Giustizia: diritti umani; l’Italia è il paese più condannato dalla Corte di Strasburgo di Valter Vecellio Notizie Radicali, 4 maggio 2012 Nuove bacchettate dall’Europa. Nel mirino, ancora una volta, l’amministrazione della giustizia. L’Italia, sottolineano nei loro dossier a Bruxelles, vanta il più alto numero di condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo per violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Condanne divenute più frequenti dopo l’introduzione nell’art. 111 della Costituzione del principio della “ragionevole durata” del processo: “Occorre non solo ampliare il ricorso alle misure alternative alla detenzione prevedendo norme che ne favoriscano l’applicazione, ma anche pensare di riservare il carcere solo ai reati di particolare gravità”. Non solo: “Occorre potenziare anche i controlli sull’esecuzione delle misure alternative alla detenzione con personale competente, che conosca la materia dell’esecuzione della pena e dell’ordinamento penitenziario, garantendo così la sicurezza dei cittadini e la certezza della pena”. Quello che ci viene detto da Bruxelles è che occorre un modello nuovo di esecuzione della pena in carcere che vada nella direzione della responsabilizzazione del detenuto e non solo del suo contenimento; tutto questo è in stridente contrasto con una realtà fatta di istituti fatiscenti e sovraffollati, dove appena metti piede non sai quanto tempo ci resterai, e tutto congiura ti passa la voglia di vivere. Temi agitati anche nel corso della marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà del 25 aprile a Roma, e che ha visto la presenza di numerosi personaggi impegnati sui grandi temi della legalità e della giustizia; marcia che ha “gridato” ancora una volta l’impossibilità di potere garantire ai detenuti quei diritti che l’ordinamento penitenziario proclama. L’80 per cento degli istituti penitenziari in Italia, infatti, sono costruzioni che risalgono a due-trecento anni fa, fatiscenti e mai ristrutturate. Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Giustizia, alla fine del mese di marzo scorso le persone detenute nelle carceri italiane erano oltre 66mila; di queste 27mila senza una sentenza di condanna definitiva e ben 13.493 in attesa del giudizio di primo grado. È da credere dunque che sia altissima la percentuale di detenuti ancora imputati e quindi presumibilmente innocenti, si calcola circa il 43 per cento. Passiamo ora ai quotidiani paradossi che non fanno “notizia”. Il “braccialetto elettronico”, per esempio: strumento che consente di monitorare i movimenti del detenuto senza per questo relegarlo in cella. Ovvio che si applica a quei detenuti di poca o nulla pericolosità sociale; in Francia e in Gran Bretagna se ne fa largo uso. Non così in Italia, e tuttavia, anche se vengono lasciati arrugginire negli stanzoni del ministero. Campobasso è uno dei pochi posti dove il braccialetto elettronico viene usato. Recentemente uno straniero, un indiano, è stato condannato a “indossarlo”: allacciato alla caviglia, sul calzino di spugna bianco, quel braccialetto verifica, attraverso la linea telefonica, in ogni momento della giornata che lui sconti la sua pena detentiva in casa; così può scontare la pena ai domiciliari, a Baranello, comune alle porte di Campobasso. Tutto bene non fosse che questo “braccialetto” costa allo Stato qualcosa come 700 mila euro. Quando il vice-capo della polizia, nel corso di un’audizione in Senato, osservò che acquistare i “braccialetti” in una gioielleria di Bulgari forse sarebbe costato meno, molti giudicarono la battuta di dubbio gusto. Però le cifre parlano chiaro. A dispetto della mancata diffusione del braccialetto elettronico - soluzione approdata in Italia come sperimentazione nel 2001 e mai diventata vero e proprio sistema - i ministeri italiani della Giustizia e dell’Interno continuano a stipulare convenzioni con la Telecom. Risultato: in dieci anni appena 14 persone condannate all’arresto sono state portate fuori dalle carceri, senza essere rimesse in libertà, controllate appunto dal “braccialetto”. In dieci anni sono stati spesi 110 milioni per un sistema di controllo sostitutivo delle carceri nei fatti completamente snobbato. Per finire, una testimonianza di prima mano, come si vive in un carcere. È un resoconto curato da alcuni detenuti della redazione di “Ristretti Orizzonti”, un bollettino che viene redatto nella Casa di reclusione di Padova. “L’impatto con il carcere di oggi è drammatico, e lo è in particolare per le persone giovani o al primo reato. Forse gli spazi ridotti non hanno un effetto diretto su chi decide di togliersi la vita, ma se in celle dove dovrebbero stare uno o due detenuti, ne vengono invece parcheggiati tre, quattro, cinque, la mancanza di una prospettiva, l’impossibilità perfino di immaginare un progetto di vita, forse qualcosa c’entrano. Il vero problema non sono i metri quadrati della cella che si riducono, ma il regime di vita che tiene le persone stese in branda per più di 20 ore al giorno, la monotonia della quotidianità che abbrutisce e la mancanza di attività. Sembra paradossale, ma all’aumento del numero dei detenuti sono seguiti, ogni anno, ripetuti tagli ai fondi destinati al carcere. Oggi l’amministrazione non passa quasi più nulla dei prodotti per l’igiene, come stracci, secchi, scope, che adesso vengono forniti per lo più solo a pagamento. Mentre prodotti come saponette, dentifrici, rasoi e shampoo, sono ormai forniti quasi sempre dai volontari ai detenuti poveri. La carenza d’igiene viene aggravata dal fatto che le persone devono trascorrere gran parte del tempo in cella. Le Regole europee chiamano le celle “camere di pernottamento”, poiché dovrebbero essere usate, appunto, per dormire alla sera. In realtà, nella maggior parte delle carceri italiane, si può uscire dalla cella alla mattina per andare all’aria, per due ore, e lo stesso si può fare dopo pranzo, sempre per due ore. Per il resto si deve rimanere in cella, dove ormai dappertutto hanno installato, in celle da uno o da due, la terza, e magari la quarta e la quinta branda. Per molti le uniche uscite dalla cella sono quelle per i passeggi, ma ormai “l’aria” assomiglia sempre più a un mercato affollato, i cortili sono progettati per contenere le 25 persone di una sezione, se invece ci va tutta la sezione, che ormai è fatta di 75 persone, dovrebbero stare tutti immobili perché camminare sarebbe impossibile. Tre persone che dividono circa undici metri quadri di cella producono sicuramente conseguenze psicologiche pesanti. In quello spazio sono sistemate le brande, gli stipetti per il vestiario e un piccolo bagno con water e lavabo, il che significa che se uno si muove, gli altri devono stare fermi. Il dover trascorre intere giornate in una situazione del genere fa saltare i nervi, e uno dei problemi principali che la promiscuità causa è l’aumento del disagio mentale e della depressione. Un disagio che trova la sua diretta manifestazione nell’enorme abuso di psicofarmaci, il “contenimento chimico”, come lo ha definito un sindacato della Polizia penitenziaria. Anche lavarsi sta diventando un incubo. Mediamente sono funzionanti tre - quattro docce per sezione: concepite inizialmente per 25 detenuti, ora dovrebbero far fronte alle necessità di 75. Ma il sovraffollamento influisce soprattutto sul lavoro. Nel senso che, mentre il numero dei detenuti cresce, i posti di lavoro sono sempre gli stessi. Quando spesso sentiamo dire dei detenuti “che almeno lavorino!”, noi rispondiamo “magari!”. Tutti qui dentro vorrebbero lavorare, perché avere un reddito, anche se minimo, ti fa vivere in modo un pò più dignitoso in un luogo dove di dignitoso c’è rimasto davvero poco. E però il lavoro non c’ è, e di conseguenza sono pochi i detenuti che hanno la possibilità di acquistare dei prodotti alimentari extra, quindi le persone nella stragrande maggioranza aspettano che passi il carrello per consumare i loro pasti. Ma l’amministrazione spende poco più di tre curo al giorno per i tre pasti giornalieri che spettano a ogni detenuto e, con i numeri triplicati, il cibo scarseggia sempre, e l’unico lavoro che non vuol fare quasi più nessuno è il porta vitto. Qualsiasi ragionamento sul miglioramento delle condizioni di vita in carcere dovrebbe partire dal concetto di “riduzione del danno da carcere”. E per ridurlo bisogna pensare a una galera che dia speranze concrete e offra le possibilità di progettare un futuro migliore. Perché non avere una prospettiva, non vedere nella tua vita niente che ti possa aprire uno spiraglio di speranza, si traduce in un forte rischio per le persone, ma anche per la società che prima o poi dovrà riaccoglierle”. Giustizia: un appello a Napolitano dai Garanti dei diritti dei detenuti di Mauro Palma Il Manifesto, 4 maggio 2012 Non è frequente che un Capo di Stato riceva coloro che con continuità visitano i luoghi di detenzione per ricevere informazioni dirette sulle condizioni a cui sono soggetti coloro che vi sono ristretti, sulle loro connotazioni sociali, sulle possibili azioni da compiere per rendere la pena coerente con quell’idea di reinserimento sociale, molto spesso affermata e altrettanto spesso disattesa. Non stupisce tuttavia che il Presidente Napolitano abbia incontrato i garanti delle persone private della libertà - quelli eletti su base regionale e il coordinatore di quelli cittadini, Franco Corleone - giacché più volte egli è intervenuto su questo tema, dimostrando attenzione istituzionale e soprattutto considerando le condizioni carcerarie un parametro fondamentale della qualità della nostra democrazia. Il 27 aprile scorso il Presidente, in un incontro cordiale e chiaro organizzato dalla garante della Campania Adriana Tocco, ha ricevuto una fotografia diretta di una situazione che permane molto grave e preoccupante. Il primo punto evidenziato dai garanti è stato, infatti, il perpetrarsi di una situazione ben distante sia dalle previsioni costituzionali per quanto attiene la finalità della pena, sia dagli obblighi internazionali a prevenire trattamenti e pene che contrastino con la dignità delle persone recluse e sia, infine, dalle stesse previsioni normative del nostro Paese: è emblematico il fatto che già la piena attuazione del Regolamento per il carcere - adottato dodici anni fa e restato sostanzialmente inapplicato - avrebbe effetti di radicale trasformazione della situazione esistente. E questa è stata, quindi, la prima necessità evidenziata: l’immediata attuazione del regolamento quale soluzione a molti problemi di vivibilità. I garanti erano accompagnati da chi scrive, quale membro italiano del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, e per molti anni presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura. Mio, quindi, è