ieri mattina da ilsudmagazine e Blog Sicilia, e ripresa oggi da un quotidiano nazionale, secondo cui ieri a metà mattinata, alla chiusura dei due seggi speciali, nessun detenuto si è presentato in cabina nel carcere di Pagliarelli e solo in quattro lo hanno fatto all’Ucciardone. “Il banco di prova sarà il ballottaggio - dice ancora Alfano - perché se torneranno a votare sarà preoccupante; significa che c’è stata una mediazione”. Secondo Sonia Alfano, in linea di massima, “se non votano i detenuti non è un fatto grave perché dei voti della gente che è reclusa, farei a meno. Io sono più preoccupata del fatto che non votino i cittadini perbene. Ma se il non voto dei detenuti è un messaggio - ribadisce - è molto grave e significa che stiamo facendo passi indietro”. Punto di vista leggermente diverso esprime Rosario Crocetta che della commissione antimafia europea è il vice presidente. “Il messaggio è che non si fidano di nessuno e questo lo considero un bene per la politica. Per noi è un bene che non votino. Credo che questa scelta di non votare significa che non hanno santi. E sarebbe ora”. “Io ringrazierei i detenuti per mafia per questa cortesia” aggiunge poi ironicamente Crocetta. “Spero che continuino a non inquinare il voto. Secondo me andrebbero interdetti ma adesso li ringrazio per questo loro senso di responsabilità civile che in questo caso si esprime nel non voto visto che se votano lo inquinano”. Grasso: non votano carceri Palermo? forse un bene “Sono due le interpretazioni che si possono dare se nelle carceri di Palermo non si è votato: una protesta nei confronti della politica o che nessuno ha dato indicazioni di voto come si faceva una volta”. Lo ha detto a Catania È il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, commentando con i giornalisti a Catania la notizie diffusa ieri da alcuni siti web locali secondo cui i detenuti delle carceri palermitane si sono astenuti in massa nelle amministrative. Nessuno ha votato tra i circa 1.200 reclusi del Pagliarelli, solo tre lo hanno fatto finora all’Ucciardone. Nessun voto anche negli istituti di pena di Trapani e Agrigento, gli altri due capoluoghi siciliani interessati dalla tornata elettorale. Pannella: è stato impedito di votare all’Ucciardone e al Pagliarelli? “Mi pare che all’Ucciardone sia stato di fatto impedito a tutti i detenuti di votare, e io lo denuncio sin d’ora ufficialmente alla Commissione parlamentare antimafia e alla Procura di Palermo - se riterrà di poterla ricevere, nelle condizioni ingroiane nelle quali si trova. È indubbio che questa sarebbe la prova - vi sono stati altri indizi - di qualcosa che io ho già colto in questa campagna elettorale: la manifestazione che si è ricostituita ufficialmente l’unità tra la mafiosità criminale ordinaria e la mafiosità criminale partitocratica del potere romano o palermitano”. Lo ha detto Marco Pannella, in diretta a Radio Radicale, commentando la notizia per cui ieri, nel carcere Pagliarelli nessuno dei 1400 detenuti si è presentato a votare, mentre all’Ucciardone hanno votato solo 4 detenuti. “Non so se di fatto non abbia votato nessuno, o se siano stati messi in condizione di non votare”, ha detto Pannella. “Chiedo di verificarlo”. Fleres: non voto silenziosa protesta del mondo penitenziario Il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, ha così commentato la notizia del non voto presso le carceri palermitane dell’Ucciardone e del Pagliarelli: “Sventolare fantasmi per motivare il non voto dei detenuti palermitani serve solo ad alimentare la sfiducia nello Stato. La verità è che le condizioni di vita penitenziaria sono assolutamente intollerabili, l’attenzione verso i problemi della dignità umana nelle carceri è quasi del tutto nulla e, per ultimo, il tentativo di eliminare il Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia ha creato un clima di sospetto nei confronti delle istituzioni. Interpreto il segnale del non voto come una silenziosa protesta del mondo penitenziario nei confronti della politica che, in questo delicatissimo settore, non riesce ad andare al di là delle chiacchiere. Presenterò al Senato una serie di proposte emendative alla legge comunitaria riguardanti il miglioramento della giustizia e delle carceri. Su questi temi, al di là delle parole, vedremo chi vuole garantire il rispetto dei diritti umani e chi vuole lasciare l’istituzione carceraria del Paese in condizioni di illegalità”. Puglia: Sappe; nelle carceri della regione è allarme per malattie infettive www.go-bari.it, 7 maggio 2012 La situazione delle carceri pugliesi continua a preoccupare. In particolare per quel che riguarda l’aspetto sanitario. Lo evidenzia - in una lettera aperta - il segretario nazionale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) Federico Pilagatti che chiede un immediato intervento da parte del Governatore di Puglia Nichi Vendola. “Da un po’ di tempo a questa parte si stanno registrando una serie di decessi nella carceri pugliesi che riteniamo meritino un’attenta riflessione da parte del Presidente della Regione e del suo assessore alla Sanità”. “Certamente non stiamo qui a dire che la colpa di tali decessi sia loro, ma sicuramente il sistema sanitario penitenziario richiede una particolare e costante attenzione per la sua peculiarità e complessità”. Il problema principale - secondo Pilagatti - si è registrato a causa del passaggio della sanità penitenziaria a quella delle Asl. In particolare Pilagatti evidenzia che: “È stato istituito l’osservatorio regionale permanente della sanità penitenziaria per tenere sotto controllo le criticità della medicina penitenziaria a seguito del passaggio alle Asl che dovevano fornire modalità operative condivise. Da