Giustizia: il ministro Severino incontra presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo

Agi, 2 maggio 2012

Le misure adottate nel corso dell’ultima legislatura per deflazionare la domanda di giustizia in Italia, ma anche quelle che il governo ha già varato o sta per concludere con l’obiettivo di accelerare i tempi e l’efficienza del processo civile e penale. Sono i principali punti illustrati dal ministro della Giustizia Paola Severino al presidente della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Nicolas Bratza, nel corso di un colloquio avuto nel pomeriggio presso la sede del dicastero di Via Arenula. Alla domanda di Bratza su cosa l’Italia stia facendo per ridurre i tempi dei processi la cui durata è stata oggetto di numerose pronunce della Corte, il Guardasigilli ha spiegato che si è lavorato e si continua a farlo su più fronti, inclusa la possibilità di una revisione della legge Pinto sugli indennizzi per l’eccessiva durata dei processi. “Stiamo ipotizzando di rendere più snella e più veloce la procedura della legge Pinto”, ha affermato il ministro Severino, aggiungendo che in ogni caso sono stati già attuati interventi per deflazionare la domanda di giustizia. Tra essi ci sono il ricorso alla mediazione civile e commerciale, l’introduzione del contributo unificato per i procedimenti di opposizione a sanzioni amministrative, di misure per la riduzione del contenzioso in materia previdenziale e di deflazione del contenzioso seriale davanti al giudice di pace. E ancora: il ministro Severino ha illustrato una serie di misure, anch’esse già varate, per la semplificazione della disciplina del processo civile, per l’avvio di comunicazioni telematiche in 24 uffici giudiziari e, tra l’altro, per interventi di carattere organizzativo come la creazione dei Tribunali delle imprese. L’imminente revisione della geografia giudiziaria, con l’accorpamento dei piccoli tribunali, è una delle misure su cui il Guardasigilli ha assicurato un recupero di efficienza della giustizia italiana. Quanto alla richiesta di chiarimento del presidente della Corte europea dei Diritti dell’Uomo su come il nostro Paese stia facendo fronte al problema del sovraffollamento carcerario, il ministro Severino ha illustrato i dati del piano carceri rimodulato dal governo Monti (2.273 posti detentivi in più rispetto ai 9.300 già approvati, nonostante una riduzione di risorse di 228 milioni di euro), ma soprattutto i primi effetti del decreto legge “salva-carceri” sul cosiddetto fenomeno delle porte girevoli (circa 20mila detenuti che ogni anno transitano nelle carceri italiane per soli tre giorni) e la previsione di ulteriori benefici che potranno venire dal disegno di legge presentato dal governo per la depenalizzazione dei reati minori, la previsione di pene detentive non carcerarie, dell’istituto della messa alla prova anche per gli adulti e la sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili.

Giustizia: il ministro Severino; detenuti stranieri scontino la pena in patria

Ansa, 2 maggio 2012

Verso un trattato Italia-Marocco per il trasferimento dei condannati. Il ministro della Giustizia: “Meglio espiare la pena vicino alla famiglia”. Nuovi accordi per l’estradizione e per l’esecuzione della pena nel Paese di origine dei marocchini condannati in Italia. È l’auspicio espresso stamattina dal ministro della Giustizia Paola Severino durante un incontro con il ministro dei marocchini residenti all’estero Abdellatif Maazouz. “Credo fermamente nella funzione rieducativa della pena” ha sottolineato Severino. “Un accordo bilaterale con un Paese del Mediterraneo a noi vicino come il Marocco - ha spiegato - consentirebbe a questo gran numero di condannati di espiare la pena in prossimità del tessuto familiare e sociale di origine”. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, su 66 mila detenuti, circa 24mila sono cittadini stranieri. I marocchini sono circa 4.800, di cui 2.600 con sentenza definitiva. Nel pomeriggio, Maazouf è stato anche al Viminale per un incontro con il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri. Tra i temi affrontati, spiega una nota del ministero, “l’attuazione di progetti comuni per migliorare l’integrazione dei cittadini marocchini in Italia, la cooperazione per la gestione dei flussi migratori e per la lotta contro l’immigrazione illegale, il contrasto alla criminalità organizzata e il rafforzamento del partenariato territoriale anche alla luce delle prospettive previste dalla nuova Costituzione marocchina”.

Giustizia: Sappe; bene ministro Severino su estradizione detenuti marocchini

Comunicato stampa, 2 maggio 2012

“Non posso che esprime apprezzamento per quanto detto oggi dalla Ministro della Giustizia Severino che incontrando il ministro dei marocchini residenti all’estero Abdellatif Maazouz ha auspicato che quanto prima vengano stipulati nuovi accordi per l’estradizione e per l’esecuzione della pena nel Paese di origine dei marocchini condannati in Italia. Ascoltare il Ministro Guardasigilli che pone tra i suoi obiettivi anche quello di ottenere il trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine è un fatto indubbiamente positivo. Espellere tutti i detenuti stranieri e favorire al contempo la circolarità di quelli comunitari ristretti in Italia, facendo scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, attraverso accordi bilaterali è una storica richiesta della segreteria generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, da ultimo indirizzata qualche mese fa anche al presidente della Commissione europea Barroso. Lo dichiara Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria. “Si deve incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti stranieri i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni; potere che la legge affida alla magistratura di sorveglianza. E si deve superare il paradosso ipergarantista che oggi prevede il consenso dell’interessato a scontare la pena nelle carceri del Paese di provenienza. Oggi abbiamo in Italia 66mila700 detenuti: ben 24.123 (il 36,17% del totale) sono stranieri, con una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. Ecco queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati, che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi. Il Sappe chiede allora al Ministro della Giustizia Paola Severino di “recuperare il tempo perso su questa significativa criticità penitenziaria avviando le trattative con gli altri Paesi esteri dai quali, oltre al Marocco, provengono maggiormente i detenuti stranieri in Italia, e cioè Romania, Tunisia, Algeria, Albania e Nigeria. Una soluzione che suggeriamo da tempo per deflazione le carceri italiane è quella di espellere i detenuti stranieri e favorire al contempo la circolarità di quelli comunitari ristretti in Italia, facendo scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, rivedendo quindi anche certe norme eccessivamente garantiste, che prevedono il consenso all’espulsione del detenuto stesso”. Per il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria “è dunque fondamentale trovare accordi affinché gli stranieri scontino la pena nei Paesi d’origine. Questo, oltre a mettere un freno ad una grave emergenza, potrebbe rivelarsi un buon affare anche per le casse dello Stato, con risparmi di centinaia di milioni di euro, nonché per la sicurezza dei cittadini. Un detenuto - ricorda Capece - costa infatti in media oltre 200 euro al giorno allo Stato italiano”.

