Giustizia: la tortura ritorna all’ordine del giorno di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 31 maggio 2012 Dopo un paio di anni di stand by la Commissione Giustizia del Senato ha rimesso all’ordine del giorno i disegni di legge sulla tortura. I testi base prescelti sono quelli di Silvana Amati e Pietro Marcenaro, entrambi Pd. Di proposte, però, ne pendono altre dieci provenienti oltre anche da altre forze politiche (Radicali, Idv e Pdl). La Commissione deve decidere se propendere per chi è stato più fedele al testo presente all’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 o a chi in parte se ne discosta. Il testo Onu prevede che la tortura sia un delitto proprio (ossia che può essere commesso solo da un pubblico ufficiale), avente a oggetto sofferenze fisiche e/o psichiche inflitte con dolo intenzionale (deve esserci il fine specifico di estorcere confessioni o di umiliare la persona sottoposta a custodia). Nella proposta del Presidente della Commissione diritti umani del Senato Marcenaro il delitto è qualificato come un delitto generico che può essere pertanto commesso da chiunque. È però prevista una circostanza aggravante nel caso l’autore sia un pubblico ufficiale. Il minimo edittale in ambedue i disegni di legge è di quattro anni. Il massimo nel caso della proposta Amati è dieci, in quella Marcenaro dodici. Importante è il riferimento alla previsione di pena per “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all’impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente”. È il caso, ad esempio, di chi usa squadrette di detenuti per pestarne altri. In vari disegni di legge compare il divieto per il Governo italiano di assicurare l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro Paese o da un tribunale internazionale. Lo Statuto della Corte Penale Internazionale inserisce fra i crimini contro l’umanità perseguiti dalla Corte anche la tortura. In questi casi il cittadino straniero dovrà essere estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale relativa. L’Italia ha firmato nel 1984 e ratificato nel 1988 il Trattato Onu. Da allora è inadempiente rispetto agli obblighi internazionali. Il Governo ha però preannunciato che non presenterà un proprio disegno di legge. Lo scorso 31 gennaio un giudice di Asti nel non condannare quattro agenti di polizia penitenziaria ha spiegato che ciò non gli era possibile a causa della assenza del crimine di tortura nel codice penale. Gli altri reati percosse, abuso di autorità, lesioni, maltrattamenti in famiglia - non sono sovrapponibili alla tortura. Ne restano sempre escluse le sofferenze psichiche. Inoltre hanno pene più lievi e tempi rapidi di prescrizione. Un appello firmato da autorevoli esponenti del mondo della cultura e della società civile chiede al parlamento di fare presto essendo la tortura una questione di diritti umani e di civiltà democratica. Anche l’Unione delle Camere Penali si è unito a esso con determinazione. Giustizia: nelle carceri… se l’affettività è un premio di Maurizio Artale Il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2012 L’abolizione del secondo comma dell’art. 18 della l. 345 del 1975, secondo il quale i colloqui in carcere si svolgono in locali dove il personale penitenziario effettua un controllo visivo ma non uditivo, offrirebbe ai cittadini detenuti la possibilità di vivere momenti di intima “affettività” con i propri partner. Ma in un paese come il nostro dove il carcere è visto come uno strumento afflittivo, favorire momenti di affettività significherebbe dare un premio. Una persona che non ha mantenuto rapporti con i propri familiari cresce “incattivito” da quella mancanza, il suo reinserimento sociale diventa molto problematico. Tutti sanno o almeno immaginano come si svolge il sesso nelle carceri, si sanno dei comportamenti devianti ed abusanti ma parlarne è un tabù. Non basta sapere che siamo uno dei pochi paesi europei che non permette, all’interno delle proprie carceri, momenti di affettività, per fare un passo avanti verso un carcere che educhi, formi, reinserisca. Dobbiamo fare uno sforzo culturale e comprendere che le ricadute sulla nostra società saranno positive se verrà attribuito il giusto significato alle “relazioni” tra i cittadini detenuti e i propri partner. Solo se non lo consideriamo un premio potremo riabbracciare come nuovo membro della società colui che ha commesso un reato, per il quale ha pagato il suo debito. Giustizia: Severino; piano per “intramoenia” penitenziaria con medici delle Asl Asca, 31 maggio 2012 “Io spesso constato la realtà e cerco di vedere se e dove le cose funzionano. Sono stata recentemente in Sardegna al carcere di Is Arenas e lì è stata sperimentata una sorta di intramoenia con dottori addetti alla salute dei detenuti e ha funzionato benissimo, tant’è che adesso con il ministro Balduzzi, visto che tutte le competenze per quanto riguarda l’attività sanitaria nelle carceri sono passate alla Asl, vorremmo studiare un piano per verificare come questo passaggio possa essere fatto senza interrompere rapporti specifici che ci sono stati e che hanno funzionato benissimo”. A dirlo il ministro della Giustizia, Paola Severino, a margine di un’inaugurazione all’ospedale romano “San Filippo Neri”, sottolineando relativamente ai vantaggi di questa operazione che “non sono servizi di per sé produttivi e di reddito ma di carattere sociale e sono comunque a carico dello Stato. Il passaggio da un capitolo a un altro - ha precisato Severino - è una caratteristica del nostro ordinamento bilancistico così com’è governato dalla legge di contabilità. Diciamo che da questo punto di vista siamo tutti fratelli, i ministeri cercano di collaborare tra loro compensando magari alcune spese in più con altre”. Il ministro a