stato il compito di rappresentare al Presidente l’urgenza dell’istituzione di un’autorità indipendente che monitori la privazione della libertà; istituzione possibile attraverso la ratifica di un Protocollo Opzionale delle Nazioni Unite che l’Italia ha firmato e - contrariamente alla grande maggioranza degli altri Paesi europei - non ha mai ratificato. A tutti è tuttavia noto - ed è stato importante ribadirlo nell’incontro - che, senza un incisivo intervento sul vasto fenomeno della carcerizzazione dei consumatori di droghe e dei tossicodipendenti, le discussioni sulla riduzione del ricorso al carcere rischiano diventare puramente accademiche. Il governo in quest’ambito è stato inesistente e tale assenza rischia di vanificare le stesse azioni fin qui intraprese sul sovraffollamento. Occorre iniziare a corrodere il moloch delle attuali norme, cominciando almeno con l’aggredire quegli aspetti dell’attuale approccio punitivo alle droghe che determinano carcere - e molto - anche per situazioni e reati di lieve entità. Su questo i numeri delle presenze segnalano un’urgenza che non giustifica indecisioni e rinvii. Questa è la prima tra le altre molte necessità ribadite nell’incontro, di cui ormai tutte le autorità dello Stato, a cominciare dalla più alta, sono state rese edotte. Si resta fiduciosi, ma anche impazienti. Giustizia: nel Paese di Verri e Beccaria il reato di tortura non è previsto dal Codice penale di Irene Testa Notizie Radicali, 4 maggio 2012 Tortura: coercizione fisica o morale allo scopo di estorcere confessioni o dichiarazioni; in ambito giudiziario, anche pena corporale particolarmente crudele, fino a implicare talvolta sevizie brutali e disumane. La definizione del Devoto-Oli descrive la pratica che ha macchiato e continua a macchiare il funzionamento delle macchine giudiziarie di tanti Paesi nel mondo. Nel codice penale italiano la parola “tortura” non c’è e non informa alcun reato. In Italia, patria di Verri e Beccaria, paese che ha ratificato dal 1955 la Convenzione europea per i diritti dell’uomo e dal 1988 la Convenzione Onu contro la tortura, si può essere perseguiti per quasi tutti i reati violenti, ma la tortura, fisica o psicologica, non è contemplata neanche come aggravante. Così non si tratta di tortura quando si sbattono i presunti innocenti in galera per periodi che possono durare fino a ben nove anni di custodia cautelare, e non si è trattato di tortura quando agenti e dirigenti del carcere di Sassari furono condannati per il barbaro pestaggio di una trentina di detenuti. Neanche i 5 agenti di polizia penitenziaria coinvolti nei pestaggi nel carcere di Asti non sono stati condannati ma assolti poiché il giudice ha ritenuto che non essendoci il reato di tortura nel nostro ordinamento nessuna condanna poteva essere inflitta. La tortura non la si può ravvisare tra gli effetti delle sistematiche violazioni del diritto e della dignità dei detenuti che si consumano ogni giorno nelle carceri italiane, sovraffollate ormai oltre la soglia del collasso, né in pene come il carcere duro previsto dall’art. 41 bis per i reati di mafia, regime di isolamento totale e prolungato. Recentemente, una delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio europeo ha condotto una serie di visite in alcuni istituti di pena italiani. La missione, tra i cui scopi rientrava la raccolta di informazioni sul regime del 41 bis, avrebbe espresso forti preoccupazioni per la situazione italiana. È seguita a ruota un’altra missione di osservazione da parte del Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria del Consiglio delle Nazioni Unite, che ha criticato il 41 bis per la estrema durezza del trattamento e la durata spesso prorogata delle applicazioni, e si è dichiarata sorpresa per la mancanza del reato di tortura nella legislazione italiana. A nulla è servita l’approvazione dell’ ordine del giorno a prima firma Rita Bernardini che impegnava il Governo a predisporre urgentemente un disegno di legge per introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale, tutto questo non sembra però preoccupare il Ministro Severino e il Governo, che tira dritto per la sua strada ignorando il problema. Giustizia: tortura non è ancora reato, 25 anni di mancato rispetto del diritto internazionale di Patrizio Gonnella www.linkontro.info, 4 maggio 2012 La tortura è un crimine. La tortura non è un reato per l’Italia. Nel nostro codice manca infatti il delitto di tortura. Abbiamo previsto galera per tutti (consumatori di droghe leggere, donne che praticano la fecondazione assistita eterologa, immigrati senza il permesso di soggiorno) tranne che per i torturatori. Ieri il Corriere ha realizzato una inchiesta che invitiamo tutti a leggere. Alcuni di noi hanno contribuito a realizzarla. Vorremmo che più gente possibile la leggesse e ne ascoltasse gli audio. È terrificante. Quell’inchiesta è anche il frutto di una scelta importante dell’amministrazione penitenziaria che ha consentito alle telecamere di entrare nelle galere e fare inchieste degne di questo nome non fondate solo sul sentito dire. Ad Asti l’associazione Antigone si è costituita parte civile nel processo. Il giudice, non punendo i responsabili dei gravi crimini commessi da un gruppo di poliziotti penitenziari, ha spiegato che non poteva fare altro non essendo mai stato codificato nel nostro Paese il reato di tortura. Il film Diaz di Daniele Vicari, dopo la visione di un paio di ore di violenze brutali commesse dai poliziotti di stato e penitenziari, si conclude con un fotogramma dove si legge che in Italia manca il reato. Manca dal 1987. Venticinque anni di mancato rispetto del diritto internazionale. La Convenzione Onu contro la tortura, ratificata dall’Italia nel 1987, non è mai stata rispettata. Questa è la definizione delle Nazioni Unite: “Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate.” Non è direttamente applicabile nel nostro ordinamento in quanto mancano una norma interna che indichi le sanzioni. Ogni altro giorno di mancata attuazione del diritto internazionale ci fa sprofondare nella illegalità e nella immoralità politica. Giustizia: Gozi (Pd); i ricorsi contro l’Italia ingolfano la Corte europea dei diritti umani Ansa, 4 maggio 2012 “L’Italia rischia di diventare la causa del blocco della Corte europea dei diritti umani, a causa delle sue continue e ripetute condanne per la lentezza nei processi e cattiva gestione delle carceri - è quanto afferma l’on. Sandro Gozi responsabile delle politiche Ue del Pd alla Camera. Il nostro paese, con Russia e Ucraina, detiene il triste record di condanne e sta di fatto ingolfando il lavoro della Corte. La mala-giustizia italiana da tumore nazionale sta quindi diventando un veleno anche per l’Europa”. Per Gozi “è urgente una riforma, che veda politica e magistratura cooperare nell’interesse dei cittadini italiani e, a questo punto, europei”. Giustizia: Vitali (Pdl); da ministro Severino massimo impegno per conformarci a Europa Adnkronos, 4 maggio 2012 “Il Ministro Severino ha annunciato che si sta discutendo in Parlamento dell’istituto della messa alla prova, che dovrebbe ridurre il numero dei detenuti e che si sta procedendo con il piano carceri alla realizzazione di nuovi istituti penitenziari e di nuovi padiglioni: il tutto dovrebbe rendere conforme alla tutela dei diritti umani la permanenza nelle nostre carceri”. Lo ha dichiarato oggi Luigi Vitali, Presidente della Delegazione Parlamentare presso il Consiglio d’Europa, al termine di un incontro con il Presidente della Corte di Giustizia Europea Nicolas Bratza. “Il presidente Bratza - ha proseguito Vitali - si è mostrato molto interessato a questi interventi ed ha auspicato di poter incontrare a Strasburgo il Ministro Severino nel mese di ottobre per valutare l’impatto di queste nuove normative sulle criticità segnalate dalla Corte di Giustizia Europea”. Giustizia: il vuoto dentro… di Valentina Ascione Gli Altri, 4 maggio 2012 Non mi hanno mandato un essere umano, ma un corpo svuotato. Una carcassa, ecco cosa mi hanno restituito, una carcassa!”. È del proprio figlio che parla, Cira Antignano. O meglio, di ciò che di lui le rimane a quasi due anni dall’inizio di una dolorosa odissea personale e giudiziaria. Era l’estate del 2010 quando Daniele Franceschi morì nel carcere francese di Grasse. Il 25 agosto. E il 36 enne di Viareggio era recluso li da oltre cinque mesi con l’accusa di falsificazione e utilizzo indebito di carte di credito. Si parlò di un malore, ma le circostanze del decesso apparvero da subito poco chiare e le spiegazioni delle autorità locali poco convincenti, soprattutto di fronte a una madre, Ora, che in tante lettere aveva potuto conoscere una realtà carceraria fatta di indifferenza, di soprusi e cure negate. Una realtà ostile, come l’accoglienza che solo un paio di mesi più tardi la gendarmeria avrebbe riservato a lei, percossa, ammanettata e arrestata davanti alla prigione di Grasse, dopo aver tentato di gridare il proprio dolore e chiedere l’accertamento della verità sulla morte di Daniele. Per tutta risposta la donna si vide restituire una salma vuota, in pessimo stato di conservazione - come riconosciuto dal medico legale della Asl - e dalla quale gli organi interni erano stati asportati con una procedura assolutamente anomala, che avrebbe reso impossibili ulteriori accertamenti e l’individuazione di eventuali lesioni interne. Cira però non si era data per vinta. Altre due volte tra volata in Francia, per manifestare davanti all’Eliseo, e aveva perfino scritto una lettera alla Première dame Carla Bruni-Sarkozy. Indagati per la morte di Daniele Franceschi ci sono ad oggi un “medico e due infermieri dell’ospedale di Grasse, con l’accusa di omicidio involontario (che corrisponde all’omicidio colposo del codice italiano). I sanitari avrebbero sottovalutato i sintomi di un infarto. Sul tavolo restano però molti dubbi, che la deputata radicale Rita Bernardini ha riassunto in un’interrogazione ai ministri della Giustizia e degli Esteri. Mentre i giudici continuano a negare l’invio in Italia degli organi asportati dal corpo di Franceschi. Ecco perché Cira Antignano non intende abbassare la guardia e in occasione del secondo turno delle presidenziali francesi è tornata a far sentire forte la propria voce. Forte, come il 25 aprile scorso dal palco della Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, davanti a migliaia di persone e soprattutto di donne. Di cittadine come lei, come Baria Cucchi, Lucia Uva e Patrizia Aldrovandi. Che da anni lottano per strappare allo Stato quei diritti che lo Stato dovrebbe garantire a ciascuno di noi. Giustizia: Di Giovanni; dati penitenziari incompleti, serve osservatorio della pena Il Velino, 4 maggio 2012 “I dati che oggi