Giustizia: droga e carcere, referendum e grilli parlanti di Roberto Spagnolli

Notizie Radicali, 2 maggio 2012

In Italia il mero consumo o la detenzione per uso personale di sostanze illegali non sono un reato: secondo l’articolo 75 della legge attualmente in vigore costituiscono un illecito amministrativo sottoposto ad una serie di sanzioni. D’altra parte, l’articolo 73 del medesimo testo, punisce chiunque, per qualunque scopo, “coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope”, senza la prescritta autorizzazione. Il consumatore di sostanze illegali si trova così accerchiato da un insieme di norme repressive, sia amministrative che penali. Ancora di più il tossicodipendente, che magari cede una sostanza per ricavare i soldi necessari a procurarsi la dose, e che viene ovviamente punito se commette altri reati in qualche modo connessi alla sua condizione di dipendenza. Il risultato è che i reati di droga hanno un’incidenza pesante sull’intero sistema giudiziario e carcerario. Al 30 giugno 2011 i procedimenti aperti nelle varie Procure, per la sola violazione dell’articolo 73, erano 79 mila. A fine 2011 il 40% dei detenuti erano in carcere per reati connessi alla legge sulla droga, la stragrande maggioranza dei quali per violazione dell’articolo 73. Il 29% dei detenuti, al momento dell’ingresso in carcere, dichiara di essere tossicodipendente o assuntore abituale. Pochi, tuttavia, sono quelli che accedono alla misure alternative alla detenzione (attenzione, parliamo di misure, giacché non esistono pene alternative). Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti. O meglio, di coloro che vogliono avere occhi per vedere la drammatica condizione delle nostre carceri. Molti, ormai, sono convinti che occorra mettere mano a quelle leggi che hanno determinato il caos nelle carceri italiane: la Bossi-Fini sull’immigrazione e, soprattutto, la Fini-Giovanardi sulle droghe. Norme sciagurate, queste ultime, introdotte nel 2006, nelle ultime settimane di vita del Governo Berlusconi, attraverso un decreto “omnibus” che conteneva, tra i tanti, anche provvedimenti per le Olimpiadi invernali di Torino. I Radicali provano a lanciare la proposta di un referendum sulla Fini-Giovanardi. L’iniziativa ricorda da vicino quella analoga promossa nell’autunno del 1991 sulle parti più repressive di quella che allora era la legge Jervolino-Vassalli, approvata appena un anno prima sull’onda di una forsennata campagna politica e propagandistica. Allora il referendum fu l’occasione per mettere insieme un fronte ampio di forze politiche e sociali, operatori ed esperti, organizzazione del volontariato, intellettuali, magistrati, giuristi e scienziati che, al di là delle rispettive valutazioni e opinioni sulla legalizzazione delle droghe, si impegnarono per abrogare le parti più repressive della legge. Oggi, un’analoga ampia mobilitazione potrebbe ottenere la reintroduzione nella legislazione italiana di quel minimo di ragionevolezza che si era riusciti a conquistare con grande fatica proprio grazie al referendum del 1993 e fu poi spazzata via dal Governo Berlusconi. L’occasione potrebbe essere propizia soprattutto per quegli esponenti politici che si dicono contrari all’amnistia ma che non sono ciechi di fronte al disastro delle nostre carceri. Che ne pensano i tanti grilli parlanti che in questa stagione di “antipolitica” tuonano nelle piazze e sui giornali, nei talk-show televisivi e sulla Rete?

Giustizia: Angiolo Marroni; ho parlato delle carceri con il presidente Napolitano Intervista di Lanfranco Palazzolo

La Voce Repubblicana, 2 maggio 2012

Come garanti regionali dei detenuti abbiamo fatto presente al Capo dello Stato l’affollamento delle nostre carceri. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana “ il garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che, insieme agli altri garanti regionali, ha incontrato il Presidente della Repubblica al Quirinale.

Marroni, come è andato l’incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano? “L’incontro con il Capo dello Stato è stato molto cordiale e positivo. Noi eravamo sei garanti regionali dei carcerati. Era presente anche il Garante comunale di Bologna e c’era il dott. Palma, membro della Commissione europea contro la tortura e per i diritti umani Ognuno di noi ha detto le cose che riteneva utile dire. Abbiamo fornito un quadro del mondo carcerario molto completo. Il Presidente della Repubblica ha ascoltato tutti noi con molta gentilezza dicendo che cercherà di fare il possibile nei limiti dei compiti che gli sono stati assegnati dalla Costituzione. Napolitano ha detto che cercherà di sollecitare le Camere e il Governo ad occuparsi di questo tema. In particolare, ho sostenuto la necessità che il Parlamento approvi presto il disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia Paola Severino sulla materia. Ha chiesto in quale ramo del Parlamento è all’esame questo provvedimento per sollecitare, rivolgendosi ai Presidenti delle Camere, un rapido esame di questa iniziativa. E poi si è parlato dell’emergenza finanziaria dei settore carcerario e del finanziamento alla legge Smuraglia sulle cooperative carcerarie. Il Capo dello Stato ha fatto capire che interverrà attraverso i mezzi consentiti”.

Il Presidente della Repubblica ha parlato dell’amnistia? “Napolitano Ita ricordato che la scorsa estate aveva parlato ad un convegno, dicendo che l’amnistia è un tema di competenza del Parlamento. Napolitano ha ricordato che per votare l’amnistia è necessaria una maggioranza qualificata di 2/3”.

Nessuno ha chiesto a Napolitano se stava contemplando l’ipotesi di inviare un messaggio alle Camere per avviare il dibattito sull’amnistia? “Nessuno ha parlato di questo argomento. Da parte nostra sarebbe stato indiscreto chiedere cosa pensi di fare il Presidente della Repubblica”.

Napolitano ha chiesto sé ci sono altre iniziative?

“L’idea interessante che è uscita da questo incontro è stata quella di creare un coordinamento dei garanti regionali con altri soggetti da tenere presso il Dap per creare un’iniziativa unitaria e coerente”.

Il Capo dello Stato ha chiesto perché i garanti erano così pochi ovvero perché non erano presenti tutte le Regioni? “Napolitano ha chiesto quanti garanti siamo. Gli abbiamo detto che siamo in sette e che la nomina dei garanti è di stretta competenza delle singole regioni”.

Giustizia: drogato in auto uccise ragazza, condannato per omicidio volontario a 14 anni

Ansa, 2 maggio 2012

Quando si è messo in macchina sotto l’effetto di un mix di droga e tranquillanti “ha voluto rischiare l’incolumità propria e soprattutto quella altrui”, perché la sua capacità di guida era carente nelle condizioni psicofisiche in cui si trovava, con un comportamento che può essere qualificato come disprezzo totale delle regole”. Così i giudici della prima Corte d’Assise d’appello di Milano hanno motivato la condanna a 14 anni di carcere per omicidio volontario a carico di un giovane che nel 2008 si schiantò contro l’auto di una ragazza appena laureata, uccidendola. Lo scorso febbraio, la Corte aveva ribaltato la sentenza di primo grado - con cui Alessandro Mega, 31 anni, era stato condannato a 4 anni e 8 mesi per omicidio colposo - infliggendo, nel processo con rito abbreviato (e quindi con la pena anche scontata di un terzo), una condanna esemplare per un cosiddetto omicidio stradale, riconoscendo l’omicidio volontario con dolo eventuale, come già aveva chiesto il pm Ester Nocera in primo grado. Mega, quando si mise in macchina quella sera del 31 ottobre 2008, aveva da poco assunto cannabis e un tranquillante. Stava viaggiando su una strada con scarsa illuminazione e con l’asfalto bagnato a 80 km/h, a Bollate (Milano), quando invase l’altra corsia e si schiantò contro l’auto guidata dalla giovane, Roberta Caracci, di 24 anni, che poco dopo morì. Nelle motivazioni da poco depositate dalla Corte, presieduta da Maria Luisa Dameno, i magistrati parlano del “perseverare nell’uso di droga” da parte dell’imputato che aveva già avuto un incidente in passato dopo aver assunto stupefacenti. Gli effetti del mix droga-tranquillanti per i giudici non sono consistiti in un semplice calo di attenzione, ma lo hanno ridotto in uno stato nel quale ha posto in essere quella inconcepibile manovra, che rivela una perdita totale di controllo della guida.