tal proposito ha sottolineato che all’interno del Consiglio dei ministri c’è accordo. Giustizia: ministro Balduzzi su chiusura Opg; monitoraggio mese per mese in tutte regioni Adnkronos, 31 maggio 2012 Il ministero della Salute segue “con tempestività” la riforma relativa agli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) “con un monitoraggio mese per mese”. Lo ha spiegato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ascoltato oggi in Senato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale sulla vicenda degli Opg e sui decreti attuativi per la loro chiusura. I criteri previsti dal decreto interministeriale per il superamento degli ex Opg sono attualmente all’esame della Stato-Regioni, “il ministero della salute - ha spiegato Balduzzi - segue con tempestività la riforma e l’iter sui requisiti che le strutture devono avere. È nostro compito - ha concluso - mantenere l’attenzione completa in tutte le Regioni”. Marino: ancora troppe differenze regionali I dati illustrati oggi dal ministro della salute Renato Balduzzi, “confermano i timori della Commissione: a livello locale ancora molte regioni non hanno fatto la loro parte” per quanto riguarda le dimissioni negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Lo sostiene il senatore Ignazio Marino (Pd), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, dove oggi è stato ascoltato Balduzzi in un’audizione sugli Opg e sui decreti attuativi per la loro chiusura. Un documento presentato dal ministro dimostra che nove regioni italiane non hanno dimesso neanche il 50% dei pazienti ricoverati, e dimissibili, negli Opg. “Serve senso di responsabilità - dice il senatore - perché molti internati degli ospedali psichiatrici giudiziari avrebbero il diritto di uscire, ma vi sono ancora detenuti contro la legge”. Per Marino si tratta di “persone che dovrebbero essere assistite dalle Asl, ma che non sono state ancora riaccolte da queste strutture. Le Asl - prosegue - finora avevano fatto resistenza sulla situazione di questi internati contro la legge, perché mancavano le risorse. Ora le risorse ci sono, ma vorremmo che dal ministero della Salute arrivasse una spinta a impiegarle, una sollecitazione ferma - conclude - a presentare progetti ad hoc”. Giustizia: 300 dimessi da Opg, ma 9 regioni hanno accolto meno del 50% nei loro servizi Ansa, 31 maggio 2012 Sono circa 300, su quasi 500, gli internati dimessi dagli Ospedali psichiatrici giudiziari, ma ci sono ancora 9 Regioni che hanno accolto nei loro servizi territoriali meno del 50% dei malati, target che doveva essere raggiunto già entro il 2009. Sono alcuni dati che ha presentato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, alla commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale. Dati che, per il presidente, Ignazio Marino, “confermano i timori della commissione” perché dimostrano che “molte regioni non hanno fatto la loro parte” tenendo internati negli Opg “persone che sono private della libertà contro la legge, perché avrebbero diritto di uscire”. Secondo i dati, aggiornati al 31 maggio, consegnati dal ministro, le Regioni in ritardo sono Abruzzo (4 pazienti dimessi), Calabria (3), Campania (65), Liguria (13), Marche (4), Molise (1), Puglia (12), Sicilia (il dato non è noto, ma dal ministero specificano che non è stata raggiunta la percentuale del 50%), Veneto (3). “Le Asl - ha aggiunto Marino - finora avevano fatto resistenza sulla situazione di questi internati contro la legge, perché mancavano le risorse. Ora le risorse ci sono, ma vorremmo che dal dicastero della Salute arrivasse una spinta a impiegarle”. Giustizia: Borghesi (Idv); assumere i 18 educatori penitenziari vincitori di concorso Public Policy, 31 maggio 2012 Sono passati due anni da quando si sono concluse le prove orali ed è stata stilata la graduatoria dei vincitori di un concorso a 50 posti per educatori penitenziari. Nel febbraio del 2012 è stata autorizzata l’assunzione non di tutti ma di solo 32 vincitori. In una interrogazione al presidente del Consiglio e al ministero della Giustizia, il deputato Antonio Borghesi (Idv) ha chiesto se non si ritenga “giusto e opportuno che l’amministrazione penitenziaria provveda quanto prima all’assunzione delle restanti 18 unità, senza ulteriori ritardi e rinvii indeterminati”. Giustizia: Associazione Clemenza e Dignità; piena fiducia in riforme governo per carceri www.imgpress.it, 31 maggio 2012 Dovendo fare un punto della situazione, il provvedimento “svuota carceri”, adottato da questo Governo, ha rappresentato certamente un primo importante segnale positivo, un segnale di attenzione verso un mondo che è stato per troppo tempo dimenticato. È quanto afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. Ora, però, - prosegue - servono assolutamente delle riforme, servono delle misure molto coraggiose ed innovative. Su questo aspetto, - osserva - le trascorse esperienze di tante parole spese e dei pochi fatti seguiti, indurrebbero a non essere propriamente ottimisti. Tuttavia, - conclude - su questo grave problema delle carceri, così come su molti altri che attualmente assillano il nostro Paese, tutti, invece, debbono esercitarsi in quel grande sforzo intellettuale, che è preparatorio ed imprescindibile al fine di una effettiva risoluzione di qualsiasi questione: pensare positivo e crederci sempre. Giustizia: Nicola Mancino “ho difeso con intransigenza il 41 bis. Sfido chi dice il contrario” Intervista di Cristoforo Boni L’Unità, 31 maggio 2012 In un’intervista a l’Unità (il 26 maggio scorso) Claudio Martelli è stato molto duro con Nicola Mancino. In sostanza lo ha accusato di essersi preoccupato, da ministro dell’Interno, “dei detenuti di Avellino terrorizzati dal carcere duro” mentre lo Stato nel 1993 stava allargando le