Giustizia: il carcere dei diritti violati di Giovanni Palombarini La Repubblica, 6 maggio 2012 Emma Bonino, parlando in piazza in occasione del 25 aprile, ha definito il carcere una cloaca sociale nella quale vengono scaricati tutti i problemi che la società non è in grado di affrontare. Nei giorni successivi il presidente del Senato, Renato Schifani, presumibilmente dopo avere informato il presidente della Repubblica delle sue intenzioni, sottolineata la gravità della situazione, si è riservato di investire con urgenza del problema le altre autorità dello Stato. Purtroppo fino a oggi il “governo dei tecnici” non è riuscito a realizzare qualcosa di significativo per avviare a soluzione la crisi. A fronte dello scandalo del sovraffollamento - circa 67.000 detenuti per una capienza di 45.000 - il ministro Paola Severino ha adottato un decreto pomposamente definito “svuota carceri”, convertito in legge il 17 febbraio. Accanto ad alcune opportune modifiche del Codice di procedura penale, è stato ampliato da un anno a diciotto mesi il tempo conclusivo di pena che, ricorrendo determinate condizioni, il condannato può trascorrere non in carcere ma agli arresti domiciliari. Mancano ancora i dati relativi all’efficacia del provvedimento, ma secondo molte stime la riduzione sarà minima. Tra l’altro, allarma la tendenza alla crescita del numero dei ristretti in carcere pur in assenza di particolari esplosioni di criminalità. A fronte dell’aumento continuo della popolazione detenuta, l’idea che si propone è quella dell’aumento progressivo dei “posti letto”. Saranno 80.000 a fine legislatura, diceva l’ex ministro Alfano; e anche con il nuovo governo l’idea di costruire nuove carceri riaffiora. Eppure il problema, per la democrazia, è quello del come ridurre il numero delle persone condannate alla pena della reclusione, o di restringere i casi della cosiddetta “carcerazione preventiva”, considerando il carcere, in una caso e nell’altro, una restrizione della libertà dettata da estrema necessità. Il fatto è che oggi la politica criminale, anziché ispirarsi alla prospettiva del diritto penale minimo, con la deflazione dei reati e con l’individuazione per quanto riguarda la pena di sanzioni diverse dal carcere, è dettata dalla logica di un intervento repressivo continuamente crescente. La tendenza non è nata oggi. Se nel corso degli anni novanta il numero dei detenuti era inferiore ai 50.000, nel 1999 è salito a 51.000, e nel 2000 a 53.000, significative avvisaglie di quel che stava per arrivare. Poi la crescita è stata costante. Tale prospettiva dà il senso di un cambiamento radicale nella concezione stessa della pena in Italia. Quasi a voler dire: nella società neoliberista per ogni tipo di devianza marginale, comunque determinata, la risposta è una sola, il carcere, cioè l’esclusione. Non a caso si è parlato di un passaggio dallo stato sociale allo stato penale. Sembra infatti che l’abbandono del welfare imponga di governare in altro modo, più semplice, la criticità sociale. Di qui la criminalizzazione e la carcerazione crescenti. Certo, è difficile che il governo Monti possa invertire la rotta, o anche solo dare un qualche sostegno alla giusta richiesta del partito radicale di un provvedimento di amnistia-indulto. E però dando una prima risposta alla sollecitazione del presidente Renato Schifani il Parlamento potrebbe adottare con urgenza qualche intervento riformatore, come un’abrogazione parziale della legge sulle droghe (Franco Corleone, già sottosegretario nel primo governo Prodi, ha ricordato di recente che un terzo di coloro che ogni anno entrano in carcere deve rispondere di detenzione di sostanze stupefacenti). Nel clima che si determinerebbe, i magistrati potrebbero essere indotti a utilizzare in modo più discreto la custodia cautelare in carcere degli indagati. Cosa avverrà? Certamente bisognerà trovare un rimedio per questa situazione che, oltre a determinare la violazione di diritti fondamentali delle persone, disonora il nostro paese. Giustizia: anche Gherardo Colombo dice sì all’amnistia di Dimitri Buffa L’Opinione, 6 maggio 2012 “Gutta cavat lapidem”. Sarà stata la cantilena incessante, “amnistia, amnistia”. Saranno state le ormai due puntate settimanali di Radio Carcere in cui il duo Marco Pannella - Riccardo Arena si scatena ogni martedì e giovedì sera per descrivere agli italiani ignavi la situazione vergognosa di un carcere che “ci umilia in Europa” e ci “disonora”, per usare le parole del presidente Napolitano proferite nel luglio dell’anno scorso durante un convegno ad hoc organizzato al Senato. Fatto sta che anche l’ex pm Gherardo Colombo, un cognome che a Milano vuol dire “Mani pulite” e non sempre è stato sinonimo di garantismo giudiziario, sembra essersi convinto della bontà del progetto pannelliano di clemenza “soprattutto per la giustizia e la repubblica”. In un’intervista rilasciata proprio a Radio radicale e poi rilanciata alle agenzie dalla associazione Il detenuto ignoto, presieduta da Irene Testa, Colombo ha infatti detto di essersi convinto che non c’è altro rimedio se non l’amnistia. Magari subordinata al risarcimento della eventuale vittima del reato, laddove esista, per riformare le carceri e la giustizia italiote. “Qualche mese fa ero