Giustizia: Gaetano Di Vaio; la mia nuova vita, dopo anni di droga e carcere Intervista di Maria Pia Fusco

La Repubblica, 2 maggio 2012

Gaetano Di Vaio aveva trent’anni quando nel 1998 lasciò il carcere di Poggioreale, dopo nove anni scontati per spaccio di droga. Da “avanzo di galera”, come dice lui, è diventato attore, produttore, scrittore, il suo romanzo autobiografico, “Mala vita”, uscirà a settembre con Einaudi: come Sasà Striano, il Bruto del film dei Taviani Cesare deve morire, o Salvatore Ruocco, il pugile utilizzato dalla camorra, è riuscito a spezzare un destino di criminalità e a reinventarsi una vita, che racconta con la sua voce roca, con il suo linguaggio ricco e colorito, con spirito leggero tutto napoletano.

Chi o che cosa l’hanno spinta a cambiare? “Incontri e letture. Il primo incontro è stato a Poggioreale, l’Alcatraz napoletano, stavamo in cella in 20, 25, facevamo tutti un gran casino, ma c’era uno che non parlava mai, Raffaele Di Gennaro, un commerciante finito dentro per errore, poi riconosciuto innocente. Oh, m’à fatta ‘na capa tanta, statte ‘nu poco zitto. Così è cominciato il dialogo, la mia salvezza. Mi ha fatto ragionare sulla violenza del carcere, sulla necessità di lottare per la nostra dignità, mi ha insegnato a scrivere e a prendere la licenza media, ad amare la lettura e l’arte. Allora per me l’arte erano Mario Merola, Nino D’Angelo, i neomelodici. Io mi sentivo un fallito, avevo 27 anni, unamoglieeunbambino senza soldi, lui mi ha dato la speranza”. Le sue prime letture? “Figli di un Bronx minore” e “La vita posdatata” di Peppe Lanzetta, un’illuminazione. Gli ho scritto, per due anni gli ho mandato lettere da Poggioreale, non mi rispondeva. Quando sono uscito dal carcere continuavo a lasciargli lettere. Dopo un anno che ero fuori, Lanzetta per la prima volta mi chiama, mi fa una telefonata mentre sto portando mia moglie in ospedale a partorire il secondo bambino, che si chiama Francesco e adesso ha 11 anni. “Ma tu li hai letti tutti i libri miei?”, mi chiede. Sì, m’aggio letto tutti i libri tuoi. E mi dice di andare in scena con lui nello spettacolo teatrale. Io non sapevo se essere più contento del bambino che nasceva o della telefonata. Erano due cose importanti, Francesco era il figlio della vita, il primo figlio, Enrico, era nato che ero tossicodipendente, facevo una vita bruttissima, avevo 22 anni, ero una larva umana, non avevo un futuro davanti, pensavo che sarei finito nella camorra o morto per la droga, o con l’ergastolo addosso, mentre Francesco nasce quando ero sicuro che la mia vita era definitivamente cambiata”.

Com’era cominciata la sua “vita bruttissima”? “Avevo 12-13 anni, le prime incriminazioni erano per furti nelle auto, mi mettevano dentro le case cosiddette di rieducazione, carceri vere e proprie”.

La droga? “Quando è nata Scampia dove prima c’erano le pecore, hanno fatto questi palazzoni enormi, il quartiere è stato invaso, in mezzo alla piazza si spacciava l’ira di Dio. Ho cominciato con gli amici di quartiere che mi dicevano Damme nu occhio e mi lasciavano a guardia della droga, finché ho chiesto di venderla anch’io, in proprio”.

Attore, regista, e produttore con la sua casa “I figli del Bronx”, è attivissimo nel cinema... “Adesso stiamo producendo “Take Five”, il secondo film di Guido Lombardi dopo Là-bas, collaboriamo con Ermanno Olmi per il documentario che sta girando, prepariamo il secondo film di Tony D’Angelo. Glielo devo, è lui che mi ha fatto conoscere Abel Ferrara. Con Ferrara abbiamo girato la parte documentaria del suo film sulnonno, ambientata tra Sarno, il suo paese d’origine, e New York. Appena Abel avrà finito in Francia la storia-scandalo ispirata a Strauss-Khan con Depardieu, gireremo il resto”.

Sardegna: il Comitato Stop Opg protesta contro la nascita di strutture per gli internati

Comunicato stampa, 2 maggio 2012

“Stiamo lavorando assieme alle Regioni che afferiscono all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Ppg) di Montelupo (Toscana, Sardegna, Liguria, Umbria) per favorire le dimissioni e diminuire gli ingressi dei pazienti, in modo tale da inserirci in un percorso di appropriatezza sui detenuti che possono essere così assistiti in nostre strutture sanitarie. L’obiettivo è garantire un percorso riabilitativo valido e condiviso con i responsabili psichiatrici delle Asl e con la magistratura di sorveglianza. Stiamo valutando dunque, per chi ha necessità di misure particolari, di attrezzare strutture idonee secondo quelle che saranno le disposizioni ministeriali come previsto dalla legge nazionale 9/2012”. È quanto ha dichiarato nei giorni scorsi l’assessore regionale della Sanità, Igiene e Assistenza sociale Simona De Francisci sul tema dell’apertura in Sardegna degli ospedali psichiatrici giudiziari. Che dovrebbero essere due. Una novità che non va giù al Comitato sardo Stop Opg, che il 26 aprile ha organizzato a Cagliari il convegno “Un Volto un Nome”, nella stessa giornata in cui l’assessore De Francisci ha dato comunicazione ai media della probabile apertura dei due Opg nell’Isola. “La concomitanza di eventi è singolare - scrive, in una lettera rivolta all’assessore, Roberto Loddo, a nome del Comitato Stop Opg - considerato che la S.V., invitata a partecipare ai lavori del Convegno, aveva dichiarato la propria indisponibilità per impegni fuori sede. Esprimiamo quindi ferma indignazione per le decisioni da Lei assunte in ordine al problema “superamento degli Opg” che vedrebbe nascere in Sardegna due piccoli manicomi che l’attuale normativa, e il buon senso comune, non consentirebbe. Inoltre esprimiamo forte dissenso alla indisponibilità dimostrata dalla S.V. ad aprire un tavolo di confronto con il nostro Comitato e tutti i soggetti interessati. Tale confronto è necessario per analizzare ogni singola situazione e proporre percorsi individualizzati di reinserimento sociale per chi ha scontato la misura di sicurezza e percorsi riabilitativi per coloro che necessitano di misure più “restrittive” ma sempre nel rispetto del dettato Costituzionale e del Dpcm 1° aprile 2008. È scandaloso che da una parte ci sia stato il totale silenzio e la negazione al diritto di confronto democratico, e dall’altra l’incapacità e l’inerzia istituzionale di trovare alternative adeguate e rispettose dei diritti umani nei confronti dei nostri concittadini già duramente privati dei loro diritti fondamentali. La invitiamo pertanto a bloccare qualunque decisione già assunta e aprire un immediato tavolo di confronto al fine di programmare i percorsi individualizzati di rientro degli internati dagli Opg, come auspicato dalla Campagna “Un Volto un Nome”, rispettando lo spirito delle norme che vogliono il definitivo superamento di tali istituzioni di esclusione e segregazione”.