ci vengono forniti non tengono conto dei liberi in sospensione né di parte della pena sul territorio: sono da chiarire e finché non arriveranno numeri certi, chiari e qualitativamente validi, non si potrà mai ragionare sulla condizione penitenziaria in Italia”. Lo dice Angelica Di Giovanni, magistrato di lungo corso, già Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, da sempre attenta alle dinamiche relative alla presenza negli istituti di pena. Presidente qual è la reale situazione ad oggi della condizione penitenziaria? “Nessuno lo sa perché i numeri che leggiamo non danno l’entità della pena e i dati odierni non sono certo diversi da quelli del 2005 e 2006. Eppure bisogna fare i conti con una legge che tutti sembrano dimenticare”. Quale? “La legge Simeone Saraceni che prevede la sospensione dell’esecuzione della pena e tutti gli interventi legislativi che hanno spostato la pena sul territorio. Ecco perché i numeri dei detenuti non rappresentano la realtà né sono indicativi della qualità della pena in Italia”. Che cosa potrebbe cambiare le cose? “Un osservatorio sulla pena istituito d’intesa tra Ministero della Giustizia e Ministero dell’Istruzione. Servirebbe ad avere maggiore contezza del reato grazie ad un censimento e monitoraggio costante, dico costante e aggiungo attento, dei flussi di reato. Come dico sempre occorre conoscere il male per prevenirlo”. Risolverebbe il problema secondo lei? “Di fatto darebbe un quadro chiaro e attendibile dei numeri dentro e fuori dagli istituti di pena. Per intervenire in qualunque ambito, serve prima conoscere il contesto in cui si vuole operare. Anche perché c’è un’altra cosa che oggi non viene considerata”. Quale? “Il trend di reato, cioè quale reato è più commesso. Avendo coscienza di questo anche il legislatore verrebbe indirizzato a redigere norme più puntuali. Serve insomma tener conto di tutti i dati e di tutte le zone d’Italia, soprattutto di quelle maggiormente criminogene”. Giustizia: “spending review”; protesta dei sindacati per i tagli al sistema penitenziario Apcom, 4 maggio 2012 Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo di Categoria, si dice “sorpreso” dai contenuti del dossier del Ministro Giarda “Elementi per una revisione della spesa pubblica”, nella parte che prevede tagli settore carceri italiane. “Siamo di fronte a linee guida fantasiose, che non tengono assolutamente conto della realtà”, afferma il Segretario Generale Sappe Donato Capece. “La grave ed emergenziale situazione delle carceri italiane è gestita nel modo migliore dalla Polizia Penitenziaria, pur essendo già oggi sotto organico di 7mila unita. Come si può pensare di tagliare ben 4mila agenti puntando sulle nuove tecnologie se già oggi buona parte delle carceri hanno gli impianti anti scavalcamento, anti intrusione ed i sistemi di allarme fuori uso per mancanza di fondi? Se ci si sorprende del costo dei biglietti aerei per il trasporto dei detenuti perché il Capo dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino (nominato dal Governo di cui Giarda è ministro), come primo atto del suo mandato al Dap, ha soppresso il Gruppo di lavoro finalizzato a studiare nuove soluzioni al sempre più frequente ricorso di vettori aerei per le traduzioni dei detenuti? Dai tecnici ci aspettavamo altro. Dopo il pensionamento dei poliziotti a 70 anni, ora si pensa di mettere in ginocchio il sistema penitenziario del Paese con decisioni irrazionali, fantasiose e demagogiche. Un altro motivo per il quale il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziario Sappe manifestare venerdì 18 maggio a Roma nel giorno della festa autoreferenziale dell’amministrazione penitenziaria.” Moretti (Ugl): non compromettere sicurezza carceri “Chiediamo al ministro Giarda e a tutto il Governo maggiore accortezza rispetto a scelte che possono compromettere irreparabilmente il già disastrato sistema delle carceri”. Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, commentando l’ipotesi di spending rewiew del ministro Giarda, che prevede, tra le altre cose, di tagliare gli addetti alla sorveglianza di 4 mila unità. “Pur essendo condivisibile la prospettiva di una revisione dei modelli custodiali, razionalizzando l’impiego della Polizia Penitenziaria ed evitando continue traduzioni per motivi di giustizia, e di un recupero delle risorse, attraverso il ricorso alle nuove tecnologie per i controlli, - spiega il sindacalista - non va dimenticato che la pianta organica attuale, calibrata su una popolazione detenuta di circa 50.000 unità, presenta già un deficit di oltre 7.000 agenti, a fronte di un sovraffollamento di oltre 27.000 detenuti”. “Si tratta di tagli inimmaginabili - continua Moretti - se si considera che da una indagine della Ugl Polizia Penitenziaria è emerso che già oggi molti posti di servizio, come le garitte sui muri di cinta delle case circondariali, non vengono più coperti a causa della carenza di organico e che un agente svolge il suo servizio in media su tre diversi posti in uno stesso turno”. “Questi carichi di lavoro smisurati e inaccettabili - conclude il sindacalista - verrebbero ulteriormente aggravati da un taglio della pianta organica, mettendo a rischio la sicurezza negli istituti, già fortemente precaria”. Vitali (Pdl): tagli non penalizzino ancora carceri “Sentiamo parlare in questi giorni di spending review che dovrebbe essere la formula magica per risolvere i problemi connessi alla spesa pubblica superflua”. È quanto dichiara Luigi Vitali, responsabile dell’Ordinamento Penitenziario per il Pd, augurandosi che “il comparto sicurezza non solo non venga tagliato ma venga consolidato rivestendo carattere di assoluta priorità per la collettività. E quando parlo di sicurezza - prosegue - mi riferisco soprattutto al sistema carcerario e alla polizia penitenziaria”. “È evidente che questi tagli non potranno essere lineari né colpire indiscriminatamente tutti i settori”, ha continuato il parlamentare. Quello della sicurezza - ha proseguito il deputato Pdl - “ha già dato ed è arrivato il momento di rispettarlo e considerarlo per quello che vale e che merita. Una diversa impostazione” ha concluso Vitali “incontrerebbe la nostra ferma opposizione sino a mettere in discussione il sostegno a questo Governo”. Giustizia: Magistratura Indipendente; tagliare braccialetto elettronico, è inutile Tm News, 4 maggio 2012 “È assurdo che nel rapporto del ministro Giarda noto come spending review alla voce giustizia, non si preveda il recupero delle somme destinate all’utilizzo di un braccialetto elettronico per i soggetti sottoposti a pena detentiva, strumento inefficace e dispendioso”. Lo ha detto Cosimo Ferri, segretario generale di Magistratura indipendente, la corrente di minoranza del sindacato delle toghe. “Non è opportuno infatti - ha aggiunto - investire somme di danaro importanti nella consapevolezza che lo strumento non porterà seri benefici. Le poche risorse, di cui in questo momento il paese può disporre, devono essere spese con rigore ed efficacia. Peraltro nello stesso rapporto si intende ridurre il personale della polizia penitenziaria, il cui impiego invece dovrebbe aumentare per garantire un effettivo controllo dei soggetti dotati del braccialetto”. Giustizia: Osapp; perché auto e agenti di polizia penitenziaria per la scorta di Alfano? Ansa, 4 maggio 2012 Automezzi e agenti di polizia penitenziaria sarebbero stati utilizzati come scorta per l’ex ministro della Giustizia e attuale segretario nazionale del Pdl, Angelino Alfano, durante il tour elettorale da questi compiuto ieri in Puglia, “mentre le carceri sono sovraffollate e c’è carenza di personale di sorveglianza”: è quanto denuncia in una nota il vice segretario generale nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli. Un utilizzo di personale e risorse del tutto illogico e poco giustificabile, scrive Mastrulli, anche se si tratterebbe di personale distaccato presso settori e uffici del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria (Prap) di Bari. L’utilizzo, aggiunge Mastrulli, sarebbe stato disposto dall’Ufficio centrale per la sicurezza personale e la vigilanza (Uspev) del Dipartimento “in controtendenza alle direttive del ministro, Paola Severino, e del capo di governo, Mario Monti”. L’Osapp sottolinea che attualmente, in penitenziari pugliesi quali quelli di Lucera, Altamura, Bari, Trani, Foggia e Taranto, nelle ore serali e notturne, a volte ci sono solo 5-6 agenti di polizia penitenziaria a sorvegliare tra 250 e 450 detenuti. Per questo motivo Mastrulli chiede un cambio al vertice del Provveditorato regionale della Puglia dell’amministrazione penitenziaria. Sardegna: si infiamma dibattito su apertura di strutture per ex internati in Opg Redattore Sociale, 4 maggio 2012 Il comitato “Stop Opg Sardegna” ha diffuso una lettera aperta all’assessore regionale alla Sanità Simona De Francisci, che ha annunciato l’intenzione di far tornare in Sardegna i 33 pazienti ricoverati nei 5 ospedali psichiatrici presenti nella penisola. “Niente ospedali psichiatrici giudiziari in Sardegna”. Dopo la giornata di approfondimenti e studio organizzata dal comitato “Stop Opg Sardegna” e la presentazione da parte della Regione del piano sanitario penitenziario, il movimento che protesta contro gli ospedali psichiatrici giudiziari torna alla carica con una lettera aperta all’assessore regionale alla Sanità, Simona De Francisci. “Apprendiamo con viva preoccupazione - scrive il portavoce Roberto Loddo, - la conferma che gli ospedali psichiatrici giudiziari, Opg, saranno due in Sardegna. Tale notizia è stata data alla stampa mentre si svolgevano i lavori del Convegno “Un Volto un Nome” da noi organizzato a Cagliari”. Forte indignazione da parte del comitato. “Esprimiamo quindi ferma indignazione - proseguono i volontari - per le decisioni da Lei assunte in ordine al problema ‘superamento degli Opg’ che vedrebbe nascere in Sardegna due piccoli manicomi che l’attuale normativa, e il buon senso comune, non consentirebbe. Inoltre esprimiamo forte dissenso alla indisponibilità dimostrata dalla S.V. ad aprire un tavolo di confronto con il nostro Comitato e tutti i soggetti interessati. Tale confronto è necessario per analizzare ogni singola situazione e proporre percorsi individualizzati di reinserimento sociale per chi ha scontato la misura di sicurezza e percorsi riabilitativi per coloro che necessitano di misure più “restrittive” ma sempre nel rispetto del dettato Costituzionale e del Dpcm 1° aprile 2008. È scandaloso che da una parte ci sia stato il totale silenzio e la negazione al diritto di confronto democratico, e dall’altra l’incapacità e l’inerzia istituzionale di trovare alternative adeguate e rispettose dei diritti umani nei confronti dei nostri