perplesso - ha affermato Gherardo Colombo - e pensavo che sarei stato d’accordo con l’amnistia a patto che fosse condizionata ad una assunzione di responsabilità. Ma pensandoci e ripensandoci sono arrivato alla conclusione che l’amnistia deve essere amnistia, punto e basta”. Poi ha aggiunto: “In carcere, su oltre 67mila detenuti, solo 10 o 15 mila sono effettivamente pericolosi. Si potrebbe riportare il numero complessivo dei detenuti a quello della capienza regolamentare senza mettere a repentaglio la sicurezza generale della cittadinanza”. Perché questa folgorazione sulla via di Torre Argentina? Risponde lo stesso interessato: “Sono arrivato a questa conclusione perché vedo che non cambia nulla, si legge di suicidi che non fanno quasi mai notizia. La situazione non soltanto non migliora, ma tende verso un peggioramento continuo. Si potrebbe modellare l’amnistia perché sia applicata solo ai reati meno gravi, ma il tema della rieducazione, messa tra virgolette, cioè della riabilitazione delle persone alla vita insieme agli altri, potrebbe essere affrontato in modo più dilazionato. È la situazione di fatto, che appunto non migliora, che mi ha indotto a far cadere questa sorta di condizione preliminare che vedevo prima”. Colombo ha anche auspicato “una iniziativa concordata da uno schieramento che sia il più ampio possibile per riuscire a rendere meno invivibile il carcere, e tutto ciò immediatamente”. Giustizia: ministro Severino, affronti realmente i problemi delle carceri, oppure si dimetta di Beppe Battaglia Ristretti Orizzonti, 6 maggio 2012 Signora ministra, ogni due giorni le nostre carceri sfornano un cadavere, di cui uno ogni cinque giorni per suicidio. Qualche mese fa, in occasione di una sua visita al carcere fiorentino, lei ha affermato che le condizioni di detenzione si avvicinano alla tortura. Mi verrebbe da chiederle di chi può mai essere la responsabilità di questa carneficina disinvolta e certo non mancherebbe una risposta pronta, sicuramente assolvendo se stessa nella sua qualità di ministra della giustizia. E siccome non sono un ingenuo, mi rendo conto che ci sono molteplici livelli di responsabilità. In ogni caso, da questo concorso criminoso non può essere escluso il ministero che lei presiede su cui, io credo, grava la maggiore responsabilità. Capisco inoltre che la questione carceraria è complicata e mi chiedo: piuttosto che lo scaricabarile, non sarebbe più semplice dimettersi da tale carica? Sarebbe il solo modo per sottrarsi davvero ad una responsabilità che evidentemente lei non avverte. E badi bene, signora ministra, io non mi appello all’articolo 27 della Costituzione che detta chiaramente al ministro della giustizia come dovrebbero stare le cose per autoassolversi. No, sto parlando dei diritti umani palesemente violati nelle carceri italiane. Sto parlando del diritto alla vita per i carcerati, cittadini italiani e stranieri. E sto parlando di un luogo dove lo Stato (e per lo Stato il ministero ed il ministro della giustizia) esercita un dominio totale ed incontrollato. Un luogo che ha fatto schifo anche a lei, come a tutti quelli che, a qualsiasi titolo, possono vedere da vicino. Va da sé che si tratta di morti che… pesano come piume, in ragione di condizioni sociali, economiche, politiche, culturali e di rappresentanza prossime allo zero. È il carcere dei super poveri, perché per i meno poveri c’è sempre una via di fuga. Per i ricchi non esiste proprio il problema! È un carcere che si è allontanato non dico dalla Costituzione e dalla stessa legge che lo ordina (la 354 del 1975), ma si allontana sempre più dall’umana esistenza. Un carcere che ubbidisce forse alle esigenze economico/finanziarie, politiche, che tagliano ormai come un rasoio chi deve mangiare e chi no, chi deve vivere e chi deve morire. Naturalmente… senza sporcarsi le mani di sangue! Non dico neppure che è una vergogna nazionale perché per vergognarsi bisogna avere una morale che ormai si è smarrita. Il Pil, il business, la finanza a tutti i costi, quindi anche al costo di stragi immani, come quella carceraria. Lei si affanna, al pari col suo predecessore, a costruire nuove celle, magari affidando ad amici gli appalti diretti pagati coi nostri soldi di contribuenti; ma lei è proprio sicura di fare quanto è in suo potere per rendere decorosi non dico i luoghi abitati dalle persone detenute ma almeno lo scenario che si presenta agli occhi dei visitatori che hanno la facoltà di recarsi in tali depositi di carne umana? Io credo che la risposta debba essere negativa ed è da qui che discende la mia accusa di strage continuata, perpetrata, peraltro, con cinica disinvoltura e senza soluzione di continuità. Col silenzio complice dei media, dei partiti politici, delle istituzioni locali e nazionali. Per esempio, perché mai il governo di cui lei fa parte, su sua sollecitazione, non fa propria una proposta di amnistia tale da deflazionare il carcere e ripulire i tribunali da montagne di carte inutili? Poi sì, spetterebbe al parlamento approvarla oppure bocciarla. In ogni caso lei riscatterebbe la sua responsabilità politica. Signora ministra, ma perché non se ne va? Perché non rinuncia alla responsabilità grave che si è assunta? Oltretutto non finirebbe disoccupata. Infatti, stando