Il Portavoce Stop Opg Sardegna, Roberto Loddo

De Francisci: in Sardegna nessun “piccolo manicomio” o Opg

“In Sardegna non aprirà nessun nuovo piccolo manicomio né ospedali psichiatrici giudiziari, ma strutture in grado di accogliere i detenuti con patologie della psiche, con l’obiettivo di tutelare la loro salute in una cornice di sicurezza per il resto della cittadinanza”. Lo comunica l’assessore della Sanità della Regione Sardegna, Simona De Francisci, in merito al futuro degli attuali Ospedali psichiatrici giudiziari ed in particolare alla sanità penitenziaria in Sardegna. “Il tavolo con tutti gli attori accreditati, tra cui il Tribunale di sorveglianza e altri soggetti istituzionali giudiziari - spiega l’assessore De Francisci - è al lavoro già da tempo in un clima di assoluta collaborazione fra le parti. È intento di tutti gli organismi e delle istituzioni coinvolte programmare un assetto organizzativo capace di garantire un equilibrio fra gli interventi sanitari e le esigenze di sicurezza, come richiesto dalla normativa nazionale”. Nell’ultimo incontro, tenutosi a Nuoro il 5 aprile scorso, è emersa l’esigenza che anche nell’Isola possa essere operativa una struttura attiva 24 ore, ad elevata intensità sanitaria e dotata di adeguati sistemi di sorveglianza, per accogliere quei detenuti che attualmente non possono essere dimessi per la loro pericolosità sociale. È oggetto di discussione anche un’eventuale struttura terapeutico-riabilitativa per l’accoglienza di pazienti dove possano essere attivati specifici progetti in grado di favorirne il reinserimento in società. Quattro pazienti sono già nell’Isola, mentre gli altri 29 torneranno nei prossimi mesi. In accordo con gli specialisti e la magistratura si stabilirà in quale tipologia di residenza dovranno essere assistiti. ‘Siamo in attesa di ricevere le linee guida dal ministero della Salute, così come previsto dalla legge nazionale 9/2012 - aggiunge l’assessore De Francisci - per decidere quali caratteristiche debbano avere queste strutture. In ogni caso, per i pazienti sardi considerati dimissibili sono stati già attivati progetti terapeutico socio-riabilitativi individualizzati in strutture regionali già accreditate”.

Napoli: operatori sanitari nelle carceri, ancora nulla di fatto per il reintegro

Il Denaro, 2 maggio 2012

Operatori sanitari nelle carceri napoletane: deludente esito della riunione alla Asl Napoli 1 per il loro reintegro, dopo la sospensione dei rapporti lavorativi a gennaio di quest’anno. La vicenda riguarda circa quaranta professionisti. “Nella riunione i sanitari - spiega il loro difensore, l’avvocato Patrizia Kivel Mazuy - si sono visti solo richiedere la presentazione di una nuova istanza per la reintegra in servizio”. E questo malgrado che il recente decreto 28/2012 del commissario ad acta per la sanità in Campania, Stefano Caldoro, disponga la prosecuzione di questi rapporti di lavoro fino al dicembre 2012, “in attesa - spiega ancora l’avvocato kivel Mazuy - di un riordino complessivo della normativa in materia”. Finora solo due professionisti sono rientrati in servizio, a seguito di pronunce della magistratura del lavoro, dopo la sospensione del rapporto di lavoro avvenuta a gennaio: si tratta della terapista della riabilitazione Paola Rotondo e della farmacista Vincenza Iannace. Per tutti gli altri, malgrado il decreto 28, nulla da fare “sebbene anche alcuni giudici che hanno respinto i ricordi d’urgenza - ricorda il difensore dei professionisti - abbiano richiamato questo decreto, invocandone l’attuazione e quindi ritenendo superflua una pronunzia di reintegra proprio perché esiste già un provvedimento che consente il ritorno in servizio dei sanitari”. La normativa con la quale nasce il rapporto lavorativo dei medici carcerari napoletani, interrotto dalla Asl Napoli 1 all’inizio del 2012 senza alcuna comunicazione formale agli interessati, è quella prevista dalla legge 740 del 1970, un testo che consentiva l’attribuzione di incarichi e convenzioni con medici per prestazioni sanitarie in carcere “in regime di convenzione”, precisa il legale dei sanitari che aggiunge, “per questi tipi di rapporto lavorativo regolati dalla legge 740 non è previsto alcun termine”. La competenza in materia di assistenza sanitaria nelle carceri è passata alle Asl dal 2008 “allo scopo - si legge in uno dei ricorsi presentati dai medici - di evitare disparità di trattamento tra il malato in stato di detenzione e il libero cittadino”, quindi solo per “una unicità del rapporto sanitario”. “La normativa entrata in vigore nel 2008 - puntualizza l’avvocato Kivel Mazuy - garantisce al personale già in servizio per effetto della legge 740/70 tutte le prerogative e i diritti già riconosciuti dalle norme di quarant’anni orsono”. Di diverso parere la Asl Napoli 1 che azzera i rapporti lavorativi, motivando questa scelta con l’esigenza di ridurre la spesa. Ma nelle altre carceri della Campania i sanitari impegnati con lo stesso tipo di rapporto di lavoro sono rimasti a svolgere la loro regolare attività anche nel corso dei primi mesi del 2012. Ora la vertenza giudiziaria proseguirà anche sul versante penale “perché è inaccettabile - conclude Patrizia Kivel Mazuy - che la Asl Napoli 1 non si adegui a quanto dispone un decreto del commissario ad acta”.

Napoli: Telesal e Asi, per la salute delle detenute nel carcere femminile di Pozzuoli

Il Denaro, 2 maggio 2012

L’Asi al servizio della salute delle donne. Sarà questo per un’intera settimana l’obiettivo di Telesal, il progetto di telemedicina dell’Agenzia Spaziale Italiana, che il Carcere Femminile di Pozzuoli ospiterà dal 22 marzo. L’evento “Le Donne di Dentro” promosso dall’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Napoli Giuseppina Tommasielli, con la collaborazione di Telesal, del Policlinico Federico II di Napoli e dell’Asl Napoli2 Nord, consiste in una settimana di servizi di prevenzione per la salute di detenute e operatrici. Il mezzo mobile Telesal, attrezzato con apparecchiature ad alta definizione per lo screening mammografico, permetterà di sottoporsi all’esame e di conoscere in tempo reale il risultato del test e, qualora se ne evidenziasse il bisogno, di essere prese in cura dal personale specialistico dell’Asl Napoli 2 Nord. Con questa iniziativa Telesal ha voluto dimostrare che la sua tecnologia innovativa è in grado di dare risposte alle criticità e alle emergenze della sanità in carcere, garantendo la salute, sia fisica che psicologica, dei detenuti. Telesal è l’ambizioso programma di assistenza medica a distanza basato sulle tecnologie satellitari, sviluppato da Asi con il Ministero della Salute e un team di Aziende italiane, Università, Istituti di Ricerca ed Enti pubblici. Il progetto entrerà in una struttura carceraria con le proprie apparecchiature, in questo caso mettendosi al servizio delle donne, ma avrà anche l’intento di dimostrare che una tale iniziativa può servire da modello per immaginare, in un futuro prossimo, un ambulatorio a trecentosessanta gradi, di medicina generale e specialistica, che varchi la soglia del carcere e offra, al contempo, tutela della salute e contenimento delle spese. Questo evento inoltre, alla luce dei risultati che conseguirà, rappresenterà un valido supporto per le istituzioni, che potranno disporre di ulteriori elementi per ridisegnare la problematica sanitaria nell’attuale contesto penitenziario.