maglie del 41 bis. A Mancino abbiamo chiesto di rispondere: “Non sono abituato a rilasciare interviste mentre l’autorità giudiziaria indaga - ci ha detto in prima battuta. Se sono a conoscenza di una notizia che può contribuire a fare chiarezza, riferisco direttamente ai magistrati”. Poi però ha aggiunto: “Non replicherei neanche adesso. Visto, però, che Martelli mi ricorda come un ministro di provincia, devo fare presente che non mi pare che il territorio dell’Irpinia registrasse all’inizio degli anni Novanta fenomeni di malavita organizzata, fatta eccezione per la zona del Valle di Lauro, dove si fronteggiavano i clan dei Graziani e dei Cava, che solo successivamente sarebbero divenuti pericolosi. Erano clan collegati a famiglie camorristiche”. Eppure in quel frangente, davanti a Poggioreale, ci furono manifestazioni violente di familiari, mentre nel carcere i detenuti protestavano... “È vero. Poggioreale era, come tanti altri penitenziari, sovraffollato. Mentre tornava a casa fu ucciso il sottufficiale degli agenti di custodia Pasquale Campanello, della provincia di Avellino. Il feroce delitto fece molto scalpore e contribuì ad inasprire gli animi dentro e fuori il penitenziario. Io non ho mai fatto pressioni per revocare qualche provvedimento di 41bis. Neppure in quell’occasione. Come ministro dell’Interno, del resto, non sono stato mai messo a conoscenza di nominativi di detenuti assoggettati al regime di carcere duro. I provvedimenti relativi erano disposti, revocati, prorogati o fatti decadere dal ministro competente che era il Guardasigilli, o da un suo delegato. A me, ministro dell’Interno, non veniva data - non c’era alcun obbligo - comunicazione relativa a eventuali modifiche della condizione dei detenuti sottoposti al 41 bis”. Tornando a Poggioreale, nel carcere si recò una commissione parlamentare per comprendere le ragioni della protesta. Lo ricorda? “Ho ricostruito una rassegna stampa di quel periodo e la custodisco gelosamente. Sa cosa ho scoperto? Per sedare la protesta, come si può ricavare dalla lettura delle cronache de Il Mattino, si recò a Poggioreale il direttore del Dap Nicolò Amato. Era il 17 febbraio 1993, e la cronaca cui faccio riferimento attribuisce al dottor Amato il merito della pacificazione. Un centinaio di detenuti furono trasferiti in altri penitenziari. Il ritorno alla calma fu salutato, dentro e fuori le mura di Poggioreale, dagli applausi di chi fino ad allora aveva protestato”. E lei allora che posizione prese? “Non ho difficoltà a rispondere. Intervenendo a Catania il 20 marzo 1993, cioè pochi giorni dopo che la protesta era rientrata, dichiarai che il problema delle carceri “non si può risolvere con la leggerezza di chi propone misure di allentamento: semmai dobbiamo tenere sempre alta la guardia”. È riportato sui giornali del giorno dopo. Ma, rispondendo alla domanda, desidero anche ricordare che furono i parlamentari della commissione Giustizia della Camera, durante la loro visita a Poggioreale, a chiedere la revoca della misura restrittiva, annunciando di volersi rivolgere al nuovo ministro della Giustizia. Come vede, io del 41bis, anche su Napoli, fui un difensore intransigente. Sfogliando Il Mattino dell’epoca posso dirlo ancora oggi”. Tuttavia Martelli non la pensa così. “Forse parla a memoria, e la memoria, dopo venti anni, può ingannare. Io cito documenti”. Lazio: Intesa tra Garante, Prap e Cgil; ora più facile per detenuti accedere a servizi sociali Il Velino, 31 maggio 2012 Sarà più semplice, per i detenuti delle carceri del Lazio, accedere a pensioni di invalidità, sussidi e agli altri benefici in materia di assistenza e previdenza sociale. Nasce con la volontà di semplificare le pratiche burocratiche il protocollo d’intesa firmato da Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, dal segretario generale della Cgil del Lazio Claudio Di Berardino, dalla coordinatrice Inca Adele Cicciotti e dal provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Maria Claudia Di Paolo. L’iniziativa nasce dall’esigenza di agevolare l’accesso dei detenuti ai servizi e alle opportunità delle pubbliche amministrazioni. In particolare, il Garante ha appurato le difficoltà nel poter accedere alle prestazioni di previdenza sociale, con particolare riguardo al riconoscimento e alla fruizione delle pensioni di invalidità. A tale proposito il protocollo indica un nuovo iter per velocizzare l’accesso ai servizi previdenziali. All’interno di ogni carcere le pratiche saranno curate dal personale dell’amministrazione penitenziaria e dagli operatori del patronato Inca, che lavoreranno a stretto contatto per garantire, nel minor tempo possibile, gli adempimenti sociali e amministrativi necessari per accedere alle prestazioni e ai benefici previdenziali. Il personale del patronato dovrà dialogare con i referenti indicati dall’amministrazione penitenziaria in ogni carcere per facilitare lo scambio di informazioni. Gli stessi operatori Inca dovranno garantire una presenza effettiva negli istituti. Ha parlato di un “risultato importante” il garante Angiolo Marroni secondo cui tanti detenuti della Regione potranno “finalmente accedere, con tempi certi e senza ulteriori aggravi di carattere burocratico, alle prestazioni previdenziali cui hanno diritto. Conquiste sociali ormai pacifiche per i cittadini, come quella di poter beneficare di una pensione di invalidità, sono, molto spesso, un obiettivo difficilmente raggiungibile per coloro che vengono privati della libertà personale” ha sottolineato. Per il provveditore Di Paolo “il miglior modo per risolvere i problemi in carcere è quello di portare un’aria di novità all’interno degli istituti di pena, e questa iniziativa rappresenta, senza dubbio, una ventata di novità”. Da parte sua la Cgil “scommette molto” su questa “iniziativa di civiltà” che il sindacato “realizza per la prima volta in maniera così organica. È anche la prima volta in Italia, ed è giusto che la Capitale provi a essere un modello - ha dichiarato Di Berardino -. Questa è un’ulteriore occasione per richiamare la giusta attenzione delle istituzioni verso una problematica sociale importante”. La Cgil Lazio si impegna a fornire al Patronato il supporto tecnico e logistico necessario allo svolgimento dei servizi all’interno delle carceri mentre il Provveditorato dovrà garantire che le direzioni delle carceri forniscano le risorse logistiche necessarie affinché i servizi e le prestazioni erogate dal Patronato a favore dei detenuti raggiungano celermente i diretti interessati. Il Garante dei detenuti potrà infine suggerire possibili linee di intervento favorendo un clima di collaborazione. Verona: detenuto marocchino muore in carcere, disposta l’autopsia L’Arena, 31 maggio 2012 Il sostituto procuratore Zenatelli ha aperto un fascicolo. Si dovrà, quindi, accertare se vi siano eventuali responsabilità di altre persone. Marocchino, con un passato di abusi di droghe, era appena stato trasferito da Padova. Al momento nessun indagato. Al carcere di Montorio un uomo di origini marocchine era arrivato l’altra sera, trasferito dal Due Palazzi di Padova e in attesa che venisse fissato il processo d’Appello. È stato accompagnato in cella ma martedì mattina gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno trovato morto. Un decesso sulle cui cause il sostituto procuratore Marco Zenatelli ha aperto un fascicolo e disposto l’autopsia (che sarà effettuata questa mattina all’istituto di Medicina Legale di Borgo Roma). Al momento si tratta di un’indagine per “fatto non costituente reato”, il che significa che non vi sono indagati e l’autopsia è stata disposta per accertare la causa del decesso. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di una morte naturale, pare anche le condizioni del detenuto, dedito in passato all’uso di sostanze stupefacenti, non fossero particolarmente buone. Probabilmente a causa dei datati problemi di tossicodipendenza. Quello che dovrà accertare il medico legale, quindi, sarà anche il decesso non sia attribuibile alla responsabilità di terze persone (che non sia quindi stato oggetto di violenza da parte di qualcuno), ipotesi questa che sarebbe già stata esclusa poiché sul cadavere, ad un primo esame esterno, non vi sarebbero segni o lesioni tali da far supporre una morte violenta. Una volta stabilita la causa della morte sarà la magistratura a verificare se, all’arrivo di un detenuto da un altro carcere, debbano essere adottate particolari procedure o se vi sia un protocollo da seguire per quel che riguarda la verifica delle condizioni fisiche. Se debba, cioè, essere effettuata una visita medica. Probabilmente già oggi potrebbe emergere il primo dato in grado, eventualmente, di “qualificare” l’indagine. Anche se sarà necessario attendere l’esito degli esami tossicologici per avere un quadro completo delle condizioni fisiche del detenuto. Cagliari: Sdr; sanità penitenziaria: dirigenti medici in ferie forzate a Buoncammino Agenparl, 31 maggio 2012 Rischia di avere pesanti ripercussioni sull’organizzazione e l’efficienza dell’intero servizio medico e infermieristico la decisione del Ministero della Giustizia di chiudere il rapporto contrattuale con i dirigenti che operano nella struttura penitenziaria di Cagliari il cui passaggio ufficiale alla Azienda Sanitaria Locale avverrà dal 1° luglio prossimo. Se non ci sarà un immediato chiarimento tra Ministero e Assessorato regionale della Sanità infatti entro il 30 giugno dovranno essere fruite tutte le ferie accumulate. n pratica Buoncammino con 530 detenuti e circa 200 Agenti di Polizia Penitenziaria resterà privo dei tre dirigenti medici e dell’unica infermiera. Lo rivela Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sostenendo che “è necessario un immediato intervento dell’assessore regionale della Sanità per porre rimedio a un provvedimento che rischia di creare il caos e bloccare le istanze dei detenuti per mesi”. “Il ruolo dei dirigenti medici e infermieri all’interno di una struttura penitenziaria - sottolinea la presidente di Sdr - non riguarda solo gli aspetti strettamente terapeutici ma investe l’organizzazione del lavoro e soprattutto i rapporti con la Magistratura di Sorveglianza e il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria. Si tratta di un compito delicato che non può essere affidato a un medico che pur avendo i titoli non conosce il sistema”. “Pensare di mandare in ferie forzate contemporaneamente i dirigenti significa quindi - afferma ancora Caligaris - sguarnire l’Istituto di professionalità indispensabili e non sostituibili. L’auspicio è che un immediato intervento della Regione possa ridimensionare il provvedimento e dilazionare nel tempo i giorni di riposo accumulati. Altrimenti nei prossimi due mesi, peraltro quelli in cui i detenuti soffrono maggiormente per il caldo e per il sovraffollamento, sarà molto difficile che i Medici possano contribuire a compilare le relazioni periodiche sulle condizioni dei cittadini privati della libertà che aspirano ad accedere alle pene alternative”. “Nella vicenda della Sanità Penitenziaria, di cui si parla da almeno un anno, resta da chiedersi come mai, solo adesso il Ministero si accorge che ci sono ferie arretrate. È poi assurdo che i risparmi dell’amministrazione debbano gravare - conclude Caligaris - sugli utenti finali. In questo caso i detenuti che non hanno alcuna responsabilità sugli effetti di una riforma nata accumulando ritardi e disorganizzazione”. Bologna: da ex detenuti a socialmente utili, grazie al progetto “Piazza Verdi Lavoro” Redattore Sociale, 31 maggio 2012 Roberto ha 42 anni ed è originario di Genova. Ha passato 20 anni per strada. A chi gli chiede del suo passato risponde che “era un punkabbestia”. Mariano è di Napoli, ma da 17 anni è a Bologna. È un ex detenuto e racconta che, quando cercava lavoro, la risposta era sempre la stessa, “le faremo sapere”. Ma nessuno gli ha mai fatto sapere, perché per chi esce dal carcere è difficile riuscire a reinserirsi. Anche Salvatore è di Napoli ma è a Bologna dal 1992. Faceva il calzolaio, ma “da quando ci sono le macchine, chi le fa più le scarpe a mano?”