concittadini già duramente privati dei loro diritti fondamentali. La invitiamo pertanto a bloccare qualunque decisione già assunta e aprire un immediato tavolo di confronto al fine di programmare i percorsi individualizzati di rientro degli internati dagli Opg, come auspicato dalla Campagna “Un Volto un Nome”, rispettando lo spirito delle norme che vogliono il definitivo superamento di tali istituzioni di esclusione e segregazione”. Sardegna: allarme della Cisl dopo visite negli istituti penitenziari della Regione Ansa, 4 maggio 2012 È un quadro variegato quello che emerge dalla due giorni di visite dei rappresentanti della Cisl Sicurezza negli istituti penitenziari di Cagliari, Nuoro, Macomer e Alghero. Carenza di polizia penitenziaria e di direttori, fatiscenza e scarsità di mezzi e risorse restano i problemi di assoluta attualità. “Viene da chiedersi se in Sardegna chi lavora nell’universo penitenziario, sia figlio di un Dio minore - denunciano i sindacati in un documento inviato al provveditore penitenziario”. “Il nucleo traduzioni di Buoncammino - specifica la relazione - effettua i servizi quasi sempre sotto scorta e tutto si riconduce alla carenza di organico dell’istituto, che è di circa 50 unità. A Badu e Carros gli operatori sono costretti ad espletare turni che si protraggono oltre il normale orario di servizio. Il direttore deve gestire più istituti. Mancano circa 60 unità di polizia penitenziaria (compresa la componente femminile) e a breve finiranno i lavori del nuovo padiglione al quale servono, per la sua funzionalità, circa 30 agenti. A Macomer si rischia di arrivare sotto la soglia del numero previsto, e già oggi si lavora con difficoltà. La situazione del carcere di Alghero - conclude l’analisi - è la peggiore confrontata agli altri penitenziari visitati. Per assicurare i diritti al personale, come ad esempio le ferie, si costringono tutti gli altri che rimangono in servizio a gestire più sezioni; viene sovente soppressa la sentinella dal muro di cinta, lavorando a livelli minimi di sicurezza”. Pistoia: interrogazione Bernardini; detenuti ostaggio di condizioni drammatiche e illegali www.clandestinoweb.it, 4 maggio 2012 Interrogazione della deputata Rita Bernardini dopo la visita effettuata con Marco Pannella e i radicali Matteo Angioli e Manila Michelotti. Il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare (3 detenuti in celle di 6mq), carenza pressoché totale di attività, personale fortemente sottodimensionato, magistrato di sorveglianza assente, il tutto in una struttura fatiscente dove gli unici lavori in corso riguardano “la creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del Dna”. È questo il quadro allarmante delle condizioni del carcere di Pistoia che emergono dall’interrogazione presentata dalla deputata radicale Rita Bernardini, a seguito della visita ispettiva effettuata lo scorso 2 maggio insieme a Marco Pannella e gli esponenti radicali Matteo Angioli e Manila Michelotti. Una situazione peggiore di quella, già illegale e drammatica, riscontrata in una precedente visita a luglio del 2011 e descritta in un’altra interrogazione rimasta senza risposta. Se, infatti, nove mesi fa i detenuti presenti erano 117 a fronte di una capienza regolamentare di 74 posti, il 2 maggio scorso la delegazione ha trovato ben 147 ristretti, di cui 73 in attesa di giudizio. Affidati alla sorveglianza di soli 49 agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio, a fronte dei 67 assegnati e di una pianta organica che ne prevedrebbe 79. Due educatori e un solo psicologo chiamati a farsi carico dell’intera popolazione detenuta, che comprensibilmente reclama una presenza maggiore, anche del magistrato di sorveglianza che in molti sostengono non aver mai visto, sebbene la legge gli imponga colloqui periodici e individuali con i carcerati e la visita alle celle per verificare le condizioni di detenzione. I radicali descrivono inoltre condizioni igienico sanitarie precarie: “persino la carta igienica viene lesinata, tanto che alcuni detenuti più indigenti, usano la carta di riviste donate dai volontari” (“proprio il 2 maggio tutti i detenuti avevano però miracolosamente ricevuto il kit mancante da mesi e consistente in alcune saponette, una bottiglia di detergente per pulire la cella e alcune spugnette”, si legge). A gravare ulteriormente su un contesto di povertà diffusa è l’aumento esorbitante del sopravvitto denunciato dai reclusi. “Se si considera che nelle condizioni sopra descritte i detenuti del carcere di Pistoia “vivono” per 21 ore al giorno e che le 3 ore d’aria le trascorrono in squallidi cortili denominati “passeggi” alcuni dei quali senza tettoia, è consequenziale comprendere come questo tipo di detenzione corrisponda ad un sequestro di persona che nulla ha a che vedere con quanto previsto dall’articolo 27 della Costituzione; il che, ad avviso dell’interrogante, provoca inevitabilmente un costante stato di frustrazione e mortificazione del personale di ogni livello professionale”, inoltre, “una buona percentuale dei detenuti incontrati si trovava a Pistoia per scontare vecchi residui pena di pochi giorni o di pochi mesi, incarcerazioni intervenute nel momento in cui i soggetti avevano ormai intrapreso un sano percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro” scrive Rita Bernardini chiedendo conto ai ministri della Giustizia e dell’Interno delle ragioni del peggioramento delle condizioni già disastrate del carcere di Pistoia e se intendano assumere iniziative per garantire forme alternative di esecuzione della pena per chi deve scontare un breve residuo di pena relativamente a fatti di reato commessi in epoca molto risalente nel tempo. “Le uniche note positive - commenta infine la deputata radicale - sono la grande professionalità e umanità del personale, supportato dalla forte presenza del volontariato”. Di seguito il testo integrale dell’interrogazione Interrogazione a risposta scritta al Ministro della Giustizia e al Ministro dell’Interno. Per sapere, premesso che il 2 maggio 2012 la prima firmataria del presente atto è tornata a visitare il carcere di Pistoia insieme agli esponenti radicali Matteo Angioli e Manila Michelotti e al leader radicale Marco Pannella; la visita è stata guidata dalla comandante Barbara D’Orefice e dalla Direttrice dell’organizzazione e delle relazioni Alessandra Di Fortunato; la precedente visita risale al 18 luglio 2011 ed è stata oggetto di un’altra interrogazione (n. 4-12744) che pur essendo stata sollecitata 4 volte dalla scrivente non ha mai ricevuto risposta; la situazione del carcere, già illegale e drammatica 9 mesi fa, è addirittura peggiorata: se allora, infatti, i detenuti presenti erano 117 a fronte di una capienza regolamentare di 74 posti, il 2 maggio scorso la delegazione ha trovato ben 147 ristretti; 4 detenuti erano assenti temporanei per permessi; i detenuti in attesa di giudizio erano 73 (51 in attesa di 1° giudizio, 14 appellanti, 8 ricorrenti), 78 i definitivi; i detenuti stranieri - in tutto 77 - erano così divisi per nazionalità: 23 albanesi, 1 bulgaro, 1 ivoriano, 1 algerino, 2 egiziani, 1 spagnolo, 22 marocchini, 4 nigeriani, 1 pakistano, 16 rumeni, 4 tunisini, 1 iugoslavo; permane la carenza di agenti di polizia penitenziaria: a fronte di una pianta organica che ne prevede 79, gli agenti assegnati sono 67 ma gli effettivamente in servizio sono 49; 1 solo psicologo ex articolo 80 ha un incarico per poche ore settimanali ed è oggettivamente impossibile che possa farsi carico della popolazione detenuta, in particolare dei nuovi giunti; gli educatori sono solamente 2; perdura la pressoché totale carenza di attività: ridottissime le possibilità di studio, di lavoro, di attività ricreative e sportive; solo la piccola sezione riservata ai collaboratori di giustizia ha le celle aperte di giorno dalle 8 alle 18; impressionante è stato per la delegazione trovare nella sezione destinata all’isolamento detenuti classificati come “media sicurezza” ristretti in celle di circa 6 mq in tre, con il letto a castello a tre piani; stessa situazione nelle celle al primo piano: tre detenuti in sei metri quadrati e anche nei camerotti del primo piano dove sono stipati dai 6 ai 10 detenuti, sempre in letti a castello a tre piani; le condizioni igienico sanitarie e di struttura continuano ad essere molto precarie: persino la carta igienica viene lesinata, tanto che alcuni detenuti più indigenti, quando vanno in bagno, usano la carta di riviste donate dai volontari; proprio il 2 maggio tutti i detenuti avevano però miracolosamente ricevuto il kit mancante da mesi e consistente in alcune saponette, una bottiglia di detergente per pulire la cella e alcune spugnette; se si considera che nelle condizioni sopra descritte i detenuti del carcere di Pistoia “vivono” per 21 ore al giorno e che le 3 ore d’aria le trascorrono in squallidi cortili denominati “passeggi” alcuni dei quali senza tettoia, è consequenziale comprendere come questo tipo di detenzione corrisponda ad un sequestro di persona che nulla ha a che vedere con quanto previsto dall’articolo 27 della Costituzione; il che, ad avviso dell’interrogante, provoca inevitabilmente un costante stato di frustrazione e mortificazione del personale, in qualsiasi profilo professionale operi; nel corso della visita, la delegazione ha potuto osservare che gli unici lavori in corso nella fatiscente struttura del carcere di Pistoia riguardavano la creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del Dna; una buona percentuale dei detenuti incontrati si trovava nel carcere di Pistoia per scontare vecchi residui pena di pochi giorni o di pochi mesi, incarcerazioni intervenute nel momento in cui i soggetti avevano ormai intrapreso un sano percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro; in molti hanno sottolineato la difficoltà ad incontrare gli educatori; fra le lamentele anche quella di periodi di sovraffollamento ancora superiori dell’attuale che hanno determinato l’utilizzo di materassi buttati per terra senza branda, oltre che l’occupazione per il pernottamento della sala colloqui; la popolazione detenuta, nella quasi totalità indigente, ha deplorato l’aumento esorbitante del sopravvitto: il prezzo del caffè è quasi raddoppiato, l’olio di semi è passato da € 1,30 a € 1,90, il burro da 0,93 euro a 1,30; solo il prezzo della pasta è diminuito da 0,96 euro a 0,84; a domanda esplicita rivolta ai detenuti dalla prima firmataria del presente atto in merito alle visite alle celle di detenzione da parte del magistrato di sorveglianza, la risposta unanime è stata quella di non averlo mai visto; il 1° comma dell’articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che “Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell’istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali; da segnalare, infine, il caso di E.H. (Elmodigui Hicham) che da un anno aspetta di fare una radiografia per una caduta accidentale dalle scale del carcere; rimanendo purtroppo tuttora valide tutte le domande avanzate nella precedente interrogazione n. 4-12744, si aggiungono le seguenti: se sia a conoscenza dei fatti rappresentati in premessa; quali siano le ragioni del peggioramento delle condizioni già disastrate del carcere di Pistoia; da quanto tempo il magistrato di sorveglianza non visita i locali ove si trovano i detenuti; se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Pistoia, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo; quali siano le ragioni dell’eccessivo aumento dei prezzi del sopravvitto e se ritenga di dover intervenire; se sia stata programmata la radiografia del detenuto E.H.; quali siano i costi, nel carcere di Pistoia della creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del Dna; se negli altri 205 istituti penitenziari italiani siano state già costituite le banche dati del Dna e a quanto ammonti la spesa complessiva effettuata o da effettuare; se a seguito dell’approvazione della Legge di ratifica del Trattato di Prum sia stata approvata e diramata una regolamentazione organica e standard operativi chiari che indichino criteri etici in grado di garantire il rispetto dei concorrenti diritti di riservatezza, libertà e pubblica sicurezza; se il Governo non intenda assumere iniziative volte a garantire forme alternative di esecuzione della pena per chi deve scontare un breve residuo di pena relativamente a fatti di reato commessi in epoca molto risalente nel tempo. Bologna: la Garante dei detenuti; all’Ipm del Pratello situazione di “estrema precarietà” Redattore Sociale, 4 maggio 2012 A 5 mesi dal terremoto che ha rimosso tutti i vertici, al Pratello la situazione è ancora drammatica. Istituzioni e volontari lavorano in condizioni di precarietà e con poche risorse. La garante dei detenuti: “Non far passare i minori in secondo piano”. A 5 mesi dal “terremoto” che ha portato alla rimozione di tutti i vertici della giustizia minorile a Bologna, la situazione è ancora “drammatica” e “i minori rischiano di passare in secondo piano”. A parlare è Elisabetta Laganà, garante dei diritti dei detenuti, nella seduta congiunta delle commissioni “delle elette” e “sanità e politiche sociali” riunite per un’udienza conoscitiva sulla situazione del Centro di giustizia minorile e dell’Istituto penale minorile chiesta dal consigliere Francesco Errani. “Il disastro accaduto è in corso di accertamento giudiziario - ha detto Laganà. Nel frattempo l’attuale dirigenza si sta impegnando per ridare senso all’istituto penale minorile, tenendo conto anche della qualità della vita dei ragazzi”. Il problema è che la dirigenza è a tempo: hanno un incarico ad interim sia Paolo Attardo, dirigente del Centro di giustizia minorile, che Francesco Pellegrino, direttore del carcere. E l’incarico a termine non è di aiuto per fare progetti a lunga scadenza. Ecco perché, secondo Laganà, gli enti locali, e in particolare il Comune di Bologna, dovrebbero “sollecitare gli uffici preposti del ministero per chiedere una stabilità nella dirigenza”. E sembra che l’amministrazione comunale si stia muovendo in questa direzione, visto che Amelia Frascaroli, assessore al Welfare, intervenuta in commissione, ha annunciato l’invio di una lettera al ministro della Giustizia, Paola Severino, perché “nomini in fretta i nuovi dirigenti”. E la Regione ha intenzione “di riprendere in mano il minorile come un tema regionale”. Se ne parlerà in un tavolo tecnico il 10 maggio. Intervenuto in commissione, il direttore Francesco Pellegrino ha parlato di una situazione di “estrema criticità”. Ha anche detto che “nonostante ci sia ancora molto da fare, ci sono margini di crescita se riusciamo a compattare tutte le forze presenti all’interno del carcere”. L’idea di fare “sistema” tra tutti coloro che operano all’interno (e all’esterno) del carcere minorile è emersa più volte durante l’udienza conoscitiva sia da parte istituzionale che da parte dei volontari che lavorano con i ragazzi. “Non si possono fare interventi frammentari ma servono progetti a breve, medio e lungo termine - ha detto Laganà -, mettendo in rete tutti coloro che vi operano”. Una delle criticità sottolineate dal direttore del carcere riguarda l’assistenza sanitaria. “Da dicembre sono cambiati 5 medici - ha detto in commissione - un turnover che costituisce ovviamente un limite e che ci mette in difficoltà anche per delle banalità”. Il motivo, in questo caso, è dato dalla mancanza di un protocollo tra Regione e Istituto penale minorile per l’assistenza sanitaria (e previsto dall’Accordo Stato Regioni del 2009) senza il quale non è possibile firmare il protocollo con l’Ausl. “Provenendo dal Sud ero più fiducioso rispetto a questo aspetto in una Regione come l’Emilia-Romagna”, ha sottolineato il direttore. La precarietà non riguarda solo la dirigenza del carcere. Una situazione generalizzata di incertezza, pur nella positività delle esperienze di formazione, inserimento lavorativo ed educative, è, infatti, emersa da tutti gli interventi dei rappresentanti delle associazioni e degli istituti che lavorano all’interno del Pratello. In particolare, il regista Paolo Billi che, dal 1998, lavora all’interno del carcere con un progetto di teatro ha sottolineato il fatto che “dopo oltre 10 anni continuo a vivere nell’assoluta precarietà dei finanziamenti: oggi ancora non so su quante risorse potrò contare per avviare le attività tra 2 mesi”. Una situazione resa ancora più difficile dal fatto che il teatro interno al carcere non è agibile (e non rientra tra le parti dell’edificio per le quali è prevista una ristrutturazione) e, attualmente, Billi svolge l’attività all’interno della chiesa del minorile. Senza dimenticare che i lavori di ristrutturazione sono iniziati ormai da 10 anni e non sono ancora terminati, creando ancora una volta una condizione di estrema difficoltà per i ragazzi e per tutti coloro che lavorano all’interno della struttura. Una situazione, quella denunciata da Billi, che riguarda anche tutte le altre realtà che operano dentro al Pratello: dalle insegnanti che fanno lezione ai ragazzi che lamentano “la mancanza di materiale didattico” ai volontari dell’associazione Uva Passa che, pur avendo continuato la propria attività anche in questi mesi difficili, hanno sottolineato “la difficoltà di seguire i ragazzi quando escono dal carcere”. Il problema del “dopo” è stato al centro di molti interventi ed è stato ricordato anche dalla garante. “È fondamentale fare un lavoro di implementazione con l’esterno - ha detto Laganà - e dare a questi ragazzi, alcuni dei quali arrivano da Lampedusa e hanno traumi e dolori non elaborati, sostegno psicologico, sociale anche per ciò che riguarda la salute mentale, intesa come dignità delle relazioni”. Il carcere deve essere quindi, l’estrema ratio e “un passaggio che non interrompe quel qualcosa che c’era all’esterno e che, presumibilmente, ci sarà dopo”. Attualmente all’interno del carcere del Pratello ci sono 26 ragazzi (la capienza regolamentare è di 24 posti), leggermente migliorata rispetto a qualche settimana fa quando erano 29. La stragrande maggioranza (circa il 90%) è di origine straniera. Per quanto riguarda, gli agenti di Polizia penitenziaria, dopo l’arrivo di 7 nuove guardie, sono saliti a 34. Un numero che, secondo Pellegrino, “consente di gestire adeguatamente solo un piano dell’istituto”. Va ricordato, infatti, che è attivo solo un piano, il secondo è chiuso per lavori. Cagliari: di nuovo fermo cantiere del nuovo carcere, 11 operai licenziati e altri in sciopero Agi, 4 maggio 2012 Undici dei 60 dipendenti di Opere pubbliche, impegnati nella costruzione del nuovo carcere di Cagliari a Uta hanno ricevuto oggi una lettera di licenziamento per riduzione organico. Domani i sindacati di categoria Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea Cgil hanno organizzato per le 10 a Cagliari una nuova protesta di fronte agli uffici del provveditorato delle Infrastrutture in viale Colombo, per contestare il mancato rispetto degli impegni su bonifici e versamenti alla Cassa edile. Oggi è cominciata una nuova mobilitazione degli operai. Il cantiere si fermerà sinché non saranno ritirati i licenziamenti e pagati gli stipendi. Secondo i sindacati, a questo punto, sarà molto difficile che l’opera venga consegnata nei tempi previsti. Una delegazione dei lavoratori domani chiederà al Provveditorato spiegazioni sul ritardo nei pagamenti di stipendi e contributi e solleciterà un’azione del ministero nei confronti dell’azienda. Lecco: extrema ratio… cosa vuol dire vivere in carcere www.leccoprovincia.it, 4 maggio 2012 In occasione di “Manifesta 2012 - Rassegna del Sociale” in Provincia di Lecco, in programma nei giorni 11, 12, 13 maggio 2012 presso la Fiera San Giuseppe ad Osnago, Caritas Ambrosiana e Caritas Zona Lecco proporranno ai visitatori della fiera l’esperienza Extrema Ratio. L’intenzione è quella di dare un’occasione alla gente per fermarsi e riflettere su una condizione carceraria nazionale che presenta ormai tratti di preoccupante gravità. Vogliamo suggerire e approfondire insieme la possibilità di una diversa concezione della pena, denunciando quindi il sovraffollamento nelle carceri e individuando e sostenendo percorsi di umanizzazione e di sostegno ad attività di recupero che tengano al centro la dignità della persona. Consapevoli che il carcere è un micro mondo ermetico, e che non è possibile portare i visitatori della fiera in una cella, portiamo una cella a Manifesta. O meglio, verrà trasportata la copia di una cella, realizzata dalla falegnameria del carcere di Bollate. I visitatori di Manifesta saranno invitati a seguire delle indicazioni (farsi fotografare, lasciare le impronte digitali, depositare effetti personali e le borse) che precederanno l’esperienza di detenzione volontaria nella cella, sottoponendoli ad una ritualità che comunichi una modalità di fruizione di ciò che li attende. Il corridoio in cui i visitatori cammineranno in fila indiana sarà a tratti illuminato dall’esterno con luci abbaglianti, per irrobustire la percezione di isolamento. Al termine dei cinque minuti, alcuni operatori dell’Area Carcere di Caritas offriranno, a chi lo desidera, letture del breve percorso ed informazioni sulla situazione attuale delle prigioni italiane e dei loro auspici a riguardo. A presentare l’originale iniziativa sono intervenuti don Ettore Dubini Responsabile della Caritas Zonale di Lecco, Don Mario Proserpio Cappellano Casa circondariale di Lecco, Filippo Boscagli Consigliere Provinciale