alla sua ultima dichiarazione dei redditi lei guadagna in un quarto d’ora del suo lavoro la mia intera pensione che è di 789,13 euro al mese! È per questa protervia irresponsabile che io l’accuso di strage. E l’accuso non di fronte al tribunale perché il problema d’infornare i super poveri in galera e lì lasciarli morire più o meno violentemente è politico e non tecnico; e neppure di fronte al parlamento che considero illegittimo, alla stregua del mercato del bestiame; e neppure di fronte ai partiti politici ridotti a segreterie proprietarie lontane quant’è possibile immaginare dalla vita delle persone che pretendono di rappresentare. No, signora ministra, io l’accuso di fronte all’umanità per questo crimine (senza aggettivi) che è la fabbrica di cadaveri… leggeri come piume. Sì, io l’accuso di essere più sensibile all’immagine che lei ha di se stessa che non di fermare la strage in corso di persone detenute, avendo il potere di farlo. E dall’alto della mia pensione di 789,13 euro al mese posso permettermi questo lusso. Peraltro, se lei si dimettesse da ministra per la nobile causa di non essere riuscita a fermare la strage di persone detenute sulle quali esercita un dominio totale ed incontrollato (il potere di vita e di morte), finirebbe per guadagnare un prestigio e un potere (personale e politico) paradossalmente elevato a potenza rispetto a quello di cui dispone oggi che pure non è poco. Si dimetta, ministra. Per il suo bene e non solo il suo. Viceversa, avanzi una proposta di amnistia (corposa e generalizzata) tesa a deflazionare i numeri delle persone incarcerate, per poi mettere mano al ripristino della legalità da parte dello Stato nelle carceri e dunque utilizzando quel patrimonio immenso che è il volontariato penitenziario oggi impossibilitato ad operare a causa dei numeri esorbitanti delle persone detenute. Oltretutto questo porterebbe ad una riduzione drastica delle spese penitenziarie, in linea coi sacrifici chiesti alla …cittadinanza. E non vale l’obiezione secondo la quale …l’opinione pubblica non vuole l’amnistia, giacché… l’opinione pubblica è anche e giustamente contraria alle misure fiscali da saccheggio adottate dal governo di cui lei è parte. L’opinione pubblica, cosiddetta, è contraria non tanto ai sacrifici quanto al fatto che a pagarli siano gli strati più poveri della popolazione. Altro che equità! Un guizzo, un rigurgito di giustizia degno di questo nome, signora ministra, sarebbe quello di salvare la vita ai super poveri che popolano le carceri, se è vero che lei crede al trattamento rieducativo delle pene, come peraltro la Costituzione le imporrebbe! La faccia la proposta di amnistia, ministra. Ne va della sua credibilità, ormai al lumicino. Oppure lasci ad altri la responsabilità criminosa della strage di persone incarcerate della quale io la sto accusando. Livorno: senatori Pd visitano carcere; pessime condizioni per i detenuti e per il personale Agi, 6 maggio 2012 “Il penitenziario di Livorno ha gravi difficoltà strutturali che stanno creando problemi sia al personale che ai detenuti. Ormai da tempo il carcere ha dovuto ridurre della metà gli spazi utilizzabili destinando molti detenuti del circondario a Porto Azzurro ed a Sollicciano. Malgrado questo ci sono ancora 130 detenuti che devono essere tenuti anche in 4 per cella, con tutte le conseguenze immaginabili”. Lo affermano i senatori Pd Silvia Della Monica, capogruppo in commissione Giustizia, e Marco Filippi, capogruppo in commissione Lavori pubblici, che hanno incontrato il presidente del Tribunale di Livorno, Vincenzo Marturano, e il procuratore capo, Francesco De Leo, per poi visitare il carcere delle Sughere. I due senatori Pd rilevano anche che nel carcere di Livorno “la carenza di spazi ha di fatto bloccato tutte le attività sociali tendenti al recupero effettivo dei detenuti, se si eccettuano quelle sportive, malgrado l’impegno in questo senso degli educatori e del capo area”. “Questo aspetto è particolarmente grave trattandosi di un carcere dove il 70% dei detenuti è in attesa di giudizio, e oltre la metà sono stranieri. Bisogna al più presto completare il nuovo reparto con una capienza di 102 posti, che darebbe modo - concludono - di alleviare le tensioni nei reparti funzionanti adesso e che consentirebbe di avviare una ristrutturazione delle altre aree, particolarmente necessaria anche se si tratta di una struttura non molto vecchia, rispetto alla media delle carceri italiane, essendo stata inaugurata nel 1984”. Savona: il direttore; progetto nuovo carcere in alto mare, sistemare almeno sala colloqui Savona News, 6 maggio 2012 “In questo momento la situazione sovraffollamento è migliorata, quando si arriva alle 65 unità c’è l’intesa con il provveditorato regionale per sfollare la casa circondariale savonese ed evitare così problematiche ulteriori per l’eccessiva presenza e concentrazione di detenuti. Certo, la struttura resta vetusta ed il degrado del Sant’Agostino rimane, nonostante possibili interventi interni al carcere per migliorarne la vivibilità”. Così il direttore Nicolò Mangraviti, che parla della situazione del carcere savonese. “Per quanto riguarda il finanziamento di opere siamo in alto mare, tuttavia abbiamo progetti che speriamo di realizzare