. Rino è di Bologna, una vita passata per strada. Roberto, Salvatore, Mariano e Rino si conoscono da tempo. Da qualche anno, però, sono diventati amici. Sono i lavoratori di “Piazza Verdi Lavoro”, il progetto di lavori socialmente utili in zona universitaria per ex detenuti, senzatetto o ex tossicodipendenti, promosso dal Comitato Piazza Verdi con il sostegno del Quartiere San Vitale e il contributo della Fondazione Del Monte. “Grazie a questo progetto lavoro da 5 anni e adesso riesco a pagarmi una stanza in affitto - racconta Roberto. Di gente in questi anni ne ho vista passare tanta, molti non ne avevano voglia, ma per fare questo lavoro serve la volontà”. Dal 2008 a oggi, sono 25 le persone che hanno partecipato a “Piazza Verdi Lavoro”. Oggi sono in 4 a svolgere lavori socialmente utili in zona universitaria. “Il progetto è importante - dice Otello Ciavatti. Il problema è che non ci sono sbocchi lavorativi”. Pulizia della piazza e ripulitura dei muri dai graffiti. Sono alcuni dei lavori che “Piazza Verdi Lavoro” offre a chi vi prende parte. Si tratta di un impegno annuale per 2 ore al giorno (dalle 18.30 alle 20.30 e dalle 20.30 alle 22.30) che, grazie al contributo di 15 mila euro della Fondazione Del Monte (per 2.000 ore di lavoro) permette a queste persone di guadagnare 250 euro al mese. “Non sono molte 2 ore al giorno, ma almeno stiamo lontano dai guai” - racconta Mariano. Con 250 euro al mese, Roberto è riuscito a togliersi dalla strada e a prendere la residenza a Bologna, prima impossibile per la difficoltà di fare i documenti necessari. “Ho anche ripreso i contatti con mio figlio che ha 15 anni e sta a Genova con la madre - dice - prima non avevo niente e, anche per orgoglio, era molto difficile per me cercare di riallacciare i rapporti”. Salvatore, invece, sta in un dormitorio. E Rino, dopo tanti anni per strada, adesso sta dormendo in una roulotte. “Sono solo 2 ore al giorno di lavoro, è vero - dice - Ma almeno passiamo due ore in modo diverso”. Accanto al lavoro di pulizia della zona universitaria ci sono altre iniziative che coinvolgono i lavoratori di “Piazza Verdi Lavoro”: la tinteggiatura dei muri (per il quale i lavoratori hanno frequentato un corso di formazione dell’Istituto edile) e un servizio di informazione sui luoghi di ricovero del Piano Freddo del Comune. E in questi giorni sono tutti impegnati nell’organizzare il concerto del 23 giugno in Montagnola per senzatetto e immigrati dedicato alle vittime del terremoto. “Sarà un concerto di musica classica - spiega Ciavatti - perché per queste persone spesso è difficile accedere ai luoghi in cui si può ascoltare questa musica”. Un progetto di frontiera. Secondo Milena Naldi, presidente del Quartiere San Vitale, “si tratta di un progetto molto importante perché è conoscenza, opportunità e riconnessione di persone che, con il loro lavoro, contribuiscono a far sì che quel luogo pubblico, piazza Verdi, sia di tutti”. E i lavoratori sono, continua Naldi, “uno degli elementi di riequilibrio di quel luogo”. Gli effetti positivi ci sono tanto che, racconta Roberto, “vedendoci le persone che stanno in piazza partecipano e magari invece di lasciare la bottiglia di birra vuota in terra si alzano e la buttano nel bidone”. Un’esperienza educativa, insomma. Sia per i lavoratori che per chi frequenta la piazza che, nei 5 anni di attività del progetto, ha imparato a conoscere le persone che vi hanno preso parte e che sono da esempio di rispetto per la città. “Sono soddisfatto di questo lavoro - dice ancora Roberto - Il problema dei ragazzi che si perdono per strada è che nessuno dà loro fiducia: con questo progetto noi abbiamo una responsabilità perché qualcuno ci ha dato fiducia, è molto importante”. Al progetto partecipa anche la Consulta contro l’esclusione sociale. “Con Piazza Verdi Lavoro si è creato dal basso un momento di integrazione sociale che porta all’inclusione - dice la presidente Anna Maria Nasi - Ciò è stato possibile grazie a un grande raccordo tra pubblico e privato sociale: quello che manca ora è la messa in rete, la diffusione della conoscenza di ciò che si fa”. Cosenza: appello di Corbelli (Movimento Diritti Civili) per detenuto rimasto orfano Ansa, 31 maggio 2012 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, ha ricevuto una lettera da un detenuto nel carcere di Cosenza di 31 anni che chiede “aiuto per quando ritornerò libero. A causa della mia condotta i miei genitori sono morti per il dolore ed ora mi ritrovo ad essere solo”. “Ero - aggiunge il detenuto - un ragazzo fortunato, avevo una splendida famiglia. Due genitori che mi volevano un gran bene. Purtroppo la mia vita ha preso una piega sbagliata, scrive il giovane recluso a Corbelli. Ho iniziato a sbagliare. Piccoli reati mi hanno portato in carcere, dove mi trovo tuttora nella casa circondariale di Cosenza. Finirò la pena tra pochi mesi. Oggi sono un uomo distrutto dal dolore, dal rimorso di aver causato, con la mia condotta, la morte dei miei genitori. Quando uscirò dal carcere non so dove andare. Vorrei poter riprendere la vita e non morire”. Corbelli ha affermato che “questa storia dal mondo del carcere è diversa da tante altre che ho affrontato in tanti anni. È