tale tavolo tecnico sono stati escluse proprio le parti più importanti, cioè i medici che da anni lavorano in prima linea nei penitenziari, i quali potevano e possono dare certamente un valido contributo nell’interesse di tutti a partire proprio dai detenuti. Hanno poi ridotto le prestazioni specialistiche ambulatoriali all’interno delle carceri e non vengono più garantite le urgenze specialistiche (prima assicurate dall’amministrazione penitenziaria) che hanno provocato inevitabilmente un incremento (più del 100% in alcuni casi) del numero dei detenuti che escono dal carcere per andare nelle strutture sanitarie esterne con gravi ripercussioni sul lavoro della Polizia Penitenziaria, sull’ordine pubblico e sulla sicurezza dei cittadini , con enorme dispendio di risorse e mezzi”. Disastrose anche le condizioni delle cliniche all’interno del carcere. “Con delibera regionale hanno, infatti, considerato “unità operative semplici” anche carceri come Bari in cui è attivo uno dei dieci centri clinici italiani con reparto di medicina interna e con annesso reparto para/tetraplegici(solo due in Italia) dove affluiscono detenuti affetti da importanti e gravi patologie, provenienti dagli Istituti Penitenziari regionali e nazionali. Anche il carcere di Lecce è stato considerato come struttura semplice nonostante ospiti circa 1.400 detenuti di cui un 50% affetto da varie patologie. In parallelo ovviamente la questione del sovraffollamento delle carceri. Infatti secondo Pilagatti “non hanno inteso, in presenza di un grave sovraffollamento di detenuti che in alcune situazioni supera il 100% dei posti disponibili(in Puglia circa 4500 detenuti per 2350 posti), aumentare nemmeno di una unità il personale medico o paramedico (anzi in alcune occasioni gli operatori sono diminuiti), creando così ripercussioni sui livelli minimi di assistenza sanitaria e sulla importante attività di prevenzione delle malattie infettive, mentali ed altre ancora, particolarmente importanti nel contesto carcerario”. Il Sappe denuncia, inoltre, che presso il carcere di Bari vengono inviati detenuti da altre carceri con gravissime patologie che non trovano posto nel centro clinico per mancanza di posti, e per cui sono costretti a vivere nelle normali celle con gravissimi rischi alla propria salute. Queste sono solo alcune delle gravi problematiche che investono il sistema sanitario all’interno degli istituti penitenziari e in queste condizioni è molto più semplice e facile l’insorgenza e la diffusione delle malattie. Di qui la richiesta di un immediato intervento da parte di Vendola. Bergamo: mio padre rischia di morire in carcere per l’inerzia del magistrato Notizie Radicali, 7 maggio 2012 Buonasera, mi chiamo C.M. e sono figlia di un detenuto nel carcere di Bergamo. Mio padre nel 2009 venne arrestato per detenzione e spaccio e venne condannato con rito abbreviato a 4 anni e 4 mesi di detenzione. Dopo pochi mesi fu riconosciuto invalido all’80% per diverse patologie come cirrosi epatica alcolica, vulvulopatia cardiaca, stenosi cardiaca ed ora sospetto di enfisema polmonare. Abbiamo fatto istanza per la detenzione domiciliare in quanto un anno fa dopo la sentenza di terzo grado è stato arrestato definitivamente. Il magistrato di sorveglianza di Brescia ha fissato la camera di consiglio ad aprile del 2013,rigettando la nostra richiesta di anticipare l’udienza perché, a suo dire, il tribunale è sovraccarico di lavoro. Ora ci chiediamo come mai i detenuti assegnati a questo giudice devono attendere così tanto tempo, mentre altri assegnati ad altri giudici ottengono la camera di consiglio entro 3 mesi al massimo ed ora si trovano a casa loro. Detto magistrato non concede permessi premio e sconti pena nonostante le assistenti dell’Uepe di Bergamo presentino delle sintesi positive a detenuti che mostrano volontà di reinserimento ma che soprattutto sono meritevoli di detti premi. Vi scrivo per denunciare il fatto che nessuno vuole ascoltare i problemi delle famiglie, mi sono rivolta pure al garante dei detenuti ma ho ricevuto una risposta frettolosa e priva della benché minima umanità. Chiedo cortesemente alla vostra esperienza in merito a chi posso rivolgermi per poter quanto meno essere ascoltata. Chiedo inoltre come agire con questo magistrato che con il suo atteggiamento pone in grave difficoltà anche il nostro avvocato. Si parla tanto del problema delle carceri superaffollate, di ddl, di salva carceri, ora anche Schifani ha scoperto che il problema è da affrontare seriamente, ma come sempre non si concluderà nulla, dimenticando che prima di essere detenuti sono persone umane che si vedono negare i più elementari diritti. Grazie dell’attenzione. Livorno: lavori di ristrutturazione del carcere in alto mare, terminati (forse) a settembre di Lara Loreti Il Tirreno, 7 maggio 2012 Doveva essere tutto pronto già dallo scorso gennaio. Poi la data prevista è slittata a primavera, aprile forse maggio. Ma i lavori di ristrutturazione delle Sughere sono ancora in alto mare. Se tutto va ben i cantieri saranno chiusi a settembre. Intanto il carcere, nonostante la popolazione dei detenuti sia stata ridotta di due terzi, paradossalmente continua a scoppiare. Sono 130 le persone all’interno, ma sono ammassate tutte in due sezioni, l’ex femminile e un altro padiglione vicino al campo sportivo. Quest’ultimo è il più affollato e ospita circa 85 detenuti. Sovraffollamento. Come testimoniato dal senatore Marco Filippi, che nei giorni scorsi si è recato in visita alle Sughere insieme alla collega Silvia della Monica, ci sono celle che ospitano tre e persino quattro detenuti. Un problema quello del sovraffollamento, che ha sempre afflitto le Sughere: prima dello