in qualità di rappresentante dell’Amministrazione Provinciale di Lecco. Si tratta di un’iniziativa già sperimentata in altre realtà da che si pone l’obiettivo di offrire a quante più persone possibili l’occasione di avvicinarsi alla situazione di chi vive in carcere. Caritas Ambrosiana realizza iniziative di ascolto e accompagnamento delle persone che vivono un’esperienza di detenzione e dei loro familiari, concreti progetti di inserimento sociale, lavorativi e abitativi svolti nel territorio, in collaborazione con le comunità locali e con le organizzazioni pubbliche e del terzo settore e promuove il volontariato in ambito penale e penitenziario. Il principale obiettivo che Caritas persegue è quello di diffondere una diversa cultura della pena, che accompagni la tutela della sicurezza degli individui e delle comunità con il rispetto delle dignità di ciascuna persona. Una dignità che deve essere garantita e tutelata in particolar modo quando la libertà personale è privata ridotta per un provvedimento dell’autorità giudiziaria e dunque è affidata alla responsabilità dello Stato. La costituzione italiana e le norme europee attribuiscono un carattere di particolare gravità alle misure di privazione della libertà, che devono in ogni caso avere come obiettivo la rieducazione della persona condannata e che non possono essere aggravate ulteriormente da condizioni o azioni che violino in qualunque misura la dignità e l’incolumità della persona sottoposta a misure restrittive della libertà personale. Le condizioni della vita in carcere oggi non permettono di perseguire concretamente l’obiettivo della rieducazione del condannato, ne garantiscono il rispetto dei suoi diritti inalienabili e della sua dignità personale. Attualmente sono circa 67.000 le persone detenute in un carcere italiano, ma i posti disponibili sono soltanto meno di 47.000. Ciò crea una situazione di sovraffollamento che, in particolare nelle case circondariali di alcune città, assume caratteri drammatici. Nel corso del solo 2011 66 persone hanno deciso di togliersi la vita in carcere. Sono 700 le persone che si sono suicidate negli istituti di pena italiani dal 2000 ad oggi. Negli ultimi anni l’Italia è stata condannata dalla corte europea di Strasburgo per la violazione dell’articolo tre della convenzione europea dei diritti umani, proprio quello che vieta la tortura e le pene e i trattamenti inumani o degradanti. La corte ha affermato, tra l’altro, le condizioni di sovraffollamento intollerabili, come quelle che affliggono la maggior parte degli istituti di pena del nostro paese, rappresentano un trattamento inumano e degradante. Nonostante tutto questo alla convenzione diffuso nella popolazione è che la pena debba essere afflittiva e che il carcere rappresenti la migliore risposta possibile ogni violazione della legge, l’unica soluzione per quei comportamenti che rompono, o che so lo turbano, la convivenza sociale, la sola voce con cui dare risposta alle giuste esigenze di giustizia delle. Caritas opera per condividere promuovere una diversa idea di giustizia, per cui, come ha sottolineato più volte il cardinale Martini, la pena detentiva rappresenti soltanto una extrema ratio, un intervento temporaneo e di emergenza per fermare una violenza altrimenti inarrestabile. In ogni altro caso è preferibile ricorrere a differenti forme di sanzione che assumono un carattere costruttivo dei legami sociali colpiti dal reato commesso. L’allestimento di una cella nei “ luoghi pubblici” rappresenta l’occasione per provocare una discussione sui temi della giustizia della pena, e un modo per avvicinare alla questione carceraria anche chi non abbia mai avuto occasione di visitare in carcere. La cella riproduce, delle dimensioni (4mt X 2mt) e nell’arredamento, la situazione è comune ritrovarvi le in molti istituti italiani e l’allestimento interno sarà curato, grazie alla collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, per ricreare le condizioni e le caratteristiche tipiche della vita carceraria. Questa è stata realizzata dalla falegnameria della cooperativa sociale Estia di Milano attiva presso la casa di reclusione di Milano-Bollate, impiegando anche lavoratori detenuti. Per quanto riguarda i dati sul sistema carcerario italiano occorre rilevare che il costo giornaliero per ogni persona reclusa è di 112,8 euro: 99 euro (88%) è per il personale, 4 euro (4%) per il funzionamento, 6,5 euro (6%) per il mantenimento, 3,3 euro (2%) per investimenti. I suicidi in carcere nel 2011 sono stati 66, ben 705 dal 200 ad oggi con un tasso di suicidi del 99 (1/100.000). In Italia l’affollamento delle carceri è del 146% vale a dire che vi è una capienza di 45.700 contro 66.897 detenuti. In Lombardia la capienza è di 5.416 contro 9.360 detenuti. In Europa il sovraffollamento è del 107%. All’ingresso in un istituto la persona viene condotta presso l’ufficio matricola dove vengono rilevate le impronte digitali, scattate le foto e annotati dati anagrafici. Viene dunque effettuata la perquisizione, ritirati l’orologio, la cintura, tutti gli oggetti di valore e quelli che richiedono particolari controlli. Il denaro viene registrato sul libretto di conto corrente che verrà aggiornato con tutti i successivi addebiti di spese, effettuate per acquistare generi vittuari o per le telefonate, e accrediti di denaro, riceve visibile dall’esterno tramite vaglia postale o deposito. La persona che entra in carcere deve dichiarare se ha problemi di convivenza con altri detenuti al fine di tutelare la sua incolumità personale. Ha inoltre diritto di informare i familiari tramite telegramma o tramite lettera. Se il detenuto non ha denaro sufficiente, provvede l’amministrazione alle spese postali. Successivamente viene effettuata la visita medica che deve rilevare eventuali problemi di salute, allergie, intolleranze alimentari, uso di farmaci, dipendenza da alcol o da sostanze stupefacenti. La giornata tipo inizia alle sei per i lavoranti della cucina delle pulizie che vengono svegliati dagli agenti. Un’ora dopo viene la conta dei detenuti. Alle 7,30 viene distribuita la colazione dai porta vitto, lavoranti addetti alla consegna dei tre pasti quotidiani. Alle 8,30 le celle vengono aperte per i detenuti che frequentano le attività trattamentali, scolastiche, culturali, sportivi, ricreative o che escono per i passeggi, permanenza all’aria aperta della durata di almeno un’ora. Alle 11,30 la fascia oraria di attività mattutina dura al in circa tre ore. Al termine i detenuti rientrano nelle loro stanze per consumare il pranzo. Alle 13,30 dopo il pranzo detenuti possono lasciare di nuovo le loro stanze per frequentare le attività pomeridiane e, al loro termine, possono recarsi nella sala comune per dedicarsi ad attività sociali o ricreative. Alle 18 inizia la distribuzione della cena che si consuma verso le 19 con le stesse modalità del pranzo. I detenuti sono autorizzati a fare socialità, vale a dire consumare insiemi pasti in un numero limitato di persone. In media i detenuti trascorrono circa 20 ore in cella “Il cancello è il simbolo più forte - spiega Don Mario - che i detenuti devono affrontare essi passano 20 ore in cella ed nel caso particolare del carcere di Lecco si tratta di celle da due persone. Meglio sarebbero celle da tre o quattro persone in quanto quelle due sono veramente piccoli non si può stare seduti ma si deve sempre stare a letto. Sono sempre più concorde con le parole del cardinale Martini che disse che il carcere è l’extrema ratio. ma tutto ciò si deve aggiungere che la giustizia è lenta, la presa in carico della propria cartella giuridica necessita di molto tempo. Nel carcere non c’è prevenzione sanitaria tossicologica ed infatti vi è la presenza di molte malattie, situazioni di estrema povertà, e ci si riduce a delle vere e proprie larve umane, non vi è via di uscita”. “Il nuovo carcere di Lecco - conclude Don Mario - è si più rispondente alle normative ma è un ambiente freddo dove non vi è la possibilità tra i carcerati di avere un qualsiasi scambio. A Lecco a fronte di 50 posti disponibili attualmente sono recluse 60/70 persone, il cui il 40% sono stranieri mentre 60% si tratta di italiani. quello che più sconvolge i carcerati sono questa continuo girare dichiara di sbattere il ferro che dà proprio la sensazione di non avere via di uscita e di passare le 20 ore al giorno in una cella con una persona che non si è scelto ma con la quale bisogna cercare di convivere”. “Con la rieducazione-prosegue Boscagli - lo Stato spenderebbe un euro contro i 10 previsti per il mantenimento del sistema carcerario. In Italia siamo molto sensibili alla campagna contro il maltrattamento degli animali, ma non c’è una simile sensibilità verso coloro che stanno in carcere”. Roma: i vincitori della seconda edizione di “Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere” Adnkronos, 4 maggio 2012 Sono stati annunciati ieri pomeriggio alla Casa Circondariale di Rebibbia i vincitori della seconda edizione “Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere”. I primi classificati sono Francesco Fusano, autore di “Borderline”, una storia di tossicodipendenza; “Introduzione alla devianza di un cane”, di Salvatore Torre, un racconto introspettivo e terzi classificati ex aequo “Quattro metri quadri”, di Michele Celano e “Terzo piano, passeggio!” di Pavel Costel. Ai vincitori è stato assegnato un premio in denaro. Il concorso letterario, ideato e curato dalla giornalista Antonella Bolelli Ferrera, è promosso dalla Siae (Società Italiana Autori Editori), dal Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), dall’Associazione “inVerso” e dalla Rai. La finalità del premio è quella di dare concreta realizzazione all’articolo 27 della Costituzione italiana, secondo il quale le pene detentive devono tendere alla rieducazione del condannato, anche tenendo conto delle proprietà socialmente riabilitative del lavoro, e in particolare, di quello intellettuale. La giuria che ha decretato i vincitori era presieduta da Elio Pecora e composta da Umberto Broccoli, Fabio Cavalli, Vito Cioce, Daria Galateria, Gloria Satta e Cinzia Tani. A tutti i finalisti è stato affiancato uno scrittore affermato in qualità di tutor e ad ogni partecipante è stato consegnato un pc contenente un corso di scrittura creativa di primo e secondo livello, audio-book, e-book, dizionario online e un dizionario cartaceo. A Fusano, primo classificato, è arrivato il messaggio di Valerio Evangelisti, che per motivi di salute non è potuto intervenire: “Sono orgoglioso di essere stato il tuo sponsor. Hai saputo descrivere la tua condizione in maniera splendida, sia dal lato umano, sia nella descrizione delle carenze del nostro sistema carcerario. Spero che il tuo lavoro