con la cassa delle Ammende, visto il periodo di scarsità delle risorse, come il rifacimento della sala colloqui dei detenuti, consentendo ai carcerati ed ai familiari di avere incontri più confacenti alle normative vigenti: questo intervento è in fase di approvazione” spiega Mangraviti. Alto mare anche per il possibile nuovo carcere in Provincia di Savona: “Non ci sono novità o notizie in tal senso, speriamo che anche grazie all’interessamento del nuovo capo del dipartimento Giovanni Tamburino possa arrivare a breve tempo qualche risposta. Per il savonese serve una struttura che possa garantire un vivere civile nel carcere, per i detenuti ma soprattutto per gli agenti di polizia penitenziaria e chi opera nel penitenziario”. Quanto alle pene alternative: “È necessario un nuovo slancio per questo percorso, occorrono però strutture idonee all’esterno del carcere per metterle in pratica, quindi bisogna lavorare assieme agli enti locali e territoriale per realizzare un piano serio ed organico di alternativa alla detenzione in carcere” conclude Mangraviti. Gorizia: Pannella; vigilare sui lavori di ristrutturazione della Casa circondariale Messaggero Veneto, 6 maggio 2012 “Il carcere di Gorizia necessita di manutenzione, ma non è in condizioni peggiori rispetto a quelle che ho trovato nelle altre case circondariali che ho visitato in questi anni”. Lo storico leader dei Radicali, Marco Pannella, ha visitato ieri mattina la casa circondariale di via Barzellini, traendo spunto per un’articolata analisi della situazione interna alle strutture carcerarie del capoluogo isontino. “Mi ha colpito scoprire che nel penitenziario operano quaranta agenti di Polizia a fronte di una popolazione carceraria di appena 39 detenuti, venti dei quali romeni”, ha detto Pannella, che ha poi tracciato un quadro sulle condizioni della struttura: “Dal tetto filtra l’acqua, mentre un’intera stanza, con uno splendido pavimento in cotto, non può essere utilizzata: si rischia il cedimento. Bisogna individuare i responsabili della ditta che ha eseguito i lavori e farsi restituire i soldi - ha detto Pannella. Ora arriveranno circa 2 milioni di euro: sarà compito delle istituzioni vigilare affinché i lavori vengano effettuati a regola d’arte”. Pannella ha varcato la soglia del carcere attorno alle 9.30, accompagnato dal consigliere regionale Gaetano Valenti e dal segretario dell’associazione radicale “Trasparenza è partecipazione”, Pietro Pipi, candidato al consiglio comunale nella lista di Fabrizio Manganelli. Subito dopo la visita, il leader radicale ha tenuto un comizio a Palazzo Unione: “Ormai a fare i comizi siamo rimasti in due in Itala: il sottoscritto e Grillo”, ha scherzato Pannella. All’evento conclusivo della campagna elettorale di Manganelli hanno partecipato anche i candidati al consiglio comunale che fanno parte della lista, con in testa proprio Pipi: “Credo che Gorizia possa aver bisogno di un esponente radicale in consiglio - ha detto. In questi mesi abbiamo centrato dei risultati importanti, sui quali vorremmo concentrarci per nuove battaglie civili”, ha voluto sottolineare. L’investitura di Pannella a Manganelli e a Pipi (Il Piccolo) “I soldi per il carcere? Sarà bene chiarire a quali ditte andranno, e garantire che i lavori vengano svolti a dovere”. È un invito chiaro al futuro sindaco di Gorizia quello rivolto ieri mattina da Marco Pannella. Il leader radicale è arrivato ieri in città per sostenere la candidatura a sindaco di Fabrizio Manganelli, invitato dal candidato consigliere Pietro Pipi, assieme al quale, con il consigliere regionale del Pdl Gaetano Valenti, ha visitato il carcere di via Barzellini. “Un carcere che ha tanti problemi - ha detto Pannella -, a partire dal fatto che a fronte di 39 detenuti, di cui una ventina di romeni, vi sono 40 tra poliziotti e amministrativi. Inoltre sono troppi gli spazi, potenzialmente anche belli, inagibili a causa delle condizioni della struttura, con il tetto che perde acqua o i pavimenti a rischio cedimento. E tutto questo perché le imprese che nel passato si sono intascate i soldi per le ristrutturazioni non hanno fatto bene il loro dovere. Ecco perché i due milioni in arrivo ora dovranno essere spesi bene”. Pur senza nascondere i tanti problemi della casa circondariale goriziana, Pannella ha però rifiutato di usare la definizione “fatiscente”. “Perché con questo termine si descrive la purtroppo abituale immagine di molti altri carceri italiani - ha detto -, dove gli spazi a disposizione dei detenuti sono ancora peggiori rispetto a quelli di Gorizia. Per Pannella è la giustizia il primo ostacolo all’arrivo in Italia di investitori stranieri, mentre sul finanziamento pubblico ai partiti si è detto “pessimista”, visto che non è stato ascoltato il plebiscito referendario che chiedeva la sua cancellazione. Ottimista, al contrario, sul fatto che “entro due o tre anni batteremo il proibizionismo, legalizzando le droghe e la prostituzione, specie se nei consigli comunali o regionali avremo anche solo un radicale a far sentire la voce della gente”. Voghera: detenuti diventano ambientalisti, ripuliscono l’argine del torrente Staffora La Provincia Pavese, 6 maggio 2012 Non hanno avuto dubbi quattro detenuti della casa circondariale di