Ferrara: Bratti e Merli (Pd) in visita al carcere; puntare sulle misure alternative

La Nuova Ferrara, 2 maggio 2012

“Su 66mila detenuti - quelli pericolosi sono 28 mila” e lavorando su “modelli alternativi” si può “risparmiare il 20% del personale di polizia penitenziaria da impiegare nelle carceri nuove”. Detto questo “voglio spendere di più per il lavoro carcerario, per gli incentivi alle imprese che assumono detenuti”. Questa è la dichiarazione del Ministro Severino che per quel che riguarda la possibilità di trovare modalità alternative alla detenzione ci vede assolutamente d’accordo. Così dichiarano il parlamentare del Pd Alessandro Bratti e il capogruppo in Consiglio comunale del Pd Simone Merli in visita in mattinata alla casa circondariale di Ferrara. “È la seconda visita che abbiamo effettuato in sei mesi: abbiamo trovato il personale della polizia penitenziaria attento e preparato ad affrontare situazioni complicate e difficili come quelle oggi presenti nelle nostre carceri. Abbiamo potuto constatare una situazione di sovraffollamento e soprattutto verificare che numerosi detenuti potrebbero, per la tipologia di reati, scontare la pena fuori dal carcere così come abbiamo trovato irragionevole una presenza numerosa di detenuti in attesa di giudizio. Siamo in attesa di conoscere in maniera dettagliata la proposta del Ministro Severino così come non ci è ancora chiaro se il carcere di Ferrara subirà un ampliamento. Ci siamo inoltre impegnati ognuno per le proprie competenze ad attivare a livello comunale delle iniziative coinvolgendo anche il Garante per i detenuti Marighelli. Si possono fare piccole cose: dalla raccolta di materiale sportivo ad attrezzature per il verde, alla raccolta libri che possono essere utili per la vita all’interno del carcere così come è indispensabile riuscire ad attivare progetti che aiutino il reinserimento dei detenuti all’interno del tessuto sociale”.

Reggio Emilia: oggi la visita del Garante regionale dei detenuti agli istituti penitenziari

Comunicato stampa, 2 maggio 2012

Solo dal 2011 la Casa circondariale di Reggio Emilia e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario sono finalmente sotto un’unica direzione, quella del dr. Paolo Madonna, che sta cercando di portare a regime due realtà finora distinte per gestione del personale, spazi, ecc., benché a pochi metri una dall’altra. Complessivamente le persone presenti sono 533: 322 detenuti in Casa circondariale (308 uomini e 14 donne in alta sicurezza) e 211 in Opg. Molto alto il sovraffollamento, soprattutto alla Casa circondariale, che ha capienza regolamentare di 132 persone, ma significativo anche quello dell’Opg, che dovrebbe chiudere, secondo quanto prevede la Legge 9/2012, entro il 31 marzo 2013, con il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e la collocazione degli internati in strutture sanitarie. A quel punto la struttura, che è penitenziaria, potrebbe risolvere il problema del sovraffollamento della Casa circondariale, che adesso vede 3 persone detenute per cella (letti a castello in celle che dovrebbero essere singole). Qualche altro dato. La Casa circondariale contiene 186 “definitivi”, di cui 2 in regime di semilibertà, il 70% stranieri. Quanto alle presenze nell’Opg, 205 sono i detenuti presenti fisicamente in istituto, di cui 35 nel reparto “Centauro”, 6 i detenuti in licenza temporanea, 62 quelli usciti in licenza finale sperimentale. Appare pressante il problema del rifacimento del coperto e delle docce di tutto l’istituto, letteralmente verdi per la muffa: lavori che potrebbero essere svolti in economia con la squadra di manutenzione interna e con il lavoro dei detenuti, che appare in grado di dare un buon contributo alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’istituto. La formazione dei detenuti prevede un corso per orto-florovivaisti per circa 10 persone, a cui seguono tirocini lavorativi con fondi regionali co-finanziati dal Comune. Il progetto della direzione è di riproporre l’orto-florovivaistica già sperimentata con successo a Modena, e in questo modo dare lavoro a più detenuti. Nel 2011 sono stati 7 i detenuti in tirocinio lavorativo; fattiva la collaborazione con il Comune di Reggio Emilia e il Centro per l’impiego. Attualmente ci sono 18 art.21 tra lavoranti esterni e interni e 2 in semiliberi. Le attività sanitarie sono garantite da 2 psicologi per i nuovi giunti e per il SERT, 2 psichiatri per 12 ore settimanali e le specialistiche di infettivo logo, cardiologo, dermatologo, odontoiatra, oculista, ginecologo e indagini radiologiche con apparecchiatura appropriata all’interno. Sono organizzati incontri con i detenuti per l’informazione sui rischi epidemiologici e di medicina preventiva di base. La struttura dell’Opg, rispetto alla visita della Commissione parlamentare guidata dal senatore Marino, appare più pulita, i locali sono stati da poco tinteggiati, delle 5 sezioni 4 sono aperte di giorno e solo una (la “Centauro”) è chiusa e vigilata dal personale di polizia penitenziaria. Nelle altre c’è solo personale sanitario della Ausl, che decide chi, per ragioni di pericolosità per sé e per gli altri, deve andare nel reparto vigilato, con possibilità di spostarsi in altra sezione qualora il personale sanitario valuti diversamente il quadro clinico e comportamentale. Non ci sono contenzioni in atto. Un intero piano è dedicato ad attività didattiche e ricreative. Gran parte degli internati proviene da altre regioni, solo 32 risiedono in Emilia Romagna, resta aperto il problema di coloro che non hanno più una residenza. Solo per coloro che risultano ancora socialmente pericolosi, residuerà la vigilanza esterna della polizia penitenziaria, salva diversa collocazione in caso di cessata pericolosità. Le regioni più rappresentate come provenienza sono: 47 dal Veneto, 32 dalla Lombardia, l’Emilia Romagna con 32, il Piemonte con 16, le Marche con 15, il Trentino Alto Adige con 12, i senza fissa dimora sono 22. Dal referente della sanità all’Opg sono venute importanti considerazioni e preoccupazioni per il futuro degli internati: appare fondamentale che le nuove strutture siano a dimensione di paziente, con personale formato e di lunga esperienza, spazi verdi e possibilità di lavoro soprattutto all’aperto. Per quanto riguarda il personale gli educatori assegnati sono 4 (di cui uno part time) sia nella Casa circondariale che nell’Opg. Il personale di polizia penitenziaria risulta essere insufficiente, il numero idoneo di agenti da assegnare, per la direzione, potrebbe essere di venti agenti. La visita del Garante Desi Bruno è stata effettuata alla presenza dell’assessore alle Politiche sociali del Comune di Reggio, Matteo Sassi, della referente per il servizio sociale Alfa Strozzi, e del consigliere regionale Antonio Mumolo.