svuotamento, cominciato all’inizio dello scorso dicembre, c’erano 450 detenuti su una capienza di 270. Risulta paradossale in ogni caso che ora che le persone sono diminuite di oltre due terzi, il problema continui a sussistere. Oltre tutto l’esodo dei detenuti delle Sughere e il fatto che il carcere sia fermo sta intasando non poco Sollicciano e Porto Azzurro, dove la situazione è critica. L’Uil “parla di scelta scellerata”. Lavori lenti e incompleti. Lo scopo dei lavori tuttora in corso è quello di ristrutturare alcuni padiglioni che sono risultati fatiscenti, come hanno dimostrato le ispezioni ministeriali svolte a fine dello scorso anno. Al termine della ristrutturazione, il carcere ospiterà altri cento detenuti, che in tutto dovrebbero diventare circa 230 (con le donne escluse). Ma c’è il rischio che i due padiglioni oggi ancora occupati non vengano ristrutturati e restino quindi fatiscenti. Lo sottolinea il segretario provinciale della Uil penitenziari, Mauro Barile: “Le strutture che ora ospitano i 130 detenuti sono vecchie e piene di problemi. E per ora lì non sono previsti i lavori”. Caserma agenti fatiscente. Ma cade a pezzi anche la caserma degli agenti: “Un anno fa delle aree furono transennate dai vigili del fuoco - dice Barile - senza contare che sono anni che la nostra zona ha problemi, primi fra tutti la vetustà degli impianti idraulici e fognari. Spesso i colleghi sono costretti a fare la doccia con acqua fredda senza contare che capita anche che l’acqua non scenda per niente. Funziona male anche l’impianto di riscaldamento: spesso d’inverno si gela. Così non si può continuare a lavorare. Finalmente, pochi giorni fa, c’è stata un’ispezione di tecnici venuti da Roma che hanno verificato tutte le criticità. Auspichiamo una rapida soluzione”. Il balletto dei direttori. I numerosi problemi delle Sughere negli ultimi 2-3 anni sono stati aggravati anche dalla direzione a dir poco traballante. Dalla fine dal 2009 ad oggi, dopo l’uscita di Anna Carnimeo, si sono succeduti direttori pro tempore e non quali Paolo Basco, Maria Grazia Giampiccolo (che è a Volterra e Gorgona), Santina Savoca (che è in pole position per il prossimo incarico livornese)Ottavio Casarano, che è andato via una quindicina di giorni fa, e l’attuale Paolo Sanna che è pro tempore (Porto Azzurro). Selvazzano (Pd): il sindaco; trasformare l’ex seminario in un carcere da mille detenuti Il Mattino di Padova, 7 maggio 2012 Aprire un carcere all’ex seminario. L’idea, al limite del provocatorio, è dell’ex assessore del Comune di Selvazzano Giuliano Bastianello. “Lo stato di sfacelo in cui versa la situazione delle carceri italiane”, rileva Bastianello, “impone azioni urgenti ed efficaci per riportare nell’alveo della legalità un sistema che produce reati, abbruttimento e suicidi. Il complesso dell’ex seminario potrebbe ospitare più di 1000 detenuti. È una solida struttura architettonica con 38.750 metri quadri di superficie utile. Ora, un’imponente operazione immobiliare ne prevede, assurdamente, la demolizione. Uno spreco colossale per un’opera finanziata anche con le elemosine della diocesi. La trasformazione in casa di reclusione non costerebbe oltre 15-20 milioni”. Bastianello si rivolge all’amministrazione Soranzo, affinché non assecondi supinamente il progetto della società Trifoglio. “La mia proposta”, confida l’ex assessore, “è quella di riutilizzare l’ex seminario per farne una moderna struttura di rieducazione e formazione secondo criteri ben diversi dalla reclusione in celle iperaffollate, senza spazi per il lavoro, lo studio e lo sport”. Ivrea: in Consiglio comunale ordine del giorno per la nascita del Garante dei detenuti di Marco Campagnolo www.localport.it, 7 maggio 2012 Il Movimento Progetto Piemonte ha reso noto che Salvatore Rao, di Rifondazione Comunista, e Bruno Tegano, dell’Idv, consiglieri comunali a Ivrea, hanno deciso di sostenere un ordine del giorno redatto dal movimento e avente il fine di sensibilizzare le Istituzioni affinché venga effettuata la nomina del Garante dei detenuti in Piemonte da parte della Regione. Nei giorni scorsi Massimo Iaretti, presidente del Movimento Progetto Piemonte aveva inviato una lettera ed una proposta di ordine del giorno al Sindaco di Ivrea, Carlo Della Pepa, e a tutti i capigruppo presenti in Consiglio Comunale della città delle Rosse Torri (Pdl, Pd, Idv, Sinistra Arcobaleno, Lista civica, Lega Nord e Socialisti) chiedendo loro di fare proprio il documento e di approvarlo. “E un riscontro positivo - evidenzia Iaretti - è arrivato dal capogruppo di Sinistra L’Arcobaleno, Salvatore Rao, e dal consigliere Bruno Tegano del gruppo consigliare dell’Italia dei Valori”. Oggi, a quasi tre anni dall’istituzione del Garante, avvenuta con la Legge Regionale 28 del 2 dicembre 2009, il Consiglio Regionale non ha ancora provveduto alla sua nomina di questa figura, che in modo professionale e continuativo dovrebbe dedicarsi al controllo delle condizioni di vita in carcere e al rispetto dei diritti e dei doveri inerenti il trattamento carcerario. “Ringrazio i consiglieri Rao e Tegano per la loro sensibilità ad un problema che è un problema, da un lato, di civiltà, dall’altro di rispetto delle regole - dice Iaretti - e, ovviamente, l’auspicio è che il Consiglio Comunale di Ivrea arrivi ad approvare al più presto un documento che dovrebbe trovare il sostegno di tutte le forze politiche per poi trasmetterlo alla Regione Piemonte”. Il Movimento Progetto Piemonte, nato il 24 giugno del 2009 a Casale Monferrato e che nel suo Statuto ha posto tra le priorità la valorizzazione e l’esaltazione del ruolo del Piemonte, ha depositato un analogo documento a quello inviato a Ivrea nelle Amministrazione