Voghera, quando gli è stato proposto di lavorare per due giorni all’aria aperta invece che rimanere nelle loro celle. Hanno accettato subito di ripulire gratuitamente dalle sterpaglie un tratto inagibile dell’argine del torrente Staffora nella zona di via Corridoni. Sorvegliato dagli agenti della polizia penitenziaria e aiutato da operatori qualificati, il gruppo ha provveduto a rimuovere gli arbusti indesiderati lasciando maggiore spazio alle piante utili. “Sono molto orgogliosa - ha detto Maria Gabriella Lusi, direttrice della struttura di via Prati Nuovi, in una conferenza stampa cui sono intervenuti anche il sindaco Carlo Barbieri, il presidente del consiglio comunale Nicola Affronti e l’assessore Giovanni Di Valentino - del risultato che abbiamo ottenuto con questa iniziativa. Tra i nostri obiettivi istituzionali c’è quello di aiutare chi ha sbagliato a reinserirsi nella società svolgendo con lui un percorso di rieducazione, e il lavoro svolge un ruolo fondamentale in questo contesto. I detenuti che hanno partecipato a queste due giornate hanno tutti un legame con Voghera, sono stati scelti per la loro affidabilità e non ci hanno minimamente deluso: hanno svolto il loro compito con molto impegno, e anzi hanno già dato la loro disponibilità per ripetere l’esperienza”. Altrettanto soddisfatto si è detto anche il sindaco Carlo Barbieri: “Il fatto che questa attività si sia svolta all’esterno del carcere è senza dubbio un grande passo: da questo momento, infatti, si ampliano le nostre possibilità di collaborazione con la struttura. I carceri svolgono un’importante funzione sociale di riabilitazione, e la nostra amministrazione è più che disponibile a fornire un suo contributo”. Alla fine della giornata lavorativa i detenuti sono stati ricompensati con un pranzo offerto dalla Caritas e dal vescovo diocesano Martino Canessa, che si è seduto al loro stesso tavolo insieme agli agenti, alla direttrice e al presidente del consiglio comunale. Cosenza: Corbelli; si consenta a detenuto malato di vedere madre e figlio minorenne Asca, 6 maggio 2012 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, ha rivolto un appello per un detenuto malato che ha rinunciato ad un intervento chirurgico per essere subito trasferito da Roma a Cosenza e incontrare la madre ed figlio minorenne che non vede dal giorno del suo arresto. “Questo detenuto - afferma Corbelli - chiede solo di poter incontrare la madre, da molti anni gravemente malata, e il figlio minorenne, entrambi residenti a Cosenza, che non vede dal momento del suo arresto. È una storia drammatica e incredibile, che evidenzia ancora una volta quali drammi, sofferenze, ingiustizie si consumano, in silenzio, nelle carceri italiane. Questo detenuto, che deve scontare una condanna per un piccolo reato, era stato, per motivi di salute, trasferito da Cosenza prima a Bari (dove è rimasto nove mesi) e quindi a Roma. Qui gli è stata diagnosticata una malattia per la quale avrebbe dovuto sottoporsi ad una operazione. I tempi di attesa per l’intervento però erano molto lunghi”. Ferrara: mancano carta per fax, benzina e automezzi… polizia penitenziaria in difficoltà La Nuova Ferrara, 6 maggio 2012 Al carcere Arginone è mancata la carta per fax per scarcerare i detenuti o comunicare atti giudiziari con la procura stessa. E l’aveva comprata - due bancali di risme - l’Anm, associazione nazionale magistrati di Bologna e Ferrara per sopperire alla mancanza. E che dire dei processi saltati perché non c’era personale e furgoni cellulari per trasferire in tribunale i detenuti dal carcere per il dibattimento. E dei tubi rotti alla caserma Bevilacqua, della Polizia, non riparati perché senza soldi o delle auto senza benzina oppure di quelle del parco macchine di questura e altre forze dell’ordine che non vengono riparate. L’elenco sarebbe infinito, e aumenta di giorno in giorno, dovuto ai tagli drastici con cui le forze dell’ordine - di qualsiasi tipo - debbono far fronte: per dare un’idea, nel corso del 2012 ci sarà un taglio di 10 milioni di euro, che quintuplicherà nel 2013 arrivando ai 50 milioni. L’elenco dei disagi viene aggiornato ogni tanto perché i sindacati di polizia o delle forze dell’ordine, decidono di denunciare lo stato di disservizio in cui lavorano, in cui sono costretti a lavorare. Nei mesi scorsi addirittura vi fu una manifestazione a livello nazionale proposta dai sindacati di polizia, della penitenziaria, del corpo forestale, dei vigili del fuoco. La provocazione era: “Una donazione per la sicurezza”, con tanto di codice Iban della banca d’appoggio con la causale “fondi benzina, per la sicurezza, la difesa e il soccorso pubblico”. L’appello è ancora valido. Cagliari: Cgil; manca personale, emergenza nel carcere minorile di Quartucciu La Nuova Sardegna, 6 maggio 2012 Ciò che sta accadendo nelle carceri italiane non risparmia nemmeno l’Istituto Penale Minorile di Quartucciu, dove le condizioni in cui operano gli agenti nell’istituto rasentano l’insostenibilità. Ad annunciarlo sono Roberta Gessa e Sandro Dessì, in un comunicato firmato dalla segreteria provinciale della Cgil Funzione pubblica. La carenza oramai strutturale dell’organico, corroborata dalla mancanza di investimenti, mettono costantemente in discussione i diritti