Trieste: agenti-cancellieri per gli immigrati? gli avvocati bocciano la proposta di Claudio Ernè

Il Piccolo, 2 maggio 2012

Il presidente dell’Ordine Gambel Benussi: “Non siamo mai stati interpellati. La soluzione non mi pare praticabile, chi è stato scarcerato è libero a tutti gli effetti. Non è un detenuto”. Gli avvocati non ci stanno. Anzi sono stupiti ed esprimono attraverso i loro organismi istituzionali tutte le perplessità della loro categoria per il progetto messo a punto dal questore Giuseppe Padulano che vorrebbe assegnare a un ispettore di polizia il ruolo di cancelleriere nelle udienze dei fine settimana in cui viene decisa l’espulsione di un cittadino straniero. Il presidente dell’Ordine Roberto Gambel Benussi ieri ha sottolineato come nella riunione convocata venerdì scorso in Prefettura, non fosse stato invitato nemmeno un rappresentante dell’avvocatura, da sempre impegnata a difesa dei diritti civili delle persone. “Nessuno ci ha avvisato anche se la legge ci assegna un preciso ruolo nelle pratiche necessarie alle procedure di espulsione degli stranieri. Un legale deve essere necessariamente presente all’udienza convocata di fronte al giudice di pace o in Tribunale. Quanto è stato proposto dal questore non mi sembra sia una soluzione praticabile. Chi è stato scarcerato su ordine di un magistrato e deve essere espulso, è comunque una persona libera e non un detenuto. Avremmo voluto portare il nostro contributo tecnico e umano alla riunione di venerdì, ma nessuno ci ha avvisato”. Prima di dichiarare il proprio disappunto per l’esclusione dalla riunione in Prefettura, l’avvocato Roberto Gambel Benussi ha compiuto una ricognizione all’interno della segreteria dell’Ordine. Ha cercato eventuali fax o messaggi sfuggiti in un primo momento o giunti in ritardo. La ricognizione non ha avuto esito. Gli avvocati intesi come Ordine non erano stati proprio convocati. Poi il presidente si è incontrato con il giudice Raffaele Morway, presidente del Tribunale. Al centro dell’incontro proprio la bozza di soluzione messa a punto in prefettura e la praticabilità sul piano della legge della soluzioni prospettate. Va detto che l’udienza in cui il giudice di pace dovrebbe affrontare il problema dell’espulsione, secondo quanto emerso venerdì, si svolgerebbe proprio negli uffici di via del Teatro Romano e non nella sede istituzionale del Giudice di pace, ospitata in uno stabile di via del Coroneo. Inoltre, per rendere più spedito l’iter dell’espulsione, la verbalizzazione delle udienze nei fine settimana, sarebbe affidata a un ispettore di polizia e non più a un cancelliere. Questa proposta di organizzazione è entrata anche nel mirino della Camera penale di Trieste. Il presidente, l’avvocato Andrea Frassini, la ritiene poco praticabile anche dal punti di vista legale dal momento che le udienze devono essere celebrate nelle sedi istituzionali; in sintesi in un’aula del Giudice di pace, non in un ufficio della Questura. “Non vedo perché un agente di polizia, dipendente dall’esecutivo a cui deve comunque rispondere, debba redigere il verbale quando per legge questo compito spetta ai cancellieri. Se così fosse rischia di venir meno il momento giurisdizionale e come avvocati non possiamo accettare soluzioni di questo genere su problemi così complessi c sul piano dei diritti civili”. In effetti nemmeno nei momenti storici più bui del nostro Paese le udienze si sono svolte negli uffici di polizia. Va aggiunto che le Camere penali da tempo stanno pesantemente criticando la scelta del Ministro della Giustizia Paola Severino che con un apposito Decreto ha deciso che nelle celle di sicurezza dei Commissariati di polizia, della caserme e Stazioni dei carabinieri nonché delle Questure, possono essere trattenute persone fermate o arrestate. “Mancano i servizi igienici; a livello sanitario la situazione è precaria. Non è chiaro come venga fornito il cibo. I diritti costituzionali vanno rispettati senza cercare scorciatoie o vie di comodo”, ha concluso l’avvocato Andrea Frassini.

Reggio Emilia: Sappe; in Opg aggrediti tre agenti, internato frattura tre dita a uno di loro

Dire, 2 maggio 2012

Tre agenti aggrediti ieri mattina da un internato dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. Lo rende noto il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, precisando in un comunicato che uno dei tre agenti ha riportato la frattura di tre dita della mano, giudicata guaribile in 30 giorni. Gli altri due hanno riportato contusioni per cui è stata diagnosticata una prognosi di 3 giorni ciascuno. Entro marzo 2013 tutti i 6 ospedali psichiatrici giudiziari esistenti in Italia dovrebbero essere chiusi - ricorda il Sappe - in base alla recente disposizione contenuta nel decreto salva carceri. A Reggio Emilia chiediamo che la struttura venga convertita in istituto penitenziario e, inoltre, chiediamo l’invio di almeno 30 agenti, con le prossime assegnazioni che avverranno a luglio, considerato che, al momento, ne mancano più di 50.

Lecco: venerdì serata di dibattito per riflettere sul tema delle carceri

Asca, 2 maggio 2012

Si chiude con una serata dedicata al tema delle carceri la rassegna cinematografica “Dalla parte degli uomini” promossa dal Comune di Brivio, dalla Pro Loco e dal Gruppo Amnesty International di Merate. Appuntamento venerdì 4 maggio alle ore 21.00 per la proiezione del documentario di Maurizio Cartolano 148 Stefano. Mostri dell’inerzia (Italia, 2011), realizzato in collaborazione con Il Fatto Quotidiano e patrocinato da Amnesty International, che partendo dalla vicenda di Stefano Cucchi, morto in carcere sei giorni dopo il suo arresto, narra la storia di una famiglia alla ricerca di verità e giustizia. La proiezione, ad ingresso gratuito, si svolgerà presso la Biblioteca Comunale “Pietro Frigerio”, in via Vittorio Emanuele II, 25 - Brivio (Lc). Era il 22 ottobre 2009 quando Stefano Cucchi, 31 anni, si spegneva in circostanze tuttora da accertare all’Ospedale Sandro Pertini di Roma, dopo sei giorni di detenzione in cui gli erano stati negati tutti i diritti. Il documentario racconta con grande sensibilità la lotta per la verità e la giustizia portata avanti dalla sorella e dal padre ed i loro interrogativi sulle circostanze della morte di Stefano e sui responsabili. Nell’ottobre del 2009, all’epoca dei fatti, nei penitenziari italiani erano morte 147 persone. Stefano Cucchi è stato la 148° vittima. Chiuderà la serata un dibattito con il pubblico, che sarà l’occasione per approfondire la situazione attuale delle carceri nel nostro paese dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. A margine della manifestazione verrà inoltre presentata una raccolta firme nell’ambito dell’azione “Operazione Trasparenza: diritti umani e polizia in Italia”, lanciata da Amnesty International a livello nazionale per chiedere l’introduzione nel nostro ordinamento di leggi e misure per la prevenzione della tortura e dei maltrattamenti. In allegato il comunicato stampa.