dove è rappresentato: nell’Unione di Comuni Terra del Chiusella, dove è stato approvato all’unanimità, al Comune di Parella e al Comune di Casorzo, in provincia d’Asti, dove verrà discusso prossimamente. Reggio Calabria: Sappe; trovata droga nel penitenziario Adnkronos, 7 maggio 2012 Questa mattina, la polizia penitenziaria di Reggio Calabria, con l’aiuto del reparto cinofili della Guardia di Finanza, ha rinvenuto 52 grammi di droga, nascosti in un paio di scarpe, in una cella del carcere del capoluogo calabrese. Lo riferiscono Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario nazionale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria. “La cella - spiegano - era occupata da detenuti magrebini. Gli agenti della polizia penitenziaria hanno dovuto chiedere l’intervento del nucleo cinofili della Guardia di Finanza, perché la Calabria, come molte altre regioni, non dispone ancora di nuclei cinofili propri”. “Infatti - denuncia Durante - nonostante le specializzazioni siano state previste nel 1995, ad oggi, solo sei regioni dispongono dei nuclei cinofili della polizia penitenziaria, nonostante il problema della droga in carcere sia sempre rilevante. Circa il 25% dei detenuti sono tossicodipendenti ed i tentativi di introdurre la droga in carcere sono sempre frequenti. Sarebbe quindi opportuno - sottolinea - che l’amministrazione penitenziaria colmasse questo vuoto organizzativo”. Rimini: domani il Capo del Dap visita le strutture della Comunità Papa Giovanni XXIII Comunicato Stampa, 7 maggio 2012 La Comunità Papa Giovanni XXIII che da anni lavora nell’immenso mondo carcerario ha elaborato un progetto educativo innovativo ed efficace. Le persone accolte che svolgono per intero il percorso tendono a non delinquere più. La recidiva di chi sconta la pena in carcere è di circa il 70 € tale percentuale si abbassa al 10€ di coloro che espiano in Comunità. Attualmente sono oltre 40 le persone che espiano la pena nel solo territorio di Rimini. Oltre 250 in tutto il territorio nazionale. Alla luce di tali risultati la Comunità è stata convocata presso la commissione Europea che ha conosciuto l’esperienza. Martedì 8 maggio il presidente del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) Giovanni Tamburino verrà direttamente da Roma per conoscere alcune sedi d’accoglienza dei detenuti. È un fatto straordinario che evidenzia l’attenzione del Governo a tale problema ed anche un’apertura a possibilità diverse dallo stesso carcere. Il presidente conoscerà la casa “Madre del perdono”, la casa “Madre della riconciliazione” e una casa famiglia. La visita della casa famiglia è pensata in considerazione della disponibilità che la comunità ha dato ad accogliere tutti i bambini presenti in carcere sotto i tre anni (sono 55 bambini che senza colpa vivono in carcere)e le loro madri. L’attesa è grande perché il riconoscimento istituzionale di tali realtà può portare ad una svolta del sistema carcere ed ad un’apertura ad un modo di trattare con i detenuti nuovo e diverso. Saranno presenti alla visita oltre a Paolo Ramonda presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII e Mauro Cavicchioli responsabile del Servizio per la Comunità , la direttrice del carcere di Rimini Benassi, il procuratore P. Giovagnoli, don Nevio Faitanini cappellano del carcere di Rimini. Particolarmente significativa la presenza di Nicola Boscoletto della Comunità di Comunione e Liberazione presidente della Coop. Giotto che presso il carcere di Padova lavora dentro e fuori le mura con circa 120 detenuti dando lavoro regolare e occasione di cambiamento. Anche questa è una esperienza unica nel panorama Italiano e che si affaccia in Europa insieme alla Comunità Papa Giovanni XXIII per stimolare un modo diverso di concepire l’uomo e quindi anche un modo diverso di trattare con l’uomo che sbaglia. Torino: una web radio realizzata dai ragazzi detenuti nell’Ipm “Ferrante Aporti” Vita, 7 maggio 2012 Radio Ferrante (www.radioferrante.it) è una web radio realizzata dai ragazzi detenuti nell’Istituto Penale minorile Ferrante Aporti di Torino che, con cadenza settimanale, propone le cronache interiori di un viaggio umano dai contorni inaspettati. Dietro ai microfoni trovano spazio tutte le sensazioni e i contrasti che riempiono un carcere, ma anche la musica e un territorio aperto di scambio e confronto. Radio Ferrante è un’occasione per conoscere il Ferrante Aporti attraverso la voce di chi lo vive ogni giorno sulla propria pelle nella convinzione che solo l’ascolto sia il vero antidoto al pregiudizio. Il progetto è nato dalla collaborazione del Consiglio Regionale Piemontese dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti (www.uicpiemonte.it) e Docusound (www.docusound.it), primo esperimento di radio magazine italiano realizzato dalla casa di produzione Doc In Progress che, facendo a meno delle immagini, intende recuperare la funzione d’intrattenimento dell’ascolto attraverso la realizzazione di audio documentari che coinvolgono vedenti e non vedenti per promuovere un’integrazione che sia non solo sociale ma anche creativa e di ricerca espressiva. L’iniziativa è realizzata con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e si inserisce come attività collaterale all’insegnamento scolastico all’interno dell’istituto ed è coordinata dagli insegnanti in collaborazione con gli autori del progetto Docusound. Torino: detenuti rugbysti a lezione di team building, per fare squadra anche nella vita Adnkronos, 7 maggio 2012 Una lezione di team building per imparare a “fare squadra” e migliorare le proprie prestazioni. Non sono top manager ma detenuti della squadra di rugby del carcere Lorusso e Cotugno di Torino che domani parteciperanno