alla salute, alla sicurezza e alla cittadinanza dei detenuti. A fronte di un organico di polizia penitenziaria di 47 unità, all’istituto ne sono assegnate solo 27. La situazione risulta ulteriormente aggravata dalle attività svolte presso il Centro di Prima Accoglienza di Quartucciu, limitrofo all’Ipm che, non avendo personale proprio, utilizza quello in servizio nell’Istituto di pena minorile. Il sindacato denuncia inoltre lo stato di degrado della caserma agenti: in tutte le camere manca l’acqua calda. Solo in una camera della foresteria è presente un boiler. Tutti i poliziotti che pernottano in caserma devono a turno usufruire dell’unica doccia disponibile che, per ovvi motivi, non può essere usata dalle unità di polizia penitenziaria femminile. Per garantire lo svolgimento di tutte le attività trattamentali che si svolgono nell’Istituto, le traduzioni dei detenuti verso la penisola, per tutti i compiti istituzionali e il mantenimento dell’ordine e della sicurezza interna, si ricorre richiamando il personale di polizia penitenziaria dal congedo ordinario e dai riposi. Questo determina un elevato numero di riposi e di ferie non fruite, in alcuni casi accumulate fin dal 2010. Torino: Osapp; detenuto aggredisce e ferisce assistente capo della Polizia penitenziaria La Stampa, 6 maggio 2012 Un assistente capo della Polizia penitenziaria è stato aggredito il 2 maggio scorso da un detenuto, all’interno del padiglione 2 nel carcere Le Vallette di Torino. L’agente ha riportato fratture a una mano, lesioni e contusioni e guarirà in 30 giorni. Ignote le cause dell’aggressione. L’aggressione - si è saputo stamani - è avvenuta mercoledì scorso in un momento nel quale - ha sottolineato l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) - nel padiglione (il C) erano in servizio solo due agenti per controllare quattro sezioni detentive con più di 160 detenuti. “Nelle carceri - ha commentato Leo Beneduci, segretario generale Osapp - continuiamo a subire e ad assistere a episodi che vedono accrescere la crisi di convivenza interna con conseguenze gravi di cui solo la Polizia penitenziaria fa le spese. Se di tanta violenza nelle carceri italiane le responsabilità soggettive vanno attribuite in massima parte alla popolazione detenuta - ha aggiunto Beneduci - la responsabilità oggettiva va invece attribuita allo Stato e alla politica che per le carceri da decenni riservano solo parole. Il momento è di così evidente gravità - ha concluso Beneduci - che ci chiediamo che fine abbia fatto il Ministro della Giustizia Severino”. Lucca: Sappe; ennesima aggressione al carcere San Giacomo, 2 agenti al pronto soccorso Adnkronos, 6 maggio 2012 “Il carcere San Giacomo di Lucca balza nuovamente agli onori della cronaca... annunciata. Oggi, alle 12 circa c’è stata l’ennesima aggressione nei confronti dei Baschi Azzurri del carcere lucchese. A farne le spese un sovrintendente ed un assistente capo che sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso cittadino e ne avranno per almeno 10 giorni a testa. Prognosi trauma cranico, contusioni al viso ed agli arti”. Ne dà notizia Donato Capece, segretario Generale del Sappe, sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria. “Questa volta - riferisce Capece in una nota - l’autore del fatto è un detenuto di nazionalità Algerina A. M., detenuto per furto aggravato che finirà la sua pena durante il corso del mese di maggio. Esempio eclatante del fallimento del nostro sistema penitenziario attuale, specie quello Toscano. A.M. dopo essere andato in escandescenza all’interno della sezione, proferendo ingiurie a chiunque tentasse di portarlo alla ragione, ha voluto dare il meglio di se colpendo all’improvviso e ripetutamente al volto il Sovrintendente della Polizia Penitenziaria, visto che poco prima non era riuscito a parlare con il Comandante del Reparto. L’assistente accorso per contenere il facinoroso ha avuto la meglio al prezzo di 10 giorni di prognosi e contusioni agli arti”. “Il carcere di Lucca - ricorda - non è nuovo ad episodi del genere”. “Cosa aspettiamo ad intervenire? - si chiede - Cosa deve accadere in Toscana ancora prima che da Roma qualcuno faccia la scelta, auspicata dai più a bassa voce, di sostituire il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria?”, conclude. Ferrara: domani incontro con Mauro Palma, si discute di diritti umani e “carcere duro” www.estense.com, 6 maggio 2012 Ultimo incontro lunedì 7 maggio - alle ore 17 nella sala consiliare del dipartimento di scienze giuridiche - con il ciclo di incontri e seminari di approfondimento organizzati da MaCrO, il laboratorio di studi interdisciplinari sulla mafia e le altre forme di criminalità organizzata. Relatore di questo appuntamento sarà Mauro Palma, presidente onorario di Antigone ed ex componente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, che parlerà di “Carcere duro e diritti umani: il trattamento penitenziario dei mafiosi”. Un altro tema estremamente delicato quello della difficile ricerca di un punto di equilibrio fra le particolari esigenze di sicurezza che connotano il trattamento dei mafiosi detenuti, spesso fra l’altro condannati per reati gravissimi, e l’altrettanto ineludibile esigenza che lo Stato garantisca, anche a