Roma: domani premiazione Premio letterario “Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere”

Dire, 2 maggio 2012

Saranno premiati domani pomeriggio nel carcere romano di Rebibbia i vincitori del Premio letterario “Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere” ideato dall’associazione InVerso, che è diventato un libro edito da Rai Eri con il titolo “Siamo noi siamo in tanti - Racconti dal carcere” che sarà presentato al Salone del Libro di Torino. Curato da Antonella Bolelli Ferrera, il volume raccoglie venti storie - verità scritte da altrettanti detenuti nelle carceri italiani tra i tantissimi che hanno risposto al bando della Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria: ognuna delle storie è accompagnata dalle note di lettura di venti tra scrittori, intellettuali, scienziati e giornalisti tra i quali Giancarlo De Cataldo, Margherita Hack, Erri De Luca, Federico Moccia, Franco Di Mare, Marco Franzelli, Carlo Conti, Roberto Giacobbo e Franco Matteucci. Uomini e donne di diversa età e provenienza, che scontano condanne, alcuni per l’intera vita, raccontano le ragioni e i casi che li hanno portati prima al crimine e poi alla condanna. Raccogliendo la sollecitazione del Direttore Generale Lorenza Lei a impegnare il servizio pubblico a favore degli ultimi, RAI Eri ha scelto di pubblicare i racconti finalisti del Premio per aiutare, attraverso la scrittura e la letteratura, una delle categorie più socialmente svantaggiate. Domani alla presenza degli autori, dei loro tutor, dei dirigenti del Dap, della Rai e della Siae, partner del Premio, la premiazione dei vincitori nel corso di una manifestazione presentata da Pino Insegno.

Foggia: “Premio Lupo”, concorso letterario per “evadere” dal carcere

Corriere della Sera, 2 maggio 2012

Evadere dal carcere aggrappandosi alla forza della scrittura, alla capacità della letteratura di avviare percorsi di introspezione personale. Di riabilitazione. Perché comunicare all’esterno emozioni, storie, stati d’animo, può aiutare un detenuto ad assaggiare, anche se virtualmente, il sapore della libertà ed il rapporto con gli altri. La quarta edizione del “Premio Lupo”, il concorso letterario promosso da un gruppo di Comuni dei Monti Dauni con il partenariato della Provincia di Foggia, quest’anno apre una finestra importante su un mondo poco esplorato e di difficile accesso: il carcere. E lo fa aggiungendo alle tradizionali categorie - Social Network, Short Stories e Racconti Folktellers - una sezione dedicata al sociale. “Il lupo cattivo si racconta”, infatti, punta a stuzzicare la creatività narrativa dei detenuti negli istituti penitenziari italiani. “Quello che abbiamo avviato è primo passo, una sperimentazione che mira a raccogliere testimonianze, racconti, voci di un mondo parallelo al nostro. Un luogo dove nell’immaginario della gente è chiuso il “lupo cattivo”, colui che ha sbagliato e che deve essere isolato dalla società” spiega Pierluigi Bevilacqua, della “Piccola compagnia impertinente” a cui è affidata la direzione artistica del concorso. L’obiettivo dei promotori, quindi, è di “dare voce all’esperienze di vita diverse, a quelle persone che in cella fanno i conti con il tempo che per loro sembra scorrere molto più lentamente. Forse - aggiunge Bevilacqua - la letteratura, lo scrivere, possono essere dei mezzi per comunicare all’esterno le proprie riflessioni, i propri stati d’animo, le proprie condizioni di vita. Un modo per evadere con le parole, affidando alla comunicazione una sorta di riabilitazione sociale in cui rivedere il proprio cammino personale”. Anche se Bevilacqua non nasconde le difficoltà burocratiche riscontrate nell’organizzare “Il lupo cattivo si racconta”. “Purtroppo sappiamo bene che non tutti i detenuti hanno accesso ai computer negli istituti penitenziari e per chi dovrà scrivere il racconto a penna, su un foglio di carta, non sarà facile rispettare il limite degli 8mila caratteri”. Disagi, tuttavia, superabili. Perché la vera sfida è promuovere il concorso e raggiungere tutti i reclusi nei penitenziari d’Italia. Per questo, “abbiamo scritto al Ministero della Giustizia con la speranza che ci aiuti a diffondere l’iniziativa in tutti i carceri”. Del resto, non sono pochi i potenziali narratori che possono partecipare al Premio. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al 31 marzo 2012 erano 66.695 i detenuti rinchiusi nei 206 istituti di pena italiani. Tante, dunque, le possibili storie da raccontare, da far conoscere. Ed allora, i “lupi cattivi” che hanno voglia di condividere le proprie sensazioni possono farlo inviando, entro il 30 giugno, una copia del loro racconto (massimo 8mila battute) all’indirizzo: segreteria Concorso Premio Lupo, presso il Comune di Roseto Valfortore, piazza Sant’Antonio 1, 71039 Roseto Valfortore (Fg).

Francia: caso Franceschi; madre manifesta davanti Eliseo, allontanata

Agi, 2 maggio 2012

Come aveva già annunciato pubblicamente nei giorni scorsi, si è presentata questa mattina di fronte all’Eliseo, a Parigi, con l’obiettivo di farsi ricevere dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Ma quando la polizia l’ha vista arrivare con le foto del figlio, prima di entrare in carcere e quando ne è uscito cadavere, è stata fatta allontanare dalla residenza presidenziale. Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, l’operaio viareggino morto il 25 agosto di due anni fa in circostanze ancora tutte da chiarire nel carcere francese di Grasse, non intende però darsi per vinta. E ha confermato che non lascerà Parigi fino a quando non riceverà assicurazioni riguardo alla riconsegna degli organi del figlio, ancora trattenuti a Nizza perché ritenuti reperti da parte della magistratura francese. Nei giorni scorsi, intanto, da Nizza è arrivata la conferma che sia il medico del penitenziario di Grasse che due infermieri della medesima prigione sono stati indagati in relazione alla morte di Daniele Franceschi con l’accusa di omicidio involontario, il corrispondente francese del nostro omicidio colposo.

Stati Uniti: in Oklahoma detenuto giustiziato per omicidio commesso nel 1975

Ansa, 2 maggio 2012

Michael Selsor, 57 anni, ucciso con un’iniezione letale. 37 anni fa era stato condannato per aver freddato il gestore di un supermercato durante una rapina. Dopo un intervento della Corte Suprema la pena era stata commutata in ergastolo, ma il condannato aveva fatto appello ed è finito di nuovo nel braccio della morte. Un uomo di 57 anni è stato giustiziato ieri in Oklahoma, 37 anni dopo l’omicidio per il quale fu condannato a morte due volte. Lo rendono noto le autorità carcerarie dello Stato americano, appena alcuni giorni dopo un’altra esecuzione avvenuta in Texas. Michael Selsor è stato dichiarato morto per iniezione letale alle 18.06 ora locale (l’1.06 di oggi in Italia). L’uomo era stato condannato per l’omicidio nel 1975 di un gestore di un supermercato a Tulsa, a cui avrebbe sparato sette volte nel corso di una rapina a mano armata, ferendo anche una commessa. Era stato messo nel braccio della morte prima di esserne rimosso nel 1976, quando la legge sulla pena di morte in Oklahoma era stata dichiarata incostituzionale. La sua condanna è stata commutata in ergastolo, ma il condannato si era appellato. E un nuovo processo nel 1996 aveva confermato la pena di morte. Questa è la terza esecuzione in Oklahoma dall’inizio dell’anno, uno Stato che ha giustiziato 99 detenuti dal momento del ripristino della pena capitale nel 1976 e ha quasi esaurito le sue riserve di pentobarbital, uno dei tre farmaci usati per le esecuzioni, secondo le autorità carcerarie. È il detenuto 17 giustiziato quest’anno negli Stati Uniti, il secondo in cinque giorni.