ti procuri la fortuna che meriti”. Madrina dell’evento è stata la scrittrice Dacia Maraini. I 20 racconti finalisti, con le introduzioni dei tutor, verranno pubblicati in un libro dal titolo “Siamo noi, siamo in tanti - Racconti dal carcere” (Rai Eri), che verrà presentato l’11 maggio al Salone del Libro di Torino. I proventi andranno ad esclusivo beneficio di iniziative volte alla divulgazione della letteratura e della scrittura nelle carceri italiane. Milano: lezioni di diritto penale nella Casa di Reclusione di Bollate Redattore Sociale, 4 maggio 2012 A inaugurare questa esperienza formativa è l’Università Statale con tre docenti della facoltà di giurisprudenza, in collaborazione con lo sportello giuridico interno al carcere. Ieri si è tenuta la prima lezione, seguita da 7 detenuti. Lezione di diritto penale in carcere. Non a futuri avvocati e giudici, ma a chi vive dietro le sbarre. Succede nella casa di reclusione di Bollate, alle porte di Milano. A inaugurare questa esperienza formativa è l’Università Statale con tre docenti della facoltà di giurisprudenza, in collaborazione con lo sportello giuridico interno al carcere. La prima lezione, seguita da 7 detenuti, si è tenuta ieri e si è parlato di misure di sicurezza. “Su alcuni punti delle norme si è sviluppato un dialogo - commenta Fabio Basile, uno dei docenti ideatori dell’iniziativa - che ha arricchito la parte teorica con riferimenti alla vita da reclusi”. Il prossimo appuntamento è per giovedì 10 maggio e si discuterà di legislazione penale e immigrazione, tema sollecitato dagli stessi detenuti. In carcere, insieme ai professori, sono entrati anche 25 studenti di legge del secondo anno che frequentano il corso base di diritto penale. I detenuti che seguono il corso di diritto penale collaborano già con lo sportello giuridico, un progetto realizzato da avvocati volontari che forniscono ai reclusi assistenza giuridica sulle misure alternative, sui permessi e su ogni altro aspetto della detenzione. Uno dei detenuti, spiega Basile “si è laureato in scienze dei servizi giuridici” alla Statale. Attualmente sono quattro i carcerati, provenienti da Bollate, S. Vittore e Opera, iscritti alla facoltà di legge dell’Università di via Festa del Perdono. Per sostenere gli esami, racconta Basile, “o sono i docenti a recarsi in carcere” oppure si utilizza la videoconferenza. Terminata la lezione, professori e studenti sono stati accompagnati dagli stessi detenuti in una sorta di visita guidata del carcere. “Abbiamo trovato una situazione migliore di quella che ci aspettavamo - racconta il docente - almeno nelle parti che abbiamo visto i detenuti potevano muoversi liberamente”. L’esperienza ha motivato gli studenti universitari a tal punto che tre di loro hanno chiesto di diventare volontari all’interno del penitenziario. Ed è solo l’inizio, perché le due lezioni di maggio sono un esperimento pilota per avviare un progetto di collaborazione per il prossimo anno accademico. “Vorremmo aumentare il numero di incontri, trattando altri temi che interessino i detenuti” conclude Basile. Albenga (Sv): con l’arte i bambini incontrano il mondo delle carceri www.savonanews.it, 4 maggio 2012 I bambini di Andora incontrano il mondo delle carceri attraverso la lettura di scritti, poesie e la visione di foto realizzate da detenuti delle carceri italiane. Lezioni speciali, hanno portato alla realizzazione di alcune delle opere in mostra dal 4 al 12 maggio a Palazzo Tagliaferro quale tappa locale della mostra Nazionale Detenzioni, organizzata dall’associazione culturale Amusando di Andora con il patrocinio del Comune di Andora. L’esposizione si svolge nell’ambito dell’iniziativa “Interno 4” che dal 4 maggio promuove in tutta Italia la “Settimana dedicata alle persone detenute”: associazioni, laboratori, studi d’artista e spazi culturali ospitano mostre ed eventi che rappresentano la realtà della detenzione. La mostra è stata anche l’occasione per i bambini di entrare in contatto con artisti ed elaborare nuove tecniche espressive. I risultati sono davvero coinvolgenti. La scuola primaria di Molino Nuovo “Paolo Cappa” ha realizzato una vera e propria performance: guidati dall’artista Tobias Lindner, hanno imparato le tecniche della tessitura e realizzato un grande arazzo multicolori formato da pezzi di stoffa e cartoncini: fra nodi ed intrecci anche alcune striscioline con i nomi dei detenuti di cui sono state lette le poesie. La creazione dell’opera ha previsto la realizzazione di una sorta di grande telaio “umano” in cui alcuni bimbi tenevano le strisce di stoffa colorate, mentre altri si muovevano con altri fili per tessere la grande tela. I bambini hanno lavorato nei giardini della scuola, accompagnati dalla musica di un gruppo che suonava dal vivo. L’intera performance è stata filmata ed il pubblico potrà ammirare il tappeto e guardare il video della sua realizzazione. La scuola Primaria “Angelo Silvio Novaro” di Andora partecipa all’iniziativa con una serie di disegni realizzati con varie tecniche pittoriche. Gli studenti delle classi terze della scuola Secondaria Inferiore Benedetto Croce di Andora presentano, invece, sia opere grafiche che elaborati scritti frutto di un lavoro congiunto con gli insegnati di Arte e Lettere. L’esposizione sarà aperta al pubblico, dal 4 al 12 maggio, ogni giorno dalle 18.00 alle 20.00 e chiuderà il 12 maggio con un Concerto lirico degli allievi dei Conservatori di Genova e Milano diretti dal Maestro Massimiliano Viapiano, in programma alle ore 21.30 nella sala polivalente di Palazzo Tagliaferro. Milano: l’Associazione “Incontro e Presenza” porta la musica a San Vittore di Giorgio Natale www.ilsussidiario.net, 4 maggio 2012 Si parla molto di giustizia e di carcere e ciascuno sente il dovere di dire la sua su cosa sia giusto e cosa sbagliato. È facile dividere i buoni dai cattivi. Ma c’è chi invece ha deciso di vivere a pieno la cosa andando tutti i sabati pomeriggio a fare compagnia ai carcerati. Si scopre allora che nella realtà le cose non sono così semplici, le persone sono persone, non si riesce a dividere il nero dal bianco e il carcere è un luogo di grandi contrasti. L’associazione di questi volontari si chiama “Incontro e Presenza”. Nata nel 1986, attualmente è costituita da circa un centinaio di volontari operanti nei carceri milanesi di San Vittore, Bollate, Monza, Opera, e il Minorile “Beccaria”. L’associazione oltre alle visite in carcere si occupa di progetti come la distribuzione a San Vittore ogni anno circa 30 mila capi di vestiario per i detenuti indigenti, offerta di alloggi per i permessi premio o l’immediata scarcerazione, fornitura di cibo per loro e le loro famiglie in collaborazione con la Fondazione Banco Alimentare, erogazione di piccoli sussidi per il loro sostentamento, accompagnamento alla ricerca del lavoro (www.incontroepresenza.org) e da più di vent’anni fa compagnia ai carcerati e si occupa del loro delicato reintegro nella società. Il coinvolgimento va ben oltre il tempo materiale passato all’interno delle inferriate del carcere, tanto che a Daniela, assistendo a una piacevole serata di musica tra amici, viene l’idea di portare un pò di quel calore, di quella unità e di quella semplice bellezza che è nel canto ai loro “amici”(così li chiamano) carcerati. Alla proposta di cantare per questi “amici” aderisco immediatamente, entusiasta ma anche spaventato, memore dell’impressione fortissima che ricevetti ascoltando il “Live in Folsom Prison” del mio idolo Johnny Cash. Per lo scomparso musicista americano infatti esibirsi davanti ai carcerati era una esperienza così concreta che ebbe a ripeterla numerose volte nel corso della sua carriera, fino a farlo diventare un evento abituale. Al pensiero di fare altrettanto, non ci ho dormito per diverse notti, fino a che sabato scorso con la chitarra, l’amico Gabriele con la sua fisarmonica e una decina di volontari siamo entrati nel carcere di San Vittore a Milano. L’ingresso di Piazza Filangieri è bellissimo; ma, per contrasto, è l’ingresso di un carcere dove 1600 persone si dividono uno spazio pensato forse per 800. I riti da seguire all’ingresso servono in realtà a far entrare in un mondo a sé. Un mondo dove ogni cancello (e sono tanti, a ricordare che di lì non si esce) ha una guardia, con un grossa chiave, che ti chiede dove vai; dove ancora si fuma liberamente (almeno quello…); dove una bottiglietta d’acqua vuota è un piccolo tesoro; e dove lo scorrere del tempo se ne frega delle nostre regole di scansione. Attraversiamo il Terzo braccio maschile, il braccio fortunato perché le porte verdi blindate delle celle sono aperte e i carcerati possono uscire nello spoglio e scrostato corridoio. Così il senso di pietà prevale mentre l’occhio si infila in questi loculi dove mezzo metro divide i 3-4 letti a castello da qualche mobiletto che non si trova neanche al mercatino dell’usato. Una fitta: ma se queste porte non rimanessero aperte come passano la giornata, che neanche in piedi ci stanno dentro in quattro? Finalmente, una quindicina di facce di tutti i colori ci aspettano e in un attimo le distanze tra il nostro ed il loro mondo si infrangono: l’uomo è uomo ovunque, il cuore canta e il canto unisce in una le anime di un limbiatese e di un magrebino. “La compagnia di qualcuno che guarda il tuo bene, che guarda il tuo cuore e non il tuo limite, può fare emergere la bellezza” dice Francesca. Persino Franco Califano qui arriva dritto in fondo all’anima: ascoltatevi “La mia Libertà” pensando di cantarla a un carcerato che l’ha richiesta personalmente. Mentre le canzoni corrono, prima degli sguardi e dei sorrisi raggianti e delle ruvide strette di mano di saluto, ho il ricordo di queste teste chine sui fogli con l’intensità di chi scruta ogni parola. Impressione che avevo avuto una sola altra volta (pensa un po’) al monastero di clausura dei monaci della Cascinazza alle prese con i nostri canti irlandesi. Un’ora e mezza così vale da sola una tournée, e invece di corsa al reparto Femminile dove arriviamo per tempo e abbiamo modo di vedere arrivare una ad una, massimo due per volta, una trentina di detenute. Il colpo qui è fortissimo, sono donne, in fondo. E alcune molto giovani. Saluto ciascuna chiedendomi chi sia e come possa vivere in un luogo così. Qui il momento è addirittura travolgente. “Ma possiamo cantare anche noi?” chiedono e i canti diventano un’onda inarrestabile. Martina farà l’avvocato, ma avendo vissuto questi sabati sarà un avvocato diverso, e porta l’acuto di “All’improvviso” di Mina per ricordarsi che nella vita può accadere qualcosa di imprevisto ma desiderato. Dopo aver loro spiegato che “L’opera” non è un inno al secondo carcere milanese ma una canzone di Claudio Chieffo, voci da ogni Paese la intonano