questi detenuti “speciali”, il rispetto dei loro diritti fondamentali. Il laboratorio MaCrO è nato nel 2011 al dipartimento di scienze giuridiche con una convenzione siglata con Libera - Associazione nomi e numeri contro le mafie; è finanziato dalla Regione Emilia Romagna e prevede un fitto calendario di appuntamenti da marzo a maggio. “Il laboratorio dedicato agli strumenti giuridici di contrasto alla criminalità organizzata - spiegano gli organizzatori - offre un percorso didattico integrato avviato lo scorso anno dagli insegnamenti di storia del diritto penale, sociologia del diritto, diritto dell’esecuzione penale e International Human Rights”. Gli insegnamenti collegati al laboratorio - di cui farà parte il prossimo semestre anche il corso di diritto europeo dell’immigrazione presso la sede di Rovigo della facoltà di giurisprudenza - propongono, anche con la collaborazione di altri docenti della Facoltà, un percorso interdisciplinare di approfondimento sulle tematiche legate alla criminalità organizzata offrendo alla città e agli studenti l’opportunità di un approfondimento criticamente informato. Cinema: direttore Rebibbia; dopo trionfo dei Taviani ai David riflettori restino su carceri Ansa, 6 maggio 2012 “Una nuova gioia, un’ulteriore conferma della forza speciale, etica e sociale del film dei fratelli Taviani. Con il trionfo ai David di Donatello, i riflettori cadono sul mondo delle carceri in un momento in cui abbiamo estremo bisogno dell’attenzione e di una seria riflessione della politica sulla funzione dei penitenziari italiani”: lo ha detto Carmelo Cantone, direttore del carcere di Rebibbia, commentando la vittoria di cinque statuette del film “Cesare deve morire”. “Una dedica particolare, oltre ai registi e ai detenuti - ha continuato Cantone - vorrei poi farla al personale e agli operatori della Polizia penitenziaria di Rebibbia. Un ruolo importante, difficile da percepire per il grande pubblico. Ma se la troupe ha potuto lavorare senza problemi in un carcere attivo, operativo, con oltre 1.700 detenuti, è proprio grazie all’efficienza del personale di Rebibbia”. Nigeria: attacco terroristi a prigione, uccise due guardie, liberati i detenuti Agi, 6 maggio 2012 Uomini armati hanno attaccato oggi in Nigeria la prigione della città di Kumshe, nello stato del Borno, e liberato i detenuti. Lo rende noto la polizia, secondo cui due guardie sarebbero morte nell’operazione. Nel paese non si fermano le violenze, sospetti del gruppo estremista islamico Boko Haram hanno attaccato sempre una stazione di polizia nella città di Banki, sempre nel Borno, mentre cinque vittime ci sarebbero state a Taraba in un attacco armato di uomini mascherati con uniformi militari. Israele: 1.600 detenuti palestinesi in sciopero della fame, 10 ricoverati in ospedale Ansa, 6 maggio 2012 Non volge al termine, e anzi viene rilanciato con fermezza, lo sciopero della fame intrapreso alla metà di aprile da circa 1.600 palestinesi detenuti in Israele per reati legati all’Intifada. Secondo la stampa palestinese due reclusi - che hanno iniziato lo sciopero della fame circa 70 giorni fa - sono in condizioni preoccupanti di salute. Altri 10 sono stati ricoverati nei giorni scorsi. Il quotidiano israeliano Yediot Ahronot avverte che si sta creando una situazione esplosiva, che rischia di uscire di controllo se uno dei detenuti dovesse morire. In un comunicato diffuso la scorsa notte (citato stamane con grande evidenza dalla stampa nei Territori), i dirigenti della protesta smentiscono che negli ultimi giorni si siano registrati progressi nella vertenza con il servizio carcerario israeliano e ribadiscono di essere determinati a portare avanti a oltranza la propria protesta. I detenuti esigono, fra l’altro, la revoca immediata dell’isolamento imposto ad alcuni dei loro dirigenti; la ripresa delle visite ai detenuti i cui familiari risiedono a Gaza; la possibilità di seguire corsi scolastici a vario livello e programmi informativi alla televisione; l’abolizione degli “arresti amministrativi”. Ricoverati in ospedale 10 detenuti in sciopero della fame Dieci detenuti palestinesi in sciopero della fame, rinchiusi nel carcere israeliano di Ramle, sono stati ricoverati in ospedale a causa del peggioramento delle loro condizioni di salute. Lo ha annunciato il rappresentante palestinese presso le Nazioni Unite, Riyad Mansour, in una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza. Mansour ha precisato che alcuni dei 10 detenuti, in particolare Bilab Diab e Thaer Halahla, sono in gravi condizioni e rischierebbero la vita. Entrambi i prigionieri sono in sciopero della fame dal 29 febbraio e soffrirebbero di “disidratazione, abbassamento della pressione sanguigna e perdita di tono muscolare”, ha sottolineato Mansour. Almeno 1.500 prigionieri palestinesi in carcere in Israele sono in sciopero della fame per protesta contro la loro detenzione. Iran: confermata condanna a 9 anni di carcere per l’avvocato Mohammad Ali Dadkhah Agi, 6 maggio 2012 La giustizia iraniana ha confermato in appello la condanna a nove anni di carcere per l’avvocato e attivista dei diritti umani Mohammad Ali Dadkhah. Lo ha reso noto lui stesso, precisando di essere ancora in attesa che gli venga notificata la sentenza. Dadkah, che