Uruguay; emergenza carceri, tre rivolte nel giro di due settimane

Ansa, 2 maggio 2012

Sedate le violenze nella prigione femminile di Camino Carlos Lopez. Da oggi cambio delle autorità penitenziarie. Crisi del sistema carcerario, la stampa uruguayana ormai non parla d’altro. Nel giro di due settimane si son verificate tre violente rivolte interne, una delle quali ha provocato la distruzione quasi totale di due blocchi e c’è stato bisogno di derivare in altre prigioni oltre 1.000 reclusi. Ora tocca al governo di Mujica rispondere a questa situazione d’emergenza. Intanto sono appena arrivati gli scanner per l’ingresso alle carceri e, secondo le dichiarazioni Ministro dell’Interno Eduardo Bonomi, ogni persona sarà scannerizzata, incluso i poliziotti. Il controllo perimetrale sarà in mano all’esercito, così come il controllo dell’ingresso. Intanto Mujica ha prima smentito e poi confermato che tutte le massime autorità delle carceri nazionali saranno sostituite dal 2 maggio.

Ucraina: “estrema inquietudine” degli Usa per trattamento Tymoshenko

Tm News, 2 maggio 2012

Gli Stati Uniti si sono detti “estremamente inquieti” per il trattamento riservato in carcere in Ucraina all’ex primo ministro Yulia Tymoshenko, che sta scontando una pena di 7 anni per abuso di potere. L’ha detto, secondo un comunicato ufficiale, il segretario di Stato Hillary Clinton. Tymoshenko è in carcere da agosto 2011 ed è in sciopero della fame dal 20 aprile, quando ha denunciato di aver subito violenze in prigione. Alcune foto mostrano ematomi su un suo braccio e sul ventre. “Gli Stati Uniti sono estremamente inquieti per il trattamento riservato all’ex primo ministro Yulia Tymoshenko e ad altri membri del vecchio governo imprigionati”, ha dichiarato Clinton. “Le foto della signora Tymoshenko che sono state diffuso pongono interrogativi sulla sua detenzione”, ha continuato. L’ex primo ministro, contro il quale è in corso anche un secondo processo per frode fiscale, lamenta anche di essere in cattive condizioni di salute e i suoi legali denunciano il fatto che in prigione non le viene fornita assistenza medica adatta. “Noi chiediamo alle autorità ucraine di assicurarsi che Tymoshenko riceva un’assistenza medica immediata in un centro adeguato e chiediamo loro che l’ambasciatore americano possa incontrarla”, ha affermato Clinton. Clinton ha poi ribadito la richiesta di liberazione dell’ex pasionaria della rivoluzione arancione. “Noi continuiamo a chiedere la sua liberazione e quella degli altri membri del suo governo”, ha chiesto ancora il capo della diplomazia Usa, aggiungendo anche l’appello affinché vengano restituiti ai prigionieri tutti i loro diritti “civili e politici”. La figlia di Tymoshenko, Eugenia, ha espresso ieri tutta la sua preoccupazione per le condizioni della madre. “Mamma è in sciopero della fame da 12 giorni. Siamo estremamente preoccupati per la sua salute. Noi non abbiamo avuto accesso a lei durante le feste e non sappiamo cosa le stia accadendo”, ha scritto la giovane donna in un comunicato. Diversi paesi dell’Unione europea, tra cui la Germania, minacciano un boicottaggio politico degli Europei di calcio che inizieranno l’8 giugno. L’Ucraina co-organizza la manifestazione con la Polonia.

Svezia: nuove accuse contro l’Ikea “sfruttò il lavoro dei detenuti politici della Ddr” di Andrea Tarquini

La Repubblica, 2 maggio 2012

Questa sera la tv svedese manderà in onda un programma in cui si accusa il colosso dei mobili di avere approfittato per anni del regime di lavori forzati in vigore in Germania dell’Est. Dopo la caduta del Muro e la riunificazione, il costo del lavoro divenne eccessivo e la multinazionale delocalizzò la produzione Riemergono gravi accuse contro la Ikea: il colosso svedese dei mobili e dell’arredamento low cost, durante la guerra fredda, avrebbe usato in massa il lavoro forzato di detenuti nell’allora Ddr, cioè la Germania orientale oppressa da una dittatura tardo staliniana succube dell’Unione sovietica. Tra i forzati, ci sarebbero stati anche molti prigionieri politici. L’accusa viene lanciata da Stoccolma, dal canale televisivo Svt. Le fonti sono documenti della Stasi, cioè la famigerata polizia segreta tedesco-orientale di allora, documenti che i reporter svedesi avrebbero potuto consultare per la loro ricerca. Secondo il programma, che andrà in onda stasera su Svt, ci sono prove che Ikea abbia usato ampiamente il lavoro forzato nella Ddr negli anni Settanta e Ottanta, quando cioè era noto a tutto il mondo che migliaia di prigionieri politici languivano in carceri e campi del regime. Una portavoce di Ikea ha dichiarato che al momento l’azienda non sa niente del caso, ma che ha chiesto di consultare a sua volta i dossier della Stasi. Secondo le Stasi-Unterlagen Behoerde, cioè l’autorità tedesca che custodisce e controlla i dossier della “Gestapo rossa” e ne consente la lettura solo per scopi di ricerca, ha confermato di aver già fatto vedere a Ikea documenti della Stasi, in base ai quali, scrive stamane la Frankfurter Allgemeine, risulterebbe la piena cooperazione di Ikea con le autorità della Ddr e la possibilità che siano stati impiegati lavoratori forzati, cioè detenuti, anche politici. Già l’estate scorsa questa accusa era stata lanciata contro Ikea da un reportage della rete tv pubblica tedesca Wdr. Secondo la quale negli anni Settanta e soprattutto negli anni Ottanta l’azienda svedese - in base ai dossier Stasi e a testimonianze di ex detenuti politici - avrebbe fatto massiccio ricorso al lavoro forzato, in almeno 65 impianti per la produzione di mobilio nell’allora Ddr. Dopo la caduta del Muro e la riunificazione, il costo del lavoro divenne eccessivo nella Germania orientale, e Ikea allora delocalizzò la produzione, pare, in Corea del Nord, una dittatura ancora più bieca e spietata. Il numero uno di Ikea, Ingvar Kamprad, noto per il suo asserito passato nazista, dichiarò allora di non essere a conoscenza dell’uso di detenuti nei mobilifici della Ddr usati da Ikea, ma di ritenere che “se così è stato, secondo noi si trattava di misure nell’interesse sociale”. Ikea, con 300 filiali sparse per il pianeta, è il maggior produttore mondiale di mobili e l’anno scorso ha registrato un fatturato di circa 25 miliardi di euro.