nell’istituto delle Vallette a una lezione di Sergio Borra, amministratore delegato della Dale Carnegie Italia, azienda di consulenza aziendale specializzata in team building. Una platea particolare quella che aspetta Borra: 33 ragazzi de La Drola, la squadra di rugby messa in piedi nell’ottobre scorso nel carcere di Torino con un progetto della onlus “Ovale oltre le sbarre”. Saputo dell’iniziativa, Borra ha deciso di mettere a disposizione volontariamente le sue conoscenze. Un’ora e mezza in cui “lavorerò per fargli capire l’importanza di uscire da quella che chiamiamo la “zona di comfort” che è quell’area dell’umano governata dalla consuetudine del comportamento, in cui ci si sente al sicuro ma “se si vuole ottenere qualcosa di diverso - aggiunge - si deve essere disposti a fare cose diverse: non ha senso fare le stesse cose aspettandosi poi risultati differenti”. In questo senso, nel rugby “bisogna capire che si perde o si vince tutti insieme, il valore sta proprio nella squadra e non nei singoli. La differenza che fa un campione, è che il campione mette il proprio talento a servizio della squadra”. Regole che possono aiutare anche nella vita: “alla base ci sono alcuni principi - sottolinea il responsabile della Dale Carnegie - come la lealtà, il rispetto delle regole, il prendersi carico delle proprie responsabilità nei confronti dei compagni...”. Un metodo utilizzato soprattutto per migliorare il lavoro all’interno delle aziende, ma non solo “Sono principi universali - precisa Borra - abbiamo formato gruppi di top manager ma anche di impiegati e operai, e persino degli scaricatori di porto, nel vero senso. Ma anche cantanti e gruppi musicali”. Ora toccherà ai detenuti: “credo sarà un’esperienza positiva” dice Walter Rista, giocatore della nazionale di rugby sul finire degli anni ‘60 e fondatore della onlus che segue la squadra. La Drola in piemontese significa “cosa strana, buffa”: “lo abbiamo scelto per sdrammatizzare. Ci siamo detti: come la chiamiamo una squadra di rugby del carcere? e abbiamo pensato di mettere la cosa sotto l’aspetto ironico” spiega Rista. È lui che ha condotto la “campagna acquisti” per costruire la squadra: “L’idea ci è venuta dopo il successo di una partita dimostrativa giocata nell’istituto da due squadre torinesi - ricorda - ed è stata poi appoggiata dal direttore del carcere”. In poco più di un anno è stato messo in piedi un bando di reclutamento nazionale e, dopo una selezione, arrivano giocatori-detenuti da tutti i penitenziari della penisola, trasferiti alle Vallette I parametri adottati, oltre a quelli fisici per questo tipo di sport, sono un’età compresa tra i 18 e i 35 anni e una pena definitiva da scontare di almeno due anni “per dare stabilità alla squadra” sottolinea Rista. La Drola diventa un melting pot di razze, lingue e religioni: “Ci sono ragazzi marocchini, italiani, romeni, polacchi e colombiani, con colori della pelle diversi e religioni diverse” racconta l’azzurro. Ai rugbisti-detenuti è dedicato un blocco del padiglione Arcobaleno, la sezione di custodia attenuata del carcere, con celle più spaziose delle altre. La squadra è allenata dal figlio dell’azzurro: iscritta al campionato federale di serie C, oggi è al settimo posto in classifica su 11 squadre: “ma entro la fine del campionato contiamo di arrivare oltre la metà classifica” prevede Rista spiegando che “è stato incredibile quello che questi ragazzi hanno fatto in appena sette mesi”. “Fino ad oggi - spiega - hanno giocato 15 partite: nelle prime otto non sapevano neanche cosa fosse il rugby, hanno preso 280 punti e ne hanno fatti appena 80. Ma delle seconde sette partite ne hanno vinte sei segnando 320 punti e subendone solo 64”. 33 detenuti che in campo sono semplicemente “i ragazzi” con poche differenze con i loro avversari che possono allenarsi oltre le sbarre: “fuori e dentro non ci sono molte differenze - sottolinea Rista. Hanno le stesse esigenze. Forse questi ragazzi si allenano di più dei loro colleghi fuori, anche perché per loro è un modo per “evadere”“. Una passione che li ha travolti e di sicuro una meta l’iniziativa l’ha raggiunta: “due di loro - racconta l’ex azzurro - hanno ottenuto la semilibertà e dovrebbero uscire tra qualche mese ma hanno detto che non vogliono perché prima vogliono finire il campionato”. Milano: Ascanio Celestini; le mie prigioni… tra Risorgimento e attualità La Repubblica, 7 maggio 2012 Due metri per due come la cella di un carcere, “mentre un maiale per legge deve avere a disposizione sei metri quadrati, sono meglio trattati dei detenuti”. Tanto misura il palco pedana dove si racchiude Ascanio Celestini per i cento minuti del suo monologo Pro Patria - che a ottobre diventerà un libro, in uscita per Einaudi - da martedì al Piccolo. Una disamina delle nostre prigioni che, per bocca di un detenuto di oggi, torna indietro nel tempo alle carceri in cui finirono tanti eroi del Risorgimento e a quelle degli anni 70, in un cortocircuito storico in cui il narratore romano (che ad agosto porterà al Carroponte i suoi nuovi Discorsi alla nazione) denuncia come, ieri e oggi, dietro le sbarre la dignità umana continui ad essere offesa. Celestini, perché uno spettacolo sul carcere? “Ormai sono più di dieci anni che lavoro su quella che Basaglia definì l’istituzione totale. Come il manicomio, i campi di concentramento, la caserma, la fabbrica, il carcere, dove è chiarissimo chi ha il potere e chi non ce l’ha, e scattano meccanismi alienanti simili. Ma mentre tutti condannano i lager e in molti ritengono la legge 180 una vittoria, il carcere è tabù. Se lo si definisce luogo di tortura, è per le condizioni, la mancanza di fondi. Io invece sono convinto che sia un