fa parte nel Centro dei difensori dei diritti umani fondato dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, aveva difeso diversi politici e attivisti imprigionati dopo le contestate elezioni in Iran del 2009. La condanna in primo grado risaliva al luglio 2011. Alla pena detentiva si aggiunge un divieto per dieci anni di praticare le attività di avvocato e di docente universitario. Al posto della pena della fustigazione inflitta in primo grado, la sentenza definitiva prevede un indennizzo di 25 milioni di riyal (pari a 1.100 euro). Amnesty International ha chiesto alle autorità di Teheran di annullare la sentenza: “Il suo unico crimine è aver difeso i diritti di altre persone”, ha denunciato Ann Harrison, vicedirettrice dell’Ong per i diritti umani per Medio Oriente e Nord Africa. Cuba: americano condannato a 15 anni per creazione network Internet per i dissidenti Adnkronos, 6 maggio 2012 “Mi sento come un ostaggio”. È quanto ha detto, in un’intervista alla Cnn, Alan Gross, il cittadino americano di 63 anni da oltre due anni detenuto a Cuba e condannato a 15 anni con l’accusa di aver creato un network segreto per dare accesso ad Internet ai dissidenti. Gross lavorava a Cuba per un’associazione che, con un appalto del dipartimento di Stato, distribuiva materiale informatico principalmente ai gruppi della comunità ebraica. Washington ha sempre negato che Gross sia una spia e l’amministrazione Obama ha accusato l’Avana di trattenerlo come una sorta di “pegno”. “Io non ho nulla contro il popolo cubano, io fare qualsiasi cosa per aiutarlo”, ha detto ancora Gross che ora chiede al governo cubano un permesso per andare negli Usa a trovare la madre novantenne e malata di cancro. Ucraina: Tymoshenko… una causa giusta? di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2012 Non ci sono informazioni attendibili sull’innocenza o la colpevolezza di Yulia Tymoshenko. Quello che si sa di lei restituisce la storia di una donna ricca e potente, imprenditrice in un settore strategico, quello del gas e delle risorse energetiche. Sembra che sia stata anche spregiudicata negli affari: nel 2001, già più di 10 anni fa, ci furono accuse contro di lei per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano; venne addirittura arrestata. Aveva amici chiacchierati, anche loro condannati per corruzione e altri reati tipici dei potenti dell’economia. Entrò in politica sfruttando la sua ricchezza, le sue relazioni nel mondo degli affari e della politica e una corte personale costruita attraverso la rete delle sue aziende. Fin dai primi processi si difese secondo un copione standard, sempre utilizzato fino ad oggi: persecuzione giudiziaria utilizzata come strumento di lotta politica. Insomma, una versione femminile (molto carina) di B. La differenza, per quanto mi riguarda (ma - temo - per quanto riguarda la maggior parte delle persone che oggi si occupano di lei), è che dei suoi processi, dei reati che è accusata di aver commesso, dei suoi conflitti di interessi, della presunta strumentalizzazione della giustizia ucraina a fini politici, non so assolutamente nulla. Sono convinto che nessuno di quelli che oggi protestano conosce un solo atto dei numerosi processi cui è stata sottoposta; insomma nessuno è in grado di sapere se davvero, in Ucraina, si è realizzata una perversione dell’amministrazione della giustizia che si sarebbe piegata ai loschi fini dei suoi avversari politici. Mentre molti di noi conoscono bene, alcuni addirittura approfonditamente, i processi di B., le sue leggi ad personam utilizzate per guadagnarsi assoluzioni e prescrizioni, la perversione della politica piegata alla sterilizzazione del controllo di legalità. Per questo sono perplesso sulla crociata in favore di Tymoshenko. Siamo sicuri che sia una guerra giusta? Oppure siamo come i cittadini di Roma che si preparavano a bruciare Roma dopo l’uccisione di Cesare? “Dunque amici andate a fare ciò che non sapete”, dice Antonio ai Romani (Shakespeare, Giulio Cesare). La politica europea sa cosa sta facendo? Oppure sta strumentalizzando, questa volta davvero, la vicenda per ragioni politiche ed economiche, perché preferisce Tymoshenko a Yanukovic il suo rivale? Non lo so, veramente. Ma non sono sicuro che sia una buona idea contestare i provvedimenti giudiziari di un Paese straniero “a priori”, dando per scontato che i giudici di quel Paese si siano fatti corrompere dal loro governo. Quando ci hanno negato l’estradizione di Battisti sostenendo che i Tribunali italiani non gli avevano garantito un processo giusto mi sono molto arrabbiato. A meno che non ci si limiti alla protesta per i maltrattamenti. Le fotografie di Yulia Tymoshenko sono prova evidente di percosse brutali, in particolare pugni sull’addome e sullo stomaco. E la versione ufficiale ucraina è ridicola: “Lesioni auto inferte” (attenzione: non “montaggio fotografico”); mi ricorda gli arrestati che arrivavano in udienza con la faccia tumefatta dopo essere “caduti dalle scale”. Ecco, per questo sì che bisogna protestare. Ma è una questione da Amnesty International, non da cancellerie o ministeri degli Esteri. Se ci si indigna a livello di vertice politico per i pugni dati a Tymoshenko, cosa si dovrebbe fare per i detenuti cinesi o coreani?