e battono le mani con la stessa intensità mostrata su Ò Sarracino. Viene la pelle d’oca e hanno ragione loro: “Sarà il bel giorno di una grande festa e allora canteremo insieme!” La festa è già in atto, il bel giorno è qui tra le inferriate di San Vittore. Sembra incredibile, ma è così. Cinema: premio David di Donatello; trionfano i Taviani con “Cesare deve morire” Il Velino, 4 maggio 2012 La loro dedica agli attori, i detenuti di Rebibbia. Il loro ringraziamento al pubblico che è andato al cinema appassionandosi al film. Cinque statuette per loro, tra cui miglior film e regista. “È un anno di crisi ma il cinema italiano è presente con dei grandi autori ai David di Donatello. Almeno qui in fatto di spread abbiamo superato i tedeschi”. Così Tullio Solenghi in veste di cerimoniere ha aperto la 56esima edizione dei David di Donatello all’Auditorium della Conciliazione di Roma. Notaio Marco Papi. Madrina della cerimonia Gina Lollobrigida. I primi due premi assegnati sono andati a “Romanzo di una strage”, il film di Marco Tullio Giordana su Piazza Fontana, entrambi per gli attori non protagonisti, Pierfrancesco Favino e Michela Cescon che hanno dedicato il riconoscimento a Licia Pinelli. “Non me lo aspettavo, ringrazio per la sensibilità e generosità Marco Tullio Giordana, che mi da la possibilità di ringraziare anche Sollima e Verdone. Dedico il premio a una serie di donne: Anna, Greta, a chi verrà e a Licia Pinelli - ha detto Favino -. In più a tutti quelli che vanno a vedere i film a cinema e non li scaricano sui computer”. “Il mio pensiero va a Licia Pinelli a cui dedico il premio - gli fa eco la Cescon. Spero che le emozioni che lei mi ha trasferito io le abbia portate al pubblico”. Migliori attori protagonisti due stranieri: attrice la cinese Zhao Tao per il film “Io Sono Li” e attore il francese Michel Piccoli (assente perché impegnato sul set in Belgio) per il film “Habemus Papam”. Miglior Film “Cesare Deve Morire” e Migliore Regista Paolo e Vittorio Taviani: una vittoria per il film che ha già trionfato alla Berlinale e che ha portato a casa in tutto cinque David di Donatello. Dalla platea standing ovation e continui “Bravi, bravi!” ai Taviani che anni fa avevano ritirato il David di Donatello speciale alla carriera. “Grazie cinema italiano - ha detto Paolo Taviani, grazie da parte di tutti quelli che hanno lavorato a questo film, appassionante, ma anche duro. Ringrazio anche i nostri attori, che sono i detenuti di Rebibbia. Dedico a loro il David di Donatello”. “Un ringraziamento - ha aggiunto Vittorio - va al pubblico che è andato al cinema e si è appassionato a questo film”. Migliore Sceneggiatura: Paolo Sorrentino (che ha dedicato questo premio alla sua famiglia) e Umberto Contarello per il film ‘This Must Be The Placè, il film che ha ottenuto più statuette: sei. In nomination Stefano Sollima per “Acab”, Alice Rohrwacher per “Corpo celeste”, Andrea Segre per “Io sono Lì”, Guido Lombardi per “La-bas educazione sentimentale”, Francesco Bruni per “Scialla!”: miglior regista esordiente alla 56esima edizione dei David di Donatello è Francesco Bruni. “Non era facile. Sono tutti bellissimi film, ho amato tutti i film. Il cinema italiano sta bene. A parte noi che abbiamo la barba bianca ci sono giovani che si difendono molto bene”, ha detto lo sceneggiatore Francesco Bruni ritirando il David di Donatello che ha dedicato il premio a sua moglie Raffaella. Miglior produttore è Grazia Volpi per Kaos Cinematografica in associazione con Stemal Entertainment, con Le Talee, Associazione Culturale La Ribalta, in collaborazione con Rai Cinema per “Cesare deve morire”. “Ringrazio i Taviani prima di tutto - ha detto Grazia Volpi - e poi Rai Cinema che ha creduto in un progetto non facile sulla carta e poi il direttore e gli attori di Rebibbia”, aggiungendo: “Mi sembra importante premiare una produttrice donna, e un film di grande impegno sociale di due grandi autori”. Immigrazione: i Cie, un capitolo vergognoso a cui va posta fine in fretta Gazzetta di Modena, 4 maggio 2012 Che qualcosa non vada nei Cie dove sono trattenuti, in stato di “detenzione amministrativa”, centinaia di stranieri irregolari (uomini, donne e bambini), è sotto gli occhi di tutti. In questi primi quattro mesi 2012 le rivolte e le proteste, talvolta sfociate in incendi dolosi e gravi vandalismi, in suicidi e tentati suicidi, si sono susseguite con insolita frequenza rispetto al 2011. Il 15 gennaio è toccato al Cie di Milano con gravi disordini culminati con gli arresti di ventisei stranieri per resistenza e danneggiamenti aggravati. Il 3 marzo, al Cie di Modena, il questore ha evitato una rivolta dopo le vivaci proteste di decine di stranieri in attesa di espulsioni. Due giorni dopo è stata la volta del Cie di Torino, con incendi appiccati ad alcune stanze ed il lancio di oggetti contro la polizia. L’8 marzo la sommossa nel Cie di Agrigento culminata con gli “ospiti” che avevano tenuto in ostaggio un operatore della cooperativa che gestisce il centro. Quarantotto ore dopo, a Lamezia Terme, la protesta nel centro di accoglienza dove i migranti hanno gridato a gran voce di voler tornare a casa loro “... perché questa è una galera”. Il 17 marzo, nel Cie di Roma, un centinaio di stranieri iniziano lo sciopero della fame dopo il suicidio di un giovane egiziano che, poco tempo prima, aveva tentato la fuga dal centro dove era stato “riaccompagnato” con evidenti segni di percosse. Passa un mese e nel “Villaggio della Solidarietà” di Mineo (Ct), dove nel 2011 è stato attivato il Cara (Centro per i richiedenti asilo), polemiche per presunti episodi di sfruttamento della prostituzione in danno di alcune straniere e abusi. La Procura della Repubblica di Catania decide di avviare un’indagine. Nella stessa giornata, il 17 aprile, viene presentato al ministro della Giustizia Severino, il “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia”. Il documento era stato approvato, all’unanimità, il sei marzo 2012, dalla “Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato”. La denuncia sulle pessime condizioni in cui si trovano i detenuti, gli internati e gli stranieri nelle carceri e nei centri, è unanime. Nelle duecento settantotto pagine del rapporto c’è la radiografia del sistema carcerario e della vergognosa situazione in cui si trovano gli oltre 66mila detenuti in strutture da circa 46mila posti. Va anche detto con molta chiarezza che l’immigrazione irregolare non si può risolvere con norme penali, costruendo “muri” o trattenendo nei Cie persone fino a diciotto mesi. Un tempo di restrizione così prolungato non può, evidentemente, non causare conseguenze sulla salute fisica e mentale. Relativamente alla penosa e ben nota situazione di precarietà e di inidoneità dei centri di accoglienza e di trattenimento, sarebbe stato opportuno (ri)leggersi il rapporto, stilato nel 2007, della Commissione De Mistura e le raccomandazioni conclusive formulate che “ancorché possano apparire di complessa attuazione” avrebbero potuto consentire di affrontare il “problema della irregolarità” degli stranieri in maniera “più creativa ed efficace”. Poco fu fatto allora e neanche alcuni anni dopo, nel 2010, con un altro corposo rapporto-denuncia di Medici senza Frontiere (MsF), la classe politica ebbe il “coraggio” di affrontare i temi delle condizioni socio sanitarie nei centri, lo stato precario delle strutture, le modalità di gestione, il rispetto dei diritti degli immigrati. Già il primo rapporto del 2004, “Cpta: anatomia di un fallimento”, sempre curato da MsF, non aveva lasciato alcun margine di dubbio sul malfunzionamento dei vari centri e sul profondo malessere fra i trattenuti, con gravi episodi di risse, rivolte, autolesionismi, somministrazione di sedativi. Sono passati molti anni e la situazione, oggi, è drammaticamente peggiorata da indurre la Commissione senatoriale sopra richiamata a ricordare, nella parte introduttiva del suo rapporto, che “le condizioni nelle quali sono detenuti molti migranti irregolari nei Centri di identificazione ed espulsione (...) sono molto spesso peggiori di quelle delle carceri”. Cosa deve avvenire di definitivamente drammatico perché si ponga fine a questo capitolo vergognoso della nostra storia? Kuwait: parlamento approva pena di morte per chi offende Maometto Aki, 4 maggio 2012 Il Parlamento kuwaitiano ha approvato oggi una riforma di legge che prevede la pena di morte per chi offende Maometto o una delle sue mogli. Secondo quanto riferisce la Tv araba al-Jazeera, la riforma è stata approvata nel corso di una seduta speciale convocata per riformare la norma già in vigore che prevedeva solo il carcere per chi offendeva il profeta dell’Islam. Il nuovo testo è passato con il voto favorevole di 40 deputati e quello contrario di soli sei parlamentari. A votare contro sono stati tutti i deputati sciiti e uno liberale, Mohammed al-Saqr. I deputati sciiti hanno votato contro perché la legge a loro avviso avrebbe dovuto prevedere non solo le mogli di Maometto ma anche le figlie, come Aisha, moglie di Ali e madre dei due imam Hasan e Hussein. Israele: prigioniero palestinese da dieci anni in isolamento www.eilmensile.it, 4 maggio 2012 La visita dalla madre, settantacinquenne, fu negata a febbraio all’ergastolano Mahmoud Issa, perché potenzialmente pericolosa per la sicurezza nazionale. La decisione del giudice è stata suggerita dallo Shin Bet e da materiale segreto consegnato alla corte dai servizi israeliani. Issa è un prigioniero palestinese nelle carceri dello Stato ebraico da dieci anni. Da dieci anni, Issa è in isolamento, e in dieci anni ha ricevuto solo una visita da un familiare. Una visita durata mezz’ora. Un record, che testimonia come tale tipo di trattamento – osserva Amira Haas sulle colonne del quotidiano Haaretz – non rifletta particolari esigenze di sicurezza, ma sia invece unicamente vendicativo e punitivo. Altri, come Issa, sono detenuti in isolamento da anni. Sono circa una ventina, condannati per terrorismo. Centinaia di prigionieri palestinesi stanno facendo uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni in cui sono trattati i compagni. Come per altri, anche per Issa il servizio penitenziario chiede al giudice ogni sei mesi di estendere la misura dell’isolamento. Sentito lo Shin Bet, il giudice decide, in base a documenti che solo lui può visionare. In carcere dal 1993, Issa è stato condannato a tre ergastoli per il rapimento e l’omicidio di un poliziotto di frontiera e per il tentato omicidio di due soldati. E’ il carcerato che ha passato in isolamento più anni senza vedere la propria famiglia. Nello Stato di Israele, a 94 prigionieri israeliani e 38 palestinesi (20 dei quali in carceri di massima sicurezza) non è consentito vedere i propri familiari.