luogo degli orrori per l’ideologia che gli sta dietro”. Come ce lo racconta? “La storia è quella di un detenuto di oggi, in gattabuia da trent’anni. Un ergastolano “erbivoro”, come chiamano in gergo chi si è adattato alla vita del carcere, finito dentro per un piccolo reato. Uno che ha avuto tutto il tempo di farsi una cultura politica leggendosi i tre libri che l’istituzione gli mette a disposizione. Testi sul Risorgimento repubblicano e anarchico, da Mazzini a Pisacane. Che dallo Stato erano considerati terroristi, alcuni condannati a morte”. Un Risorgimento lontano da quello dei libri di storia. “Totalmente. Si rende conto l’altarino del Risorgimento con i padri della patria Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele non esiste. Prima c’è stata la rivoluzione, che è fallita, e poi alcuni di quei personaggi sono diventati statisti, altri invece sono stati recuperati come santini, cancellando le loro idee e ideologie. Perché Mazzini con la Repubblica romana del 1849 aveva il sogno di governare senza prigioni e senza processi. Proprio come il protagonista, che racconta di aver partecipato alle rivolte in carcere del 1979-81, quando detenuti politici e rapinatori si unirono per chiedere il superamento del carcere”. Mazzini in scena è l’interlocutore immaginario. “Il mio detenuto dialoga con lui, rivoluzionario sconfitto. Ma ha altri due interlocutori reali, un secondino autoritario e un immigrato. E qui veniamo alle nostre prigioni di oggi. Le più affollate d’Europa dopo quelle serbe, con in media quasi 150 detenuti per 100 posti, la metà senza una condanna, in carcerazione preventiva, il 70 per cento immigrati e tossicodipendenti. E il problema vero è capire perché. Il carcere da noi sostituisce lo Stato sociale”. Teatro Grassi via Rovello 2, dall’8 (ore 19.30) al 27 maggio, 25/22 euro, tel. 848800304. Iran: impiccati 9 trafficanti di droga in carcere Teheran Aki, 7 maggio 2012 Nove detenuti accusati di traffico di droga sono stati impiccati in un carcere di Teheran. Lo riferisce una nota della procura generale di Teheran, citata dai media iraniani. Nel comunicato è precisato che sette detenuti erano stati condannati a morte in relazione al sequestro di 500 chilogrammi di sostanze stupefacenti scoperti dalla polizia iraniana in una nave diretta in Asia. “Reza Golshani, Abolfazl Norouzi, Majid Heydarkhani, Majid Doosti, Majid Mandehi, Ali Alaee e Babak Pouravarz sono stati impiccati per questo motivo”, si legge nella nota, in cui si precisa, inoltre, che due fratelli, Bahman e Behzad Nabavi, sono stati giustiziati per traffico di anfetamine. La Repubblica Islamica è uno dei Paesi al mondo, insieme a Cina, Arabia Saudita e Usa, in cui viene praticata maggiormente la condanna a morte. Secondo Amnesty International, in Iran nel 2011 sono state eseguite 360 sentenze capitali, il 75% delle quali per il reato di narcotraffico. Stati Uniti… forza Chico di Fabio Pipinato www.unimondo.org, 7 maggio 2012 Cattiva notizia. Nonostante qualche sporadica apparizione TV pochi conoscono la vicenda del trentino Enrico “Chico” Forti. È stato condannato come mandante dell’omicidio di Dale Pike, figlio di un albergatore spagnolo che lui conosceva, avvenuto nel 1998 a Miami. La condanna è stata comminata ingiustamente. Infatti Chico fu convocato presso il dipartimento di polizia con il trucco di un interrogatorio come testimone, al termine del quale - senza difensore e senza che gli venissero letti i diritti Miranda - fu arrestato. Anche la sentenza (ergastolo senza sconti - potrà uscire dal carcere solo da morto) fu praticamente scritta ancora prima che iniziasse il processo. Insomma, serviva un capro espiatorio per un omicidio e questo fu trovato nel giovane italiano, originario della provincia di Trento, (ex campione di windsurf e produttore di cortometraggi), perché era stata l’ultima persona a vedere la vittima viva, malgrado non l’avesse mai conosciuta prima di quel momento e le avesse solo dato un passaggio in macchina. Durante il processo le prove a suo favore (test del Dna e macchina della verità) non furono prese in considerazione. Invece vennero create ad arte delle prove indiziarie e circostanziali per coinvolgere il trentino nell’omicidio. Probabilmente c’entra anche il fatto che Chico aveva girato un filmato (intitolato “Il Sorriso della Medusa”) nel quale denunciava le inadempienze e gli errori commessi dalla polizia di Miami nella gestione delle indagini per l’omicidio di Gianni Versace. Tanto è vero che l’arresto era stato preceduto da minacce, come quella di un poliziotto che gli dice: “Ma pensi di accusare impunemente la polizia e passarla liscia? Tu non vedrai più i tuoi bambini!”. Sono state presentate anche sei petizioni per la revisione del processo alla giustizia americana ma finora sono state tutte respinte, senza alcuna motivazione. Buona notizia. La criminologa Roberta Bruzzone ha preso a cuore anche il caso di Chico Forti nella convinzione che il trentino sia stato incastrato dal vero assassino che pianificò il delitto a tavolino con un duplice obiettivo: uccidere e far cadere tutti i sospetti sull’imprenditore italiano. Pochi giorni fa la criminologa e il prof. Ferdinando Imposimato, avvocato penalista italiano di Chico e presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione hanno mosso i primi passi ufficiali presso le autorità italiane, per far emergere quelle che non esitano a definire “gravi violazioni del diritto di difesa e del giusto processo”. Riportiamo le loro parole: “Abbiamo avuto un incontro importantissimo con il direttore del Dipartimento di Grazia e Giustizia dott. Selvaggi il quale, dopo che abbiamo illustrato il caso, ha riconosciuto che alcune violazioni