un figlio che dopo averli persi si rende conto del male che ha fatto ai suoi genitori, quale immensa irrimediabile perdita ha causato con la sua condotta sbagliata”. Bologna: ex direttrice Ipm Pratello riavrà il suo posto, decisione del Tribunale del lavoro Redattore Sociale, 31 maggio 2012 Il Tribunale del lavoro ha dato ragione all’ex direttrice del minorile che ora potrà essere reintegrata nel suo ruolo. Ziccone è stata rimossa dall’incarico nell’agosto del 2011 a causa dei contrasti con il dirigente Giuseppe Centomani. Si è conclusa con una condanna a carico del ministero della Giustizia l’udienza del 29 maggio davanti al giudice del lavoro, Giuseppe Palladino, sul ricorso presentato dall’ex direttrice del carcere minorile del Pratello, Paola Ziccone, che ora (se vorrà) potrà essere reintegrata nel suo ruolo. Ziccone (direttrice del Pratello dal 2001) è stata rimossa dal suo incarico nell’agosto del 2011 in seguito a contrasti con il suo superiore, il direttore del Centro di giustizia minorile, Giuseppe Centomani, a sua volta rimosso dall’incarico nel dicembre del 2011 in seguito a un’ispezione ministeriale. Ora Ziccone potrà riavere il suo posto. Le motivazioni della condanna non sono ancora state rese note, ma il giudice ha dato ragione all’ex direttrice e ha condannato l’amministrazione giudiziaria a pagare le spese processuali e le differenze retributive visto che in questi mesi Ziccone ha coordinato l’area tecnica del centro di giustizia minorile. L’ispezione dello scorso dicembre è stata decisa dal ministro della Giustizia, Paola Severino, in seguito a un’inchiesta aperta dalla Procura di Bologna su un presunto caso di abusi sessuali ai danni di un detenuto all’interno della struttura. In seguito all’ispezione sono stati rimossi tutti i dirigenti ed è stato affidato l’incarico (temporaneo) di dirigere il Pratello a Francesco Pellegrino, mentre Paolo Attardo ha assunto l’incarico di direttore del Centro di giustizia minorile. Alghero: in vendita magliette e borse artistiche prodotte dai detenuti La Nuova Sardegna, 31 maggio 2012 Stamane alle 10,30 presso gli uffici della Fondazione Meta in piazza Porta Terra, si terrà la presentazione dell’iniziativa “Mettetevi nelle nostre magliette”. Daniele Sardu presidente della cooperativa Apriti Sesamo presenterà i termini dell’accordo raggiunto con l’artista Bob Marongiu. La cooperativa Apriti Sesamo gestisce i laboratori presenti all’interno della Casa Circondariale di Alghero (officine di stampa e serigrafia, falegnameria, rilegatura etc.), tali laboratori sono condotti da equipe di professionisti col fine di organizzare dei veri e propri gruppi di lavoro che vedono come protagonisti gli stessi detenuti, i quali intraprendono un progetto formativo e lavorativo che promuoverà il loro reinserimento nella società una volta pagato il prezzo con la giustizia. L’istituto di pena di via Vittorio Emanuele tiene anche corsi legati alle attività alberghiere e della ristorazione. In questo nuovo progetto “Mettetevi nelle nostre magliette” il sociale, il turismo e l’arte si incontrano per un intervento sinergico di particolare rilievo sociale. I lavoratori della cooperativa utilizzeranno la propria professionalità per pubblicizzare Alghero guidati dai soggetti dell’artista sardo. Verranno prodotte magliette, borse ed altri gadget promozionali della città e del territorio. La vendita avverrà presso le attività commerciali aderenti al Centro Commerciale Alghero in Centro, in quanto la cooperativa dal 2009 è stata ammessa come socio speciale. L’Aquila: percorsi di legalità per gli studenti, con incontri in carcere Il Centro, 31 maggio 2012 Cos’è il carcere? A cosa serve? Chi sta in carcere? Chi ci lavora? Ma è come nei film? Questi gli interrogativi degli studenti che parteciperanno alla manifestazione “Piccole evasioni, percorsi di legalità”, promossa dalla Casa circondariale dell’Aquila, con la collaborazione dell’Istituto “Elena di Savoia-Rendina” e della scuola media statale “Dante Alighieri” di L’Aquila, dell’Istituto Comprensivo “Don Lorenzo Milani” di Pizzoli. Si tratta di uno dei cardini delle progettualità del carcere delle Costarelle ideata dal responsabile dell’area pedagogica, Antonio De Rossi, e rivolta alla prevenzione delle devianze giovanili ed al recupero dei condannati. Operatori penitenziari e personale di polizia penitenziaria sono entrati in aula per raccontare la propria esperienza e lo spirito che la anima. Gli studenti hanno intrapreso un percorso informativo-educativo, che si concluderà con il doppio appuntamento di domani e lunedì 4 giugno. In quell’occasione i detenuti e gli studenti della scuola media statale Alighieri porteranno in scena due spettacoli teatrali preparati nel corso dell’anno con la regista Rosanna Narducci. Catania: “Cinema segre(ga)to”, ciak dietro le sbarre… per parlare di carcere e diritti La Sicilia, 31 maggio 2012 Cinema segreto. Cinema segregato. Dietro le sbarre. Fuori dal mondo. In quel non luogo che è il carcere, in cui il tempo rallenta fino a trascinarsi e lo spazio si riduce al di sotto del minimo indispensabile per vivere. O sopravvivere. Un tema delicato, doloroso e dolente, quello del carcere. Reso spesso protagonista al cinema da grandi autori che hanno provato a raccontarne la complessità, dipingendone le infinite sfumature. Tra contraddizioni, disagi, sbagli e seconde possibilità. Tanto dei detenuti, quanto della società civile. Segue questo percorso la rassegna “Cinema segre(ga)to”, organizzata dal Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania e dall’Associazione nazionale forense, in programma al Coro di notte del Monastero dei Benedettini in tre serate (la prima si è svolta venerdì scorso le prossime sono in programma il 6 e 18 giugno alle ore 20) che, attraverso il cinema, accenderanno riflettori e riflessioni sul tema dei diritti umani e dei diritti dei detenuti. “Il carcere è un argomento complesso che la società tende a rimuovere, ricordandosene solo in caso di suicidi, sovraffollamento o indulto, quando in realtà è uno strumento di verifica del livello di civiltà della società stessa” riflette Alessandro De Filippo, docente di Estetica del cinema e di Storia e critica del cinema, curatore della rassegna assieme all’avvocato Vito Pirrone della Commissione Diritti Umani del Senato della Repubblica. “Lo scopo della rassegna - continua De Filippo - è di ragionare con la città sul tema e la complessità del carcere, cui l’art. 27 della Costituzione attribuisce una funzione anche rieducativa e non solo punitiva. Compito dell’Università è di farsi “piazza”, luogo di scambio di idee, per stimolare discussioni di carattere culturale con ricadute di natura sociale, ed è importante trovare tempo, energie e forze per discutere di certi temi con i cittadini”. Si spiega così anche la scelta delle pellicole messe in cartellone. Da “L’amore buio” di Antonio Capuano (2010), che costruisce intorno ad un reato atroce come lo stupro una storia di redenzione e riabilitazione minorile, a due mediometraggi di denuncia (due vere rarità del cinema civile degli anni ‘70), “La fine del gioco”, primo film dell’allora venticinquenne Gianni Amelio (1970), e “Michele alla ricerca della felicità” di Alberto Grifi (1973), che mostrano come era una volta la vita in carcere affinché certo degrado umano non si ripeta più. Per finire poi con due documentari di Alessandro De Filippo, “Cattura” e “Isola”, entrambi girati all’interno del carcere di massima sicurezza di Bicocca. Immigrazione: inchiesta sul Cie di Milo a Trapani…. tra accoglienza e detenzione Tm News, 31 maggio 2012 Un carcere dai colori vivaci. È questo il Cie di Trapani Milo, dove attualmente sono “rinchiusi” poco meno di un centinaio di extracomunitari maghrebini in attesa di conoscere quale sarà il loro futuro, tra un permesso di soggiorno che appare al limite dell’utopia, e un molto più realistico rimpatrio. L’agenzia TMNews è riuscita ad entrare, con una delegazione di altri venti giornalisti, nel centro trapanese e conoscere da vicino le condizioni di vita all’interno della struttura. Condizioni particolarmente alienanti, con ad esempio la mancanza, per ragioni di sicurezza, di un spazio dove potersi riunire tutti insieme. Così molti “ospiti” non reggono il peso psicologico di questa vita, procurandosi ferite alle braccia e alle gambe, o ingoiando corpi estranei nella speranza di poter lasciare il centro, fosse anche soltanto per raggiungere un ospedale. Una volta entrati nella struttura, agli extracomunitari vengono confiscate le scarpe, che potrebbero essere lanciate contro gli agenti che li sorvegliano, e consegnati indumenti puliti. All’interno di ciascun reparto del Cie ci sono otto stanze, in ciascuna di esse mediamente sei persone. Dormono su brandine sprovviste di lenzuola e cuscini; i bagni, senza le porte, non hanno docce funzionanti. L’assistenza sanitaria è garantita da un’infermeria. Sebbene sia attivo h24, il centro medico non è attrezzato per far fronte ai casi più gravi, che vengono quindi trasferiti in altre strutture. Le fughe, e i tentativi di fuga, sono frequenti, e spesso si è arrivati allo scontro con le forze dell’ordine, costrette a far fronte alla rabbia degli extracomunitari che scappando travolgono tutto. All’interno del Cie di Milo, però, non ci sono soltanto maghrebini giunti in Italia con i barconi approdati nei mesi scorsi a Lampedusa. Ci sono le storie di uomini che vivono da molti anni nel nostro Paese; che hanno lavorato, versato contributi, e costruito anche una famiglia. Storie di persone fermatesi nel giorno in cui è scaduto loro il permesso di soggiorno, che li ha portati loro malgrado a vivere la condizione dei detenuti. Come Khelifi Mohamed Jamel, un tunisino di 54 anni giunto in Italia nel 1979. Jamel era un cittadino regolare, e faceva l’addestratore di cavalli in giro per l’Italia. Per quindici anni ha versato i contributi all’Inps, ma dopo aver scontato una condanna a 6 mesi per aver aggredito un collega, e dopo essergli scaduto il permesso di soggiorno, oggi è chiuso da 7 mesi nel cie di Trapani. “Mi hanno fatto girare tutti i centri d’Italia - spiega - e mi hanno portato qui come se neanche fossi stato Totò Riina”. Jamel racconta che il suo unico desiderio è soltanto quello di recuperare i soldi che mensilmente ha versato allo Stato italiano, per tornare in Tunisia dove lo aspettano una moglie e due figlie, nate peraltro in Italia. All’interno del Cie possono arrivare cibo e vestiti inviati agli ospiti dai loro parenti, ma ogni cosa viene passata al setaccio per scongiurare la presenza all’interno degli alimenti, di oggetti pericolosi o di droga. Poi c’è la storia di un altro tunisino, che vive in Italia da tanti anni. Anche per lui, dopo essere scaduto il permesso di soggiorno, si sono aperte le porte del Cie di Trapani. “Forse sono solo ignorante - dice -, ma credo che per loro siamo solo merce, numeri. Le cooperative ci guadagnano e si preoccupano quando siamo pochi. Se siamo in tanti, invece, cercano di risparmiare nel cibo, nelle medicine, nella sanità. Le condizioni di vita sono pessime. Mi dicono che devo restare qui 18 mesi perché devono fare ricerche per sapere chi sono. Io avevo il permesso di soggiorno, ero sposato e lavoravo, lo sanno già chi sono. Perché devo rimanere qui”. India: caso marò; il ministro Terzi ha parlato con loro… sono “fiduciosi” Reuters, 31 maggio 2012 Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha parlato con i due marò detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori e ha detto