avvenute nel processo di Chico Forti sono di una gravità inaudita. Tra queste quella che riguarda il conflitto di interessi del difensore e il fatto che non è stato consentito all’imputato di avere per ultimo la parola nel processo”. Le parole del dott. Selvaggi hanno rincuorato il team difensivo. “Ci ha assicurato che a breve andrà negli Stati Uniti insieme al Ministro della Giustizia Paola Severino per un incontro con l’omologo americano e tra le varie questioni porterà anche i rilievi e le prove che la dott. Bruzzone ed io abbiamo individuato sul caso Forti”, spiega Imposimato. La criminologa Bruzzone ammette che la strada è strettissima e in salita, ma va percorsa. “La diplomazia e l’appoggio politico in questo momento contano molto - ammette - ma in questa fase conta molto anche l’aiuto mediatico e la pressione dell’opinione pubblica come è accaduto per altri casi”. Anche il prof. Imposimato ne è convinto. “Certo non possiamo illuderci che in Italia facciamo la stessa campagna mediatica che è stata fatta negli Stati Uniti per Amanda Knox, ma dobbiamo fare tutto il possibile per sostenere questa battaglia contro queste gravi violazioni dei diritti al giusto processo”. Al Ministero degli Esteri in passato era stata aperta una pratica per l’estradizione in Italia di Chico Forti. “Questa è una cosa che si deve continuare a valutare, anche se Chico la rifiuta decisamente in quanto l’estradizione comporterebbe una sorta di ammissione di responsabilità che lui non è disposto a fare”. I dodici NO. Il report della criminologa Roberta Bruzzone, che ha applicato al “caso Forti” le tecniche della criminal investigative analysis, risponde con dodici “no” a dodici domande riguardanti il delitto. Come riporta il quotidiano l’Adige la risposta è una: l’imputato è innocente! Forti aveva conosciuto la vittima? No. Aveva qualche motivo per pianificare il suo omicidio? No. Ci sono testimoni oculari che hanno visto Forti sulla scena del delitto e sono state rilevate impronte o trovati reperti che provano qualche violenza sull’auto dell’imputato? No. La sabbia trovata sul gancio di traino della macchina di Forti proveniva solo dalla zona dove è stato trovato il cadavere di Pike? No. L’affare della compravendita dell’Hotel Pike era vantaggioso per Forti? No. Se l’omicidio fosse stato commesso per eliminare un ostacolo al business c’è una ragione per giustificare la tortura e le sevizie alla vittima? No. C’è qualche logica che motivi il denudamento della vittima lasciando vicino al corpo gli effetti personali per il suo riconoscimento? No. È stata trovata traccia di dna di Forti sul luogo del delitto e sugli oggetti trovati? No. È stata trovata l’arma del delitto? No. È stato Forti a invitare a Miami Dale Pike? No. C’è mai stato nella vita di Forti qualche episodio che faccia dubitare della legalità delle sue attività? No. Nei 12 anni trascorsi nelle carceri americane ci sono delle note negative a carico di Forti? No. Per il prof. Ferdinando Imposimato qui è importante “mobilitare l’opinione pubblica”. D’altronde la pressione mediatica ha avuto un ruolo di rilievo nell’assoluzione in secondo grado di Amanda Knox per l’omicidio di Meredith Kercher, esattamente come è avvenuto per l’assoluzione dei piloti americani fautori della strage del Cermis in Trentino, nonostante abbiano causato la morte di venti persone. Qui si tratta di un innocente. Urge una “pressione mediatica” che orienta spesso in modo determinante l’intervento politico in qualsiasi Paese. Israele: sciopero fame detenuti palestinesi, Corte Suprema boccia appello Ansa, 7 maggio 2012 La Corte Suprema israeliana ha respinto oggi un appello presentato da due palestinesi in sciopero della fame da 70 giorni, che chiedevano la revoca degli arresti amministrativi. La Corte ha tuttavia consigliato alle autorità di verificare se non sia opportuno rilasciare i due - Taher Halahla e Bilal Diab, della Jihad islamica - per ragioni mediche. Nelle prigioni israeliane prosegue dal 17 aprile lo sciopero della fame a oltranza di circa 1.600 palestinesi reclusi per reati legati all’intifada. L’avvocato Jawad Boulos, che rappresenta l’Associazione dei palestinesi detenuti in Israele, ha precisato che lo sciopero della fame ad oltranza nelle prigioni israeliane viene condotto da due gruppi distinti, che hanno obiettivi diversi. Il primo gruppo di sette carcerati ha iniziato lo sciopero della fame circa due mesi fa. Alcuni, come appunto Diab e Halahla, vogliono l’annullamento degli arresti amministrativi decretati nei loro confronti da un tribunale militare. Un altro, Muhammed Taj, chiede di essere riconosciuto prigioniero di guerra. Un altro ancora, catturato a Gaza, chiede di tornare libero nella Striscia. Il secondo gruppo - che secondo la stampa conta circa 1.600 prigionieri - lotta per un miglioramento delle condizioni di reclusione: fra le richieste, l’abolizione dell’isolamento e l’accesso a siti accademici online. Inoltre settecento detenuti originari di Gaza - sempre secondo l’avvocato Boulos - non ricevono visite dei loro congiunti da cinque anni, ossia dal rapimento del caporale israeliano Ghilad Shalit che nel frattempo ha riacquistato la libertà. Questi detenuti vogliono dunque che le visite familiari riprendano al più presto. Boulos ha infine affermato che uno dei detenuti, Hassan a-Sfadi, è stato alimentato a forza dai suoi carcerieri. ‘Si tratta di un grave precedentè, ha aggiunto il legale. Nel frattempo dietro le quinte proseguono i contatti fra la direzione del Servizio carcerario israeliano e una rappresentanza di reclusi per trovare uno sbocco alla crisi. Afghanistan: “rilasci strategici” di detenuti per placare violenza Ansa, 7 maggio 2012 Detenuti come “merce di scambio”: in Afghanistan, per anni l’esercito degli Stati Uniti ha rimesso segretamente in libertà insorti “di alto livello” per ottenere un allentamento della tensione, ovvero della violenza, in alcune zone specifiche del Paese, nell’ambito di un programma definito “rilasci strategici”. Lo rivela oggi il Washington Post, precisando che si tratta di una pratica applicata dove “la forza militare ha raggiunto il suo limite”. Tuttavia, si tratta anche di una pratica che contraddice apertamente la dottrina Usa che esclude ogni trattativa con il nemico per ciò che riguarda i prigionieri. Del possibile rilascio di cinque talebani di alto livello dal carcere di Guantánamo si è in realtà già parlato nell’ambito di una eventuale trattativa globale, ma il discorso appare fermo da tempo, così come i colloqui di pace con i talebani. Gli insorti liberati finora erano detenuti nel carcere di Perwan, l’unico gestito dalle forze Usa in Afghanistan, e per il loro rilascio è sufficiente l’approvazione del comandante delle forze Usa nel Paese, al contrario di quelli detenuti a Guantánamo, per cui è invece necessaria l’approvazione del Congresso. Secondo le fonti citate in forma anonima dal Post, i detenuti liberati - sia talebani che esponenti dell’Hezb-i-Islami - devono impegnarsi a rinunciare alla violenza, ma non ci sono garanzie che poi una volta tornati a piede libero non imbracceranno di nuovo le armi contro le forze internazionali. Di fatto, si tratta di una sorta di “scommessa”. “Ognuno concorda sul fatto che sono colpevoli e dovrebbero rimanere in prigione”, ha affermato un funzionario Usa citato dal giornale secondo il quale, tuttavia, “i benefici superano i rischi”. Le fonti del giornale non hanno voluto rivelare quanti detenuti siano stati finora rimessi in libertà nell’ambito dei “rilasci strategici”, anche se hanno affermato che si tratta di una pratica alquanto rara; né hanno voluto precisare da quanto tempo va avanti, anche se si parla di diversi anni. Un non meglio identificato funzionario americano ha però sottolineato che “consideriamo detenuti che hanno influenza su altri insorti, individui il cui rilascio possa avere un effetto calmante su un’intera zona” e quindi “in questi casi, i benefici del rilascio possono superare le motivazioni per continuare a detenerli”. Stati Uniti: Meet-An-Inmate.com, un social network per detenuti Corriere della Sera, 7 maggio 2012 Un galeotto come amico di penna. È l’opportunità offerta da Meet-An-Inmate.com sito web che dà la possibilità di iniziare una corrispondenza ordinaria con persone detenute in decine di penitenziari americani in modo da colmare, almeno in parte, la distanza che c’è tra le persone libere e coloro che sono costretti a vivere dietro le sbarre perché colpevoli di gravi reati. Collegandosi al sito web, l’utente può scegliere con quali detenuti costruire un dialogo: ogni galeotto cbe partecipa all’iniziativa presenta una sua foto e in 250 parole si descrive, raccontando quanti anni ha, i suoi hobby e le sue aspirazioni. Pochi, in realtà, scrivono i motivi per cui sono finiti in carcere. I detenuti descrivono anche la persona ideale con cui vorrebbero avere una corrispondenza. Come si legge nell’homepage del sito quasi tutti i detenuti sono “simpatici” e “amorevoli”, hanno solo un piccolo problema: in passato hanno commesso reati. “Questi galeotti non possiedono niente - recita il sito - ma hanno tanto tempo e non aspettano altro che dialogare con voi. Sebbene siano in prigione, non è detto che queste donne e questi uomini siano cattive persone”. Poi consiglia: “Bisogna trattarli con rispetto e dignità. In fondo sono esseri umani che provano emozioni e molti di loro vogliono realmente raddrizzare le loro vite” Il sito web www.ranked.com, specializzato nello stilare le più svariate classifiche, ha recentemente pubblicato la lista delle più belle detenute presenti nei penitenziari americani e con le quali si può iniziare una corrispondenza ordinaria. A dominare la classifica è la trentatreenne Renee Bell che dichiara di essere single e in cerca di un vero uomo per costruire un’amicizia e possibilmente qualcosa di più forte. “Deve essere una persona stabile - dichiara la ragazza - un uomo pronto a prendersi la responsabilità di avere la sua donna in galera”. Alle sue spalle, invece, si è piazzata Maeghan Rice, originaria dell’Arizona, che è in carcere per omicidio di secondo grado: “Ho conosciuto l’uomo sbagliato quando ero ancora troppo giovane - racconta - Adesso ne sto pagando le conseguenze. Ma sono pronta a incontrare la persona giusta”. La terza classificata, Jessica McKay, in carcere per aver ucciso una persona mentre era alla guida della sua auto, non racconta molto del suo passato e preferisce soffermarsi su altro: “Ho sempre il sorriso sul mio volto e una personalità spumeggiante” La maggior parte dei detenuti iscritti al sito non ha la possibilità di scrivere email o di fare chiamate telefoniche perché costano troppo. La corrispondenza ordinaria resta per loro l’unico modo per avere un contatto con il mondo esterno. Naturalmente - avverte il sito che promuove la corrispondenza con i detenuti - bisogna stare molto attenti ed evitare possibili truffe. Prima di tutto agli utenti maggiorenni che vogliono iniziare un dialogo con uno di questi galeotti è consigliato di rivolgersi al penitenziario dove i detenuti sono ospitati per conoscere che tipo di reato hanno commesso: “Alcuni sono conosciuti per aver truffato i loro compagni di penna, inviando foto false e informazioni errate sul loro conto con il solo scopo di circuire le vittime. Tuttavia la maggior parte cerca qualcosa di vero, qualcuno a cui scrivere e di cui prendersi cura”.