di averli trovati “fiduciosi e determinati”. In un commento su Twitter pubblicato intorno alle 8 di questa mattina, Terzi spiega di aver “appena parlato con i nostri due militari, fiduciosi e determinati dopo le ultime notizie”. “Sentono il sostegno e la vicinanza del governo e dei cittadini”, aggiunge il ministro. È di ieri la notizia che i giudici indiani hanno concesso la libertà su cauzione ai due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, anche se è stato ordinato loro di non lasciare Kochi, in attesa che inizi il processo. Per i due è stata richiesta una cauzione di circa 140.000 euro. I due marò appartengono a una unità del battaglione San Marco imbarcata nella petroliera Enrica Lexie con funzioni antipirateria. Il 15 febbraio scorso, mentre erano in navigazione nell’Oceano Indiano, al largo dello stato del Kerala, hanno sparato contro un peschereccio, scambiandolo per una nave di pirati, secondo la ricostruzione italiana. L’incidente ha creato tensioni tra Italia e India, con Roma che ha ribadito che i due marò stavano operando in acque internazionali e pertanto non devono essere processati davanti a un tribunale indiano. Romania: “detenuti con armi, auto e divise polizia”… direttore carcere cacciato Nova, 31 maggio 2012 Il direttore generale dell’Amministrazione nazionale romena dei penitenziari, Ioan Bala, stato rimosso dalle sue funzioni in seguito a un’ordinanza del ministro della Giustizia, Titus Corlatean. La decisione stata adottata in seguito alle dichiarazioni rilasciate ieri da Bala, in occasione dell’inaugurazione del carcere della città di Vaslui, nel nord est della Romania. L’ex direttore generale aveva dichiarato che le forze di sicurezza dello Stato sono riuscite ad evitare l’evasione di tre capi della malavita organizzata da diversi istituti penitenziari. Gli organizzatori dei piani d’evasione, aveva dichiarato Bala, avrebbero avuto a disposizione armi da fuoco, vetture della polizia e divise da agenti. Secondo il ministro Corlatean, le dichiarazioni di Bala “mettono in dubbio le capacità delle istituzioni dello Stato di gestire adeguatamente il fenomeno della criminalità organizzata e possono portare gravi danni all’immagine della Romania all’estero”. In un comunicato diffuso dal ministero si legge che “Le dichiarazioni di Ioan Bala sono infondate e non ci sono elementi che indichino il peggioramento del fenomeno del crimine organizzato nel nostro paese”. Siria: delegati della Croce Rossa hanno potuto visitare detenuti carcere Aleppo Agi, 31 maggio 2012 I delegati del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) hanno potuto visitare i detenuti siriani della prigione centrale di Aleppo in Siria, ha affermato un portavoce del Cicr oggi a Ginevra. Si tratta della seconda visita di un luogo di detenzione siriano da parte del Cicr. La prima visita in assoluto risale a settembre, quando i delegati dell’organizzazione umanitaria avevano potuto penetrare per la prima volta nella prigione centrale di Damasco. Le visite si erano poi interrotte per chiarimenti sulle condizioni poste dal Cicr, che esige tra l’altro di poter incontrare i detenuti senza testimoni e a più riprese. Le visite ai detenuti della prigione di Aleppo “sono durate alcuni giorni e si sono concluse la settimana scorsa”, ha detto il portavoce del Cicr Hicham Hassan senza fornire ulteriori dettagli. L’obiettivo e la volontà del Cicr è di avere accesso “a tutte le persone detenute in Siria”, ha aggiunto. Lo scopo delle visite compiute dal Cicr è di verificare che i detenuti siano trattati con dignità e umanità, conformemente alle norme internazionali. Il presidente del comitato Onu contro la tortura ha recentemente denunciato le violazioni dei diritti umani in Siria, tra cui arresti arbitrari e torture di detenuti. Tv di stato: Assad ordina rilascio 500 detenuti Il governo siriano ha rimesso in libertà 500 detenuti, arrestati nel corso dei 14 mesi di rivolta anti-regime. Lo ha reso noto, con un flash, la tv di Stato. La notizia arriva due giorni dopo la visita a Damasco dell’inviato di Onu e Lega Araba, Kofi Annan. Secondo l’emittente, i 500 detenuti rimessi in libertà sono stati scelti tra coloro che “non si erano macchiati di fatti di sangue”. Cina: governo contro abusi su detenuti, poliziotti licenziati se causano morte con percosse Agi, 31 maggio 2012 I poliziotti cinesi subiranno provvedimenti che vanno dalla retrocessione al licenziamento, se colpevoli di abusi sui detenuti o conniventi nei maltrattamenti. A stabilirlo è una disposizione pubblicata mercoledì dal ministero della Supervisione. Secondo il documento, i poliziotti verranno licenziati se i detenuti muoiono a causa di loro percosse, punizioni corporali o maltrattamenti, così come per falsificazioni o connivenza in tali comportamenti; licenziamento previsto anche per coloro che nascondono attività criminali dei detenuti o che aiutano la loro fuga. La disposizione, che entrerà in vigore dal primo luglio, fornisce una guida disciplinare per la polizia nelle carceri e nei campi di lavoro: chi infrangerà la legge dovrà affrontare accuse penali. Nel 2006 era stato promulgato un divieto in sei articoli che regolava la condotta della polizia nelle prigioni e nei campi di lavoro, proibendo abusi sui detenuti, la riscossioni di soldi o beni dalle famiglie dei prigionieri, le scommesse e l’uso di alcol nelle ore di lavoro. Secondo gli analisti la disposizione pubblicata ieri, più specifica e esauriente, tutelerà con maggior efficacia i diritti e gli interessi dei detenuti, infliggendo inoltre provvedimenti che andranno da ammonizioni al licenziamento in casi di corruzione, che spesso riguardano la riscossione di tangenti dalle famiglie dei detenuti o l’appropriazione indebita dei beni personali dei prigionieri.